Sono passati dieci anni da quel 10 gennaio 1999, data che segna la morte di Fabrizio De André: cantautore e poeta italiano.
Non è per caso che ho scritto la parola “poeta” in corsivo. Lo stesso De André ebbe modo di affermare (nell’ambito del programma televisivo “La storia siamo noi”) quanto segue: “Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d’arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, là dove manca l’esuberanza creativa“.
Be’, non so se sarete d’accordo, ma a mio modo di vedere Fabrizio De André – oltre a essere stato un grande cantautore – è stato anche un poeta. E di quelli da ricordare.
Sul quotidiano “La Stampa“, Marinella Venegoni ne scrive così:
“Felicemente sommersi dal ricordo di De André, nel decimo anniversario della sua scomparsa che ricorre domenica, scopriamo che è uno dei pochi, Fabrizio, che l’Italia senza memoria non abbia dimenticato. La tv generalista, così ritrosa sempre quando si tratta di affrontare la musica d’autore, si è in qualche modo buttata sul decennale con alcuni dei suoi campioni più attenti e sensibili. (…)
E mentre Dori Ghezzi sgobba fra una telecamera e l’altra, fra un microfono e una mostra, a portare a galla il suo amore e a rinnovare il suo dolore, mentre il figlio Cristiano rumorosamente tace, viene in mente che a Fabrizio piacerebbe pochissimo questo mondo che in dieci anni è così tanto cambiato da non riuscire più a cogliere il respiro dell’arte nella musica popolare. La musica popolare è stata venduta alle dinamiche dell’imitazione e del riciclo, destinata a modalità che regalano assonanze di deja vu, basate sull’indagine di gradimento nel mondo dei consumatori. Prodotti seriali vagano sul web, e nessuno è più capace a raccontare come lui faceva la storia altra degli uomini, delle loro sofferenze, delle diversità. In questo senso Fabrizio De André (e con lui alcuni autori di razza viventi ma in difficoltà oggi, rispetto alla logica del consumo di massa) continua anche ora che da dieci anni non c’è più, a riempire un vuoto che si farà sempre più grande.
Forse è proprio nell’inconsapevole coscienza di questo vuoto che l’anniversario di De André si è riempito al di là di ogni logica contemporanea. E’ un’autentica esplosione di celebrazioni non si sa quanto meditate, anarchicamente lievitate, dischi e libri e mostre, che fanno pure sperare a chi ha lavorato con lui di poter ritornare nel cono di luce tristemente abbassato. Il logico e l’illogico convivono con disinvoltura, gomito a gomito: un po’ l’opposto di quanto accade per Lucio Battisti, il cui ricordo viene perennemente ostacolato dalla vedova per ragioni che restano misteriose”.
(…)
Purtroppo, celebrare Fabrizio serve anche a lavarsi la coscienza. Vediamo il caso delle radio: il mezzo che più avrebbe potuto contribuire a mantenere viva la sensibilità musicale e a coltivare il gusto popolare, sempre più sprofonda sotto le logiche del motivetto accattivante e del ritornello chewing-gum, e da anni ignora i nomi di qualità con le scuse più bieche. Però ora mille testate stanno in fila orgogliose a proclamare il loro affetto per quest’artista del quale forse – se vivesse – non trasmetterebbero nuovi pezzi se non assai eccezionalmente.”
È probabile che Marinella Venegoni abbia ragione. In ogni caso, Fabrizio De André mi piace ricordarlo anche qui… sebbene in questi giorni non manchino – appunto – articoli sui giornali e puntate televisive a lui dedicate.
Vi invito a scrivere un pensiero per celebrare questo decennale (se ne avete voglia).
E poi…
Qual è, per voi, la canzone più bella di De André?
Qual è quella che ricordate con maggior nostalgia e affetto?
Infine vi invito a commentare la citazione di De André di origine “crociana” che ho riportato all’inizio del post. Sarà vero che “fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini”?
Massimo Maugeri
P.s. Qui sotto ho inserito tre video: scoprite quali sono…
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Il primo pensiero che mi viene in mente è questo: sono passati dieci anni, ma mi sembra ieri…
Banale, ma sincero.
Io continuo ad ascoltarle, le canzoni di De André.
Voi?
E cosa ne pensate di De André?
Lo apprezzate? Lo amate?
Vi lascia indifferenti?
Poi, rispetto alle sue canzoni…
Qual è, per voi, la più bella ?
Qual è quella che ricordate con maggior nostalgia e affetto?
“Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini”.
È proprio così?
bel post. io ho sempre avuto idiosincrasia per gli interventi lunghi ma, in questo caso, potrei contravvenire alle mie abitudini e non voglio. quindi, intanto, penso.
io l’ho amato, ed era un poeta…e fino a 18 anni tutti scrivono poesie, dopo? solo qualcuno prosegue. la mia canzone: Amore che vieni amore che vai, senza dubbio alcuno. Ciao.
Dormi sepolto in un campo di grano, non e’ la rosa, non e’ il tulipano che ti fan veglia dall’ombra dei fossi ma sono mille papaveri rossi.
“Lungo le sponde del mio torrente voglio che scendano i lucci argentati, non più i cadaveri dei soldati portati in braccio dalla corrente”.
Così dicevi ed era d’Inverno e come gli altri, verso l’inferno te ne vai triste come chi deve ed il vento ti sputa in faccia la neve.
Fermati Piero, fermati adesso, lascia che il vento ti passi un po’ addosso, dei morti in battaglia ti porti la voce, chi diede la vita ebbe in cambio una croce.
Ma tu non lo udisti ed il tempo passava con le stagioni a passo di “java” ed arrivasti a varcar la frontiera in un bel giorno di Primavera.
E mentre marciavi con l’anima in spalle vedesti un uomo in fondo alla valle che aveva il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore.
Sparagli Piero, sparagli ora e dopo un colpo sparagli ancora, fino a che tu non lo vedrai esangue cadere in terra a coprire il suo sangue.
“E se gli sparo in fronte o nel cuore soltanto il tempo avrà per morire, ma il tempo a me resterà per vedere, vedere gli occhi d’un uomo che muore”.
E mentre gli usi questa premura quello si volta, ti vede, ha paura ed imbracciata l’artiglieria non ti ricambia la cortesia.
Cadesti a terra, senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che il tempo non ti sarebbe bastato a chieder perdono per ogni peccato.
Cadesti a terra, senza un lamento e ti accorgesti in un solo momento che la tua vita finiva quel giorno e non ci sarebbe stato ritorno.
“Ninetta mia, crepare di Maggio ci vuole tanto, troppo coraggio.
Ninetta bella diritto all’Inferno avrei preferito andarci in Inverno”.
E mentre il grano ti stava a sentire dentro le mani stringevi il fucile, dentro la bocca stringevi parole troppo gelate per sciogliersi al sole.
Dormi sepolto in un campo di grano, non e’ la rosa, non e’ il tulipano che ti fan veglia dall’ombra dei fossi ma sono mille papaveri rossi.
U mæ ninin u mæ
u mæ
lerfe grasse au su
d’amë d’amë
tûmù duçe benignu
de teu muaè
spremmûu ‘nta maccaia
de stæ de stæ
e oua grûmmu de sangue ouëge
e denti de laete
e i euggi di surdatti chen arraggë
cu’a scciûmma a a bucca cacciuéi de bæ
a scurrï a gente cumme selvaggin-a
finch’u sangue sarvaegu nu gh’à smurtau a qué
e doppu u feru in gua i feri d’ä prixún
e ‘nte ferie a semensa velenusa d’ä depurtaziún
perché de nostru da a cianûa a u meü
nu peua ciû cresce aerbu ni spica ni figgeü
ciao mæ ‘nin l’ereditæ
l’è ascusa
‘nte sta çittæ
ch’a brûxa ch’a brûxa
inta seia che chin-a
e in stu gran ciaeu de feugu
pe a teu morte piccin-a
===
===
===
SIDONE
Il mio bambino il mio
il mio
labbra grasse al sole
di miele di miele
tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell’afa umida
dell’estate dell’estate
e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca
cacciatori di agnelli
a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico
non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione
perché di nostro dalla pianura al modo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio
l’eredità è nascosta
in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte.
ah benedetto croce, chissà cosa pensava sui filosofi a volte cretini….naaa la poesia sta nel respiro, il respiro é ovunque a volte si fa carne a volte si fa carta spesso é alito nn sempre fresco, a volte cessa, ma sempre lascia traccia, la poesia neutrale senza giudizio, quella ci appartiene veramente quando abbiamo sedici anni, ma anche quando abbiamo le rughe, è come l’innamoramento chissenefrega della differenza di età, per esempio, qualsiasi differenza…io adoro l’invenzione di internet, sul web navigano incuranti le poesie, tante e chiunque può digitarla, per me é una grande libertà, magari nn sono capolavori, questa é l’epoca dell’apertura, della scoperta creativa che sta in ognuno, questo é il capolavoro, de andré è un capolavoro, nessuna canzone in particolare, tutte, in questo periodo “la guerra di piero”, i veri poeti di oggi sono i cantautori, le loro parole che volano nelle nostre bocche quando lavoriamo, quando guidiamo, altro che i cretini, i cretini a volte mi sembrano qelli vestiti da mummie nei palazzi che definiscono vera cultura e afferamno che solo montale e quelli come lui sono veri poeti, sarà pure vero chi può dirlo ma così dicendo uccidiamo la poesia che é in noi.
de andré? io lo vedevo in ogni ragazzo che suonava la chitarra o quando pomiciavo con uno di loro immaginavo il sorriso di andrea, lo amavo, lui era per me un poeta e mi toglieva anche l’impiccio di affaticarmi nella lettura, ascoltarlo anche il senso di rabbia si addolciva, lui insegnava anzi continua a farlo, perché de andré é morto? ora mi vado ad ascoltare lui con la pfm semplicemente favolosi e in tanti si accorsero di lei…
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent’anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent’anni
figlio d’un temporale
c’è un dollaro d’argento sul fondo del Sand Creek.
I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte
chiusi gli occhi per tre volte
mi ritrovai ancora lì
chiesi a mio nonno: “è solo un sogno?”
mio nonno disse “sì”
a volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek
Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
il lampo in un orecchio nell’altro il paradiso
le lacrime più piccole
le lacrime più grosse
quando l’albero della neve
fiorì di stelle rosse
ora i bambini dormono nel letto del Sand Creek
Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c’erano solo cani e fumo e tende capovolte
tirai una freccia in cielo
per farlo respirare
tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare
la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent’anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent’anni
figlio d’un temporale
ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek
penso che Croce l’abbia “copiata” da Leopardi… potrei ricordare male perché l’ho letto troppi anni fa, ma mi pare che nello Zibaldone fosse lo stesso Leopardi a sostenere che il sentimento lirico è proprio dell’infanzia del mondo (si riferiva all’antichità, per essere chiari). Alla scoperta del “nudo vero” che avviene alla maturità (che in scala storica potremmo far coincidere con l’illuminismo, se vi va) il sentimento lirico diventa impossibile, la “razio” lo inibisce, diciamo così. Penso che non sia affatto così (ammesso che io abbia riportato correttamente il pensiero di Leopardi, non ne sono sicuro, è una reminescenza), secondo me c’è un sentimento lirico giovanile che è im-mediato e “irruento”, poi c’è n’è uno proprio della maturità che è mediato e molto più interessante, almeno per me.
–
quanto a De Andrè, riporto il “botta e risposta” col Capo di qualche giorno fa.
–
Sono tante (troppe) le cose che non capisco. Ad esempio la poesia di De Andrè non ho mai capito quale sia. Ho appena visto lo speciale in tv e tutti a definirlo poeta, perciò così dev’essere. Perfino Ferroni ha inserito “Marinella” nella sua storia della letteratura, dunque sono irrimediabilmente condannato a non capire. A me pare un trionfo del kitsch sentimentale (ah, grande Kundera, come lo spieghi bene tu il kitsch!), ma deve essere per una mia personale e grave deficienza.
Che alcune canzoni di Lucio Dalla fossero opera di un poeta “professionista” (Roversi se non sbaglio) l’ho capito da me, solo dopo molto tempo sono andato a controllare.
Invece la poesia di De Andrè continua a sfuggirmi e ahimè ormai mi sfuggirà per sempre. Fino a Oretta ci arrivo; con De Andrè non mi riuscirà mai di considerarlo -né musicalmente né come scrittore- più (e spesso meno) di uno stornellatore
rex ex-ex
–
Di Stefano Lunedì, 05 Gennaio 2009
Ti sbagli, caro rex. Non so se De André sia un poeta (credo di no, se consideriamo i testi in sé) ma certi suoi versi hanno una indubbia forza poetica (in musica): “Come potrò dire a mia madre che ho paura…”.
