Avevamo avuto modi di accennare all’uscita del nuovo romanzo di Roberto Alajmo in questo post (dedicato al volume “1982”, edito da Laterza).
Ne parliamo, adesso, in maniera più approfondita ripartendo dal titolo del libro: La mossa del matto affogato (Mondadori, 2008, pagg. 241, euro 17).
Per chi conosce bene il gioco degli scacchi la mossa del matto affogato non è una novità. Si tratta di uno scacco matto speciale, il più umiliante: il re, bloccato dai propri stessi pezzi, non può più muoversi.
“…Attraverso una serie di sacrifici, l’avversario ti ha chiuso in gabbia. Uno dopo l’altro sono i tuoi stessi pezzi ad averti circondato e messo in un angolo da cui non puoi più scappare. Nel giro di poche mosse sei passato dall’illusione di poter vincere sfruttando i suicidi in serie dell’avversario, alla frustrazione di doverti suicidare tu, senza possibilità di scelta, e di fronte alla minaccia di un unico cavallo superstite. Per quanto l’avversario sia ormai dissanguato, l’ultima mossa servirà solo a stringerti il cappio attorno al collo…”
Il brano tra virgolette è estrapolato dal romanzo.
Un romanzo come una partita a scacchi, dove il titolo di ciascun capitolo è il codice di una mossa (dalla prima fino allo scacco finale). Un romanzo di ventisei capitoli, una partita in ventisei mosse.
Il protagonista (e il giocatore) si chiama Giovanni Alagna: un impresario teatrale che opera in una città siciliana (Palermo?) e che ha improntato attività e vita avvalendosi, all’occorrenza, di imbrogli più o meno gravi. Un personaggio algido e determinato, ma che finirà con il rivelarsi uno sconfitto. Un “vinto” che si aggiunge alla schiera di quelli già tratteggiati da Roberto Alajmo nei precedenti romanzi (Cuore di madre e È stato il figlio). Con la differenza che, stavolta, il perdente è un uomo di cultura, un uomo alquanto noto.
Alagna ottiene successo, beneficia delle luci della ribalta, conduce una vita persino al di sopra delle proprie possibilità. Poco importa se, per farlo, deve ricorrere al bluff, alle bugie, alle omissioni. Poco importa se – di fatto – si ritrova a usare gli altri con noncuranza e semplicità strabilianti, basandosi sul motto: “meglio rimorsi, che rimpianti!”
Meglio rimorsi, sì; ma quando i rimorsi crescono all’eccesso e hanno la faccia di tua moglie Elvira (che decide di cacciarti fuori di casa dopo l’ennesimo tradimento), o il viso duro e quasi ostile delle tue due figlie che non si fidano più di te; quando il rimpianto assume le dimensioni catastrofiche di atti di violenza compiuti ai tuoi danni da delinquenti senza scrupoli, mandati a riscuotere soldi che non sei in grado di restituire; allora, Giovanni Alagna, cominci a capire che la partita sta prendendo una piega che non avevi preso in considerazione. Cominci a capire che stai perdendo.
Alla fine non ti rimane che inscenare un’uscita di scena melodrammatica, da par tuo. Un’uscita di scena con i riflettori puntati addosso. Tu attore, e gli altri – chi ti ha amato e chi ti ha odiato – intorno a te, a farti da pubblico (o almeno, così ti pare) mentre ti ritrovi paralizzato da una serie di scelte sbagliate. Fine della partita, Alagna. Scacco matto. Non ti resta che affogare.
L’utilizzo della “seconda persona” nelle frasi precedenti non è casuale, ma riflette una coraggiosa e originalissima scelta narrativa dell’autore. Quella di scrivere un romanzo tutto in “seconda persona”, dalla prima all’ultima parola. Un romanzo, però, che scorre lieve, veloce (come la scrittura del suo autore: pulita, scevra da orpelli stilistici, frasi retoriche, pesanti aggettivazioni) e che riesce a colpire duro. Come usa dire lo stesso Alajmo: “I miei libri sono facili da mangiare, difficili da digerire”.
Ora, vi invito a interagire con l’autore del libro – che parteciperà al dibattito -, magari ponendogli domande.
Intanto mi chiedo, e vi chiedo: vi è mai capitato di riconoscere in voi stessi comportamenti autolesionisti al punto da sentirvi… affogare?
E poi, a vostro avviso, cosa significa esser perdenti nel nuovo millennio?
Il perdente dei nostri tempi equivale al perdente del secolo scorso, dei secoli scorsi?
È cambiato qualcosa, o – dopotutto – l’uomo è sempre uguale a se stesso di fronte ai propri fallimenti?
Prima di chiudere vi segnalo questa bella intervista della “nostra” Simona Lo Iacono pubblicata su LibMagazine.
Massimo Maugeri
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AGGIORNAMENTO del 10 agosto 2008
Roberto Alajmo mi ha messo a disposizione le prime pagine del libro. Potrete leggerle di seguito
(Massimo Maugeri)
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La mossa del matto affogato – Cap. I
Ora concentrati, non ti distrarre. Bisogna assolutamente che riesca a pensare qualcosa da gettare in faccia alle persone venute fin qui. Loro se l’aspettano, e anche a te conviene approfittarne. Sono i momenti in cui basta una parola, una frase, per rovesciare l’opinione che il mondo si è fatto su una determinata persona. O per rafforzarla, a seconda dei casi. Tu devi puntare decisamente a rovesciarla. Hanno tutti dei preconcetti, su di te: se li sono fatti nel tempo e sarà difficile convincerli a cambiare idea proprio ora. Però è sicuro che non ci saranno altre occasioni: adesso o mai più. L’hai capito, no? Tutta questa gente è venuta perché ha delle aspettative. Detto in sintesi: sperano di vederti morire. Te la senti di deluderli?
Non scherzare, il momento è serio. È uno di quei frangenti da affrontare con un minimo di consapevolezza perché è come un riflettore che si accende sulla tua vita. Bisogna farsi trovare pronti. Niente di peggio che lasciarsi sorprendere con un dito nel naso o con la biancheria sporca: rischi di restare cristallizzato in quella condizione nei secoli dei secoli. Devi aver cura della tua igiene fisica e morale, svuotare i cassetti da tutta la roba compromettente. Buttare tutto. Nella spazzatura, proprio. E proprio tutto: ogni singola cassetta, rivista, oggetto, lettera, diario, qualsiasi cosa.
Bisognerebbe. Eppure non lo si fa mai, si rimanda. Per cui, quando poi succede il disastro, è sempre troppo tardi. L’ideale sarebbe pensarci per tempo, fare pulizia di frequente, cancellare la posta elettronica e i messaggi dal telefonino. Mai lasciarsi prendere dalla pigrizia, perché da un momento all’altro il grande riflettore della cronaca potrebbe illuminare la tua vita e svergognarti per sempre.
In casi del genere, lo sputtanamento assume le forme più impensate. Una perquisizione postuma da parte della polizia, per esempio: basterebbe una soffiata, una falsa segnalazione, un errore di notifica, e la tua esistenza verrebbe rivoltata come un calzino. C’è sempre qualche buco che speravi di nascondere all’interno della scarpa. Non puoi sapere quanta gente frugherà nella tua stanza, ma prova a immaginarli mentre guardano ovunque, pure dietro ai libri, sullo scaffale della saggistica.
Se anche la polizia non venisse a perquisire la casa, rimarrebbe sempre la penosa ricognizione degli eredi. Nel cassetto, in mezzo a lettere e souvenir dei momenti felici, è sempre pronto a spuntare l’oggetto indicibile, quello che mai e poi mai un estraneo avrebbe potuto immaginare. Diranno: pareva una persona così perbene, così gentile, e invece anche lui aveva le sue debolezze. Tutto il resto sarà dimenticato: da quel momento in poi, fino all’eternità, la tua memoria rimarrà associata alla vergogna, fosse anche l’unica vergogna che ti eri concesso nell’arco della vita.
Oltre al fatto in sé, morire comporta una serie di effetti collaterali. Quindi, prudenza. Meglio evitare, per esempio, di sparare cazzate in punto di morte. Conviene tenere da parte qualche bel pensiero per quando servirà; sperando di avere il tempo per rifletterci. Ma anche preparandosi prima, non è detto che poi si riesca a trovare modo di pronunciare le ultime parole famose, e di pronunciarle come si deve. In ogni caso, niente di preordinato. L’eccesso di preparazione rischia di far perdere quel minimo di spontaneità che è fondamentale per un finale di partita senza troppa retorica.
A proposito di finali e di partite: una volta ti hanno raccontato di un tizio che era un maniaco del poker. Dalla mattina alla sera non faceva altro che sbirciare cinque carte una dopo l’altra. Ma sempre, proprio in continuazione, anche quando era solo: aveva inventato il poker con tre morti, una variante in cui a giocare e a vincere era solamente lui. Insomma, quando viene il suo momento questo tizio cade in coma, e ci rimane per un mese. Poi un giorno, improvvisamente, apre gli occhi e guarda i parenti al capezzale come se fosse sorpreso di vederli lì. Li fissa, muove le labbra per dire qualcosa, e i parenti si fanno ancora più sotto per ascoltare quale ultimo messaggio ha da regalare trovandosi sulla soglia dell’aldilà, resuscitando apposta da un coma che pareva irreversibile. E lui, distillando le ultime energie, apre la bocca e dice una sola singola parola:
– Cip.
Ti rendi conto? Cip, e muore. Un’occasione del genere buttata via, l’attesa di tutto quel pubblico di parenti e amici andata delusa. O forse no, perché se adesso tu ti trovi nella situazione in cui ti trovi e perdi tempo a raccontare una storiella del genere vuol dire che quell’unica parola, cip, meritava di essere detta, meritava di essere ricordata e meritava di essere raccontata. Ancora oggi, almeno tu sei qui a riflettere su quel cip, su quello che voleva significare nel contesto dell’esistenza di quel tizio. O a quello che non voleva significare. Perché esiste anche la possibilità che mentre muori stai facendo o pensando qualcosa di assolutamente irrilevante, nell’economia complessiva della Storia dell’Umanità. Viene la morte e ti trova impreparato.
Impreparato: sarebbe bello poter pronunciare questa parola impunemente, come si faceva a scuola. Arriva la morte, tu rispondi:
– Impreparato.
E lei:
– Va bene, ma ti voglio risentire prima che finisca il quadrimestre.
Al massimo, certe volte, ti mettevano una piccola i sul registro, e ogni discussione era aperta su come interpretarla. Faceva media o no, quella i di impreparato? Mistero. Dipendeva dall’umore degli insegnanti, dalla disposizione d’animo che ciascuno di loro aveva nei tuoi confronti.
