(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)
Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicato a Vinyl
* * *
La seconda stagione di Vinyl era stata annunciata precocemente dopo la programmazione negli USA della prima puntata, il 14 febbraio scorso, nonostante i dati di visione fossero inferiori alle aspettative: solo 764.000 spettatori. A distanza di due mesi, la HBO aveva annunciato il cambio di showrunner; al posto di Terence Winter (The Sopranos, Boardwalk Empire, The Wolf of Wall Street, 4 Emmy) avrebbe coordinato i lavori sulla seconda stagione Scott Z. Burns (The Bourne Ultimatum, Side Effects).
È invece di qualche giorno fa la notizia della cancellazione della serie televisiva, un piccolo capolavoro ideato da Winter, Rich Cohen, Mike Jagger e Martin Scorsese: «Ovviamente, non si è trattato di una decisione facile. Rispettiamo enormemente il team di creativi e il cast per il loro duro lavoro e la passione per questo progetto».
Pur con la consapevolezza della mancanza di un seguito, la visione di Vinyl è fortemente consigliata: per le inquadrature bellissime (il pilot era diretto da Scorsese), gli anni Settanta vividi, colorati. Per l’argomento: la caduta e ripresa dell’immaginaria etichetta discografica American Century, che lasciamo nel momento in cui, con la sotto-label Alibi, sta per inaugurare e cavalcare l’esplosione del punk, grazie all’autenticità nichilista dei Nasty Bits e del loro frontman britannico Kip Stevens, interpretato dal figlio d’arte James Jagger.
Per i modi in cui il periodo storico si riverbera nelle trame secondarie, fra cui quella di Devon, la moglie del protagonista interpretata da Olivia Wilde (Dr. House), con un passato nella factory di Andy Warhol e la rinuncia alla vita bohémien per dedicarsi a una tranquillità familiare che si traduce nella rinuncia alle proprie ambizioni e al proprio talento, un personaggio femminile ipnotico e rappresentativo del confine fra autodeterminazione e vincoli sociali, che le impongono un ruolo erroneamente reputato una scelta consapevole.
Per la musica che spazia dal rock di un imbolsito Elvis Presley al blues nero dei club fumosi, comprendendo i New York Dolls, Otis Redding, David Bowie, Alice Cooper, i Velvet Underground e un ampio spettro delle sonorità degli anni Settanta.
Per i percorsi lavorativi e personali di Clark e Jamie: ambizioso ma rigido il primo, interpretato da Jack Quaid (Hunger Games), con uno sviluppo narrativo che lo porta a riconquistare con il sudore e la creatività uno status lavorativo dignitoso – ma anche per lui il percorso, come sempre, è più interessante dell’arrivo –; libertina e ribelle la seconda, interpretata da Juno Temple (al debutto televisivo), rappresentante delle groupie al servizio della band per qualsiasi necessità, che brucia la propria credibilità di talent scout quando ottiene come effetto collaterale della sua indipendenza il rischio dell’overdose dell’artista che ha contribuito a lanciare.
Per il protagonista Richie Finestra, ultimo di una serie di bad guys che hanno consolidato la dignità dell’antieroe nell’immaginario degli spettatori seriali: un leader in crisi, dipendente dalla cocaina, inaffidabile e subdolo (perde in un casinò gli ultimi soldi raggranellati per la sopravvivenza dell’etichetta e fa ricadere la colpa sul collega e amico fraterno Zak), padre assente che ha tradito il patto borghese condiviso con Devon. Quella di Richie (Bobby Cannavale) è una discesa continua: come il suo omologo Don Draper, la cui caduta era sottolineata e ribadita dalla sigla di Mad Men, il percorso narrativo del protagonista di Vinyl reitera un movimento verso il basso che però sembra escludere epifanie e riabilitazioni. Richie Finestra commette un omicidio, viene incastrato da inequivocabili intercettazioni, è costretto a stringere un accordo con l’FBI per incastrare dei mafiosi con cui è costretto a mettersi in affari, viene lasciato da sua moglie e continua a sprofondare, a ogni puntata, più in basso. Ma la sua riabilitazione non deve passare che dalla musica, dalla capacità di anticipare le mode sonore, di intercettare i gusti di un pubblico pronto ad abbracciare il movimento che saprà meglio interpretare lo spirito del tempo. Quel movimento è il punk, e il CBGB ne diventerà il fulcro: la prosecuzione della storia avrebbe potuto esplorare ancora meglio le dipendenze degli artisti, se già nel finale di stagione Kip Stevens viene buttato sul palco da una iniezione di cocaina, antidoto alla catatonia da eroina.
Vinyl rimane, nella sua unica stagione, un drama storico su un decennio che ha posto le basi musicali di una rivoluzione che passa per il disincanto, che fotografa una caduta destinata, per un breve momento, ad arrestarsi e a congelarsi in un successo, nella vittoria della perseveranza ottusa di Richie, che ha sbagliato tutto ma non la creazione di un’etichetta con un focus chiaro, con un progetto: una prassi editoriale non comune, visionaria, che fa guadagnare a Richie e alla Alibi Records tutta la simpatia possibile.
[kml_flashembed movie="https://www.youtube.com/v/Aivbkc24Hq4" width="600" height="338" wmode="transparent" /]
* * *