La chiamavano bocca di rosa
metteva l’amore, metteva l’amore,
la chiamavano bocca di rosa
metteva l’amore sopra ogni cosa…..
Poesia. Narrazione. Musica.
Qui c’è tutto.
….Lo dedico a chi ha bocca di rosa.
http://www.youtube.com/watch?v=0jJYA9xaqcs
Per 10 anni dal 1969 al 1979 il cantante fu tenuto sotto controllo
fino al sospetto più incredibile: “E’ un simpatizzante delle Br”
“Quel terrorista di De Andrè” – Così la polizia schedò il cantautore
–
di MIMMO FRANZINELLI
–
TRA I possibili approcci alla musa di Fabrizio De André, il tema del potere è tra i più suggestivi, considerato che attraversa l’intero arco della sua produzione, dalla traduzione delle ballate di Georges Brassens (da “Il gorilla” a “Morire per delle idee”) a un brano come “Il testamento di Tito”, grondante ribellione esistenziale. Un potere non soltanto politico, ma che snatura la religione e s’insinua anche in ambito familiare. L’intero canzoniere del musicista genovese dispiega valenze libertarie, che hanno influenzato una parte significativa della generazione del ’68 e ancora oggi parlano ai giovani.
De André non si è mai atteggiato ad agit-prop. Ciò nonostante, la polizia lo ritenne un personaggio infido e pericoloso. A ridosso dell’attentato di piazza Fontana gli attivisti dell’ultrasinistra sono sottoposti a perquisizioni e interrogatori. Tra le centinaia di extraparlamentari inquisiti figura un certo Isaia Mabellini, in servizio di leva con gli alpini, considerato dal questore di Brescia un marxista-leninista; in calce alla relazione inviata il 20 dicembre 1969 alla Direzione generale della PS, un’osservazione significativa: “É in rapporto di amicizia con tale De André Fabrizio, non meglio generalizzato, ligure, universitario a Milano, filo cinese, noto cantautore e contestatore”. Con inflessibile logica burocratica, la segnalazione coinvolge il musicista nelle indagini; dal ministero dell’Interno chiedono infatti ragguagli al questore di Brescia, Manganiello che il 25 maggio 1970 aggiorna il fascicolo Milano – Roma – Attentati dinamitardi del 12.12.1969: “Le Questure di Milano e Genova sono pregate di identificare il De André Fabrizio e fornire sul suo conto dettagliate informazioni direttamente”.
Nel giro di un paio di settimane la questura di Genova redige una circostanziata scheda: “Il De André Fabrizio, noto cantautore, pur essendo studente universitario fuori corso in giurisprudenza, si interessa di questioni artistiche, provvede alla incisione dei dischi delle proprie canzoni, ha effettuato qualche spettacolo in televisione, ma non appare mai nei pubblici teatri. Accompagnato sempre dalla moglie, viaggia a bordo dell’auto Fiat 600 targata GE-293864 ed è titolare del passaporto nr. 5191279 rilasciato a Genova il 10.12.1969. Non risultano precedenti penali a suo carico, salvo una denuncia, risalente al 28.8.1959 ad opera della Polizia di frontiera di Bardonecchia, per danneggiamento su edificio destinato al culto. In linea politica, pur non essendo aderente ad alcun partito o movimento – viene indicato come simpatizzante per l’estrema sinistra extraparlamentare e frequenta, in Genova, persone note per tale orientamento o favorevoli al PCI e al PSIUP”.
Alla vicenda s’interessa il questore di Milano Marcello Guida, assertore della pista rossa per la bomba stragista, che fa sorvegliare le frequentazioni milanesi del “sedicente De André”: “Il predetto De André, cantautore, viene regolarmente in questo capoluogo ogni mese, alloggiando sistematicamente all’Hotel Cavour in questa via Fatebenefratelli n. 21 e ripartendo il giorno successivo, dopo aver preso contatti con dirigenti di case discografiche”. Per qualche tempo l’attenzione investigativa si affievolisce, tranne riprendere con maggiore insidiosità nel giugno 1976, quando l’Antiterrorismo relaziona sull’acquisto di “un appezzamento di terreno in località Tempio Pausania (Sassari) dove intenderebbe istituire una comune per extraparlamentari di sinistra. Nei periodi di permanenza in Genova, lo stesso avrebbe contatti con elementi appartenenti al gruppo anarchico ed a quello filocinese. Il De André è persona nota a codesto Ministero”.
L’antiterrorismo ligure accerta che il musicista è “emigrato in data 12/3/1976 a Tempio Pausania” e invia all’Ispettorato Generale per l’Azione Contro il Terrorismo e al Nucleo Antiterrorismo di Cagliari un nutrito rapporto, in cui si registra la sua adesione al Comitato genovese per la difesa del divorzio, come se rivestisse risvolti penali.
Trascorso un triennio, un aggiornato promemoria viene inserito dal SISDE in due distinte collocazioni archivistiche: “Brigate Rosse – Varie” e “Fabrizio De André”. Stavolta il cantautore viene definito senza mezzi termini un simpatizzante dei terroristi e un loro finanziatore: “Secondo la nota fonte confidenziale il Circolo “Due Porte” è una recente creazione di copertura per le Brigate Rosse. In esso si tengono normali riunioni di circolo politico-ricreativo e riunioni ristrette per l’organizzazione eversiva. Lo stesso Circolo deve servire da strumento economico e la raccolta dello sfruttamento dei fondi economici necessari alle Brigate Rosse. Una delle prime iniziative è stato lo spettacolo del cantautore Fabrizio De André alla Fiera del Mare. Il cantante, simpatizzante delle BR, è stato invitato da il “Due Porte””.
I malevoli investigatori ignorano la produzione artistica del musicista, che nel 1973 – quando il terrorismo di sinistra era in incubazione – dedica il 33 giri Storia di un impiegato a un sessantottino deluso tramutatosi in giustiziere proletario, visitato da incubi notturni in cui il sistema si fa beffa di lui e lo utilizza per rafforzarsi: “Noi ti abbiamo osservato dal primo battere del cuore / fino ai ritmi più brevi dell’ultima emozione, / quando uccidevi, favorendo il potere / i soci vitalizi del potere ammucchiati in discesa / a difesa della loro celebrazione”.
Pur senza disporre di riscontri minimamente verosimili, questori e agenti investigativi diffidano di De André, indirettamente ricollegato all’eccidio di Milano e poi trasformato in fiancheggiatore delle Brigate Rosse… Un’immagine totalmente fantastica, frutto di ottusità e di pregiudizio, oltre che di abissale incomprensione. Più che su De André, questi rapporti segnaletici ci informano sulla mentalità dei loro estensori: inadeguati sul piano professionale, disponibili a dare ombra a fantasmi, secondo i desideri dei loro superiori, in un pauroso deficit di cultura democratica.
(10 gennaio 2009)
“Non avrai altro Dio all’infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse venute dall’est
dicevan che in fondo era uguale.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:
ma forse era stanco, forse troppo occupato,
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
davvero lo nominai invano.
Onora il padre, onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:
quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quanto a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni
entrare nei templi che rigurgitan salmi
di schiavi e dei loro padroni
senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Il quinto dice non devi rubare
e forse io l’ho rispettato
vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato:
ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.
Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami
così sarai uomo di fede:
Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore:
ma non ho creato dolore.
Il settimo dice non ammazzare
se del cielo vuoi essere degno.
Guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno:
guardate la fine di quel nazzareno
e un ladro non muore di meno.
Guardate la fine di quel nazzareno
e un ladro non muore di meno.
Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino,
e scordano sempre il perdono:
ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Non desiderare la roba degli altri
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:
nei letti degli altri già caldi d’amore
non ho provato dolore.
L’invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.
Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:
io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore”.
Io amo incredibilmente “La buona novella” Di De Andrè, anche se certi arrangiamenti sono un tantinello datati o disturbanti, m a solo “Tre madri” mi sembra un capolavoro di vertigine etica, poetica, religiosa.
“Con troppe lacrime piangi Maria
solo l’immagine di un’agonia
sai che alla vita il terzo giorno il figlio tuo farà ritorno
lascia noi piangere un po’ più forte
chi non risorgerà più dalla morte”
e alla fine.
” Non fossi stato figlio di Dio, t’avrei ancora per figlio mio”.
Che poi alla fine è qui
http://www.youtube.com/watch?v=wUhrjoW1bsI
Gea ci avemo la sincronicità testuale dischistica:)
(preciso che “razio” è una mia invenzione; l’ho proposta alla crusca ma loro insistono con ratio: io invece preferisco parlare come mangio e dico razio. Si dice razio, per me sbaglia chi insiste con ratio: gli eruditi hanno sempre torto, viva la cultura e abbasso l’erudizione)
–
Purtroppo io non posso partecipare al gioco di proporre una canzone di De Andrè perché è uno dei rari cantanti di cui proprio non me ne piace neppure una, anche se come personaggio mi era simpatico.
Difficile rispondere alla domanda: Qual è la canzone più bella di De Andrè? Io le ho tutte e quando le sento non posso fare a meno di commuovermi. De Andrè era indubbiamente un poeta ma ache un uomo di grande umanità e di grande spiritualità Tantissimi anni fa accesi la radio. Stava trasmettendo la guerra di Piero. Era appena cominciata. Nessuno aveva nominato l’ autore. Ricordo che provai un’ emozione profondissima, di gioia per la bellezza della musica e dei versi, di dolore per il contenuto. Per molti anni non seppi di chi fosse quella meraviglia. Poi, in una delle tante marce della pace Perucia- Assisi alle quali ho partecipato lessi i versi della Guerra di Piero in un foglio che veniva distribuito Come tutti i grandi poeti Frabrizio aveva il dono di trasformare in bellezza e poesia anche gli orrori. Un esempio per tutti:
Il fiume del Saint Cree. Scusate il mio inglese. Saluti a tutti. Franca.
E cosa ne pensate di De André?
Tutto il bene possibile. Un cantautore geniale, con una voce meravigliosa. Forse il cantautore che ho amato di più.
Canzoni. Qual è, per voi, la più bella ?Qual è quella che ricordate con maggior nostalgia e affetto?
Sono tante le canzoni belle che hanno segnato un’epoca della nostra vita.
Amo molto La guerra di Piero e Dormono sulle colline, una rivisitazione di Lee Masters meravigliosa. Da poeta. Ma ce ne sono tante altre.Ad esempio Creüsa de mar. Splendida.
Quanto a Croce, la sua è una sintesi forse brutale, ma sostanzialmente condivisibile. Contro il dilettantisimo allo sbaraglio di chi non legge i poeti autentici, ma pretende di scrivere versi. Sono tanti.
De André mi manca. Per me la sua canzone simbolo é Bocca di rosa, che celebra la voglia di vivere (…lei lo faceva per passione…) e il rifiuto dell’ipocrisia (…dà buoni consigli chi non puo’ più dare cattivo esempio…).
Dire quale sia la più bella é difficile, ma quella che mi dà i brividi ogni volta che l’ascolto é il cantico dei drogati.
Sarò banale, ma non me ne frega niente: La canzone di Marinella è una tra le più belle canzoni di sempre. Nella interpretazione in duetto (Mina-De Andrè), arrangiata da Massimiliano Pani è addirittura da brividi.
Poi ve ne sono tante altre bellissime, e che ho sempre amato. E tra i suoi lavori più tardi l’ellepì Creuza de ma è un capolavoro assoluto. Le Nuvole è più vario, forse per questo anche più facile. Ma non ha la stessa forza “unitaria”.
“…ANCHE SE VOI VI CREDETE ASSOLTI, SIETE LO STESSO COINVOLTI…”
Ascoltarlo ed ascoltarlo ancora, come se non fossero passati gli ultimi decennii. Incantevole De Andrè.
Lauretta.
Farei prima a dire quali sono le canzoni di De André che mi lasciano indifferente. Forse nessuna.
La più bella – dando al superlativo solo un senso soggettivo, s’intende – cioè quella che mi ha sempre commosso di più per la compassione che contiene (cum-pateor, soffro con te e non per te, ti capisco, condivido), è LA BALLATA DEI SUICIDI.
Quella che ricordo con una nostalgia lancinante è LA CANZONE DELL’AMORE PERDUTO.
Ma anche LA GUERRA DI PIERO. Mi faceva piangere quando ero ragazza e continua a farmi venire il magone.