Se anche in un momento come quello che stai vivendo l’impreparazione fosse motivo di rinvio, potresti almeno guadagnare tempo. Prima della fine del quadrimestre c’è un sacco di tempo, o almeno così ti sembra quando devi scampare all’interrogazione su un argomento di cui non sai niente. Purtroppo invece no: la fine del quadrimestre e gli scrutini arrivano sempre prima di quanto tu possa immaginare.
Ecco, vedi? Se morissi in questo preciso istante, nel Registro Universale dei Pensieri Formulati in Punto di Morte, rimarrebbe scolpita in maniera indelebile questa cazzatina della i sul registro di classe. Che figura, se qualcuno andasse a controllare. Che occasione sprecata. Ma chi se ne frega? Gliene frega qualcosa, a Dio? Adesso, nella situazione in cui ti trovi, non è il momento di aprire una digressione sulla effettiva esistenza di Dio; ma sulla Sua sfera di interessi magari sì. Che ne sai? Lo possono incuriosire gli ultimi pensieri di un singolo morituro? Tutte le cose che stai pensando adesso vanno a finire registrate da qualche parte? No, perché se funziona così allora è il caso di fermarsi un attimo a pensare sul serio. Evitiamo di fare altre figure di merda. Anche perché il tuo interlocutore in questo momento non è solo l’eventuale Dio. Ci sono un sacco di persone che si aspettano da te un’uscita all’altezza di tutto il resto. Si tratta di non deluderle: arrivati a questo punto sarebbe un peccato.
Intanto però i minuti passano, e continui a divagare. Nell’ambito dell’inaccettabile spreco della tua morte, stai per sprecare anche quest’ultimo istante di fama cristallizzata che ti è concesso. Almeno potresti fare come dicono che succeda: che nell’ultimo istante ti ripassa in mente tutta la vita trascorsa. In questa evenienza qualcuno aveva individuato un’ipotesi di vita eterna. Perché nella vita che ti ripassa davanti agli occhi c’è anche quell’ultimo istante che tutti li contiene. Proprio tutti: compreso quell’ultimo istante che tutti li contiene, compreso quell’ultimo istante che tutti li contiene, compreso quell’ultimo istante, eccetera, eccetera. Se non ti sbagli, dev’essere stato Borges. Ecco: nella circostanza potresti sfoderare una citazione di Borges, che fa sempre un certo effetto. Ma le persone che hai davanti non sanno nemmeno chi è, Borges. Nel contesto, sarebbe uno spreco. Ancora uno spreco.
È triste che tutte le persone attorno a te in un momento del genere siano tanto ignoranti. Non sono all’altezza di assistere allo spettacolo che stai per offrire loro. Purtroppo ognuno ha il pubblico che si ritrova, e nemmeno tu te lo sei potuto scegliere. Ce l’hai e te lo devi tenere. Però ammettilo: nel bene e nel male, te lo sei meritato, un pubblico così. Sono le persone che hanno seguito l’ultima parabola della tua esistenza così come l’hai voluta costruire tu, secondo i tuoi criteri. Alcuni ti hanno seguito fedelmente per ore, giorni, settimane, mesi; per anni, addirittura. Chi più chi meno, sono gli stessi che hanno creduto in te. Solo che ora ti si sono rivoltati contro. Tu non sei cambiato, ma loro sì. Molte di queste persone hanno scoperto che le avevi ingannate, e hanno gettato la maschera dell’amicizia, della stima, del rispetto che ti avevano tributato fino a ieri. Questo ti pare veramente assurdo, perché invece fra ieri e oggi tu non sei cambiato. Assolutamente no. Per l’intero arco della tua vita sei rimasto sempre fedele allo stesso personaggio.
In fondo, però, puoi ancora sfruttare la loro ignoranza. Non è necessario che stia lì a spiegare chi era e chi non era Borges, sempre ammesso che la citazione gli appartenga davvero. Non ne avresti nemmeno la possibilità, del resto. Fregatene, come te ne sei sempre fregato. Fai pure finta che sia roba tua, questa storia di tutta la vita che ritorna a scorrere nell’ultimo istante, e così all’infinito. Ti hanno creduto sempre, vuoi che non ti credano proprio adesso? È solo un piccolo sforzo. Chi avrebbe il coraggio di mentire, nelle condizioni in cui ti trovi?
E prima ancora, scusa tanto: chi l’ha detto che tu debba morire sul serio?
Come anticipato nel post, Roberto Alajmo parteciperà alla discussione.
Vi invito a porgli domande: sul libro, ma anche in generale (sulla sua attività di scrittore, ecc.)
Vi ripropongo le domande del post…
Vi è mai capitato di riconoscere in voi stessi comportamenti autolesionisti al punto da sentirvi… affogare?
Cosa significa esser perdenti nel nuovo millennio?
Il perdente dei nostri tempi equivale al perdente del secolo scorso, dei secoli scorsi?
È cambiato qualcosa, o – dopotutto – l’uomo è sempre uguale a se stesso di fronte ai propri fallimenti?
A Roberto pongo subito alcune domande…
Ho parlato di tuo personale “ciclo dei vinti”.
Ecco, da dove nasce questo tuo interesse per la figura dei vinti, dei perdenti?
(segue)
Trovi che nelle tue storie – e nella tua scrittura – ci sia un’ascendenza particolare?
Quali sono i tuoi punti di riferimento letterari? (se ce ne sono)
Come ti organizzi per scrivere?
Ci sono orari particolari che prediligi (e in cui ritieni di rendere meglio)?
Raccontaci come è nato questo nuovo romanzo…
Ci sono aneddoti particolari legati ad esso?
Per il momento chiudo qui (augurandovi buonanotte).
L’interesse nei confronti di chi perde non credo che sia una mia caratterisctica personale. La sconfitta è molto più interessante, letterariamente parlando, della banale vittoria. Lo dico da interista che nelle ultime vittoriose stagioni comincia ad annoiarsi un po’.
Per quanto riguarda le ascendenze, ti dico un solo nome: Leonardo Sciascia. E’ sulle sue spalle che sono montato, pur essendo molto diverso da lui.
Infine, per quanto riguarda l’ora più fertile: date un’occhiata all’orario di inserimento di questo post…
@Alajmo. Interista!!! Finalmente uno scrittore vero. Mi chiedo cosa possa dare alla letteratura un romanista o un laziale. Se poi, oltre ad essere interista, ama anche Sciascia, ci sono tutti gli ingrdienti per un bel dibattito
@Massi,
credo che essere perdenti nel nuovo millennio voglia dire voler vincere a tutti i costi. Incidersi di segnali riconoscibili, auto, abiti, appartamenti, bellezza, che dicano: ce l’ho fatta. Che suggeriscano agli altri un appagamento, un compimento di vita soddisfatta.
Alagna, l’impresario del romanzo di Roberto, è carico di questi simboli. Di questi orpelli di un mondo che non sa guardare dentro, ma solo fuori se stesso.
E la disfatta si compie da sè. E’ già in quell’idea di vittoria, tradita dalla vera essenza dell’uomo.
Per questo il “matto affogato” è una delle mosse più umilinati, una delle sconfitte più brucianti. Perchè non sono gli altri a infliggertela.
Perchè cova tra le maglie della nostra vita e viene alimentata proprio da noi.Con fragilità, forse,ma anche con ostinazione, orgoglio.
Persino indifferenza.
@Roberto e a tutti: Buone vacanze!Io sto per partire!
Credo che tutte le grandi partite, quelle che vedo intorno a me, siano alla base tutte “partite truccate”, basate su grandissimi bluff. In politica, in economia, nel lavoro. Assomigliano più al poker che agli scacchi. Ma quello che è triste è che a mio parere, in una società quale quella odierna basata più sulle apparenze che sulla sostanza, i vincenti sono proprio loro, i grandi bluffatori, coloro che giocano sporco, che aggirano le regole, quelli che si dopano. I perdenti sono quelli che non riescono a reggere il bluff, che si fanno scoprire, che non riescono a costruirsi un bluff ancora più grande di fronte al pericolo di essere smascherati; o che a un certo punto abbandonano, perchè non ce la fanno più a reggere in un vortice che si gonfia come un ciclone, e che richiede loro sempre maggiore coinvolgimento.
Non ho simpatia nè per gli uni nè per gli altri: semplicemente non mi piace questo tipo di gioco, e mi interessa di più quel lato dell’umanità che cerca di sopravvivere fuori dalla partita, gli spettatori: ma non i tifosi, quelli che ingurgitano di tutto purchè la loro squadra vinca, ma quelli annoiati come me da uno spettacolo indecente e che vorrebbero vedere partite dalle regole più chiare e giocatori corretti.
cominciamo subito con una bella “scazzottata”, più che altro con Zappulla. Non vedo, infatti, come un interista possa studiare il ruolo del perdente visto che i recenti scudetti gli sono piovuti dal cielo oppure (come l’ultimo) conquistati grazie a calci di rigore concessi per falli commessi negli spogliatoi. tanto per chiarire. poi passeremo al romanzo. E vai maggica!
🙂
Per Roberto Alajmo.
Non ho ancora letto i suoi libri. Con quale mi consiglia di cominciare? Qual è il migliore, secondo lei?
In prima istanza la domanda di Maugeri m’era parsa banale. Poi, riflettendoci, l’ho trovata sottile, di quelle che ti fanno pensare.
Sono d’accordo con il commento di Simona Lo Iacono. Il perdente di oggi è diverso da quello dei nostri avi. Oggi, se non sei un vincente diventi automaticamente perdente. E’ per via dei modelli che ci impongono. Tragico, ma è così.
domanda per roberto alajmo. lei scrive romanzi e saggi. ma si sente più romanziere o saggista?
@ Maugeri “Vi è mai capitato di riconoscere in voi stessi comportamenti autolesionisti al punto da sentirvi… affogare?”
Il giorno in cui mi sono sposato. Quando ho stretto il nodo della cravatta, ho capito che stavo firmando la mia condanna.
@Ste: mi metti in difficoltà. Consigliare un libro a una persona sconosciuta è difficile. Bisogna sapere che lettore hai di fronte. Se mi costringi a questa scelta di Sophie, ti dico di leggere uno che non puoi leggere, perchè è esaurito: “Notizia del disastro”.
@Marina: altra domanda insidiosa. Più passa il tempo più mi piace esplorare la linea di confine che c’è fra narrazione pura e saggistica. I miei racconti sempre più spesso sono dei ragionamenti intorno alle storie. Nel caso del Matto Affogato, mi interessava la trama romanzesca, ma anche il ritatto sociologico.
Grazie. Comincerò con “Notizia del disatro”. Però non è vero che è esaurito. Ibs lo manda in tre giorni con sconto del 50% sul prezzo di copertina. Lo prenderò.
http://www.ibs.it/code/9788811660057/alajmo-roberto/notizia-del-disastro.html
Mentre ci sono prendo anche il matto affogato.
Ma si può leggere da solo, oppure è meglio partire dagli altri due?
