Quando si parla di fiabe e favole è abbastanza diffusa la convinzione che esse siano rivolte in via esclusiva ai bambini e che, dunque, rientrino nel genere della letteratura dell’infanzia. Questa convinzione, naturalmente, ha un suo fondamento giacché fiabe e favole sono principalmente rivolte a un pubblico di giovanissimi, di bambini appunto. Del resto, proprio nei confronti dei più piccoli, la fiaba (così come la favola) svolge una importante funzione di intrattenimento e talvolta (più nella favola che nella fiaba) anche di formazione, laddove troviamo – come spesso accade – una morale. Tuttavia pensare che fiabe e favole siano un prodotto letterario rivolto esclusivamente all’infanzia è un errore. Così come sarebbe un errore pensare che fiabe e favole siano la stessa cosa. Nella lingua italiana le favole vengono distinte dalle fiabe (anche se entrambi i termini derivano dalla radice latina “fabula” – “racconto” – e i due generi hanno molti punti di contatto): la fiaba è caratterizzata dalla presenza di personaggi e ambienti fantastici; mentre la favola – di norma – è popolata da animali i cui vizi e virtù rappresentano quelli degli uomini.
Come ho già evidenziato, considerare fiabe e favole come prodotti letterari rivolti esclusivamente all’infanzia non è del tutto condivisibile. Di recente mi è capitato di ri-leggere testi di saggistica letteraria che, in un modo o nell’altro, confermano questa mia tesi. Mi viene in mente, per esempio, il saggio di Umberto Eco (costituito da una raccolta di interventi) intitolato “Sulla letteratura”. Nel primo capitolo (ovvero il testo di un intervento nel festival della letteratura di Mantova del 2000) Eco parla della letteratura e della trasmigrazione dei personaggi letterari. In questo contesto (accanto a titoli celeberrimi) Eco, a un certo punto, cita come esempio la nota fiaba “Cappuccetto rosso” analizzando in particolare le differenze tra la versione di Perrault e quella dei fratelli Grimm e il diverso destino del personaggio della fiaba.
E, naturalmente, non si può non citare il grande Italo Calvino che nel 1954 iniziò a svolgere, per la casa editrice Einaudi, un lavoro simile a quello intrapreso nel secolo precedente, in Germania, dai fratelli Grimm. Calvino scelse e trascrisse, in una raccolta intitolata appunto “Fiabe italiane”, ben 200 racconti popolari delle varie regioni italiane dalle raccolte folkloristiche ottocentesche. Peraltro, l’amore di Calvino per le fiabe è ravvisabile anche nel saggio “Lezioni americane – sei proposte per il prossimo millennio”. Troviamo riferimenti alle fiabe nelle prime due lezioni: quelle relative, rispettivamente alla “Leggerezza” (dove vengono citati i lavori dell’antropologo russo Propp e la nota raccolta di fiabe araba “Le mille e una notte”) e alla “Rapidità” (in riferimento a una delle caratteristiche della fiaba, ovvero alla rapidità intesa come essenzialità); in Sicilia chi racconta le fiabe usa una formula: “lu cuntu nun metti tempu”, “il racconto non mette tempo” quando vuole saltare dei passaggi o indicare un intervallo di mesi o anni; oppure “Cuntu ‘un porta tempu”, o ancora “’Ntra li cunti nun cc’è tempu”. (Pare che queste siano espressioni di Agatuzza Messia l’anziana donna analfabeta che dettò le fiabe popolari al palermitano Giuseppe Pitré, che le trascrisse). E comunque nella lezione dedicata alla “Rapidità” Calvino ribadisce che ad attrarlo verso la fiaba è stato un “interesse stilistico e strutturale per l’economia, il ritmo, la logica essenziale con cui sono raccontate.”
Naturalmente esistono altre motivazione che hanno spinto intellettuali e studiosi a considerare l’importanza di fiaba e favola. Intanto perché, proprio in riferimento alla sua oralità (“fabula” deriva dal verbo “fari = parlare”), si è ritenuto necessario (da parte dei cosiddetti trascrittori di fiabe) recuperare una tradizione che correva il rischio di andare perduta. Per esempio, i fratelli Grimm partono dall’idea che ogni popolo ha una sua anima che si esprime con la massima purezza nella lingua e nella poesia, nelle canzoni e nei racconti. Essi però sostengono che, con il trascorrere del tempo, i popoli hanno perduto in parte la propria lingua e la propria poesia, soprattutto nei ceti più elevati e può, quindi, essere ritrovata solamente negli strati sociali inferiori. In questa ottica, le fiabe sono i resti dell’antica cultura unitaria del popolo e costituiscono una fonte preziosa per la ricostruzione di quella cultura più antica.
Poi si sono avvicendate diverse teorie sulle fiabe. Secondo l’antropologo russo Vladimir Propp, per esempio, le fiabe popolari, soprattutto quelle di magia, sono il ricordo di una antica cerimonia chiamata “rito d’iniziazione” che veniva celebrata presso le comunità primitive. Durante questo rito veniva festeggiato in modo solenne il passaggio dei ragazzi dall’infanzia all’età adulta. Essi venivano sottoposti a numerose prove con le quali dovevano dimostrare di saper affrontare da soli le avversità dell’ambiente e di essere pertanto maturi per iniziare a far parte della comunità degli adulti.
Questa premessa è finalizzata a evidenziare l’importanza della fiaba e della favola e la loro valenza letteraria. Quando parliamo di fiabe e favole, dunque, parliamo di letteratura. E non di letteratura secondaria.
Ciò premesso, ne approfitto per presentare una favola appena arrivata in libreria per i tipi di Il pozzo di Giacobbe. Il titolo è “Lo sciopero dei pesci”. L’autore del testo è Salvo Zappulla. Le illustrazioni sono di Carla Manea.
Di seguito leggerete le recensioni di Roberta Murgia (che mi aiuterà ad animare e a coordinare il dibattito) e di Simona Lo Iacono. Infine, in fondo al post, troverete un bel pezzo di Pietro Citati (uscito giorni fa su Repubblica) dedicato ad Alice nel paese delle meraviglie e a Peter Pan (e poi un video “in tema”).
Come sempre, oltre a invitarvi a discutere sul libro presentato, propongo una discussione “generale” partendo da alcune domande:
– che rapporti avete con fiabe e favole?
– quali sono quelle che preferite? E perché?
– quali sono, a vostro avviso, le favole e le fiabe con il più alto valore formativo?
A voi…
Massimo Maugeri
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LO SCIOPERO DEI PESCI – Salvo Zappulla, Carla Manea – Il Pozzo di Giacobbe – pagg. 32 – € 11,90
recensione di Roberta Murgia
Questo pregiato volumetto dalla veste grafica elegantissima, con la copertina cartonata, edito da “Il pozzo di Giacobbe”, ha nei colori dominanti tutte le tonalità dell’azzurro, del blu e del verde. Le stesse tonalità di azzurro e di blu del mare in cui amiamo tuffarci. Ed è l’amore per questo mare limpido che ha spinto Salvo Zappulla a parlare ai piccini della salvaguardia dell’ambiente in cui viviamo, attraverso un racconto in cui i protagonisti sono il mare e i suoi abitanti. Non a caso essi “parlano” e possono finalmente esprimere il proprio disappunto: ecco… è il fascino surreale di questa favola che incanta i bambini, anche e soprattutto per i discorsi tenuti dai suoi stravaganti protagonisti.
L’espressione visiva e l’espressione verbale di ciascun personaggio della fiaba sono in perfetta armonia. La prima apparizione, infatti, è quella di un essere umano: una madre, la quale con indifferenza e con lo sguardo di chi poco si preoccupa delle conseguenze delle proprie parole, suggerisce al suo piccolino di allontanarsi da lei e dalla spiaggia ed immergersi nel mare, se vuol fare pipì. Il mare, sullo sfondo e in lontananza, con uno svolazzante ciuffo azzurro spinto dal vento, già manifesta la sua disapprovazione. Fatto sta che all’udire quelle parole si “risente” e decide che ogni mancanza di rispetto nei suoi confronti è diventata “insopportabile”. In questa prima parte della favola l’autore spinge sapientemente i giovani lettori ad immedesimarsi con i pensieri e i sentimenti del mare e quindi a “parteggiare” per lui, “se non altro per ragioni d’età”. Dal risentimento il mare passa immediatamente ad un’azione: travolge con una piccola onda “la signora in costume da bagno, sdraiata pigramente al sole”. E a questo punto del racconto la complicità tra il mare e i piccoli lettori della favola diventa totale: il mare SEMBRA aver “spruzzato” un po’ d’acqua sulla signora “in modo del tutto involontario, ci mancherebbe”; in realtà è scattato un meccanismo di ribellione che di involontario non ha nulla, e chi legge lo sa. I disegni accompagnano anche qui il sottile umorismo del linguaggio: i pesci, “stravolti” anche loro dall’innocente ondina, si ritrovano capovolti e attoniti all’interno di una nuvoletta che traduce in immagine tutto lo sdegno verbalmente inespresso della signora investita dall’ondina.
In seguito, e prima della rivolta vera e propria, il mare riprende il suo monologo interiore: pensa al suo passato, alla sua importanza nella vita degli esseri umani nel corso dei secoli, al suo eterno ruolo di “ispiratore dei poeti”, di “protagonista di avventure” e di “spettatore immortale della storia degli uomini”. Com’è possibile che sia trattato in modo così irrispettoso? La rivolta è dunque l’immediata, inevitabile conseguenza dello sdegno marino… Il mare convoca un’ “assemblea” radunando tutti i pesci: si entra in “sciopero a tempo indeterminato”. Anche in queste pagine i dialoghi sono mirabilmente in sintonia con i disegni: i pesci mostrano sgranati occhioni bianchi e il mare una bocca spalancata ad esprimere il suo risentimento.
Dietro la proposta del pesce-martello, lo sciopero viene tramutato in vacanza: così il mare e i suoi abitanti partono per la montagna. L’inverosimiglianza della proposta non turba i protagonisti, né i giovani lettori che, avvolti dal linguaggio familiare e dall’umorismo del racconto unito a quello dei dialoghi, anche in questa seconda parte della favola, accompagnano il mare nella sua strepitosa avventura.
L’incontro tra i due ambienti, mare e montagna, tranne lo spavento iniziale delle lepri, è oltremodo cordiale: l’umanizzazione degli incontri si manifesta, come sempre, attraverso l’uso del linguaggio: “Come sta la vecchia carpa?” –“Bene, bene”- “E la famiglia Scorfano?” – “Ottimamente”. Insomma la vacanza ristabilisce contatti dimenticati da millenni e la fratellanza tra popoli diversi è ribadita.
Nella terza parte il mare e i pesci trascorrono felicemente la loro vacanza in montagna, fino al giorno in cui tutti i pesci, essendosi a lungo riposati e svagati, cominciano a stancarsi di star là. Nel frattempo il mare ha mandato una delegazione sindacale a trattare col governo circa il riconoscimento dei propri diritti e quelli dei suoi abitanti. L’animale inviato in delegazione, la piovra, al suo rientro, riferisce gli innumerevoli disguidi causati agli umani dall’assenza del mare: nessuno riesce a vivere senza il mare. Il governo ha deciso di tutelare l’ambiente marino, perché “l’ecologia viene prima delle industrie”. Una gran festa apre la quarta ed ultima parte del racconto: la fauna marina si unisce a quella terrestre in una grande “danza per la fratellanza” che coinvolge anche le stelle, fino a “farle brillare di commozione”.
Questa favola di Salvo Zappulla è davvero una favola che fa sognare, una favola che spiega ai piccini quanto è importante rispettare l’ambiente, amarlo, capirlo e osservarlo sotto una prospettiva diversa: per la prima volta essi scoprono che il mare e la montagna sono abitati da “esseri pensanti”, con sentimenti, paure, timori, gioie, preoccupazioni e ansie. L’umanizzazione della fauna marina è finalizzata all’immedesimazione dei piccoli lettori, i quali vengono letteralmente catturati dalla simpatia del mare, dei suoi colorati e buffi abitanti, del suo linguaggio ironico e talvolta beffardo. E i piccoli lettori si immedesimano perfettamente, si divertono; e divertendosi, imparano. Salvo Zappulla e Carla Manea (mirabile interprete del pensiero dell’autore) ci suggeriscono di proporre ai nostri giovani figli, ai nipoti, agli allievi un nuovo orizzonte di pensiero: quello dell’amore ANCHE per tutto ciò che vive e che non è esclusivamente umano: è un’incredibile, affascinante sfida.
Questo autore, la cui fervida inventiva “burlesca” nasconde una vena di malinconia lascia intendere che il futuro del pianeta non è più esclusivamente nelle mani degli adulti, ormai; il futuro del nostro pianeta, il “futuro migliore di cui tutti sognano” alla fine della fiaba, è nelle mani di coloro che potranno salvarlo solamente prendendo coscienza del suo stato di perenne sofferenza. Che la salvezza del pianeta sia strettamente legata a princìpi quali la comprensione reciproca, l’ascolto, il rispetto, la buona educazione, la solidarietà, la cordialità tra simili e tra dissimili; e infine la fratellanza è un concetto che attraversa l’intero racconto in modo implicito e leggero, come un sottile filo azzurro.
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recensione di Simona Lo Iacono
Tutti i bambini crescono, eccetto uno…leggevo ad alta voce a mio figlio quella sera in cui mi chiese di Peter Pan.
Ma forse avrei dovuto dire: tutti i bambini crescono, tranne gli scrittori. Tranne chi – con la penna -allunga uno sguardo oltre, dove lo smacco della quotidianità si stempera in gioco, dove le regole dell’ordinario rispondono a una sovversione segreta: l’avventura, il magico che s’intesse negli oggetti, nelle forme, negli animali. Il mondo che parla con le voci che gli uomini non possono udire e che – forse – catturano e riproducono quelle degli angeli.
Ecco. Nello “Sciopero dei pesci” di Salvo Zappulla (corredato dalle immaginifiche visioni di Carla Manea, ed. Il pozzo di Giacobbe, € 11,90), lo scrittore è quel bambino che conserva la logica del contrario e che la fa assurgere – anche – a grido di giustizia, perché niente come l’infanzia è giusto, niente come l’innocenza sovverte l’ordine del mondo.
