Dedichiamo questo commosso omaggio a Severino Cesari (Città di Castello, 30 novembre 1951 – Roma, 25 ottobre 2017), giornalista e curatore editoriale italiano, scomparso ieri sera all’età di 66 anni dopo una lunga malattia che, in questi mesi, ha raccontato sul suo profilo Facebook emozionando un enorme numero di affezionati lettori.
Con Paolo Repetti ha fondato la prestigiosa collana della Einaudi: “Stile Libero”.
Giorno 11 ottobre, su Facebook, Cesari aveva scritto: “Una promessa per rendere l’affetto che mi date, e al quale non sono in condizione di rispondere come vorrei: possa però tornare a ciascuno accresciuto della vostra energia, della vostra tenerezza, in una ghirlanda d’oro senza fine.
Una promessa, fino a che le forze lo permetteranno, io non vi lascerò mai“.
Riportiamo – di seguito – il messaggio dei famigliari di Cesari, la lettera di Paolo Repetti pubblicata su Repubblica e il ricordo di Rosella Postorino (tratto dal suo profilo Facebook). Condividiamo altresì un video di qualche anno fa dove Cesari racconta – in breve – la nascita di “Stile Libero”. In chiusura, un articolo di Luca Briasco (pubblicato su “Il Manifesto” del 27/10/2017)
* * *
Dal profilo Facebook di Severino Cesari (post del 26 ottobre 2017):
“Amiche carissime e amici carissimi di Severino, il nostro e il vostro amato non c’è più.
Vi ringraziamo immensamente per la presenza e la vicinanza di tutti voi, che avete messo radici profonde nel suo cuore e nella sua mente, e avete nutrito giorno per giorno la sua Cura.
Per chi volesse salutarlo per l’ultima volta, il funerale si terrà domani alle ore 14.00 a Roma, presso la Basilica Parrocchiale SS. Silvestro e Martino ai Monti, viale Monte Oppio 28.
Emanuela e Lorenzo”
* * *
La lettera aperta di Paolo Repetti pubblicata su Repubblica del 26 ottobre 2017
“Altri, con più lucidità e la giusta distanza sapranno dire meglio di me cosa ha rappresentato Severino Cesari – Seve – per il giornalismo e l’editoria italiana. Stasera, a pochi minuti dalla notizia della sua scomparsa, della scomparsa del mio fratello maggiore di avventure e imprese editoriali, posso solo dire il vuoto che lascia in me. Severino è stato un maestro dell’ascolto. Aveva la pazienza, il distacco, l’attenzione lucida di un monaco buddista. E tutte le virtù di un maestro di cerimonie. Della cerimonia che, insieme alla vita, ha amato di più: la letteratura. Spesso l’ho visto incantarsi davanti a un fiore, una montagna, un libro antico, una parola. E fermarsi lì, in ascolto. Eravamo così diversi e così uniti. Io, un impulsivo navigatore della superficie. Severino, piantato come una quercia che trae la sua linfa solo dopo aver messo radici. Non l’ho mai sentito esprimere un parere corrivo, orecchiato. Detestava il chiacchiericcio mondano sui libri. Per lui, su ogni parola, si giocava la bellezza e la verità di un testo. E non mollava l’osso fino a quando non ne fosse stato convinto. Poi, quando i libri finalmente uscivano, Severino si ritirava “in clandestinità”. Lasciava a me, a noi tutti la palla. Qualche volta provavo a convincerlo: “Seve, dovresti chiamare tu quel critico o quel giornalista, non lo fai mai!”. Lui annuiva. La telefonata magari la faceva, ma quando il libro era già uscito da mesi. La vita è stata generosa con lui. E sembra un paradosso dirlo di una persona martoriata negli ultimi anni dalla malattia. È stata generosa perché lui lo è stato con lei. Ecco l’insegnamento forse più grande che mi ha lasciato. Non esistono sventure che non sia possibile trasformare in un’occasione di sguardo verso un altrove. Severino lo ha fissato con candore, fino agli ultimi istanti, come stupito della forza invincibile che ha la vita, se la si attraversa con l’intelligenza di un cuore immenso. Ciao Severino, ora sta a noi, prendere una parte di te nelle nostre vite”.