Non sono d’accordo con l’affermazione, di Croce, non condivido mai le affermazioni nette e assolutistiche. E’ talmente difficile definire un poeta…
«I giovani hanno quasi tutti il coraggio delle opinioni altrui.» Ennio Flaiano. Purtroppo alla mia età questo coraggio viene meno, e come lo rimpiango…
E’ giusto il tributo a un artista così serio e importante. Una voce bellissima, solo il sentirla riempie di emozione. Anche le canzoni sono molto belle.
Però a me mettono malinconia, forse per i ricordi che mi fanno venire in mente.
Amava molto la nostra terra, anche se con lui era stata ingrata e aveva ripagato con un rapimento il suo amore per una terra rude.
La sua intelligenza gli aveva permesso di perdonare e di amare le persone che pur vivendo nella terra rude, rudi non erano.
A me piacciono le sue canzoni in genovese.
http://www.youtube.com/watch?v=vuWy9f-QAWQ
…
PRIMA DI QUALSIASI CONSIDERAZIONE VORREI CHE VEDESTE QUESTA COSA DI DUE MINUTI, è la prova ontologica che Faber era antropologicamente un poeta, fisicamente un poeta, lo sarebbe stato anche se avesse costruito origami di carta in un camino acceso.
…
Fabrizio De Andrè è andato via come se si pensionasse dalla vita, nonostante la bellezza della sua presenza sulla terra, probabilmente aveva già detto tutto.
Non possiamo sapere se stesse per comprenderlo e di conseguenza avesse potuto abdicare ad un silenzio regale, la sua scomparsa però, ha reso grandissimo ancor di più tutto il suo percorso.
…
Marinella Venegoni, su “La Stampa” ha parlato di “silenzio rumoroso” di Cristiano, ma qualcuno ha sentito mai parlare del figlio di Berlinguer, del figlio di De Gaulle, e di Chaplin o di Sinatra, per non parlare di Che Guevara?
I figli dei grandi non potranno mai essere grandi.
…
Non mi sembra giusto fare un processo alla storia, del perchè le sue canzoni fossero censurate in radio, il tempo va’ sempre compreso per quello che è. Molte trasmissioni di Mediaset o Rai odierne, in quegli anni sarebbero state chiuse per pornografia (forse giustamente).
Faber è stato il Neruda italiano; recitava le sue poesie musicandole e, tra guerre, misfatti e ipocrisie, il melange finale era sempre il dantesco: “E’ l’amor che move il sol e l’altre…”
…
“Stasera il Michè, s’è impiccato ad un chiodo perchè, non voleva restare cent’anni in prigione lontano da te…”
Vi invito a scrivere un pensiero per celebrare questo decennale (se ne avete voglia).
E poi…
Qual è, per voi, la canzone più bella di De André?
Qual è quella che ricordate con maggior nostalgia e affetto?
VLa canzone dell’amore perduto, che ho riscoperto grazie a un Battiato in stato di grazia… “… ma come fan presto amore ad appassire le rose così per noi”.
Poi il Cicirinella e il suo caffè ironico, disincantato, tenero.
Il figlio Cristiano e la sua canzone “Dietro la porta” ad un Sanremo di tanti anni fa mi piacciono tanto e capisco la sua distanza dalle celebrazioni, specco ipocrite e finte. Pensiamo alle lacrime di coccodrillo su Mia Martini.
x Didò: sono andato a vedere la prova ontologica da te proposta e mi è sembrata la peggiore esecuzione mai ascoltata di quella vecchia canzone massicana (pare ch erisalga addirittura all’800), eseguita da migliaia di gruppi molto meglio di lui, con quella sua pronuncia ispano-genovese decisamente un po’ penosa: ma se tu ci vedi la prova ontologica della capacità poetica del Nostro, per me va benissimo, sia chiaro.
Tu quoque Maria Lucia… beh allora mi arrendo, De Andrè non era uno stornellatore. D’altra parte che posso capirne io, a me piace Califano!!
Poesia: prima e dopo i diciotto anni.
Solitamente chi ha scritto poesie prima dei diciotto anni continua a farlo anche dopo, per un suo bisogno di trasferire sulla pagina il proprio sentire.
Si diventa però cretini quando si PRETENDE di vedere pubblicate ad ogni costo quelle esternazioni emozionali che soltanto l’autore considera
POESIA.
Cordialmente,
Marisa Magnani
Poesia prima e dopo i diciotto anni.
Chi ha scritto poesie prima dei diciotto anni, solitamente continua a farlo per un sua esigenza di fissare sulla pagina scritta il proprio sentire.
Si diventa CRETINI quando si PRETENDE ad ogni costo di pubblicare quelle esternazioni emozionali che soltanto l’autore considera POESIA.
Cordialmente,
Marisa Magnani
Fabrizio De Andrè è stato uno dei rari cantautori che ha saputo dire qualche cosa di nuovo. I suoi testi sono poesie con accompagnamento musicale, per cui definirlo anche paroliere mi sembra francamente estremamente riduttivo.
Non ho preferenza per una canzone, perchè per me tutte si equivalgono. Quella che però ricordo con nostalgia è la canzone di Marinella, struggente e dai versi di per se stessi assai musicali.
Un pensiero specifico per De Andrè non mi viene, però penso possa calzare questa mia poesia dedicata ai poeti che scompaiono.
Il destino del poeta
Un passo lieve
un’ombra silenziosa
sfiora la terra
svela ad altri
l’intonsa realtà
oltre l’evidenza.
La luce che si spegne
nessun clamore
resta solo il verbo
a far pensare
nel tempo a venire.
Doloroso @Rex,
ridurre “Cielito Lindo” ad una vecchia canzone messicana dell”800 e, un’esecuzione transnazionale, un jouex divertito ed onorante della cultura sudamericana a “penosa esecuzione” mi fa comprendere che non ami De Andrè.
Neanche io amo Califano, però non dibatto sulla grandezza delle sue trombate alle 4 del mattino sui pianoforti dei postriboli dove era solito rifugiarsi, su siti web, dove non dispero che qualcuno lo commemori, tra un piatto di trippa e ‘na pajata; non ci vado in quei posti.
Spero che tu, vedendo una qualche vecchia recita in bianco e nero di Eugenio Montale non dica: “Chi sarà mai ‘sto rimbambito che vaneggia”!
Tutto il resto è noia.
Ho celebrato la tua poesia ,caro Fabrizio De Andrè, fin dagli anni lontani quando ancora eri più conosciuto per il tuo sequestro e per la tua fattoria in Sardegna. Amo le parole dei tuoi versi perchè in essi c’è carne e sangue così come a me piace la poesia.
Il fatto che questa bella tua mente e questo tuo cuore pulito non ci sia più con la sua persona in mezzo a noi mi dà dolore.
Ciao Fabrizio e grazie per il testamento della tua intelligenza che ci hai lasciato.
Ti voglio dire però che per me essere poeti non è una questione di prima e dopo per me si tratta della versatilità/ capacità di trasformare l’evento in mito. E questo me lo confermi proprio tu con “La guerra di Piero”, con “Marinella”……….. con i tuoi versi che raccontano la memoria ed il progetto come interminabile processo della vita.Ti voglio bene ed ancora Grazie.
@Mela: parole sagge e anche una commemorazione che fa rivivere De Andrè.
x Didò. In effetti mi è capitato pure questo, intendo quello che tu dici su Montale. Quindi vor di’ che so’ proprio cotto. Vabbè, così è la vita. 🙂
grande de andrè, chissà cosa penserebbe del fatto che andare con boccadirosa è reato e dell’integralismo cattolico attuale, chissà che scriverebbe ascoltando i discorsi di berlusconi. la sua comprensione per i reietti, i drogati, le prostitute, la sua contestazione all’ambiente da cui proveniva (l’alta borghesia) lo accosta ad altri geni che hanno ‘approfittato’ dei loro soldi per regalare emozioni agli sconfitti, come bene bourroghs, senza ipocrisia, senza maschilismo e supponenza, un blasfemo, un uomo che ha amato l’uomo e non il dogma, un uomo rispettoso e non tollerante solo per darsi un tono da persona intelligente, come molti ‘tolleranti’. purtroppo anche lui viene inglobato nel sistema moda, per edulcorarlo ipocritamente, come sempre, in questo paese che molti hanno ‘disimparato ad amare’ per riprendere le parole rinfrescanti di giuseppe genna.
🙂 ciao ciao
Grazie Renzo Montagnoli per la chiosa. Colgo l’occasione per dirti che mi piacciono anche le tue poesie fatte di parole non dette, di rimpiaqnti mai sopiti ma che contengono dentro la forza dell’alpinista. Ciao
Cari amici, intervengo al volo per ringraziarvi tutti per i vostri commenti.
Continuate pure, se potete.
Io spero di riuscire a intervenire più tardi.
Intanto vi auguro buon sabato sera.
Ognuno ha il “suo” De Andrè ed è una appartenenza che incredibilmente lascia spazio anche alla condivisione. Ognuno ha la “sua” canzone di De Andrè continuando ugualmente a ricordarne a memoria anche tante altre. Se ciascuno di noi raccontasse il primo incontro con De Andrè verrebbero fuori storie bellissime. Le sue parole hanno incontrato la vita di tutti e non riesco a pensare a nessun altro Artista che sia riuscito a fare questo e che paradossalmente non smetterà di farlo neppure dopo che ci ha lasciato. Quello che mi piace ricordare è quando durante una vigilia di Natale, tutti i parenti riuniti a casa di una zia, uno dei miei cugini, più giovane di me di quindici anni, raccontava a suo padre della canzone di De Andrè e di Murolo. Ho pensato che De Andrè ne aveva catturato un’altro, per sempre.
Mi sono dimenticata la canzone, interessa?
La scelta è difficilissima, ma l’istinto ha risposto per me “la domenica delle salme”
Avevo cinque anni e zompettavo con il sottofondo di Harry Bellafonte. Da lì. esterofilo per sempre e rockettaro per sempre. Però, ovviamente, ho le mie predilezioni italiane.
Fabrizio De Andrè simpatizzante delle BR? Fa ridere. Soprattutto perché ricordo quando io e un certo Maurizio ci chiudevamo nelle cabine di uno stabilimento balneare armati di mangiadischi per ascoltare Il Testamento, La ballata del Miché o Carlo Martello. Ci dovevamo nascondere perchè avevano 13 anni e De André (si diceva) sparava parolacce ed era fascista. Fascista perché ricco di famiglia.
Un poeta? Non so, ma se non era ci si avvicinava. Lo si è detto tante volte di Mogol. Beh, il più celebre “socio” di Battisti aveva e ha mestiere da vendere. Riusciva a trovare le parole migliori, le uniche anzi, da sposare agli accordi di Battisti. Siamo sinceri, esistono altre parole come attacco della Canzone del sole rispetto a “le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi”?.
Ecco, ma Mogol è un musicista che suona con le parole. Il poeta sono altri cazzi.
Cazzi di De Andrè, probabilmente.
Giustamente qui ci si è sbizzarriti a ricordare i pezzi, quelli che ognuno ritiene i migliori.
Non saprei. De André è stato un po’ come Picasso, coi periodi che cambiavano a seconda dei colori. Quindi le invettive, le canzoni satiriche, i ritratti di provincia, la canzone etnica.
La migliore, per me non c’è. Io amo molto questa e tutto il disco che la contiene.
http://it.youtube.com/watch?v=R4sqEWrn0DY
Un cantastorie, credo, e’ molto vicino alla poesia, quando ha le doti tecniche per scrivere e/o dire appunto delle storie, ovvero fare dei racconti musicati esteticamente belli e contenutisticamente ricchi – ricchi di episodi, di uomini e di umanita’, di significati meglio se prodotti tramite l’inserimento nella narrazione di metafore, allegorie, similitudini, paragoni, metonimie, antonomasie, iperboli ed altre figure retoriche e/o grammaticali (sempre ”vecchie” e sempre attualizzabili da chi abbia una personalita’ forte).
Il cantastorie esiste in tutte le tradizioni popolari dell’Europa mediterranea e probabilmente anche Omero lo fu (ammesso che sia esistito) almeno secondo i suoi intenti – intenti appena un poco sublimati a causa dell’elezione divina cui il mondo antico doveva lo speciale ”statuto” degli aedi.
Ora, per concludere, lungi da me dichiarare che De Andre’ fosse un aedo moderno; importante invece (e lo faccio qui) associare la sua figura di cantautore italiano molto radicato nella nostra storia nazionale (nel senso culturale del termine: ”della cultura del nostro Paese”), importante associare De Andre’, dicevo, ad una dichiarata sua progettualita’ tesa a restituire all’Italia una figura di artista ”di strada” capace di inevtare (in parte) e rielaborare (sempre) delle storie vere o verosimili, cosi’ da poter restituire alla gente, alla maniera dei vecchi cantastorie italiani, dei racconti gnomici – che significa, semplificando ”a contenuto morale”.
io l’avevo fatto un pochino in anticipo, lo trovi qui:
http://luciadelchiaro.blog.kataweb.it/il_mio_weblog/2009/01/08/faber/
ciao!