E allora non stupirà che i pesci si diano convitto misterioso nel cuore del mare, che il mare stesso li inciti alla rivolta, che l’odioso reflusso di rifiuti e scarichi li convinca, infine, a uno sciopero ad oltranza…in zona di montagna. Le acque salate che scalano vette, i pesci che si bardano da alpinisti, i salmoni che fendono i fiumi facendo da apripista.
Il mondo capovolto o, forse, il mondo come dovrebbe essere se davvero potesse scioperare, prendere tempo, spezzare la marcia della velocità e concedersi una tregua.
Il mondo bambino o come lo vedrebbe un bambino. Colorato, acquoso.
Vivo.
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da REPUBBLICA del 6 marzo 2009
Peter Pan il bambino magico figlio di Alice
di Pietro Citati
IL NOSTRO universo, dove regnano il Peso ed il Numero, dove il tempo è rettilineo e gli oggetti impenetrabili, dove i libri si leggono da sinistra a destra e dal principio alla fine, affida il compito di conoscere l’ “altro” universo al più amabile dei suoi messaggeri, nei due capolavori di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio. I grandi, limpidi occhi infantili di Alice rispecchiano fedelmente ogni minima notizia nel lago serio e incuriosito delle pupille. Ma, sebbene Carroll la credesse una “creatura di sogno”, Alice appartiene saldamente e interamente al mondo che noi abitiamo. Nessuna creatura è più terrestre di lei, e possiede come lei lo “spirito della realtà”: ragionevolezza, buon senso, buona educazione, cortesia, diplomazia innata, capacità di giudizio, istinto pratico, tutte le qualità che ci aiutano a vivere sulla terra si combinano nella figura di questa deliziosa bambina vittoriana. Lewis Carroll comprese che la lingua non combacia con la realtà. La lingua è arbitraria, come diceva de Saussure. Da un lato, sta la “cosa” – questo pezzo di pane, q u e s t a p i e t r a , questo paesaggio sul quale si posano indolentemente i miei occhi , che, a rigore, non può essere nominata: dall’ altra, il “nome”; e fra loro si apre un abisso incolmabile. Se egli avesse spiato attentamente nella dissonanza tra l’ oggetto e la parola, se avesse scrutato nella fessura apertasi nel blocco compatto della realtà, forse sarebbe riuscito a descrivere l’ “altro mondo”. Giacché la lingua è arbitraria, egli poteva desumere dai suoni che ne formano la superficie un universo del tutto differente dal nostro. Bastava rispettare la lingua, come noi non facciamo: intendere alla lettera i suoi suggerimenti; ricordare che i nomi non sono consequentia rerum, ma, al contrario, le cose sono le conseguenze dei loro nomi. Così, per esempio, se in inglese i rami si pronunciano bau essi abbaieranno “dietro lo specchio”: i fiori sonnecchieranno pigramente perché “aiuola” vale, in inglese, “letto di fiori”; e se la farfalla si chiama butterfly, essa aprirà delle sottili ali di pane e di burro. In questo modo, egli poteva scivolare dolcemente “di là” senza violare leggi di nessuna specie, senza sconvolgere la convenzione della sintassi, senza nemmeno crearsi una lingua personale, c o m e s u g g e r i v a H u m p t y Dumpty, questo grottesco precursore di ogni avanguardia. Egli non era disceso sulla terra per infrangere delle leggi, ma per aggiungere nuove regole, tanto convenzionali quanto assurde, a quelle che già conosciamo. Soccorso dalla logica della lingua, Carroll cominciò dunque a descrivere il mondo che costeggia il nostro. Senza affidarsi mai alle pericolose invenzioni della fantasia pura, partiva da un dato della lingua e della tradizione; e poi, via via, tesseva intorno a questi dati variazioni sempre più vaste, combinazioni sempre più ricche, rivelando una immaginazione rigogliosissima, seconda soltanto, nel suo tempo, a quella di Dickens. Mentre scriveva, dimenticava se stesso. Sacrificava i suoi sogni, le sue nostalgie amorose, la sua dolorosae traboccante morbidezza. La mano impeccabile segnava sulla carta linee esatte, parole senz’ ombra, ambiguità in piena luce, mosse di scacchi:i prodigi continuamente rinnovati di una mente malinconica abitata dalle bizzarre chiarezze della matematica. Come i filosofi di ogni tempo, speculava arditamente intorno ai grandi problemi della metafisica e della conoscenza. Quanto più il pensiero toccava la vertigine della complicazione, tanto più egli amava nasconderlo dietro piccole farse, giochi, guizzi allusivi infinitamente delicati. Il massimo della concentrazione nel contenuto si alleava col massimo di futilità nella forma: la ricchezza filosofica con l’ amore per gli indovinelli, la gravità con la leggerezza. Come i Vangeli e le parabole buddiste, Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio sono insieme dei libri esoterici e dei libri popolari. Ogni bambino continua a leggerli, abbandonandosi perdutamente alle vicende di Alice e del Coniglio Bianco; e ognuno di noi deve riprenderli, sfogliarli, consultarli, tornare a rileggerli, se vuole orientarsi negli spazi troppo vasti tra la terra ed il cielo. “Di là”, Alice incontra delle leggi, interamente diverse dalle nostre. Non esiste il Peso: né il Numero, e la tavola pitagorica impazzisce. L’ “io”, del quale noi siamo tanto fieri, si perde, insieme a quel supremo simbolo della identità che è la memoria. Tutto viene rovesciato. Per raggiungere un luogo, dobbiamo voltargli le spalle: per restare fermi, dobbiamo correre: per arrivare in un punto, dobbiamo averlo già superato; e il tempo corre all’ indietro, – prima il futuro, quindi il presente, infine il passato. Quando Alice recita una poesia, le parole si trasformano sulla sua bocca: sapeva a memoria dei versi edificanti; ed ecco che il suo inconscio, governato tirannicamente dalle leggi “di là”, le impone di pronunciare parodie, nonsensi, parole stravolte. Così non ci meravigliamo se finisca per tramontare lo stesso principio di contraddizione, sul quale è fondata l’ esistenza terrestre: se il sì e il no, il negativo e il positivo, il più e il meno, l’ “importante” e il “non-importante” significhino la medesima cosa. Ora il tempo corre all’ indietro, ora avanti: ora l’ anarchica lingua individuale di Humpty Dumpty abolisce ogni convenzione linguistica, ora tutti parlano con le parole dell’ uso quotidiano. L’ unica, grande legge, che regge senza eccezione sia Alice sia Attraverso lo specchio è quella della Metamorfosi, che trasforma le persone e le cose, dissolvendole nella fantastica pantomima della possibilità. Nel primo libro, Alice cresce mostruosamente e snoda il collo come un serpente tra le cime degli alberi: poi rimpicciolisce fino alle dimensioni di un topo, rischiando di annegare nel lago delle proprie lacrime. Nel secondo libro, la Metamorfosi diventa il principio stesso della narrazione. Non sappiamo chi muova gli scacchi sopra l’ immensa scacchiera, distinta, come la terra, da siepi, ruscelli, prati, stagni, boschi e campagne. Ogni volta che uno dei giocatori sposta una pedina, la narrazione si interrompe di scatto, e il paesaggio e i personaggi si dissolvono. Entriamo in un nuovo spazio-tempo: un treno nasce dal bianco tipograficoe vi scompare, una bottega diventa una barca e un gruppo d’ alberi, un uovo si trasforma in Humpty Dumpty, il russare della Regina Rossa e della Regina Bianca cede a un’ aria musicale… Così l’ altro mondo rivela finalmente la propria essenza. Mentre la struttura superficiale del nostro mondo è compatta e continua, quella dell’ universo dietro lo specchio è discontinua e frammentaria: briciole, pezzettini, tessere di mosaico, caselle di scacchi, atomi, tenuti insieme da una forza che non conosciamo.
Peter Pan nei giardini di Kensington e Peter e Wendy, (ripubblicati da Einaudi con uno scritto di Giorgio Manganelli, un’ introduzione di Luca Scarlini e la traduzione di Milli Dandolo, pagg. 248, 16 euro), non sarebbero mai stati scritti senza i libri di Carroll, ma il loro significato è esattamente opposto. Qui i protagonisti non sono una bambina vittoriana, ma gli uccelli, i bambini-uccelli, oppure un giovanissimo-vecchissimo bambinouccello. Prima di diventare esseri umani, i bambini sono stati uccelli, lo sono rimasti per sette giorni,e nelle prime settimane di vita sentono un lieve pizzicore alle spalle, dove prima erano attaccate le ali. Come gli uccelli, sono allegri, innocenti e senza cuore, e volano appunto perché sono allegri, innocenti e senza cuore. Quando non lo sono più quando hanno ceduto alla maturitàe normalità che li minaccia da ogni parte – dimenticano di volare. Con le fate hanno rapporti molto stretti. Quando ridono per la prima volta, il loro riso si spezza in mille frantumi ghiacciati che si spargono saltellando; e in quel momento nasce una nuova fata. Peter Pan è un bambino-uccello: come dicono nei giardini di Kensington, è un mezzo-emezzo. Vola come un uccello, ma in parte si comporta come un bambino: tenta di afferrare le mosche con le mani invece che con il becco; ma, al tempo stesso, non è un vero bambino perché gioca in modo sbagliato, ignora cosa siano i secchielli o i palloncini colorati o cosa siano i baci. Vive sempre sul margine, sul limite, senza appartenere ad un mondo. È velocissimo, perché è molteplice e stravagante: è onnipresente e nascosto. Detesta gli adulti, le persone normali, la scuola, le abitudini e le istituzioni. Sta sempre da un’ altra parte. Non vuole crescere e abbandonare le ali: ma, qualche volta, sembra stranamente senile. Non finisce mai di tentare i bambini, portandoli via con sé, in un eterno volo. La madre l’ ha abbandonato: Peter Pan non riesce a ritornare da lei, varcando le finestre chiuse: e questa acutissima nostalgia è l’ unica cosa che egli possegga di veramente umano. Nei giardini di Kensington, vivono le fate: tra loro e il mondo umano non esiste nessuna vera distinzione; un antropomorfismo possente come quello di Carroll si insinua in tutto ciò che è feerico e lo trasforma. Le fate preparano la colazione, mungono le vacche, segano i funghi, tirano su l’ acqua. Sono sempre indaffarate, come se non avessero un momento da perdere, ma non fanno mai niente di utile. Stanno in piedi quando dovrebbero sedere, e siedono quando dovrebbero stare in piedi: sono sveglie quando dovrebbero dormire, e dormono quando dovrebbero andare alla festa. Spesso si comportano male: mettono le dita nel burroo bevono troppo vino; sono dispettose, eccentriche, stravaganti. Qualche volta, avere rapporti con loro, come con tutto ciò che è feerico, è rischioso: senza accorgersene, ti fanno diventare una quercia sempreverde. Se escludiamo l’ Elogio degli uccelli di Leopardi, Peter Pan è il più bel testo uccellesco che abbia mai letto: per questo piace tanto ai bambini. James Barrie chiacchera, chiacchera, anzi cinguetta, vola, fa il nido, si nutre di vermi, ci becchetta, si dimentica, deride le fate, gli adulti, i bambini e i pirati; e il suo cinguettio brilla come una conversazione mondana. Non conosce l’ assoluto rigore matematico di Alice e di Attraverso lo specchio: pare sempre lievemente ebbro, come si fosse ubriacato con un liquore di corniole, distillato dalle fate. La sua è una fiaba, un vaudeville, un’ avventura fantastica, una farsa, un racconto piratesco, un racconto filosofico, una fantasticheria, un arcobaleno, un gioco funambolico, una sonata di flauto – che deve assolutamente venire eseguita nel paese che non c’ è.
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Questo è un post molto lungo e corposo… e composto da diverse parti.
Dunque va letto con calma.
Del resto, che fretta c’è?
Parliamo di fiabe e favole.
Vi ripropongo le domande del post…
– che rapporti avete con fiabe e favole?
– quali sono quelle che preferite? E perché?
– quali sono, a vostro avviso, le favole e le fiabe con il più alto valore formativo?
Faccio tanti in bocca al lupo a Salvo Zappulla e a Carla Manea per “Lo sciopero dei pesci”, edito da Il Pozzo di Giacobbe.
Parleremo anche di questo vostro lavoro.
Ringrazio Roberta e Simona per le loro recensioni.
(A Roberta ho chiesto di darmi una mano ad animare e moderare questo post)
Poi c’è questo articolo di Pietro Citati (Peter Pan il bambino magico figlio di Alice) che può offrire ulteriori spunti per una discussione.
E infine il video… date un’occhiata se vi va.
Auguro un buon fine settimana a tutti.
Al volo…(proprio come Peter Pan), mando un bacio a Salvuccio – e alla sua bellissima favola – a Massi, a Roberta.
“Lo sciopero dei pesci” è sulla linea della più altra tradizione fiabesca e mi ha subito suggerito un paragone con Fedro, e ancor più a monte con Esopo.Infatti le favole di Fedro hanno un doppio scopo: divertire il lettore con scene di carattere comico, ma suggerire anche “saggi consigli” (prudentia consilia) per vivere.
Ecco: credo che la favola più affascinante sia quella che insegna col sorriso.
Quella che porge una verità rendendola leggera, ariosa e ridente, come i pesci di Salvo.
Il bimbo come l’adulto sa avvertire il contrasto, ma apprende una prima, importantssima lezione sui sogni.
Impara che se nella storia è possibile che la fantasia venga in soccorso dell’orrore, o della sofferenza, o della mancanza, potrà farlo anche nella vita.
Le favole che ricordo sempre, e che anche mio figlio ha amato di più, sono state quelle che ci hanno fatto ridere, e poi riflettere, e poi piangere, e poi sognare.
La “Bella e la bestia”, “Pollicino”, Hansel e Gretel”…
C’è la vita senza mistificazioni (il brutto, il piccolo, il cattivo). E senza illusioni nè patti….Insomma, la vita come ci spaventiamo di dirla a un bambino.
Ma c’è la fede che tutto sia capovolto, che il destino faccia marcia indietro, che il male sia solo un’occasione.
Di bene.
