Storie (in) Serie # 10
(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)
Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicato al “caso Netflix”
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Con Netflix le serie tv possono somigliare un po’ di più ai romanzi. Parola di E.M. Forster
Nelle lezioni tenute al Trinity College di Cambridge nel 1927 (poi pubblicate con il titolo Aspects of the Novel), Edgar Morgan Forster suggerisce un confronto tra il romanzo e il dramma: in «Pattern and Rhytm», lo scrittore sostiene che una struttura narrativa troppo rigida, per quanto sia in grado di conferire Bellezza, nel romanzo lo fa in maniera tirannica, a scapito della mimesi – e quindi dell’immedesimazione dei lettori. Nell’opera drammatica, invece, suggerisce Forster, la rigidità della struttura (una trama in cui tutto torni, costruita come un meccanismo perfetto) è giustificata, perché «la Bellezza può essere una imperatrice sul palco» (p. 145).
Cosa ha a che fare questo con le serie tv?
Se seguiamo il ragionamento di Forster scopriamo anche che una narrazione televisiva, così come una rappresentazione teatrale, consente agli sceneggiatori e allo showrunner di costruire un meccanismo narrativo in cui tutto torni, in cui i singoli elementi trovino una propria collocazione e nulla sia superfluo: gli spettatori saranno più propensi ad accettare la perfezione compositiva perché la storia è messa in scena, proposta per immagini e non per parole. Dalla lettura di un libro ci si aspetta qualcosa che ecceda la scrittura, che sporchi la letteratura di vita: se il romanzo deve essere mimetico, non può essere basato sulla perfezione strutturale, perché la vita non lo è.
È anche vero che applicare le idee di Forster sulla narrazione drammaturgica alle serie televisive non è così scontato, se l’autore accomuna il pubblico del cinema all’uomo delle caverne nell’incapacità di seguire una trama e nella preferenza di una semplice storia che risponda a una serie di ‘E poi?’ (p. 87). Ma ci troviamo nel 1927, il cinema non ha sviluppato appieno le sue potenzialità, e comunque l’autore di Passaggio in India è abbastanza lungimirante da concludere il saggio con l’idea che la letteratura debba fare i conti con le narrazioni audiovisive («will it be killed by the cinema?», p. 151).
Fra l’idea che uno spettacolo teatrale consenta l’utilizzo di una struttura in cui tutto torni (Forster fa l’esempio di una clessidra e di una coreografia di ballo) e quella del cinema ridotto a storia lineare (una serie di ‘E poi?’), le serie tv si collocano nel mezzo: sono uno spettacolo ben costruito, montato, fruito in differita, e in molti casi vanno oltre la mera storia, sviluppano una vera e propria trama (grazie anche ad analessi e prolessi, ossia flash back e flash forward – e flash sideways, come per l’ultima stagione di Lost).
Le narrazioni seriali consentono una struttura altamente formalizzata: si pensi ad House of Cards, che suggerisce il modello della battaglia, poi delle geometrie escheriane, infine di Agar.io, un gioco in cui occorre inglobare gli avversari e sapersi ridimensionare per sfuggire allo stesso destino (ne parlavamo qui).
Ma per cogliere la struttura e per seguire una trama occorre attivare la memoria: «ogni azione o parola in una trama deve contare; deve essere funzionale e scarna; anche quando è complessa dovrebbe essere integrata e priva di fronzoli» (p. 88).
Se la fruizione frammentata e settimanale di una narrazione audiovisiva si presta più alla costruzione di una storia (caratterizzata da cliffhanger – finali a effetto – ed elementi volti solo a risvegliare l’attenzione dello spettatore), il binge watching si presta al dipanarsi di una trama perché lo spettatore, decidendo autonomamente i tempi di visione, riesce a esercitare al meglio la sua capacità mnemonica, rilevando incongruenze e binari narrativi morti.
Con la modalità di pubblicazione di tutte le puntate di una stagione contemporaneamente, Netflix ha compiuto un passo avanti nell’evoluzione della serie tv da storia – intrattenimento fine a se stesso – a trama – concatenazione narrativa coerente e coesa. E trattandosi di prodotti audiovisivi, le serie televisive possono sfruttare questa nuova possibilità di fruizione (che consente di fare affidamento sulla memoria dello spettatore) e anche i vantaggi che Forster attribuiva all’opera drammatica, ossia la possibilità di Bellezza formale che deriva da un meccanismo narrativo altamente formalizzato.
Prendendo esempi che sono agli antipodi, le telenovelas sono il regno della storia («la narrazione di eventi disposti in una sequenza temporale», p. 44, in cui l’attenzione del lettore è «dirottata verso altro, e la sequenza temporale procede», p. 48), e infatti la loro fruizione è parcellizzata in ‘dosi’ quotidiane, che coprono una durata di diversi anni di visione, in cui è impossibile tenere a mente tutti i trascorsi dei personaggi (di qui i frequenti improbabili riassunti-spiegoni). All’estremo opposto le serie televisive prodotte da Netflix, fruibili in maniera personalizzata, con tempi decisi autonomamente, consentono la costruzione-gioco di House of Cards, la complessità multistrand di Sense8, il citazionismo di Stranger Things: modelli narrativi con trame coese che possono anche rimandare ad altro, che rendono disponibile una modalità di fruizione di secondo livello. Liberata dalla necessità di tenere a mente per un lungo periodo i dettagli della storia, la memoria dello spettatore può lavorare in maniera intertestuale, cogliere il disegno di fondo, operare confronti.
La modalità distributiva di Netflix, lungi dall’essere un vezzo privo di conseguenze, potrebbe farsi agente di trasformazioni sui versanti della sceneggiatura e della percezione del pubblico, contribuendo all’evoluzione delle serie tv, a tutti gli effetti un genere narrativo.
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Nota:
L’edizione citata è: E.M. Forster, Aspects of the Novel, edited by O. Stallybrass, Penguin Books, Harmondsworth, 1974, traduzioni mie.
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