Dicembre 21, 2024

329 thoughts on “BIRGITTA TROTZIG, GÜNTER GRASS E POETI LETTERATITUDINIANI

  1. Piccole premesse
    La prima è che questo post mi è costato una fatica immane. Non avete idea del tempo che ci vuole per inserire tutti quei link e quelle immagini senza fare pasticci…
    Ma l’ho fatto col cuore e con l’intenzione di offrire un piccolo “tributo” ai “poeti letteratitudiniani”

  2. La seconda premessa è la seguente…
    Sicuramente mi sarò dimenticato di qualcuno. Capita sempre.
    Nell’eventualità chiedo scusa in anticipo. Ovviamente sarò pronto a integrare il post segnalando gli eventuali “poeti letteratitudiniani” esclusi per colpevole dimenticanza da parte mia.
    (fatemelo notare, eh).

  3. Terza premessa.
    Nessuno dei poeti qui citati è stato preventivamente messo al corrente della pubblicazione di questo post.
    Spero che se ne accorgano. Altrimenti… addio discussione:-)

  4. @ Bianca Garavelli
    Ho inserito la tua recensione alla silloge della Trotzig senza avvertirti.
    L’idea era quella di farti una sorpresa. Spero di esserci riuscito.
    (Please, dimmi di sì…)

  5. Ne approfitto per salutare Daniela Marcheschi, traduttrice e curatrice del libro della Trotzig e Claudia Crivellaro una dei traduttori della silloge di Grass (è stata lei a presentarmi questo libro).
    Sarebbe bello se entrambe potessero intervenire.
    (Ovviamente nemmeno loro erano al corrente del post)

  6. @ poeti letteratitudiniani
    Mi piacerebbe che ci presentaste la vostra opera e che ci offriste una poesia da essa estratta (magari una che ritenete particolarmente significativa). Poi vi invito a interagire tra voi… e a rispondere alle eventuali domande degli altri frequentatori del blog.

  7. Infine…
    – fino a che punto la parola può essere intesa come principio generativo, come legge per la creazione del mondo? (riferimento a Trotzig)
    – se ogni “macchia vincola” fino a che punto la parola può, se non cancellarla, quantomeno… compensarla? (riferimento a Grass)

  8. Ogni nota, ogni suomo, ogni parola, ogni sfumato significato è poesia se nasce da quella musa ispiratrice che è anima innata in ogni cuore.
    ..
    Che la parola sia generatrice è vero come è vera qualsiasi azione che segue il pensiero.
    ..
    L’energia del pensiero nell’essenza è EMOZIONE è PASSIONE ma soprattutto VIBRAZIONE.
    ..
    Come in ogni cosa nel creato macro universo è vibrazione così per similitudine e simmetria ad un livello più sottile nel micro universo ogni vibrazione è collegata alle altre, al tutto all’unisono a quella primordiale nota generatrice.
    ..
    Ogni forma, ogni canto, ogni grido, ogni colore, ogni pensiero, ogni azione, ogni sfumatura interiore/esteriore è una nota ciclica nota armonica che all’unisono vibra di quel divino immenso infinito pensiero che lo ha generato.

  9. Approfitto di questo post interessante per interrompere il mio esilio di protesta da questo blog, protesta nei confronti di Gregori, il quale secondo me è capace di pervertire le cose belle in un clima da taverna ciociara e quindi mi mette a disagio (io frequento ben altre taverne).
    In realtà lavoro troppo. Ma stamattina no.
    Allora, comunico che anche io, nel mio piccolo, ho pubblicato un libro di poesie: si intitola MENTRE LA LUCE SALE, Lietocolle (2008).
    Qui c’è il link al libro: http://www.lietocolle.info/it/ferro_vito_mentre_la_luce_sale.html.

    Io ho incontrato la poesia a sei anni. Potete immaginare che incontro.
    La mia prima opera, che mia madre tiene gelosamente custodita in un cassetto della biancheria insieme ad altri teneri, struggenti ricordi, faceva schifo.
    Eppure avevo già capito allora, giuro, che scrivere poche parole ben disposte e mandandole spesso a capo poteva significare dire di più dei temi scolastici che dovevano esere lunghi almeno tre facciate.
    E questo senso di poesia, mi ha sempre affascinato: poche parole, con dentro un piccolo mondo.
    Più avanti ho compreso che si tratta di un gioco combinatorio. E nient’altro. Ma caspita però quanto è forte questo gioco!
    Non so se la parola poetica sia principio generativo, e se riesca a compensare la macchian (umana) del reale, io so per esperienza che la poesia NON funziona con le ragazze. Gregori, bilioso tardone con la pancia e invidioso, dirà: nel tuo caso non è la poesia, ma il poeta a NON funzionare. Non so, magari ha ragione, ma mi rendo conto davvero di come interessi poco, oggi, leggere poesia, sicuramente meno di quanto piaccia scriverla.
    All’interno della mia cerchia di amici, quasi tuti muscisti tranne me, le mie poesie piacciono solo in quanto scritte sotto forma di canzone, con l’aiuto di un mio amico chitarrista. Sotto quella forma, tutti vengono a dirmi: ma il testo è tuo? Bello! Ma se mancano gli accordi e la melodia, se manca qualcuno che quelle parole le canta, le poesie vengono un poco snobbate.
    Al tempo stesso, mi rendo conto da solo quanto sia noioso un “reading” di poesie. E strabiliante vedere qualcuno acquistare in libreria un testo poetico che non sia di Gibran o Montale.
    Che fare? Come uscire da questo maledetto circolo vizioso che rende la poesia più elitaria di Ronconi, più noiosa di un convegno sulle neuroscienze applicate alla cibernetica, più inutile di un parlamento in Italia? Non lo so. Però vanno scritte. Vanno scritte perché impongono uno sforzo bello, una concentrazione di pensiero, una condensazione di immagini. Molto più che per un romanzo. E già questo basterebbe a farne strumento di verità e consapevolezza “utile”, almeno a chi le scrive.
    Leggerle ha altrettanto senso: io leggo il nucleo di verità, il momento di massima sublimazione del vissuto di un altro e ne confronto la portata rivoluzionaria con il mio. Io “divento” poeta.
    Ho sempre inteso la poesia con “lo sguardo che illumina la cosa che mira”, e quindi con uno stato vigile, di allerta, curioso e pronto a scoprire la meraviglia aristotelica celata (ma è poi così celata), nelle cose esterne e interne a noi. Se la poesia è fuori di noi, è forse un compito umano quello di farla emergere e mostrarla a se stessi prima che agli altri, e condividerla. Forse è, parafrasando semrpe Aristotele, la forma di comunicazione meno necessaria, ma nessuna le è superiore.
    Dico forse perché, almneo tecnicamente, la poesia è profondamente inscritta nelle nostre vite: l’uso che essa fa del linguaggio è lo stesso (fatte le dovute proporzioni) che utilizza la lingua della pubblicità. Ricordate lo slogan di una vecchia compagnia telefonica? diceva “Blu: il futuro che non c’era”. Beh, questo è, a mio avviso, poesia usata a fini malvagi, un po’ come fa Gregori col suo grezzo umorismo.
    Saluti e scusate come sempre la confusione mentale che mi fa scrivere a sproposito. In questo caso è anche la paura preventiva delle solite repliche di quella testa da Squeez a cui voglio molto bene.

  10. Che bellissimo post! Ci tornerò, Massimo.
    E la fatica che ci hai messo per predisporlo si evince con molta facilità. Tutti quei collegamenti, quelle immagini…
    Bellissimo. Grazie.

  11. Beh, vedo di rispondere sinteticamente alle domande di Massimo.

    – ha ancora senso, oggi, scrivere e leggere poesie?
    Certamente, perché è una forma espressiva diversa dalla narrativa e in un mondo che corre rapido scrivere e anche leggere dei testi che sono assai più brevi di un romanzo può costituire un motivo di soddisfazione validamente alternativo.

    – perché scriverle? perché leggerle?
    Perché respiriamo?
    E’ un bisogno intimo quello di scriverle, così come quello di leggere e del resto la poesia è l’espressione di uno stato d’animo reso in parole accostate armonicamente.

    – quando avete incontrato la poesia? In che circostanze? Che cosa significa la poesia per voi?
    Mi è sempre piaciuto leggere poesie, ma scriverle è diventato una necessità inderogabile nel momento in cui mi sono trovato forzatamente in solitudine per un grave lutto che mi ha colpito. All’inizio esprimevo il mio dolore, era un urlo veritiero, ma anche empirico, che trovava sfogo nelle parole. Poi, a poco a poco i toni si sono smorzati e il dolore si è trasformato in malinconia.
    La poesia per me è una cara compagna che mi consente di dialogare prima con me stesso e poi anche con altri; non è più uno sfogo, ma è diventata gradualmente il risultato di una ricerca continua dentro di me che mi fa scoprire ogni volta cose nuove e che mi rende consapevole della bellezza dell’esistenza, con tutte le sue piccole, ma invero grandi cose.

  12. Massi, bellissimo post. E la tua fatica: un atto d’amore. Grazie.
    La parola è macchia.
    E’ traccia, incisione, segno.
    La parola è ciò che da’ esistenza alle cose. Perchè nominarle, pronunciarle, vestirle, le rende vere.
    Un battesimo. Una iniziazione al viaggio nel mondo.
    Non è un caso che l’origine di esso sia fatta risalire al verbo. Alla pronuncia impastata di fiato. Di desiderio.
    Il verbo si fece carne è questo. Una nascita attraverso il dire.
    Attraverso un passaggio.
    La parola è più di un principio generativo.
    E’ ciò che sta prima della creazione. E’ il motore della creazione. Lo sforzo, l’amplesso.
    Dopo averla detta, il mondo è.
    Il mondo oggi dice molte parole. Ma gli antichi che le babettavano, che conoscevano lo sforzo di inventarle, di far corrispondere a un gesto il suono, e a un’idea un segno, avevano per esse un rispetto religioso. Sacro.
    Nel diritto la parola era codificata in formule rigide. Non poteva allontanarsi da esse se non attraverso il “sacrilegium”.
    Perchè la parola era signora e dominatrice. Spettatrice dei destini. Bellissima.
    E diventava “norma”, regola.
    Il senso della poesia oggi è riscoprire la sua rarità. La sua forza. Il suo essere preziosa come un gioiello.
    Il poeta coglie ancora – come i bambini che imparano a parlare e come i popoli primitivi – l’incanto e lo sforzo di immettere sillabe nel mondo. Coglie la misteriosa corrispondenza con la musica e i suoni della natura.
    Avvolge il tempo. Torna al prima. Torna al verbo.
    E contribuisce al fluire della creazione. Compie un nuovo atto procreativo. Un’altra nascita.
    Anche una sola parola nuova regalata al mondo è un principio.

  13. Massimo, intanto grazie della tua disponibilità e gentilezza, mi ha colto di sorpresa stamattina aprendo il computer e tornerò per dialogare con gli altri prestissimo. Hai chiesto di segnalarti qualche dimenticanza e la prima cosa che mi viene in mente è che, sempre che io abbia visto bene, mancano ” frecce e pugnali” di Vacca, ” frammenti di vita” di Grattarola,
    “occhi di zagara” di Paola Sarcià che domani verrà presentato a Ferrara per la seconda volta al Liceo classico. Mi sono venuti in mente questi perchè li ho recensiti e alcuni anche più volte presentati. se credi posso inviarti i miei scritti su loro. Maribruna Toni è un’altra poetessa che è stata riedita dal Foglio nell’anniversario del decimo anno dalla morte. Ho presentato anche lei e su lei scritto.
    Massimo quanto segnalato è stato fatto solamente perchè richiesto da te. grazie e passo al messaggio successivo.
    patrizia garofalo

  14. Per Patrizia.
    Cara Patrizia, credo che quando Massimo ha scritto “Sicuramente mi sarò dimenticato di qualcuno. Capita sempre. Nell’eventualità chiedo scusa in anticipo” si riferisse a quelli che lui chiama “poeti letteratitudiniani”, cioè poeti che frequentano o hanno frequentato il blog letteratitudine. Altrimenti penso che ci sarebbero centinaia, se non migliaia di nomi da segnalare.
    Infatti poi Massimo ha scritto “Ovviamente sarò pronto a integrare il post segnalando gli eventuali “poeti letteratitudiniani” esclusi per colpevole dimenticanza da parte mia”.

  15. Ciao a tutti e grazie all’oraganizzatore .
    Ho cominciato a scrivere versi da molto piccola e non ho mai smesso.
    la poesia che apre il mio primo libro è stata scritta in quarto ginnasio.
    Non solo ritengo la poesia importante ma fondamentale soprattutto in tempi che sempre più si sono intrisi, macchiati, sporcati di un pragmatismo che per me almeno, ha richiesto proprio la parola poetica come unica possibilità di cogliere la meraviglia del vivere nonostante tutto. In realtà leggo poesia e la studio con amore più di quanto la scriva e molti testi mi hanno aperto a dimensioni nuove, a dialoghi e confronti di crescita, mi hanno fatto cogliere l’affondo della parola come realtà sfaccettata e multipla e di polisemie e di immaginazione.
    In breve è il terreno nel quale vivo e nel quale voglio rimanere e ne sono ogni giorno più convinta e felice.
    grazie ancora massimo, a prestissimo
    patrizia

  16. per martina
    cara non voleva essere un appunto ma una risposta a Massimo.
    So bene che i poeti riempiono il mondo, fortunatamente per chi alla poesia crede, ho citato libri del Foglio infatti di Gordiano Lupi che sono apparsi nel sito di Renzo Montagnoli
    spero di esserci chiarite
    patrizia

  17. Cara Patrizia, nemmeno il mio voleva essere un appunto a te, me ne guarderei bene. Cercavo solo di interpretare le parole di Massimo. Secondo me non c’è nulla di male a segnalare anche poeti che non sono passati da questo blog. Anzi……..
    E complimenti e auguri per la tua poesia……..
    ciao

  18. Aggiungo:
    – fino a che punto la parola può essere intesa come principio generativo, come legge per la creazione del mondo?

    Indubbiamente la parola è uno dei mezzi con cui si estrinseca la forza generativa che alimenta ogni piccolo passo in avanti del genere umano. L’idea, la creatività rimarrebbero confinate nell’intimo del suo produttore se non venissero trascritte, e questo è valido in tutti i campi. Nel caso della poesia poi c’è da dire che è stata la prima forma espressiva ancor prima della scrittura (non dimentichiamo che anche quando questa ha iniziato a diffondersi la possibilità di leggere e di scrivere è stata privilegio di pochi). Come portare allora a conoscenza episodi, gesta epiche? Ci si limitò a raccontarle, ma poichè tenere a memoria tante notizie era difficile le stesse furono incanalate su un binario che, nel rendere possibile il ricordo, risultasse anche di più gradevole ascolto. Questo binario fu l’armonia, il ritmo insomma.
    ********
    – se ogni “macchia vincola” fino a che punto la parola può, se non cancellarla, quantomeno… compensarla?
    Ha ragione Grass nel dire che la macchia vincola, ma la parola non può cancellarla, al massimo riesce a stemperarla, un po’ come la confessione che non toglie il peccato, ma finisce con l’essere l’acquisizione della consapevolezza dello stesso e della vergogna per averlo commesso.

  19. Vedo con piacere che è presente Patrizia Garofalo, poetessa dallo stile del tutto particolare e che pur avendo influssi ermetici, è svincolata dall’ascendenza di questo o di quell’altro poeta. Per scrivere poesie occorre anche studiare quelle che hanno scritto altri, mutuandone gli aspetti che più colpiscono e in genere adattandoli alle nostre capacità. Patrizia è andata oltre, e pur partendo da comuni basi, ha saputo costruire qualche cosa di nuovo.

  20. renzo grazie.
    la parola non cancella segna, stacca dall’animo il dolore e lo imprime nel verso, la parola è specularità dall’origine della parola ” specchio”, quando sei riuscito a scarabocchiarla su una pagine riesci forse meglio ad elaborare dolore e gioia, fatti, impressioni e immagini dentro te. Ma la parole è continuità con se stessi, è espiazione e lettura di come siamo ed eravamo ,e’ anche pentimento ma esiste e nessuna matita potrà mai farla sparire. Taglieremmo a pezzi la nostra vita che è un unicum di tutti noi stessi. a presto
    patrizia

  21. M’ILLUMINO D’IMMENSO DISSE UN GRANDE
    Quanta poesia quanta contemplazione è celata è condensata in uan sola parola che se filtrata dal cuore conduce alla consapevolezza e a quella visione illuminante che è l’essenza di tutte le cose.
    ..
    Come nel pensare / ragionare / riflettere / meditare / contemplare a volte si è nelle condizione di coerenza neurofisiologica di sincronismo tra i due emisferi che portano a momenti d’ipercoscienza, cioè di scoperta di nuove idee creative, di INSIGHT che a volte ci permette anche partendo dalla tridimensionalità di percepire le realtà trascendentali, di attingere e di leggere nel mondo delle IDEE. Così Nel Sentire è Celato il Grande Mistero.

    L’energia del pensiero nell’essenza è EMOZIONE è PASSIONE è VIBRAZIONE. Come in ogni cosa del creato universo c’è vibrazione. Come ad un livello più sottile ogni vibrazione è collegata alle altre, al tutto. Ogni forma, ogni canto, ogni grido, ogni colore, ogni sfumatura è una nota armonica che all’unisono vibra di quel divino immenso infinito pensiero che lo ha generato.

    Saluti
    Raffaele

  22. come di qualcosa di meraviglioso che però può fare male.
    questa è la mia esperienza come insegnante.
    poi entrano nel percorso poetico e non solo lo amano ma se ne appropriano moltomolto spesso cominciando loro stessi non solo a scrivere ma a comunicare e la poesia è comunicazione d’enrgia, intenti, reale , immaginario…è parola da donare e donarsi.
    patrizia

  23. mi ha colpito questo passaggio della poesia di grass

    ora mi rimane appiccicata una macchia,
    netta quanto basta
    per gente
    che indica con dito senza macchia.

  24. credo che quella frase ‘per gente che indica con dito senza macchia’ si possa applicare un po’ a tutti.
    mi ricorda la nota frase ‘chi è senza peccato scagli la prima pietra’

  25. Una poesia sulla poesia:
    “Il poeta è come lui, principe delle nubi
    che sta con l’uragano e ride degli arcieri,
    esule in terra fra gli scherni, non lo lasciano
    camminare le sue ali di gigante”
    (C. Baudelaire)

  26. Chi è che compra i libri di poesia, oggi?
    C’è una mia amica che è poetessa e pubblica una piccola raccolta l’anno. Non so contribuisce alle spese di stampa, ma non credo che oltre la cerchia di amici e parenti riesca a vendere libri. da qui la domanda posta prima. Chi è che compra i libri di poesia, oggi?

  27. Delicatissimo questo post dedicato a una razza in estinzione: i poeti. C’è ancora spazio in questo mondo per i poeti e i sognatori? C’è ancora spazio per fermarsi a riflettere? Contemplare un tramonto? un’alba?
    La poesia, in quanto espressione dell’arte, è per sua costituzione menzogna, tuttavia aspira a rivelarsi verità. Il Poeta è testimone del proprio tempo, interroga se stesso, plasma e manipola i suoi stati d’animo fino a renderli poesia, flusso ritmico che regala sensazioni, emozioni, meraviglia. La poesia, come la filosofia, nasce dalla meraviglia. Il poeta apre fenditure profonde nell’animo, crepe sotterranee, squarci di luce vivida, affascinanti ed emozionanti. La melancholia ineludibile di cui scriveva Aristotele, radicata nelle persone in perenne travaglio esistenziale.

  28. @Maurizio: pure io interpreto così questo passaggio.
    @ Emanuela Gallo: giusta osservazione. In Italia sono in moltissimi a scrivere poesie, ma in pochi a comprare i libri di poesia. E’ una stranezza, perchè leggendo s’impara, ma ho potuto verificare io stesso che c’è una ritrosia, che non dipende quasi sempre da ragioni economiche, nel comprare libri di poesia. Le stesse tirature, anche per autori di fama, sono limitate proprio perchè è un mercato difficile. Personalmente non ho da lamentarmi e nemmeno il mio editore, ma se uno pensa di fare grossi numeri con la poesia è meglio che cambi opinione. Un dato che vale per tutti: ero amico del nipote di Salvatore Quasimodo, una cara persona che è morta anzitempo. Ebbene, ebbe a dirmi che, dopo il Nobel attribuito allo zio, vi fu una pubblicazione della sua opera omnia, pubblicazione che riuscì a vendere molto più del solito, e cioè circa 10.000 copie, una misura che è alla portata di un qualsiasi narratore di discreto successo.
    Da noi non c’è il culto per la poesia e spesso si confonde l’animo poetico con la capacità di scrivere poesie; così da un lato abbiamo una marea di “poeti” disposti a pubblicare anche a pagamento e dall’altro pochi appassionati, gente che ha anche la preparazione culturale necessaria e che è disposta ad acquistare.

  29. @ Salvo: intervento prezioso e valido, benchè così sintetico. L’unica nota un po’ stonata è che noi scrittori di poesie saremmo una razza in via di estinzione. Non è proprio così, perchè se leggi quello che ho spiegato a Emanuela Gallo sembrerebbe che invece i poeti siano in corposo incremento, ma, tengo a precisarlo, quelli che scrivono poesie sono sempre stati pochi e non hanno mai avuto vita facile. Perfino nei discorsi con la gente che ti fa domande, se dici che sei uno scrittore ti guardano con uno sgardo interessato, ma se aggiungi che scrivi poesie, quegli occhi si smorzano in un’espressione chiaramente compassionevole. Il motivo?
    Nella nostra società si misura il valore con la capacità di guadagno e tutti sanno che i poeti non riescono a mangiare con i proventi della loro arte.
    Un chiarimento: sono abituato a dire che uno nasce poeta, ma che scrittore di poesie si diventa con tanta applicazione, con tanto studio e con immensa umiltà.

  30. A Renzo Montagnoli.
    Grazie per la risposta. Il punto, secondo me, è questo: se l’autore contribuisce alle spese o le sostiene in toto la casa editrice pubblica senza rischi economici, giusto? Ma se così avviene, chi è che stabilisce che quel libro è un libro di poesie e non semplici frasette scritte da qualcuno con l’animo poetico? Non c’è il rischio di pubblicare qualunque cosa appaia come poesia purché l’autore paghi?

  31. @Renzo. “Poeti razza in estinzione” è inteso in senso ampio. Nella civiltà frenetica di oggi in cui i beni materiali sono al primo posto, i sognatori sono relegati in soffitta. Dio preservi quelli che ci sono, perchè in loro è riposta la speranza di un futuro migliore. Io invece vorrei riprendere il problema posto da Gallo. La poesia non vende, e questo è un dato di fatto. Per la verità anche la narrativa è in grosse difficoltà, ma mentre per quest’ultima si trova ancora qualche editore disposto a investire, le poesie non le vuole pubblicare nessuno se non a spese dell’autore. Cosa succede? Nascono fior di case editrici che pubblicano poesie a pagamento. Potrebbe sembrare una contraddizione. Allo stesso modo si moltiplicano i libri di persone che si ritengono poeti, e di fatto lo sono già solo per il fatto che dedicano il loro tempo a comporre versi, indipendentemente dalla qualità dei loro scritti. Nascono antologie, calendari letterari, riviste alle quali è obbligatorio abbonarsi per usufruire della pubblicazione ecc. ecc. Si mette in moto un meccanismo, legato al business che non permette più di fare una cernita tra poesia e semplici componimenti. Tutto questo contribuisce ad allontanare gli amatori, i quali non riescono più a raccapezzarsi nelle librerie e spesso preferiscono puntare sui pochi autori noti.

  32. Sono arrivata per ultima, come mio solito.
    la Poesia… Già, è ciò che mi dà la carica per vivere. Potrà sembrare eccessivo, eppure è proprio quello che mi accade.
    Scrivo da …non ricordo, la mia prima poesia fu pubblicata sul quotidiano napoletano Il Mattino e avevo 13 anni.
    Poi la vita, e tutto, gioie e dolori, tragedie e commedie, veniva filtrato da questo linguaggio che non mi dava tregua. Vorrei riuscire a comunicare in altro modo il mio sentire ma non mi risulta facile. Per me è necessario un supporto, che sia una tela, una pietra, un ammasso di creta o un foglio bianco.
    La poesia è come la musica, ci vuole orecchio, ma anche una sensibilità acuta, addirittura acuminata, perchè è un vero e proprio sentirsene trafitti.
    Perdonate l’inadeguatezza di questo commento, è che non mi sento depositaria di teorie o generalizzazioni, e posso esprimermi soltanto per quanto riguarda me stessa.
    Grazie, Massimo, di questa bella iniziativa, e grazie a tutti gli amici poeti e commentatori.
    Tornerò ancora a leggere i successivi.
    Intanto buon pomeriggio.

  33. Per Salvo Zappulla,
    credo che abbia ragione, e che sia molta la confusione di chi si accosta a questo mondo, perchè c’è davvero una commistione tra chi compone e chi fa della vera poesia.
    Non dico che sia impossibile distinguere, c’è chi lo avverte subito, e chi avrebbe bisogno di essere indirizzato a comprenderla.
    Purtroppo ci sono anche molti strimpellatori che, per carità siano benvenuti comunque, perchè è già un attestare interesse per la poesia, soprattutto tra i giovani. Ma occorre sicuramente una sensibilità particolare e la relativa competenza per un giusto approccio.
    Ancora, e questa è soltanto la mia opinione, una poesia, come qualsiasi opera d’arte, deve trasmettere emozione, altrimenti è altro.