* * *
Dal profilo Facebook di Rosella Postorino (post del 26 ottobre 2017):
Un mese fa sono andata a trovarlo. Rivedendolo dopo molto tempo, ho capito che quella era l’ultima volta, ma ho ingoiato l’angoscia e ho finto che non fosse così. Abbiamo parlato per due ore e mezza di libri, come accadeva prima che la malattia lo tenesse definitivamente lontano dalla casa editrice. Come accadeva nelle riunioni con gli altri, o anche solo in corridoio la sera tardi, quando non c’era più nessuno e uno dei due stava per andarsene, passava a salutare l’altro e cominciava a parlare; o il sabato mattina presto a colazione, che poi diventava spesso pure pranzo, perché non eravamo mai stanchi di parlare.
Di Severino ho sempre amato quella sua forma di incanto. Lui entrava in un libro, edito o inedito che fosse, come chi si avventura in un universo nuovo, da scoprire. Leggeva ancora, e sempre, con la stessa curiosità che doveva aver avuto da ragazzino. Con lo stesso entusiasmo. Ogni singolo testo, di qualsiasi autore, nel momento esatto della lettura diventava la cosa più importante del mondo. Perché lui leggeva senza pregiudizio, come se di ogni gesto tenesse a mente la dignità con cui era stato compiuto, anche e soprattutto del gesto della scrittura.
Era fine settembre, la finestra della sua camera era aperta sull’Esquilino; dopo l’iniziale timidezza che conoscevo così bene, e che quel pomeriggio mi ha spaccato il cuore – tanto che ho dovuto sbaragliarla con la mia esuberanza, abbracciandolo e riempiendolo di baci, per poi sedermi sul letto accanto a lui – Seve ha cominciato a parlare senza fermarsi più. Di letteratura, cioè della sua vita.
E io ripensavo a chi era stato lui nella mia, di vita.
Era stato la figura più vicina a un padre dopo mio padre. Con tutto il carico di sentimenti che questo comporta: per chiunque, e in particolare per una come me.
Era un amico, con cui condividere senza vergogna fragilità, dubbi e sogni.
Era una persona che aveva conosciuto a fondo la mia scrittura, cioè la parte più intima, più autentica, di me.
Sono diventata adulta dentro Stile Libero.
E così mi sono sentita quel giorno, seduta sul letto accanto a Seve: irreversibilmente adulta. Consapevole che lo avrei perso presto, eppure così grata, per tutto quel che mi aveva dato.
Molto di ciò che sono, io lo devo a lui.
* * *
[kml_flashembed movie="https://www.youtube.com/v/YoGZXZCEmCg" width="600" height="338" wmode="transparent" /]
* * *
Le amorevoli cure di un inventore di voci
di Luca Briasco (da “Il Manifesto” del 27/10/2017)
Esistono due modi per ricordare e rendere omaggio a Severino Cesari, dalle pagine del quotidiano cui ha dedicato quasi vent’anni del suo lavoro. Il primo consiste nel ricostruire un percorso intellettuale unico, che lo ha visto protagonista discreto e spesso silenzioso di quarant’anni di cultura italiana. Per farlo, occorre partire proprio dal manifesto, di cui ha curato le pagine culturali confezionando e lanciando «La Talpa», l’inserto dedicato interamente ai libri.