Un mugnaio era caduto a poco a poco in miseria e non aveva più nulla all’infuori del suo mulino e, dietro, un grosso melo. Un giorno che era andato a far legna nel bosco gli si avvicinò un vecchio e gli disse: -Perché‚ ti affanni a spaccar legna? Io ti farò ricco, se in cambio mi prometti quello che c’è dietro al tuo mulino; fra tre anni verrò a prenderlo-. “Che altro può essere se non il mio melo?” pensò il mugnaio; così acconsentì e s’impegnò per iscritto con lo sconosciuto, che se ne andò ridendo. Quando il mugnaio tornò a casa, gli venne incontro la moglie e gli disse: -Di dove viene tutta questa ricchezza in casa nostra? Casse e cassoni sono pieni di roba, senza che nessuno sia venuto a portarla- Il mugnaio rispose: -Da un vecchio che ho incontrato nel bosco; in cambio mi sono impegnato a cedergli quello che c’è dietro il mulino-. -Ah, marito- disse la donna spaventata -ce la vedremo brutta: era il diavolo! E intendeva nostra figlia che spazzava il cortile dietro il mulino.- La figlia del mugnaio era una fanciulla bella e pia e visse quei tre anni nel timore di Dio e senza peccato. Quando venne il giorno in cui il maligno doveva prenderla, ella si lavò per bene e tracciò con il gesso un cerchio intorno a s‚. Il diavolo comparve di buon mattino, ma non pot‚ avvicinarla. Incollerito disse al mugnaio: -Portale via tutta l’acqua, che non possa più lavarsi; così l’avrò in mio potere-. Atterrito, il mugnaio obbedì. Il giorno dopo il diavolo tornò, ma ella aveva pianto sulle sue mani, che erano pulitissime. Così non pot‚ avvicinarsi di nuovo e, furioso, disse al mugnaio: -Tagliale le mani; altrimenti non posso farle nulla-. Ma il padre inorridì e rispose: -Come potrei tagliare le mani a mia figlia!-. Allora il maligno lo minacciò e disse: -Se non lo fai, sei mio e prendo te-. Spaventato, il padre promise di obbedirgli. Andò dalla fanciulla e le disse: -Bimba mia, se non ti mozzo le mani, il diavolo mi porta via, e nello spavento gli ho promesso di farlo. Ti prego di perdonarmi-. Ella rispose: -Padre, fate di me ciò che volete, sono vostra figlia-. Porse le mani e se le lasciò mozzare. Il diavolo tornò per la terza volta, ma ella aveva pianto tanto e così a lungo sui moncherini che erano pulitissimi. Egli aveva perduto così ogni diritto su di lei e dovette andarsene. Il mugnaio le disse: -Per merito tuo ho guadagnato tante ricchezze che per tutta la vita voglio trattarti da regina-. Ma ella rispose: -Non posso rimanere qui; me ne andrò: creature pietose provvederanno di certo al mio bisogno-. Si fece legare i moncherini dietro la schiena e al levar del sole si mise in cammino e camminò tutto il giorno, fino a notte. Arrivò al giardino di una reggia dove, al chiaro di luna, vide degli alberi carichi di frutta; ma il giardino era circondato da un fosso. E siccome non aveva mangiato nulla per tutto il giorno e aveva tanta fame, pensò: “Ah, fossi là dentro e potessi mangiare un po’ di quei frutti! Se no mi tocca morir di fame”. Si inginocchiò, invocò il Signore e pregò. D’un tratto apparve un angelo che chiuse una cateratta, sicché‚ il fosso si prosciugò ed ella pot‚ attraversarlo. Entrò nel giardino e l’angelo la seguì. Vide un albero da frutta: erano belle pere, ma erano tutte contate. Ella si avvicinò e, per placare la fame, ne mangiò una staccandola con la bocca. Il giardiniere la vide ma, siccome c’era l’angelo, egli ebbe paura e pensò che la fanciulla fosse uno spettro; così non osò chiamare n‚ dir nulla. Dopo aver mangiato la pera ella fu sazia, e andò a nascondersi nel boschetto. Il mattino seguente venne il re cui apparteneva il giardino, contò le pere e, vedendo che ne mancava una, domandò al giardiniere dove fosse. Non era sotto l’albero, eppure non c’era più. Il giardiniere rispose: -La notte scorsa è venuto uno spettro senza mani e l’ha mangiata, staccandola con la bocca-. Il re disse: -Come ha fatto ad attraversare l’acqua, e dov’è andato?-. Il giardiniere rispose: -Un essere è venuto dal cielo, con una veste candida come la neve, e ha chiuso la cateratta prosciugando l’acqua. Doveva essere un angelo e io ho avuto paura, così non ho fatto domande n‚ ho chiamato. Poi lo spettro è scomparso di nuovo-. Il re disse: -Questa notte veglierò con te-. Quando fu buio il re si recò in giardino accompagnato da un prete che doveva rivolgere la parola allo spettro. Si sedettero tutti e tre sotto l’albero e attesero. A mezzanotte la fanciulla uscì dal boschetto, si avvicinò all’albero e mangiò un’altra pera, staccandola con la bocca; accanto a lei c’era l’angelo biancovestito. Allora il prete si fece avanti e disse: -Vieni dal cielo o dalla terra? Sei uno spettro o una creatura umana?-. -No- rispose ella -non sono uno spettro, ma una povera creatura che tutti hanno abbandonata, tranne Dio.- Il re disse: -Se tutti ti hanno abbandonata, io non ti abbandonerò-. La prese con s‚ nel suo castello, le fece fare due mani d’argento e, poiché‚ era tanto bella e buona, se ne innamorò e la prese come sua sposa. Un anno dopo, il re dovette partire per la guerra; raccomandò la giovane regina a sua madre, dicendole: -Quando partorirà abbiatene cura e scrivetemi subito-. La regina diede alla luce un bel bambino, e la vecchia madre si affrettò a scrivere al re per annunciargli la felice notizia. Ma per via il messo si riposò accanto a un ruscello e si addormentò. Allora venne il diavolo che cercava sempre di nuocere alla buona regina, e scambiò la lettera con un’altra in cui si diceva che la regina aveva messo al mondo un mostro. Quando il re lesse la lettera si spaventò e si rattristò profondamente, ma rispose che dovevano avere cura della regina fino al suo ritorno. Il messaggero ripartì con la lettera, ma si riposò nello stesso luogo e si addormentò un’altra volta. Allora tornò il diavolo e gli mise in tasca un’altra lettera nella quale era scritto che uccidessero la regina e il bambino. Quando la vecchia madre ricevette la lettera, inorridì e scrisse al re ancora una volta, ma non ricevette altra risposta, perché‚ ogni volta il diavolo dava al messo una lettera falsa e, nell’ultima, ordinava addirittura di conservare la lingua e gli occhi della regina come prova della sua morte. Ma la vecchia madre piangeva all’idea che fosse versato quel sangue innocente; così mandò a prendere, di notte, una cerva, le strappò la lingua e gli occhi e li mise da parte. Poi disse alla regina: -Non posso farti uccidere, ma non puoi più fermarti qui: va’ per il mondo con il tuo bambino e non ritornare-. Le legò il bambino sul dorso, e la povera donna se ne andò con gli occhi pieni di lacrime. Arrivò in una grande foresta selvaggia; si inginocchiò a pregare e le apparve l’angelo del Signore che la condusse a una casetta sulla quale era una piccola insegna che diceva: -Qui si alloggia gratuitamente-. Dalla casetta uscì una fanciulla bianca come la neve che disse: -Benvenuta, Maestà!- e la fece entrare. Le tolse il bimbo dalla schiena e glielo pose al seno, perché‚ poppasse, poi lo mise in un bel lettino già pronto. Allora la povera donna disse: -Come sai che ero una regina?-. La fanciulla bianca rispose: -Sono un angelo mandato da Dio per avere cura di te e del tuo bambino-. Ed ella visse sette anni nella casetta, sotto la tutela dell’angelo, e per la sua devozione, Dio le fece la grazia e le ricrebbero le mani. Intanto il re, quando rientrò a casa, volle vedere sua moglie e il suo bambino. Allora la vecchia madre si mise a piangere e disse: -Uomo malvagio, perché‚ mi hai scritto di uccidere due innocenti creature?-. Gli mostrò le due lettere scambiate dal diavolo e soggiunse: -Ho fatto quanto hai ordinato- e gli mostrò, come prova, la lingua e gli occhi. Allora il re si mise a piangere ancora più amaramente sulla sua povera moglie e sul figlioletto, tanto che la vecchia madre si impietosì e gli disse: -Rallegrati, è ancora viva: ho fatto uccidere di nascosto una cerva da cui ho tolto le prove; ma a tua moglie ho legato il bambino sul dorso, e le ho detto che andasse per il mondo e che promettesse di non tornare mai più, poiché‚ tu eri così adirato con lei-. Allora il re disse: -Camminerò fin dove il cielo è azzurro e non mangerò n‚ berrò finché‚ non avrò ritrovato la mia cara moglie e il mio bambino, se non sono morti di fame-. Così errò qua e là per sette anni, cercandola per tutte le rupi; ma non la trovò e pensava che fosse morta. Per tutto quel tempo, non mangiò n‚ bevve nulla, ma Dio lo mantenne in vita. Alla fine giunse nella grande foresta e trovò la casettina con l’insegna che diceva: -Qui si alloggia gratuitamente-. La fanciulla bianca uscì, lo prese per mano e lo fece entrare dicendo: -Benvenuta, Maestà!- e gli domandò di dove venisse. Egli rispose: -Sono quasi sette anni che vado in giro alla ricerca di mia moglie e del suo bambino, ma non riesco a trovarli; saranno morti di fame!-. L’angelo gli offrì da mangiare e da bere, ma egli non prese nulla e volle soltanto riposarsi un poco. Si mise a dormire, coprendosi il volto con un fazzoletto. Allora l’angelo andò nella camera dov’era la regina con il bimbo, che ella soleva chiamare Doloroso, e le disse: -Vieni con il tuo bambino, è giunto il tuo sposo-. La donna andò dove egli dormiva, e il fazzoletto gli cadde dal volto. Allora ella disse: -Doloroso, raccogli il fazzoletto a tuo padre e coprigli di nuovo il volto-. Il bimbo lo raccolse e gli coprì il volto. Ma il re l’udì nel dormiveglia e lasciò cadere apposta di nuovo il fazzoletto. Allora ella disse nuovamente: -Doloroso, raccogli il fazzoletto a tuo padre e coprigli di nuovo il volto-. Il bambino s’impazientì e disse: -Cara madre, come posso coprire il volto a mio padre se non ho padre sulla terra? Ho imparato la preghiera: Padre nostro, che sei nei cieli; tu hai detto che mio padre era in cielo ed era il buon Dio. Come potrei conoscere un uomo così selvaggio? Non è mio padre!-. In quel mentre il re si rizzò a sedere e chiese alla donna chi fosse. Ella disse: -Sono tua moglie, e questo è tuo figlio Doloroso-. Ma egli vide che aveva le mani vere e disse: -Mia moglie ha mani d’argento-. Ella rispose: -Il buon Dio me le ha fatte ricrescere-. E l’angelo andò nella sua camera, prese le mani d’argento e le mostrò al re. Allora egli fu certo che quelli erano proprio la sua cara moglie e il suo caro figlio, e li baciò tutto contento. L’angelo di Dio li cibò ancora una volta insieme, poi andarono a casa dalla vecchia madre. Vi fu gran gioia ovunque e il re e la regina celebrarono nuovamente le nozze e vissero felici fino alla loro santa morte.
FINE
Ecco perché abbiamo paura, ci sono state tagliete le mani.
Cosa altro é la crisi se non lo strapotere patriarcale imperante a cui abbiamo svenduto le nostre preziose mani in cambio di un po’ di sicurezza.
Nelle favole c’é tutto. Le favole conoscono tutto e parlano per noi non attraverso di noi.
Dopo dieci anni di precariato v’informo che sono stata assunta a tempo inderminato, ma ho capito che il mio vero mestiere é un altro.
Se mi licenziarò sarà per seguire la mia vera natura, quella della CANTAFAVOLE.
Se sono scomparsa in questi mesi é stato per andar a cercar favole.
Oh come s’apre bene la giornata, quando s’apre in fiaba; e ancor di più ci gioisce sapere che si principia con la buona novella che quel folletto scherzoso di @Salvo Zappulla ha pubblicato una favola: gli sia lieve il giorno e il resto lunghissimo della vita.
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Sono detto impropriamente napoletano, io sono di Giugliano in Campania, città a 10 km a nord.
Nacque qui, nel 1566, colui che inventò la fiaba: Giambattista Basile, che diede slancio e vita alla moderna narrazione fiabesca; se ci fosse stata internet nel ‘600, Perrault avrebbe sicuramente, e doverosamente, citato il mio paesano che inventò la Cenerentola.
Nelle 22 fiabe che compongono il “Pentamerone” o “Cunto de li Cunti, ovvero lo trattenemiento de le peccerelle”, c’è infatti la prima versione della fiaba intitolata “La Gatta Cenerentola”.
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« L’Italia possiede nel Cunto de li cunti o Pentamerone del Basile
il più antico, il più ricco e il più artistico fra tutti i libri di fiabe popolari… »
(Benedetto Croce, premessa a Lo cunto de li cunti, Laterza, Bari, 1925)
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Per saperne di più su Basile e le sue fiabe vi invito a fare un passaggio su questo bel sito:
http://www.paroledautore.net/fiabe/classiche/basile.htm
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Giugliano in Campania, città della Fiaba – 21 marzo 2009
Ho un ottimo rapporto con le favole e le fiabe. I miei figli mi hanno insegnato a inventarle. Quando erano piccoli, prima di addormentarsi volevano ascoltare una fiaba Io cominciai a raccontare le fiabe classiche , ma non le le gradirono. Mi chisero di inventarle , su un tema suggerito da loro. Le prime sinceramente erano brutte. Procedevo in modo disordinato stentando a trovare il giusto tempo narrativo e il legame tra i vari passaggi. Poi ho trovato un mio modo di raccontare: evitare il modo predicatorio. Una giusta dose di ironia e proporre, con leggerezza valori quali l’ amicizia, la solidarietà , la libertà. Inomma le fiabe e le favole devono educare, divertendo. Favola dopo favola è nato un libro “Bambini e animali” prefatto dalla professoressa Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dell’ età evolutiva alla Sapienza di Roma. Una favola è entrata nella rosa dele 10 favole vincitrici del Premio
Andersen 1989. Saluti a tutti. Franca.
Non mi intendo di favole quindi forse dirò banalità, però mi colpisce il fatto che la favola rappresenta sempre un punto di transizione, quindi di crescita. Nella favola c’è il viaggio (Hansel e Gretel, Cappuccetto Rosso), che è poi un percorso di vita. La favola è una specie di libretto d’istruzioni per futuri adulti.