Se non si potesse leggere da solo lo avrei pubblicato assieme agli altri. Grazie della fiducia e… fammi sapere
@ Ste:
non iniziare, però leggo che ormai ti sei organizzata/o (ste=?), da Cuore di madre! Non leggerlo come suo primo lavoro perchè rischieresti quello che è successo a me: una paralisi emotiva. E’ vero, quello che sta scritto sopra, i libri di Alajmo sono facili da mangiare e difficili da digerire. Cuore di madre mi colpì allo stomaco in modo violento, come un “vecchio” film degli anni settanta: Un borghese piccolo piccolo, di Mario Monicelli. Scrittura veloce, perfetta nella forma, ma la costruzione dei personaggi e della trama è insidiosa e diabolica. Ssssssentivo il serpente sssssibilarmi nelle orecchie e mentre mi avvicinavo al finale, speravo, pregavo per un esito diverso da quello che stavo ipotizzando…
Riconoscere in uno stile quello che cupamente avvertiamo, ogni giorno dalla realtà è come passeggiare in una via lastricata di specchi. crudelmente imbarazzante.
Roberto Alajmo è bravo, ma io non so se lo leggerò ancora.
🙂
Io adoro i libri che colpiscono allo stomaco in modo violento, anche perché ho lo stomaco di ferro. Non mi ero organizzato (Ste=Stefano) da Cuore di madre. Ma ora non potrò fare a meno di cominciare da lì. Grazie per la dritta, Miriam Ravaso.
[Non so fare la faccia gialla che sorride. Ma come se ci fosse]
Concordo con Zappulla: mi sono accorta di star facendo un errore madornale di cui mi sarei pentita nel momento in cui, dovendo scegliere se lasciare il mio fidanzato o sposarlo, l’ho sposato. Ci ho messo poi sette anni per tornare a galla!
@Costantini. Beata te. Io non riesco più a emergere
Miriam, io questi li considero complimenti…
Bel post. Domande da pugno nello stomaco. Purtroppo vivere è nuotare sempre, sempre, contro le correnti contro le secche contro le bonacce contro le tempeste. Contro. Contro l’illusione della linea del vento dietro cui non c’è la terra tanto desiderata ma acqua acqua ancora acqua. Contro le isole in cui credi che ti fermerai vivendoci felice e che invece di notte sprofondano come Atlantide. Contro i pirati che battono bandiera amica. Per non affogare.
Un caro saluto a Roberto Alajmo… seguo il tuo blog e lo leggo sempre anche se non intervengo spesso. Riflessioni acute amare. Intelligenti sempre.
Salvo, coraggio.
Io sono come Elizabeth Bennet: solo il vero amore potrebbe indurmi al matrimonio. Ma il vero amore è come la linea del vento.
I vinti sono un classico della letteratura. Dall’Ottocento specialmente, con l’avvento dell’età industriale con i suoi splendori e le sue miserie, le sue ilusorie promesse di magnifiche sorti e progressive che si lasciavano dietro come la bava delle lumache il sangue di chi non ce l’aveva fatta, dei perdenti, dei falliti, dei vinti. Zola Balzac Verga docent. E chi è Emma Bovary se non una perdente, una vinta che avrebbe voluto trionfare, ricca amata desiderata, che perde tutto quello che ha – marito figlia rispettabilità – ?
Oggi perde chi non stravince, chi non gioca a fotticompagno, chi non esibisce, chi non ce l’ha duro, chi è onesto paga le tasse crede nella cultura nella patria nell’amore in un valore chi crede che magari ci sia un Dio, un Dio anche lui perdente perché è finito appeso a una croce senza fare la divinità superstar…
per roberto alajmo.
ma in questo momento sta scrivendo un romanzo o un saggio?
@marina: è una cosa che sta in mezzo fra romanzo e saggio. Racconto una storia vera arrovellandomi su certi spunti che emergono: la vita, la morte, il destino, la borghesia italiana.
e finiscila di darmi del lei
Ringrazio tutti per i vostri commenti. E Roberto Alajmo per essere intervenuto.
Intervengo al volo, poi tornerò a connettermi stasera…
@ Simona
Anch’io concordo con la tua opinione poi ribadita da altri (tra cui, mi pare, Maria Lucia).
Il voler vincere a tutti i costi…
Già.
Chi non vince è conseguentemente uno sconfitto.
Forse le mie di mezzo, le tonalità di grigio, tempo fa erano più consistenti.
Tu che ne pensi, Roberto?
Però lo sconfitto tratteggiato nel nuovo romanzo di Roberto (Giovanni Alagna) è uno sconfitto con la esse maiscola. Perché credeva di essere un vincente fino a poco prima della mossa finale. Prima di affogare.
Anche secondo me il commento di Miriam è da intendersi come un complimento.
La letteratura deve colpire. Quella che colpisce duro è la più incisiva.
Il peggior giudizio che si possa dare a un libro è che lascia indifferenti (non c’è alcun riferimento moraviano in questa frase).
Su Alajmo interista…
Ricordo un tuo articolo molto duro e senza sconti, caro Roberto, sulla gestione Moratti pre-vittoriosa. Credo che fu pubblicato nel 2006 su “Giudizio Universale”. Ricordo bene?
Oggi cosa scriveresti sull’Inter post- Mancini?
—
(vado fuori argomento, lo so)
Adesso devo chiudere.
Un saluto e un ringraziamento a tutti. E buona vacanza a Simona (non ci abbandonare per troppo tempo, eh?).
—
A stasera!
Anche a me mancherà molto Simona, in questa discussione.
Quanto alle tonalità di grigio fra vincitori e vinti, è vero: non ci sono più molti “pareggianti”. Forse perchè prima un punticino era sempre la metà dei due che spettavano per la vittoria, e adesso sono un terzo di tre.
Ve’ che metafore che mi vengono…
Roberto Alajmo si incunea nel solco della grande tradizione letteraria dell’isola. Le sue storie minimaliste hanno il respiro dell’universalità e sono intrise di quella sottile ironia che in filigrana mostrano il grande amore per questa nostra sciagurata terra.
Dotato di grande curiosità (dotye indispensabile ritengo per uno scrittore) che va oltre l’estemporaneità dell’evento giornalista, Roberto scava nelle pieghe dell’umano sentire per indagare sulle conseguenze che l’evento lascia in chi, in un modo o nell’altro, ne viene coinvolto: vedi Notizie dal disastro.
Ho avuto il piacere di pranzare con lui nel corso di un incontro letterario (con noi c’erano altri due scrittori, sardi, Flavio Soriga e Luciano Marrocu) e in quell’occasione Roberto ci deliziò con la incredibili peripezie dell’urna cineraria di Pirandello. Ne ha anche ricavato un monologo a riprova della sua grandezza e duttilità stilistica.
Ovviamente nessuno è perfetto ed infatti Roberto… è interista.
Ps Per iniziare Cuore di madre va benissimo. Gran libro.
PSS Un saluto all’altro impiccato matrimoniale, il grande Salvo Zappulal da Sortino e a Massimo Maugeri, animatore del blog, ed ovviamente al mio omonimo.
@ Alajmo:
certamente! E visto che ormai (da quel Cuore di madre) è passato abbastanza tempo, penso che presto leggerò anche La mossa del matto affogato!
🙂
Be’… Roberto… magari Simona prima di salpare riuscirà a fare un ulteriore passaggio qui.
Brava, Miriam.
“La mossa del matto affogato” è un ottimo libro. Fai bene a leggerlo. Ma colpisce duro anche questo…
Sei avvertita!
🙂
Un saluto all’amico Roberto Mistretta.
Conosco benissimo le performance teatral-narrative (o narratorie) del tuo omonimo. L’ho seguito più di una volta.
Divertenti anche gli aneddoti che racconta a pranzo o a cena tra un boccone e l’altro.
Dovresti farti raccontare di un certo volo in territorio peruviano…
@ Roberto Alajmo
Roberto, com’è nata l’idea di questo libro?
E quanto tempo hai impiegato, complessivamente, a scriverlo?
Per il momento chiudo qui.
Auguro buonanotte a tutti.
A mio avviso la discriminante tra il perdente e il nonperdente (perchè proprio non me la sento di chiamare in causa il vincente, che non c’è più come concetto nella nostra cultura) non è tanto l’esito della vita quanto la coscienza o meno del proprio fallimento.
Io direi che il perdente è colui che sa di esserlo, che ne ha preso coscienza, e in tal modo ha almeno vinto un inizio di battaglia. Il nonperdente è colui che (beata la sua ignoranza) ancora non sa del suo fallimento.
Per il resto direi di osservare un pò di dati e di parlare con un pò di gente. I matrimoni che arrivano a invecchiare sono veramente sempre più rari. I divorzi sono all’ordine del giorno. Attività imprenditoriali nascono e muoiono nel migliore dei casi, altrimenti neanche nascono. Il lavoro è sempre più precario. Direi che il concetto di fallimento è ormai all’ordine del giorno per tutti.
Quanti si possono dire felici? Riusciti? Io ogni tanto parlo, intimamente, con qualche donna. Amica o sconosciuta che sia, mi capita. E una cosa l’ho capita. La maggior parte delle mogli non sa nemmeno perchè ha sposato il marito. Ci va a letto perchè deve. I mariti pur in altri sensi uguale.
Direi che il fallimento oggi è solo la presa di coscienza del fallimento.
Per quanto riguarda i comportamenti autolesionistici direi che uno fra tutti ci accomuna. Siamo soliti, come essere umani, ad inserirci in realtà che non ci aggradano… ma una volta dentro ci facciamo trasportare dalla corrente…. pur amara e dolorosa… e se non è autolesionismo questo… purtroppo però è una malattia che ci colpisce tutti….
Alessandro Canzian
I comportamenti autolesionisti possono essere involontari (e quindi dovuti magari all’imprudenza) oppure volontari. Prediligo i secondi, perché conservano il concetto di scelta razionale, anche se discutibile. Se poi sono abbinati alla lucidità di essere pronti a subirne le conseguenze, meglio ancora.
Quanto al perdente, poi, normalmente la discriminante è la sconfitta. Per esempio, il generale Custer che muore attaccato alla bandiera del reggimento mentre spara l’ultico colpo di Colt contro le centinaia di indiani è un perdente o un vincente?
Un vincente “classico” potrebbe essere Sandokan. Ma un vincente che arriva al successo con imbrogli, corruzione, connivenze e raccomandazioni, piace davvero più di un perdente?
Le domande e i ragionamenti sopra esposti sono essenzialmente per Massimo Maugeri, nella speranza che la smetta di appiopparci quesiti esistenziali e poi darsela a gambe.
🙂
@Alessandro Canzian
Interessante la tua, sulla quale desidero fare alcune osservazioni.
La vita è fatta di alternanze, cioè tutti possiamo vincere e perdere, uguale se ne siamo coscienti o no.