I libri sono stati i compagni di strada di Severino, gli oggetti, gli agglomerati di pensieri, idee, sogni, passioni che non ha mai cessato di interrogare, con un’attenzione al nuovo, una volontà incessante di scoprire e sdoganare nuove strade e tendenze, che dalle pagine culturali di un giornale lo hanno portato direttamente nel cuore dell’editoria. Prima con «Ritmi», la collana di Theoria nella quale, affiancando il compagno di progetti e avventure di una vita, Paolo Repetti, ha avviato un processo di ridefinizione delle categorie letterarie attento al fantastico, al genere, alle nuove frontiere del virtuale. Poi, a partire dal 1996 e sempre insieme a Paolo Repetti, con il progetto di Stile Libero, una mini collana di tascabili fortemente innovativa incistata nel cuore di un colosso come Einaudi e capace di crescere fino a trasformarsi in un vero e proprio sistema editoriale, il cui unico segno distintivo – contenuto nel suo stesso nome – era ed è sempre rimasto l’assoluta libertà di ricerca, e la capacità di intercettare non i bisogni consolidati dei lettori, ma quelli ancora allo stato latente: quel magma di idee e di impulsi creativi che non è ancora «libro», ma che ha già, in potenza, un pubblico di lettori pronto a intercettarlo e a identificarsi con esso.
È STATO LO STESSO SEVERINO, in un bellissimo pezzo pubblicato sulla Stampa lo scorso anno per il ventennale di Stile libero, a rievocare l’incontro con lo stato maggiore di Einaudi, dal quale scaturì non soltanto il via libera alla collana, ma anche l’autorizzazione a operare direttamente su Roma, con un livello di autonomia che non aveva precedenti, in via Biancamano: segno evidente della lungimiranza e dell’intuizione di Giulio Einaudi in persona, il quale del resto aveva già avuto modo di conoscere l’acume, il rigore e l’ampiezza e profondità di sguardo di Cesari in un lungo dialogo a distanza il cui frutto, Colloquio con Giulio Einaudi (pubblicato da Theoria nel 1991, poi riproposto dalla stessa Einaudi), rimane un autentico caposaldo nella storia della cultura e dell’editoria italiane.
Racconta Severino Cesari: «Avevamo questa idea, che libri e lettori diversi potevano parlarsi in una collana che faceva di tutto: narrativa italiana, straniera, varia, saggistica. La scommessa era tenere insieme comicità, fumetto, ricerca letteraria, crime… David Foster Wallace con Roberto Benigni, i ’giovani cannibali’ e le grandi star del crime italiano e internazionale. Ci avrebbe pensato il lettore a unire con la matita gli infiniti puntini che dividevano un libro dall’altro. Che cosa faceva di un libro uno Stile libero? Una ’corrispondenza di amorosi sensi’ tra parole forse lontane».
Davvero il compito era affidato al solo lettore? Certamente spettava a lui unire i puntini, ma a segnare la traiettoria, a garantirne l’esistenza stessa, c’era il lavoro di una squadra di menti pensanti, di cui Cesari è stato ispiratore, mentore e maestro. Con un intuito che rasentava la rabdomanzia e una capacità di immedesimazione empatica con l’autore e le sue emozioni che non aveva quasi precedenti, Severino ha saputo trovare non in una ma in dieci, cento occasioni, «quell’unico elemento che permette di fare un libro come fosse ogni volta la prima volta»: un elemento che, ci ricorda l’articolo cui stiamo attingendo, non è, in fondo, nient’altro che una voce.
SU QUESTO PUNTO, Cesari non avrebbe potuto essere più netto: «O l’autore e il libro hanno una voce che può anche non piacerti ma non si era sentita, o non ha senso sperare di rispondere alla segreta domanda di senso di un lettore che ancora non si è neppure manifestato. Tutto qui, in fondo. Ma tu lo sai che c’è, questo lettore, questa lettrice, e aspetta il libro che non c’è ancora, l’autrice sconosciuta che tu pubblichi tremando e diventa inaspettatamente un successo. Perché ha interpretato un bisogno nascosto, non ancora espresso, ma che doveva avere per forza un rapporto con la voce che qualcuno degli editor aveva sentito».