E’ singolare che nel genere fantasy si ritrovino questi elementi. Quanti di questi romanzi vedono il nostro eroe percorrere lande fantastiche per raggiungere un nobile obiettivo?
Nelle favole non c’è solo questo, ovviamente, ma è ciò che mi ha colpito.
PS: strano ma vero dovrebbe uscire alla fine di quest’anno una raccolta illustrata di alcuni miei racconti per ragazzi, chi l’avrebbe detto…
Per quanto possa sembrare strano, ho letto le favole da ragazzo. Nell’immediato dopoguerra regnava la miseria e pure io e la mia famiglia ne eravamo sudditi, così che comprare ul libro significava rinunciare a mangiare. Però, mio padre aveva fantasia e ricordo ancora quando mi raccontava di Bingo bongo, l’uomo rotondo, che viveva in Africa e che calvalcava gli struzzi. Certo erano storie improvvisate, ma per un infante erano anche una manna. Da adulto ho scritto due fiabe, adatte più a un adulto che a un bimbo. Ritengo che sia indispensabile che ai piccini si racconti del gatto con gli stivali o di pinocchio, per due semplici motivi: la voce paterna o materna rinsaldano il concetto di appartenenza e inoltre inizia a svilupparsi la fantasia, si comincia a sognare e l’intelligenza ne beneficia.
Altro che le Playstation, che rimbambiscono e spersonalizzano.
Grazie per i commenti pervenuti anche qui.
Saluto Simona, Francesca Serra, Dido, Franca Maria, Gianfranco e Renzo.
Faccio gli auguri a Francesca Serra per il suo nuovo lavoro… con la speranza che non sia incompatibile con “l’andar a cercar favole”.
Come dicevo questo è un post corposo che ci farà compagnia per qualche giorno (fino a martedì sera, credo).
Buon sabato a tutti.
Che modo meraviglioso di cominciare il fine settimana e di annunciare l’arrivo della primavera!Bravi,la favola non è una divagazione dalla realtà, la favola è il nutrimento dell’animo,è il primo incontro che da piccoli abbiamo con i grandi sentimenti: la paura,l’amore,il sospetto, la curiosità e la leggera ironia. Una ricetta perfetta che solo l’artista da adulto cercherà di ricreare nelle opere,questi figli del tempo nostro tempo non hanno più orecchie per le favole,presi nel vortice psichedelico della tecnologia dove nemmeno la vita e la morte hanno un senso.Nella favola si tremava con una bambina nel bosco o per una principessa rinchiusa,non smettiamo mai di raccontare e inventare, di suggerire immagini su cui i piccoli, e i grandi, possano correre e volare più in alto di realtà spente,ma non per fuggire piuttosto per reinventare la vita e vedere un pò di favola laddove non c’è. Questo ci aiuterebbe a vivere tutti meglio.
Ho sempre raccontato favole ai miei figli da piccoli,inventate e colorite da personaggi strani che prendevo dai miei viaggi,principessse nepalesi,saggi masai e tanti animali.Mia figlia con il das rifaceva il narvalo e lo gnu a cinque anni lasciando a bocca aperta chi non sapeva neppure dell’esistenza di questi animali. Perciò la favola è il miglior strumento per far conoscere paesi e cose lontane e farli amare come se fossero stati sempre parte della nostra vita.
complimenti a salvo zappulla,simona e roberta!
un bacino a massi
Eccomi qua. Perennemente di corsa, perennemente rincorso dai creditori. Un grazie a Massimo e a tutte le persone intervenute. Un abbraccio alle signore e una stretta di mano ai signori. E’ sempre con una certa preoccupazione che presento le mie fiabe. La letteratura per l’infanzia costituisce un universo particolare, spesso poco considerato ma certamente di grande fascino. Negli ultimi anni l’editoria specializzata in questo settore si è molto evoluta influendo con grande rilevanza nel mercato librario e in quello sociale. L’offerta al pubblico si è fatta più professionale direi, più attenta, sia nell’introdurre sperimentazioni grafiche ed editoriali, sia per i contenuti, che percorrono strade diverse da quelle tradizionali. Sono avvenuti mutamenti nel panorama editoriale, sono nati nuovi marchi, altri sono scomparsi. E in controtendenza con la crisi del libro, i dati che riguardano la letteratura per l’infanzia sono confortanti. Gli stessi scrittori si sono resi conto di quanto sia importante comunicare con un utente da formare ed educare alla lettura, il quale esige anche grande rispetto. Di fondamentale importanza diventano quindi le illustrazioni, che spesso assumono una loro autonomia e una loro comunicativa, alla pari della scrittura. La mia fiaba senza le illustrazioni stra-or-di-na-rie di Carletta (Dio la mantenga fresca e lucida fino a 150 anni) non avrebbe avuto lo stesso valore, lo stesso potere di attrazione verso i bambini, fatalmente attratti in primo luogo dai colori in copertina. E sono davvero contento che Roberta nella sua recensione (saggio-fiume) abbia puntato molto l’accento su questo particolare, dimostrando una professionalità davvero notevole.
@(Simona, se per ogni fiaba mi arriva un bacio, non scrivo più altro).
Ottimo rapporto Massimo. Le più efficaci quelle mitologiche. Ma soprattutto la Bibbia che considero la più grande e meravigliosa favola mai scritta, l’unica in cui riesco a credere ancora ;o)
Liz
@Roooooooooooooooooooooooberta!!! Dove sei? Si sente la tua mancanza. Come si fa a conversare senza la padrona di casa?
Con grande gioia partecipo a questo post.
Non soltanto per il grande amore che ho sempre avuto per le fiabe e per le favole, ma anche e soprattutto per l’affetto che Salvo mi ha dimostrato quando mi ha chiesto di scrivere una pagina sul suo “Lo sciopero dei pesci”. Lui sa quanto io ami la Natura e quanto sia importante per me trasmettere questo amore ai miei alunni, ma anche ai miei nipotini, ai figli dei miei amici e ai bambini tutti. Per questo ho accettato di parlare qui, in questo spazio prediletto, di questo volume colorato in modo strepitoso!
Come ringraziare anche Massimo e Simona per la fiducia accordatami, vista la mia totale inesperienza? Li ringrazio di tutto cuore.
Ringrazio di cuore anche coloro che vorranno intervenire o che sono già intervenuti.
Passo alle domande a Salvo e a Carla Manea+ alle risposte alle domande di Massimo..
Ps: dimenticavo: l’articolo di Pietro Citati l’ho conservato con me dal giorno in cui l’ho letto su La Repubblica: è semplicemente meraviglioso.
@Salvo
Carissimo Salvo, eccomi.
Volevo chiederti un paio di cose: ci parli di com’è nata l’idea di questa favola in cui il Mare si ribella? Perché la Natura si rivolta?
E poi: che tu non sia un vero “moralista”, si deduce dal “finale” della favola, che è a lieto fine: ” E tutti sognarono un mondo migliore”. ( Se tu ti inserissi nel “filone” dei moralisti, poche sarebbero le speranze..). Nutri la segreta speranza in un mondo in cui il pianeta sia rispettato?
Immagino il finale sia rivolto ai piccini, nelle cui mani rimettiamo il nostro e soprattutto il loro futuro.
@Liz. Ci sono anche le favole che raccontano i politici, quelle sono sempre attuali.
@ Carla Manea
Cara Carla, conosco di te soltanto i tuoi disegni: io li trovo veramente belli. Tutte le sfumature dell’azzurro e del verde del mare; tutti gli altri colori che fanno pensare agli esotici “Mari del Sud”+ le espressioni del “volto” del mare, quelle degli “occhi” dei pesci e delle conchiglie, del pinguino-direttore d’orchestra, della lepre spaventata, dei salmoni “apripista”: come fai ad essere così brava?
Un bacino a te, Francesca Giulia:-)
Ringrazio Salvo per la disanima del mercato editoriale della cosiddetta “letteratura per l’infanzia”…
@ Elisabetta Bucciarelli
Mia cara, non dici bene… dici benissimo.
La Bibbia, per quanto mi riguarda, è il libro dei libri (da ogni punto di vista… anche meramente narrativo).
@ Roberta
Cara Roberta, grazie ancora per la bella recensione: è più lunga della favola di Salvo 🙂
A te il compito di darmi una mano a moderare e animare questo post.
Prima di salutarvi vi ri-propongo le mie domandine:
– che rapporti avete con fiabe e favole?
– quali sono quelle che preferite? E perché?
– quali sono, a vostro avviso, le favole e le fiabe con il più alto valore formativo?
@Roby. Chi meglio di te poteva parlare di questa fiaba? Chi meglio di una persona che si ferma a raccogliere un agnellino per portarlo in ospedale? L’amore per l’ambiente, il rispetto per gli animali e per tutto ciò che ci circonda appartiene all’educazione che abbiamo ricevuto ma anche alla sensibilità della nostra anima. C’è un bellissimo proverbio indiano che dice: “La terra che calpestiamo non l’abbiamo ricevuta in regalo dai nostri genitori ma in prestito dai nostri figli”. Una grande verità.
Cos’è questa storia dell’agnellino portato in ospedale? Mi piacerebbe saperne di più…
(Adesso devo proprio chiudere. Buon sabato a tutti).
@Massimo
Massimo carissimo, io sono convinta, come te, che le fiabe+ le favole ( oltre al loro innegabile valore letterario) non siano soltanto letture per bambini . Da una vita ho “a che fare” con “Alice’s adventures in Wonderland” ( ho anche la prima versione con i disegni originali di Carroll: “Alice Underground”). Certo quando si è piccoli si capiscono le cose come le capiscono i piccoli ( che non le capiscono mica male, ma a modo loro); poi da grandi le stesse storie dicono cose diverse. Il linguaggio del “nonsense” in Carroll non mi affascina meno di quando avevo quattro anni e l’ho conosciuto per la prima volta, ma colgo solo adesso la sua portata “irriverente”, il suo “anti-vittorianesimo”. Da piccola mi “svenavo” e basta, mi “identificavo” con Alice e chiedevo a mia madre scarpe+ nastro per i capelli+ vestitino celeste come il suo.
Se penso ad Andersen, sento solo ora quanto possa essere doloroso la “diversità” ( ognuno è “cigno” o “anatra” a seconda del contesto, forse).
Mi viene in mente un’altra cosa, mentre ricordo: a quanti bambini è così ingiustamente negata l’epoca in cui le fiabe sono soltanto racconti per “viaggiare altrove”?
@Roby. Non lo so come è nata l’idea di questa fiaba, forse vedendo lo schifo delle nostre coste deturpate dall’insediamento industriale. In quanto ai bambini: in loro è riposta la speranza di un futuro migliore. Mi riallaccio anche all’intervento di Simona: per essere scrittori, e in particolare scrittori o illustratori di libri per bambini, bisogna essere bimbi un po’ dentro, guardare il mondo con i loro occhi, altrimenti diventa difficile riuscire a comunicare con loro, emozionarli attraverso uno scritto o un disegno. I bambini rispondono sempre con entusiasmo quando ci sono proposte reali di coinvolgimento. Si comincia a casa con le filastrocche e le ninne-nanne a introdurli dentro le meraviglie di un mondo fantastico, poi il compito passa agli educatori scolastici, ai laboratori di lettura.
@Massimo
Non ho portato l’agnellino in ospedale…. quello l’ha immaginato Salvo, con la sua fervida e prolifica (menomale) immaginazione… Si era perso, povero agnello, nelle colline dell’entroterra sardo: ho visto il suo faccino e i suoi occhi dall’aria sperduta, da dietro il guard-rail lungo la strada che attraversa quelle colline. Mi sono fermata; ho fermato un’altra macchina e il signore dell’altra macchina ha preso l’agnello e l’ha riportato in uno dei due greggi vicini… Solo che ci è rimasto un dubbio: che il gregge fosse quello giusto. Quando è tornato dalla collina gli ho chiesto: “Ma l’agnello ha trovato la sua mamma? Lo abbiamo riportato al gregge giusto?”- “Signora, senta”- mi ha risposto- “non le pare che per oggi abbiamo già fatto la nostra buona azione?”- e quella frase temo volesse dire: Di solito gli agnelli si mangiano, da queste parti. ( e anche da altre parti..).
ROBERTA E L’AGNELLINO.
C’era una volta una bambina dall’animo dolce e delicato, che viveva in campagna circondata dai suoi animaletti. Un bel giorno, quale non fu il suo stupore, quando una delle pecorelle vicine diede alla luce un agnellino giallo, completamente giallo!!! Ma di un giallo così intenso che brillava anche di notte. Pareva oro. Il pastore sgranò gli occhi: “Cos’è ‘sto coso? l’agnello d’oro del popolo di Mosè?” (Chissà dove l’aveva letto, ignorante com’era).
“Quello era il vitello d’oro” rimbeccò Robertina, che aveva studiato ed era molto più raffinata.
“Non importa, lo venderò per Pasqua, sicuramente farò affari d’oro, è una rarità, vale una fortuna”. E già i suoi occhi lampeggiavano ingordi pregustando lauti guadagni. Prese l’agnello e lo rinchiuse dentro un freddo magazzino, lontano dalla sua mamma, per timore che lo rubassero. L’agnellino belava disperatamente per la paura e il freddo. E Robertina, (che aveva un cuore tenerissimo) si struggeva per l’animaletto. Si alzò di notte per andare a liberarlo. E appena l’agnellino varcò la soglia del magazzino, volò nel cielo lasciando una scia luminosa nella notte buia. Era l’angelo degli animali, inviato dal Signore per cercare un essere umano che si prendesse cura degli animali sottoposti alle angherie degli uomini. “Ecco, abbiamo trovato la persona giusta” disse il Comitato celeste. “Da oggi Robertina sarà la tutrice di tutti i poveri esseri indifesi”.
– che rapporti avete con fiabe e favole?
Più che positivo… quando mi sono appropriata dell’alfabeto sui fumetti di Topolino, ho iniziato – io – a leggere le fiabe alla mia mamma, che ama ascoltare storie. Devo dire che sono debitrice a lei e mia zia, custodi delle storie familiari, della mia passione per la letteratura.