Vincere significa arrivare al fine proposto o anche inaspettatamente, mentre, perdere significa che il momento non era propizio o che abbiamo fatto errori e che è tempo di esaminarli e rimediare, perché la vita va avanti e noi con lei.
Con la coscienza la intendo diversamente. La coscienza, come la intendo io, è intransigente, e davanti a lei siamo più spesso dei perdenti.
Il senso di poter anche perdere ridimensiona i nostri propositi, spingendoci a riflettere di più, ridimensiona anche i nostri difetti, come presuntuosità, rendendoci più moderati e riflettenti. È giusto che si perda come che si vinca, dal loro alternarsi riconosciamo l’utilità di coltivare buoni rapporti con il prossimo, perché ognuno ne ha bisogno, così che possiamo completarci ed armonizzarci.
Chi vive per sé, credo che voglia solo vincere e sarà indotto ad usare ogni mezzo per riuscirci, e solo dopo, quando si accorgerà di essersi messo nei guai, tenderà a comprarsi gli aiuti di cui necessiterà.
Io credo, che per prima cosa ci si sposi per sfogare degli stimoli, e non solo sessuali.
Questo è il motivo per cui le coppie oggi non tengono. Stimoli, come costruire un’unione affinché il nostro agire in questa vita continui nei figli, non valgono per il semplice motivo che non si crede più in niente di sano e costruttivo.
L’individuo, oggi, è troppo razionale ed affarista, quindi legato al proprio interesse personale, come se dovesse vivere questa vita eternamente.
Eppure gli affaristi riescono a fare soldi solo quando non abbiano troppa concorrenza, o quando riescano a comprarsi gli affari, fatto che si riscontra giornalmente.
Abbiamo tutti, bisogno di lavorare per altri motivi e non solo per fare soldi che poi non ci sono.
Saluti.
Lorenzo
Il libro l’ho scritto in due anni, di lavoro discontinuo.
La scintilla primigenia nasce da una coincidenza: la lettura del bellissimo romanzo “L’avversario” di Emmanuel Carrere, e una chiacchierata con Remo Bassetti, che mi raccontava di un suo conoscente che viveva facendosi prestare soldi dagli amici, soldi che sistematicamente non restituiva.
Ho pensato: ma questa è l’incarnazione contemporanea del mito di Don Giovanni. Da qui…
Caffè pagato per Roberto Mistretta
Nel corso dei millenni non credo sia cambiato molto tra la figura esteriore ed interiore dello sconfitto. Certamente la società si é “evoluta”, almeno tecnologicamente e scientificamente, tuttavia la razza umana ha conservato le proprie abitudini più istintive, e sono quelle che ci portano a vivere la vita in termini di “vincente” o “perdente”.
aah, che brutto commento.
Tra un bagaglio e l’altro, tra una telefonata di saluti e un salto dal parrucchiere, commissioni, liste di cose da non dimenticare e documenti da infilare nella borsa….
mi concedo un ultimo colpo di …scacchi…
solo per dire che l’accostamento tra il gioco e la vita, tra l’essere giocatori e al tempo stesso pedine di un intero sistema , di una scacchiera immaginaria e forse metaforicamente divisa tra bene e male (bianco e nero), costituisce un’intuizione davvero suggestiva e geniale.
I capitoli si snodano mossa dopo mosa, e via via che incalzano, accerchiano il re, pur avendo lo stesso colore. Pur essendo la sua squadra.
Ecco.
Quante volte anche noi. Quante volte in bilico ta bianco e nero. Tra ondeggio delle pedine e mosse da esperti giocatori.
Doppi e uni, questo siamo.
Roberto scolpisce un mondo, non solo un’esperienza. E un intrico di caselle, non solo di vite.
La sua domanda non è neanche perchè. Ma quando. Quando la fortuna ha sviato, quando il destino ha cambiato rotta, quando il vento ci si è incavato contro.
Ognuno di noi , credo, ha il suo “quando”. Ognuno può cercarlo per salvare, forse, il “dopo”.
Il “dopo” di Alagna è uno scacco al re.
Ma non è detto che debba andare sempre così…
Buona lettura e buone vacanze!
Caro Dottor Maugeri,
L’essere perdenti…
*
Uno dei modi di essere ‘perdenti’ può essere, a mio avviso, quello di svolgere un ruolo di appoggio al potere per cui, il prestigio cesserà di valere in tutti i sensi non appena saranno attenuati i motivi contingenti che l’hanno mosso ed obbligato.
Oggi più che mai, senza una retribuzione adeguata, molte possibilità della vita rimangono lettera morta. Da qui ne consegue che il pressante desiderio di evadere dalla monotonia di un’esistenza troppo comune, il sogno di poter avere un grande destino, l’illusione di poter lasciare una traccia della propria presenza nel mondo, possa indurre a vivere al di sopra delle proprie possibilità, sistema di vita che, prima o poi, mette in contatto con un impietoso realismo.
Infine, colui che si lascia troppo condizionare dai media è già un perdente. Spesso, senza accorgersene, usa lo stesso loro linguaggio.
Con stima
Maria Luisa Papini Pedroni
Caro Massimo,
mi faccio vivo dopo un silenzio dovuto al troppo lavoro. Non ho letto ancora il libro di Alajmo e quindi posso solo intervenire in modo generico. Mi pare che il tema del fallimento sia centrale nella società moderna e cosiddetta postmoderna. Quello che oggi mi sembra diverso, in una categoria -il fallimento- eterna, è il modo in cui noi ci rapportiamo a esso. La scoperta dell’inconscio ha fatto sì che noi spostassimo la nostra attenzione dal fuori (il giudizio degli altri e la regola morale determinata dall’esterno) al dentro (la nostra percezione del fallimento). Dove un tempo il fallimento comportava l’essere esposti alla vergogna (le “società di vergogna” di cui parla Dodds) ora invece esso è legato alla percezione di non essere stati in grado di esprimere se stessi. Questo da un lato è legato alla consapevolezza che esiste un dovere verso noi stessi (il processo individuativo di cui parla Jung) ma cì fa correre il rischio di sottovalutare le nostre responsabilità sociali, donando al fallimento l’alone maledetto e romantico del beatiful loser alla Fitzgerald. E’ una bella forchetta tra consapevolezza e responsabilità.
Alessandro Defilippi
complimenti per il dibattito. il tema dello “sconfitto”, del “perdente” è sempre attuale. lo diventa ancora di più in una società competitiva come la nostra. auguri a roberto alajmo per il suo nuovo libro
A Lorenzo, ringrazio per la risposta. In effetti il criterio economico oggi impera e nella macrosocietà (credo ormai sia assodato che le guerre vengono fuori, oggi più di prima, per interessi economici piuttosto che per interessi politici o religiosi) e nella microsocietà (a partire dal rapporto con se stessi). Però è anche vero che ne siamo criticamente coscienti. Sappiamo che siamo così e lo consideriamo sbagliato. Ma non per questo ci consideriamo perdenti. Faccio un esempio che forse non c’entra molto ma per associazione di idee mi porta a vederne un’affinità. Erich Fromm nel suo vecchio “Avere o essere?” sottolinea quanto l’istituzionalizzazione, la normalizzazione diciamo, dell’uso della sigaretta, sia un chiaro indice della soppressione del nostro istinto di sopravvivenza. Sappiamo che la sigaretta ci uccide, la fumiamo lo stesso. Così con il criterio economico. Sappiamo che non ci basterà. Lo seguiamo lo stesso. Il problema, ripeto, a mio avviso è la coscienza della cosa. La sua presa d’atto. E ripeto la cosa per collegarmi all’intervento di Maria Luisa Papini Pedroni con la quale non mi trovo in pieno accordo, pur rispettando tantissimo l’intelligenza del commento. Questo perchè il riferirsi al fallimento in relazione alla retribuzione non adeguata che blocca le strade (la domanda che mi viene è questa: e prima? quando anche la cultura era appannaggio di pochi? Quanti Leonardo abbiamo perduto per strada?) e riferirsi al fallimento in relazione all’omologazione o alla globalizzazione dettata dai mass media, mi pare un pò retorico. è natura umana seguire il branco, sia esso un gruppo in sommossa a Milano o un televisore. Io direi che tutto questo è purtroppo una normalità costante, ormai ininfluente. Che forse diventa importante nel momento in cui ha influenze serie nella realtà. Ma continuo a pensare che il vero (e forse anche brillante) fallimento sia quello di Pavese quando vede i morti di ambedue le parti in guerra, e si rende conto che sono tutti uomini. Uguali. Esempio estremizzato, certo, ma è in qualche modo forma della nostra quotidianità. Anche noi figurativamente lasciamo, o siamo lasciati, morti sulla strada. Come forse Giovanni Alagna, per ricollegarsi al motivo portante di questa discussione.
Alessandro Canzian
Vincente o perdente? Sarebbe facile dire che e’ vincente chi resta fedele a se stesso, anche se questa coerenza poi lo porta a essere sconfitto sul campo. E’ una riflessione che mi si presenta urgente tutti i santi giorni, sul lavoro e fuori. Diciamo che mi viene naturale essere coerente con me stessa, quindi vinco facile nella mia personalissima ottica. Ma perdo sempre nel confronto con gli altri che perseguono obiettivi ben piu’ tangibili, immediati e utili.
Laura
Mi intrometto per rispondere ad Alessandro Canzian rispetto al discorso su Fromm. Vero che noi abbiamo una serie di atteggiamenti autolesionistici ma credo siano dovuti al fatto che il nostro comportamento è plurideterminato. Fumiamo pur sapendo che è pericoloso perchè ci sono molti altri motivi a spingerci, dal piacere alla suggestione. Tradiamo, aggrediamo, mentiamo allo stesso modo. Il punto credo sia la complessità, che spesso impedisce di interpretare un comportamento, permettendoci solo di descriverlo quantitativamente. Allo stesso modo talvolta operiamo per il nostro fallimento.
Riguardo le ultime righe, su Pavese e sul nostro essere lasciati morti lungo la strada, sono d’accordo; ma forse, in questo caso, più che di falllimento non dovremmo parlare di accettazione? Accettazione della nostra pochezza, accettazione dei confini, che ci può condurre forse a una maggiore compassione e al sentirci più parte della vita. Credo che dovremmo riflettere sul rapporto tra il fallimento e la cultura dell’Eroe, quindi sul nostro paradossale non essere mai del tutto ueciti dal Romanticismo.