Il frutto di questa ricerca ventennale è sotto gli occhi di tutti: da Niccolò Ammaniti e Simona Vinci ai Wu Ming; da Carlo Lucarelli e Giancarlo De Cataldo a Maurizio De Giovanni, fino agli ultimi, fulminanti esordi, che si chiamino Giacomo Mazzariol o Luca D’Andrea, Stile libero ha ridisegnato i confini della narrativa italiana, proponendo nuove chiavi di lettura e di ricerca, in una perenne e rinnovata caccia ai bisogni nascosti e inespressi di un lettore mai così virtuale e reale al tempo stesso. E di tutti questi autori Severino è stato editor, lettore appassionato, punto di riferimento, attraverso una predisposizione all’ascolto che aveva qualcosa di mistico.
Non a caso, quasi tutti i suoi editing si concludevano con una lettura ad alta voce del testo, affidata all’autore, che Cesari accompagnava con il capo leggermente reclinato, teso a percepire le minime sfumature di tono, pronto a intervenire anche solo per proporre una pausa, una virgola in più, un dettaglio anche minimo, ma necessario perché la voce dello scrittore emergesse in tutta la sua potenza e novità.
Questo, dunque, è un primo modo per rendere omaggio a Severino Cesari, e sarebbe già di per sé sufficiente a farne percepire la statura intellettuale e umana. Ma non spiegherebbe lo straordinario fenomeno che, in queste ore, si sta verificando sui social media, e in particolare sulla sua pagina Facebook. Si moltiplicano testimonianze, saluti, ricordi, in un clima nel quale la malinconia di amici, scrittori, colleghi, si arricchisce quasi ogni volta di una nota di serena gratitudine. È stato Gianni Riotta, amico di lunga data e compagno nell’avventura al manifesto, a sintetizzare nel modo migliore il carattere davvero senza precedenti di quanto sta accadendo, quando in un suo breve status scrive: «Chi predica che i social media stiano creando un deserto di sentimenti umani, disperdendo le comunità, farebbe bene a dare una reverente occhiata oggi alla pagina di Severino Cesari e leggere assorto le migliaia di fiori digitali, le parole e i pensieri, deposte in omaggio alla città invisibile che aveva creato».
QUANDO LA MALATTIA che lo ha piegato si è manifestata per la prima volta, Severino ha deciso di trasformarne il senso. Anziché ribellarsi l’ha accolta e ne ha ascoltato il messaggio, trasformandola in paradossale opportunità per un esercizio il cui fine ultimo era il riscatto attraverso la cura. Cura non solo medica; cura dell’anima, ricerca di un difficile punto di equilibrio tra il lento, inevitabile decadere del corpo e il pieno, inusitato godimento di spazi vitali tanto più preziosi in quanto sottratti alla scontatezza dell’abitudine, e restituiti al loro valore più autentico.
QUESTO PERCORSO, Severino ha voluto condividerlo: aprendo una pagina Facebook – lui che ai social si era accostato con sospettosa prudenza, studiandoli a lungo da lontano – e scandendo il percorso della cura in un susseguirsi di racconti, pagine di diario, commenti sui suoi autori e sui libri più amati. Con scrittura tersa, elegante, ironica, ha saputo raggruppare attorno a sé una comunità di lettori innamorati della sua voce, ricreando, stavolta da autore, quella corrispondenza di amorosi sensi che aveva inseguito per una vita intera dedicata all’editoria.
Con molta cura, si intitola il libro che Severino ha costruito partendo dai suoi post, e al quale ha lavorato fino all’ultimo giorno: ed è la cura, per le voci, per gli autori e, da ultimo, per i suoi amici, virtuali e non, che ci lascia in eredità. Nella cura, più che in ogni altra cosa, stanno le ragioni della sua grandezza.
* * *
LetteratitudineBlog / LetteratitudineNews / LetteratitudineRadio / LetteratitudineVideo