Per farci mangiare, mia madre inventava delle fiabe che poi purtroppo sia lei che io e mia sorella abbiamo scordato, tranne una che io ho successivamente trascritto e rielaborato, “Il mistero della gabbia d’oro”…
Le ho lette a scuola, le ho studiate all’Università, ci ho lavorato durante i corsi di scrittura, perché fiabe e favole costituiscono un ottimo laboratorio narrativo. Silvana La Spina ci fece leggere uno straordinario libro di Angela Carter con le fiabe della tradizione stravolte e riviste in maniera stupefacente, poi ci fece riscrivere “Hansel e Gretel”.
– quali sono quelle che preferite? E perché?
Tutte quelle tradizionali, per motivi affettivi… ed anche quelle della tradizione siciliana, su cui hanno lavorato i nostri etnologi come Pitrè… anche Capuana, da par suo, ha lasciato delle fiabe che ricalcano la tradizione dei “cunti” siciliani…
– quali sono, a vostro avviso, le favole e le fiabe con il più alto valore formativo?
La letteratura in sé è formativa, perché il lettore in uscita non è lo stesso che era in entrata. Petronio parlava dell’essere umano come homo fabulans per eccellenza, perché da millenni ascolta e narra storie, che sono rielaborazioni di miti, leggende sull’origine dell’universo e della vita, storie che sono veri e propri riti di iniziazione, viaggi dell’eroe alla scoperta di se stesso e della verità sulle sue origini e sul mondo, storie propiziatorie e apotropaiche, storie che sono scongiuri contro il male e la morte e viatico d’immortalità. Pensiamo alle parabole – il latino parabula equivale a parola, a verbum, alla parola per eccellenza – e al loro valore salvifico, ai detti e ai memorabilia…
Per la fiaba il discorso è più complesso: spesso rispecchia i miti e le leggende di una cultura, tramite le peripezie dell’eroe noi possiamo comprendere l’iniziazione alla vita adulta del bambino-ragazzino-cavaliere… mille e mille interpretazioni si possono dare delle fiabe e favole, distillati di antica sapienza e saggezza.
Le fiabe hanno valore terapeutico nel senso che aiutano i bambini – e non solo loro – a risolvere i loro conflitti, a superare i momenti di passaggio, le crisi di crescita. Pensiamo alla ripetizione: quando il bambino ci chiede sempre la stessa fiaba è perché ha bisogno della rielaborazione simbolica del proprio conflitto che gli offre la fiaba.
Annamaria Piccione, scrittrice siracusana, quando presenta i suoi libri non dimentica mai di citare gli studi strutturalisti di Propp e Calvino e quelli dello psicanalista Bruno Bettelheim, che ci aiutano a capire l’enorme valenza delle fiabe.
Un bambino che ascolta storie diventa un adulto capace di elaborare il proprio vissuto, di immaginare soluzioni, di trovare un filo di parole nel bandolo della propria esistenza.
Salve a tutti, sono Carla, l’illustratrice de “Lo sciopero dei pesci”.
Innanzi tutto desidero ringraziarvi per le belle parole e dire che, sì, Salvo ha ragione quando scrive “per essere scrittori, e in particolare scrittori o illustratori di libri per bambini, bisogna essere bimbi un po’ dentro”.
Credo che il ‘segreto’ sia semplicemente riuscire ad emozionarsi per le piccole cose. Sorridere, ridere e porsi delle domande, a volte le più strampalate, per esempio “ma il riccio di mare come riesce a comunicare…. ma certo con i suoi due occhi enormi”.
Per rispondere a Roberta: “Perché sono così brava?” ( Beh,grazie !) Credo che un po’ di magia ci venga donata alla nascita, poi c’é la passione, il duro lavoro e la
voglia di fare sempre un passo più in là, verso l’idea del bello che abbiamo dentro. Poi questa ‘idea’ si migliora e non ci si stanca mai.
Salvo: complimenti… anche per questa favoletta su Robertina!
🙂
Massi, “Neverland” proprio no! Quando ho visto il film, ho pianto come una fontana insieme a mia sorella…
@Carla
cara Carla, ho visto che hai illustrato anche storie di cani e di gatti…. Troppo bellini.
Posso chiederti: cosa ti piace di più de “Lo sciopero dei pesci”?
Il linguaggio? L’idea di una ribellione da parte della “natura violata”?
Illustrerai un giorno “Moby Dick” per la difesa dei cetacei? Non dubito che riusciresti a rendere bene l’espressione del volto del capitano Achab….
Complimenti ancora per il tuo lavoro: è fantastico.
Molto interessanti anche le riflessioni di Citati…
c’è un filo di surreale nella letteratura inglese. Carroll era un matematico, non ce lo dimentichiamo, quindi portava nelle sue storie narrate a delle bambine – una di loro fornì il modello di Alice – le ultime riflessioni matematiche (sulle dimensioni oltre le tre della geometria tradizionale e così via…) e una vena di irriverenza.
Humpty Dumpty e i suoi nonsense li ritroviamo in Philo Vance, il raffinatissimo detective uscito dalla penna di S.S. Van Dine; Agatha Christie saccheggia a piene mani le filastrocche e i nonsense, le nursery rhymes della tradizione per farne materia dei suoi gialli. Barrie porta con sé la ricchezza della tradizione scozzese…
@Salvo
Carissino Salvo, in realtà la Robertina della favola è meno “buonina” di quanto possa sembrare…. Ma le piacerebbe essere “tutrice di tutti gli esseri indifesi”…
Thank you a lot.:::)))
Cara Roberta,
la ribellione di questi pesci, molluschi e compagnia bella mi cattura ma é l’ironia, la presenza di situazioni surreali e bizzarre, che mi conquista.
Prendi per esempio lo squalo. E’ il terrore dei mari ma in versione vacanza a me fa solo ridere… e ridere “fa un sacco bene” come diceva qualcuno.
Quindi forse “Moby Dick” non é proprio nelle mie corde per ora.
Se poi Salvo decidesse di scrivere un libro sulla difesa dei cetacei, mi prenoto all’istante!
Massimo mi ha chiesto di inserire la mia “fiaba” (anche se non la si può definire così) TSUKI NO USAGI, che avevo mandato al blog di Laura e Lory per l’ennesima disfida letteraria… la offro volentieri a Salvo e a tutti voi… Grazie Simona, tu sai perché.
http://www.lestoriedilauraetlory.splinder.com
TSUKI NO USAGI
Un giorno, tutti gli animali decisero di fare un dono a Budda.
Quando mi hanno portato a casa sua, non mi sono fidato subito, no. Non è difficile farmi del male. Però mi sono bastati tre giorni e un bacio per diventare suo.
Lei è bella, lei ha una voce ferma e dolce anche quando è arrabbiata, lei alza le mani solo per accarezzarmi e la mia gioia è farla felice. Io le piaccio. Si prende cura di me ma la sua non è distratta abitudine. Vuole che io stia bene. Canta per me, corriamo insieme, ascoltiamo la musica, guardiamo la televisione. Piange quando pensa che potrebbe perdermi. A volte si chiede – mi chiede – se io la ami. Oh, come puoi dubitarne?
Ognuno di loro pensava a quale avrebbe potuto essere il regalo più gradito.
In braccio a lei. Ai suoi piedi. Mentre cucina o legge o cuce o prega. Io la osservo la studio la digerisco piano nei miei occhi e quando li chiudo lei c’è, al sicuro come nella tana calda che vorrei costruire per noi.
Il regalo che Budda avrebbe apprezzato di più avrebbe inorgoglito e reso più importante il donatore.
Stiamo quasi sempre insieme. Quando esce mi saluta e si assicura che io abbia tutto ciò di cui potrei avere bisogno. Ma io aspetto solo di riascoltare i suoi tacchi, di appendermi al suo braccio, di lasciare nelle sue mani il calco tiepido del mio abbandono.
Il leone gli donò una magnifica preda: «Pelli e carne per l’Illuminato!». Testa alta, criniera gonfia, così il leone accompagnò il suo dono.
Volto le pagine dei suoi libri. So leggere la sua tristezza. Prega il Dio che mi ha inviato a lei e forse non lo sa. Lei crede negli angeli ma sospetta che possano avere denti di topo e orecchie lunghe, codino e zampe da peluche? Io sono un coniglio, nano per giunta, due chili di amore roditore e farei di tutto per vederla sempre sorridere.
La tigre gli donò uno dei suoi magnifici denti: «A te la mia forza, Budda». Voce morbida, pelliccia lucente, così accompagnò il suo dono.
Avrà un figlio. Un figlio vero, non un pupazzetto di pelo, anche se per lei sono molto di più. Un figlio suo. Mi ha sempre chiamato “il mio bambino peloso” e lei per me è mamma-tutto, compagna e amica. Però so che non potrà durare. Io corro, salto e sgranocchio piselli per poche primavere ma suo figlio avrà bisogno di lei per molto più tempo. Si ricorderà di me?
Ad uno ad uno gli animali sfilarono: chi donò sapienza, chi donò lunga vita, chi donò coraggio.
Ogni dono fu accompagnato da fioriti discorsi.
Budda accettò ogni dono e ringraziò, benedicendo il donatore.
Il suo bambino è in pericolo. Noi conigli abbiamo le orecchie buone per sentire certe cose. Le sappiamo e basta. Oh, Dio dei conigli e degli uomini, cosa posso offrirti? Cosa posso darti, mamma che non mi somigli, mamma-di-cuore che mi appartieni, più mia delle mie zampe?
Ultimo venne il coniglio.
«Mio signore, io non so parlare come gli altri. Se fossi un oratore, non potrei offrirti che un discorso, perché non ho nulla da donarti. Non ho coraggio né sapienza né fierezza, né potrei eguagliare tutti i doni meravigliosi che hai ricevuto».
Il Budda tacque.
«È povera cosa, ma ho deciso, se accetti, di offrirti in dono tutto quello che ho. Prendi la mia vita».
Il coniglio, umile e paziente, attese la risposta.
Prendi me.
Il Budda sorrise al coniglio.
«Accetto il tuo dono. Tu credi di aver donato meno degli altri ma il tuo regalo è il più grande. Ognuno degli altri animali ha dato poco rispetto al tanto che ha e forse ne attende una ricompensa, il merito o la fama. Tu invece hai donato tutto il poco che avevi. Hai donato te stesso e non c’è dono più sublime».
Testina reclinata, zampe raccolte. Senza resistere, senza un lamento.
Io non piango. Non farlo tu.
«Per questo voglio ricambiare», continuò Budda, «anch’io ti farò un regalo. Ti dono la luna come dimora dopo la morte. Di lì continuerai a offrire al mondo la tua modestia, la tua dolcezza e la tua bontà».
Da allora, nelle notti di luna piena, è il coniglio che, orecchie tese e occhi vivi, irradia sulla terra la sua mansueta e vigile sollecitudine. Quelle non sono macchie: è il suo musetto tenero che vi scruta.
Nuvola ci ha lasciati il 22 maggio 2007. Il 27 luglio è nato Paolo. Un giorno saprà che dalla luna un coniglietto gli sorride.
Scritto nel 2007
Un bacio a Roberta, grazie a Viola Di Grado e a Francesca Giulia Marone
per le loro “consulenze” linguistiche…
Devo lasciarvi; i preparativi per la fiera del libro dei ragazzi di Bologna incombono!
Farò fatica a seguire i prossimi post (la fiera durerà dal 23 al 26 per chi è interessato) ma per chi volesse scrivermi, domandarmi qualcos’altro e curiosare tra le mie illustrazioni ecco il mio blog:
http://carlamanea.blogspot.com
Un grazie a tutti! Questo posto é davvero interessante e accogliente.
Auguro un buon fine settimana a tutti.
Cara signora Manea,
illustrare libri per bambini è un lavoro bellissimo… arte e sensibilità al massimo grado. Complimenti e in bocca al lupo per la fiera… ho letto qualcosa su Leggere: tutti…
Il mio rapporto con le favole? Beh, io mi ci trovo benissimo, è il mio mondo, il mio pane…
Da sempre ho una fantasia esuberante (che sto tentando di trasferire alla carta stampata sottoforma di racconti brevi o lunghi da pubblicare), da sempre credo nei Sogni… da alcuni anni mi dedico alla ‘professione’ di lettrice di libri per l’infanzia realizzando progetti didattici in collaborazione con scuole dell’infanzia ed elementari…
Le mie favole preferite? Tutte… proprio perchè sono favole, che trasmettono ottimismo e voglia di vivere, buoni propositi e morali di elevato valore educativo.
Tra quelle che scelgo abitualmente per le mie letture ai bambini, prediligo l’evergreen Leo Lionni che con semplici parole ed immagini geniali trova il modo per entrare nel ‘mondo bimbo’…
Saluti.
In fondo tutti i giorni o quasi tutti scriviamo una favola. Capita che per interrompere la routine diamo libero spazio ai nostri sogni e se non sono favole queste che cosa sono? Non certo incubi, perchè il rilassamento ci deve far vedere per un attimo tutto rosa e tutto quello che non ci va deve apparire come realizzato. Pensateci un po’ e ditemi se non vi è mai capitato di fantasticare, magari con una frequenza diversa, ma resta il fatto che è indispensabile rifugiarsi in una creazione onirica per riprendere fiato.
Come sarebbe la vita senza favole e fiabe?
Peggiore. Ne abbiamo assoluto bisogno.
Amici cari,
proprio stasera, al pub, ho letto su La Sicilia di oggi 21 marzo 2009 un’articolo di Elvira Seminara, la quale lamenta l’horror a cui siamo quotidianamente sottoposti nelle nostre città.
Forse è necessario accennare almeno ai piani che compongono questi scenari e poi, ma solo successivamente, paragonarli alle immagini delle fiabe.
La Signora Seminara scrive di branchi di cani che sbranano, di rapine, aggressioni, scippi, fallimenti, disoccupazione, di gente che urla per comunicare e che comunica solo attraverso gli schermi.
Così mentre agli angoli delle strade i famelici quadrupedi azzannano, sui marciapiedi e al’interno delle mura abitative uomini e donne tecnologici, identificabili con codici a barre, si muovono e parlano a scatti – proprio come sto premendo i tasti del pc – le bocche emettono uno strano slang che contrae qualsiasi cosa e non apre un bel niente, abbreviazione, ritmicità gestuale, la robotica intelligente al posto del cervello ci ha piazzato un contatore a scatti.
Bello il canto degli uccellini al mattino presto!!!! Sono certa che le loro note vogliono dirci qualcosa.