  34. @ Salvo: hai certamente ragione e quello che più impressiona è che ci sia gente disposta a pagare per pubblicare. E’ vero che c’è un illustre precedente, di un narratore (Moravia), ma l’ha fatto solo per il primo libro. Invece conosco autori di poesie che hanno già sfornato 4 o 5 libri regolarmente pagati da loro. Se io avessi dovuto pagare, non avrei assolutamente accettato, sia per una questione etica (il lavoro è mio e per pubblicarlo addirittura devo pagarlo?), sia perchè non avrei avuto la possibilità di verificare se qualcuno era disposto a mettersi in gioco, rischiando il capitale, solo in forza della qualità dei miei testi.
    ************
    @Emanuela Gallo: quel che ho scritto per Salvo è in risposta anche alla tua giusta osservazione.

  35. concordo con Cristina Bove, anch’io non riesco a fare generalizzazioni e mi esprimo per quanto riguarda me stessa, per il valore inestimabile che per me rappresenta da sempre la poesia sia quando la scrivo sia quando, come più spesso capita la leggo. tanti sono i poeti che amo e tanti quelli che mi hanno fatto crescere. Il piacere o meno di leggerli sarà espresso dal pubblico, la pubblicazione è per me l’attimo dello stacco dal sè per “l’altro da sè”.
    Gli italiani non sono lettori di niente, tantomeno di poesia , non sono abituati a partire dalla scuola , dalla formazione di base etc…in quanto al gratuito o meno se uno è stornellatore tale resta .
    La frenesia di pubblicare non mi appartiene e non pubblico pagando se per molti esso è l’unico riconoscimento, con la poesia ciò non c’entra niente.

  36. Pubblicare o non pubblicare, vendere o non vendere,è lo spazio del mercato non quello della poesia,concordo con i post sopra. Non credo però che a leggere poesia siano pochi lettori,tutti siamo irremediabilmente attratti dalla parola poetica, il suono e lo spazio bianco fra un verso e l’altro. Lì c’è il non detto, il sussurrato, lo sguardo che s’apre su noi stessi e che talvolta rifuggiamo perchè semplicemente non siamo abituati a guardarci dentro nelle pieghe dei dolori e delle gioie, ma sopportiamo la vita con distrazione. Se molti ne scrivono, ne leggono anche, bisogna educare l’orecchio alla musica della poesia e guardate quanti giovani partecipanti al premio laurentum!La poesia è più viva che mai, forse viene volutamente messa un pò in disparte perchè se ne intuisce la forza, parliamone,cantiamone i versi, dipingiamone il volto dappertutto perchè la poesia è il muscolo sanguigno che si contrae e si dilata significando ogni passo e ogni sosta della nostra esistenza.
    grazie per averne parlato,abbracci
    francesca giulia

  37. Francesca Giulia è bellissimo questo tuo commento!
    E’ proprio come dici, la poesia spesso la si evita perchè fa pensare , è scomoda, induce a riflessioni con se stessi che spesso vengono rimosse, con un ‘emozionalità che troppo spesso è stata messa nel cassetto. e questo da sempre, non ci sono tempi bui e altri luminosi.
    E’ verissimo parliamone, leggiamola, semtiamola perchè essa defisce e crea ogni passo della nostra vita così come scrivi.
    grazie veramente
    patrizia

  38. grazie a voi tutti per lo spazio,mi dedico alla narrativa breve per raccontare e per crescere, non so se e quando vedrò il risultato,ma il percorso mi fà guardare il mondo sempre con nuovi occhi, mi dedico alla poesia ogniqualvolta il mio sguardo si spegne e non basta la parola, mi necessita la carezza sulla piaga della solitudine e soltanto in quel momento muoio per rinascere in un verso. Poi se qualcuno leggendolo morirà e rinascerà con me, avrà tessuto una nuova maglia della vita.
    Per me è questo il senso dell’essere poeti e non morirà mai, Il mio augurio a tutti i poeti di questo blog.
    abbracci,alla prossima occasione,
    francesca giulia

  39. Vi dico che andando per fiere del libro ho scoperto che in effetti non pochi hanno paura della poesia. Di seguito ci sono alcune risposte alla mia domanda “vi piace la poesia?”:
    1) E’ troppo difficile;
    2) Si legge troppo alla svelta;
    3) Fin per carità! Ricordo ancora con rabbia quelle che ho dovuto imparare a memoria a scuola.
    Allora, tranne che nel caso 2), unica risposta così peraltro, se ne deduce che il problema consiste nell’avvicinamento scolastico alla poesia, spesso superficiale, frettoloso, non coinvolgente. E’ una realtà, fra l’altro, che caratterizza anche la narrativa, nel senso che, non dico tutti gli insegnanti, ma almeno la maggior parte non educano a leggere.
    Inoltre anche in famiglia, per lo più, non invoglia a leggere e i risultati grami si notano.
    La cosa stranamente è avvertibile sia in nuclei familiari con basso livello d’istruzione, sia in quelli di livello addirittura universitario.
    Ho degli amici, compagni del corso di laurea, che candidamente mi dicono che leggono non più di uno o due libri all’anno, e ovviamente non di poesia, perchè si giustificano così: Leggo per riposarmi e la poesia non è certo un riposo.

  40. Intanto che c’è poco affollamento, aderisco all’invito di massimo di presentare la mia opera e una poesia tratta dalla stessa.

    Il cerchio infinito

    Penso che prima ancora del mistero della vita l’uomo si sia trovato di fronte a quello della morte.
    Immagino il primo ominide, sgomento, atterrito, a fianco di un suo simile che non si muoveva più e da allora quell’unica certezza che la vita non era eterna ha indotto a pensare che potesse esistere qualche cosa, magari di diverso, oltre la morte.
    Fiorirono le religioni, cercando di dare risposte certe, tuttavia senza possibilità di riscontro.
    Il problema è che l’uomo, per sua natura, tende a ridurre ogni cosa alla sua dimensione.
    Lo stesso è stato per il tempo, un concetto sempre ritenuto assoluto, ma che non lo è, perché le 24 ore sono un giorno per un terrestre, ma sono una vita per un insetto.
    Analogamente si è proceduto per la distanza, onde misurare ogni estensione necessaria ai suoi bisogni, ma quando si sono rivolti gli occhi al cielo, quando gli studi ci hanno rivelato l’esistenza di altri mondi, di altre galassie, la distanza ha perso il suo significato, perché era inconcepibile cercare di misurare qualche cosa che non aveva fine, e allora si è coniato il termine di infinito.
    La vita, nel suo mistero, il tempo, nella sua incertezza, la distanza, nella sua imperfezione, sono il tema di questa silloge.
    È un tema unico, perché nell’universo tutto è infinito e nulla è lasciato al caso: il tempo, lo spazio, e, lasciatemelo credere, anche la vita.
    Se esiste l’anima, scintilla che fa scoccare l’esistenza, questa non può finire con il corpo e quindi è eterna.
    È una teoria, un sogno, ma anche io sono un uomo e non sfuggo alla logica di ridurre alla mia piccola dimensione la risposta alle domande fondamentali.
    Credo, comunque, che non avremo mai certezze e questo è un bene, perché altrimenti, comprendendo il perché della vita, questa probabilmente non ci interesserebbe più.

    Il glicine

    Quasi contorto nel freddo
    s’aggrappa ancora alla vita
    tronco rugoso orbo di foglie
    avvinghiato all’umida ringhiera
    sfida il vento d’inverno
    sperando in un’altra primavera.

  41. Aderisco anch’io e riporto qui una delle mie, spero siaq gradita.

    ALLORA è POESIA?

    Allora anch’io mi chiedo se è così
    che si fa poesia
    se basta avere l’aria nella testa
    un pulviscolo in petto
    o una notte di lucciole in cantina

    se basta essere appesi ad un ricordo
    o avere nelle mani una manciata
    di fuochi spenti, un solco nella scarpa
    e restare appoggiati a una spalliera
    di gelsomino ormai quasi appassito

    Che ve ne importa? Dite forse un nome
    o raggiungete un argine d’addio
    o assicurate un’ancora sul fondo?
    Ah, se bastasse un po’ di oscurità
    per cancellare un attimo di sonno
    una caduta in triplo
    salto mortale
    una scia di verbena
    una vecchia borsetta fatta a maglia
    un ombrello tarlato e un libro aperto.

    Invitatemi almeno a un valzer lento
    datemi il tempo di mirare a segno
    così che con un tiro ben centrato
    io possa andare via
    senza un lamento.

  42. io non so parlare dei mie libri e la recensione di Alberto Carollo che avete postato è tra le più belle che mi abbiano scritto.
    invio con piacere due mie poesie dall’ultimolibro:
    Uno specchio di mare
    Abbraccia
    Lo sguardo proteso
    Di una donna

    Vicoli raccontano
    Ombre di pescatori
    E reti da ricucire
    Occhi bassi
    Antichi
    Scrivono
    Pagine di storia

    La pioggia
    Sbiadisce
    Un retro-immagine
    Di poche righe

    I massi
    Rotolavano dalle scale
    Invadevano la scena
    Cacciavano gli attori
    Una scommessa a perdere

    non si recitò

    Truccata
    dal tempo
    Colorai farfalle e gatti innamorati
    Prima di riaffidarli
    Al mare

    grazie di avermi letta
    patrizia

  43. mi dispiace non sia venute distanziate
    i massi…iniziano un’altra lirica…………….

  44. W la poesia, quella che fa volare dentro. io ne sono un’appassionata lettrice e desidero ringraziare per questo post

  45. Uh, ma che bello! Il piacere della condivisione, la gioia di trasmettere e ricevere emozioni attraverso i nostri (i vostri) versi, tutto questo è già Poesia. E’ un sogno. E’ un miracolo. Renzo, Cristina e Patrizia, è un po’ riscoprirsi bambini. Cosa importa se le hannno lette in dieci o in cento persone? Si scrive per un’esigenza dell’anima, perchè un magma incandescente ribolle dentro di noi e non può rimanere imploso. Tutto il resto: le vendite, gli editori, il mercato lasciamolo agli altri.

  46. BELLISSIMI!
    —–
    I massi
    rotolavano dalle scale
    Invadevano la scena
    Cacciavano gli attori (Patrizia)
    —–
    Invitatemi almeno a un valzer lento
    datemi il tempo di mirare a segno
    così che con un tiro ben centrato
    io possa andare via
    senza un lamento.(Cristina)
    ——-
    Quasi contorto nel freddo
    s’aggrappa ancora alla vita
    tronco rugoso orbo di foglie(Renzo)
    ——

    ….La poesia, in quanto espressione dell’arte, è per sua costituzione menzogna, tuttavia aspira a rivelarsi verità…. (Salvo.E’ come se fosse una poesia)
    —-
    un bacio
    Simo

  47. Stasera mi sto commuovendo, mi sono beccato pure un quarto di bacio. Fortuna che non ci sono in giro i vecchi volponi (Gregori, Didò, Parlato e compagnia bella), perchè mi troverei indifeso.

  48. La poesia… la mia prima forma espressiva, quella a cui sono più legata perché ha accompagnato e segue sempre la mia vita, mentre la narrativa è più “oggettiva” e richiede oltre il momento lirico quello strutturale, di costruzione, invenzione… la poesia, almeno per me, è rivelazione e intuizione lirica: IN-TUEOR, guardo dentro. Di me, innanzitutto, scoprendo cose di me stessa che non sapevo. Del mondo. Dei massimi sistemi.
    La prima poetessa di casa è stata mia zia Maria Blundo, poetessa dialettale abbastanza nota a Siracusa.
    Radici: il gusto della parola a casa del nonno materno, che leggeva la sera, dopo cena, per la moglie e i figli. Lui contadino con la terza elementare con una calligrafia che gli invidiavo e la saggezza di un patriarca, con le storie popolari e i detti in siciliano – che scuola di ritmo, di metrica!
    Complimenti a tutti i poeti letteratitudiniani: la bellezza salverà il mondo secondo Dostoevskji. In questi tempi infami abbiamo bisogno di poesia come il pane. Sto leggendo “Il ribelle in guanti rosa” di Giuseppe Montesano su Baudelaire che me ne dà conferma ad ogni riga.
    Poesia per affermare la nostra esistenza.
    Per dialogare con noi stessi.
    Per disquisire con Dio.
    Per lanciarci un messaggio di luce anche se lontanissimi, come i fari di Baudelaire.

  49. verissimi ed intensi gli ultimi commenti anche la formazione in un unico testo di versi scritti da tre poeti………si, lasciamo perdere tutto quello che ci può essere intorno ad un libro e chi legge o no.
    Io mi considererei vincente se anche una sola persona leggendomi potrà dire- anch’io ho sentito le stesse cose ! –

  50. un bacio a Salvo lo invio io con un abbraccio e un grazie a tutti gli interventi che mi sono piaciuti molto e che sono stati molto d’intensa condivisione. Se continuerete a parlare di quest’argomento anche domani sera, ci ricollegheremo.( non conosco i programmi di tempo di letteraritudine )

  51. Noi dell”associazione culturale Pentelite, qualcosa di buono facciamo per promuovere la poesia: tutti gli anni organizziamo un concorso letterario dedicato al racconto breve, alla poesia in lingua e al dialetto siciliano. I cinque finalisti per ogni sezione vengono pubblicati su Pentelite, un libro arrivato già alla tredicesima edizione (tredicimila copie stampate e diffuse gratuitamente in tutta Italia). Nel numero di quest’anno di prossima uscita, oltre ai finalisti, verranno pubblicati nella parte che riguarda la saggistica, interventi di autori del calibro di: Paolo Di Stefano, Maria Di Lorenzo, Roberto Alajmo, Simona Lo Iacono, Massimo Maugeri, Maria Lucia Riccioli, Francesco Di Domenico, Silvia Leonardi, Barbara Becheroni, Rina Brundu e altri… (din! don! pubblicità)

  52. che bei versi, complimenti a tutti, mi commuovono molto quelli di patrizia,belli questi massi li vedi proprio rotolare senza pietà e travolgere tutto…io sono piccola in questo gruppo di poeti, con sparute apparizioni in antologie varie,vi mando un mio “tanka” sull’assenza.
    ASSENZA

    Muti mobili
    E pile polverose
    Opachi vetri
    Piante secche in vasi
    Così è nel cuore.
    Buona poesia a tutti,con amore
    francesca giulia

  53. bellissimo Giulia quell’ E a capoverso…amplia lo spazio e rende ancora più immobile…il cuore e il suo sentire…ma il cuore è silenzioso giulia e quando vorrà parlare lo sentirai…ascoltalo.
    buonanottecara , a sentirti presto
    patrizia

  54. di…e poi è sparito tutto. Completo:
    di aumentare lo spazio al capoverso, onde, leggendola (a voce si nota) rendere più evidente anche con le parole il senso di solitudine interiore.

  55. grazie a Simona, a Patrizia, a Salvo, a Renzo…e insomma a tutti.

    permettetemi un’altra a cui tengo molto:

    DI COSE E DI VOCI

    ..

    Al mercato delle piccole cose
    passavo lo straccio sui riquadri
    plexiglass
    con un occhio alle briciole sparse
    e con l’altro lontano
    .

    gemevano strani suoni dai sassi
    che avevo mai notato
    con le festuche della sassifraga
    a spuntare
    vincenti nel candore
    .

    quando una voce amica, da regioni
    stellari, distintamente udii:
    resta al tuo banco dove si respira aria
    di luna, resta a mostrare l’anima
    ché tu non sei, mi disse,
    figura da specchi, non sovraesposta sei
    ma rarefatta
    e perciò più vicina alle non-cose.

  56. Mi piace rispondere a Massimo su: quando avete incontrato la poesia?
    beh un pò ce l’hanno fatta studiare a memoria alle scuole elementari( ma di quella non ho ricordi); ricordo che mi avevano fatto studiare a memoria alle scuole medie una poesia di Verlaine. Ma Il vero “innamoramento” é stato quando mia cugina é venuta in vacanza da noi per Natale( eravamo in terza liceo, io scientifico, lei classico) e mi ha chiesto se facevamo insieme i commenti assegnati dal suo prof di italiano. Abbiamo cominciato a leggere: “Al cor gentil rempaira sempre Amore..”di Guinizelli… e poi: “Chi é questa che vèn, ch’ogn’om la mira..”di Cavalcanti e ancora “Guido io vorrei che tu e Lapo ed io..”di Dante.. insomma ci piaceveno moltissimo e ridevamo per quel “Come l’ausello in selva a la verdura..”.

  57. Il post é molto bello, come sempre. Possiamo conoscere e apprezzare i nuovi poeti che hanno riportato qui i loro testi. Sarei attratta dai “Cinquanta Sonetti” di Leandro Piantini, perché sono le forme classiche quelle che prediligo.
    Io vedo nella poesia un modo per “identificarsi” con un’anima che sa esprimere meglio quello che tutti hanno dentro.
    Non credo che si legga poca poesia, ma temo( così come succede per il teatro e la letteratura in generale) che sia diventata una specie di “privilegio” per pochi e che in questo allontanamento dai “lettori comuni” si crogiolino “gli intenditori”. Forse questo allontana ancora di più e fa “sembrare” la poesia difficile e irraggiugibile.
    @Renzo: sono molti gli insegnanti che cercano di educare gli studenti alla lettura; solo che non é una cosa facile. E questa difficoltà può capirla solo un insegnante, perché é impossibile spiegarla a chi, pur con le migliori intenzioni per capirne le ragioni, non fa questo mestiere.

  58. @ Massimo: mi sembra molto bello anche proporre la raccolta di GUNTER GRASS: la poesia riportata a me sembra bellissima.
    Di Grass avevo visto solo il film tratto da “IL TAMBURO DI LATTA”e lo avevo trovato molto bello.
    “O forse si doveva provare il travestimento,
    stendere il velo pietoso(…)
    Non si può mascherare
    il torto sanzionato”
    Sono molti gli scrittori tedeschi del Novecento che si sono portati dietro il senso di colpa perché quando SAPEVANO non hanno fatto nulla o sono fuggiti dalla Germania( come Thomas Mann. Suo figlio Klaus si é ucciso, infatti e, se non ricordo male, anche Stefan Zweig). Credo che per G.Grass il “mascheramento” e il “travestimento” siano diventati insopportabili. L’onestà intellettuale di questo grande scrittore emerge con questa raccolta, credo.

  59. @ Martina
    Mi scrivi. “la fatica che ci hai messo per predisporlo si evince con molta facilità. Tutti quei collegamenti, quelle immagini…”

    È vero, lo ribadisco.
    Infatti… non aspettatevi altri post per tutta la settimana. Ovvero, fatevi bastare questi:)
    (grazie, Martina).

  60. @ Martina e Patrizia
    In effetti per “poeti letteratitudiniani” intendo poeti che in un modo o nell’altro sono passati qui da Letteratitudine.
    Ma questa è una festa della poesia. Quindi mi farebbe davvero piacere se potessero partecipare altri poeti.
    Dunque… invitate, invitate, invitate.
    E parlate delle loro silloge.
    (e linkate questo post sui vostri blog, se potete: grande festa della poesia!).

  61. Tra i poeti segnalati sono intervenuti Renzo Montagnoli, Patrizia Garofalo e Cristina Bove.
    Vi ringrazio. E spero che possiate continuare a intervenire. E a offrirci qualche altro verso.
    (Nei prossimi giorni immagino che interverrà qualcuno degli altri poeti segnalati).

  62. Per il momento ringrazio gli altri intervenuti: Raffaele, Simona, Marco, Maurizio, Emanuela, Salvo, Francesca Giulia, Sara, Roberta.
    Tornerò domani riprendendo qualche vostro commento.
    E avremo modo di approfondire le silloge di Grass e della Trotzig.
    Buonanotte a tutti, amici.

  63. Faccio i miei complimenti a Massimo per questo post e vorrei tributare un elogio incondizionato a tutti i poeti che contribuiscono ad esso.
    Molto è stato detto sulla poesia e non saprei dire di meglio.
    Tuttavia mi premeva rimarcare un aspetto.
    Il poeta non è fuori dal mondo. Non potrebbe esserlo. La poesia è immanenza e per coglierla bisogna calarsi nella vita giacché denso di essa deve essere ogni singolo verso. Il poeta sta in mezzo alla gente, ladro di esistenza e di emozioni. E’ uomo di strada sporco e lacero per ogni nuova dolce sofferenza che è riuscito a patire.
    Chiunque legga i suoi versi lo aiuta a rimanere in vita. La poesia si realizza nell’empatia.

  64. Conobbi la poesia ad un convegno sulla “Bioetica dei gradassi”,
    era nascosta dietro una tenda,
    un po’ si vergognava delle sue parole,
    credeva d’essere un romanzo anoressico o
    un racconto breve a corto di parole.
    Quando ridacchiando, il relatore le diede la parola,
    lei se la tenne stretta, la impugnò come una penna
    e la lanciò come rete verso l’infinito,
    raccolse storie, cuori, ardori, finti amori
    si ritrovò pescatore, lei la poesia fu nominata
    senatore, a vita.

  65. Che post è questo, dove giganteggiano i geometri?
    Salvo Zappulla sei magnifico (se ti telefona Obama tienimi presente)!

    La poesia deve avere veramente qualcosa di magico, anche Totò ne fa magicamente cenno ne “Il Turco Napoletano” per ben due volte, quando la ragazza vuole sposare un poeta invece che un guappo e le chiede: “Fammi vedere cosa scrive…umh: “Lisa, lisetta, quando ti vedo il mio cuore balbetta”, e tu per questo hai perso la testa? E se avessi conosciuto Leopardi, cosa ti saresti perso?”
    Ed alla fine, quando propone il giovane in sposo: “Tra tanti fichi secchi, un po’ di poesia non guasta”.

    La poesia l’ho conosciuta a scuola. M’infiammava “O Cavallina storna”; mi faceva sognare come un film di cow boy “La nebbia agli irti colli…”, poi strada facendo l’ho persa, certo la vedevo fuor delle parole dei poeti, in un attimo di felicità fuggente, in una frase di un libro, in un film, in qualche delicata frase di mia nonna, o in qualche bellissima preghiera (perché no):
    “Salve o Regina, madre misericordiosa, vita, dolcezza, speranza nostra, Salve…”
    L’ho ritrovata fortemente sulle pagine di Letteratitudine attraverso la conoscenza di quelle che, indegnamente, considero le mie amiche Maria Teresa, Cristina e altri nomi che adesso non mi vengono, ma che tengo nel taschino a sinistra al posto del cellulare, il cuore.

  66. @roberta: il, problema che ognuno, nell’ambito delle sue esperienze, tende a generalizzare. Resta comunque un fatto, frutto di una recente indagine, pubblicata anche sull’Espresso: il livello di preparazione, e quindi il quoziente culturale, degli studenti italiani è di buon lvello alle scuole elementari, ma poi decade rapidamente, tanto che risultiamo al di sotto, e di non poco, della media mondiale. Un motivo evidentemente ci sarà, o forse è più di uno, quale, secondo me, l’aver abolito l’insegnamento del latino alle scuole medie inferiori.

    ***************

    @eventounico: una bellissima definizione del poeta. Sì, il poeta esprime le sue esperienze di uomo, ma riesce a vedere e a far vedere la realtà che c’è oltre l’apparenza.

  67. Di poesia capisco poco, e vado a sensazione. Però ammiro i poeti. Perché se chi scrive prosa può cullare il sogno di una visibilità seppur minima, chi compone poesie è davvero oscurato e sommerso. Insomma, per far poesia bisogna crederci fino in fondo.

  68. Cosa è poesia? Cosa non lo è? Mi viene in mente il famoso testo della canzone di Cocciante………….

  69. POESIA
    di Riccardo Cocciante
    (P.Casella – Cocciante – Luberti) – 1972
    …….
    …….
    Poesia poesia
    sembra che non ci sia
    poi ritorni per caso
    a quand’eri bambina
    e tu
    tu correvi cantando
    sorridevi per niente
    e potevi volare
    e tutto questo era
    poesia.

    Poesia poesia
    sembra che non ci sia
    poi ti prende la mano
    e ti porta lontano
    con lui
    e non sei più bambina
    non sorridi per niente
    scopri di essere donna
    e tutto questo è
    poesia.

    Poesia poesia
    sembra che non ci sia
    poi ti svegli una notte
    e vorresti parlare
    con lui.
    Ti dovresti spiegare
    e non sai cosa dire
    che è finito l’amore
    ma in fondo anche questo
    è poesia.

  70. Carissimi, prima di tutto grazie a massimo e grazie a tutti. La lettura dei vostri testi e delle note aprono interrogativi, fanno venire voglia di scrivere, tutto si accavalla anche un po’ confusamente perchè gli stimoli sono molti. Vado un po’ random come mi viene. Primo di tutto ottime le due segnalazioni. Considero Birgitta Trotzig una poeta davvero grande. conobbi i suoi testi per caso quando nel 2002 Guido Oldani decise di pubblicarne alcuni sull’Annuario Crocetti di quell’anno, credo per traduzione di Daniela Marcheschi anche in quell’occasione. Per me fu una scoperta. Poeta grande e originale, autrice anche di prose poetiche. Non so quasi nulla invece del Grass poeta e quindi l’indicazione di Letteratitudine è quanto mai preziosa!