Refuso: inevtare=inventare.
Pardon
un grande cantautore è sempre meglio di un poeta scadente. fabrizio de andré è un grande cantautore e un dicreto poeta. di grandi come lui ce ne sono stati pochi, di poeti scadenti ce ne sono anche troppi in giro. ha ragione anche croce.
Ringrazio per il post. Mi hai stimolata a riascoltare De André e ne sono proprio contenta.
La canzone più bella di De André? Forse Il pescatore. Allegra e intensa. Baci!
Ciao, grande Fabrizio. Non ti dimenticheremo mai.
Il Navigero, sensibile, ha messo il timone nel gorgo quando si è voltato indietro a osservare la scia e ha scoperto che… sono passati dieci anni! Il tempo macina tutto e quello che non macina il tempo lo rovina l’uomo con le sue mani (perfino le piramidi!). Ma, se qualcosa resterà quando i libri saranno totalmente scritti da computer, sarà quel misto indefinito di sensazione, sentimento, ritmo e malinconia, quella forma condensata di essere che chiamiamo poesia. De André l’ha distillata nelle sue canzoni: cogliendola nel passato che il suo strano occhio sinistro vedeva meglio di noi; mutuandola da altri più poeti di lui, come Brassens (non solo traduzioni! Ma rinnovazioni, come Marcia Nuziale) che molti hanno conosciuto grazie a lui; evolvendosi da un iniziale filone sotterraneo goliardico circolante nelle scuole fino a creare nuove ballate popolari (mentre altri, vedi Fo-Jannacci, non sono diventati veramente popolari). Quindi grazie a te, Fabrizio, che ci hai lasciato qualcosa di autentico, anche se ti è costato la vita: te ne sei andato col fumo delle tue eterne sigarette, analgesico a una vita sempre più devastante imposta da querlla maggioranza di ignoranti che non sa e non capirà mai cosa sia poesia.
Amo De André, come amo Battisti. In questi giorni li ho visti messi a paragone,secondo me impropriamente. Per me sono entrambi dei grandi
Le prime che ho imparato da piccola sono state La ballata del Michè e Fiume Sand Creek, suonate dai dischi gracchianti dei miei genitori. E da lì in poi è entrato senza che me ne accorgessi ed è diventato impercettibilmente il sostrato, la base, la cosa che c’è sotto tutto e che non sai dire quando ci è arrivata. E’ stato però all’università, prima di partire per l’erasmus, che ho voluto possedere tutti i dischi per portarli con me e sentirmi attraverso di lui vicina. In quell’estate ho scoperto Rimini e Creuza de mä. Tra le canzoni amo tutte quelle di Non al denaro, e mi piace da morire Dolcenera ma penso che la più bella sia Amico Fragile.
Di fronte a certe vite, la mia mi sembra a volte quella di una zanzara. Di una cavalletta. Fabrizio, e Dori, tutta quella poesia, tutte quelle esperienze e quelle amicizie, e tutte le parole e le melodie. Chissà quante cose meravigliose ci avrebbe ancora regalato.
Ciao Massimo!
Non so se te l’ho mai detto ma sono cresciuta a Genova, la mia infanzia, quasi tutta la mia formazione è legata ai ricordi di quella strana città grigia d’inverno con i suoi temporali , i suoi burberi, polemici ma simpatici abitanti, le primavere e le estati dai cieli azzurri, mediterranei, pittoreschi paesaggi dalle belle riviere, le canzoni di Fabrizio De Andrè si immettono nella memoria di quei luoghi, le sue storie per me sono come piccoli racconti, sono scene illustrate dalla fantasia di chi le ha ascoltate, e allora ti sembra di vederla Bocca di rosa in processione come la vergine in prima fila, Piero, Marinella, i campi di grano, le puttane di via prè che consolano un timido professore, …il genovesissimo Fabrizio era così, un pò sballato, si svegliava tardi e componeva fino a tarda notte buttato all’angolo di un liceo manifestava con gli studenti, uno spirito libero, un amabile anarchico, capisci Massimo l’artista deve essere così, non può prostituirsi al sistema, è un essere caldo ma pensante…
Lo dico da donna: De Andrè come uomo rimane una persona molto affascinante, dalla voce strafatta e la sigaretta fra le dita, sguardo e ciuffo sconvolto, sono d’accordo con la critica di Marinella Vanegoni, un grande cantautore fra la schiera degli intellettuali.
Ciao
Rossella
…eeeh… si’… altri tempi, ragazzi! Oggi ve l’immaginate un novello De Andre’ a crescere fra birrerie ”no smoking”, DVD, Internet, discoteche che in tre minuti ti fanno scomparire l’udito (e soprattutto la sensibilita’ musicale), pizzerie che sembrano ospedali e videogiochi?
E un Guccini senza fiasco di vino sul palco per non dare il ”cattivo esempio” alla gioventu’; un Pasolini senza trattorie romane dove ti mandavano af*****lo anche se pubblicavi per Rizzoli ed incontravi Gabriella Ferri che se era di buonumore ti cantava qualche stornello (”Voi non la conoscete ha gli occhi belli / Eulalia Torricelli da Forli’…”); il fine scrittore che si beveva un fiasco col poeta al Caffe’ Greco…
Per carita’, decenza! Oggi le declamazioni sono ”reading” e ”il mio agente letterario mi promuove”. No comment.
Morale della favola: i tempi della ”mitologia moderna” sono del tutto scomparsi, annullati da ‘sta roba che usiamo tutti (almeno come ”rifugium peccatorum” come il sottoscritto) e che ha sostituito i bit ai neuroni mentre cacciava le macchine per scrivere Olivetti e distruggeva gli incontri reali.
Quale radio libera, oggi, darebbe spazio a canzoni diverse dall’odioso standard? Venditti farebbe il fruttarolo e De Gregori magari avrebbe un posto da insegnante liceale di filosofia depresso e stressato. Jannacci accopperebbe un degente al giorno e la Premiata Forneria Marconi starebbe nel ”business” dei… biscotti!
P.S.
L’ultima era di creativita’ ”pazzoide” in Italia e’ stata negli anni Ottanta, con la ”New wave” italiana: Litfiba, Moda, Diaframma, ecc… era gia’ un po’ troppo malata di ”filoanglismo” ma, dopotutto, meglio i Britannici che gli Americani di adesso. Tra europei ci si capisce un po’, almeno.
P.P.S.
E la cosa fondamentale e’ che sono spariti anche gli editori – musicali e/o librari – professionali e che credevano in quel che pubblicavano, pazzi un po’ svitati ma colti veramente, gente che LEGGEVA sul serio, non l’incipit e basta. Livio Garzanti, Angelo Rizzoli, Arnoldo Mondadori stesso… e i produttori musicali che eran capaci di restare senza casa con famiglia a carico per finanziare il disco del pazzo poeta di turno (il quale magari vendeva tre dischi in tutto e ti trascinava nel fiasco alla bancarotta).
Altra gente. Altri Italiani. Italiani, quelli, con la ”i” maiuscola.
Negli ultimi dieci anni nessuno o quasi ha parlato di De André-E’ bastato che si approssimasse il momento della celebrazione stabilita dai media,che servirà per vendere dischi, realizzare trasmissioni alla radio e alla tv, veicolare gadgets e riempire i negozi di magliette con l’effigie del cantautore, perchè si risvegliasse un interesse che appare tanto improvviso quanto montato da interessi commerciali più che autenticamente culturali.
Dopo il ’68 e poi negli anni successivi, De André come Guccini, De Gregori ed altri cantautori che apparivano impegnati in un discorso politico e sociale vissero un momento di grazia, che li gratificò di giudizi magniloquenti e forse un pò troppo laudativi.
Ora che il tempo comincia a creare quelle distanze necessarie per vedere chiaro attraverso le nebbie di cui la prossimità di un evento avvolge le azioni degli uomini e ne impedisce un chiaro discernimento, è forse giunto il momento di cominciare a dare “unicuique suum”.
De André utilizzò molto la musica tradizionale popolare che ben si adattava al genere di testi da lui prediletti. I testi offrivano spesso qualche spunto lirico di cui è giusto dargli atto. Le sue ballate, le sue canzoni accompagnarono, come le altre dei suoi contemporanei, la nostra( la mia certamente…voi siete sicuramente più giovani) gioventù, e proprio per questo ci furono care. Ma da questo a parlare di Poesia e di grande arte io credo che ce ne voglia.
Malgrado tutti i suoi limiti artistici e caratteriali, va ricordato però come uno degli autori che segnò il passaggio di un’epoca: non foss’altro perchè allora c’era una musica nostra da cantare, che recava, sì, l’impronta di esperienze straniere, ma era nata anche da suggestioni profondamente legate alla vita della nostra gente.
Ci auguriamo che ora, per sfruttare commercialmente la sua immagine,non si esageri ad osannarlo e a riproporre persino la musica che non gli era piaciuta e che aveva cestinato. l
Le commemorazioni sono molto pericolose, in questo caso-
Kate Catà.
Giusto, sig.ra Cata’, sottoscrivo appieno.
Credo che De André abbia segnato la vita di molti di noi. La sua musica e le sue parole ci hanno accompagnato. Siamo cresciuti, o invecchiati, con esse. Ci ha dato tanto, Fabrizio. Grazie.
la signora kate catà scrive che i testi di de andré “offrivano spesso qualche spunto lirico di cui è giusto dargli atto”. vero. così come è vero che quei testi valgono molto più di tanta robaccia, di ieri e di oggi, spacciata per poesia
La guerra di Piero…
la guerra di piero, giusto… e ditemi se questa non è poesia
Dedicato a un grande poeta
http://robertocelani.blogspot.com/2009/01/in-morte-di-un-poeta.html
Non so se fosse un poeta o non lo fosse. Per stabilirlo dovremmo chiarire esattamente dove sono i limiti della Poesia. Creare degli steccati per dire “tu sei dentro, e sei poeta” oppure il contrario. Creare steccati mi ripugna sempre un po’. Sicuramente avrebbe seccato anche lui.
Diciamo che era un cantante, e un autore, un po’ diverso. E di questo fin da subito si sono accorti i suoi estimatori; io mi metto fra questi, fin da quando vivendo a Genova lo avevo scoperto in tenerissima età: mi sono interessato alla musica intorno ai 10-11 anni, scoprendo che oltre ai festival all’italiana c’erano cose diverse e palesemente di maggior valore. I Beatles soprattutto, poi Dylan e Donovan, ma anche cantautori di questo Paese, molti proprio nella mia città: Tenco, Paoli, Bindi e questo Fabrizio, che allora si faceva chiamare solo così, senza il cognome. Ma Fabrizio era diverso anche da quelli. Le sue canzoni erano ballate che parlavano di puttane, di morti, di suicidi, di ipocriti benpensanti, di soldati che si chiedono perché dover sparare, di uomini soprattutto, e di una religione che non ruota attorno ad un Dio giudicante o vendicativo, e soprattutto senza peccato; una religione dove “l’inferno esiste solo per chi ne ha paura”. Canzoni che sarebbe stato difficile ascoltare alla radio o in TV (se non in versioni “ripulite” dalla censura).
Che questa diversità fosse un pregio, più unico che raro, se ne sarebbero accorti in molti, col tempo. Oggi lo riconoscono tutti, o quasi, fino a intitolargli scuole. Era un poeta? Torno a dire che non lo so, e che forse non mi interessa saperlo.
Sicuramente era un artista. E nella sua unicità un grande, grandissimo artista.
Riguardo il parere di Cate Katà – Devo dire invece, sono contentissima delle commemorazioni per De Andrè, e in generale data la pervasività della commercializzazione, quando questa pervasività aiuta a aumentare il volume delle riflessioni e delle conoscienze – uh evviva evviva le celebrazioni.
Personalmente De andrè non è mai stato il mio cantautore, nè la colonna sonora dei miei pensieri – nè del mio momento storico. L’ho conosciuto tardi e con grandissimo apprezzamento testuale e minore apprezzamento sotto il profilo musicale e degli arrangiamenti – alle volte invecchiati un po’ troppo velocemente, altre troppo schiacciati sulla tradizione popolare. Tuttavia, mi pare discutibile e riduttivo parlare di spunti lirici, così come trovo – mi si perdoni – un po’ datata e ampiamente superata la faccenda della Poesia con la P maiuscola – in queste faccende la penso fondamentalmente come Carlo S. di cui quoto il commento. E si mi pare che de Andrè sia stato un grandissimo artista.
