Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolato “LETTERATURA E MUSICA” è dedicato al volume “Satie: appunti e nostalgie” Gian Nicola Vessia (Corraini) – Illustrazioni di: Federico Maggioni. Di seguito, il contributo di Claudio Morandini.
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A cura di Claudio Morandini
Gian Nicola Vessia
“Satie: appunti e nostalgie”
Illustrazioni di Federico Maggioni
Corraini, 2015
Elegante e reticente come una delle tante raccolte pianistiche di Erik Satie, il volumetto “Satie: appunti e nostalgie” scritto da Gian Nicola Vessia e illustrato da Federico Maggioni accenna in punta di penna ad alcuni momenti della vita del compositore francese. Ne racconta il garbo e le bizze, le contraddizioni, il dimesso protagonismo. E quando la vita di Satie sembra difettare di spunti, divaga attorno alle avventure assai più irrequiete di amici e colleghi (Ravel, Debussy, Stravinskij, Man Ray), diventando così una wunderkammer di eccentricità, quelle della vita parigina dei primi decenni del Novecento, quando le arti sfidavano le convenzioni e tentavano connubi inediti. Dalle poche, misurate pagine emergono facce diverse del compositore: si fa strada, sommessamente, un Erik Satie maestro – quasi suo malgrado – di una nuova generazione di compositori, un po’ alla maniera di Socrate, proprio lui che da autodidatta della musica aveva sempre sofferto di una sorta di complesso di inadeguatezza e verso i quarant’anni si era iscritto alla Schola Cantorum di Vincent D’Indy per imparare per benino il contrappunto. Ma non c’è solo il Satie adottato come nume tutelare da irrequieti modernisti: scopriamo anche il Satie collezionista di ombrelli che protegge dalla pioggia che potrebbe rovinarli, il Satie omino in nero, di un’eleganza incongrua, l’altrettanto incongruo pianista da bistrot, il dandy stilizzato, il puntuto polemista.
Qualcosa, in lui, ricorda il “Ravel” disegnato da Echenoz in un breve, nitido romanzo tradotto per Adelphi e di cui abbiamo già parlato: corporatura minuta, un distacco dal mondo che tende all’enigma, una casa-rifugio di piccolezza anch’essa indecifrabile, manie coltivate con puntiglio, amici in soccorso nei momenti più bui. Ma in Satie tutto è più modesto, pauperistico, incompiuto, anche tirato via, con minori pretese. Non a caso Ravel lo vediamo giganteggiare, da solo, in uno dei bei disegni di Maggioni: o meglio, a giganteggiare è una rutilante veste da camera, in cui Maurice avanza impettito e fiero a passo di marcia, sigaretta in mano. Un secondo importante collega che in un’altra illustrazione sovrasta il piccolo Erik è Stravinskij: nero, minaccioso, con la partitura del “Sacre du printemps” in mano, mentre sotto di lui il minuto Satie nemmeno trattiene in mano i foglietti su cui sono scritti i suoi titoli eccentrici, che svolazzano tutt’attorno.
Ecco, chi ha visitato il minuscolo museo di Honfleur ricavato nella casa natale di Satie, una boîte à musique colorata, divertente e affettuosa ritroverà lo stesso spirito in questo libretto che tralascia ogni puntiglio musicologico per ricreare un clima, un esprit perduto. Il Satie vero è proprio questo, l’inconsapevole e riluttante maestro delle avanguardie, usa con grazia pistole, macchine da scrivere, sirene e cannoni, e non ha niente a che fare con il melenso, annacquato compositore da spot pubblicitari a cui lo si riduce spesso oggi fraintendendo la carica innovativa delle “Gnossiennes” e delle “Gymnopedies”.
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