Gentile De Filippi, “Riguardo le ultime righe, su Pavese e sul nostro essere lasciati morti lungo la strada, sono d’accordo; ma forse, in questo caso, più che di falllimento non dovremmo parlare di accettazione?”. In effetti ha detto meglio di me quanto cercavo goffamente di affermare. Grazie. L’accettazione e il fallimento come la stessa realtà. C’è fallimento in cui si prende atto della realtà. La realtà “fallita” è un dato imprescindibile. Ma siamo falliti solo quando ce ne rendiamo conto. Vedi ad esempio ciò che porta avanti Masters nella sua Antologia. Provo a dirla in altre parole, sperando di non confondere ancora di più. Perdonerete. Siamo tutti oggettivamente falliti. Io, che sono un signor nessuno, lei, il Pininfarina che è appena morto, l’Agnelli morto anni fa pieno di soldi ma con una famiglia disgregata all’eccesso e piena di tumori, come lui stesso, il politico di peso di oggi, tutti siamo oggettivamente falliti. Lo siamo soggettivamente, o meglio lo dichiariamo, quando ne prendiamo atto. Se accettiamo questa premessa dobbiamo però porgerci la seguente domanda: : il fallire, il capirsi perdenti, è realmente una cosa negativa o in qualche modo è una cosa positiva perchè ci porta a contatto con la nostra umanità? Non ho ancora letto il libro in questione, “La mossa del matto affogato”, ma vorrei permettermi di porgere la domanda a Roberto Alajmo: “Alagna, quando alla fine affoga, quando perde, il suo bilancio umano è positivo o negativo?”
Alessandro Canzian
Gentile Canzian,
credo che lei abbia detto benissimo. Il fallimento è precisamente la presa di contatto con la nostra umanità. Diceva Carotenuto, psicoanalista junghiano discutibile ma di grandi intuizioni, che un buon terapeuta dovrebbe avere una ferita perchè la ferita è anche la feritoria attraverso la quale si vedono (e non solo si guardano, aggiungerei) gli altri. Questo vale per chi fa un mestiere di aiuto, ma credo dovrebbe valere per tutti. Diffido sempre, come credo anche lei, di coloro che non sono feriti. Aggiungerei ancora, a memoria, una citazione di Jung: “Devo essere là [parla di sè come terapeuta] quando i miei pazienti scoprono che cosa li sostiene quando non c’è più nulla a sostenerli”. E’ l’esperienza del naufragio.
@alessandro: il mio è un perdente che cade dall’alto, perchè a lungo è stato un vincente. Il suo bilancio è tanto più disastroso, quindi.
Ma vorrei fare una domanda io a voi. Una domanda che ci riporta al libro, anche se in un certo senso devia i discorsi fatti finora.
La domanda è: qualcuno di voi sulla stampa nazionale ha visto qualche recensione di questo romanzo?
Perchè, esiste ancora qualcuno che legge le recensioni sui quotidiani nazionali?
@Alajmo. Sei stato recensito da Simona Lo Iacono su “La voce dell’isola”. Avere una recensione dalla nostra Simo è un onore che tocca solo ai grandi scrittori, credimi.
@Alajmo.
Capisco bene la domanda. Io pubblico presso una casa piccola, la Passigli, e le recensioni sono spesso legate solo ai miei rapporti personali. Mi domando se con una casa maggiore sarebbe diverso ma non ne sono del tutto certo. Esistono case che curano molto i loro autori, come Guanda, altre che non ne hanno la possiblità, altre ancora che lavorano comunque sui grossi numeri ma che lasciano l’autore al suo destino. Personalmente credo che la Rete sia oggi uno strumento migliore e sono contento quando vedo i miei libri recensiti sui siti o sui blog. Come dice Marco, pochi leggono la cultura delle testate nazionali e spesso a leggerla siamo un po’ autoreferenziali. Io leggo te e tu leggi me. Intendo dire che è comunque una situazione un po’ asfittica. Ti faccio i miei migliori auguri, comunque.
Alessandro
Anche un’altra scrittrice che pubblica con Mondadori lamentava lo stesso problema: Ufficio stampa e Ufficio vendite sono scollegati. Le recensioni sono frutto dei rapporti personali degli autori con i vari giornalisti. Però non sono d’accordo che la rete sia uno strumento migliore, la carta stampata mantiene ancora il suo prestigio e le grandi firme scrivono sui giornali. Anche in rete si ci arriva per le amicizie che si hanno.
Ringrazio tutti per i nuovi interventi.
Un saluto speciale a Alessandro Defilippi: psicanalista, scrittore, nonché giornalista culturale (collabora con varie testate, tra cui “La Stampa / Tuttolibri”.
Un ringraziamento specialissimo a Simona che è riuscita a intervenire in mezzo al caos delle valigie da sistemare.
Buona crociera, Simo!
Roberto Alajmo dice, riferendosi al personaggio Alagna: “il mio è un perdente che cade dall’alto, perchè a lungo è stato un vincente. Il suo bilancio è tanto più disastroso, quindi”.
—
Sei sicuro, Roberto, che Alagna è stato a lungo un vincente?
Mi domando (e ti domando): è stato davvero un vincente o ha avuto l’illusione di esserlo?
(e qui potremmo ricollegarci al dibattito generale).
Riguardo alle recensione sui giornali…
Io credo che dibattiti come questo – tutto sommato – possano essere più utili.
Chi legge una recensione qui, ha la possibilità di dire la sua, di relazionarsi con l’autore. E, dunque, capirne di più.
E comunque, in generale, una recensione (a prescindere dalla firma) è sempre frutto di un punto di vista soggettivo.
Dunque opinabile.
Penso pure che il mito dei grandi critici che scrivono su noti Magazine nazionali, e che fanno vendere decine di migliaia di copie, si sia di molto sgonfiato.
Altra domanda per Roberto Alajmo.
Secondo te, qual è il libro più “duro” della tua trilogia?
A stasera!
@Alessandro Canzian e gli altri interessati
Comunismo- capitalismo, è possibile una scelta, e fino a quando il nostro rapporto con un Dio possa influenzarlo?
Sono due modi di governare la società moderna. Il primo cerca di conservare l’unità della società a scapito dei bisogni fondamentali dell’individuo, che deve riconoscere prima se stesso per poter, dopo e forse, decidere di identificarsi e trasferirsi completamente nella pluralità della massa.
È impossibile far una scelta definitiva e a priori, perché il momento delle rivelazioni personali non coincide quasi mai con quelle degli altri membri di un gruppo ed infine di un popolo intero.
Decisioni unitarie di massa sorgono solo nei momenti di sconvolgimento popolare generato da un sistema precedente nel quale i membri della massa non erano considerati e valorizzati sufficientemente.
Da questo riscontro, ne risulta che i due sistemi si alternano e si alimentano reciprocamente, sia nel ricevere la giustificazione, sia il rifiuto ed infine la condanna.
L’uomo fa fatica a progredire, questo è certo, altrimenti avrebbe già creato il suo paradiso in terra in concordanza con tutti i suoi simili.
È giusto, citare qui la Bibbia, quando definisce la nostra condizione, una condanna?
Analizzando lo svolgimento della storia umana, non si percepisce un gran senso di progresso fino ad oggi; al più un alternarsi di manifestazioni seguenti il principio delle cause ed effetti, come se un qualcuno avesse creato un gioco, la cui regola principale sia quella di non finire mai, perlomeno fino al momento deciso da lui stesso.
Dato che abbiamo una forma di libertà che ci permette di mutare una situazione sfavorevole in una migliore, faremmo sempre bene ad usarla più spesso, invece che combatterci per scopi e fini decisi fuori di noi.
La volontà, unita con l’intelligenza, ci rende esseri già migliori e capaci di migliorare ancora, come se questo qualcuno lo abbia voluto ed aspetti con pazienza che lo raggiungiamo.
Che questo qualcuno si sia addirittura personificato in noi per provare diletto al suo gioco, non immaginando di aver creato un gran pasticcio a scapito di miliardi di esseri che stupidamente si ricreano e lo servono senza pretendere una ricompensa?
La ricompensa ci sarà, racconta il vangelo: i buoni saranno premiati e i cattivi puniti, ma solo quando lui stesso avrà deciso di finire il suo gioco; da qui deduco che con il premiare o punire le sue creature provi diletto e rivendicazione.
Il qualcuno e noi tutti siamo allora identici, viviamo allora questa vita non realmente ma solo per gioco, nonostante le sofferenze e le ingiustizie che sopportiamo; ma gioco è gioco e qui non sta a noi di decidere, all’infuori che capissimo che la sua intelligenza è un po’ anche la nostra e lo ripagassimo di ogni male che ci ha inflitto boicottandolo ed ignorandolo.
Allora sì, che ci eleveremmo a esseri superiori, capaci di inventare un altro gioco nel quale lasciare tribolare e soffrire altri esseri, così come fa questo qualcuno con noi.
Non sarebbe però giusto; operando alla stessa maniera, non miglioreremmo la nostra situazione, e rimarremmo ancora nelle costrizioni del gioco perverso deciso da questo qualcuno, con il risultato di identificarci tutti in lui e provare di seguito sempre e maggiormente lo stimolo della rivendicazione e distruzione. Temo anche che l’ignorarlo o boicottarlo comporti un riverso su di noi, seguendo il ragionamento che saremmo un suo sdoppiamento di personalità, situazione che noi definiamo schizofrenia.
Essa ci aiuta a sopportare situazioni personali di grande disagio, nella stessa maniera come il pregare un dio benigno, sebbene sconosciuto, ma proprio per questo capace di sollevarci e tranquillizzarci nella devozione e riverenza verso di lui nel sentirci colpevoli e pregare infine la sua assoluzione.
Quanti metodi abbiamo per ristabilire un equilibrio mentale? Tanti, tantissimi, ma non tutti sono efficaci e così li alterniamo per riprovare sempre di nuovo.
Il capitalismo genera così il comunismo, ridando valore agli ideali che creano una nuova speranza di giustizia ed equità, e così il giochetto prosegue con il diletto dei furboni dell’una o dell’altra casta che sempre ed efficacemente si formano.
La massa rimane sempre tradita, fino a formarsi compatta nuovamente in un movimento che tutto distrugge.
Che cosa farci? È la regola del gioco, che qualcuno ha voluto introdurre e che noi, giocatori per sua volontà, non abbiamo ancora imparato a giocarlo per il nostro bene comune.
Saluti
Lorenzo
PS) scusate la lunghezza, ma credo che le mie osservazioni abbiano molto a che fare con il raggiungere uno stato di coscienza che ci permetta di risollevarci sempre, anche nel perdere molto.
Ringrazio intanto Massimo per avermi accolto e presentato. Riguardo l’intervento di Lorenzerrimo, non è facile commentare. Personalmente credo di non riuscire a identificarmi con alcuna delle due forme -comunismo e capitalismo. Penso però che le democrazie occidentali siano ancora il miglior esperimento possibile. D’altro canto, di De Andrè, ad esempio, si dice fosse un anarchico aristocratico, il che costituisce una terza possibilità. E ve ne sono di certo molte altre. Credo che il rapporto con la realtà e con il senso (o se lo si vuol chiamare sacro) non possa che essere individuale o avvenire all’interno di piccoli gruppi che si riconoscono o si contrappongono. Il processo individuativo (il divenire ciò che si è, come già dicevano Pindaro e Sofocle) è proprio il farsi individuo rispetto al collettivo.