    Le domande sono tante e complesse, ne scelgo alcune. Il mio incontro con la poesia e di poco successivo alla mia capacità di leggere. Ho avuto la fortuna di appartenere a una generazione (forse l’ultima o la penultima), cui si facevano ancora imparare le poesie a memoria fin dalla scuola elementare. Ritmo e suono, il fascino di quelle parole che creavano una strana musica facevano parte del mio bagaglio culturale prima di diventare una scelta più cosciente di lettura pesonale. Per quanto riguarda lo scrivere bisogna arrivare alla fine della scuola media, naturalmente in segreto e con un po’ di vergogna. Non si facevano allora i corsi di scrittura creativa nelle scuole, la lettura e anche la capcità d’imparare a memoria erano sollecitate, mentre l’epoca dei libri grames, delle poesie scritte dai bambini ecc. ecc. erano ancora lontani: sono cose che ho visto fare dai miei figli e non sprei bene come valutarle. Il rapporto con la scrittura, specialmente quella narrativa, è diventato molto disinvolto, forse troppo. La poesia si è difesa meglio e avrà sempre bisognoa mio avviso, di silenzio intorno, di una certa riservatezza.
    Di L’epoca e i giorni e dei vostri testi ne parlo in un altro commento, voglio legger con più calma.

  71. “La parola è macchia.
    E’ traccia, incisione, segno.
    La parola è ciò che da’ esistenza alle cose. Perchè nominarle, pronunciarle, vestirle, le rende vere.
    Un battesimo. Una iniziazione al viaggio nel mondo.
    Non è un caso che l’origine di esso sia fatta risalire al verbo. Alla pronuncia impastata di fiato. Di desiderio.
    Il verbo si fece carne è questo. Una nascita attraverso il dire.
    Attraverso un passaggio.
    La parola è più di un principio generativo.
    E’ ciò che sta prima della creazione. E’ il motore della creazione. Lo sforzo, l’amplesso.
    Dopo averla detta, il mondo è.
    Il mondo oggi dice molte parole. Ma gli antichi che le babettavano, che conoscevano lo sforzo di inventarle, di far corrispondere a un gesto il suono, e a un’idea un segno, avevano per esse un rispetto religioso. Sacro.
    Nel diritto la parola era codificata in formule rigide. Non poteva allontanarsi da esse se non attraverso il “sacrilegium”.
    Perchè la parola era signora e dominatrice. Spettatrice dei destini. Bellissima.
    E diventava “norma”, regola.
    Il senso della poesia oggi è riscoprire la sua rarità. La sua forza. Il suo essere preziosa come un gioiello.
    Il poeta coglie ancora – come i bambini che imparano a parlare e come i popoli primitivi – l’incanto e lo sforzo di immettere sillabe nel mondo. Coglie la misteriosa corrispondenza con la musica e i suoni della natura.
    Avvolge il tempo. Torna al prima. Torna al verbo.
    E contribuisce al fluire della creazione. Compie un nuovo atto procreativo. Un’altra nascita.
    Anche una sola parola nuova regalata al mondo è un principio.”
    Rispondo con una piccola provocazione: io sono quasi perfettamente d’accordo con queste parole.
    Ma mi/vi chiedo: quanto fa venire voglia di leggere una poesia ad un ragazzo o ragazza di 14 anni una presentazione di questo genere?
    L’emarginazione culturale nel quale versa la poesia oggi non è che sia anche causata dall’atteggiamento stesso dei poeti, per cui questa emarginazione si trasforma in “differenzazione”?
    Non dico tutti, ma molti poeti che ho visto in azione, e non parlo ovviamente di premi nobel, ma molto più frequentemente uomini e donne di mezza età con la fregola versificatrice che pubblicano a loro spese libri su libri di poesie con case editrici che solo il nome rimanda ad un’ associazione a delinquere.
    Ebbene, quello che noto è una costante e metodica ricerca del senso di elite: porto un esempio evidente.
    Invitato ad un reading in un paesino della cintura di Torino, mi presento con tanta speranza. Noto che la lettura si svolge in un bel palazzo (“un castello”) al centro del paese, nel quale si svolge in parallelo la festa patronale. Per la strada centinaia di persone, nel palazzo tredici madame impellicciate e ingioiellate dall’età media di 87 anni e due dentiere (una di riserva in borsetta). Chiedo all’organizzatore perché non si siano uniti i due eventi , perché il reading non faccia parte del calendario degli eventi della festa. Risposta:
    perché se no veniva tanta gente.
    Ecco, questo atteggiamento è, a mio avviso:
    1) sbagliato
    2) arrogante
    3) controproducente
    4) noioso
    5) scontato
    Io mi sono sinceramente rotto di leggere davanti a tredici madame senza denti. E difatti invito giovani e persone che non leggono poesia. Poi sta a me cercare di appassionarli, o soltanto non annoiarli.
    Per fare questo, quando scrivo, ho in mente anche loro, anche quei soggetti che al solo sentirla nominare, la poesia, hanno conati di vomito.
    Per cui mi domando se non occorra qualcosa di più per essere poeti: forse scrivere versi non basta proprio.
    Ci vuole uno sforzo significativo affinché questi versi circolino, vengano ascoltati. E questo sforzo, che lo si voglia o no, lo deve fare il poeta.
    Il discorso si aggancia automaticamente all’editoria a pagamento: ha senso pagare per libri che non verranno mai letti, giusto per togliersi lo sfizio di sentirsi presentare come poeta? Secondo me no.
    Mi viene in mente quando a scuola una mia prof, rispondendo ad una domanda sul perché non ci desse letture divertenti, disse semplicemente “ma la lettura non deve essere divertente!”. Ecco, e se la lettura non deve assolutamente essere divertente, cosa deve essere? Istruttiva, rigorosa, formativa, castrante?
    E la poesia? Secondo questo discorso la poesia deve essere la quintessenza della spaccatura di palle. Che, sia chiaro, solo pochi eletti comprendono in pieno.
    Quando vado a letture poetiche, soprattutto di opere non mie (sono quelle che preferisco), io porto una scorta di materiale strano: poesia strane, giocose, semplici, scurrili, vere, attuali anche se antiche, porto poesie che parlano di bucato e di lavaggio di calzini, di droga e di drogati, di puttane e di lune storte. Poi, in mezzo, così, en passant, propongo una di Borges, piuttosto che Cavalcanti. Ma solo quando ho creato un clima, una disponibilità, un’atmosfera di empatia. Se occorre faccio il buffone (non mi viene difficile). Insomma, cerco di rompere il rituale sacro fatto di regole tacite atte a rompere i coglioni allo spettatore.
    Metto a loro agio chi non sa minimamente chi sia Gerardo Diego.
    E tutto questo, perdonatemi se lo dico con orgoglio, piace. Piace forse più della poesia in sé, piace il modo di presentarla, ma che male c’è? Chi mi ascolta, e si diverte con/di me, comunque le poesie le ascolta, e scopre che si può parlare poeticamente di tutto. Perché forse la poesia è un metodo, non un contenuto. (per la cronaca: si divertono molto anche le madame, che per una volta non si addormentano).
    Chiunque credo debba essere conscio del mondo in cui vive. Producendo cultura ancora di più. E questo non vuol dire “svendersi”, “commercializzarsi”, o peggio ancora rendendosi “televisivo”: significa soltanto non fare il Baudelaire bilioso e sdegnoso che alla fine non se lo caga nessuno.
    Scusate la veemenza delle mie parole, ma io sono ancora quel ragazzino che a scuola avrebbe voluto leggere anche libri divertenti e invece gli davano “i malavoglia”, quasi come castigo.
    Ringrazio Massimo per la disponibilità nei miei confronti.
    Candida
    Candida ha la pelle chiara,
    non parla, mugugna;
    tocca tutto quello che trova
    e, se non stiamo attenti,
    si mangia bottoni, biscotti
    del cane, i confetti andati a male.
    Fa i capricci, si lagna, mentre dondola
    sulla sedia imbronciata.
    Candida a volte smarrisce
    i passi, sbatte contro mobili,
    confonde i volti.
    Di notte
    – la cosa ci soffoca il cuore-,
    la sentiamo
    piangere piano.
    Candida non sta bene
    e ha solo otttant’anni.

  72. Per Vito Ferro.
    “Per fare questo, quando scrivo, ho in mente anche loro, anche quei soggetti che al solo sentirla nominare, la poesia, hanno conati di vomito.
    Per cui mi domando se non occorra qualcosa di più per essere poeti: forse scrivere versi non basta proprio.
    Ci vuole uno sforzo significativo affinché questi versi circolino, vengano ascoltati. E questo sforzo, che lo si voglia o no, lo deve fare il poeta.”
    ………..
    Secondo me c’è differenza tra il poeta (che scrive) e il lettore (che legge). Benigni sta sdoganando Dante alla grande, ma non è poeta. Dante non può leggere le sue liriche, anche perché è morto, ma è poeta.

  73. poi, secondo me, i giovanissimi sono alla ricerca della poesia molto più degli uomini e donne di mezza età. Sono questi ultimi, troppo presi dagli “affari” della vita che devono essere “recuperati” alla poesia.

  74. Vi posto una poesia che mi è piaciuta moltissimo, tanto da inserirla in apertura di Pentelite dell’anno scorso. E’ un inno alla gioia, alla speranza. L’autrice sembra volerci ricordare che in qualsiasi momento della nostra vita, anche quando sembra che tutto sia grigio, arriva l’attimo da cogliere.

    Il mio volo
    Dal nido dell’ultimo inverno
    il volo nel vuoto va incontro all’ignoto.
    Pennelli sottili dipingono il vento
    e fissano virgole sull’orizzonte.
    Oggetti smarriti rincorrono stelle.
    Appeso dal nulla c’è un filo che pende.
    E’ corda ispessita di nuvole e attimi.
    Afferro la presa e atterro
    da questo mio volo
    dal quale riporto un raggio di sole

    VIRGINIA FODERARO

  75. Sono arrivata a questo sito leggendo il link da Cristina Bove.
    Un bel post e un bell’argomento.
    Leggo testi di poesia da sempre, ricordo ancora le poesie imparate a memoria alle scuole medie e al liceo (Carducci, Pascoli, Leopardi, Montale, Ungaretti, Saba, Quasimodo, Shakespeare, Wilde…) Le imparavo perché mi piaceva sentirmele dire, come altre mie compagne di scuola, sapevano a memoria i testi delle canzoni. Crescendo ho comprato sempre libri di poesia, italiana e straniera, casa mia è stracolma di libri pieni di foglietti a far da “segnalibro” (appartengo alla generazione che non piega l’angolo della pagina), e quelli sono libri che non presto e ai quali torno quando ne sento il bisogno. Leggere poesia quindi fa parte della mia quotidianità.
    Un giorno, in un momento difficile della mia vita, mi sono ritrovata a scrivere, e rileggendo mi è sembrato di aver scritto qualcosa che sembrava una poesia. Da allora ho continuato a farlo anche se definire ciò che scrivo poesia non me la sento.
    Poeta è chi rende immortale la parola, chi sa dar voce ad un’anima universale, chi sa scrivere di sé diventando chi legge, essendo chi legge, chi scrive e sa far capire il senso profondo delle sue parole, chi sa trasmettere anima e sudore, chi sa, come qualcuno ha scritto prima di me, condividere.
    Questi è a mio modo di vedere, il Poeta.
    Spesso leggo poesie talmente astruse e contorte, da allontanare anche un’anima volenterosa come la mia, quella non è Poesia, è un modo saccente e snob, di mettere in fila delle parole. Altre volte leggo versi di chi si definisce Poeta, ma che scrive parole trite e noiose, che starebbero bene nell’involucro di una nota marca di cioccolatini.
    La Parola è di certo principio generativo, muove meccanismi complicati e delicati, genera pensieri, crea emozioni. In merito al fatto che la Parola possa cancellare le “macchie”, credo non sia possibile. Una ferita dell’anima non si cancella, la Parola può consolarla.
    Mi scuso per l’indubbio confusionario modo di esporre il mio pensiero e faccio i miei complimenti per il tema.
    Saluti
    Marina Favro

  76. Gentile Lorena,
    sono d’accordo con te. Benigni non è poeta, ma sicuramente sta facendo qualcosa per la poesia meglio di quanto spesso facciano tanti insegnanti, critici, recensori, accademici.
    Semplicemente la fa realmente conoscere. Sicuramente perché la ama.
    Ma Benigni è Benigni e si occupa di Dante, che è Dante.
    Ma una persona normale che scrive poesie e ama le poesie degli altri, che ha pubblicato un libro di poesie con una tiratura di, se va bene, 1.000 copie, come deve fare per farsi/farle conoscere? Tendenzialmente sul pianeta terra si organizzano incontri in librerie e/o luoghi appositi più o meno convenzionali durante i quali si leggono poesie. E’ qua che si gioca la partita, secondo me. O noia mortale o riscatto.
    Condivido abbastanza la tesi per cui “i giovani” hanno una predispozione maggiore alla poesia (l’adolescenza è anche sbattimento che porta a riflessione), ma se gli adulti di mezza età li invitano (obbligano) a leggere solo “Adelchi”, vedrai che passati due anni quei giovani si trasformano in uomini e donne di mezza età impegnati a risolvere il problema del mutuo.

  77. Parlare della propria poesia è difficile, anche perchè la scommessa è quella di dire tramite il testo, anche se a volte una singola poesia richiede qualche nota esplicativa. Ringrazio di questa opportunità pubblicando allora la prefazione di Guido Oldani al mio libro e una poesia.

    PREFAZIONE DI GUIDO OLDANI.

    Certo che, ad ogni rilettura, il lettore si modifica nei confronti del testo, o è quest’ultimo a variarsi in quanto collocato in un’altra situazione successiva di tempo e luogo? Uno dei due, muta, o entrambi? E’ questa la intrigata sensazione che coglie a leggere i versi espansivi de L’epoca e i giorni, essenziale raccolta, a lungo differita, di Franco Romanò, dopo la primogenitura, toccata nel 1995, alla pur non giovanilissima Le radici immaginarie. Variazioni fra il primo e il secondo libro forse sì. La parlata si fa più rapita di schiarimenti ed essenzialità. Non c’è un testo né un verso in più del necessario. Starei per dire, neppure pausa in più del dovuto. Dunque Romanò, catturato dalla solarità di un suo e non suo sud ed anche un po’ dall’interiorità d’Oriente, rifulge per il senso della scorciatoia della dizione, che è propria della sua nordica narratività che, grazie al cielo, non deve per forza equivalersi con la parabola della Linea Lombarda, sempre negata nei periodi di abbondanza per gli autori implicati, sempre invocata nei frangenti di necessità di salvazione degli stessi. La scrittura di Romanò, certamente apparentata a quella del suo romanzare altrove coevo, si modula secondo una sapienzialità minima, quasi di bisbiglio. Si tratta della temperata oralità del pellegrino del mondo, a volte nella persona dell’io narrante, a volte in quella di un approdato da chissà dove mai; dove il geografico prende la parola nel dialogo fra geografia e poeta. Il mondo, come una palla in una reticella, è avvolto da meridiani e paralleli, che sono vie coatte di libertà. E la farfalla è parente di Icaro, all’utopista che sa rinviarsi nel tempo, mentre l’armento muove come le chiatte fluviali, e i passi che rintoccano il tempo, trovano la loro legittimità in quelli che li hanno preceduti, anticipandola a quelli che generazionalmente, verranno. E’ questa la sobria cantabilità, o anche questa, che Romanò ci tratteggia, mentre insieme abitiamo il paese-mondo, districandone i percorsi, tentando di dirli in brevità, con l’abbreviazione della vitalità, lo scandimento di una metrica naturalmente goduta, sopraggiunta come profitto di questi anni di ricerca, onnipresente assente del poetico fabbricare.

    Luni.

    Sempre ci partoriva l’Appennino
    nella conchiglia verde
    aperta fra i giganti e il mare
    e ad ogni sosta lievitava dalla terra
    una piantagione di pietre;
    la città sognante si destava
    e insieme a lei il pianto
    dei nostri figli diveniva adulto
    così che fra le pietre e loro e noi il filo
    correva il nesso che tutti lega
    nella collana sontuosa del tempo…
    Nulla sapevo allora di liguri apuani,
    imperatori romani, donne
    forti come uomini e uomini
    forti come animali.
    Doveva cambiare la stagione
    e Luni ormai cresciuta
    si distaccò da me come i miei figli.

    Ora che la ritrovo nella fabula
    della giovane vestale
    si sgrana la collana nelle sue perle
    come una pioggia che nutre la terra
    e si vorrebbe allora restare, sognando
    di rinascere con loro un’altra volta…
    E già appare, in lontananza, la Maremma.

  78. @Romanò: se le altre sono belle come Luni è una gran silloge. C’è un quadro d’immagini, soffuse, anche oniriche, il mistero che avvolge l’esistenza in un fluire armonico ed estramente godibile dei versi.

  79. Per Vito Ferro
    “Ma una persona normale che scrive poesie e ama le poesie degli altri, che ha pubblicato un libro di poesie con una tiratura di, se va bene, 1.000 copie, come deve fare per farsi/farle conoscere?”

    Secondo me deve trovare un bravo lettore, capace di coinvolgere il pubblico, e organizzare dei reading a cui invitare più gente possibile.

  80. Sulla poesia non c’è più nulla d’aggiungere, tanto è già stato espresso.
    Chi scrive poesie, deve possedere molta sensibilità e un cuore buono e generoso.
    Allego una mia poesia che parla d’abbandono e ritrovamento.
    Saluti
    Lorenzo
    Come amare e poi proseguire nel ricordo:
    Sul cammino delle mie cognizioni incontrai te
    Anima dal cuore buono, generoso e caloroso.
    In te posi tutte le mie speranze di una vita felice
    Certa di vederla realizzata insieme e sempre uniti.
    Ora nel ricordo dei momenti felici, piango la mia solitudine
    Voluta da un destino ingannevole e crudele.

    Ansiosa e incerta, cerco una via nuova dove proseguire
    E, forse, un giorno rincontrarti.
    Una voce amica m’invita a cercare nella profondità del mio animo
    Dove tutto sembra depositarsi per essere riscoperto e riutilizzato.
    La vedo infine sottile e ricurva sotto il peso di un vento freddo e ostile
    Illuminata da una luce sottile e tremolante
    Che vuole riscaldarmi e rincuorarmi a proseguire.

    Non guardare indietro, mi sussurra,
    Non puoi mutare ciò che è stato deciso
    Solo il ricordo può accompagnarti e consolarti ancora.
    Devi continuare sul tuo cammino e arrivare all’incrocio
    Dove sarai ancora esaminata e in caso positivo
    Rincuorata a proseguire fino all’adempimento del tuo destino
    Nel quale ritroverai tutti coloro che ti hanno amata e aiutata
    E che tu stessa hai ricambiato senza curarti della certezza.

    Sarà un esame severo e giusto che tu stessa approverai
    Nel capire il senso della gioia e del dolore, dell’unione e della divisione.
    Il destino è una prova di maturità dalla quale nasce la certezza
    Di dare un senso vero e giusto alla propria esistenza.

    Gli anni felici passati insieme, ed ora
    L’immenso e profondo dolore nell’essere sola
    Sono prove di maturità che il tuo destino ti impone
    Al fine di riconoscere i tuoi compiti in questa vita.

    Accetto ora il mio destino e sono pronta a proseguire
    Su quella stradina stretta e ricurva
    Illuminata dalla luce sottile e tremolante
    Decisa a sostenere con coraggio e fiducia
    La sfida contro il vento ostile che mi si oppone.

    È il peso delle mie insicurezze e incapacità
    Di vedere chiaro oltre l’orizzonte
    Dove le cognizioni mi elevano a una vita migliore
    E dove sono certa di rincontrarti e restare per sempre.

    Sono le cognizioni dell’eternità alla quale si arriva solo superando
    Il negativo in noi che ci vuole per sempre relegati quaggiù.

    Il ricordo di te mi aiuta e mi suggerisce le decisioni da prendere,
    Mi ridona la fiducia dei tempi dove, uniti e felici,
    Credevamo di esserlo senza fine.

    Ti ringrazio, ora, e ricordandoti proseguo sul cammino finalmente trovato
    Apparentemente sola, ma certa di sentirti vicino e presente.

    Russo Lorenzo Gänserndorf, 06.02.06

  81. Il poeta è poeta, non oratore o predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo, non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del maestro, un artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri, un artista che nielli e ceselli l’oro che altri gli porga. A costituire il poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo col quale agli altri trasmette l’uno e l’altra. (Giovanni Pascoli)

  82. Il poeta è un fingitore. | Finge così completamente | che arriva a fingere che è dolore | il dolore che davvero sente. (Fernando Pessoa)

  83. Il poeta vive nel mondo «reale». Lo si teme perché mette l’uomo col naso nelle sue caccole. L’idealismo umano cede di fronte alla sua probità, alla sua inattualità (la vera attualità), al suo realismo che la gente considera pessimismo, al suo ordine che chiama anarchia. Il poeta è antiprotocollare. Si è creduto per molto tempo che fosse il capo del protocollo della inesattezza. Il giorno in cui il pubblico ha capito quello che era veramente, lo ha temuto. (Jean Cocteau)

  84. La poesia è delle anime vergini, degli angeli, di chi crede. Naturalmente noi non viviamo più all’età d’Omero, e quindi ci è difficile trovare qualcosa in cui credere. Ma ad ogni modo, per essere poeti bisogna tornare a una necessaria condizione d’ingenuità. (Giorgio Bassani)

  85. Non fa parte delle bellissime sillogi che propone Massimo ma me l’ha inviata oggi Filippo Tuena, che frequenta il blog e penso possa essere definito un poeta letteratitudiniano.
    E’ bellissima.
    Dolente.
    Silenziosa e urlante.
    Bravo, Filippo.
    —–
    Nel latte della madre

    Prediligo postazioni rialzate,
    Battute dal vento, anche se pericolose
    Per i colpi vaganti o l’ingordigia dei cecchini
    Che prima della fine del turno
    Vogliono ancora una volta far centro.

    Ma in queste notti arabe
    Sono i cumuli di macerie che m’aggradano di più
    Perché a volte, sotto, li sento ancora lamentarsi,
    Con voce sempre più sottile o insistente pervicacia.

    Eppure moriranno entro pochi minuti
    Ed è inutile affannarsi a sollevare le pietre,
    Scalzare travi, rotolare macigni.

    E’ la polvere che li condanna. S’incolla alla gola
    O alle ferite sanguinanti e li sigilla come
    Statue di gesso o sale. Immobili. Fermàti nel tempo
    Come i calchi degli schiavi di Ercolano.

    Per esperienza so che, passata l’orda,
    Li ritroveranno quando spianeranno le macerie,
    Solitamente avvinghiati alle madri.
    Del resto il loro mondo era davvero poca cosa:
    Un seno un poco avvizzito, un battito rassicurante del cuore.

    Askenazita di Bolechov che hai pigiato il bottone,
    Palestinese di Hebron che hai caricato il mortaio,
    Texano di Dallas che hai il grilletto facile,
    Talebano di Kabul che hai il coltello affilato:
    Non cucinerai l’agnello nel latte della madre.

    Filippo Tuena, 15 gennaio 2009

  86. @Vito Ferro:
    Ho potuto leggere soltanto adesso il tuo bellissimo intervento. Sono contenta che qualcuno dica, come dici tu:”Invito giovani e persone che non leggono poesia. Poi sta a me cercare di appassionarli” e trovo strepitosa anche la tua descrizione delle “serate” in cui molte persone annoiate fanno finta di ascoltare e di capire e non ne capiscono nulla oppure hanno bisogno di essere “Ri-svegliate”. O il fatto che la poesia debba essere “roba per pochi “.
    Uniche cose su cui sono in totale disaccordo( e che sono strettamente legate l’una all’altra):
    1): gli insegnanti che non trasmettono l’amore per la poesia( sei la seconda persona da ieri che “ci rivolge” questo “dolce rimprovero”);
    2): “il Baudelaire bilioso e sdegnoso che alla fine non se lo caga nessuno”.
    Ti scrivo soltanto che anni fa insegnavo letteratura frencese in un liceo e la maggior parte degli allievi e allieve di quella classe mi ha detto di aver comprato “LES FLEURS DU MAL”( in FRANCESE).
    Perdonami, ma non puoi “toccarci” il Nostro Vate e FARO Charles…
    Carissimi saluti:)
    e complimenti.

  87. @Sergio:
    Sergio, scusa, ma che fine hai fatto?
    Mi vien così difficile intervenire ai dibattiti senza la tua preziosissima “spalla”.
    Ciao:)
    R.

  88. Sergio Sozi è stato arrestato e condannato ai lavori forzati per vilipendio alla letteratura.

  89. @Renzo+Lorenzerrimo+Salvo:
    Rintracciate Sozi, e fatelo “scarcerare”, vi prego. Come dice un mio illustre connazionale( Antonio Gramsci):”abbiamo bisogno della nostra intelligenza”.
    Ps: non sparite anche voi:)

  90. @Roberta.
    Andiamo per ordine: Sergio sta bene dove sta. Anche i detenuti hanno necessità di essere eruditi, e il Nostro li educherà alla lettura (l’importante siano libri impegnati e non letteratura d’ evasione).

    Non ho in antipatia gli insegnanti, purchè siano femmine e non abbiano superati i settanta anni. Ricordo che non sono voluto più andare a scuola dopo la terza elementare perchè un insegnante bigotto pretendeva di farmi scrivere poesie dedicate alla santa patrona del paese.