Franz Marc pittore del Cavaliere Azzurro con i suoi cavalli rossi, blu, i cerbiatti gialli, Dubuffet dipinse strane figure, i ciccioni di Botero, ma amo Marc Chagall, le sue mani con sette dita dipinte sulle tele, mucche che volano, prende al volo la sua Bella che se ne sta sospesa per aria…Pittori visionari? Può darsi. Ma io alcuni anni fa, era d’estate, ho fissato a lungo una stella ed ho visto un prato verde dove pascolava una mucca gigante, davvero era enorme, pasceva sulle erbe brillanti con le dimensioni di un cavallo ed aveva occhi grandi e tondi, intorno vi era pace, un luogo profumato. Non mi credete? Invece è vero.
Fra i diversi interventi concordo con Maria Lucia Riccioli sul valore altamente educativo delle fiabe, sempre a lieto fine, positive nei loro destini finali, pronte a far sviluppare veri e propri indimenticabili film nelle menti dei bambini, lontane, per come vennero concepite, da tutte quelle attività che al giorno d’oggi trasformano il loro tempo libero in tempo vuoto. Schiocca è la play station!
Rossella
ho un rapporto bellissimo con le fiabe, anzi con le favole, anzi con le storie fantastiche, che poi non sono così fantastiche, ma sono vere, perchè ci fanno gurdare le cose con occhi veri, perchè ciò che vediamo è solo l’apparenza e le favole c iaiutano a cogliere la vera essenza delle cose.
la favola cui io sono particolarmente legata è quella del picolo principe, che per me è la favola degli adulti.
è bellisssima la parte in cui il bimbo si prende cura della rosa…..
perchè mette in evidenza la cura, l’ attenzione per l’altro: ” i care”.
e ci fa comprender il modo in cui ognino vuol essere amato ed ama.
ma la parte più bella e più triste è quando si adagia, perrchè è pronto ad andare, e si fa mordere dal serpente, lì ognuno di noi comprende il perchè esiste e qual’è il suo compito qui su questa terra e che tutto ciò che fa ed è non è altro che la preparazione e l’attesa per un mondo migliore, cui ognuno di noi aspira.
lui si abbandona ed è bellissima questa sensazione che si percepisce, e come lui che è solo un bimbo riesca a capire fino in fondo che è nato per questo e che si è preparato lungo tutta la sua breve vita solo per questo istante.
è la saggezza del bambino, che stupisce, così come ci stupisce a volte la saggezza dei nostri figli che ci educano ad essere migliori.
non ha importanza quanta strada faremo, è importante come la avremo fatta e soprattutto con chi.
è alla qualità della nostra vita che dobbiamo puntare.
le cose ci appariranno diverse ed allo stesso tempo uguali, se i nostri occhi saranno diversi e se saprenmo cogliere nell’altro quella diversità che lo rende speciale ai nostri occhi.
grazie e un abbraccio a Simona, e a Massimo.
Io desidero ringraziare ancora tutti i nuovi intervenuti che stanno contribuendo ad animare questo bellissimo dibattito sulla letteratura per bambini: (Carla se l’ è svignata, poi facciamo i conti) Nicoletta di Maria, Angela, Renzo, Paola, Mary Lucia (@non sapevo scrivessi anche fiabe, oltre a cantare, scrivere racconti, articoli giornalistici e di critica letteraria. Ma che sperta ‘sta figghia!!!).
@Rossella, a sentire quello che riporti dall’articolo di Elvira Seminara,sembra che Catania sia una città popolata da cani randagi, grazie a Dio ci sono anche grandi artisti che si occupano di libri e illustrazioni per l’infanzia. A parte Maugeri ( che non morde, ma è un cucciolone affettuosissimo), ormai abituato a passare da una recensione su Tuttolibri a un’altra su Repubblica, c’è Cinzia Ruggieri, che si illustra da sola le sue fiabe sperimentando nuove tecniche di pittura; Lucia Scuderi, a mio parere una delle migliori professioniste del settore, scrittrice e illustratrice che ha condotto numerosi laboratori di educazione all’immagine. La stessa Elvira Seminara è una grande appassionata di letteratura per bambini e, tra le tante cose, ha pubblicato poesie in rime per bambini, corredate da illustrazioni realizzate a pastello da lei stessa. Insomma, belle persone, belle opere. La bellezza salverà il mondo dai cani randagi. Chi lo diceva? Carla Bruni, mi pare.
Concordo sul fatto che la favolistica non sia un genere limitato all’infanzia. Già che ci sono, mi permetto di segnalarti tramite una mia recensione un libro di Francesco Ogliari che identifica nelle favole di Leonardo da Vinci l’inizio del genere favolistico moderno (ancor prima di Fenelon e La Fontaine):
http://www.bosina.net/2009/03/ricordo-di-francesco-ogliari.html
Complimenti per il blog che inserisco subito nei preferiti e buona domenica!
@Rossella
i cani randagi sono un problema. Ma se sono aggrassivi è sempre colpa degli esseri umani, che li abbandonano. Questa è la mia opinione.
Buona giornata e buona domenica a tutti.
Grazie per i nuovi commenti.
Dò il benvenuto a Carla Manea.
Benvenuta a Letteratitudine, Carla!
@ Maria Lucia
Hai fatto benissimo a postare il tuo bel racconto. Grazie.
Ne approfitto per salutare Paola, Rossella, Angela, Nicoletta, Bosina.
—
In bocca al lupo a Carla per la fiera del libro dei ragazzi di Bologna!
@ Salvo+ a tutti
a un certo punto della tua favola il Mare parla con se stesso:
“Insomma”- si chiese al culmine di una crisi di identità – ” sono il mare, fonte d’ispirazione di tanti poeti, protagonista essenziale di mille avventure, spettatore immortale della storia degli uomini”.
Che il mare sia uno “spettatore immortale” è fuor di dubbio; ma per quale magia, quando l’osservazione avviene da parte umana, il mare ispira tanta poesia o fa vagare l’immaginazione? Penso a Dante, al viaggio di Ulisse, a Coleridge, a Conrad, a Melville, a Edgar Poe….è l’idea del VIAGGIO verso un orizzonte “infinito” quella che affascina, oppure…cos’altro c’é?
@ Salvo Zappulla
Caro Salvo, invito anche te a rispondere a queste domande:
– Qual è la tua fiaba (e favola) preferita? E perché?
– Quali sono, a vostro avviso, le favole e le fiabe con il più alto valore formativo?
Ringrazio ancora una volta Roberta per lo splendido supporto nella moderazione/animazione del post…:-)
Dear Massimo,
grazie a te: )
Posso mandarti anch’io un bacetto, come ha fatto Francesca Giulia?
Mando tanti baci a tutti e grazie a Maria Lucia per il suo racconto TSUKI NO USAGI, che è molto tenero.
We’ll wait for Salvo’s answers.
Io sono molto legata oltre che ad Alice nel paese delle meraviglie-fra i classici- alla raccolta di Fiabe Italiane edita da einaudi, fiabe raccolte e trascritte da Italo Calvino.SOno due volumi che raccolgono un corpus di fiabe di ogni regione italiana, Calvino le ha raccolte dalla tradizione popolare e le ha trascritte cercando di conservare la voce originale di ognuna.L’avevo letto da piccola,poi mi è stato donato da grandicella e alcune le ho rilette con grande emozione rivivendo l’emozione che provavo negli anni passati-ce ne sono di bellissime, con filastrocche indimenticabili e anche paurose!-. Lo consiglio vivamente agli amanti del genere. Poi permettetemi di ricordare il grande Gianni Rodari che mi ha accompagnata negli anni della scuola elementare letto e raccontato da un maestro che seduto al centro dell’aula ci faceva sognare ,alle sue spalle il poster del gabbiano Jonathan Livingston che metterei fra le favole moderne più meravigliose che ci siano. Ecco per me quali sono state le favole più formative:Alice per la scoperta e la curiosità, tutto Rodari per la fantasia anche nelle piccole cose,e il gabbiano per la capacità di volare sopra alle cose della vita!
Bravissimi per questo post! Brava roberta 🙂
@maria lucia complimenti per il tuo coniglio,è deliziosa la favola,mandacene ancora e sarò a tua disposizione per ogni eventuale consulenza in campo nippoletterario!
@massimo complimenti a te,hai visto che il mio bacetto tira gli altri??
bravi davvero tutti.
buana domenica a tutti!
@Roby.
Il mare nella vita, come nella letteratura, ha un fascino irresistibile, tanti scrittori ne hanno attinto a piene mani. Ha una molteplice valenza simbolica, rappresenta la lotta e la sfida (penso a “Il vecchio e il mare o al capolavoro di Melville); il confrontp con la vita nei racconti di Conrad. Il mare che ci costringe all’attesa e ci annienta de I malavoglia. Il mare e il deserto sono i due elementi che rappresentano la paura di un viaggio verso l’ignoto da cui c’è il rischio di non approdare. Entrambi non hanno un punto di riferimento preciso. Il mare è omerico e biblico. E’ vita e morte (l’acqua è sinonimo di vita. Il naufragio è sinonimo di morte)
Massimo+Roberta.
Vi dico qual e la fiaba che mi raccontavano da piccolo e non mi è mai piaciuta. (I miei erano poveri, mi avevano comprato una sola fiaba e mi leggevano sempre quella. Me l’avranno riletta almeno 500 volte. Non ne potevo più. Ormai la detestavo, tanto che un bel giorno decisi di riscriverla a modo mio. Se Roberta o Massimo mi autorizzano, ve la posto.
Si tratta de: “La piccola fiammiferaia”.
Din 1 Don! Piccola trasgressione.
@Massimo
per rispondere a una delle tue domande, le favole con il più alto valore formativo penso che siano quelle dei “moralisti”: ispirati da Fedro e da Esopo. Ispirato e “imitatore” dei due più “classisi” di lui, La Fontaine dipinge in modo così amaro un mondo in cui l’egoismo, l’ingratitudine, l’invidia, la brama di potere, l’ipocrisia e altri difetti tipici degli esseri umani, prevalgono sui buoni sentimenti. Le sue non sono, dunque, affatto “favole a lieto fine”, ma “ammonizioni”, consigli per un’etica più giusta.
Del resto, a gurdar bene nel fondo dell’animo umano, i “moralisti” non si sbagliavano.
Certo, ai bambini non si può trasmettere una visione del mondo così amara, ed è per questo che per loro esistono ALTRE fiabe. Comunque anche le “nostre”, dico per esempio POLLICINO, in cui i bambini sono abbandonati dai loro genitori, “perdono la strada”, incontrano cattivi che vogliono ucciderli, come l’orco che “decapita” le sue dodici dolci orchessine anzichè Pollicino e si suoi fratellini…non fanno così tanto “sognare”, ma ci facevano molta paura, da piccoli.
Di questi tempi, invece, i genitori cercano di non far leggere l’originale versione di queste fiabe, perché decidono che i bambini si “spaventano” troppo. E noi ci spaventavamo davvero.
Ma che senso ha modificare il finale di queste fiabe?
Nella versione della Disney di “Notre Dame de Paris” Esmeralda non muore. Certo Hugo non ha scritto una “fiaba”, ma perché si ha tanto timore che i bambini si “spaventino”?
Anche PINOCCHIO ci faceva paura e a me, personalmente, non è mai piaciuta questa fiaba. Ma certo aveva intenti “formativi”, credo.
Bene ha fatto chi ha ricordato La Fontaine, Fénelon… Però qui la favola e la fiaba si allontanano un poco da Esopo e Fedro, dalla loro scarna essenzialità, dalla loro valenza sapienzale… ricamano con le forme e ci fanno indovinare una società corrotta e mondana, che delle fiabe fa un innocente divertimento. Pensiamo alle favole e fiabe settecentesche, in cui ci sono anche ammonimenti ai cattivi regnanti, avventure piratesche, peripezie infinite – d’altronde siamo nell’epoca in cui vengono riscoperte le Mille e una notte…
Io amo tanto le fiabe di Oscar Wilde, di una delicatezza senza fine. “Il gigante egoista”, “Il principe felice”… e perché no, anche “Il fantasma di Canterville”.
se c’è un aspetto delle favole che adoro è il fatto che si raccontano, cioé che si prestano ad una oralità primogenia smarrita e che nei toni della voce di chi racconta si nasconde tutta la meraviglia e l’attesa…sono mamma ed ho passato molto tempo a raccontare, modificandole favole ai miei bambini…ogni volta, ritrovavo anche la mia bambina smarrita!! era divertente ed educativo…Le preferite dei miei bambini erano: la Sirenetta, perché facevo la voce incantatrice divertendomi da matti…e Peter Pan perché raccontava un mondo a misura di bambini o di adulti bambini!!!
Grazie a Francesca, Roberta e tutti voi… e naturalmente a Salvuccio, la “star” di questo post…
Vi saluto così:
=:-)
Le fiabe dei fratelli Grimm+quelle di Perrault: le prime fanno pensare ai quadri di Bruegel il Vecchio( perché spesso nelle copertine di queste fiabe è riportato un suo quadro quasi a suggerine l’ambientazione), trasmettono un’atmosfera così cupa, che fa pensare a un mondo di boscaioli affamati ( anche i genitori di Hansel e Gretel, oltre a quelli di Pollicino, abbandonano i propri figli nel bosco perchè non hanno di che sfamarli); le seconde – che forse hanno punti in comune con le prime- penso a Cappuccetto Rosso, ma non ne sono certa – con personaggi la cui Astuzia prevale sugli altri pregi: se si pensa al “Gatto con gli stivali” ( = Le chat botté, in francese= Il gatto “stivalato”), per esempio, la “furberie” del personaggio principale sfida quella dei migliori “furbi” del teatro di Molière.
@Salvo
Penso di interpretare anche la volontà di Massimo, se ti invito ad inserire la tua versione de “La piccola fiammiferaia”.
La aspettiamo:)
LA PICCOLA FIAMMIFERAIA.
I miei piedi sprofondavano nella neve, ogni passo mi costava una fatica enorme. Il cielo plumbeo era un gigante con le fauci spalancate pronto a inghiottirmi. Tempo da lupi quella notte a Copenaghen. Attraversai la strada nel punto dove immaginavo dovevano esserci le strisce pedonali. Anche se non passava alcun veicolo, ci tenevo a comportarmi da cittadino per bene. Riprese a nevicare e in breve il mio cappotto si tinse interamente di bianco. Pensai che in quel modo mi sarebbe stato più facile mimetizzarmi all’ambiente. E anche alla folla, se ci fosse stata la folla. Solo che non c’era in giro un’anima viva, con quel tempo tutti avevano pensato di starsene al calduccio dentro le loro case. E a ragione direi, visto che io, unico incosciente, stavo battendo i denti per il freddo. Intorno a me vedevo solo neve.