Mettiamola così. Dai discorsi fatti in questa pagina, anche chi non ha letto il libro capisce che si tratta di un romanzo ambizioso, complesso per tematiche e struttura. Io posso capire che il lettore di Melissa P. se ne tenga alla larga, ma: come è possibile che nessun critico di firma si è preso l’incomodo di scriverne, foss’anche per stroncarlo?
Io una mia teoria ce l’ho: le pagine culturali dei quotidiani e dei settimanali sono bollite e non conoscono vie di mezzo fra le lettere di D’annunzio (esticazzi) e il cugino del caposervizio. C’è in circolazione un conformismo spaventoso. Non solo nelle pagine culturali dei giornali, per la verità: ma lì è di una evidenza lampante.
E’ vero che sul web si vanno aprendo spazi sempre più ampi, come questo, ma per il momento è tutto molto polverizzato.
In un sistema ormai del tutto autoreferenziale, che va dietro alle mode momentanee o ad argomenti geriatrici, un povero scrittore di mezza età cosa deve fare per essere letto? Qualche anno fa Isabella santacroce si fece fotografare in pose sadomaso, tutta vestita di latex. Quasi quasi…
@massimo: il più duro dei tre romanzi è Cuore di Madre, proprio perchè è il più spoglio.
Quanto all’essere vincente di Giovanni Alagna, io credo di sì. Ma sai: l’autore di un romanzo nei confronti del proprio protagonista è come il marito cornuto con la propria moglie: l’ultimo a sapere le notizie.
Salve a tutti!
Io che sono mamma-full time, ho rinunciato al lavoro, ho messo al mondo tre figli e “lavoro” in casa, insomma… per la nostra società sono una fallita perché non produco reddito, non ho uno status sociale da presentare… (anche se vi assicuro che noi casalinghe siamo di un’immensa utilità sociale).
Ecco, questo per dire che il fallimento innanzitutto è relativo: dipende dall’occhio di chi guarda. Io sono fallita per la società, ma non mi sento fallita io, nè lo sono per la mia famiglia (per inciso: non tutti i matrimoni, per fortuna, si trascinano avanti senza sapere bene il perché… ), e così via. Ci sono persone che fanno scelte controcorrente e non si sentono fallite, perché – appunto – seguono la loro coscienza e non le regole imposte dalla società.
Altra considerazione: il protagonista (da quello che capisco) fa una serie di sbagli uno più grande dell’altro, fino all’autosconfitta finale. Touché.
E’ tradito dalla vita perchè l’ha tradita, la vita. “Affoga” perché non ha fatto altro che far affogare la sua coscienza azione dopo azione… probabilmente bisognerebbe vedere quali sono i motivi (a monte) del suo comportarsi così. Certo, agli occhi del mondo (o dei suoi?) si sente un vincente, purtroppo è solo apparenza, e come sempre la verità si materializza quando è già troppo tardi.
Massimo, sei d’accordo? :-))
p.s. A proposito di uomini mezzi morti lasciati per strada: per fortuna esistono anche i buoni samaritani!
@alajmo
Caro Roberto, trovandomi in analoga condizione alzerei la posta. Un servizio in latex a due potrebbe forse essere più appetibile.
Tornando a cose più serie, mi pare che uno dei problemi sia l’educazione dei lettori. Oggi lo zoccolo duro viene considerato quello degli adolescenti e quindi si pubblicano testi ad hoc. La letteratura che tenta il grande tema, come credo di capire sia la tua, fatica a trovare spazio e commento. case editrici e giornali, con poche eccezioni, non cercano di fare cultura e dare stimoli, ma seguono l’andamento dei cosiddetti megatrend (mi scuso per la parolaccia). Credo però che si debba continuare a tentare. Ecco perchè mi trovo d’accordo con Massimo quando cice che un dibattito come questo sia più utile di tante altre cose.
Alessandro
– Salve a tutti! Sono a Venezia:)
– complimenti a Roberto Alajmo per il libro
Uhm gli sconfitti. Mi piace il commento di Elisabetta sulle prospettive. Capisco anche che la sconfitta sia sempre più romantica, nonchè più benevola: come ci sono simpatici questi eroi sfigati che relativizzano le nostre sfighe personali: i vincitori sono regolarmente degli scassapalle che levate. E ora mi vado concentrando su un bel romanzo che mi parli di un vincitore simpatico, e che non crepi in miseria – o cornuto. Eh mica è facile eh…
In ogni caso, la sconfitta non cambia e credo che oggi si noti di più non solo perchè il successo e la ricchezza sono valori predominanti per cui se sei fuori sei una pippa, ma anche perchè il successo e la ricchezza sono valori moderatamente più accessibili: rispetto agli anni dei grandi sconfitti. Prima pensavo a quer puaretto di Don Gesualdo che si fa un mazzo triplo e sempre sconfitto rimane – non facevi a tempo a dire: ahò me piacerebbe un orticello che già eri morto schiantato. La vita non contava, i rischi erano tanti e solo molto tardi la letteratura se n’è accorta.
–
Naturalmente Enrico Gregori ha quarantadue rotule.
Ma Enrico se sei della Roma, sono disposta a credere che ne hai solo tre.
se poi ammiri sfegatatamente Totti e ne tieni un’icona a casa, anche solo due.
@ zaub:
Robarto Alajmo ha detto “esticazzi” circa le lettere di D’Annunzio. Il commento è valido anche per il tuo soggiorno a Venezia
🙂
@ Roberto:
le pagine “kulturali” dei quotidiani nazionali sono una specie di supermercato. Ti sparano quello che capita, un non tutto ma di tutto, laddove ci può anche rientrare l’ultima fatica del cugino del caposervizio.
Ma è il caos a dominare. Perché lo spazio è quello che è. Nemmeno un inserto settimanale specializzato sui libri può essere completo e che molti critici da quotidiano nazionale siano pigri è anche vero.
Ma degli editori ne vogliamo parlare? Ammesso che il tuo sia stato così professionale e serio da farsi vivo presso le redazioni, ce ne sono tanti che promuovo solo ciò che fa loro gioco.
Tu sei pubblicato da “Mondadori”. A me sembra che per uno che scrive libri non sia esattamente una sciagura.
Però vediamo di capirci. Spesso sento dire che le case editrici potenti (specialmente quelle di proprietà di un signore che ha l’hobby di fare il presidente del consiglio) impongono ai giornali tutto quello che vogliono.
A questo punto delle due l’una: o non è vero che i giornali si fanno imporre qualsiasi cosa, oppure alla Mondadori non andava di imporre Alajmo.
@ Alessandro Defilippi
Confermo che il trend privilegia pubblicazioni per teenagers.
La mia “fonte” è la libraia del mio paese (non mettetevi a ridere): quando le porto i miei libretti, che lei vende in conto vendita, poi finiamo a discutere di quello che si vende. E proprio un mese fa mi ha confermato che vanno tanto questo tipo di libri. Avete osservato, ad esempio, il boom del cosiddetto “baby-fantasy?” cioè scrittori-adolescenti di libri fantasy. E il proliferare di tutti quei romanzi fantasy, sentimentali (i check-list, quelli sullo shopping, e così via…). Ovvio che non è letteratura. Non so nemmeno se si possa definire para-letteratura…
@Zauberei: grazie!
alla fine intendevo dire che dipende dall’obiettivo che ci si pone sentirsi più o meno sconfitti
@Elisabetta
Del tutto d’accordo. Adesso c’è anche il baby-fantasy di Einaudi.
cavolo che bella sorpresa.
vale la pena di tornare in italia per passare di libreria.
o forse alla libreria internazionale di dresda riuscirò a avere una copia?
ho una domanda anche io per Roberto Alajmo.
come sta il mio scrittore preferito?
@Enrico. Io recensisco libri su “La Sicilia”. Giuro che mai nessuno mi ha imposto niente. Scrivo i miei articoli e li spedisco al responsabile della pagina culturale, il quale me li pubblica indipendentemente che si tratti di uno scrittore famoso o un povero cristo. I libri di cui scrivere li scelgo io liberamente.
Off Topic:
@Enrico e @Zauberei
Due amiche si incontrano dopo le vacanze: ‘io sono stata a Capri con Giangi’ – Meraviglioso! le risponde l’altra. ‘E guarda cosa mi ha regalato!’ Meraviglioso! risponde quella. ‘E tu che hai fatto?’ Sono stata in una scuola di Bon Ton, risponde. ‘E che hai imparato?’ A dire Meraviglioso! invece che ‘e sticazzi’.
On Topic:
Certo che dipende dagli obiettivi che ci si pone. Ma è certo che le grandi partite, quelle che si giocano in pubblico, sono quelle cui accennavo ieri, e sono tutte truccate. Lo sconfitto è chi non ha abbastanza pelo sullo stomaco per reggere il grande bluff: il loro castello di sabbia prima o poi cade. I vincitori invece hanno fior di “amicizie” e stuoli di avvocati….
Si possono giocare partite con poste minori in gioco, con la netta coscienza delle proprie forze e con il rispetto delle regole. Si possono vincere o perdere anche quelle, sempre sperando che anche qui non ci siano avversari che barano. Per me sono più affascinanti.
Insisto nel dire che le recensioni sui giornali non le legge quasi nessuno, fatta eccezione per voi addetti ai lavori: scrittori, critici, editori.
I tempi sono cambiati e internet funziona molto meglio, anche se personalmente non intervengo – ma leggo. E non è vero che c’è troppa parcellizzazione. I siti veramente importanti che parlano di libri non sono più numerosi delle testate giornalistiche che contano. Letterattitudine per esempio è una bella realtà e lo conoscono tutti. per tutti intendo coloro che si interessano ai libri. Lo so perché giro l’Italia per lavoro e mi è capitato di avere riscontri
Siamo d’accordo, le recensioni non servono a niente. Ma una considerazione critica, uno scrittore, oggi, come se la costruisce?
Un saluto affettuoso a Lucia, amica mia vagabonda
Pongo io una domanda.
Ma c’è differenza tra recensioni e critica letteraria?
La critica letteraria non si dovrebbe fare a distanza – e non all’uscita di un libro?
Sul breve periodo la critica letteraria si esplicita nelle recensioni.
@Marco. Letteratitudine è un caso raro, un blog letterario “esploso” per chissà quali serie di coincidenze. Forse nemmeno il suo ideatore avrebbe potuto immaginare la portata di un così vasto successo. Onore a Massimo. Per il resto non mi risulta che gli scrittori affermati intervengano volentieri nei siti di cultura, anche perché c’è un continuo proliferare di tali siti, una confusione enorme, senza una valida selezione, tendente a creare confusione e dispersione di energie. Internet è ancora una giungla senza controllo. Le recensioni nei giornali sono vagliate da un direttore, il quale decide se pubblicarle o meno, e servono a far sapere dell’esistenza di quel nuovo libro. Sono talmente tanti i libri che si pubblicano giornalmente, e talmente breve la loro vita (tre mesi in genere dura la presenza di un libro nelle librerie) che qualsiasi scrittore ne ha bisogno.