  91. @patrizia@renzo grazie di cuore dei commenti fatti alla mia piccola poesia,rappresenta un momento in cui il cuore nel dolore dell’assenza non trova nulla, nemmeno la pace del perdono che pure riempirebbe il vuoto.
    Riguardo al pensiero di Trotzig e Grass
    La parola è l’urlo del venire al mondo,è il principio e allo stesso tempo ciò che nel cerchio infinito rigenera se stessa. La parola non può e non deve cancellare ,contrae ed espande, accompagna e sottolinea,è lo specchio di ciò che è stato ,è il segno magico di ciò che sarà,la mano che gratta la crosta del dolore per ricordarle di sanguinare ancora ed essere vivi.
    La poesia induce a fermarsi e a non distrarsi più, perciò è impossibile da insegnare solo da suggerire perchè lo sguardo la scopra in ogni dove,questo è possibile fare con i giovani, i piccoli,sfiorare le corde che spesso non sanno di avere ma che all’improvviso suoneranno melodie diversamente ma in armonia con tutto ciò che ci assomiglia ,il brutto e il bello, ritrovato nella poesia.
    Ho scoperto poesia da ragazzina,leggendo in casa Prevert,Hikmet,Tennyson,De Musset, Salinas,Dickinson,Neruda e altri, innamorandomi nell’adolescenza al suono di Baudelaire.
    Certo la scuola spesso è impreparata a trasmettere l’amore per la poesia, ma basterebbe farle scoltare come una canzone,magari insieme ad una canzone,perchè no,di Cocciante, di De Andrè o di Jovanotti,qualunque cosa si avvicini all’emozione in versi potrebbe avvicinare un ragazzo poi portarlo alla poesia più alta. Ben venga un esercito di Benigni se parlare di poesia in modo diverso può raggiungere animi e cuori che altrimenti se ne terrebbero lontani. La poesia è di tutti,non è di elite,è il verbo degli analfabeti,leggerla è la cura per il male di questa umanità distratta.
    Bisogna condividerla e far sì che l’umanità tutta possa rispecchiarvisi dentro.
    francesca giulia

  92. non ha inizio nè fine,ripercorre se stesso…una geometria inaccettabile per un poeta come te?

  93. @renzo, pardon, scusa, solo adesso mi rendo conto che è il titolo del tuo libro…un segno del destino, ti leggerò.
    è stato usato sull’onda dell’emozione…
    saluti

  94. @Salvo
    Eh, certo, poverino: farti scrivere quelle poesie sulla santa patrona del paese..aiuto..
    Comunque credo che potremmo andare d’accordo, perché ai settanta, se Dio vuole, me ne mancano trenta circa.
    Ci vuole una dose di “istrionismo” incredibile per far amare la poesia agli studenti, di questi tempi. Per quello dicevo che non é facile.
    Certe volte può “funzionare” il metodo che suggerisce Francesca Giulia( Ascoltare Bob Marley, per esempio)ma così si rischia prima di tutto di essere scambiati per docenti coi quali si può “fare chiasso”( questa é la visione che hanno gli studenti o quello che capiscono loro, perché gli conviene…) e poi per una che come me( in sintonia col Sozi) é “conservatrice” per quanto concerne i gusti letterari… eh mi sa che non mi piacerebbe tanto.. Sicuramente( e senza offesa per nessuno) non proporrei MAI un testo di Cocciante..no..no..proprio no.

  95. La poesia è musica, non tutta, ma quella buona sì, e quindi farla leggere con il sottofondo musicale mi sembra controproducente, a meno che non sia della musica classica e a basso livello sonoro.

  96. @roberta
    sicuramente sai meglio di me come e cosa fare con i ragazzi a scuola,ma Cocciante era un esempio per dire che per toccare le corde della sensibilità assopita dalla fretta di questi tempi, magari pure restando una prof conservatrice e stimata,si può tentare di cambiare gli strumenti ed entrare in empatia con gli studenti, magari scoprendo poesia sotto nuove forme. La flessibilità non fà perdere la propria indentità ma la fortifica avvicinando ciò che sembra lontano.
    @renzo,complimenti,e grazie a massimo perchè con questo blog mi ha dato l’opportunità di conoscere i poeti dei nostri giorni.

  97. @Cara signora Francesca Giulia:
    anche lei scrive: “certo la scuola spesso é impreparata a trasmettere l’amore per la poesia”: perché dice questo?
    Quanto é triste dover constatare che non godiamo di considerazione non solo presso chi non capisce nulla né di scuola né di letteratura in generale, ma neppure presso gli intellettuali e perfino i poeti…
    Forse avete ragione, chissà. Lei parla( spero SOLTANTO) di “incapacità a trasmettere l’amore per la poesia” e anche questo sapesse quanto é difficile di questi tempi..
    Le assicuro, inoltre, che ce ne fanno leggere una quantità infinita( per fortuna) all’università e per i concorsi che ci abilitano all’insegnamento e leggiamo in lingua ORIGINALE. Per esempio: l’INTERA produzione poetica di Ronsard e di Verlaine, per citarne solo due. Quelli di Ronsard sono più di mille tra sonetti, odi ecc. E gli esami di filologia prevedono lo studio di INTERI Poemi epici del Duecento o del Trecento.
    Io ho frequentato quotidianamente e per un INTERO anno un seminario su “THE WASTE LAND” di T.S. Eliot. Potrei continuare l’elenco, se non temessi di essere pedante.
    Noi cerchiamo di far avvicinare gli studenti alla poesia e alla letteraruta più di quanto non si pensi.
    Glielo scrivo mica perché non capisco la sua posizione, anzi.
    Solo per dirglielo.
    Cordiali saluti.

  98. @ Francesca Giulia:
    non avevo letto la sua risposta.
    Sì, certo, capisco ciò che mi dice. Ma l”empatia” di cui mi parla lei, si può ottenere benissimo senza dover leggere Cocciante( che allontanerebbe DI CERTO gli studenti dalla vera poesia).
    La “flessibilità” nell’insegnamento non é sempre un’arma vincente.
    Basta avere “carisma” e gli studenti riconoscono il “BELLO” nell’Arte. Dico questo perché ANCHE l’intelligenza e la sensibilità degli studenti sono spesso SOTTOVALUTATI.
    Cari saluti e grazie per le sue considerazioni. E’ sempre molto positivo parlare di queste cose, perché dà a me la possibilità di “difendermi” e spiegare le ragioni.

  99. saluto tutti. appena potrò vi leggerò con molto piacere.
    Torno dalla mia presentazione sul libro di Paola Sarcià ” occhi di zagara”.
    E’ andata benissimo , il libro è stato accolt con entusiasmo e la sala era piena. Sono veramente felice per paola alla quale auguro altri successi e altra altra bellissima poesia.
    a presto
    patrizia

  100. @ Roberta
    con riferimento a Sergio, non ti preoccupare. Arriverà di nuovo, una volta che gli sloveni lo lascino parlare. In Slovenia è diventato più importante del presidente della Repubblica; ne hanno bisogno per tradurre la loro lingua in italiano e poi con i suoi riferimenti alla Magna Grecia e ai romani.
    Insomma, gli vogliono bene e se lo tengono stretto stretto.
    In quanto a te, continua a intervenire, c’è sempre qualcuno che ti legge volentieri e anche risponde.
    Ciao.
    Lorenzo

    @ Simona lo Iacono
    bella la poesia di Filippo Tuena, come dici tu, silenziosa e struggente, grazie di avercela riportata qui.
    Ho finito il mio commento sul tuo libro. Esprimo ora solo la parola sconvolgente e stravolgente. Come posso ricambiare. Lo invierò sulla camera accanto domani.
    Cari saluti.
    Lorenzo
    @ Renzo
    è stato un breve periodo nel quale sentivo il bisogno di comporre versi sulle mie rivelazioni. Per scriverle ho bisogno di un rapporto caloroso.
    Questa persona non c’è più e così ho finito di comporre versi.
    Saluti cari.
    Lorenzo

  101. Si sono dette tante cose sulla poesia, e questo significa che poi non è così negletta.
    Permettetemi di offrirvi questa bellissima poesia di Nadya Andjoman, una giovane poetessa afghana, uccisa a bastonate dal marito (insegnante d’ateneo) perchè si era permessa di studiare in segreto e di comporre versi, aveva 25 anni.
    .
    NESSUN DESIDERIO
    .

    Nessun desiderio per aprire la mia bocca.
    Che cosa dovrei cantare?
    Io, che sono odiata dalla vita.
    Non c’è nessuna differenza tra cantare e non cantare.
    Perché dovrei parlare di dolcezza?
    Quando sento l’amarezza.
    L’oppressore si diletta.
    Ha battuto la mia bocca.
    Non ho un compagno nella vita.
    Per chi posso essere dolce?
    Non c’è nessuna differenza tra parlare, ridere,
    Morire, esistere.
    Soltanto io e la mia forzata solitudine
    Insieme al dispiacere e alla tristezza.
    Sono nata per il nulla.
    La mia bocca dovrebbe essere sigillata.
    Oh, il mio cuore, lo sapete, è la sorgente.
    E il tempo per celebrare.
    Cosa dovrei fare con un’ala bloccata?
    Che non mi permette di volare.
    Sono stata silenziosa troppo a lungo.
    Ma non ho dimenticato la melodia,
    Perché ogni istante bisbiglio le canzoni del mio cuore
    Ricordando a me stessa il giorno in cui romperò la gabbia
    Per volare via da questa solitudine
    E cantare come una persona malinconica.
    Io non sono un debole pioppo
    Scosso dal vento
    Io sono una donna afgana
    E la (mia) sensibilità mi porta a lamentarmi.
    .
    (Traduzione dal farsi in italiano di Amir e Sashinka Gorguinpour).

  102. @ Renzo-Roberta-Simona

    un richiamo alla primavera della vita che come la stagione dovrebbe richiamarci sempre di nuovo.

    Il richiamo della primavera
    Guarda la natura risvegliarsi
    Richiamare e meravigliare
    Il tuo animo e il tuo spirito.
    Una voce soffice e lieve
    Vuole arrivare al tuo cuore
    Per riscaldarlo e sollevarlo.
    Una voce calda e tremolante
    Come il vento, fedele compagno,
    Te la porta avvolta in un fiore.
    Fresco e odorante ti invita
    Ad accoglierlo per soddisfare
    Le tue aspettative e i tuoi sensi.
    La voce del compagno Lontano, ma sempre presente
    Nei pensieri e nei desideri,
    Vuole raccontarti delle sue emozioni
    Sentite verso la compagna amica
    Dal cuore scottante ed esultante.
    Ascolta le parole di affetto e stima
    Accompagnate dalle note musicali
    Le più melodiose e ispiranti
    Vogliono invitarti alla felicità e serenità
    Del tuo cuore e spirito.
    Primavera è e ci invita a viverla
    Nella meraviglia dei suoi fiori colorati.
    Freschi e odoranti sono un balsamo
    Un richiamo forte ogni anno di nuovo
    Dopo gli affanni dell’inverno
    Per i nostri sensi duro ed eterno.
    Ora vogliamo noi stessi lasciarlo
    E non più ricordarlo.
    Primavera è nuovo inizio
    È speranza e gioia
    Diamoci di nuovo alla vita,
    Dimentichiamo sofferenza e dolore.
    Lorenzo Russo Gänserndorf, 21.03.05

  103. @roberta, lungi da me l’idea di non considerare lei e i suoi colleghi all’altezza del difficile compito,ho detto “spesso” e mi riferivo come lei ha argutamente sottolineato non all’impreparazione professionale ma all’inadeguatezza, sovente, dei mezzi usati per trasmettere l’amore per la poesia,nonchè alla difficoltà nel farlo in questi tempi di distrazione totale e di poca collaborazione da parte delle famiglie nel processo formativo dei ragazzi- e qui non si offendano le famiglie…-. Come madre di due ragazzi sono sempre stata molto rispettosa e soddisfatta degli insegnanti incontrati,ma possiamo anche dire che essere preparati enciclopedicamente sulla poetica mondiale non dà garanzie sul fatto di riuscire a toccare le ritrose sensibilità adolescenziali e giovanili?
    le faccio i miei complimenti per la sua preparazionee gli auguri più cari per la professione.
    saluti

  104. Mamma mia che affollamento. Uno sta fuori rete cinque ora e trova un fiume di commenti. Ringrazio Renzo Montagnoli per le parole che dice sulla mia poesia e Lauretta, in paarticolare per ricordarci che le definizioni di poesia, come i grandi aforismi si contraddicono tutti e tutte, ma sono tutti e tutte egualmente necessari. Forse si può parlar della prooria esperienza, del proprio incontro con la poesia. Poi ci sono naturalmente le poetiche e le definizioni delle poetiche; queste ultime non sono definizioni della poesia.

    Posso portare aranci e cioccolatini a Sozi, che ogni tabnt mi ha anche scritto e al quale io rispondo con colpevole ritardo. Ma dovìè lo Spielberg che non me lo ricordo più?

  105. @ Lorenzerrimo:
    Caro Lorenzo, non so come ringraziarti per il tuo incoraggiamento.
    Sono felicissima di poter leggere le poesie di tutti i poeti che Massimo chiama “letteratitudiniani”.
    Ti capisco moltissimo quando dici, riferendoti alle tue poesie,”per scriverle ho bisogno di un rapporto caloroso”. A me, che ho sempre avuto la passione del dipinger piatti, i miei cari chiedono: “Perché non li dipingi sempre, i piatti?”
    Eh, perché anch’io, come te, ho bisogno di uno stato d’animo particolare.
    e rispondo pure: “Tanto mica ve ne fate nulla, dei miei piatti dipinti: non sono artistici”. Però un pò hanno ragione, nel senso che, pur non avendo la pretesa che siano “artistici”, però ad alcuni piacciono.
    Così come le tue poesie che potranno piacere a molti.
    Ciao:)

  106. La poesia è l’ arte sublime della letteratura, la punta più alta. Io ho recensito qualche libro di poesie ma ho sempre usato una certa cautela, ho sempre avuto il timore di non saper cogliere appieno la sensibilità dell’autore. Addentrarsi nei labirinti dell’anima di un poeta è un’impresa che comporta impegno non indifferente. Il suo è un viaggio metafisico attraverso il sentiero che riconduce al Creatore. Procede incantato, si meraviglia, si tasta sgomento le ferite lasciate da rovi acuminati, si volge all’indietro a osservare i solchi causati dal tempo e ogni volta è una fitta dolorosa: affiora un ricordo, un rimpianto, un amore finito. I versi del Poeta aspirano a una bellezza Universale, al di là dell’orizzonte, al di là dello spazio.

  107. @Francesca Giulia
    Cara Francesca Giulia,
    purtroppo non siamo “enciclopedicamente preparati sulla poesia MONDIALE”. Mi perdoni, trovo abbastanza stupido, da parte mia, “elencare” la nostra “pretesa”( e chissà se effettiva) conoscenza. Lo facevo solo perché mi sento “punta su vivo”, ma molte volte penso anch’io come lei.
    Quanto al fatto che il sapere( chiamiamolo così) “enciclopedico” non dia garanzia alcuna “sul fatto di riuscire a toccare le ritrose sensibilità adolescenziali o giovanili”, siamo d’accordissimo.
    Se non le “tocca”, però, non é perché gli adolescenti o i giovani hanno una sensibilità “ritrosa”, ma solo perché chi deve non sa farlo.( perché magari la poesia non “dice nulla” neppure a chi dovrebbe trasmettere l’amore per la poesia. Capita anche questo. Anni fa leggevamo in una prima media ALICE NEL PAESE DELLE MERAVIGLIE e la mia collega mi domandava per prima: “Ma cosa ci trovi di tanto affascinante in questo testo?”- lei diceva così perchè io le avevo detto: “Se vuoi ANALIZZARE questo testo in modo analitico e freddo, dividendolo in “sequenze” eccetera, tu questo testo lo UCCIDI e io NON voglio che tu lo faccia”. Intanto sapevo che questo tipo di analisi avrebbe allontanato gli studenti dalla BELLEZZA del testo e poi volevo difendere la memoria di Lewis Carroll, che nessuno può scalfire, almeno in mia presenza). (SCHERZO UN PO’, riguardo alla “salvaguardia” della memoria di Carroll…)
    Vede: siamo d’accordo, dunque.
    Cari saluti.

  108. @ Lorenzerrimo
    devo andare, ora, ma prima ti ringrazio infinitamente per la bella poesia.
    A me, che amo così tanto la Natura, piace molto. Ed é piena di “vita”.
    Un abbraccio.

  109. @Lorenzo: grazie di tutto. Della poesia, della lettura e dell’attenzione. Hai ricambiato così: avendomi regalato un pochino del tuo tempo.
    Un abbraccio. Ti leggerò nella camera accanto!

  110. @Lorenzerrimo: mi dispiace aver saputo perchè non scrivi più; nel mio caso è accaduto invece il contrario;
    @ Salvo: hai saputo cogliere – se mi consenti – poeticamente l’essenza di chi scrive poesie.

  111. @ Roberta
    Certo che piacciono, in essi si rispecchia la tua persona alla quale vogliono bene.
    Per te è diverso, all’infuori che pensi di lasciare loro un ricordo di te.
    Non sempre fa bene esprimere pensieri e desideri, mentre un piatto dipinto da te è come averti vicina, anche senza farci caso.
    Sulla gioventù d’oggi, credo che il chiasso causato e anche richiesto da loro sia un segno d’insicurezza, di disorientamento. Dovremmo fare di più per moderare l’affanno causato dalla conquista materiale, a incominciare con il controllo della pubblicità in tutte le sue svariate apparizioni.
    I giovani vivono nel materialismo, non perché lo vogliano, ma perché gli viene imposto dal sistema economico, senza la capacità d’esentarsi. Sanno benissimo che esso non li potrà mai appagare veramente, lo sentono per lo meno, ma vivendo, come sempre, nel branco dove la sua forza si esprime nel possesso di cose e nelle espressioni vocianti, si adeguano per non sentirsi emarginati e isolati.
    La violenza dei giovani oggi è un grido d’aiuto, un disprezzo per il molto ricevuto e non appagante, un richiamo a valori chiari e permanenti nei quali saper e poter dire no a molte cose indotte dalla classe dirigistica.
    Prima o poi, arriverà il confronto delle generazioni e allora rimarremo stupiti, perché impreparati e non sapendo come reagire.
    Cari saluti.
    Lorenzo

  112. Ciao Massimo, sono Paola Sarcià autrice di Occhi di Zagara che ho presentato oggi per la seconda volta a Ferrara, Patrizia Garofalo ne ha scritto una bellissima recensione e prefazione e l’ha presentato entrambe le volte. Sono venuta a conoscenza di questo Blog grazie a lei.
    mi permetto di inserire una poesia tratta dal libro

    Di un silenzio di stelle
    ascolterò il segreto
    di una pioggia
    gravida di dolore
    di occhi smagriti
    in un cielo di sabbia.
    Ascolterò
    il mio stesso canto
    eco
    di un’anima beduina
    in cerca d’oasi

    grazie Paola

  113. @roberta,che meraviglia,alice nel paese dlle meraviglie, da sempre il mio preferito….siamo più che d’accordo cara.
    saluti a tutti,la famiglia mi chiama,questo blog è diventato….una piacevole dipendenza!
    buona poesia ancora a tutti

  114. Non riesco ad interrogarmi sul valore della poesia. Non perché non credo sia giusto soffermarsi… semplicemente perché, la poesia è la letteratura. E’ la prima forma e la più alta di letteratura. Perché si scrive poesia? La motivazione può essere occasionale, spesso privata… Ma lo statuto di poeta si guadagna quando dietro una silloge c’è un progetto di scrittura, un’idea di poesia, uno scavo nella lingua poetica… Quando si rumina la poesia dei grandi classici e moderni: è sempre un’occasione. Credo molto – in poesia – nella riscrittura, nell’idea di poesia (quindi di letteratura) come grande palinsesto: dove sia ammesso attingere al verso altrui, reiventarlo, piegarlo al proprio dettato, al proprio discorso personale… Petrarca in questo senso fu il primo, grande a suo modo!…
    Il mio arrivare alla poesia, alla scrittura poetica, è passato senza dubbio non a caso per la lettura di molta poesia in età giovanile… Per chi voglia fare poesi è importante, oserei dire indispensabile la lettura… La mia idea di poesia si è sviluppata attraverso la confidenza con i versi di poeti come Caproni, Sereni, Montale, Piccolo, tra gli italiani; Becquer, Eluard, Hikmet, Enzensberger tra gli stranieri. Di più non mi sento di aggiungere…

  115. Non riesco ad interrogarmi sul valore della poesia. Non perché non credo sia giusto soffermarsi… semplicemente perché, la poesia è la letteratura. E’ la prima forma e la più alta di letteratura. Perché si scrive poesia? La motivazione può essere occasionale, spesso privata… Ma lo statuto di poeta si guadagna quando dietro una silloge c’è un progetto di scrittura, un’idea di poesia, uno scavo nella lingua poetica… Quando si rumina la poesia dei grandi classici e moderni: è sempre un’occasione. Credo molto – in poesia – nella riscrittura, nell’idea di poesia (quindi di letteratura) come grande palinsesto: dove sia ammesso attingere al verso altrui, reiventarlo, piegarlo al proprio dettato, al proprio discorso personale… Petrarca in questo senso fu il primo, grande a suo modo!…
    Il mio arrivare alla poesia, alla scrittura poetica, è passato senza dubbio non a caso per la lettura di molta poesia in età giovanile… Per chi voglia fare poesi è importante, oserei dire indispensabile la lettura… La mia idea di poesia si è sviluppata attraverso la confidenza con i versi di poeti come Caproni, Sereni, Montale, Piccolo, tra gli italiani; Becquer, Eluard, Hikmet, Enzensberger tra gli stranieri. Di più non mi sento di aggiungere…

  116. La silloge intitolata LUCI BASSE (il mio esordio poetico, gentilmente presentato da Massimo Muageri che ringrazio), consta di diverse sezioni. La prima sezione contiene le liriche che risalgono più indietro nel tempo, frutto di un titanismo neo-romantico che ho voluto però in età matura stemperare dando all’intera sezione il titolo d’una ironia-noir “Canti dell’ultimo giorno”. La parte centrale è costituito dagli “Omaggi” e dai “Nuovi omaggi”: si tratta appunto per lo più di tributi a grandi poeti della tradizione (non solo italiana) che ho apprezzato e incontrato nel corso di precoci letture. Una sezione a parte è costituita da un dittico da cui trapela una palese tensione civile, intitolato (dato l’argomento): “Canti irlandesi”. A segnare poi una disposizione più intima e “sentimentale” vi sono le due sezioni “Mes Fleurs I -II” che raccolgono liriche dove il privato sale in cattedra (pur se trasfigurato e reso universale). La sezione “Luoghi e visioni” contiene talune poesie che per tono e ispirazione sono assimilabili e che talvolta si venano di metafisico abbandono. Completa la silloge la sezione “Scherzi e semiseri pensamenti”, dove si dà sfogo ad una maniera di poetare che indugia allo swing della penna, al gusto del gioco, alla facezia, ma che non di rado propone improvvise impennate di tono del discorso poetico.
    Spero di non avervi troppo annoiato…
    Domenico

  117. @Lorenzo. Sei una persona di una profondità straordinaria, si evince dai tuoi versi e dai tuoi interventi, sempre pacati e frutto di un ragionamento sano e ponderato. Complimenti. Complimenti a tutti per le poesie bellissime che state postando.

  118. Beh, ne metto una tratta dalla mia prima silloge Canti celtici e oi vado a nanna, augurando a tutti buona notte.

    **************************************

    Canto celtico

    S’alzano le brume del mattino
    frustate dagli strali del primo sole
    e al lontano suono di cornamuse
    s’accompagna la lenta melodia di una cetra.
    Della notte, popolata di folletti,
    resta solo l’erba imperlata di sudore.
    Il dormiveglia si anima di gesta antiche,
    di rullar di tamburi, del suono cupo
    di cavalli portati allo scontro dai guerrieri.
    Gli dei di quel tempo si sono ormai assopiti,
    ma alle note del citaredo che saluta l’alba
    s’affacciano nella nebbia che si dirada
    per un ultimo sguardo a un mondo
    che non è più loro,
    a una terra dal futuro senza memoria.
    Sembra allora di indovinare nella caligine armati
    che cantano le gesta al levar del sole.
    Ma tutto sfuma, tutto cessa, nella luce
    che ravviva il giorno e che spegne la notte.
    Solo nel bosco la vecchia quercia conserva
    negli scrigni preziosi delle foglie
    le note malinconiche di cento cornamuse.
    La realtà ritorna,
    il sogno si nasconde,
    fino alla prossima alba.

  119. Un assaggio dei miei umili versi:

    Poetica, o: finzione (a Giorgio Caproni)

    Senza canzoni
    e senz’amori.
    Arcipelaghi irrazionali,
    cieli opachi
    di letargiche stagioni.

    Decifrare
    è scrivere l’attesa,
    è somatizzar parole,
    inciampare in pigri
    senhal.

    Imbrogliare carte
    – far perdere la partita –
    dissolvere nel verso
    l’irrisolto accordo
    della vita.

    * * *

    A Ulisse (redivivo)

    La metrica del fuoco, la mano che conduce,
    la lirica coscienza che non indugia
    al suo abbandono.