Andavo alla ricerca dei ricordi, rincorrevo gli anni giovanili, l’atmosfera magica delle letture di Andersen. Volevo tastarle con mano le sue storie più belle. Per questo vagavo solitario nella notte, a rischio della mia stessa vita. In quel momento ero l’unico padrone della città, anche se l’avrei barattata volentieri con una stufa a gas o una coperta termica. Volevo spingermi fin sulle rive del mare dove sorge il monumento alla Sirenetta, omaggio al grande scrittore; dolce nereide accoccolata sullo scoglio, con lo sguardo perduto verso l’orizzonte. Ma la neve mi arrivava ai polpacci e cercai con lo sguardo l’insegna luminosa del mio albergo. Meglio non esagerare. Il mio cervello si stava congelando e quando, poco dopo, mi capitò lo strano incontro, lo addebitai proprio ai primi disturbi di circolazione: la vecchietta se ne stava raggomitolata contro il muro, in modo da offrire meno spazio possibile all’aria gelida. Teneva una scatola in mano e mi guardava con occhi supplichevoli. Non potei evitare di fermarmi. “Cosa ci fate fuori, tutta sola, nonnina, con questo tempaccio?”.
La sua vocina era flebile, un sussurro appena: “Vendo accendini, signore. Per vivere devo lavorare. Vado fuori perché a starmene in casa non me li comprano”.
“E a chi li vendete, se è lecito, visto che in giro non c’è nemmeno un cane?”.
“Voi ci siete, compratemene uno”.
La sua figura esile, delicata, quanta compassione mi ispiravano. Mi portavano ai miei anni infantili, quando mia madre mi raccontava la storia della piccola fiammiferaia. Glielo dissi e la sua risposta fu sorprendente: “Io sono la protagonista di quella fiaba. Io vendevo i fiammiferi ai passanti”.
“Oohh, ma voi vendete accendini!”.
“Giovanotto, i fiammiferi non rendono più. Con questa umidità non funzionano, chi volete che me li compri?. La gente preferisce andare per le spicce e un accendino è senz’altro più comodo”.
“Ma quella…quella…era una bambina, mentre voi, perdonate, siete piuttosto avanti con gli anni”.
“Anche le favole invecchiano, e così pure i suoi protagonisti. Del resto tutto muta, tutto si misura con le leggi del tempo. Volevate che rimanessi bambina a vita? Sarebbe piaciuto anche a me, ma purtroppo devo sottostare, come tutti, alle regole della natura”.
Il suo discorso non faceva una grinza. Ancora sotto l’effetto della sorpresa, comprai tutti gli accendini e la esortai a tornarsene a casa.
“Ti ringrazio, figliolo. San Gennaro ti benedica”.
Dopo, in albergo, qualche dubbio mi venne, anche perché la vecchina, ora che ricordavo bene, aveva un inconfondibile accento napoletano. E gli accendini, ce ne fosse stato uno che funzionasse!
@salvo accidenti potevi dirlo di aver incontrato mia nonna…..:-)
bella storia,grazie.
@Francesca Giulia. Strano. Ero convinto di aver incontrato tua nipote.
@salvo (:-) attento uno di quegli accendini potrebbe miracolosamente lanciare una fiamma verso la tua lingua biforcuta…con l’aiuto di san gennaro!
🙂
@ F.G. Ok. Chiedo perdono. Di’ a San Gennaro di soprassedere per questa volta.
LA RAPPRESENTAZIONE DELLA DIVERSITà NELLA FIABA
Le fiabe, così come di fatto le favole, sono un retaggio che ci portiamo dentro sin dall’infanzia; rappresentano delle sfaccettature fantastiche di una realtà altrimenti inesistente che si sviluppano, nel suo narratore, con lo scopo di creare nel bambino un atteggiamento ottimistico e positivo nei confronti della vita, spesso entrando, volutamente, in contrasto con quelle che poi sono l’esperienze reali del bambino.
Così, la fiaba appartiene a quel filone letterario che più di tutti si presta ad aiutare il bambino a costruire una propria visione del mondo; il bambino, in tal modo, acquisisce, condividendo, un sistema di valori, attraverso esperienze e percorsi interiori, che il narratore descrive utilizzando un linguaggio simbolico, ma immediatamente fruibile per un fanciullo.
L’utilizzo di un linguaggio simbolico permette al narratore di celare aspetti della realtà troppo crudi o sgradevoli per un bambino, senza per questo rimuoverli, così il bambino attraverso uno sforzo interpretativo, giunge a conoscenza dei fatti più crudi della realtà, ma mitigati da una narrazione che porta in sé il magico mondo della fantasia e dell’immaginazione.
E’ dunque naturale che un concetto complesso come quello di diversità, assume spesso nella fiaba una veste simbolica, tale da giungere al bambini solo attraverso uno sforzo interpretativo.
Per diversità, ovviamente, s’intende tuttociò che si scosta interamente dalla norma e che quindi, per definizione differisce; ma è interessante notare come nelle fiabe la diversità pur manifestandosi nelle sue forme più accentuate, si trasforma in un vantaggio per il protagonista, il quale riuscirà, grazie ad essa, a conseguire successi che, senza esprimere la propria diversità, non avrebbe potuto ottenere.
Sono molti i racconti, appartenenti alla tradizione fiabistica, in cui la rappresentazione della diversità, si fa strada all’interno della fiaba, divenendo la protagonista indiscussa e l’elemento strutturale, intorno a cui ruotano le vicende in essa narrate.
Per fare un esempio concreto basti pensare alle fiabe dei fratelli Grimm in cui un luogo ricorrente è la rappresentazione di personaggi che a causa di un maleficio o per una punizione vengono trasformati in animali (si pensi alle fiabe: Il principe ranocchio e Fratellino e Sorellina), la cui metamorfosi, attraverso il processo simbolico, permette facilmente di essere associata, nella realtà, ad un incidente o una malattia che rende diversi. Ma connotato comune di quasi tutte le fiabe è che alla fine il diverso verrà salvato dall’amore, per il quale otterrà la piena accettazione, unici elementi capaci di reintegrare il diverso nella società, restituendogli la sua umanità.
Quindi da quanto detto finora la diversità sembra trovare nella fiaba il terreno fertile per germogliare nei modi e nei tempi più disparati, anzi spesso addirittura “fiaba e diversità” sembrano diventare un tutt’uno, forse proprio perché nella fiaba nulla è reale, tutto è diverso da ciò che ci circonda nella vita reale e tutto sembra ruotare intorno ad una dimensione quasi paraonirica, fra conscio e inconscio.
Ma se “diverso” è ciò che si discosta dalla norma, la fiaba dal canto suo, per definizione, sembra sovvertire completamente la norma (poiché porta con sé, per estensione del termine, l’irreale), sposandosi in un ambito in cui la diversità deve per forza di cose impregnare il racconto, quello spazio senza tempo, ne contorni che poi più di tutti ci permette di esprimere e di esprimerci per non essere sempre uguali e quindi…”normali”.
Caro Massimo ,apprezzo molto il tuo blog e solo se fossi capace di fare una “cosa”minimanete similare ,ne aprirei uno mio ma….Non riesco però a leggere tutti gli interventi per motivi che non sto a spiegare e allora ripeterò il già detto.Amo molto le fiabe ,poco le favole che danno insegnamenti morali.Tra le fiabe sono ancora oggi innamorata di Peter Pann e di Pollicino .due figure così emblematiche,l’uno che vuol continuare a vivere nella fantasia senza costrizioni,l’altro che si arrangia ,lotta e combatte da solo.A mia nipote però ,piccolina,racconto Cenerentola e Biancaneve :le altre come Cappuccetto o il Principe Felice la intristiscono.Allora invento e mescolo..
Grazie per gli stimoli
Tinti
@Salvo: !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Ahahah.
La tua indagine sulle fiabe e sulle favole mi ha fatto ricordare il cunta-storie cavalleresco Giuseppe Celano che a Palermo, in vicolo Pilicelli si guadagnava il pane raccontando storie cavalleresche e paladinesche e sul quale nel nel 1984 scrissi un articolo sulla rivista “Dimensione Sicilia” .Celano ,secondo la differenza che fa il Pitrè tra cuntasorie cantastorie, era un cuntastorie.
Celano che voglio ricordare, in piazza Concezione al Capo, dietro il Palazzo di Giustizia raccontava i “cunti che Agatuzza aveva raccontato al Pitrè, ma soprattutto le gesta dei Paladini,traendo le parole dai copioni del libro de Lodico. Celano era capace, pur non avendo neanche la licenza di terza elementare , di raccontare per filo e per segno le “gesta francor” specie la battaglia di Roncisvalle così come la descrive Ettore Li Gotti. I “cunti” dello zio Peppino Celano venivano ascoltati da una folto numero di persone tutti i giorni sia che piovesse o facesse caldo.
A volte sempre dalle stesse persone che ascoltavano volentieri anche cunti che già conoscevano.
E ciò ci fa pensare e riflettere mentre ci chiediamo se ancora oggi agli adulti piacciono le favole . Penso di si .ma quali favole? Io ogni tanto apro “le fiabe italiane di Calvino” e mi leggo “Uliva”.
una cosa che mi fa grandissima rabbia è il fatto che, nonostante l’editoria italiana per bambini e ragazzi sia tra le migliori al mondo, nonostante nel panorama editoriale vi siano illustratori, disegnatori ed autori di incredibile sensibilità, nonostante le librerie siano ormai ovunque e non solo peculiarità dei grossi centri abitati, nonostante tutto… sono ancora pochi gli adulti che trovano nel libro un ottima proposta di regalo per i bambini!!!
Mela Mondi: a Palermo credo che l’unico ad aver ereditato l’arte dei “cuntisti” sia Cuticchio, Mimmo se non erro, che ho ascoltato a Siracusa.
L’arte del cuntista (il cuntastorie, il narratore di cunti) è più difficile di quella del cantastorie, che ha l’ausilio della musica e del cartellone, cioè il tabellone con le scene della storia che racconta.
Il cuntista può solo aiutarsi con la variazione dei toni di voce, con le braccia, i movimenti delle mani.
La sua è un’arte che discende da quella degli aedi.
@Mela: la trasmissione orale, una forma di comunicazione di rara efficacia, che consente alle tradizioni di non perire. Purtroppo, oggi nessuno ha orecchie per ascoltare.
@Maria Luisa Riccioli: da voi forse c’è ancora qualche “cuntista”. Da noi se n’è persa perfino la memoria.
@Paola. Sono d’accordo. Si dovrebbe fare molto di più per stimolare i bambini alla lettura. Spronare i bimbi alla lettura, leggere loro fiabe e favole è fondamentale per formare i cittadini di domani. Educare alla lettura significa abituare il bambino ad avere maggiore consapevolezza nelle scelte, ad avere meno paura delle differenze, conoscere mondi e civiltà diversi per imparare ad essere più tollerante. Chi legge affina il proprio pensiero ed è sempre pronto a stupirsi, a migliorarsi. Ecco perché occorre promuovere eventi e iniziative che coinvolgono i minori, entusiasmandoli ma senza forzarli o limitarli nelle scelte. Le scuole (e gli insegnanti di buona volontà) possono fare molto in questo senso rapportandosi e confrontandosi con le altre realtà che operano per la promozione della lettura, coinvolgendo genitori ed enti pubblici nello sviluppo dei loro progetti. E utilizzando tutti gli strumenti necessari: emeroteche, audiovisivi, periodici di informazione, letture animate, corsi di aggiornamenti, incontri con operatori ed autori.
@Salvo: aggiungo che se a leggerle sono i genitori, si rafforza nel bimbo il legame affettivo, lo fa sentire partecipe della famiglia. Però, spesso i genitori si interessano d’altro.
Poche cose sono migliori delle favole.
Mi piaceva inventare “storie” già da piccola, non ho mai smesso di farlo e dopo la nascita dei miei figli ho preso la passione più seriamente. Ne sono nate raccolte di racconti, come “L’ ALBERO LAURA” Maremmi Editore 2006 e “TURUL CHE DIVENTO’ UN UCCELLO E ARAL CHE DIVENTO’ UNA FOGLIA” http://www.ilmiolibro.it 2008. Scrivo racconti per i bambini pensando agli adulti, che pure bambini sono stati, ma sembra non lo ricordino. I miei sono racconti che affondano le radici nella realtà, che con l’aiuto della fantasia trasmettono il mio messaggio ai grandi. I bambini lo capiscono al volo, sono straordinari; lavorare con loro nelle scuole, leggergli le storie, vederli ascoltare ed ascoltarli, sentire i loro commenti, è la soddisfazione più grande in cui potessi sperare.
Io ho amato le favole di Oscar Wilde, lette e rilette non so più quante volte.
Ho fatto un saltino anche nello specifico mondo degli adulti, con “Volevo solo essere Serena”Azimut 2008, ma alla fine mica lo so se non è una favola…
Forse, quando scriviamo, scriviamo comunque favole.
@Savina Trapani:
è interessantissimo il rapporto tra NORMA e FAVOLA.E ciò a diversi livelli.
– Da un lato, infatti, la visione magico-animistica della realtà, è tipica del bimbo che filtra gli avvenimenti attraverso quella che Piaget chiama la “mentalità magica”.
In base a questa mentalità l’enunciato linguistico ha valore NORMATIVO perchè è la parola che evoca l’evento, lo provoca (PRO-VOCAT, nel senso di chiamare a se’).
Il bimbo si affida all’enunciato fabuloso assumendolo a REGOLA perchè crede profondamente nel potere della parola.
– Dall’altro, nella tramatura di una storia il bambino può dare libero sfogo al desiderio di trasgressione (tipico dell’essere umano) e – attraverso esso – all’apprendimento della NORMA. Se Cappuccetto Rosso disobbedisce alla mamma e trasgredisce, va incontro al lupo. Sarà il cacciatore a riportare l’equilibrio. Ma, nel frattempo, il bambino avrà appreso ciò che deriva dalla rottura di un limite (la disobbedienza), e avrà compreso la PROFONDA NECESSITA’ della NORMA.