Direi che l’uomo è un animale competitivo per eccellenza quindi la sconfitta è sempre dietro l’angolo, e lo è sempre stata nel corso della nostra storia.
Credo però che la nostra epoca abbia di diverso rispetto alle altre il fatto che siamo continuamente esposti ad una pioggia di dati e di paragoni che lentamente pur senza volerlo ci fanno piombare nella percezione del disastro che rappresenta la vita di ognuno……
Ieri sera (off topics) abbiamo incontrato a Siracusa Pasquale – ovvero il mitico Eventounico – con moglie e figlio al seguito per vacanza in Sicilia. Io e Simona abbiamo fatto da padrone di casa siracusane (tour dell’isola, ciceroni fai da te…) e abbiamo trascorso una serata piacevolissima… A presto la documentazione fotografica!
Kissazzi…
Sono Fabio MIdolo, so scrivendo dal computer della mia cara amica Maria Lucia. Vorrei rispondere al signor Giuseppe Iannozzi: credo che il suo giudizio sul nostro caro Vittorini sia piuttosto grossolano e accecato dal pregiudizio racchiuso in un unico episodio che di certo non fa onore allo scrittore oggetto del nostro contendere. Con questo voglio dire che Vittorini ha sì sbagliato nei confronti di Tomasi di Lampedusa ma il suo lavoro non si racchiude in quel gesto, ha traghettato la letteratura italiana nella contemporaneità e non è poco! Ha fatto sì che i nostri pensieri si inebriassero delle correnti d’oltreoceano.
Gridare crucifige ad un uomo per una scelta editoriale e non per netto rifiuto di un’opera tra l’altro da lui mai pronunciato….. “Prima di sparare pensa!”
Libro consigliato per conoscere l’umanità letteraria di Vittorini…
Iole Vittorini, Mio fratello Elio. Non ricordo l’editore.
Fabio Midolo
Dovrei leggere anche R.Alajmo: come faccio?
Una volta le mogli seguivano i mariti in osteria per vedere quanto spendevano in vino, o al giuoco, ora mio moglie non mi lascia più andar solo in libreria…che saranno 13/14 euro?
Ma, letto il dibattito, m’intriga, proverò a rubarlo, il codice a barre sta sempre sotto il risvolto di terza di copertina.
…
Carlo’s mi ha rappresentato degnamente, non ho voglia di tediar oltre: “…Non ho simpatia nè per gli uni nè per gli altri: semplicemente non mi piace questo tipo di gioco, e mi interessa di più quel lato dell’umanità che cerca di sopravvivere fuori dalla partita, gli spettatori…”
…
Ciao Roberto Alajimo,
buona vita.
Grazie per i nuovi commenti.
E scusate il ritardo.
@ Fabio
Temo che hai sbagliato post…
Quello dedicato a Vittorini è un altro 🙂
Ringrazio Marco (però si scrive Letteratitudine… con una sola “t”… ne approfitto per precisare giacché in tanti scrivono Letterattitudine… la maggior parte sono sardi) 🙂
Per tirare su Roberto dico che la redazione di kataweb ha deciso di mettere in primo piano questo post.
Clicca qui:
http://www.kataweb.it/blog/
Mica accade sempre…
Tornerò a intervenire domani
(Maria Lucia, grazie per la notizia off topic)
@ salvo:
e vuoi che non ti creda? sono 30 anni che sento dire che i politici fanno i cazzi loro con tutte le pagine dei giornali. per 10 anni ho ribattuto, da 20 dico sempre di sì. campo meglio, fatico di meno e sono tutti contenti.
se recensiscono umberto eco e non l’ultimo stronzo c’è la mafia, no?
🙂
non ho letto il libro ma lo farò appena salperò per un’isola felice di regalarmi dieci giorni di quasi assoluto silenzio.Almeno nelle intenzioni mie, soprattutto.Siamo tutti dei vulcani estinti con qualche spruzzo di vapore che ininterrottamente si eleva senza preavviso per poi spegnersi altrettanto improvvisamente in un’atmosfera rarefatta e senza vento.E senza essere scacchisti per predisposizione naturale,pure lo si diventa per liberarsi dalle varie ansie annidate in una memoria di un archivio di libri che non sono solo nostri,ma che,eventi a ripetizione ti hanno portato alla luce.Piccoli interrogativi storici che cadono come lacrime per poi disseccarsi subito dopo in un silenzio di totale fallimento.Calcoli artimetici che puntualmente si rivoltano e dove ogni mito di grandezza cade o decade in polvere.Perchè tutto sfugge e si frantuma e,la consapevolezza di essere giocattoli rotti di questa vita che,così futilmente abbiamo cercato di riassettare,ci rende materia inerte e malaticcia che cresce costantemente senile in un tempo eternamente immaturo e,scossi da un vento incostante che agita impietoso noi e il dio del Caso.E si continua a cercare il “senso”…Quel qualcosa di mancante al puzzle della nostra storia personale e al di là dei certificati di nascita o di cambiali non pagate.E le cerchi negli odori dell’infanzia o in qualcosa che ti sia stato deliberatamente rubato o perso incidentalmente o nascosto per burla.E non sai chi sia il responsabile,se i nostri antenati,,noi stessi,la struttura sociale,o misteriose maligne quanto potenti divinità.In fondo siamo solo una Rappresentazione di una commedia che si deve portare a termine e bene o male si è obbligati a farlo,magari sopra a un accordo dissonante che,a sipario abbassato,non ci importerà nè degli applausi e neppure di una parola gentile.Ma solo dalla percezione verso cui procedere finalmente libero di capire il tuo significato d’essere stato,incurante di ogni tua caduta come di ogni tua gloria.Solo pienamente abbandonato a una MISERICORDIA Superiore che è Amore e Amore di Pietas. Carola
Per mia natura sono ottimista. Non credo ci sia una mafia letteraria. Credo che in circolazione ci sia molta sciatteria e conformismo, più l’altro male che in Italia sta diventando endemico: nessuno sa più fare il suo lavoro, dall’idraulico al caporedattore, in su o in giù.
Ripensandoci, non penso di essere tanto ottimista.
Ma no…non direi mafia o sciatteria…direi che si tratta semplicemente della razionalizzazione delle risorse di un’impresa. Pensiamoci bene. Se arriviamo a sottolineare che Mondadori, e dico Mondadori non dico l’editorucolo vicino casa mia, pubblica un libro che non viene poi recensito, ci deve essere un motivo al minimo serio e “calcolato”. E l’unico motivo che io vedo è che a livello di gestione uscite/entrate ormai l’articolo critico, la recensione, semplicemente non fanno vendere di più. Per cui andare a chiedere ai critici/giornalisti del momento il pezzo rappresenterebbe un costo immotivato, una perdita o tutt’al più un mancato guadagno. Per quanto riguarda poi il fronte della critica dobbiamo anche ammettere che escono talmente tanti libri all’anno, e Mondadori qui sta in testa perchè deve mantenere un numero di uscite all’anno adeguato per prendere i contributi statali (e non sono due euro), che si crea un netto e concreto, oserei dire quasi fisico, divario tra le pubblicazioni e la possibilità della critica di leggerle tutte. Per questo io direi che Internet, e in particolar modo blog come questo (e sottolineo e sottolineo, perchè più sopra ho letto quella nota sull’esistenzialismo del “padrone di casa”), ormai sono uno strumento fondamentale e molto più ad hoc dei vecchi giornali. Qui abbiamo la possibilità e l’evidenza di un dibattito che nasce all’interno del libro e si amplia proprio attraverso la storia del libro. Un giornale non è capace di fare questo.
Alessandro Canzian
Ringrazio tutti per avermi accolto nella vostra discussione. Ora andrò in ferie. A risentirci a fine mese.
Alessandro Defilippi
@Alessandro de Filippi
La ringrazio della risposta, nella quale mi ritrovo anch’io.
Non altro intendo, quando affermo che sia necessario ridimensionare il proprio “IO” per renderlo idoneo di appartenere alla grande massa del gruppo, fino all’intera umanità.
Nello stesso tempo è necessario ritirarlo quando il gruppo si allontanasse dai principi che si ritengono fondamentali per la propria identificazione.
Siamo quindi simili ai giocolieri che padroneggiano gli oggetti del gioco per creare e mantenere l’armonia.
Mi piace paragonare l’individuo con l’albero. Solo non è in grado di sostenere le impervie del tempo, mentre nel bosco sì.
Eppure, deve conservare una certa distanza dagli altri alberi, per non essere usurpato del suo spazio del quale ha bisogno per crescere ed essere.
Questo proprio tende il potere, sfruttare la forza costante ed unita del gruppo per i suoi scopi, trasportando il suo simbolismo nello spirito nazionale del popolo e ricavarne una forma armata forte ed a lui ubbidiente.
Pindaro e Sofocle, con tutti coloro che hanno rappresentato e rappresentano tuttora la veggenza dell’uomo, formano e definiscono la sua continuità, adattandola ai tempi e renderla così più comprensibile ed applicabile.
Cordiali saluti e buone vacanze.
Lorenzo
Ringrazio Alessandro Canzian per il precedente commento e auguro buone vacanze ad Alessandro Defilippi
@ Elisabetta Modena
Sono d’accordo, Elisabetta.
Ti conferno che il personaggio Giovanni Alagna, alla fine, (e per utilizare un’altra metafora) si scava la classica fossa con le proprie mani.
Come ha sottolineato Roberto la sua sconfitta è molto più bruciante perché segna il fallimento di uno abituato a essere sulla cresta dell’onda; un “vincente”: almeno secondo i suoi parametri.
Un saluto di benvenuto a Carola e Lucia.
È la prima volta che intervenite qui, vero?
per quanto mi riguarda sì.
fino ad ora ero stata una lettrice “silente”.
grazie del benvenuto!
ho conosciuto la felice scrittura di roberto alajmo nelle pagine di diario della settimana, tanti anni fa.
quando diario della settimana era ancora diario della settimana.
teneva la rubrica “matti d’ italia”.
era una rubrica molto bella.
ho letto tutti i suoi libri, e per fortuna li ho digeriti. amandoli, per altro.
leggerò anche questo. se sono fortunata mi verrà portato da un caro amico che viene a trovarmi per ferragosto.
Scusate… torno on line solo adesso
Roberto Alajmo mi ha messo a disposizione le prime pagine del libro.
Le trovate sul post (che ho appena aggiornato).
Grazie a te, Lucia.
Torna a intervenire anche sugli altri post, se puoi (e se ti fa piacere).
E buona lettura!
Simona Lo Jacono ha detto benissimo quello che avrei voluto dire io.