    Di sé cerca l’altro mezzo – l’Uomo –
    il cielo non aperto, la chiave da girare;
    discerne di tutto il vero l’ambiguo-circolare,
    comprende a singhiozzi larghi quanto il tempo.

    Non mira all’estate del mondo,
    l’aurora ancestrale, la mitica riserva
    dell’antico; bianca è la sua vocazione
    per l’amore che cerca come carne ed osso
    da spolpare. Non sa sé la metà vale il giuoco –
    se la candela avrà luce a sufficienza.

    Di quale spirito ambisce conoscenza?

    Ieratico, accanto al lume che l’inebria
    d’una calma rara e perfetta – cede
    il passo all’innocenza piena,
    al rebus della fiamma che danza biforcuta.

    Fluviale, ha occhi che celano la sete di sapere:
    ma mai si scosta e il Rosso l’avvolge come
    sacerdote che predica il suo pane.

    L’offerta prevede dedizione:
    un altare che bruci, la fatica della cenere,
    l’attesa al varco, la scintilla che sale dal guardare;
    l’intuizione potente, l’amplesso del cielo con la terra,
    il marchio del vissuto che fa male.

    Peccatore e penitente
    che solo il volto porta come stemma:
    icona di educata passione – Ulisse
    riavuto dall’ignoto
    (scampato al decadente viaggio,
    all’eccessivo trastullo),
    dalle procure diserto e vincitore –
    di sé e dell’altro dice ad arte parlando muto:
    della sostanza e degli affetti umani (parla)
    come chi tutti li senta e l’intenda.

    ***

    DA TE

    Da te
    io vorrei vivere e
    presso i sempreneri
    tuoi occhi.

    Discernere
    la smania provenzale
    di rime cantate a due voci.

    Saperti cosa viva
    e riandare ai canti barocchi
    (le storie tramate per gioco
    delle cose già in fuga).

    E intanto – nelle notti,
    con te ancora imbattermi
    in varie e tante guerre:

    e ai tuoi balconi attendere
    bonaccia o fortunale.

    ***

    Another Time

    È oggi che viviamo
    persi nella storia recitata
    nella rappresentazione forzata
    nel canovaccio del vivere alla giornata
    la bella verità de’ bugiardi.

    Impersonale e sinuoso
    parlerei volentieri di scarpe comode
    spazzolini da denti e football alla radio.
    Ma vago accattonando allegria e pace
    come santi in paradiso e requie giammai
    viene a visitarmi e spiace al mio vivere
    questo vagabondaggio.

    Carambola d’inchiostro
    la crosta musicale dei miei versi (nudi)
    ha il senso d’un gioco solitario
    e irriverente.

    Domani, soltanto domani,
    troverò le parole giuste
    a patto che non cerchi –
    che non siano abbozzo d’avvenire
    o costruzione d’oggi.

    Domani sì, forse domani,
    domani soltanto.

    MI PIACEREBBE AVERE UN VOSTRO SINCERO GIUDIZIO, ANCHE NEGATIVO E CRITICO (NON IMPORTA).
    GRAZIE IN ANTICIPO.
    DOMENICO CALCATERRA

  120. Roberta, Salvuzzo, Lorenzo e Renzo,
    vi scrivo dalla mia umida e graveolenta cella solo in grazia di un permesso speciale datomi dal secondino di Cecco Beppe – Imperatore d’Austria, Veneto, Slovenia, Ungheria e Cusano Milanino.
    Non sapete quanto mi conforti il vostro gentil rappellare alla mia mente la cara figura del mio vicino della cella accanto, Silvio Ber… ehm Pelliico, Silvio Pellico dicevo!
    In questo momento lo odo lamentarsi con pacata benevolenza e strenua moralita’ delle nostre condizioni di patriotti, sempre trovandone qualche pregio, nonostante il pane e acqua con il sole a scacchi di ambedue: ”Nella mia sventura” sussurra Silvio ”son pur fortunato, che mi abbiano dato una prigione a pian terreno, su questo cortile, ove a quattro passi da me viene quel caro fanciullo, con cui converso alla muta si’ dolcemente! Mirabile intelligenza umana!”
    Ovviamente il ”caro fanciullo” sarei io, che lo intrattengo con lazzi, frizzi e girignaccole verbali per portargli un po’ di sorriso sulle meste labbra.
    Dunque non penate per la mia reclusione, sorelle e fratelli Carbonari, ma elevate preghiere al pantheon italico acche’ il sottoscritto possa tornare, con novello vigor di membra e cor, agli assolati liti letteratitudiniani!

    Dal bagno penale
    Il vostro
    Sergio

  121. Rispondo sinteticamente alle domande di Massimo.
    La poesia credo che nasca in un luogo molto molto profondo della persona o del poeta. Può farsi strada anche in modo del tutto inconsapevole, mettersi in ascolto del proprio ” se” e cercare di intuirne il messaggio.. senza cercare di censurarsi. Credo che sia richiesto molto ascolto e concentrazione, ma anche tanto tanto lavoro sulla parola.
    Ciò non toglie che si può scrivere anche mentre si fanno cose del tutto materiali, anzi si deve. Personalmente preferisco scrivere in treno. Forse il moto mi concilia.
    Credo che la poesia debba rimettere in luce le contraddizioni del mondo reale, della condizione umana, di un’umanità terrena. Agire inseguendo la realtà del mondo che lo rappresenta con la sua stessa scansione, recuperandone lo scarto e puntare l’obiettivo sui ritratti minimi.
    Sicuramente scrivere poesie non ha un risvolto diciamo di natura commerciale, ci sono molti dibattiti in corso, ma il dato reale rimane secondo me l’esperienza del poeta e la buona poesia.
    Invio un mio testo, con la speranza di far cosa gradita.
    E’ un testo pubblicato, non è inedito. Bisogna citare la fonte??
    —————————————-
    Lina Salvi
    L’appartamento numero undici
    al termine assegnato:
    inchini protocolli strette di mano
    essenziali alla richiesta
    ne accertavano la sincerità.
    Il tavolo di marmo portato in dote
    finì al mercato dell’usato.
    Arrivarono in tre. Il giovane dispose
    liquidò mia madre, poi sparì.
    Del ricavato la sera non se ne parlò –
    lei fingeva un’aria, mio padre abboccò.
    Le strade, che incrociavano
    i caseggiati, rimasero sterrate
    le imprese titolari dei lavori fallirono.
    Durante i giorni di pioggia
    il fondo stradale si ritraeva
    in rilucenti pozzanghere,
    misuravano ogni abilità gli scugnizzi
    misuravano d’azzardo la vita
    e quella sua equità.

  122. Ringrazio Domenico Calcaterra per il suo intervento e per le belle poesie postate. Cliccando sull’immagine della sua copertina potrete leggere la prefazione al libro firmata da Michele Perriera (riportata dalla rivista di letteratura “Lunarionuovo”).

  123. Quella zona sarà sempre un luogo di guerre, d’altronde come è possibile pensare che quei due popoli, così diversi culturalmente e così vicini geograficamente, vadano d’accordo? L’unica possibilità è una forte pressione da parte dei governi occidentali, che però non possono e non vogliono. Almeno per ora. Chi mi smentisce? Saluti, andrea http://www.ideeaconfronto.altervista.org

  124. @ Francesca Giulia
    Scrivi: “questo blog è diventato….una piacevole dipendenza!”
    Mi auguro che la dipendenza sia sempre più contagiosa.
    Grazie per i tuoi interventi, cara.

  125. (troppi commenti [per fortuna]… riparto dall’alto).
    Ringrazio Eventounico che scrive: “Il poeta non è fuori dal mondo. Non potrebbe esserlo. La poesia è immanenza e per coglierla bisogna calarsi nella vita giacché denso di essa deve essere ogni singolo verso. Il poeta sta in mezzo alla gente, ladro di esistenza e di emozioni.”
    Sono d’accordissimo.

  126. Be’, ringrazio tutti…
    Dò il benvenuto a Marina Favro: grazie per l’intervento (poeta è chi rende immortale la parola, chi sa dar voce ad un’anima universale, chi sa scrivere di sé diventando chi legge, essendo chi legge…). Vero.

    Saluto e ringrazio l’amico Franco Romanò per i contributi e per i bei versi donati.

  127. @ Roberta
    Carissima Roberta, Letteratitudine sarà sempre dalla parte degli insegnanti. Soprattutto in tempi come questi, che sono particolarmente duri.
    A Salvo (dato che le insegnanti – per lui – è meglio che siano giovani donne) chiedo: è meglio un’insegnante biondina… o Brunetta?:-)

    p.s (per Roberta) ti ho risposto sul post dei traduttori, eh

  128. @ Lorenzo
    Grazie per gli interventi e per le liriche, carissimo.
    Conserva il tuo commento per il libro di Simona. Tra qualche giorno gli dedicheremo un apposito post.

  129. La poesia di Filippo Tuena, oltre a essere davvero bella, è attualissima.
    L’ho inserita in aggiornamento al post.
    Adesso devo chiudere.
    Grazie ancora a tutti voi.
    E buonanotte.

  130. “1): gli insegnanti che non trasmettono l’amore per la poesia( sei la seconda persona da ieri che “ci rivolge” questo “dolce rimprovero”);
    2): “il Baudelaire bilioso e sdegnoso che alla fine non se lo caga nessuno”.
    Ti scrivo soltanto che anni fa insegnavo letteratura frencese in un liceo e la maggior parte degli allievi e allieve di quella classe mi ha detto di aver comprato “LES FLEURS DU MAL”( in FRANCESE).
    Perdonami, ma non puoi “toccarci” il Nostro Vate e FARO Charles…”

    Gentile Roberta,
    converrai con me che purtroppo non tutti i professori hanno quel carisma atto a scatenare passione. Questi, secondo me, non solo non avvicinano nessuno alla poesia, ma fanno danno.

    Per quanto riguarda Baudelaire, sono ben lontano da “toccare” Baudelaire: c’è stato un malinteso, figlio della mia irruente e sregolata sintassi forse.
    Intendevo riferirmi al prototipo di poeta alla Baudelaire come figura tipo di essere sdegnoso e “contro” il mondo, non di certo al Baudelaire poeta letto e riletto da molti.

    Grazie per i complimenti,
    un saluto

  131. Vito Ferro,
    ciao bello, finalmente ti rivedo qui… ahi, da quanto non ti leggo e non rido, dunque, simpaticamente del tuo modo gentile, elegante e fantasioso di interloquire con tutti.
    Senti: il carisma lo trasmette solo che ce lo ha, e purtroppo non esiste un ”caristometro” per selezionale gli insegnanti, i quali in genere sono dei mezzemeaniche o lo diventano in itinere. Ci si ingrigisce, a far sempre le stesse cose, circondati dall’apatia e dall’antipoeticita’ generale – parlo in prima persona, eh, e solo a me rivolto. Ma anche la burocrazia scolastica e’ pesante e tarpa molte ali, non credi? Sembra che l’Italia odi gli insegnanti artistoidi e creativi, quelli che sanno spiegare Bodeler e Rambo’ e Leopardi, Carducci… bisogna naufragar in questo mare, ma m’e’ dolce, si’… m’e’ dolce rispetto ad altri mezzemaniche, sai?
    Ciao, caro
    Sergio

  132. Grazie a Massimo per questo post che ci permette di ragionare sullo stato della poesia (almeno in Italia) oggi. Anch’io, come molti altri che si sono già espressi, ho esordito con cieca fiducia nel linguaggio poetico, trovandovi un mezzo espressivo in grado di proiettare la mia individualità verso il mondo. Ho dovuto però constatare che, inevitabilmente, il messaggio che inviavo ritornava su me stesso. Perché scrivere poesia oggi, diciamolo chiaramente, è un’operazione narcisistica e autistica. Pur volendo comunicare, il poeta è costretto a sperimentare la solitudine; magari, quando va bene, i suoi versi sono letti da una cerchia di amici, spesso attenti a non fornire attenzioni critiche che vadano al di qua dell’elogio gratuito. Ahimè, la poesia disegna nel nostro paese sempre più una mappa di piccoli domini, di cricche e cenacoli. Una situazione, questa, che se apparentemente incentiva alla produzione di sillogi e librettini, in sostanza invece legittima l’oblio del linguaggio poetico.
    Rimane – e si possono fare tutti i ragionamenti sociologici che vogliamo, in alternativa -, rimane l’insopprimibile voglia di esprimersi attraverso la forza sonora e materiale (dunque assolutamente umana, e politica) della parola. Per quanto scrivere poesia oggi significhi vergognarsi del proprio inevitabile autismo creativo, al poeta si può solo chiedere di continuare a scrivere (mi viene in mente il finale di “Traducendo Brecht” di Fortini: lo ricordate?). La poesia oggi, in questo senso, è anche una prospettiva utopica.
    Saluti a tutti
    Marco

  133. Ciao, caro Marco Gatto,
    ti pongo solo una (ma articolata in due punti interrogativi) domanda retorica:
    Non sara’ che proprio questa situazione generalmente sociale, insomma di tutti gli europei, di mancanza di trascendenza o simili – vedi il paganesimo quanti poeti popolari ha dato, invece! – abbia prodotto l’autoreferenzialita’ dei poeti attuali?
    Non sara’ che proprio la mancanza di valori religiosi o almeno trascendenti comuni avra’ condotto tutti noi alla nostra poesia da quattro soldi?
    Saluti cari

  134. P.S.
    Quella di sopra e’ una domanda che pongo a tutti, anziche’ – birichino – fare il mio ”devere” e rispondere a quelle del caro Maugger…

  135. @Massimo: nel rispondere alla tua domanda riscontro anche il quesito di Sergio.
    Canti celtici tratta della perdita dei valori, a seguito anche della perduta conoscenza del passato e della religione monoteista che racchiude, irrigimenta la naturale spiritualità.

  136. Ciao Sergio,
    sono felice pure io di interloquire con te.
    Hai ragione: non deve essere per niente facile, oggi forse più di ieri, fare l’insegnante. Non si può trasmettere carisma “da programma”, non basta avere la laurea e quindi, chi ne è sprovvisto sopperisce come può, e poi soprattutto c’è la Burocrazia. Più che tarparle le ali, le trancia di netto e le fagocita. C’è anche da dire che alcuni ci godono davvero tanto a stera dentro la Burocrazia… si sentono caldi, coperti, amati. Strani maniaci.

    Ci vorrebbe una qualche riforma che permettesse una gestione flessibile del programma (soprattutto dei “fuori programma”), una autonomia maggiore per gli insegnanti e una conseguente maggiore richiesta di competenza da parte loro, a fronte di una preparazione costante, aumento di stipendio, scuole come laboratori di creatività, e perfino macchinette di profilattici nei corridoi. Ah, dimenticavo, festa scolastica di fine anno con rock band che suona in palestra. E tanti, dolcissimi, primi baci.
    Ne ho vista una simile a Paperopoli.

    Credo nei cani sciolti, sovversivi silensiosi insegnanti che trasmettono gioia e se ne fregano di creare carne da macello interinale. Ce ne sono tanti. Io ne ho incontrati almeno due nella mia carriera scolastica, e ancora sono con me a percorrere la vita.
    Io amo l’insegnamento (e gli insegnanti), penso realmente che sia una delle ultime figure di democrazia presenti.

    Ciao Serginho, sei forte! 😉

  137. @Sergio
    Sergio, caro! Sei tornato!
    Eh, hai visto che non sei mancato solo a me? Anche a Lorenzerrimo, Salvo e Renzo( insomma, noi carbonari) sei mancato!
    Mi connetto dopo e ri-leggo con attenzione gli interventi e le poesie riportate. Anche quella di Renzo.
    Ps: mi raccomando: non farti “rinchiudere” più..

  138. @Massimo
    Carissimo Massimo.
    Sai oggi ero troppo contenta al rientro da scuola. Io non sono mai stata di quel “grigiore” che molti ci trovano; però sono un pò RI-NATA da quando ho scoperto il tuo blog e i “letteratitudianiani”.
    Ti ringrazio ogni giorno:)
    Ti ringrazio anche per le parole in favore della “categoria”. Non avevo dubbi che lo avresti fatto.
    Purtroppo non abbiamo sempre a che fare con persone “illuminate” e carine come quelle che ci hanno mosso un (perfino) giusto rimprovero in questo tuo spazio.
    Io mi sento sempre ” a casa”, qui.
    Un caro abbraccio

  139. Vito,
    acciderbolina! Mo’ sei esagerato! E perche’ non trasformiamo le palestre scolastiche in parchi giochi con le slot machine e le ”donnine allegre”?
    Be’, scherzi a parte: secondo me la tua diagnosi e’ giusta ma come prognosi proporrei questo (l’esatto contrario della tua… eh! eh! eh!):

    1) Maggior RIGIDITA’ nei programmi di Letteratura italiana: studiare come muli, ragazzi, o non si passa l’anno. Niente sconti per nessuno e buona conoscenza anche degli autori italiani ”minori” e dei principali stranieri. Ritorno ai voti da zero a dieci e basta con ”debiti e crediti formativi”: MICA SIAMO IN BANCA O ALLA BORSA! Viva la scuola degli anni Settanta!

    2) RADDOPPIAMENTO DELLE PAGHE degli insegnanti ma esame obbligatorio ogni tre anni per TUTTI I DOCENTI: l’esame riguardera’ la propria materia d’insegnamento e comprendera’ una lezione che l’esaminando dovra’ tenere davanti agli esaminatori come se costoro fossero degli alunni – lo fanno all’estero, sapete?

    3) ELIMINAZIONE TOTALE DELLA BUROCRAZIA E DELLE RIUNIONI degli insegnanti: basta compilare il registro ogni giorno, dare i voti a fine quadrimestre e a fine anno, sostenere gli esami di riparazione e fatto questo fatto tutto.

    Basta cosi’. Quanto ci scommetti, Vito, che con questa curetta la scuola risorgera’?
    E tu, Roberta, che cosa ne pensi?
    Ciao ciao
    Sergio

  140. Sergio,
    non avevo dubbi: quando non so COME dire qualcosa, la dici tu.
    Infatti: la “gestione flessibile del programma”+”una autonomia maggiore per gli insegnanti” ( di cui parla Vito)sono esattamente gli ingredienti che hanno portato alla ROVINA la scuola!
    Anche l’idea di far sostenere ESAMI obbligatori ogni tre anni agli insegnanti é sacrosanta.
    (ps: mi rendo conto, però, che in questo modo smentisco, contraddicendomi clamorosamente, quanto affermavo in difesa della categoria…. Eh, ma é così, in certi casi…. e “bisogna” costringerci a studiare… anche se molti lo fanno già…)

  141. @ Vito:
    Cosa intendi esattamente per: “carne da macello interinale”?
    Poi: ti assicuro che i “tanti, tantissimi, dolci baci” se li danno eccome, gli studenti. Senza alcun pudore( dico il pudore che avevamo noi a scuola).
    Grazie per l’ultima frase:)
    (quella sulle figure della democrazia).

  142. Ho letto con piacere tante belle poesie, anche di persone che prima non conoscevo.
    Allora, la poesia non è morta, anzi vive più di prima, presa com’è in possesso da tantissime persone che, avendo imparato a leggere e scrivere, hanno capito che deve servire anche per il proprio uso.
    È così che s’incomincia a pensare, meditare, sentire sempre più profondamente, fino a quando i versi escono da soli e leggendoli proviamo piacere e soddisfazione.
    Belli, espressivi o no, non importa, sono frutto delle nostre attenzioni alle quali è giusto donarle importanza e rispetto.
    Gli altri possono leggerle, sorvolarle o anche arricciare il naso, cosa me ne importa; sono mie, utili a me, e nient’altro voglio che siano.
    Continuiamo, quindi, a comporre poesie e a inviarle su questo bellissimo blog che attira sempre più osservatori e partecipanti. Il leggerle allarga le nostre percezioni, illumina la nostra fantasia e chissà che una volta riusciamo a comporne una veramente suggestiva e
    degna del suo nome.

    Allego una mia attinente all’amore tra gli uomini.
    AMORE IN TERRA

    Cos’è quel palpito che invade il mio cuore
    Quelle vibrazioni simili alle note della musica
    Quelle voci che mi fanno esaltare
    Se non espressioni d’amore

    Il mio cuore le ascolta e prova timore

    Dio mio, ancora una volta, devo lasciarmi andare
    Ballare, esultare, gridare come feci una volta
    Quando ero giovane e non chiedevo cosa erano
    Troppo preso dalla magia del loro incanto
    Che ogni essere chiama amore, amore
    Per la tua anima, il tuo cuore, il tuo spirito

    La realtà è la fine d’ogni sogno
    Voluto e creato per sentire di nuovo
    Le bellezze che ti fanno incantare

    La realtà è un richiamo forte e tenebroso che ti fa ricordare:
    Non dimenticare “UOMO” sei qui per soffrire e maledire
    Il giorno in cui, non sapendo perché, ti lasciasti andare
    Al piacere dell’amore, per te narciso e per la tua verità
    Che ti fanno credere pari al Creato
    Che infine ti punì e cacciò dal vero paradiso
    Ed ora cerchi di riviverlo nel tuo cuore,
    Ultimo ripostiglio di un tempo felice
    Che fu ed ora non puoi che desiderare
    E realizzare con la forza della tua fantasia

    Lorenzo Russo Gänserndorf. 06.01.05

  143. @ Marco Gatto
    Se ho capito bene, quello che tu chiami “autismo creativo” del poeta (oggi) si riferisce al fatto che pochi lo ascoltano(?). E dici, un pò prima: “Pur volendo comunicare, il poeta é costretto a sperimentare la solitudine”.
    Ora io mi “servo”( in modo forse arbitrario) delle tue affermazioni per dirti:
    -il poeta deve per forza sperimentare la solitudine, perché per essere poeti c’é sempre “UN PREZZO DA PAGARE”. Lo so, é una visione molto Romantica, ma comunque mica si é poeti così, senza rinunciare a nulla.

    Metto gli ultimi quattro versi da una poesia di Théophile Gautier:

    “LE POèTE EST AINSI DANS LES LANDES DU MONDE;
    LORSQU’IL EST SANS BLESSURE , IL GARDE SON TRéSOR.
    IL FAUT QU’IL AIT AU COEUR UNE ENTAILLE PROFONDE
    POUR éPANCHER SES VERS, DIVINES LARMES D’OR!”
    (Les pin des Landes).
    ( “Il poeta é così nelle Lande del mondo;
    Quando é senza ferite, conserva il suo tesoro.
    Bisogna ch’egli abbia nel cuore un taglio profondo
    Perché sfoghi i suoi versi, divine lacrime d’oro!”)

    Ps: la traduzione-peraltro orrenda perché l’ho messa io, non avendo una traduzione più degna a portata di mano- non rende.

  144. @ Renzo
    Della tua poesia “Canto celtico” , oltre agli altri, a me sembrano belli i versi:
    “Solo nel bosco la vecchia quercia conserva
    negli scrigni preziosi delle foglie
    le note malinconiche di cento cornamuse”.

  145. @…
    Personalmente, considero la Poesia la più sublime delle arti.
    Sottile, profonda, che rida o pianga, coglie sempre nel più sottile tratto dell’indefinito e l’infinito.
    Le parole possono essere leggere, pesanti, indifferenti, mirate, ma quelle poetiche sanno essere fortemente presenti e guardare oltre.
    Esser ferme eppure spingono lontano.
    Chissà dove.
    Non è sempre dato capirlo.
    Perchè è nell’attimo, che ti fanno sprofondare.

    (in questo momento, puta caso, c’è casino intorno a me mentre scrivo…).
    Un caro saluto a tutti

  146. @ Salvo…
    non ti frusciare(vaneggiare)…I baci che ricevi sono affettuosamente materni.
    Con la poesia non si acchiappa!…(al limite, qualcuna si propone come amica…)

  147. Caro Lorenzerrimo,
    come sempre ti ringrazio per quello che mi hai scritto ieri sui miei “piatti dipinti”. Eh.. non te li posso far vedere, anche perché é da un pò che non ne dipingo. Mah. Le tue poesie sulla fratellanza umana mi fanno venire in mente di dipingerne uno per te. ( ma nei miei piatti ci sono case e piante..)
    Vedi, io sono una scettica, o lo sono diventata.. e sono anche un pò cinica( ma non sempre..)Però mi commuove leggere i tuoi testi.
    Il tuo tema della giovinezza perduta mi fa venire in mente un sonetto di Pierre de Ronsard: “QUAND VOUS SEREZ BIEN VIEILLE…”( lo cerco e lo riporto qui sotto, va bene?).
    Resta sempre il rimpianto per il Tempo perduto, vero?
    Allora l’unico modo per “riprendersi” il Tempo Perduto é RITROVARLO e questo fa l’Arte.
    PS: L’idea, alquanto originale, ovviamente non é mia: avrai riconosciuto Marcel Proust.
    Carissimi saluti
    Robertina
    (firmo come mi chiamano gli amici)

  148. @gianni parlato
    “non è sempre dato capirlo”, sì hai ragione,perchè non è possibile spiegare tutta la poesia, c’è una percezione che và al di là dei nostri sensi tutti, toccando, o non toccando, corde che appartengono ad un senso altro. E forse è anche in ciò che consiste quel mistero inafferabile della vera poesia,un pò come l’amore.Mi permetto di postare la poesia-acrostico che ho scritto soffrendo l’assenza- poi ripresa nel piccolo tanka già mandato sul blog.Se a uno di voi suggerirà qualche emozione ne sarò fiera.
    Pieno e vuoto dell’assenza di te

    Pacchi,scatole,libri in pile
    Incerte polverose nell’aria
    E muti mobili,cieche lampade
    Nell’armadio burattini senza fili
    Ora così è
    Enigmatiche scarpe senza tacco
    Vacui passi,rossetti scoloriti
    Umide vasche,tazze sbeccate
    Orge di piatti nella cucina satura
    Tutto così è
    Opachi vetri,plumbee tende
    Dai cieli scuri ombre inquiete,
    E piante secche in vasi vuoti,
    Livide orme nella stanza tonda
    Lento così è
    Atri bui,dischi interrotti
    Spigoli appuntiti di tavoli nemici
    Stanchi visi su bocche grigie
    Echi di pianto fra i capelli
    Nel letto immobile di gesso
    Zattera senza più lidi
    Adesso così è nel cuore mio
    Dopo il forzato trasloco
    In fitto t’offro il ventricolo sinistro
    Tu vieni resta vai
    E’ cosi’ ora la stanza tua.
    (Amore-I grandi temi della poesia-G.Perrone editore)

    francesca giulia
    grazie per avermi fatto partecipare a questo momento di dialogo così bello con voi tutti.