Poi per me le maiuscole so morte da un pezzo.
Grazie per la quotazione, Zau. Tengo a sottolineare che quando ho scritto Poesia (con la p maiuscola) era proprio con intento ironico. Sono io questa volta a quotare te, di riflesso.
Non credo agli steccati perchè gli orticelli chiusi sottintendono che ci siano prodotti ortofrutticoli di alta qualità ed orticelli di prodotti di minor pregio (non in base alla qualità assoluta, ma solo in base alla natura del prodotto).
Senza steccati invece esiste solo l’arte. Ciò che è prodotto con arte è qualcosa di valore, indipendentemente da quale sia la specialità artistica. Poi ci possono essere grandi artisti, artisti di buona o media levatura e artistucoli (dove l’arte è più presunta che reale), ma questi ultimi sopravvivono poco. A volte solo il soffio di una moda.
E’ difficile davvero scegliere una canzone sola. La grandezza di Fabrizio De Andrè sta anche nell’aver saputo attraversare momenti diversi, interpretare una gamma vasta di emozioni che hanno accompagnato almeno una generazione. Il mio primo ricordo di lui è indiretto. Ero sul treno che mi portava a Londra, come facevo tutte le estati per migliorare il mio inglese e sulla carrozza un ragazzo e una ragazza della mia età muniti di chitarra si mettono a cantare una canzone struggente che non conosco. Chiedo loro lumi e mi dicono che è la canzone di Marinella, scritta di un cantautore genovese che loro conoscono. E’ la prima volta che sento il suo nome. Quando torno dall’Inghilterra la cerco subito, ormai la cantano tutti. L’ascolto ogni giorno, non riesco a distaccarmene. Se la sento oggi posso dire che non è la canzone migliore scritta da De Andrè anche se mantiene il suo fascino, eppure ogni volta acoltandola ritorno là, non solo su quella carrozza ma a quegli anni e mi sembra una canzone necessaria per quegli anni, anzi quasi in dispensabile. Il mio senso critico di oggi, la migliorata cultura musicale, mi portano ad altri suoi album, ma rimane la sensazione che tutte le sue canzoni hanno una ragione precisa per esistere, hanno la necessità che hanno tutte le opere d’arte degne di queto nome. Dopo aver detto questo posso parlare solo di preferenze. Il primissimo De Andrè è un ribelle di quegli anni, lo possiamo mettere vicino a una schera illustre che comprende anche Jacque Brel (più che Brassens secondo me) la sua ricerca musicale da Creuza de Ma in poi è solo sua e ha caratteristiche così originali da farne davvero una pagina unica e son o tutti capolavori!
Ciao, Carlo S. Vorrei chiederti una cosa sul punto che riporto qui: ”Senza steccati invece esiste solo l’arte. Ciò che è prodotto con arte è qualcosa di valore, indipendentemente da quale sia la specialità artistica. Poi ci possono essere grandi artisti, artisti di buona o media levatura e artistucoli (dove l’arte è più presunta che reale), ma questi ultimi sopravvivono poco. A volte solo il soffio di una moda.”
–
Ecco: va bene, d’accordo. Ma se non esiste nemmeno un’idea di cosa sia arte e cosa non, allora cosa facciamo? Forse, suggerisco, in mancanza di un’idea GENERALE dell’arte, sarebbe meglio tenersi i settori interni all’arte – ossia i vari ortaggi del ”giardino artistico”. O hai delle idee migliori da proporre? Io non ne ho.
Ciao bello
Sergio
Io faccio invece una domanda a Sergio.
Perchè è importante avere un’idea di cosa è arte e cosa no?
Un’idea oggettiva?
Qual’è la necessità?
Scusate se ho disertato il blog, e questo post in particolare, ma ho avuto qualche piccola difficoltà.
Intanto ne approfitto per ringraziarvi tutti per i commenti. Li ho letto con molto interesse.
Non vi offendete se questa volta non vi ringrazio uno per uno, vero?
È che sono rimasto un po’ in arretrato…:-)
La questione “De André-cantautore/De André-poeta”, in effetti, è connessa a questo vecchio post (datato 6 novembre 2006):
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/06/chi-e-poeta/
Era in corso una polemica fra Maurizio Cucchi e Nico Orengo.
La questione riguardava, appunto, le seguenti domande:
“Ma i cantautori son poeti o no? E se non lo sono, possono diventarlo?”
Riporto l’intervento di Orengo nel commento che segue.
“Ma i cantautori son poeti o no? E se non lo sono, possono diventarlo? Questo è il gran rovello di Maurizio Cucchi, che sul Corriere dice che la vera poesia, quella di Milo De Angelis, può interessare poche migliaia di persone mentre quella di un Guccini o di un Ligabue molte centinaia e migliaia di persone. E dunque in un’epoca di succedanei e aperitivi, più utile. Spero che in Cucchi prevalga un sentimento di nostalgica amarezza e non di risentimento. Da sempre Cucchi ha dichiarato che quella dei cantautori non è poesia. Se uno pensa a De André, a Dylan, a Conte a Jannacci è difficile dargli ragione. Anzi: è impossibile. Ma non perché i tempi sono cambiati ma semplicemente perché quelli sono poesia. E da vero poeta qual è, legga nel merito i testi dei cantautori.”
Nico Orengo
NO ORENGO NO NULLO POSSO SOFFRI’!
PPPP
ciao Massimo:)
Ti regalerò un Cd in esclusiva, cara Zauberei: “Nico Orengo canta Fabrizio De André”. Ciao cara:)
Ne approfitto per augurare buonanotte a tutti.
(Prima di andare a nanna ascolterò un po’ di De André. Dico sul serio).
Zauberei, tu mi chiedi:
”Io faccio invece una domanda a Sergio.
Perchè è importante avere un’idea di cosa è arte e cosa no?
Un’idea oggettiva?
Qual’è la necessità?”
–
Rispondo: leggiti per favore il dialogo completo, partito da Carlo S, perche’ la mia risposta riguarda una sua affermazione precedente. Comunque per giudicare cosa sia arte e cosa no, bisogna per forza avere un’opinione dell’arte, credo. Meglio se un ”luogo comune” – i luoghi comuni hanno creato arte tanto quanto i ”luoghi individuali”, penso.
@sergio
Difficile stabilire cosa sia arte in effetti. Però è facile riconoscere quello che non lo è. Io procedo per esclusione.
@zaube
A me Orengo invece è sempre piaciuto. La sua posizione contro gli alti steccati che erige Cucchi conferma la mia stima.
Carlo, ciao caro: scusami ma le risposte evasive (difficile stabilire… vado per esclusione) non le capisco quando si danno opinioni nette come la tua. Parlami piuttosto della tua idea, chiara, dell’arte, se vuoi confrontarti per sostenere la tua asserzione. Della tua idea dell’arte in genere, dico, non di altrui citazioni eh, per favore, che cosi’ si sfugge facilmente.
Ciao bello
Sergio
Su Orengo e Cucchi non parlo perche’ costoro non sono Omero e Esiodo e dunque non perdo tempo – scusatemi la franchezza – a cercarne intorno notizie – la mitologia sui viventi… eh eh .
Be’, se mi capita li leggo entrambi su La Stampa o altrove, ma proprio se non ho fra le mani un poeta vero o ”buonaccio”. Magari anche Trilussa.
Un Poeta, scusatemi, un Poeta: io le maiuscole le adoro, quando riferite a chi se le meriti, nel campo della poesia – del tutto rispettabile eda appartenente all’arte.
Due minuti solo per dire che non mi è possibile dire quale sia la canzone di De André che preferisco, quasi come non mi è possibile dire quale sia il romanzo più bello che ho letto. Se mi viene fatta dieci volte la stessa domanda, sono dieci risposte diverse. Questo non significa, secondo me, indecisione, ma che sono più di una/uno e che dipende molto dallo stato d’animo e di quando si è ascoltato/letto e di quando viene fatta la domanda.
Voglio anche condividere con voi le forti emozioni di domenica sera; ho avuto la fortuna di essere presente nello studio di “Che tempo che fa” ed è stata una serata magica. L’amore, la stima, la gioia e la commozione si respiravano nell’aria.
Dimenticavo… sì, per me, è un Poeta.
IL MATTINO – 11/01/2009
Enzo Gentile, Milano.
Da dieci anni la conservazione della memoria artistica e umana di De Andrè sta soprattutto nelle sue mani: Dori Ghezzi, esattamente al contrario della vedova di Lucio Battisti, ha speso le sue forze affinché l’opera e la figura del marito fossero celebrati nel modo più degno, come con la mostra a Genova, ad esempio. «Questi dieci anni sono corsi via tanto velocemente che non mi sembrano veri», commenta: «Non potevo restarmene in casa tra i rimpianti e così con gli amici ho lavorato affinché le sue canzoni fossero sempre presenti. La reazione così forte, le testimonianze d’affetto a cui assisto in questi giorni non le avrei mai immaginate. E lui ne avrebbe sorriso. Tutto viene fatto con pudore: e questo lo garantisco, fino al giorno in cui mi ritirerò».
È stato difficile resistere alle pressioni, evitare speculazioni commerciali?
«Non me la sentivo di gestire tutto da sola e la Fondazione è stato un supporto decisivo. I discografici hanno accettato di investire, di curare il catalogo. E spero che questa partecipazione emotiva tocchi presto altri personaggi che hanno fatto grande il nostro Paese: in Italia non ci siamo abituati, le numerose iniziative concentrate su Fabrizio hanno stupito tanti».
Come rammenta i giorni in cui Faber scoprì la malattia, nell’agosto 1999?
«Ha combattuto come un guerriero, chiedendo solo che si tenesse il massimo riserbo. E per me rimane quello che ho visto il primo giorno, con il fascino che mi ha fatto subito innamorare di lui».
Anche all’estero cresce l’interesse verso Fabrizio.
«So che un gruppo di artisti è stato contattato dal produttore Hal Willner per realizzare un disco di tributo, che si parla di un concerto. Ne sono onorata, ma non conosco i dettagli. So degli attestati che mi sono giunti da Wim Wenders, Leonard Cohen, David Byrne. E che mi piacerebbe molto che Thom Yorke dei Radiohead cantasse qualcosa di Faber». Intanto anche vostra figlia Luvi ha fatto il suo ingresso nel mondo della musica.
«Credo abbia talento e possibilità di combinare qualcosa di buono. So che sta anche cominciando a scrivere qualche testo: l’importante è non avere fretta o ansia di arrivare».
Spero che Faber possa avere il meritato successo anche all’estero.
segnalo questo sito su faber
http://www.faberdeandre.com/
questo è quello della fondazione
http://www.fondazionedeandre.it
da IL TEMPO dell’11/1/2009
di Davide Rondoni
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Dal punto di vista della poesia Vasco Rossi è più interessante di Fabrizio De André. Tre i motivi. Il primo è che i rapporti tra poesia e canzone vanno considerati meglio che non alla luce di luoghi comuni.
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La poeticità di una canzone non significa granché di più di quel che potremmo chiamare la poeticità di una rovesciata ben fatta di Kakà o di una carezza di chi so io. Insomma di tutte quelle cose che nella nostra vita suscitano un sentimento. Ed essendo la nostra un’epoca sentimentalista, si tende ad aggettivare con “poetico” tutto. E non c’è niente di male, ma allora è poetico De Andrè come Tina Turner, Elvis Presley o Al Bano. Per considerare il rapporto tra poesia, canzone e affini, all’Università di Bologna io e Lucio Dalla abbiamo fondato un centro apposito.
Una canzone deve avere qualità “canzoniche”, essere una buona canzone, e una poesia dev’essere una buona poesia. Ciò che rende l’una tale non coincide con ciò che rende l’altra talaltra. De Andrè come scrittore di testi ha buone qualità di maneggiamento di modi e figure desunti da cultura popolare e colta. Gran merito, anche se spesso è arduo distinguere l’originalità dalla copiatura. Il secondo motivo per cui è artisticamente più stimolante Vasco Rossi è perché in lui viene sottoposta a maggiori tensioni inventive la lingua italiana. Terzo: la maggior parte delle suggestioni “poetiche” che si trovano in De André sono reperibili nei narratori importanti e nei poeti degli anni ’50 e ’60. Il che non diminuisce il valore del suo lavoro, ma lo colloca nella dimensione che gli è propria.
