Storie (in) Serie # 14
(Qui, l’introduzione di Massimo Maugeri)
Il nuovo appuntamento dello spazio di Letteratitudine incentrato sulle Serie Tv è dedicato a 13 Reasons Why, una serie Netflix
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13 Reasons Why: Ascolta
All’inizio di 13 Reasons Why, Clay Jensen riceve una confezione di audiocassette numerate, una mappa e un foglio di istruzioni. Il suo stupore nel verificare il contenuto della scatola fa capire subito che l’ambientazione della serie TV di Netflix (2017) è contemporanea e che la scelta del supporto tecnologico è volutamente retrò: lo era già per i lettori del libro omonimo di Jay Asher (pubblicato nel 2007), lo è ancor di più per il pubblico dell’adattamento televisivo.
Nel registrare i tredici lati delle audiocassette e nel preparare il contenuto della scatola prima di togliersi la vita, Hannah Backer ha voluto far sì che i suoi destinatari, un gruppo selezionato di amici e conoscenti, fossero costretti a un rito: ascolto individuale, solitario; percorso nei luoghi indicati (quasi un pellegrinaggio); trasferimento del pacco al successivo destinatario. La difficile riproducibilità delle cassette, la loro consistenza e fragilità assegnano al supporto un valore aurale: sono le stesse cassette che passano di mano in mano, non copie dello stesso contenuto. Con la costrizione al trasporto della scatola, alla materialità degli oggetti (gli stessi per tutti), Hannah impone un rallentamento e una dilazione temporale, dà valore al contenitore a cui affida il racconto dei motivi che l’hanno condotta al suicidio.
La sua protesta è contro la facilità con cui le informazioni sbagliate e false si diffondono e, all’opposto, contro l’omertà con cui si nascondono informazioni essenziali: per questo da una parte rallenta la diffusione della sua storia all’interno del circolo dei destinatari; dall’altra parte mette a nudo i segreti che hanno contribuito alla sua decisione, mettendo i suoi ascoltatori di fronte alle proprie responsabilità in maniera collettiva.
Gli spettatori ascoltano la voce di Hannah per la prima volta insieme al suo undicesimo destinatario, Clay Jensen, e insieme a lui si chiedono quale sia la colpa che gli è valsa l’inserimento nella lista dei responsabili: c’è chi ha trasformato un bacio nel racconto di sesso facile, chi ha rincarato in vario modo la dose di infamie, chi si è negato nel momento del bisogno. Clay non sembra capace di nessuna di queste cose, e infatti la sua responsabilità è meno concreta, è una colpa per difetto e non per eccesso, per troppa gentilezza.
13 Reasons Why è un ottimo modo per sensibilizzare contro il bullismo e la violenza senza forzature didascaliche, anzi in modo spietato, brutale, come nella scena del suicidio, che è quasi intollerabile. Il modo in cui la storia è raccontata costringe a una visione compulsiva, complice la scelta degli attori: Katherine Langford è una Hannah magnetica, e la delicatezza dei tratti di Dylan Minnette rende Clay un punto di vista (e di ascolto) particolarmente adatto a veicolare gli spettatori nella storia e a farli precipitare (in tutti i sensi) verso il terzultimo episodio per capire quale sia la sua colpa.
Sebbene gli adolescenti di 13 sembrino più maturi dei loro omologhi reali, la narrazione restituisce una architettura che tenta di mettere ordine; la scansione del racconto è implacabile: un responsabile per ogni lato di ogni cassetta. E se a volte è frustrante che i personaggi non si parlino, la dilazione delle informazioni segue un solo imperativo: ascolta.
Che non sia prevista consolazione è evidente sin dall’inizio, e alla scoperta delle cause del suicidio di Hannah si accompagna la constatazione che qualsiasi indelicatezza possa contribuire a minare un equilibrio precario, ecco perché l’ascolto è l’unica arma contro il pregiudizio e la diffamazione. Di più: è l’unico modo per entrare in contatto con altri esseri umani.
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