  149. @Lorenzerrimo e @ coloro che vorranno leggerlo:
    Riporto un sonetto di Pierre de Ronsard(1524-1585) dai “Sonnets pour Hélène”. Me l’ha fatto venire in mente la poesia di Lorenzo.
    E’ presente qui il tema petrarchesco del Trionfo sulla morte.
    Riporto qui la splendida traduzione di Mario Praz.
    Nel post sulla traduzione riporto il testo in francese, per chi avesse il tempo, fosse interessato a leggerlo in lingua originale( INFATTI E’ UN’ALTRA COSA..)e a commentare la traduzione.
    “Quando vecchia sarete, la sera, alla candela,
    Seduta presso il fuoco, dipanando e filando,
    Ricanterete le mie poesie, meravigliando:
    Ronsard mi celebrava al tempo ch’ero bella.

    Serva allor non avrete ch’ascolti tal novella,
    Vinta dalla fatica già mezzo sonnecchiando,
    Ch’al suono del mio nome non apra gli occhi alquanto,
    E lodi il vostro nome ch’ebbe sì buona stella.

    Io sarò sotto terra, spirto tra gli ignudi spirti,
    Prenderò il mio riposo sotto l’ombre dei mirti.
    Voi presso il focolare una vecchia incurvita,

    L’amor mio e il fiero sprezzo vostro rimpiangerete.
    Vivete, date ascolto, diman non attendete:
    Cogliete fin da oggi le rose della vita. “

  150. Io amo molto l’ironia di Charles Simic. Ora sto leggendo Club Midnight. Vi riporto un passo di una sua poesia: “un cane che cerca di spiegare in poesia perchè abbai, ecco chi sono io. caro lettore!”
    vi sembra troppo.?

    P.S. mando queste due righe con simpatia… meglio precisare.
    lina

  151. Caro Massimo, grazie per aver segnalato il mio volume.
    Stasera non farò a tempo a scrivere un mio testo tratto da “Il Sogno del Cavallo “. Dal bellissimo libro scritto da Gabriella Sobrino, riporterò invece un frase che pronunciò Pablo Neruda, quando nel 1967 vinse il Premio Internazionale Viareggio – Répaci. A chi gli chiedeva se la sua poesia nel tempo fosse cambiata l’ Autore Cileno rispose:-
    “La poesia esce da me e ritorna a me e nel cammino che percorre incontra molte cose. E’ una necessità che la terra si muova e che non produca sempre gli stessi frutti”.
    Piacque il suo paragone tra il mestiere di poeta e quello di “panadero” –
    ” Il Poeta” disse, “come il panettiere assolve a un dovere sociale”.
    E dopo queste sagge espressioni, ancora grata, Massimo ti abbraccio
    e con te saluto ed abbraccio le care amiche e i nostri indimenticabili
    amici, sperando che la salute mi conceda di essere più presente.
    La vostra scalcinata Tessy

  152. @Roberta
    Va bene Robertina, io vorrei essere una pianta robusta, di quelle che più vengono tagliate, più crescono forti e verdi; una pianta estesa, con foglie grandi da proteggere tutto gli animali cercanti un rifugio sotto di lei.
    Una pianta dai rami estesamente articolati e intrecciati di modo che possa afferrare alla vita e tenerlo sospeso nell’aria chiunque voglia fare il furbo fino a quando abbia ammesso i suoi torti e voglia rimediare.
    Una pianta che spenda ossigeno solo agli onesti e ossido di carbone ai disonesti.
    Quest’immagine potresti dipingere su un piatto grande e piatto e scriverci sopra i nostri nomi.
    Anch’io sono un po’ cinico e scettico, mi aiuta a sopportare la realtà immaginandola in anticipo, ma sono sempre propenso al bene, perché mi garantisce un buon umore e la voglia di godere la vita, nei limiti leciti s’intende.
    Ciao.
    Lorenzo

  153. Ciao, gente,
    Roberta,
    Mario Praz insegnava Letteratura inglese all’universita’ di Roma negli anni Cinquanta… fu docente anche di entrambi i miei genitori, che ne ricordano la bravura – mentre altri purtroppo solo le sciocche maldicenze dell’epoca.
    Sulla scuola: siamo in completa sintonia – una sintonia non di… Ferro… eh eh eh! Ciao anche a te, Vito!

    Ciao Maria Teresa, bentornata! Come stai?

    Francesca Giulia,
    bellissima la poesia che hai ”postato” poco qui sopra! C’e’ dentro Ada Negri e una sensibilita’ femminile intensa e pregiata come la scrittura, la descrittivita’ intensa e spiritata che spinge su carta le tue parole. Vere. E tecnicamente toste – altrimenti un acrostico tanto lungo non lo si riesce a fare mica, eh!
    Ti mando un classico che parla di uno che ara, lo conoscerai di certo:

    Al cor gentil rempaira sempre amore
    come l’ausello in selva a la verdura
    ne’ fe’ amor anti che gentil core,
    ne’ gentil core anti ch’amor natura”

    Guido Guinizzelli

    Insomma la natura fece il cuore assieme all’amore e non l’uno prima dell’altro. E io concordo con il buon Guido…
    Con stima e affetto
    Sergio Sozi

  154. Pardon,
    pensando al Guinizzelli ho dimenticato i versi dell’ ”aratore”. Eccoli:

    Se pareba boves, alba pratalia araba
    albo versorio teneba, negro semen seminaba

    (L’ ”Indovinello veronese”…: Spingeva innanzi a se’ i buoi, arando un prato bianco / teneva un bianco aratro (o ”versorio”) e seminava una nera semente). Cos’e’? La nostra professione!

  155. Perche’ bianca la penna del poeta? Perche’ in realta’ una piuma d’oca… come tutte le vere poesie, amici cari miei!

  156. Consentitemi innanzitutto di replicare a Roberta, che mi scrive: “Sai oggi ero troppo contenta al rientro da scuola. Io non sono mai stata di quel “grigiore” che molti ci trovano; però sono un pò RI-NATA da quando ho scoperto il tuo blog e i “letteratitudianiani”.
    Ti ringrazio ogni giorno:)”

    – Grazie a te, carissima Roberta… le tue parole sono importantissime per me… non sai quanto. Mi ripagano, e con gli interessi, di tutta la fatica e il tempo che dedico a questo blog (rubandolo alla mia scrittura).
    Sono io che ringrazio te.
    Grazie. Grazie davvero.

  157. Sergio,
    sì lo conosco Mario Praz( non di persona: beati i tuoi genitori)ha scritto molte cose sulla letteratura inglese.
    Eh..l’omaggio a Guinizelli l’avevo già fatto due giorni fa, quando rispondevo a Massimo sulla domanda “quando avete incontrato la poesia?”
    Io avevo anche messo “Chi é questa che vèn…” e anche “Guido io vorrei che tu e Lapo ed io…”
    Hai visto il sonetto di Ronsard?

  158. Visto, visto, Roberta: ti ho gia’ risposto in loco.

    Maugger,
    anche tu porti a spasso i buoi col tuo aratro, come l’Anonimo dell’Indovinello veronese, o no?
    Ciaobbello
    S.

  159. Poi Roberta mi scrive: “Ti ringrazio anche per le parole in favore della “categoria”. Non avevo dubbi che lo avresti fatto.
    (…)
    Io mi sento sempre ” a casa”, qui”.

    – Cara Roberta,
    io credo fermamente nel lavoro di voi insegnanti. Svolgete un’attività di fondamentale importanza in un contesto difficilissimo da molti punti di vista (ne sono più che convinto). E di questo ringrazio te e tutti gli insegnanti che scrivono qui anche a nome dell’intera categoria.
    E a te personalmente dico: ogni volta che, in questo tempo zeppo di rumori e distrazioni, sarai riuscita a catturare l’attenzione e sollevare lo stupore di un solo singolo alunno attraverso la pagina di un libro… avrai compiuto un piccolo miracolo.
    Sentiti sempre a casa qui…

  160. Io ringrazio tutti, Renzo Montagnoli in primis che e’ un gentiluomo e Dido’ perche’ si e’ fatto sentire appena di sfuggita, risparmiandoci le sue colate laviche di nefandezze erudite fuse e (orgiasticamente direi!)aggrovigliate come suo solito, vecchio mio!

  161. @ Sì, carissimo Massimo,
    l’ho detto proprio col cuore…visto che qui ora si parla di Guinizelli, la mia “prima fiamma”…
    Ciao:)
    Un carissimissimo saluto

  162. Ed ora il Maugger ci servira’ una sua poesia, scritta nel 1970 e copiata dal nonno… eh eh eh… Attendo.

  163. @ Tessy
    Cara Tessy, ancora una volta ti rinnovo i miei auguri per la tua salute.
    Se riuscirai a inserire una tua poesia, farai un gran dono a tutti noi.
    Grande, Tessy…:)

  164. @ Domenico Calcaterra
    Molto belle le poesie che hai scelto di donarci.
    Sono d’accordo con quanto scrive Michele Perriera:
    “Come ogni vero poeta, Domenico Calcaterra ha come ossessione il linguaggio e il suo modo di prendere e lasciare i segreti della vita. Nel caso di Calcaterra, il linguaggio spira come “il vento” e attraversa il mondo con la commossa e delusa perplessità di un’abitudine insieme coriacea e rassegnata al nostro inquieto destino. (…)

    Il vanto di questa scrittura è nella grande serietà e severità con cui tratta il rischioso gioco della vita e si protende come una carezza verso gli umani. Il linguaggio, che qui si apre al senso, si distende nella certezza che tutto scorre.”
    Bravo Domenico!

  165. Un saluto al giovane Marco Gatto (i cui versi sono finiti sulle pagine di “Nuovi Argomenti”) e a tutti voi.
    Mi dedico al nuovo post.
    Ma qui il dibattito continua!

  166. @ Sergio
    Sorpesa, sorpresina…
    Vedrai domani.
    Lui – peraltro passato a miglior vita in circostanze particolari – non si considerava nemmeno poeta.
    E forse non lo era.
    Vedremo.

  167. Aaaahhh, Maugger fellone, mi tieni in sospeso, eh? Parli di cantautori maledetti come Piero Ciampi, Rino Gaetano, Guccini, o quell’altro di cui non ricordo il nome che si suicido’ per aver perso Sanremo negli anni ’50? Massima stima ma risparmiaceli, se fosse cosi’, ti prego… dopo il Guinizzelli i moderni mi danno il mal di pancia. UN CLASSICO, MAUGGER, DACCI UN CLASSICO! SU!

  168. Post Scriptum
    Il libro soprariprodotto di Marco Gatto sono stato uno dei primissimi a recensirlo. Con piu’ luci che ombre, come merita. Vedasi recensione in rete.

  169. Roberta, scusa se rispondo solo ora ma non mi sono collegata prima…
    Il lettore per Baudelaire è… sto leggendo il libro di Giuseppe Montesano, di cui abbiamo parlato anche qui a casa dell’Optimus Maximus.
    Mi sono confusa!
    Io credo che “ipocrita” voglia dire attore, alla greca. Scrittore e lettore sono solo due maschere, in fondo. Ma Baudelaire vuol dire: tu, tu che ti senti così diverso da me… tu SEI me. E qui recupera anche il senso farisaico del termine. Che ne dici?
    🙂

  170. @ Maria Lucia
    Sì, grazie infinite. Mi sembra proprio così. Quindi quello che io sentivo come una sorta di “offesa” per il lettore da parte del poeta, in realtà non lo é.
    Vado. Ma se posso, a domani.
    Buonanotte. Grazie:)

  171. …be’… pero’ dar del fariseo al lettore, anche se in senso filosofico, non e’ proprio una carezza…

  172. @ Sergio
    Non era un cantautore, ma forse (ripeto) non era nemmeno un poeta. Si tratta di un tale che era solito farsi stampare piccoli libri dal tipografo per distribuirli ad amici e parenti.
    Mi ha scritto la figlia chiedendomi se potevo pubblicarne qualcuno… cosa che farò domani.

  173. Una specie di Dino Campana, insomma: sai che aspettava gli acquirenti del suo libro (i Canti Orfici) all’uscita delle librerie, gli sequestrava il libro e lo correggeva, ne strappava delle pagine, per poi riconsegnarlo all’allibito compratore?

  174. Boh… il link: la mia recensioncina e’ su ”Opera Narrativa”, un sito di presentazioni di novita’. Grazie. Mo’ vado a vedere il nuovo post, buttato la’ a tradimento. Ciao, una notte stellata a tutti.

  175. Letto il post apppena pubblicato, ma siccome ”novissime cose” non me le dice, ed il realismo non mi coinvolge piu’ di tanto, io resto qui a discorrere di aria fritta e… ipocriti (ah ah ah! Marilu’ e Roberta!).

  176. Per Roberta:
    Sì, autismo nel senso di impossibilità di ascolto della sua proposta e di incidere su un qualsiasi tessuto sociale.
    Un po’ romantica la tua visione, se calata nell’oggi. Comunque speranzosa e utile. Grazie per le suggestioni poetiche.

    Chiunque voglia leggere la recensione di Sozi (che saluto e ringrazio, anche per essere stato uno dei primi a scrivere sul mio libro) che si evocava:
    http://www.operanarrativa.com/node/959

  177. Caro Sozi,
    in riferimento a quanto scrivevi prima sull’assenza di una comune trascendenza: capisco il tuo punto di vista, ma ti chiederei di spiegarlo in modo più diffuso. Intendi l’assenza di una sorta di religione delle buone lettere, di un valore-poesia tale da salvaguardare quest’ultima? Se è così, piuttosto credo sia vero il contrario: ovvero la poesia riesce a spendersi, diciamo, “socialmente” proprio nel momento in cui rinuncia a essere un’arte elitaria e di pochi o una prerogativa identitaria dei geniali spiriti, per dirla con Bloom, la cui visione non mi pare auspicabile né condivisibile. Ma forse ho compreso male quel che volevi dire. E me ne scuso.

  178. Marco Gatto,
    mi sembrava che il filo del discorso fosse chiaro; mi sono sbagliato. Dunque lo ricostruisco in breve per risponderti ripetendo (in meglio spero) quel che dicevo prima. Ecco la ricostruzione e la mia risposta.

    Allora, Marco, tu, dopo aver detto che la poesia e il poeta sono dei fenomeni isolati in Italia, pertanto FORZATAMENTE (sottolineo) autoreferenziali, concludi come segue:
    ” (…) Rimane l’insopprimibile voglia di esprimersi attraverso la forza sonora e materiale (dunque assolutamente umana, e politica) della parola. Per quanto scrivere poesia oggi significhi vergognarsi del proprio inevitabile autismo creativo, al poeta si può solo chiedere di continuare a scrivere”.

    Ecco. Alla luce di questa analisi, io dico che quando esisteva una comune trascendenza in Italia – e alludo al mondo Romano col suo paganesimo ma aggiungerei il Cristianesimo delle origini, quello che va dagli apologeti romani a San Francesco e Iacopone da Todi – il poeta era tutt’altro che isolato ed autoreferenziale, ma caricato di somme valenze popolari, ossia comuni, di TUTTI I CITTADINI. Incarnava valori sacri, religiosi: l’aedo cieco con poteri vaticinanti (dei Greci ma anche dei Romani); il Virgilio cantore della sacralita’ del pantheon e della missione mondiale di Roma… eccetera… fino a D’Annunzio compreso (il quale e’ gia’ un’eccezione in un contesto ormai modernizzato, ovvero disorientato e vuoto di pathos e trascendenza autentiche).
    Insomma, sparito un senso comune del sacro, anche il poeta e’ divenuto un pezzo amorfo dell’attuale materialismo consumistico e nichilistico. Cosa altro si puo’ pretendere, dicevo e dico, da un’Italia che non ha niente di sacro? Che, forse, consideri il poeta sacro?
    D’altronde, spiego anche parlando dei poeti stessi di oggi, il poeta moderno in genere non ha dei valori forti di tipo trascendentale o metafisico in genere: il poeta moderno parla di ”cio’ che NON va” nell’uomo e in lui stesso, non parla di ”cio’ che l’uomo sente e condivide”. Il poeta di oggi e’ un nichilista in un contesto nichilista e neanche sa scrivere in bella forma, neanche e’ un letterato, addirittura! Ed un poeta che in genere dice le stesse cose banali del salumiere e dei giornali cosa potrebbe pretendere di piu’ di quel che ha dalla gente? Io la poesia di oggi non la compro perche’ quasi sempre e’ fatta cosi’: se si cambia una poesia in prosa, togliendo i versi, resta alla lettura identica ad una prosa.
    Che i poeti facciano qualcosa di diverso, se no se lo meritano questo isolamento, insomma, dico. Se lo meritano.

  179. P.S. per Gatto,
    dunque il materialismo e’ cio’ che soffoca il poeta. Insieme al conseguente nuichilismo, perche’ un nichilista e’ per forza anche un materialista. La ”forza materiale (dunque assolutamente umana, e politica) della parola” di cui tu parli, Marco, e’ la prima condanna della poesia e del ruolo del poeta nella nostra societa’.

  180. La poesia
    .

    Mi attraversa, e sorge da matrici
    preistoriche
    o ancora oltre, rombo di galassie
    che trafigge le costole
    piuma e granito
    non si ripete mai nel suo percorso
    scivola lenta nella calma piatta
    tracima nelle ossa, mi sparpaglia
    quando à lama e tempesta
    .
    d’ignoto mi stordisce, quasi uccide
    la me di desideri minimi
    sorprende pigolante un io smarrito
    .
    eppure in essa unicamente vivo
    è in quello spazio
    tra respiro e respiro, che mi nutro
    se pure tenta sibili
    anomalie di lingue e di spergiuri.
    .
    Sarei morta da secoli se Lei
    non mi avesse distrutta e ricreata
    in ogni abisso
    in ogni stella estinta e poi risorta.

  181. Mi scuso per l’errore di battuta: da sostituire una “è” alla “à” nel nono verso.
    Grazie dell’ospitalità e buon fine settimana a Massimo e a tutti gli amici di Letteratitudine.

  182. @massimo
    grazie mille,per me è importante ancor più del riconoscimento della lirica scritta,la condivisione con persone che hanno uno sguardo poetico sulla vita e in questo blog tanto curato da te ne ho trovate tante.
    cari saluti

  183. @sergio sozi
    grazie di cuore per le tue considerazioni sul mio acrostico,sono felice che ti sia piaciuto,sto lavorando alla mia prima silloge…perciò capirete l’ansia,grazie per i versi di Guinizzelli e i tuoi commenti sempre partecipativi e interessanti.
    “descrittività intensa e spiritata” mi piace moltissimo,perchè è così che mi sento quando scrivo in versi,come invasa da un’altra me che devo solo assecondare,però poi mi stanca molto e devo staccare per un pò,la poesia è anche sofferenza nell’atto del procreare.

    Che belli i versi di Cristina Bove e Calcaterra.
    Ma dov’è che è morta la poesia??Dopo queste letture io la vedo più viva che mai, per fortuna per noi.
    Fra i poeti contemporanei ho molto apprezzato Milo de Angelis, a chi piace?
    Mi permetto di consigliare,per chi non le avesse lette, le poesie delle autrici arabe contemporanee: “Non ho peccato abbastanza”,alcune sono fortemente suggestive.
    cari saluti a tutti
    francesca giulia

  184. Sergio, volevo rispondere alla perplessità tua – che è anche mia – sull’uso del termine ipocrita da parte di Baudelaire.
    Leggendo il saggio di Montesano, documentatissimo, veramente un mondo che ti si squaderna, la lettura delle poesie di Baudelaire è vista dal taglio,se ho ben capito, politico e sociologico. Baudelaire, trovandosi a scrivere in un periodo, quello del nuovo Napoleone, apparentemente progressista ma in realtà quasi dittatoriale e censorio, del progresso a tutti i costi, di lustrini e teatri, di boulevards… vuole raccogliere i fiori del male – tutto ciò che è scomodo, che urta, ferisce, scandalizza, sconvolge – e farne un mazzo da lanciare in faccia al pubblico borghese arrampicatore capitalista che succhia il sangue dei poveri, degli operai relegati nelle periferire maleolenti e malfamate. Presenta così prostitute, ubriachi, pervertiti, mescola sacro e profano, parole “alte” e “basse” – Dante direbbe linguaggio tragico e comico, no? – e taccia il lettore di ipocrisia. Gli dice: “Ecco l’opera delle tue mani!”. La povertà, l’emarginazione, le rivolte del 1848 e della Comune finite in massacro, l’alienazione degli operai, i bambini sfruttati, abbandonati, le donne abbrutite…
    Se la prende anche con i poeti “puri” che facevano ART POUR L’ART, i parnassiani che erano risaliti sull’alto monte della poesia visto che non era più possibile, per via anche della forte censura, fare denuncia in letteratura come avevano fatto i realisti, i naturalisti.
    Credo, e spero che Roberta voglia darci lume in proposito, che sia così.
    Tu che ne pensi?

  185. @ Francesca Giiulia…
    tutto è lì.
    Ancora fermo, immobile, aspettando dagli impulsi di ritornar vitale. Perchè c’è. E quì.
    E aspetta te per ritornare in me.

    Più o meno, questo è la sensazione che percepisco dalla tua poesia. Sembrerebbe sintetica, semplice, ma i primi tempi di un “abbandono” danno sempre una sensazione di ‘lutto’. E’ come una persona, che sentnedosi in due quando era innamorata e corrisposta, tornando ad essere “una” non si ritrova più. E tutto ciò che gli è intorno non ha più senso.
    In effetti è vero, e tu lo hai esposto molto bene. La fine di una storia corrisponde ad una “perdita di identità”.
    – “Tu vieni resta vai
    E’ cosi’ ora la stanza tua.”-
    A volte la pazienza e il sentimento di una donna nei “lascia e prendi”, negli “addii e ritorni”, sono spesso fraintesi da noi uomini.
    Ma è quella “stanza”, che ha un senso che non sempre si comprende.

    Brava!
    Un caro saluto

  186. C’è una parte della Bibbia che mi fa sbarellare e se trovo i versetti ve li scrivo. La so a memoria perché c’è un canto che ne riporta le parole precise.

    COME LA PIOGGIA E LA NEVE
    SCENDONO GIù DAL CIELO
    E NON VI RITORNANO
    SENZA IRRIGARE E FAR GERMOGLIARE LA TERRA
    COSì OGNI MIA PAROLA NON RITORNERà A ME
    SENZA OPERARE QUANTO DESIDERO
    SENZA AVER COMPIUTO CIò PER CUI L’AVEVO MANDATA
    OGNI MIA PAROLA
    OGNI MIA PAROLA

    Non è bellissimo?
    Mi ci ha fatto pensare la cara Tessy con il suo riferimento a Neruda.
    La poesia, come il Verbo… come la Parola.

  187. Caro Sozi,
    ora il tuo pensiero è più chiaro, e posso dire risolutamente che, pur rispettandolo (ovviamente!) non lo condivido. Perché, da un lato, ritengo che la modernità abbia offerto al poeta un ruolo che non è solo per forza nichilistico, e nello stesso tempo positivamente decrasalizzante; dall’altro, mi riesce un po’ difficile pensare al poeta come a una sorta di vacca sacra da onorare e incensare, anche per solo effetto di un contesto che assegna alla poesia una funzione quasi mistico-religiosa. La modernità ha segnato la scissione del poeta dal suo interlocutore. E’ stata una frattura necessaria, a cui si poteva rimediare, un tempo. Con l’esplosione di un tipo di modernità diversa, andata a male, non c’è più spazio per il poeta. Recuperare un’aura sacrale, dunque, mi sembra un passo da gambero, ma soprattutto un’illusione. Sono per accettare il tempo in cui viviamo, senza nostalgie. E credo che da una situazione precaria, come quella odierna, la poesia possa uscirne profondamente rinnovata, a patto che si accetti la sua “mondanità” (e dunque la sua non-trascendenza rispetto al tempo). D’altra parte, con Montale posso dire di appartenere alla razza di quelli che rimangono a terra.

    Grazie per i tuoi commenti, sempre stimolanti, caro Sergio: il bello della dialettica.

  188. Potremmo approfittarne per parlare dei poeti contemporanei italiani.
    Chi preferite? Ci sono esperienze poetiche più interessanti di altre?
    Ad esempio, io ultimamente ho avuto modo di apprezzare due poetesse, seppure diversissime fra loro, di qualità altissima: Silvia Bre e Jolanda Insana.