Ma “Faber” è un poeta. E senza virgolette.
da IL TEMPO del 12/01/2009
di Stefano Mannucci
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Aveva gettato la maschera negli ultimi giorni, quando al capezzale è ammessa solo la verità. Era andato a trovarlo in ospedale Paolo Villaggio, l’amico di una vita, quello che lo aveva ribattezzato “Faber” per identificarlo con quei pastelli che l’altro amava tanto, anche se gli bastavano una matita e un plettro per colorare il mondo.
De Andrè sorrise di quel tanto che la malattia ancora gli consentiva, poi i due si sciolsero in un abbraccio di furia, lacrime, tardiva esaltazione. Fabrizio ghermì Paolo per le spalle, quasi volesse abbandonare quel letto che sapeva già di condanna, fuggire via, riproporsi quelle zingarate che avevano inaugurato quand’erano mocciosi impuniti. «Fai che il mondo mi ricordi per quello che sono – soffiò il malato all’orecchio dell’attore – perché io sono un poeta». E lo era.
Per tutta la carriera si era schermito, rispondendo con ligure understatement al classico quesito su cosa si dovesse incidere sulla sua targa d’artista: «Benedetto Croce diceva che fino a diciotto anni tutti scrivono poesie e che, da quest’età in poi, ci sono due categorie di persone che continuano a scrivere: i poeti e i cretini. Allora, io mi sono rifugiato prudentemente nella canzone che, in quanto forma d’arte mista, mi consente scappatoie non indifferenti, là dove manca l’esuberanza creativa». Non che mentisse, ma semplicemente lo inorgogliva che un «cantautore» (dunque un irregolare, come gli antieroi che affollavano i suoi testi) finisse celebrato, e tanto presto, nelle antologie scolastiche. Nel presepe profano dei diseredati, delle puttane, dei senzaterra, degli ultimi, c’era dunque anche uno con la chitarra, capace di incendiare le anime con la forza bruciante della poesia. Quella senza virgolette o distinguo di sorta.
Ieri, su questo giornale, l’ottimo Davide Rondoni ha speso parole per sostenere il contrario, usando esempi come Vasco Rossi o Al Bano per ricostringere post-mortem De Andrè nel più stretto cerchio del rock e del pop, strumenti di consumo emotivo «in un’epoca sentimentalista, dove si tende ad aggettivare con “poetico” tutto». Una sorta di contrattacco accademista, parrebbe quello di Rondoni, dove retoricamente si esalta il “Vate” di Zocca «perché in lui viene sottoposta a maggiori tensioni inventive la lingua italiana» mentre «la maggior parte delle suggestioni “poetiche” che si trovano in De Andrè sono reperibili nei narratori importanti e nei poeti degli anni ’50 e ’60». Dimentica, Rondoni, che il linguaggio del rock deve la vertiginosa efficacia al suo collegare pancia e testa, con vocazione gergale e bassa. La rockstar chiama l’identificazione della massa, il poeta mangia pane e solitudine mentre cerca una segreta risonanza che vibri nell’interstizio tra corpo e spirito. De Andrè fu cantautore quasi per caso: aveva una paura matta del palco e della sua voce, e ci salì solo per debiti, molti anni dopo “Marinella” o “La guerra di Piero”.
E per togliere l’alloro dalla testa di Faber non basta mettere in campo una provocazione post-parnassiana, discettare sul metro alessandrino o sulle rime baciate, rivendicare una presunta superiorità della parola declamata su quella cantata. “Musica” – Rondoni lo sa – è termine che in origine racchiudeva tutta la bellezza e la perfezione che le Muse potevano offrire. Tutte, e tutte insieme. Stupisce, semmai, che ancora se ne dubiti: certe puntualizzazioni appartenevano a una casta versificante che aveva già perso il proprio primato cinquant’anni fa, quando nel nostro astratto paradiso post-montaliano irruppero gli iconoclasti del Gruppo ’63, figurarsi quando scesero in campo i cantautori. Certo che Faber è un poeta: come lo è sempre stato Leonard Cohen, come lo furono Brassens o Brel. Come lo è sempre stato Dylan, quello che Fernanda Pivano chiamava “il De Andrè americano”, e ci saranno motivi se Bob ha vinto un Pulitzer e meriterebbe il Nobel più di tanti premiati degli ultimi anni, compreso l’impalpabile Le Clezio.
La nostra non è un’epoca “sentimentalista”, ma un’epoca che ha fame di sentimenti. Forse perché, come sostiene un altro poeta, e immenso come T.S.Eliot, «il genere umano non può tollerare troppa realtà». Abbiamo bisogno di affondare le mani nella melma e vedere se qualcuno ci ha infilato un seme che poi diventerà il primo germoglio di un’epifania del cuore, di uno spleen, di una coscienza più vasta. Dai diamanti, si sa, non nasce niente. E nel secondo dopoguerra italiano è difficile individuare un poeta (senza virgolette) che abbia scavato così profondamente nella coscienza di una generazione, e di quelle che sono venute dopo. Trovando una strada lirica (“in direzione ostinata e contraria”, direbbe lui) per scoprirsi vivo nella morta società dei benpensanti. Sappiamo separare i grandi cantautori (Guccini, De Gregori, Tenco, Paoli) dai poeti. Ci hanno insegnato a distinguere la forma metrica del testo di una canzone da Leopardi o Ungaretti. De Andrè fu poeta, e come lui in Italia solo Pasolini. Due intellettuali scomodi a tanti, che cantavano l’innominabile e l’osceno, l’intimo e il civile, e si offrivano non richiesti per cercare la carne viva di quell’Italia congelata in troppi clichè. Divisi solo sulla valutazione di Valle Giulia, in quella primavera del ’68. PierPaolo con i poliziotti, l’altro con gli studenti.
Non mette conto di ricordare l’opus lirico di De Andrè. Per dire ciò che fu, basta un verso del suo abbacinante ultimo disco: “Che grande inganno sei, anima mia”. Un epitaffio lontano da Spoon River. O forse un presagio universale.
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Stefano Mannucci
12/01/2009
Madài, anche Pasolini poeta? Massù, non esageriamo Mannucci. E allora siamo tutti poeti. La poesia è altro, caro Mannucci.
Non basta dire “sono un poeta” per essere considerato poeta. E’ la critica seria che decide cosa è la poesia. De Andrè non era un poeta, oggettivamente questo è il dato. Pasolini era un pessimo poeta.
Speriamo che la critica seria si firmi in maniera mena criptica di come si firma lei, caro signor Noncisiamo.
🙂
E comunque tra Faber e Vasco è molto più poeta Faber.
Le persone che mi conoscono dicono che sono molto critica.Ed ho la fama di persona seria.
Emanuele Marletta
Critica seria 🙂
Non capisco le affermazioni perentorie del “Noncisiamo”.
Ha letto mai i testi delle canzoni di BJORK o di DAVID BOWIE? Sono poeti. La musica e la poesia sono la stessa cosa.
E poi perché dire che “non sono poeti” Pasolini e De André?
Sono molto amati e l’apprezzamento per la loro poesia non viene da una “moda televisiva”.
Zauberei, rispondo alle tue domande al posto del Buccimpero (che, forse sottozero, non riesce a emettere che suoni loffi): parli forse in senso greco? Pensi che siamo barbari? Intendi, come Platone, l’arte, techne, come fare generico dell’uomo? Lui la svilisce perché ne aveva paura: distrusse le sue poesie in quanto gli rivelavano un aspetto non classificabile e trascinante verso lati oscuri? Perché non è solo importante, ma essenziale, distinguere dall’agire ripetitivo e impersonale, non emotivo, un agire unico, personale ed emotivo; portare in superficie qualcosa di ignoto (anche a noi) piuttosto che far vedere ad altri cose già note, solo messe in un contesto diverso, che è soltanto ricerca di originalità a tutti i costi. Perché è necessaria, scrivi? Che necessità c’è di dipingere a mano un piatto? Quella di non essere, ridurci, sentirci, piatti e basta. Ciao.
Come la letteratura. la poesia ed ogni altro genere letterario possono essere codificati e consacrati solo dal passare del tempo.
Si suole definire “poetico” tutto ciò che sollecita e commuove la sensibilità umana in una determinata epoca: così, ciò che era poetico per l’Ottocento non appare più tale ai giorni nostri, per cui la sdolcinatezza o il romanticismo di certe immagini non sembrano più poetici.
Diverso è il concetto di poesia, che ha in sé quel tanto di oggettivo che rende validi determinati concetti o certe opere del passato che ospitano contenuti di carattere universale espressi in un liguaggio adeguato alla materia trattata che con essa crea un tutt’uno che suscita in chi lo legge sia pure dopo secoli un moto dell’animo che induce a riconoscere l’opera d’arte.
Ecco che la Poesia si rivela, perciò, come Arte, fuori dal tempo e dalle mode.
E’ il caso di Omero, di Virgilio, di Dante e di Petrarca, per citare solo alcuni.
Ma certo non potremo restringere a quei pochi il nome di Poeti.
Ce ne sono stati e ce ne sono-ormai pochi- perchè la poesia non è più un genere letterario praticato da molti. Come altri, esso dimora ormai solo nelle opere di pochi autori, irriconoscibili ai contemporanei, perchè l’Arte, come la Storia, non è definibile come tale se non dopo secoli.
Perciò, senza fare paragoni che risulterebbero impropri( per Vasco Rossi non credo si possa parlare di poeticità, semmai della capacità di cogliere le sfumature della sensibilità contemporanea, che, purtroppo, spesso ricopre di un pesante velo di materialismo retrivo facendo torto alle pur belle musiche che scrive) l’immagine di De André ha caratteristiche del tutto differenti, anche per la matrice culturale, che nel caso di altri cantautori risulta carente o del tutto inesistente.
Et de hoc satis!
Kate Catà.
Sergio, mi chiedi di argomentare la mia netta posizione. Ma io avevo detto che vado per esclusione! Meno netta di questa non ne vedo. Posso dire che Vasco Rossi sicuramente non è un poeta. A mio parere neanche un artista (e qui forse qualcuno obietterà, ma francamente non me ne frega niente). Pasolini forse lo fu (artista), ma non nel campo della poesia. E torno al mio punto. Riconosco l’artista, ma non mi interessa riconoscere il Poeta (quello con la Pi maiuscola, quello con la testa cinta di lauro). Però credo di riconoscere la poesia (pi minuscola), che può essere ovunque dove ci sia arte, e cioè comunicazione di di qualcosa di sorprendente, che accresca la conoscienza, che trasmetta emozione, che si risolva in arricchimento per il fruitore (fruitore: che brutta parola, ma di getto non mi viene che questa).
L’arte forse è quel qulcosa che mette in contatto (profondo) chi la crea e chi ne gode. Lo so, rimaniamo sul vago, ma fondamentalmente io credo sia questo.
Apposta però dicevo che non so bene cosa sia l’arte, ma che credo di saper riconoscere quello che non lo è. Sottolineo quel credo (che non è atto di fede, ma al contrario implica un beneficio del dubbio): le mie convinzioni sono sempre provvisorie e suscettibili di ripensamento.
In fondo le mie idee sono poche e pure confuse. Ma qualche volta cerco di farvi un pò di chiarezza, anche se sono pigro e mi fa fatica.
Ciao carissimo.
Faccio fatica a indicare un criterio oggettivo dell’arte, faccio fatica a prendere sul serio il concetto di canone, forse perchè con tutto che detesto la parola e il costrutto – sono un po’ postmoderna anche io, e codesti canoni li ho visti sorgere e tramontare e non sono riusciti ad assurgere al cielo della meta – storia. L’oltre il tempo.
Ammetto che però ho un mio canone, mio personale storicamente e psicologicamente determinato, e che rinvia all’insieme delle emozioni intrecciate alla complessità dei significati. Ma le gerarchie mi rimangono fluide. Come Carlo so per certo ciò che qualifico come non, ma quando l’oggetto ha quel non – per me non è un non arte, ma spesso un non significato, un non soggetto, un non identità.
In ultima analisi un cretino:)
Constato con piacere che questa discussione ha avuto un’ulteriore impennata. Bene! Peraltro è collegata con il nuovo post che spero di poter pubblicare tra breve. È dedicato proprio alla poesia.
Poffarbacco! Chi è questo Davide Rondoni de “Il Tempo”? Conosce anche i “Maroon Five” e la loro poetica obamiana?
Il percorso del sottile giornalista, che credo giovincello e orfano di humus storico “non diminuisce il valore del suo lavoro, ma lo colloca nella dimensione che gli è propria” (la dimensione se la trovi da se o si vada a rileggere “Letteratitudine Giovedì 10 Aprile 2008”, nella fattispecie l’intervento del sottoscritto. lo so, a citarsi addosso si finisce come Woody Allen, ma vuoi mettere?).