Per cui non vi rubo altro spazio, Vi saluto e vi auguro buone vacanze,
Franca Maria Bagnoli.
ho letto con piacere i brani messi a disposizione. li trovo di alto livello
premetto che non ho letto il romanzo. lo farò presto.
La prima domanda posta dal curatore del blog in apice ai commenti mi ha fatto venire in mente una cosa.
Al lettore piace immedersimarsi in figure di perdenti.
Anna Karenina è una perdente. Madame Bovary idem.
lo sono anche (scusatemi per l’accostamento irriverente) matteo e alice protagonisti dell’ultimo vincitore del premio Strega.
Ma quest’ultimi, oltre che perdenti sono autolesionistici.
Non credo che in passato il personaggio autolesionista avesse tanto successo!
I Malavoglia mica era autolesionista, tanto meno Mastro Don Gesualdo (scusatemi sempre per l’accostamento). Perseguivano il loro credo con determinazione, e agivano. Hanno agito male, ma poco conta..
adesso, perché oggi piacciono tanto gli autolesionisti?
(in Infinite Jest di D. F. Wallace, 1999, ci sono un’infinità di personaggi che si fanno del male per soffrire, e si perdono per il piacere di perdersi)
@francesco gianino: dev’essere un riflesso condizionato contemporaneo. Guarda per esempio quanto autolesionismo ogni volta che si va a votare.
letto il primo capitolo. adesso aspetteró con ansia l´arrivo del libro a ferragosto per finirlo.
mi piace molto la narrazione in seconda persona.
mi pare di sentirti parlare.
ps: sull´autolesionismo elettorale direi che abbiamo battuto ogni record.
facciamoci del male, diceva qualcuno al cinema. anzi, continuiamo a farci del male, per la precisione. alcuni Catanesi forse lo hanno pensato all’indomani delle votazioni amministrative che hanno rivisto vincere la parte politica, quanto meno il simbolo politico, che negli ultimi otto anni ha messo la città in ginocchio.
facciamoci del male.
però in politica però non parlerei di autolesionismo, piuttosto dell’ottimismo (reale o illusorio, a seconda del ruolo che si occupa nella società) dell’elettore che antepone l’interesse personale a quello pubblico.
…e anche sull’interesse personale, nutro dei dubbi…
caro Lorenzo, sai qual é la regola del gioco?Una regola assurda, oserei definire tragicomica: la massa tradita dal traditore , il quale é la condicio sine qua non per la ricostituzione del gruppo o massa.Il traditore si dissocia e scioglie la sostanza morale del gruppo e pertanto viene condannato(perdente)perché si possa riconfermare il rapporto di unione e di amore. Ergo:il traditore(pharmakos) é necessario perché tutti i perdenti(la massa informe) riacquistino l’ordine. E’ in forza del tradimento(giuda) e dell’eliminazione del traditore che si mantiene il vincolo di tutti noi perdenti a priori. Del resto si ritrova solo chi si é perduto. Edipo re di Sofocle docet.Lucia Arsì
Riflettendoci bene le domande di Massimo Maugeri si intersecano.
L’autolesionismo spesso è legato all’ovvia perdita a cui si va incontro quando si abbandona il senso dei propri limiti per sfidare qualcosa di più grande o di inaccessibile.
Riflettendoci ancora meglio l’impulso verso l’alto contiene in sè qualcosa di divino, verso il grande, il superamento dei propri steccati è una aspirazione di confronto e miglioramento del tutto legittima, di cui è saggio comprenderne le modalità. Se un bimbo continua a piangere forse sta cercando l’attenzione che l’adulto gli ha negato e vuole rimarcargli l’errore della sua indifferenza, dovuto al fatto che le minoranze, i più piccoli, quelli che non hanno ricevuto trofei o che a loro volta hanno subìto ingiustizie, esistono. La vita ha diritti e doveri.
Aggiungo che, spesso, la loro esistenza è stata messa ai margini ed al servizio dei più “grandi” i quali, ignorando la reciprocità, si sono dimenticati di riconoscere.
ADESSO FACCIO LA SNOB, scrivendo che purtroppo la rapida ascesa dal basso verso l’alto porta con sè l’ignobile, l’arrivista, colui che volendo a tutti costi “arrivare” si cela all’umanità come un orripilante meccanismo ferroso i cui ingranaggi devono servire solo ed esclusivamente alla realizzazione dei suoi “goals”. Di solito questa nauseante categoria viene riconosciuta o da quelli che si comportano come lui e con i quali intraprende le gare, o dai “nobili” che sono costretti a scegliere se sdegnarli o assecondarli (per toglierseli dai piedi o per oculata convenienza…).
Le volgari gomitate in politica, sul lavoro, nelle famiglie, oggi sono molto diverse dal secolo scorso quando, se permettete, si duellava per non perdere l’onore.
Non pensate al mio anacronismo, ma il principio di animo aristocratico che si confronta con un comportamento servile e plebeo, oggi fai conti con concetti di potere, ricchezza super-veloce, insolenza e prevaricazione, dove la signorilità non è frutto di cultura autentica – riconosciamo che anche l’educazione ricevuta da bambini ha il suo valore – di bontà come atteggiamento di ragionevolezza e concordia e saggezza, si è vero, ci sono persone capaci di affermarsi nonostante le loro origini e la loro estrazione e viceversa persone che delle loro ricchezze non hanno saputo trarne giovamento, a volte è difficile essere
giusti. Ancor di più umili. Meglio furbi.
Per concludere l’imbecillità e la cattiveria sono la stessa cosa, come la bontà
e l’intelligenza.
Un comportamento malvagio dà lo stesso risultato del comportamento di uno scemo ed un comportamento signorilmente buono è molto vicino alla ragione illuminata.
Anche gli artisti si suddividono in classificazioni che hanno fatto la storia dell’arte ma, si sa, in pochi sanno leggere.
Cara Lucia,
che cosa si tradisce?
…..qui in Sicilia le corna hanno un significato speciale…sembra quasi che il cornuto s’infuri se indice e mignolo alzati gli fanno da specchio…povero diavolo, proprio lui che per soldi venderebbe la mamma!
Buon pomeriggio a tutti,
mi scuso ma sono al mare e il tempo da dedicare al web è pochissimo e raro , oltre al fatto che la connessione scarseggia…
Non posso leggere tutti i vs. commenti ma ho molto amato questo libro, pur nelle sue crudeli verità, e ci ho sentito diversi ‘livelli’ di analisi, di scavo che lo rendono comunque, a mio avviso, un libro da rileggere e ‘digerire’ anche in momenti diversi della vita. C’è qualcosa di perfettamente coicidente in queste mosse, nel lento ma inesorabile raggiungimento di un ‘tutto finale’ che svela qualcosa di importante e che non riguarda solo il protagonista, i figli, la moglie o il ‘genere’ di vita che conduce. Riguarda noi. Esseri di una società in corsa che fissano lo sguardo su ‘obbiettivi’ precisi ma dimenticano ‘l’insieme’, i sentimenti, i respiri.
Scappo, scusami ma ci tenevo a lasciare una traccia, stimo molto Roberto Alajmo e credo che questo libro (come altri di autori italiani contemporanei che ho letto di recente) non sia ‘facile’, tutt’altro. Ma merita attenzione, impegno. Lascia addosso qualcosa.
Ne ho scritto un pò qui, appunti di lettura:
http://frammentando.wordpress.com/2008/04/27/alajmo-roberto-la-mossa-del-matto-affogato/
Un abbraccio a tutti,
Barbara
Volevo scrivere:
Scappo, scusatemi…
Ah, la fretta…
@Rossella
Qui sta il nocciolo:perché inizi la storia, perchè si esca dall’immortale,necessita l’errore o il tradimento e così si fa esperienza e si cresce.Più grande è l’amore, la lealtà, l’impegno, l’abbandono, maggiore é il tradimento grazie al quale esci da un rapporto simbiotico per acquisire coscienza e responsabilità.Coscienza che l’amore c’é ma inagguato c’é il male. Basta saperlo.
@Lucia Arsi
Cara Lucia,
possiamo dire, che anche ciò che riteniamo per vero (le nostre verità) venga assunto con un doppio senso?
Il traditore deve essere allontanato per riportare ordine nel gruppo; con questo atto il gruppo si consolida.
Eppure, rimane in tutti i suoi membri, un senso di smacco e tristezza, perché un gruppo tende, per sua energia che l’ha fatto sorgere, ad espandersi; non sopporta quindi una qualsiasi perdita, che comporterebbe una sua diminuzione.
Cristo ha amato Giuda più di ogni altro dei suoi discepoli, forse per lo stesso motivo.
Sapeva che con lui si sarebbe avverato il proprio destino; il suo amore verso Giuda era anche compassione per il tragico compito che il destino gli aveva affidato.
Allora, la forza positiva è quella della massa ordinata e la negativa quella del traditore. Entrambi si abbisognano per essere riconosciuti e avviare la trama del gioco.
Da qui, il senso di illuderci di operare per nostra volontà, e il riconoscere il nostro destino, al quale dobbiamo opporci, se non vogliamo essere trainati definitivamente da lui e perderci nella massa dell’universo, cioè perdere la propria individualità.
Ti ringrazio molto delle tue risposte ed annotazioni; con te è un corrispondere con letizia e soddisfazione.
Saluti.
Lorenzo
Ringrazio tutti per i nuovi commenti.
Un ringraziamento speciale a Barbara Gozzi, da me coinvolta nel post dedicato ad Andrea Di Consoli e al suo nuovo romanzo.
@ Francesco Gianino
A proposito di Catania…
Ti segnalo questi articoli pubblicati su “L’Espresso” (molto condivisibili):
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http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Catania-e-tutta-un-buco/2036050&ref=hpsp
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http://espresso.repubblica.it/dettaglio/Catania-e-tutta-un-buco/2036050//1
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Avevo già segnalato i suddetti articoli a Roberto Alajmo
In conclusione, voglio ringraziare Massimo e tutti voi. Vi considero altrettanti amici con cui mi piacerebbe rimanere in contatto:
mattitaliani@hotmail.com
Caro Lorenzo,rifletto su quanto vadano di pari passo traditore e traditi, violenza e piacere. Il piacere(il gruppo assume un centro e dei limiti e quindi senso)che viene dalla violenza nei confronti di chi l’ha abbandonato(traditore é dal latino trado= abbandonare per tradimento).
Rifletto anche sulle tue parole:…riconoscere il nostro destino…,destino che immagino una trama carica di percorsi che solchiamo nel transito terreno e che ci individua caratterizzandoci. Ti ringrazio per le parole gentili.Il comunicare, a mio avviso, é un dovere che esercito con cortesia.Ancora grazie. Lucia
Grazie a te, Roberto. Come sempre, è un piacere averti qui.
Ciao Massimo!
Grazie a te…
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B