  189. @ marco gatti
    Personalmente amo molto Milo De Angelis e Giampiero Neri, ma penso anche molto a Buffoni, Pusterla e Fiori, Gardini, poi si possono fare tantissimi altri nomi.
    Sul versante femminile .. concordo con Insana, e Anedda, e poi Rosselli , beh, dovrei citarla come prima in classifica (ma si parlava di contemporanei). e poi ci sono tantissime persone con le quali negli anni ho avuto anche occasione di confronto, anche per la mia poesia.
    Molto bello trovo anche Charles Simic.
    Lina Salvi

  190. @Maria Lucia
    Cara Maria Lucia,
    parli di una
    “reazione” di Baudelaire alle “brutture” del suo tempo. Certo, quando ha voluto protestare per i cambiamenti che Haussmann faceva all’architettura parigina, lo ha fatto inserendo LE CYGNE nei TABLEAUX PARISIENS (“Parigi non é più..”).
    Però lui va veramente ben oltre tutto e tutti. Ti propongo le considerazioni che il nostro prof di letteratura americana diceva a proposito degli studiosi che non riuscivano a “collocare” la poesia di Emily Dickinson all’interno di un movimento letterario riconosciuto: “Eh, con la Dickinson come le mettiamo??”.
    Poi i movimenti sia del realismo che del naturalismo gli sono piuttosto lontani. Qualcuno vede un certo “realismo” nei suoi SPLEEN ( ma dicono si tratti- e con ragione- dell’influenza della poesia di Edgar Poe, in quel caso. Parlo delle “immagini crude”, come le ragnatele ecc).
    Invece al poeta che ha fondato la scuola del Parnasso( Théophile Gautier- ho riportato sopra LE PIN DES LANDES) é dedicata l’intera raccolta dei FIORI DEL MALE. E Baudelaire é un parnassiano “sfegatato”( anche nel senso di “oppositore” al “Verso Libero”= VERS LIBRE dei Simbolisti suoi successori).
    Sull’interpretazione del titolo della raccolta sono stati scritti “fiumi”.. E non mi ricordo nulla delle varie teorie… Comunque potrebbe essere, ma non é una mia idea, naturalmente( sempre in chiave Romantica) che il “male”( nel senso di ENNUI= NOIA leopardiana) dà i suoi “fiori” in termini di produzione di poesia.
    Non so.
    @Sergio+ Maria Lucia:
    Sull’interpretazione del termine HYPOCRITE mi sa che ha ragione Sergio, ancora una volta. Non ho mai capito, infatti, se il poeta ce l’avesse un pò con i suoi lettori oppure no. Forse ha ragione anche Vito Ferro, quando parla del Baudelaire “bilioso e sdegnoso”.
    In ogni caso questo é indubbiamente una poeta la cui “maledizione” ricade su chi lo legge( dico “maledizione” nel senso di “POèTE MAUDIT”= “poeta maledetto”- li chiamavano così lui+ Gérard de Nerval+Verlaine e anche Rimbaud+ naturalmente François Villon, il poeta più “maledetto” del XV° secolo).
    Aspetto con ansia Vostre repliche, cari.

  191. Roberta, Salvuzzo, Lorenzo e Renzo,
    vi scrivo dalla mia umida e graveolenta cella solo in grazia di un permesso speciale datomi dal secondino di Cecco Beppe – Imperatore d’Austria, Veneto, Slovenia, Ungheria e Cusano Milanino.
    Non sapete quanto mi conforti il vostro gentil rappellare alla mia mente la cara figura del mio vicino della cella accanto, Silvio Ber… ehm Pelliico, Silvio Pellico dicevo!
    In questo momento lo odo lamentarsi con pacata benevolenza e strenua moralita’ delle nostre condizioni di patriotti, sempre trovandone qualche pregio, nonostante il pane e acqua con il sole a scacchi di ambedue: ”Nella mia sventura” sussurra Silvio ‘’son pur fortunato, che mi abbiano dato una prigione a pian terreno, su questo cortile, ove a quattro passi da me viene quel caro fanciullo, con cui converso alla muta si’ dolcemente! Mirabile intelligenza umana!”
    Ovviamente il ”caro fanciullo” sarei io, che lo intrattengo con lazzi, frizzi e girignaccole verbali per portargli un po’ di sorriso sulle meste labbra.
    Dunque non penate per la mia reclusione, sorelle e fratelli Carbonari, ma elevate preghiere al pantheon italico acche’ il sottoscritto possa tornare, con novello vigor di membra e cor, agli assolati liti letteratitudiniani!

    Dal bagno penale
    Il vostro
    Sergio
    Postato Giovedì, 15 Gennaio 2009 alle 11:13 pm da Sergio Sozi

    @ Sergio
    ben ritornato, caro amico. Spero, che tu abbia concluso il programma di ristrutturazione delle schiere italiche, già da tempo operanti nell’illustre e magnanimo impero asburgico. Anch’esso si svezza del termine “romano”, di certo perché cosciente della propria inferiorità al confronto. Lo ignora però davanti ai carbonari italici per timore della loro giusta reazione.
    E così che, gli asburgici hanno inviato le loro donzelle a fare la pace con i vari signorotti sovrani di mezza Europa; brave e fertili com’erano si dettero anche da fare a tradire i loro maritini, scelti solo per motivi di politica estera oltre che pecuniari s’intende.
    Questo, fino a quando un altro signorino, artista di volontà ma non di merito, decise di espatriare in quella terra dei barbari germani, da sempre temuti anche dai romani, e di complottare a danno del popolo stesso ed infine del resto del mondo.
    Il fratello, per vergogna e convenienza, mutò il suo nome e mi sembra che visse sempre in pace con gli altri, ma non con la propria anima.
    Un altro signorino di nome Ben.. Muss…., dio lo benedica e se lo tenga nel suo impero, non fece altro che posarsi per la stampa a mo’ d’imperatore senza impero, impresa impossibile perché mai lo si vide in prima fila davanti al pericolo.
    E così la storia ci porta al giorno d’oggi, dove un altro, dal sorriso beffardo e giovanile, si posa anche lui come romano imperatore del casato dei burattini.
    Di burattini ce ne sono sempre tanti in politica, il problema non è tanto della scelta, essendolo tutti, ma dell’apparizione elegante e svelta nell’imbrogliare gli altri.
    Come tu sai, deve succedere senza che nessuno se ne accorga, nemmeno il sommo magistrato della sinistra, che in questo caso china il capo e fa il sorrisetto conciliante e imitante il suo datore di lavoro.
    Ben tornato, allora, speriamo di riuscire a rinnovare i loro sorrisi, che siano diretti agli occhi degli altri e non verso il cielo e raggiungano la loro anima rimasta sincera.
    Saluti.
    Lorenzo

  192. @ Maria Lucia Riccioli
    Cara Maria Lucia,
    ma mi chiedevo( così, con un pò di perplessità): ma non é che per caso( dico mi riferisco al libro sulla VITA di Charles Baudelaire) si mescolano i testi poetici della raccolta con l’esistenza umana dell’uomo Charles Baudelaire?
    Perché io non ricordo nei suoi testi( ma magari ricordo male)riferimenti a “prostitute, ubriachi, pervertiti”; né l’uso( nel linguaggio poetico, voglio dire) di “parole alte e basse”.
    Il linguaggio poetico é sempre altissimo (“parnassiano”).
    I riferimenti alle persone “reali” che soffrono( mi viene in mente LES AVEUGLES= ICIECHI) é sempre in funzione della “simbologia” dell’immagine ( il CIECO é il poeta-VATE di cui parla Sergio nel suo intervento sui poeti dall”AURA SACRA”), anche se é presente anche la “compassione” per i veri ciechi e per i poveri che popolano Parigi.
    Certe volte, come scriveva Marcel Proust in “CONTRO SAINTE-BEUVE”, é incauto confondere lo scrittore con la sua vita e lo stesso Proust scrive l’intero saggio per dimostrare quanto la critica di questo tipo possa “danneggiare” l’artista.
    Proust scrive che l’ “Io” che scrive é diverso dall'”Io” della persona. Spero di poter ritrovare il brano in cui lo scrive. Se lo trovo, lo riporto nel post sulla traduzione.
    Ti saluto affettuosamente.
    Se mi sono sbagliata per il ricordo dei testi, mi fa piacere se me lo scrivi.

  193. Caro Gatto,
    grazie a te; ognuno dalla sua parte del ”fronte”, bene, purche’ si oltrepassi l’homo brutus: fantasia, dunque, almeno almeno! Ma dove sarebbe, oggi, la fantasia, l’immaginazione? La storia mi da’ ragione. Purtroppo. Niente trascendenza significa niente poesia. Solo prosa fintamente poetica e pure ritmicamente brutta. Chi non abbia mostivi extraterreni, extrasecolari per scrivere, infatti, scriverebbe male pure dell’unica sensazione terrena che abbia una validita’ per tutti gli uomini: l’amore. L’amore dei materialisti e degli storicisti, e dei postmoderni e’ un amore cosi’ banale che basta un distico di Catullo a far fuori tutti i loro procedurali sproloqui senza rima e tecnica. Odi et amo. E l’Italia degli ultimi trent’anni e’ una nullita’. Montale non ne fa parte, pero’. No. E’ un Classico sotto mentite spoglie, mica un moderno reale. Lo leggo cosi’.
    Ciao, caro
    Sozi

  194. Sempre per Marco Gatto,
    un’ultima affermazione: alla luce di quanto dici, dunque, ne deduco che bisogna smetterla di piangere l’isolamento dei poeti di oggi. Il perche’ lo dici tu:
    ”La modernità ha segnato la scissione del poeta dal suo interlocutore. E’ stata una frattura necessaria, a cui si poteva rimediare, un tempo. Con l’esplosione di un tipo di modernità diversa, andata a male, non c’è più spazio per il poeta. Recuperare un’aura sacrale, dunque, mi sembra un passo da gambero, ma soprattutto un’illusione. Sono per accettare il tempo in cui viviamo, senza nostalgie.”
    Di nuovo ciao

  195. Marilu’ Ricci,
    siamo d’accordo. O meglio: la Bibbia dice tutto meglio di me e di noi tutti. Come sempre da quando Dio ce la concesse – e cio’ non toglie, anzi incrementa, le possibilita’ artistiche di noi ometti. Ometti ma, se ”biblici” anche forti e speranzosi, gioiosi, amanti del mondo e delle persone.
    Abbracci
    Sergio

  196. Cristina Bove,
    ”Piuma e granito…” Bella. Complimenti. Mi sembra tu stia cambiando stile, o mi sbaglio?
    Ciao, cara
    Sozi

  197. Marilu’ Riccioli e Roberta,
    sulla questione ”ipocrita- baudelerian” vorrei tornarci su con calma, scusatemi.

  198. @ Maria Lucia
    Ecco il brano di Proust( ne riporto solamente due righe, benché le pagine dedicate al tema siano 307):
    “(…) UN LIBRO E’ IL PRODOTTO DI UN ALTRO “io” RISPETTO A QUELLO CHE NOI MANIFESTIAMO NELLE NOSTRE ABITUDINI, NELLA SOCIETA’, NEI NOSTRI VIZI” – da M.Proust:”Contre Sainte-Beuve-(1908)

  199. @ Sergio
    Sì, sì.
    Tanto io mi sto occupando di un’altra questione: la differenza tra la vita dell’artista e la sua opera. Ho preso in mano il testo proustiano, però Maria Lucia non c’é, quindi non può ribattere, ora.
    Mi dirà in seguito, se vorrà.

  200. @Massimo
    Massimo caro,
    oggi mi sono anche anche “stancata” di me stessa, per aver scritto troppo qui. Bisognerà che “abbandoni” un pò il campo..
    E il giovane scrittore da te presentato ha dialogato con i suoi ipotetici lettori( molti lo leggono già)e questo mi sembra molto carino, anche da parte sua( oltre che da parte tua).
    Ciao, ti mando un affettuoso buonanotte:)

  201. Ringrazio Sergio Sozi per l’apprezzamento mostrato per le mie poesie.
    Mi piacerebbe avere qualche altro riscontro, anche negativo…
    Un grazie a chi vorrà soffermarsi a leggere le poesie inserite nel post “POESIA”.
    Domenico

  202. @Maria Lucia
    Cara, vedo che non ci sei.
    Anch’io devo scappare, ma prima inserisco un altro “dubbio” che mi é venuto stamattina sul nostro Charles e a proposito di quello che ho scritto anch’io per risponderti.
    Magari mi sbaglio ANCHE sulla vita del poeta( ne saprai più di me perché non so quasi nulla). Il suo “dandismo”, infatti, non era anche riferito al suo stile di vita?
    Cioé: nemmeno frequentava “prostitute, ubriachi e pervertiti”.
    Si sa che aveva una relazione con una donna straniera( vedi testi “censurati”) e che faceva uso di oppiacei che lo conducevano ai “paradisi artificiali”. Ma sulle sue frequentazioni, non so nulla. Di certo sua madre e il suo patrigno non le approvavano, visto che gli avevano bloccato l’eredità lasciatagli da suo padre.
    Ciao. Buona domenica. Scrivi presto:)

  203. @gianni parlato
    grazie di cuore per il tuo commento,sono felice che tu abbia colto il messaggio della mia poesia.

    buona domenica a tutti,e che sia un giorno in cui ognuno di noi possa trovare un momento di poesia.
    abbracci

  204. Ciao Roberta…
    Mi collego solo adesso. Proprio oggi ho finito di leggere il saggio di Montesano.
    Certo, l’autore legge le poesie di Baudelaire alla luce della sua vita e degli avvenimenti che lo resero sdegnoso, bilioso, sicuramente infelice.
    Ehi, quello che scrivo lo deduco dal libro, non è detto che sia così. Anche io credo che non si possa identificare totalmente l’opera d’arte con l’autore…
    Le frequentazioni di CB erano veramente eterodosse: oltre Jeanne, cui pensò fino alla morte facendo testamento in favore di questa donna ormai malata che era stata il suo unico riposo, B. frequentava delle filles… e lo riporta anche nei suoi diari. Amava immergersi, anche per andare controcorrente o per poter essere veramente poeta, cioè per far parlare tutti attraverso la sua voce, nel fango e nella miseria.
    Sulla forma, Montesano scrive le parole di B. sono come le bende che avvolgono le mummie egizie: preziose, intrise di aromi… parnassiane sicuramente. Ma per esprimere concetti nuovi, sentimenti sicuramente ottocenteschi.
    Ti ho aiutata?
    🙂

  205. Cara Maria Lucia,
    sì, certo. Ti ringrazio.
    Insegno francese da più di dieci anni. Ho anch’io le “Lettere sulla solitudine” di C.B.+ le sue traduzioni dei testi di Edgar Poe. Ho letto solamente alcune lettere indirizzate a sua madre. Le leggerò. Comunque mi attengo ai suoi testi poetici che leggo e ri-leggo da anni. Ho anche riportato( nel post sulla traduzione) il pensiero estetico di Marcel Proust a proposito di un certo tipo di critica letteraria “vampiresca” ( perniciosamente diffusa già nell’ Ottocento) che “interpreta” le opere degli artisti frugando nella loro vita. Naturalmente io leggo tutto in chiave proustiana.
    Trovo perniciose queste interpretazioni, perché allontanano( chi le segue, ovviamente) dall’opera dei veri grandi artisti.
    Sono, infatti, stata abituata dai miei prof a mai esordire, parlando di Leopardi, con l’infelice frase :”Era gobbo”. Che frase indegna, riferita a un poeta così grande, non trovi?
    Non é diverso dal ricercare le frequentazioni quotidiane del Nostro.
    Carissimi saluti. 🙂

  206. Verissimo… ho scritto la mia tesi su Leopardi, che adoro, e non sopporto la critica “biografica”…
    Se ami Baudelaire ti consiglio proprio il saggio di Montesano. Se cerchi nell’archivio di “Letteratitudine” trovi il post che Massi ha dedicato al libro.

  207. LA VITA È UN CLOWN
    di Valerio Giordano

    La vita è un clown,
    di quelli tradizionali con il naso rosso e il cerone bianco.
    A volte è divertente, la vita.
    Ridi di spensieratezza e gongoli di allegria,
    mentre il pubblico mangia pop corn
    nell’arena di un circo secondario.
    Grottesca è la vita,
    con le sue clave di gomma
    e i sandali enormi con le punte arrotolate.
    Amara è la vita,
    quando si toglie il cerone
    e ripone il naso rosso nel cassetto
    e si guarda allo specchio.
    Oh, nuda è la vita senza cerone bianco;
    come un vecchio clown
    a fine carriera
    che si regge sulla clava di gomma
    e sospira,
    salutando i ricordi.
    È dura la vita
    quando anche l’ultima risata si è compiuta.

  208. TUTTO PASSA
    di Valerio Giordano

    Tutto passa
    come il fragile volo di una notte rubata
    che si perde tra i vanti di ricordi lontani
    come pioggia scrosciante sopra lacrime bianche
    che si asciugano al tedio di una vita mancata
    come vento furioso su di un esile corpo
    che non riesce a piegarne lo spirito fiero
    tra le risa paonazze di una burla riuscita
    inventata all’impronta da un valente giullare
    sulle sordide gesta di maiali sguazzanti
    che rimestano all’ombra scommesse truccate
    tutto passa
    come futili note di danze gitane
    tutto passa
    e non so che rimane.

  209. CHI SONO IO?
    di Valerio Giordano

    A volte te lo chiedi.
    A volte ti guardi allo specchio
    e non ti riconosci.
    Osservi un volto,
    ma ti pare il volto di tutti
    e il volto di nessuno.
    L’espressione è vacua,
    frutto di un’insicurezza latente,
    vittima del tarlo che ti divora dentro.
    Poi comprendi.
    Capisci che non è il tuo volto che stai osservando.
    È il volto del mondo,
    della società in cui vivi.
    Una società a un passo dal deragliare,
    insicura,
    stracolma di grandi dubbi
    e piccole certezze.
    Una società che genera identità distorte,
    che si contraddice,
    che si guarda indietro
    e si domanda perché
    non riesce più a guardare avanti.
    È una società che si guarda allo specchio
    e urla.
    È un urlo straziante,
    angoscioso,
    come l’urlo di Munch.
    Due occhi piccoli,
    vuoti,
    una bocca aperta,
    le mani sulla testa.
    Può essere l’urlo della rassegnazione
    o l’urlo della svolta.
    Ciò che conta è chiederselo
    chi sono io?
    Perché non c’è risposta
    senza domanda.

  210. Ringrazio Lara Giordano, figlia di Valerio, per avermi inviato le suddette poesie(?).
    Poesie… non esageriamo. Diciamo… componimenti (che la figlia Lara non se ne abbia a male).
    Del resto Valerio Giordano era solito andare dal tipografo vicino casa e farsi stampare un po’ di copie di volumetti che distribuiva tra amici e parenti.
    A proposito…
    Cos’è che, secondo voi, distingue una poesia da un semplice componimento?

  211. Con la suddetta domanda vi auguro buonanotte e buon inizio settimana
    (non prima di avervi rivelato – ma molti di voi lo sanno già – che Valerio Giordano è un personaggio letterario di un anonimo romanzetto… così come la figlia Lara).
    Buonanotte.
    E buon inizio settimana.

  212. Maugger… eh eh eh… io quell’ ”anonimo romanzetto” lo avrei letto, dunque… e qui mi fermo. Qualcuno mi ringraziera’ per non aver spinto oltre, adesso, la penna.

  213. Rispondo alla domanda del Maugger:
    il ”componimento” e’ un’esercitazione letteraria scolastica. La poesia, dunque, va fuori da questo e riporta dei versi di persona matura che abbia gia’ raggiunto la pienezza degli studi e sappia quel che dire con una propria… autonomia artistica.
    Insomma un conto e’ esercitarsi alle arti poetiche e un conto fare poesia da poeta vero e proprio.
    Oggi compongono in tanti e poeteggiano in pochi: tutti studiosi di Letteratura, dunque, vero?

  214. @Massimo:
    La poesia è una particolare forma d’arte atta a trasmettere, più ancora che il significato semantico delle parole, la tonalità e il ritmo che queste conferiscono ai versi. Quindi deve essere presente un’armonia quasi musicale, grazie alla quale il testo poetico è in grado di trasmettere emozioni in misura più incisiva e immediata della narrativa.
    Il componimento è un mero esercizio letterario dove si privilegia lo svolgimento di un tema in modo linguisticamente corretto, ma avulso dalle peculiarità della poesia che richiede capacità creativa e di analisi assai superiori, nonché il ricorso a una qualsiasi forma metrica che consenta di tradurre armonicamente le sensazioni dell’artista elaborate in un confronto logico e razionale fra la realtà del mondo esterno e le peculiarità del proprio io.

  215. Come al solito mi rallegro di esser in sintonia col bravo Renzo Montagnoli – il quale ha precisato ancor meglio quel che mi pare essere una idonea definizione di tali differenze e peculiarita’.

  216. Sono tornata a leggere ancora interessanti commenti.
    Vedo che la poesia comunque fa parlare, dissentire, magari, ma esiste ed è vitale.
    A Sergio Sozi, grazie di aver notato.
    Renzo ha ragione, come qualsiasi forma d’arte, anche la poesia deve trasmettere emozioni, altrimenti non lo è.
    Massimo, sono davvero contenta che tu abbia mantenuto la promessa di dedicare un post ai poeti .
    Ti è costato , eh, linkarli tutti!…
    Grazie di cuore, e cari saluti a tutti.

  217. Una risposta a Maugger, da uno che non è poeta ma di poesia ne ha letta tanta (e, per inciso, la pensa come Sozi): se avete dubbi su un componimento, se sia poetico o no, secondo me si può facilmente verificare: qualunque sia la metrica, o la lunghezza del verso, o la rima eventuale, provate a leggerlo come fosse prosa, senza cesure. Questo è un primo test. Questo è il caso di quella di Giordano intitolata “Chi sono io?” Niente più di una prosa fratta. Anche perché non contiene una scelta di vocaboli, che devono toccarci, avere un suono che, con altri precedenti e seguenti, creino una musicalità. “La vita è un clown” poi sembra il testo di una canzone di Aznavour. Attenzione anche ai versi troppo lunghi: è facile che scadano in prosa; bravi pertanto coloro che riescono a tenerli in alto, come onde crestate.

  218. @ Gianmario
    Sono d’accordo con te. Quelli di Valerio Giordano sono più componimenti che poesie (non se ne abbia a male la figlia Lara). Del resto Giordano non ha mai pubblicato con un editore… si rivolgeva al tipografo di fiducia per farsi stampare qualche copia che poi regalava. E il “Chi sono io”, che – in effetti – è un pezzo in prosa, fu ritrovato da Lara tra le carte del padre.
    Giordano scriveva quei componimenti per compensare le sue frustrazioni. Era questo il “movente” che lo portava a scrivere.
    Domanda: fino a che punto è necessario avere un “movente” per scrivere poesie?
    E secondo voi chi è più poeta… colui che è dotato di grandi mezzi tecnici senza avere un “movente” che lo porta a scrivere versi, oppure colui che ha un “movente” forte ma è dotato di scarsi mezzi tecnici?

  219. @ Valerio Giordano:

    “……Voi domandate se i vostri versi siano buoni. Lo domandate a me. L’avete prima doman­dato ad altri. Li spedite a riviste. Li parago­nate con altre poesie e v’inquietate se talune redazioni rifiutano i vostri tentativi. Ora (poi­ché voi m’avete permesso di consigliarvi) vi prego di abbandonare tutto questo. Voi guar­date fuori, verso l’esterno e questo sopratutto voi non dovreste ora fare. Nessuno vi può consigliare e aiutare, nessuno. C’è una sola via. Penetrate in voi stesso. Ricercate la ra­gione che vi chiama a scrivere; esaminate s’essa estenda le sue radici nel più profondo luo­go del vostro cuore, confessatevi se sareste co­stretto a morire, quando vi si negasse di scri­vere. Questo anzitutto: domandatevi nell’ora più silenziosa della vostra notte: devo io scri­vere? Scavate dentro voi stesso per una pro­fonda risposta. E se questa dovesse suonare consenso, se v’è concesso affrontare questa gra­ve domanda con un forte e semplice « deb­bo », allora edificate la vostra vita secondo questa necessità….”
    Rainer Maria Rilke. “lettere a un giovane poeta”.
    @ Valerio Giordano.
    Per me sei un poeta
    Simo

  220. Cristina Bove,
    pas de quoi, io noto quel che voglio e soprattutto sento – d’un sentire tecnico e pertanto riguardante lo stile dunque l’individualita’ e maturita’ dell’autore.
    Saluti cari

  221. Le poesie di Valerio Giordano mi hanno emozionata moltissimo (che la figlia Lara ne possa essere orgogliosa).

  222. @massimo
    secondo me i mezzi tecnici si possono acquisire affinando gli strumenti della scrittura poetica e non, leggendo molto e studiando, ma non tutti quelli che sono in possesso di tali strumenti possono essere chiamati poeti. Il talento non si compra,la voglia di esprimere in poesia è una voce che ti conduce al verso e non viceversa,perciò valerio giordano può continuare tranquillamente a poetare.
    cari saluti

  223. Le poesie di Valerio Giordano mi hanno fanno riflettere e mi sono entrate nell’anima,a differenza di altre che mi sono parse fredde e rivestite di vano tecnicismo.le trovo belle e pregne di significato. Le sento in qualche modo concatenate.sono d’accordo con Simona,Martina e Francesca Giulia.