Caro Massimo,
bello e utile il post su De André.
Rispondendo poi alle tue domande, credo che nessuna sua lirica possa lasciare indifferenti. De André è uno dei rari poeti italiani contemporanei nello stesso tempo intensi, profondi ed evocativi. Soprattutto evocativi, dal momento che la poesia è specialmente evocazione.
Tra le sue canzoni (poesie) amo moltissimo i versi de “La guerra di Piero”: struggentemente provocatori e sprezzanti di un certo modo di concepire il prossimo e il mondo, e i versi di “Bocca di rosa”, che – con malinconica sagacia e suggestione – ci rimandano alla genuinità amorosa popolare e alle maliziose ipocrisie perbenistiche.
Ma, senti, è mai possibile togliere al tempo il “diserbante” che si porta sempre dietro, in saccoccia?
Avanti di questo passo, anche i geni della poesia, della musica e della canzone d’autore, come ogni altro genio, cadranno nel dimenticatoio.
Ciao, Ausilio Bertoli
Naturalmente, cara Marletta, Dè Andrè è non è mai stato poeta, al massimo un “menestrello contastorie” alla Branduardi; Vasco non si proprio mai posto l’obiettivo e quindi il problema non si pone. La poesia in musica si ferma a un dipresso all’epoca di Monteverdi, che musicò Poliziano nell’Orfeo. Nientediché nemmeno in quel caso, Poliziano scrisse l’Orfeo in mezz’ora. Forse un qualcosa che vagamente sfiori il “concetto” di poesia lo si può riscontrare in Dalla (all’epoca della collaborazione con Roversi), ma di certo Dè Andrè non è mai stato un poeta, su questo non c’è il minimo dubbio, si fidi.
Guardi cara Marletta che non c’è niente di male nel non saper distinguere una filastrocca (tipo Boccadirosa) da una poesia. Per la maggior parte dei non specialisti le due cose coincidono, ma non c’è assolutamente nulla di male in questo, per carità.
Ambarabà ciccì coccò
tre civette sul comò
che facevano l’amore
con la figlia del dottore
il dottore si ammalò
ambarabà ciccì coccò”
–
La chiamavano bocca di rosa
metteva l’amore, metteva l’amore,
la chiamavano bocca di rosa
metteva l’amore sopra ogni cosa.
–
Concludendo, Marletta, le faccio un paragone concreto: quella sopra è una nota filastrocca, come quella sotto. La poesia però è altro, cara Marletta. E’ il genere letterario più difficile che esista. Saluti
Al sig. Noncisiamo.
Da come scrive si direbbe che lei sia uno specialista, un addetto ai lavori. Chi si cela dietro il suo nomignolo? Perché non rilevarlo? Ha paura a esporsi?
Comunque, in linea di massima, son d’accordo con lei.
E dei testi di Sgalambro sulle musiche di Battiato? Che ne pensa?
E se Quasimodo avesse scritto una poesia in mezz’ora, o anche meno, sarebbe un poeta oppure no?
Errata corrige: Perché non rivelarlo?
Sig. Renato, come specialista sono troppo noto e quindi costretto a celarmi, purtroppo attirerei qui legioni di colleghi e il discorso si complicherebbe troppo. Sgalambro è un “evocatore” all’insegna del nonsense nichilista, non fa per me. Saluti.
Ci sono molti addetti ai lavori, che si ritengono addetti ai lavori e che lo sono perchè ai lavori si dedicano.
Ma ciò non garantisce la qualità della dedizione.
Ora per carità signor Noncisiamo non si esponga. Ma uno dei criteri con cui decido di sospettare delle competenze altrui sono il grado di tracotanza e lo spreco di indicativi e maiuscole. Per quanto sia, in ogni campo la competenza diventa inversamente proporzionale alla disinvoltura. disinvoltura che in questo caso è tanto più incauta quanto sostenuta esclusivamente dalla sua parola.
Sono critico famoso eh fidateve.
Uh
Considerando i critici famosi di oggi, e sospettando che Carlo Ossola non viene qui a dire du’ cosarelle beh.
Ma perchè dovrebbe fidarsi la signora Marletta? Cosa qualificherebbe i suoi indicativi?
@noncisiamo: non è un poeta perché utilizzava testi prescritti canonizzandoli in versi e volgarizzandoli in musica? o per la sua condizione economica? qui può definirsi poeta chi può definire la poesia da un certo punto in poi?
p.s.
anche io non ci sono perché sono troppo ignoto. chi è ‘noto’? in base a quali parametri? sei ‘noto’ perché tutti conoscono i cavoli tuoi? o perché la tua immagine fa parte dell’inconscio collettivo? entri e dici di non voler attirare altri ‘noti’, volendolo fare, credo, ma è solo una mia minutissia e parzialissima opinione. a me piaceva anche l’umiltà di de andrè, il fatto che non fosse un ipocrita. ecco, l’ipocrisia. io sono ipocrita, sono ancora un mantenuto, dopo lo sarò da qualcunaltro e dovrò essere ipocrita per non perdere il lavoro e poi per non rischiare la vita. 🙂 de andrè, e come lui tanti altri anarchici, non sono riusciti a cambiare il DNA di tutti, per primo il mio.
anche pasolini è un pessimo poeta. un nome di poeta?
nemmeno io ci sono, sono morto. come la maggior parte degli esseri vivi.
voi poeti noncisiete? sei giovanni lindo ferretti o uno scrittore noto in rete?
Con Ossola ho parlato un’ora nel 96/97, non ricordo con precisone. Abbiamo rotto subito.
Non ne dubito.
Ci ha rotto anche lei?
Proseguo ad intromettermi (da incompetente) nella discussione, questa volta d’accordo con Zauberei: non è ammissibile fare i critici e i moralisti nascondendosi. Inoltre, l’operazione è bieca: accostare versi ‘sacri’ a versi ‘profani’ è come parlare di archeologia citando Indiana Jones. La poesia va vista nel complesso (nel caso di De André anche con la musica); anche dei grandi, pochi sono i versi che restano magistrali anche se isolati (e chiaro nella valle il fiume appare) mentre tanti possono perfino risultare orribili (Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno). Che dire poi se uniamo: Sempre caro mi fu quest’ermo colle/dove il mio corpo fanciulletto giacque:/ la vispa Teresa correa tra l’erbetta/ gridando a distesa ecc. Queste, ovviamente (come il mio intervento precedente) vogliono essere solo constatazioni e non lezioni: sono lieto infatti di essere di coccio e di incrinarmi nei cozzi coi vasi di ferro (ammaccandoli) che si corazzano di concetti e paroloni, quelli sì superati, non la poesia.
Dal 96 in poi ci ha rotto mezzo mondo, a quel che so io. Recentemente poi i tassi di rottura sono diventati quasi giornalieri.
Ma io non conosco Ossola personalmente, non afferisce alle mie competenze, però lo leggo volentieri sul Sole 24 ore, la domenica.
Mi scusi, non volevo farla arrabbiare; vista l’autorevolezza del suo intervento l’avevo scambiato per un collega, tutto qua.
Signor Noncisiamo la ringrazio del complimento anche se mi viene il sospetto – non starà prendendomi per il deretano? In ogni caso, non incavoleròmmi.
CANZONE DELL’AMORE PERDUTO
Ricordi sbocciavan le viole
con le nostre parole
“Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”,
vorrei dirti ora le stesse cose
ma come fan presto, amore, ad appassire le rose
così per noi
l’amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po’ di tenerezza.
E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
di un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai
ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.
E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.
——–
Alcune canzoni di De Andrè sono poesia allo stato puro. Per me questa è la più bella in assoluto.
Signor Zauberei, non è mio costume fare simili piaceri a scatola chiusa. Per cui si tranquillizzi che ha tutta la mia stima più sincera. Cordialmente.
Vorrei introdurmi nel dibattito – dato che ho anch’io espresso un giudizio sull’opera di De André – osservando come Noncisiamo esponga il suo pensiero nella prospettiva della poesia alta, celebrata, conclamata.
Effettivamente De André non ha composto poesie alte, sublimi, ossia non rappresenta la Poesia , giacché – a mio modestissimo avviso – le sue “liriche” non ne hanno le strutture formali né il rigore metrico.
D’altra parte, però, non manca – a De André – il senso della bellezza sublime e dell’originalità creativa, nonché una ricchezza, una sensibilità, una tensione ideale straordinarie, caratteristiche dei poeti, anzi dei Poeti.
Senza poi trascurare il fatto che i versi poetici ben difficilmente si adeguano (o si coniugano) ai ritmi musicali delle canzoni. E De André riesce ad adeguarli (o a coniugarli). Come pochi altri.
Ausilio Bertoli
Cocoricò, cocoricò bistecca
era la metrica richiesta da Puccini per un’aria di Bohème…
Quando men vo, quando men vo soletta…
Nell’opera ci sono libretti atroci che accompagnano opere sublimi.
Il matrimonio musica/versi è difficilissimo. De Andrè ha dato vita a matrimoni perfetti in molti casi. La poesia “pura” storce un po’ il naso, ma in effetti si tratta di forme d’arte diverse.
Battiato/Sgalambro, un’accoppiata perfetta ne “La cura”, meno riuscita in altri casi. E le canzoni di De Andrè cantate da Battiato acquisiscono un plusvalore non indifferente.
Caro il mio Noncisiamo,
paragonare Ambarabà ciccì coccò con La chiamavano Bocca di rosa è operazione facilotta e superficialissima per un nostromo dei mari della poesia come lei asserisce di essere. Al di là dei versi in sè, mi parrebbe opportuno valutare il contesto e l’uso che se ne fa. L’uso di De Andrè non è fine a se stesso (fare una filastrocca), ma lo riterrei un’evocazione della filastrocca o della tiritera (che dire sennò di “Se verrà la guerra, marcondino-ndero …. ?) per dire qualcos’altro ben al di là delle parole e della forma usate. Ed è questo ciò che lo rende grande. Che poi fosse o non fosse un Poeta (con la Pi maiuscola) è discorso che non mi tocca punto. E credo non interessasse minimamente neanche a lui. Se avesse voluto fare il poeta avrebbe scritto poesia. Ha fatto altro, con risultati memorabili, e raggiungendo vette artistiche di altissimo livello.
Qualche volta si sovrappone il concetto di arte con quello di poesia, e li si confondono (nel linguaggio comune si dice spesso ” è poesia” per indicare qualsiasi cosa ci tocchi profondamente). Ho tentato di spiegare il concetto in miei precedenti commenti. Forse non sono stato sufficientemente chiaro. Del resto non sono un critico nè un esperto (nè noto, nè ignoto), nè un addetto ai lavori. Ma sottoscrivo in pieno quanto dicono MaryLù Riccioli, Ausilio Bertoli, e la cara Zauberei. E sono pure d’accordo con Gianluca e Gianmario
Cara Riccioli sarei quasi d’accordo con lei se quel “cantate” riferito a Battiato non mi sembrasse eccessivo.
Carlo S ‘un sarai critico di professione ma questa cosa della Bocca di rosa e della funzione uh mi piace.
E’ molto postmoderna. Ma tant’è.
Detto questo, io pe’ Bocca di rosa, non ci vado pazza ecco. Quoto la Ricciola comunque a proposito di De Andrè e delli libretti d’opera che a leggerli così ci viene il raccapriccio.
In ogni caso, il signor Noncisiamo siccome mi ha scambiato per un critico autorevole e dice che non prende i deretani a scatola chiusa oramai mi è incontrovertibilmente simpaticissimo.
Signor Zauberei, in considerazione della reciproca simpatia, vorrà dire nel suo caso farò un’eccezione (anche se la regola riman valida, purtuttavia). Cordialità.
Signor Noncisiamo io la ringrazio ma mi corre l’obbligo di darle un paio d’informazioni – la scatola è chiusa ma di dimensioni ragguardevoli, e soprattutto, il deretano in essa avvoltolato è della SignorA Zauberei, non signor. Non mi si perda la A, signor Noncisiamo che ci tengo.
@ Noncisiamo
Be’, come minimo ti devo ringraziare per aver riaperto il dibattito.
Se mi dài l’indirizzo ti spedisco in regalo un paio di cd di De André incartati con pagine della Divina Commedia.
🙂
(Ovviamente, scherzo… grazie per gli interventi).
Massimo, permetti una mia ulteriore intrusione?
