Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolato “LETTERATURA E MUSICA” è dedicato al nuovo libro di Grazia Verasani, intitolato “Lettera a Dina” e pubblicato da Giunti.
La puntata radiofonica di “Letteratitudine in Fm” con Grazia Verasani dedicata al suo precedente romanzo “Mare d’inverno” (Giunti) è disponibile per l’ascolto qui.
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“Lettera a Dina” di Grazia Verasani (Giunti, 2016)
recensione di Claudio Morandini
Nel nuovo romanzo di Grazia Verasani, “Lettera a Dina”, uscito quest’anno per Giunti come il precedente “Mare d’inverno”, due personaggi femminili si incontrano, misurano le proprie incompatibilità eppure si attraggono e si stringono in un’amicizia appassionata nella politicizzata Bologna degli anni Settanta, tra scuole medie e liceo; si abbandoneranno, a un certo punto, per seguire strade inconciliabili, ma finiranno per ritrovarsi uniti nella memoria: uno è l’io narrante, una ragazza curiosa, buona, inquieta il giusto, “comunista” da sempre ma incuriosita dal mondo della borghesia benestante, stabile pur nei cambiamenti dovuti alla crescita e alle dinamiche dell’esistenza; l’altro personaggio è appunto Dina, “fascista” più per sfizio e gusto della provocazione che per sentita vocazione ideologica, piuttosto spinta da una disperata voracità consumistica, affascinante proprio perché diversa e inafferrabile, in continua metamorfosi tra fasi di rapinosa bellezza e altre di abbrutimento.
La prima possiede la solidità necessaria per superare le crisi, per opporsi a derive autodistruttive, e rimane sincera con se stessa e gli altri; la seconda, invece, tra sbandate bulimiche e comportamenti compulsivi, finirà per perdersi nell’alcool e nelle droghe pesanti, in un crescendo di bugie e depistaggi sempre più goffi. La morte di Dina, la sua scomparsa rappresentano l’oggetto di quella ricerca che dicevamo, che però è un affaire personale, un fare i conti con un momento opaco del proprio passato più che con un mistero da risolvere.
Due figure così opposte eppure complementari – se vogliamo leggerli come fossero elementi musicali – potrebbero ricordare le dinamiche che si creano tra il tema A e il tema B di una forma sonata: diversi per natura, eppure destinati a legarsi in uno sviluppo che li concili.
La musica, in effetti, ha un ruolo fondamentale nel bel romanzo di Verasani. È dall’ascolto casuale di una canzone degli Alunni del Sole, “E mi manchi tanto…”, che si scatena il ricordo, rimosso per tanti anni, dell’amicizia adolescenziale tra la narratrice e Dina. Anche in altre parti del romanzo la musica è questo: evocazione di sentimenti contrastanti e di straordinaria intensità, colonna sonora di situazioni alle quali rimarrà aggrappata per sempre nel ricordo, proiezione (anticipazione, amplificazione) di situazioni e momenti cruciali; compagna consolatrice, terapia della sofferenza dell’anima, distillato (in poche parole, in pochi accordi, quando si tratta delle canzoni che punteggiano il romanzo) di uno stato d’animo.
La musica in “Lettera a Dina” svolge anche un altro ruolo: caratterizza un’epoca, segna lo scorrere del tempo, certifica lo spirito di determinati anni. Per noi che abbiamo vissuto quegli anni, magari in altre città anche più sonnolente, tutti quei titoli diventano potenti madeleines evocatrici (da “Pop Corn” de La Strana Società a “Polli di allevamento” di Gaber, da “Perché no?” di Battisti a “Parsifal” dei Pooh), assieme ai titoli di film e libri (“Porci con le ali”, “Ecce Bombo”, “Bilitis”…) e di programmi televisivi, al “Corriere dei ragazzi” e a “Burda”, alla morte di Giovanni Paolo I e agli spettacoli di Carmelo Bene: e rimaniamo indecisi tra l’abbandono complice al gioco della nostalgia o il distacco di chi, raggiunta la maturità, contempla il proprio passato come la vita di qualcun altro.
Accanto alle canzonette, qualche classico (Sibelius, Rachmaninov, Bellini, Liszt…) frutto degli interessi della protagonista narrante e dei suoi studi musicali. A volte questa particolare competenza musicale colora di un’immagine imprevista una situazione:
«Sono confuso» mi aveva detto R. quella sera, col tono di chi farà di tutto per eliminare un eccesso di ridondanza strumentale da un brano solistico.
Analogamente, la relazione con l’amico R. viene descritta così poche righe dopo: Eravamo ancora in una specie di backstage, durante il nostro concerto, come due romantici studenti fuori corso.
Il tempo, in questa vicenda che intreccia passato e presente, è l’altro vero protagonista. E Grazia Verasani ci fa sentire l’intricata commistione della personale quête della protagonista narrante attraverso un escamotage interessante: racconta l’indagine nel presente ricorrendo al tempo passato, facendolo così sprofondare indietro, e con la vividezza del tempo presente racconta la persistenza del passato indagato e ritrovato.
[Un estratto del libro è disponibile qui]
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La scheda del libro
È una mattina del 1973 e nella classe 2a H entra per la prima volta Dina. Ha dodici anni, indossa abiti costosi, è bionda e sovrappeso. Si volta verso la sua nuova compagna di banco e le dice: ”Io sono fascista”. L’altra le risponde: ”Io sono comunista”. E’ un colpo di fulmine. Tra le due nasce un’amicizia travolgente, fatta di sotterfugi, giuramenti, chiacchiere, litigi, riconciliazioni appassionate. Due mondi diversi, due famiglie di estrazione opposta, una di matrice operaia, l’altra, quella di Dina, decisamente borghese, che le due ragazzine mescolano e alternano in una Bologna animata dalle prime lotte studentesche.
Trentasette anni dopo, mentre parcheggia l’auto, la protagonista di questa storia sente alla radio la canzone che lei e Dina ascoltavano fino allo sfinimento su un giradischi. E di colpo, vivissima, Dina è di nuovo lì. Dove si è persa l’adolescente ribelle sempre in lotta con una madre fredda e seducente? Qual è stato il momento esatto in cui qualcosa si è spezzato? E perché quella tentazione irrefrenabile di camminare a occhi chiusi sul bordo di un precipizio?
”Lettera a Dina” di Grazia Verasani è il racconto toccante di un’amicizia assoluta e dei segni che ha lasciato; una riflessione sui sogni e gli ideali della giovinezza attraverso un paesaggio esistenziale che tocca un decennio importante della storia italiana, in una sovrapposizione tra passato e presente il cui raccordo emotivo – e provvidenziale – è la musica.
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Grazia Verasani (Bologna 1964), scrittrice e musicista, ha esordito ventenne pubblicando racconti sul Manifesto, nella rubrica curata da Gianni Celati. Sono seguiti romanzi, antologie, opere teatrali, fino a Quo vadis baby? (Feltrinelli) da cui il regista Gabriele Salvatores ha girato l’omonimo film nel 2005 e prodotto una serie tv. Per Feltrinelli, oltre a Tutto il freddo che ho preso, sono usciti Velocemente da nessuna parte, Di tutti e di nessuno, Cosa sai della notte e Senza ragione apparente (menzione speciale premio Scerbanenco 2015), con protagonista l’investigatrice privata Giorgia Cantini. Del 2012 è il film Maternity Blues
tratto dalla sua opera From Medea (Sironi Editore), vincitore di molti premi. Per Giunti, sono usciti Mare d’inverno (2014) e Lettera a Dina (2016).
Il suo sito è www.graziaverasani.it
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