  224. @ Francesca Giulia
    Cara Francesca Giulia,
    ho letto i tuoi interventi( anche quello sugli stormi di uccelli a Napoli- ti scrivo nella “camera accanto”). Mi fa molto piacere leggerli.
    Sull’essere poeti, io credo proprio che sia indispensabile studiare e leggere molta poesia, prima di accingersi a diventare poeti.
    Mi sa che in questo blog c’é una “branca” di “seguaci della tradizione” e un’altra branca di “moderni- avanguardisti”.
    Io parteggio di sicuro per la prima( pur simpatizzando affettuosamente anche per la seconda)..
    Torniamo alla celebre “QUERELLE” degli accademici del XVII°: “La querelle des anciens et des modernes”.
    Ricordate anche quelle belle “gare” di poesia che facevano Dante e altri poeti? Le rime “pietrose” ecc..
    E anche tutta la produzione poetica dei poeti della “Pléiade” é nata come “torneo poetico” contro il petrarchismo. Uso il termine “contro”, ma si trattava di tentativi di emulazione perché i poeti della “costellazione” francese ( Ronsard et Du Bellay) adoravano l’Italia e il Petrarca. Ma volevano “superarlo” in grandezza e fama.
    Risultato: produzioni poetiche da “sveno”.

  225. @roberta
    anche a me fa molto piacere leggere i tuoi interventi sempre ricchi di spunti interessanti,sono d’accordo sulla necessità della preparazione del poeta,ma il soffio vitale che mette nei versi è qualcosa che non si insegna. A tal proposito come definiresti la differenza che passa fra un critico e un creativo, avendo studiato entrambi ma con effetti diversi?non so sia stata infelice nella esposizione del quesito…
    un abbraccio

  226. @ Simona
    come hai ragione. Che cos’è tutto questo esibirsi verso l’esterno che caratterizza la mondanità odierna?
    Io non sono poeta e neanche scrittore, eppure mi diletta comporre dei versi e scrivere dei saggi, quando il tema me lo urge o quando mi sento in un contatto profondo con una persona, da poterglielo comunicare.
    L’unione di due anime le fa parlare e sentire vicine come fossero presenti.
    Capita anche a me di alzarmi di notte e di scrivere ciò che la mia mente, guidata dal mio cuore, mi ha suggerito e non mi ha lasciato dormire.
    Questa è per me poesia e prosa, diciamo pure soggettiva –individuale, cosa importa, è sentita e mi aiuta a scoprirmi e a comunicare con persone che mi comprendono.
    Cari saluti.
    Lorenzo

  227. Mah, questo Valerio Giordano meriterebbe secondo me una riscoperta… che ne dici Massi… un post?
    🙂
    Questo poeta ha un’identità diciamo così distorta… possiamo fare critica biografica, psicanalitica…
    Altro indizio: Martoglio.
    E ho detto tutto, come Peppino.

  228. @ Francesca Giulia+ a tutti
    hai esposto benissimo il quesito.
    Figurati, io non credo si possa essere poeti senza il talento.
    Il critico studia molto e legge le opere di coloro che hanno immaginazione e fa “un altro mestiere”, rispetto all’artista. Diciamo che dovrebbe “interpretare” per tutti le opere artistiche. Non saprei, mi sembra un bel mestiere, ma il mio prof di letteratura inglese e americana( che era un critico e si dilettava anche a scrivere “long-poems”) diceva sempre che i cririci letterari sono dei “vampiri”. ( quindi non sono tanto simpatici..).
    La prof di letteratura francese contemporanea aveva la pretesa di “spiegare” il significato di TUTTI i versi di ALCOOLS, la raccolta di Guillame Apollinaire. Eh, ma secondo me di alcuni si potrebbe sapere “cosa vogliono dire” solo facendo una “seduta spiritica” e rievocando lo spirito del poeta ( che ci riderebbe in faccia, per inciso).
    Poi ci sono scrittori, come Proust, che si occupano anche di estetica e altri, che scrivono i “MANIFESTI LETTERARI” per esporre le intenzioni estetiche, appunto.
    Comunque se manca l a “creatività”, come dici tu, non credo si possano scrivere componimenti. Ma la tecnica é necessaria, non c’é nulla da fare.
    Perché chi é abituato a leggere belle cose, fa necessariamente il confronto e si accorge. Mi pare sia così. Almeno, io penso così.
    Se le orecchie sono abituate a sentire buona musica o gli occhi abituati a vedere bei film, non possono tornare indietro. Non so come dire…se mi son spiegata.
    Ognuno però può apprezzare i componimenti che gli piacciono e se anche non piacciono ai critici, li scrive lo stesso. E molti li leggono e li apprezzano.
    Per gli artisti, in genere, però, la FAMA é un pò un’ossessione e la fama si raggiunge a un caro prezzo.
    Io ho letto tutte le poesie in questo post. A me alcune piacciono, ma non sono un critico letterario.
    Il problema, secondo me, é sempre il Trionfo sul Tempo e sulla Morte. E’ questo che sancisce la grandezza di un artista.
    E cito di nuovo Carmelo Bene(=ARTISTA) che dice stizzito a Raboni=(CRITICO- che gli ha stroncato o criticato, non ricordo, una rappresentazione):
    “Cosa resterà di te, Raboni? Cosa restetrà?”
    Ciao, un abbraccio.

  229. N.B. Giovanni Raboni ha tradotto, non ricordo per quale casa editrice, “ALLA RICERCA DEL TEMPO PERDUTO” di Marcel Proust ( sette volumi, si sa).
    Credo si tratti di una traduzione memorabile, a quanto mi hanno riferito( un mio amico “esperto” dell’opera proustiana).
    Avrà sicuramente scritto molte altre cose. Non sarà dimenticato.

  230. @Simo, Martina, Angela, Mari, ecc.
    Lara Giordano vi ringrazia moltissimo. E Valerio Giordano vi scruta con riconoscenza dal paradiso dei personaggi letterari. Sa di non essere stato un poeta, ma è contento di aver potuto dare spazio alla sensibilità del suo animo.

  231. Roberta,
    eh si’: il petrarchismo ha dato uno stimolo enorme alla poesia europea. E Francesco pero’ resta Francesco. Lui italiano lo era veramente, non tentava alcun superamento… di se stesso ovviamente. Solo gli italiani di oggi lo ignorano ancora, dopotutto, dopo aver cercato di soffocarne l’immensita’ per secoli. Gli altri no: lo avevano capito di piu’ loro, gli stranieri, in realta’. Nemo propheta…

  232. Conosco Birgitta Trotzig grazie al bel libro appena uscito da Mondadori, “Nel fiume di luce” a cura di Daniela Marcheschi. E’ notevole, atmosfere intense, visioni e terra. Da leggere assolutamente.

  233. Questo mio libro (Cinquanta sonetti) uscito nel 2007 è stato accolto con favore sia dai lettori che da alcuni critici che si sono espressi in modo entusiastico.

    Ho cominciato a scrivere sonetti quasi per caso, per partecipare ad un premio letterario, poi ci ho preso gusto. Non ho lavorato in modo sostanzialmente diverso dalle raccolte precedenti in cui usavo la metrica libera, ma ho cercato di seguire le regole del sonetto classico senza concedermi libertà “creative”. Se scrivi un sonetto- mi sono detto- rispetta le regole canoniche: rime, endecasillabi, strofe ecc, però non mi sono allontanato mai dal mio desiderio di esprimere stati d’animo, emozioni, idee con il linguaggio della poesia, come avevo fatto in precedenza con la metrica libera. Insomma non mi sono preoccupato troppo del mezzo che usavo, ho cercato di non sacrificare la mia libertà inventiva alle regole ferree della forma Sonetto.

    Mi sono anche divertito a scriverli, almeno fino a un certo punto perché in certi momenti ho dovuto faticare per eseguire il sonetto in maniera impeccabile.

    Qui di seguito riporto l’ottima scheda editoriale che accompagna il libro pubblicato dalle Edizioni del Leone.

    “ C’è stato un ritorno, in questi anni, alla poesia della forma chiusa e della conseguente cadenza musicale esemplarmente inseguita secondo le regole della sua metrica. Leandro Piantini lavora con grande bravura sul retaggio formale della grande tradizione lirica italiana, ma in una chiave poi del tutto personale e inconfondibile,

    Il sonetto, si sa, è un componimento formato da 14 endecasillabi, distribuiti in due quartine e due terzine, le une e le altre legate tra loro dalla rima. Dentro questa tramatura precostituita la poesia di Piantini si consegna al rigore delle superfici perfette e lucide, affidando la sua cantabilità a una trasposizione musicalmente dirottata e come bloccata sotto vetro.

    I personali itinerari e labirinti mentali sono pieni, nello stesso tempo, dei ragguagli minimi di una realtà quotidiana di contatti e di rapporti e dei riferimenti privilegiati agli autori canonici e ai loro testi. E’ in questo intreccio di dati della realtà e della letteratura che si configura l’aspetto più originale della poesia di Piantini, in una sorta di spartito continuamente tenuto in bilico tra due versanti pensati e vissuti in una fusione, insieme, di constazione e di sorpresa, di illuninazione e di considerazione riflessiva, di esperienza emozionale (ed emozionante) nel coinvolgimento e di messa a fuoco nel distacco.”

    Leandro Piantini

  234. ”Non ho lavorato in modo sostanzialmente diverso dalle raccolte precedenti in cui usavo la metrica libera, ma ho cercato di seguire le regole del sonetto classico senza concedermi libertà “creative”. Se scrivi un sonetto- mi sono detto- rispetta le regole canoniche: rime, endecasillabi, strofe ecc, però non mi sono allontanato mai dal mio desiderio di esprimere stati d’animo, emozioni, idee con il linguaggio della poesia, come avevo fatto in precedenza con la metrica libera. Insomma non mi sono preoccupato troppo del mezzo che usavo, ho cercato di non sacrificare la mia libertà inventiva alle regole ferree della forma Sonetto.”
    Parole sante, Piantini!

  235. Forse approfitto della vostra pazienza, ma è un’occasione, questa, che non vorrei perdermi, e avere il parere di esperti ed estimatori non è dato sempre.
    Ecco allora un divertissement in rime:

    .
    CHE NON SE NE ACCORGA DANTE

    Tanto gentili e tanto intelligenti
    uomini e donne di cotesto sito
    nonché di core ed anime frementi

    al massimo che quivi l’erudito
    suo disquisire pose a tale effetto
    ben lungi dal proporsi in alto mito

    ludico fece il dire e ancor l’aspetto.
    Valse per chi percorra questa strada
    alato cor da spirito sorretto

    accolto quivi nella mia contrada
    chi del femmineo fianco ha condiviso
    puranco il ruinar per ciò che aggrada

    sempre mostrando ancor lo suo sorriso
    ei sempre giusto dimostrò sapienza
    a disquisir con amichevol viso

    vuolsi così colà dove sentenza
    al viaggiator la sosta n’abbia arriso
    per anelar virtute e conoscenza.

    .
    .
    E una delle altre in verso libero:
    .

    DI CHE NON SO
    .

    Il tempo che bracca i pensieri sui versanti
    di una malinconia senza nome. Le perdite a gocce
    dei giorni, delle ore fanciulle, dei luoghi
    convessi nei flauti di Pan
    gli angeli a passi vincenti sui démoni.
    I fiori mietuti col grano
    Le mani che aspirano cisti dai corpi
    che tentano inutili arresti
    emorragie di numeri primi ed ultimi
    il cuore lasciato in attesa
    e maggio mai arriva
    piuttosto l’inverno segaligno affonda
    zanne, il viso ha sfumature blande
    prossime al viola cupo
    .
    il turchese ha lasciato gli spazi coperti
    a fronte dei dirupi, il falco vola
    sfiorando fili messi a pentagramma e de profundis
    clamavi ad te domine
    abbi pietà dei grumi che le note vestono
    e che altri deridono
    figli di un dio maggiore.
    .
    Gli occhi perduti a reggere aquiloni
    e smalti di sorrisi
    a me lascia che il giorno sia canzone dei
    rami curvi, degli sguardi semplici
    dei miei respiri fanne una corona da pagarci
    le notti, le veglie che mi parlino
    in termini accessibili.

    .
    .
    Grazie a tutti, e a Massimo in particolare.

  236. @ Sergio: e se da consonanti passassimo… a vocali?! (Invito per una cantata/schitarrata in comune, con Massimo che non mancherà di farci sentire gli altri componimenti di Giordano musicati opportunamente).

  237. Gianmario caro,
    ah! ah! ah! Posso chiamarlo calambour, questo delle consonanti vocalizzate?
    Perche’ no… prima o poi dovro’ vederne in faccia qualcuno, di ”letteratitudiniano con la chitarra in mano”.

  238. Cristina Bove,
    sei spiritosissima e ti preferisco cosi’, sai? Strada giusta da percorrere, cara!
    Ciao
    Sergio

  239. Ho letto con gran piacere le poesie di Cristina Bove e Valerio Giordano.
    Ogni poesia è esposizione dell’animo che cerca di trovare la via alla fine della quale sentirsi a casa. E lo fa con sincerità e prudenza davanti alla alle proprie incertezze e misteri che incontra. La volontà di riuscirci lo muove e mantiene sul percorso dove scoprire se stesso e dove già i primi annunci lo avvertono di essere sulla via giusta.

    La conquista dell’amore:

    Il tuo cuore mi suggeriva parole d’amore
    Durante le piccole ore della notte
    Di un’estate calda e suggestiva.
    Il tuo cuore palpitava al pensiero che
    Anche il mio desiderava e voleva te
    Perché bella romantica e piena di passione.

    Le stelle su nel cielo invidiavano
    Ciò che accadeva laggiù in una stanza
    Soffocata dal calore della passione.
    Guardavano e facevano da corona all’atto d’amore
    Di due anime che ringraziavano la loro sorte
    E lodavano la forza dei loro animi
    A tentare la propria fortuna e felicità
    In un mondo incerto e tenebroso.

    Pochi sono i momenti felici se non si tenta la sorte
    Se si diffida delle proprie capacità di trovarla e possederla.
    La vita è una conquista che solo agli audaci e forti
    Apre le sue porte, magiche, perché tali sono gli effetti
    Che rilascia in cambio dei rischi assunti e superati.

    Cosa sarebbe la vita senza l’amore.
    Un vagare nell’oscurità senza la possibilità
    Di raggiungere la luce della speranza.
    Un attendere invano che il cuore trovi il calore
    Che lo nutri e lo inviti a tentare le emozioni
    Nell’unione con un altro cuore
    Dal quale possa sorgere una nuova vita
    Che rallegri e conforti nel non essere più soli.

    Insieme si affronta il destino comune
    E si nutre la speranza di riuscirci.
    Nella gioia e nel dolore siamo più forti e sicuri
    Di trovare la via che congiunge l’inizio con la sua fine
    Che fine non è, ma un ricominciare una vita migliore.

    Russo Lorenzo Gänserndorf, 04.12.05

  240. @ Cristina Bove
    grazie Cristina. Poesia è vibrazione dell’animo. non cede mai fino a quando non si sia scaricata. Come un fulmine, una saetta deve trovare un luogo, un punto dove consumarsi per poi rinascere sempre di nuovo.
    Una volta colpiti da lei, ci assale il gusto di riprovarla, ritentarla, perché è come trovarsi tra il cielo e la terra, tra la fantasia e la realtà, in uno stato di transizione dove i due poli si alimentano a vicenda per tentare l’unione, a volte possibile, ma poi di nuovo sfuggevole.
    Saluti.
    Lorenzo

  241. sono rimasta davvero troppo lontana e era risalire il fiume di tutti i post è un’impresa. Anche se in ritardo(furto di computer in autogrill, ricostruzione di tutti i dati!!!!) ti ringrazio maurizio per l’opportunità che offri di poter parlare del peso della colpa, a volte colpa solo pin quanto attribuita dalgi altri e dell’amarezza pesante nelle parole che la raccontano. Allego la prefazione di Claudio Groff al libro di Grass.

    Prefazione Grass

    E’ possibile discutere per dieci, quindici, venti minuti su come rendere in italiano “Not”, una parolina di sole tre lettere? Certo che è possibile, soprattutto quando, tra le quasi sterminate accezioni del termine (bisogno, necessità, emergenza, pericolo, difficoltà, disagio, penuria, mancanza, indigenza, pena, affanno…), si deve decidere quale inserire non nella trama di una narrazione in prosa, bensì nel contesto, molto più sfumato e ambiguo, di un breve componimento poetico, dove ogni parola ha un peso che in qualche modo la trascende e al tempo stesso la vincola ancor più al vissuto dell’autore dando voce a una situazione psicologica ed esistenziale che deve riflettersi il più puntualmente possibile nella lingua d’arrivo. Si può e si deve discutere, quindi: solo che, mentre di solito la discussione si svolge e si consuma – in maniera vagamente schizoide – all’interno di uno stesso cervello, spesso affiorando alle labbra in un monologo altrettanto insano, nel caso di questo libro sei persone sedute attorno a un tavolo hanno parlato tra loro, ognuna portando il contributo della propria esperienza: da quella più lunga del sottoscritto – per ragioni se non altro anagrafiche e per l’ormai annosa frequentazione delle opere di Grass – a quella delle giovani traduttrici, meno rodata ma più fresca, più aperta e più consapevole delle potenzialità di nuovi strumenti di consultazione. Ciascuno ha messo in gioco le proprie simpatie e idiosincrasie linguistiche, i propri idioletti, scambiando idee e opinioni, consultando dizionari e enciclopedie, cercando soluzioni, avanzando proposte e trovando compromessi, mettendo insomma in atto, ma stavolta sinergicamente, tutte le strategie ben note a chi, per dirla con Benjamin, si trova di fronte alla foresta del linguaggio e “senza porvi piede, vi fa entrare l’originale, e solo nel punto in cui l’eco della propria lingua può rispondere all’opera della lingua straniera”. Traducendo in soldoni l’affascinante ma come sempre abbastanza inafferrabile proposizione benjaminiana, qui si è cercato di far riecheggiare in un codice diverso le modulazioni ora risentite, ora sarcastiche, più spesso malinconiche, di una lingua che attingendo a un immenso patrimonio personale e a una illimitata creatività riverbera i riflessi di un evento spiacevole, che in qualche modo, assumendo dimensioni forse inaspettate, ha scalfito l’immagine di un uomo e di uno scrittore che fino a quel momento (agosto 2006) si era sempre trovato “dalla parte giusta” ed era considerato la coscienza critica della Germania.
    Questa raccolta nasce infatti come reazione-risposta agli attacchi, spesso molto violenti, che in Germania – ma anche in Italia e un po’ in tutta Europa – hanno accolto la confessione di Grass (contenuta nell’autobiografia “Sbucciando la cipolla” e anticipata dallo stesso Grass in un’intervista poco prima dell’uscita del libro) di aver fatto parte per poche settimane negli ultimi mesi di guerra, a 17 anni, di un’unità delle temute Waffen-SS, corpo elitario dell’esercito tedesco composto da fedelissimi di Hitler che nel corso del conflitto si macchierà di una serie di atrocità soprattutto ai danni della popolazione ebraica, tanto da essere bollato come “organizzazione criminale” dal tribunale di Norimberga. Un’ammissione che scatenerà una vera e propria tempesta di prese di posizione, commenti e giudizi sulla stampa tedesca e internazionale, in una gamma assai variegata di opinioni (si va, per esempio, dai toni assolutori di politici come Gregor Gysi e scrittori come John Irving alle dure parole del collega Peter Handke ): sostanzialmente a Grass si è rimproverato non tanto il fatto di essere entrato in quel corpo (aveva 17 anni, una gran voglia di avventura tipica dell’età, era imbevuto di propaganda del regime e per sua stessa ammissione non capiva niente di politica) quanto di averlo taciuto fino a quel momento e di aver rinfacciato ad altri, nel corso degli anni, una “colpa” di cui lui stesso si era macchiato.
    Questione spinosa, certo. Sulla quale ciascuno si è fatto un’opinione, ovviamente anche ciascuno di noi, del gruppo che ha lavorato alla traduzione di questo libro. Ma devo subito aggiungere che le perplessità eventualmente suscitate da questa pecca nella biografia di Grass sono passate in secondo piano di fronte all’operazione del tradurre (e del tradurre poesia): la sua risposta agli attacchi e alle critiche è tutta qui dentro, depurata dall’immediatezza delle polemiche e non a caso affidata da un lato alle variegate divagazioni del linguaggio poetico, dall’altro alla precisione del segno grafico (perché questo è un libro fatto anche di disegni): è una risposta a volte netta, più spesso nascosta in notazioni apparentemente marginali su piccoli eventi quotidiani o nelle immagini di una natura pacificata dove il frastuono dello scandalo si stempera nel silenzio dei boschi, nello sguardo tranquillo delle mucche e nel misterioso mutismo dei pesci. Insomma lo scrittore si difende con le sue armi, appunto la scrittura e la grafica (ricordiamo che Grass ha iniziato il suo percorso artistico come disegnatore e scultore): due moduli espressivi con i quali dispiega un ventaglio di sentimenti, sensazioni, ironie, allusioni, delusioni e (rare) consolazioni scaturite sì dalle polemiche dello “stupido agosto”, ma che poi trascendono ampiamente l’occasione fornita dall’episodio.
    E dunque a noi interessava anzitutto affrontare la trasposizione di questo mondo linguistico e psicologico, l’”hinüberretten”, il portare in salvo nelle vicinanze di quella “lingua della verità intensivamente nascosta nelle traduzioni” – per citare ancora Benjamin – la verità contenuta in questi versi (verità tanto più importante, visto il motivo da cui nascono): e non è stato facile muoversi su un terreno a volte ingannevolmente piano, spesso cosparso di trappole lessicali e ingombro di riferimenti storici e culturali più o meno mimetizzati, quando non interrotto dai vertiginosi precipizi di un abilissimo funambolismo verbale come nel caso della lunga poesia centrale – che ripropone le sconnessioni sintattiche e i capovolgimenti cronologici della prosa di Sterne – o dalle barriere pressoché insormontabili (e, come constaterà il lettore, insormontate, anche se una soluzione si è poi trovata) alzate dall’ultima della raccolta, con il suo pendant goethiano tutto imperniato su una rima improponibile nella nostra lingua (ma già il gioco di parole del titolo poteva essere considerato un assaggio delle difficoltà che si sarebbero presentate).
    Operazione riuscita? A me sembra di sì, sempre tenendo presente che abbiamo davanti una delle versioni possibili: forse più riuscita del solito proprio perché non una ma sei diverse impostazioni professionali hanno cercato di penetrare tutti i possibili recessi di una lingua di partenza filtrata attraverso cinquant’anni di “mestiere” per restituirla in italiano con l’apporto di sei diverse sensibilità. Al di là del risultato, comunque, è stato importante e nuovo (almeno per me) il lavoro in comune che a quel risultato ha portato: un’esperienza umana e letteraria estremamente gradevole, bella, per la quale ringrazio le mie “allieve” e colleghe. Un’esperienza da ripetere, se si presenterà l’occasione.
    Claudio Groff

  242. …se qualcuno desidera approfondire i temi trattati nelle poesie di Grass o le scelte traduttive sono volentieri a disposizione. Speriamo di avere presto anche Claudio Groff, che ora è a Lubecca con Grass per la traduzione del prossimo romanzo.

  243. È nata la poesia da toilette. L’ho scoperto dall’Ansa.

    (ANSA) – TOKYO, 27 GEN – Poesia dedicata ai rotoli di carta igienica per salvaguardare l’ambiente: serve per evitare lo spreco di carta nelle toilette pubbliche. L’eccentrica iniziativa e’ di un gruppo di ecologisti giapponesi. Per il centro di ricerca ‘Japan Toilet Labo’, una ‘poesia da bagno’ – come viene definita – ben posizionata all’altezza degli occhi di chi sta sulla tavoletta e’ in grado di diminuire fino a un massimo del 20% l’utilizzo di carta igienica per ogni ‘sessione’ privata.

    Commenti?

  244. AAAAAGGGHHHHH! Non ci posso credere.
    Ma i giapponesi hanno sempre avuto uno strano rapporto con la toilette ( vogliamo chiamarla finalmente gabinetto?).
    Mi pare di aver letto che sono terrorizzati dall’idea di essere visti o uditi mentre espletano le loro funzioni corporali, e che fanno scorrerre l’acqua a fiumi per coprire eventuali rumori.
    Forse le poesie fanno parte di questo problema, darsi un tono mentre….

    Poesie da gabinetto quindi.
    Per me è una buona notizia, magari ho trovato il posto dove pubblicare le mie….

  245. Inserisci pure le tue poesie, cara Claudia.
    A proposito… dal tuo punto di vista, com’è stata l’esperienza della traduzione a più mani delle liriche di Grass?

  246. …mi sto appassionando sempre di più a LETTERATITUDINE… complimenti a Maugeri….

    leggevo in un vecchio post che la poesia potrebbe essere la specialità dei perdenti… è una tesi… ci può stare… il concetto di perdente che riesce a riassumere in una sola immagine tutto quello che il vincente ha bisogno di palesare lo pone su una montagna ad esso irragiungibile.. gli sputi del poeta perdente sono i coriandoli che esplodono alla festa del vincente…

    non siamo così pazzi da pensare davvero questo?

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