Si è parlato giustamente tanto di De André e della sua opera: il post era dedicato a lui; ma io vorrei accostargli anche un cantautore che pare caduto troppo in fretta nell’oblìo (dimenticatoio). Un cantautore che, mediante i suoi testi dagli echi poetici tanto vigorosi e immediati quanto socialmente impegnati, ha saputo imporsi a dispetto dell’handicap con cui ha dovuto confrontarsi fin da piccolo, accostandosi – per diversi aspetti di denuncia sociale – proprio a De André. Parlo del sassolese Pierangelo Bertoli, morto a Modena nel 2002, se non erro, autore di canzoni eccellenti, artisticamente alte. Cito, fra le tante: Eppure soffia, Il centro del fiume, A muso duro, Voglia di libertà, Certi momenti, e le popolari Spunta la luna dal monte e Pescatore.
Questo, detto per inciso, senza l’intenzione di aprire nuovi dibattiti o digressioni. Solo per dargli quel tributo che a volte, in vita, gli era stato negato volutamente.
Buona giornata, Ausilio B.
Grazie a te per l’ospitalità, caro Massimo. 🙂
Signora Zauberei, non posso che felicitarmi con lei per la sua scelta, in quanto ho molta simpatia per il suo sesso, se mi è consentito. Quanto al suo deretano, devo ammettere che la questione comincia a diventare appassionante. Non appena i miei impegni me lo consentiranno, se me lo invierà le garantisco uno studio filologico gratuito e minuzioso, sempre che le condizioni del testo lo consentano. Nel salutarla colgo l’occasione per ringraziarla.
Anche a me piaceva tanto Bertoli… indimenticabile coi Tazenda…
@ Noncisiamo: Battiato non si è mai autodefinito un cantante… se lei ha ascoltato i suoi esordi c’è da rabbrividire… ma ha sempre affermato che a lui interessa far passare un concetto o un’emozione NONOSTANTE o forse grazie alla voce non perfettamente intonata. Sarà perché io sono di parte – è siculo, sono sua fan da quando avevo nove anni… – ma difendo Battiato, un grande che nonostante certi intellettualismi un po’ estremi ci ha regalato dei gioielli: “La cura” in primis, ma “Povera patria” dove la mettiamo? O tante altre meno conosciute ma meravigliose? “L’ombra della luce”, “Oceano di silenzio”…
Ehi, Noncisiamo: mi raccomando con Zauberei… la filologia è innanzitutto amore della parola, rispetto assoluto per il testo. A buon intenditor.
🙂
Il dibattito se i cantautori siano o no poeti è molto italiano e viene sempre posto dai poeti e mi domando perchè; non vorrei che ci fosse sotto una certa invidia per la distanza wuantitativa fr aun publico e l’altro. In Brasile è normale considerare Vinicius de Moraes a Chico Buarque dei poeti, dipende anche dalle culture e ognuna ha le sue ragioni e sarebbe meglio magari confrontarsi. Su certi giudizi, che dire? Se non vogliamo ridurre i dibattiti a discussioni da bar, in cui le si spara un po’ grosse, bisognerebbe motivare un po’ di più. Perchè Pasolini è un pessimo poeta? la poesia non sarà mai come il teorema di Pitagora, ma qualche riga in più pr motivare forse sarebbe d’aiuto.
Cara Riccioli, se mi risparmia “la cura” sono disposto a trovare un punto d’incontro nella sua terra: facciamo Fiorello con San Martino e non se ne parli più. Le va?
Al Mr.Youhaven’tgotit (?) che si sta rivelando maestro di sarcasmo dico anch’io qualcosa di sarcastico: piacere di conoscerla!
A Zaube: daje che se passi al romanesco lo stronchi.
A Carlo S. e Mary Curls, siamo d’accordo.
E per dimostrare l’assunto del matrimonio difficile tra versi e musica cito: “Vieni: sul crin ti piovano/Contesti i lauri ai fior” (Aida II,1 nota:in piemontese crin vuol dire maiale, quanto ai Contesti, boh). “Quand’ecco agli egri spirti, come in un sogno apparve/La vision ferale di spaventose larve!”(Trovatore II,1, canta “Azucena in un diruto abituro”- doppio boh). Ora, vi chiedo: è poesia, questa? Ma chi scriveva i libretti, Sozi? (Chiedo venia a Sergio, mi piacerebbe partecipasse al dibattito).
A Franco Romanò: ben citato! “Sao demais os perigos desta vida” di Vinicius e Toquinho è, secondo me, una delle vette del connubio poesia/ musica.
@Gianmario e Franco Romanò
Perfetto avete citato Vinicius e Chico Barque de Hollanda, riconosciuti generalmente come “poeti” senza suscitare chissà quali polemiche derivanti dagli steccati che credo solo qui ci si premuri di creare.
Io le ritengo “pippe mentali” (così si dice a Roma; masturbazioni dell’intelletto per tutti gli altri).
Io ho una partcolare venerazione per Chico Barque.
Non dispongo di traduzioni in italiano (e le mie “traduzioni” dal portoghese sono del tutto intuitive, e mi accontento molto anche del puro suono vocale delle sue rime), ma provo a proporre una traduzione in francese di “Todo sentimento”:
Il ne faut pas dourmir
jusq’à la fin de notre temps
il faut conduire
un temps pour t’aimer
en t’amaint lentement
mais avec urgence
je voudrais découvrir
au dernier moment
un temps qui refait ce qu’il a défait
qui recueille tous le sentiments
et les remet une nouvelle fois
dans nos corps
je promets de te désirer
jusqu’à ce notre amour tombe
malade, malade
Je préfère alors partir
a temps pour pouvoir
nous séparer l’un de l’autre
aprés t’avoir perdue
te rencontrer certainement
peut-etre dans un moment
de délicatesse
où nous ne dirons rien
comme si rien ne s’était passè
enchanté, je marcherai à tes cotés.
(In portoghese è ancora più bella)
E’ una delle canzoni più struggenti di De Hollanda.
E se non è poesia questa, è sicuramente arte.
Condivido in pieno, bellissima questa citazione, ma come non ricordarne altre, Que seras per esempio (se si scrive così in portoghese) ealtre. Il problema che per loro è comune passare da un genere all’altro, la canzone non è considerata un genere minore. In Italia si fece qualcosa di simile per un breve periodo (quello del canzoniere italiano), negli anni ’50 e ’60: ricordo dei testi tutt’altro che banali di Fortini e Calvino (Dove vola l’avvoltoio ecc.). Moraes fra l’altro, ha scritto anche sonetti e sono note anche le poesie di Jim Morrison, anche se in questo caso si può dire che non son granchè.
Oh che bello, s’è riaperto il dibattito perchè un minuscolo diserbante, nascostosi sotto una “stella a cinquepunte letteraria” è intervenuto “manu militari” dicendo ai miei amici colti: fessi, vi spiego la poesia, e che non è musica, è palla mortale ed io ne son conoscitore e cantore!
E vi siete uniti a testuggine (contraddizione in termini) romana, oh anarchici letteratudiniani, per rintuzzar gli attacchi di un soggetto che di letterario sembra il “Tomahs Goff” di “Perchè la notte di Ellroy”, un coatto che attraverso la notte attacca la luce; perchè chi è luce s’espone e mette il nome: non ci siamo,@Noncisiamo.
Bravo Didò, lasciamo Mister “Vattelapesca” alle sue ironie solitarie (di un certo acume, però) e torniamo a Fabrizio: chi ha visto lo Special di Fazio? Ho apprezzato particolarmente le rievocazioni di Jovanotti (anche se lo detestavo come rapper) e Finardi, mentre alcune mi son sembrate penose, esempio Dalla (peccato). Penso che per rifare un autore bisogna ‘sentirlo’ e immedesimarsi, come per le traduzioni.
Anche io ho visto lo special di Fazio. Debbo dire che non mi è piaciuto nessuno. Concordo sul fatto che Dalla sia stato pessimo e la PFM mi sembra quanto di più lontano dalla poetica Deandreiana (e già il connubio tra loro – lui in vita- non mi ha mai convinto). Battiato non mi è parso neanche sufficiente (troppo minimalista e privo del calore necessario per interpretare Fabrizio). Bocelli al contrario di Battiato. Forse si sono salvati Finardi (personalissimo, senza “tradire” De Andrè), Antonella Ruggero per i grandi mezzi vocali e per una indubbia sensibilità, Tiziano Ferro (forse, sorprendentemente, il più corretto nell’interpretarlo), Samuele Bersani, sempre dignitoso, e Jovanotti per la sua spontaneità e simpatia (sì, il collegamento da Spoon River è stata forse la cosa più emozionante, anche se pure io ho detestato una volta “un certo” Jovanotti).
Poi nel finale c’è stato Cristiano De Andrè con Mauro Pagani: interpretazione fin troppo perfetta. Cristiano sembra il clone di suo padre, anche (proprio) nel modo di cantare. E questo però forse è il suo limite.
Il ricordo mediatico di De André, può significare che un grande non può essere dimenticato. Non nascondo la commozione per alcune canzoni cariche di pathos. Non so scegliere quale mi piaccia di più: tutte sono particolarmente ‘sensibili’. Quando risento un cd, inizio da: Fiume Sand Creek, Creuza de ma, La guerra di Piero…
Da youtube ho ascoltato le sue interviste che non conoscevo…non guardavo la TV.
Omaggio a Fabrizio, un caro saluto a Massimo
dopoilmattino.blogspot.com
Fabrizio De André, un’ombra inquieta.
Ritratto di un pensatore anarchico – Edizioni Il Margine
Libro di Federico Premi
Recensione di Laura Tussi
Fabrizio De André ha sempre praticato consapevolmente l’esercizio del pensiero e la sua opera politica e musicale rappresenta una sapiente e radicale critica alla concezione borghese dell’esistenza.
L’autore del libro, Federico Premi, avvalora questa ipotesi tramite l’analisi dei manoscritti inediti di De André, disponibili presso il centro studi Fabrizio de André dell’Università di Siena, dove appaiono ricorrenti i riferimenti alla tematica anarchica e alla critica della società borghese. “È tempo di tornare nomadi. Siamo stati sedentari per troppo tempo. Bisogna rimettersi in cammino”. Fabrizio De André continua a ripetere questo concetto nelle sue canzoni e nei moltissimi appunti manoscritti.
La vita infatti è un continuo processo di metamorfosi, di cambiamento, di ricerca nella costante resistenziale e febbrile dell’erranza.
Secondo De Andrè, l’anarchia, oltre che forma di autogoverno alternativa all’attuale sistema di potere, rappresenta il solo antidoto contro l’omologazione sociale e culturale, contro la pianificazione categorica e l’arbitrio imperante. Tra gli aspetti più inquietanti dell’immobilismo della società contemporanea è l’assuefazione universale alla logica capitalista. Il verbo del fondamentalismo capitalista si è imposto ovunque, operando una drastica reductio ad unum, un’inaudita uniformizzazione, pianificazione, normalizzazione del sistema e omologazione culturale. L’umanità dovrà attuare presto un nuovo sistema politico ed economico e una diversa e più virtuosa cultura del confronto e dello scambio, non più fondate esclusivamente sul torvo e bieco valore del profitto e del tornaconto, nella realizzazione di un’utopia sommessa e confessata in versi, all’interno di un discorso cifrato ed elusivo nelle canzoni di De André, che canta una critica serrata al mondo borghese del conformismo allineato. Infatti, borghese è, in ogni tempo, l’invincibile inerzia dello spirito, l’ossessione per l’agio e la stabilità, matrice di ogni idolatria, che costituisce il momento statico immortale dell’esistenza del singolo e della società. La morale borghese è mortifera, in quanto vuole bloccare il divenire, nella pretesa di uniformare, omologare, conformare e rendere tutti gli uomini simili fra loro, equivalenti, intercambiabili, perché il borghese si preoccupa di essere integrato, allineato e leale con il sistema. Un’autentica rivolta esistenziale consiste nel riconoscere il proprio stato di uomini colonizzati e allineati, per liberarsi dagli ingranaggi del sistema e divenire Anime Salve, riappropriandosi di se stessi e della propria vita in modo unico e originale. Il potere persuasivo di ogni sistema, fondato su valori fissi e indiscutibili, provoca paura e disorientamento per ogni diversità e alterità anarchica, opposta all’ingranaggio del quotidiano. Il borghese non sa riconoscere il proprio intimo essere, l’ “ombra inquieta” che si muove nelle pieghe dell’anima e della storia.
Il Faber pensatore affronta dunque i temi della borghesia e dell’anarchia come categorie dello spirito, del potere e della costante resistenziale, tra morte, solitudine e natura, tra follia e diversità, per cui l’artista diviene anticorpo del sistema vigente e cantore di bellezza e utopia.
Laura Tussi
Benvenuta su Letteratitudine, Laura.
Grazie per la recensione.