—-
La favola è quindi strettamente legata al valore NORMATIVO dell’esperienza umana.
La produce attraverso la parola (le formule magiche che hanno potere sulle cose), la osserva nel momento dell’errore e della devianza, la riafferma per ricomporre l’ordine perduto.
Vi ringrazio tutti per i nuovi commenti.
Un ringraziamento particolare a Savina Trapani che ha accolto il mio invito a pubblicare il suo pezzo tra i commenti.
Ringrazio Tinti, Paola, Mela Mondi, Lauretta… e tutti gli altri.
Salvo, Roberta…
sono un po’ turbato per la scomparsa di Bonaviri, ma vi esorto a portare avanti questa bellissima discussione (su un post a cui tengo molto).
Maria Lucia Riccioli- I Cuticchio non sono “cuntastorie”. Essi si interessano all’Opra dei Pupi a cui è stato dato il nome di Teatro d’Arte.
Quindi sono Pupari o opranti
-Gli studiosi della materiasottolineano che oprante e cuntista sono attori di due modalità diverse di raccontare anche se a volte entrambi possono avere come contenuto le stesse storie paladinesche. Tuttavia il mio Celano,morto nel 1973,raccontava sia fiabe, sia l’epopea cavalleresca.
Come dice il Pitrè, il cuntista cominciava lo spettacolo sempre alla stessa ora con il segno della Croce. Raccontava sempre nello stesso luogo per la durata di circa due ore Gli spettatori sedevano sulle panche o sul marciapiedi. Pagavano un granu ossia due centesimi di lira e seguivano con profonda partecipazione la narrazione. Nessuno andava via prima della fine poichè nel cuntu come nelle fiabe succede come nei giochi pirotecnici: si aspetta il colpo finale, ossia si vuole, con curiosità, conoscere come va a finire quella storia.
Non so di attuali cuntastorie se non di quelle autbiografiche che tanti personaggi raccontano in TV. La disaffezione al mondo della favolistica , del sogno, e dell’immaginazione impoverisce la personalità.
Il mondo delle favole e delle fiabe costituiva anche una opportunità educativa per far capire ai piccoli la distinzione tra bene e male. Io mi chiedo se i Simpson o Herry Potter svolgano adesso la stessa funzione.
Renzo Montagnoli
La tradizione orale è un patrimonio culturale che si dovrebbe coltivare
e su cui si potrebbero impegnare le persone anziane.
Ogni persona è portatrice di storia e sarebbe giusto che prima di morire la lasciasse in eredità alle nuove generazioni.
Si potrebbe istituire una banca di esperienze dove ogni persona al di sopra di settantanni potrebbe depositare la propria storia e dare la propria disponibilità a raccontarla nelle scuole, nelle Parrocchie ed in altri centri formativi. Potrebbe cosi far conoscere ai giovani le favole, le fiabe, i cunti delle generazioni precedenti.
Ciao a tutti. Forse mi sono allontanata dal tema ma è un tema che spinge oltre i suoi confini.
Complimenti all’intelligenza di Maugeri
@ Salvo Zappulla
dal tuo intervento capisco che non hai letto nè l’articolo di Elvira Seminara di sabato scorso su La Sicilia nè il senso delle mie parole.
Mi spiace…ma cosa c’entra chi scrive favole e le illustra con la tecnocultura?
Vorrei dire delle favole che preferisco: il Piccolo Principe di St. Exupery; il Principe Felice ed altre fiabe, tra queste, IL GIGANTE EGOISTA, di Oscar Wilde. ma ci sono anche favole di mia invenzione che mi piacciono. Ho avuto un rapido passaggio di vena favolistica, qualche anno fa’. La storia dei due bambini che vinti dal dolore per la loro situazione famialiare, decidono di strapparsi il cuore dal petto e restituirlo ai genitori. Ma loro non possono accetarli, sarebbe troppo. decidono di darlo alla iena Berenice, ma lei dice che pur nutrendosi di carogne, non puo’ accettare il loro cuore che darebbe agli umani un’occasione per alleggerire le loro colpe. Anche il maiale Gustavo, che pur essendo abituato a rotolarsi nel fango e nella melma, accettare i loro cuori feriti sarebbe macchiarsi di un delitto troppo grave. Non resta che il cane Birillo, ma Birillo li ha visti crescere come puo’ accetare i loro cuori. decidono allora di seppellirli nell’angolo piu’ remoto dell’orto. Ma gli anni passano; in un inverno freddo, la iena Berenice, ormai avanti negli anni, cesso’ di vivere: Gustavo fu macellato quando ebbe raggiunto un peso accettabile, non rimase che il cane Birillo, che ormai stanco e vecchio decise di chiedere alla prima carota se avesse visto i cuori feriti. La carota dice che bisogna chiedere alla rapa, e’ lei che vive da quelle parti dell’orto. la rapa dice che certo che li ha visto. Sono nel regno della fata dell’orto. Ma birillo chiede come mai in quell’angolo di terra non cresca ormai piu’ niente. e’ per ordine della fata dell’orto, dice la rapa, tutto cresce verso l’interno per dare allegria al giardino della fata dell’orto che ha dato ordine che, in quel piccolo angolo di terra, non cresca piu’ niente per dimostrare alla mondo che, sulla crudelta’ umana, non cresce piu’ neanche la gramigna.
@Rossella. L’articolo di Elvira Seminara non l’ho letto. Il tuo intervento sì.
E riconosco che il contrasto che hai voluto far rilevare va più in profondita della facile ironia con cui ho risposto. Però un po’ mi rode che si parli degli animali ( in questo caso dei cani) usando certi termini. Gli animali meritano più rispetto, e se sono diventati famelici e randagi per colpa dell’uomo, ancora di più. Ascoltare il canto degli uccellini la mattina è poetico, invita a sognare e a rifugiarsi in un mondo di quiete e beatitudine. Però, guarda caso, siamo tutti qui, a dipendere da questo strumento diabolico, che ci permette di comunicare in tempo reale a distanza, tra più persone, ecchisenefotte della mancanza di gestualità e dell’espressività del volto? Poesia e tecnologia sono incompatibili? Lo scrittore, l’illustratore, l’artista in genere dovrebbe starsene nel suo giardino fatato? In teoria potrebbe essere così. Però, siamo onesti: quanti sarebbero disposti a rinunciare ad avvalersi di questi nuovi dirompenti, prorompenti mezzi di comunicazione per far conoscere il proprio prodotto? Perchè in fondo di questo si tratta: di un prodotto. Pubblicare una fiaba comporta delle spese, spese notevoli, di cui si fa carico un imprenditore. Il quale, da buon imprenditore, si aspetta un ricavo. Altrimenti tutto il meccanismo si inceppa. Lo scrittore smette di fare lo scrittore e se ne va a contemplare gli uccellini. Capisco che può sembrare un discorso un po’ crudo, ma io che ho lavorato nel campo editoriale, so bene che ogni editore guarda con un occhio al bilancio e l’altro alla qualità. Le due cose devono camminare di pari passo. Quindi non ci trovo nulla di scandaloso se in un sito letterario chi scrive viene a presentare i prori libri. Fa parte del gioco.
@Carissimo Massimo,
io non conoscevo Bonaviri, ma mi dispiace per la sua morte.
Va bene, ci inviti a proseguire la discussione su questo post, in questo SPAZIO- LUOGO – BIANCO in cui ognuno di noi può parlare di sè, della sua esperienza, del suo punto di vista sul mondo e di ciò che scrive, se scrive poesie o racconti o altro.
E questo è molto bello.
Ho letto diversi libri di Giuseppe Bonaviri e questo è il posto giusto per ricordare le sue “Novelle Saracene”. Favole per bambini o per adulti/ bambini?.
E che dire de ” Il fiume di pietra”? ragazzini in terra di Sicilia.
Abbiamo perduto molto e ne sono profondamente turbata.
@Simona
grazie, avevo completamente dimenticato il percorso circolare e archetipico di alcune fiabe: ordine infranto affinché sia ri-stabilito.
Hai forse risposto, involontariamente, alla mia domanda di ieri: perché molti dei genitori d’oggi temono che i loro figli “abbiano paura” e, quando gliele fanno leggere o raccontano, sconvolgono il finale delle fiabe, capovolgendolo?
Perché non sanno più “educare” i propri figli.
Non dico questo per offendere nessuno, ci mancherebbe, né lo dico in modo polemico, ma solo per riflettere su questo argomento.
Ho la sensazione ( e la deduco dall’osservazione del comportamento dei figli dei miei amici+ dei miei nipoti ecc) che si voglia troppo “preservare” i bambini, non raccontando loro nulla di “vero” (intendo la simbologia del “vero” che si nasconde dietro il significato profondo delle fiabe).
Immagino che qualcuno mi scriverà che non lo capisco perché “non sono una mamma”. Sì, l’ho già sentito: vi prego, non ditelo.
Mi piacerebbe ricevere una risposta sul contenuto della domanda, senza che si sposti la prospettiva sulla “persona” che la rivolge.
Si possono capire i meccanismi del pensiero dei bambini ( e quello degli adulti) pur non essendo mamme.
Perché: non trovate che ci sia qualcosa che “non quadra” nell’educazione in generale, quando, su cinque bambini incontrati separatamente con i rispettivi genitori a fianco, cinque (che abbiano l’età per rispondere a un saluto) non rispondono al saluto?
“Mario, saluta la zia” – dice la mamma- guardando me ( la zia).
Mario non risponde e fa “il muso”.
La zia guarda “sconcertata” il viso dei genitori, ma non dice nulla.
Frase aggiuntiva dei genitori: “Scusa, sai, ma oggi non ne ha voglia di rispondere: ha il malumore, l’abbiamo svegliato ed è irritato”.
“Ah, capisco. Ciao” – risponde la zia.
@ Salvo: ci sono moltissime biblioteche che si stanno attivando, proponendo al pubblico dei piccoli lettori spazi adeguati, simpatici e curiosi, attività ludico-educative, momenti di lettura e di intrattenimento con lettrici… Lo stesso dicasi per le scuole elementari che attraverso mirati progetti didattici, stimolano i bambini alla lettura consapevole…
Te lo posso dire in quanto io stessa sono spesso incaricata in qualità di lettrice di libri per bambini, a svolgere nel mio piccolo molte di queste attività.
Purtroppo però questa è una realtà molto spesso secondaria… a tratti sconosciuta. La biblioteca è ancora vista come un ente a servizio di un pubblico già adulto… pochi sono infatti i genitori che leggono ai propri figli (il più delle volte per mancanza di tempo) e ancor meno quelli che accompagnano i bambini nelle biblioteche.
C’è ancora molto da fare, specialmente se si vogliono raggiungere obbiettivi al pari di realtà del nord Europa! Ma siamo sulla buona strada… e già questo è un risultato!
@roberta cara roberta,io non ti dirò che non capisci perchè non sei mamma,perchè credo fermamente nel ruolo educativo che svolgi e nel dialogo che debba esserci fra voi insegnanti e noi mamme,famiglie in genere.Dici una sacrosanta verità quando affermi che c’è qualcosa che non và nel modo di educare da parte dei genitori,lo penso anch’io!E’ molto più facile e comodo parcheggiarli avanti ad una playstation o televisione piuttosto che parlare o raccontare favole, così come è più facile dire di sì perchè il no và motivato e fatto rispettare,perchè attraverso quel rispetto si insegna ai bambini a rispettare gli altri e anche ahimè a salutare rispondendo al saluto della zia. Io ,farò mille errori, ma preferisco nutrire i miei figli con dialogo e anche i “no”,al rispetto e all’educazione, alla lettura e alla condivisione,così come al sogno e al progetto comune. Ecco perchè la sera quando siamo a tavola insieme stacco il telefono perchè quel momento sia solo nostro senza interferenze. Ma purtroppo siamo pochi e i miei figli si muoveranno in tutt’altro ambiente,spero che i principi che con tanta fatica abbiamo tentato di trasmettere noi genitori li facciano essere capaci di scegliere persone come loro ad accompagnarli nel cammino della vita. Sai cosa mi fà arrabbiare?Quando qualcuno mi dice “sei fortunata tu perchè i tuoi figli sono diversi”,come se il lavoro,l’amore e il tempo dedicato non fosse esistito e tutto sia “una fortuna”. Poi li guardo questi personaggi che credono che la vitasia tutta fortuna e li vedo pigmei dell’anima che non s’innalzeranno in volo mai perchè è più facile dire tanti sì e vivere comodi senza favole.
un bacione
@Francesca Giulia,
sì, hai ragione. Molti sono i genitori che si dedicano con cura allo sviluppo affettivo e cognitivo dei propri figli; altri non lo fanno per mancanza di tempo; alcuni per mancanza di volontà, credo; altri perché neppure a loro è stato trasmesso nulla e non riescono a farlo.
Ciò che tu trasmetti ai tuoi io credo sia come i “sassolini” di Pollicino: segni un percorso, una strada da seguire e in questo LORO sono “fortunati”, perché avere mamme così è bello e fa crescere bene.
I genitori ( ma anche altri educatori in senso più lato) che non sanno “segnare la strada” in molti casi, ripeto, non lo fanno perché neppure la loro è mai stata “segnata”.
L’episodio della “zia” lo dicevo solo perché mi dispiace: magari una zia arriva con un bel regalino e il piccino non ti dice neanche grazie. Eh, a me non succedeva da piccola, perché incontravo gli occhi sbarrati di mia madre che significavano subito: “Saluta e ringrazia immediatamente la zia” ( a parte che i miei fratelli, miei cugini ed io adoravamo le nostre zie; forse si è persa anche questa dimensione dell’importanza del “parentado”. Boh, non so. Magari sembro troppo nostalgica dei “nostri bei tempi”e non è così. Penso alle “elefanti-zie” – RICORDI? Ne parlammo….- che sono così importanti nel “gruppo”sociale).
Ps: però se il piccino è di “buonumore” porta alla zia i suoi animaletti di plastica e insieme (mamma presente) ti spiega le figure del libro!
Io regalerò ai miei nipotini “Lo sciopero dei pesci” di Salvo+ intramontabili altri classici….
Baci anche a te
Cari amici, vi ringrazio – come d’abitudine – per i vostri nuovi commenti.
Leggendovi imparo sempre molto.
@Roby. Ma che caruccia! Ti faccio spedire subito 50 copie, so che hai una famiglia molto numerosa
@rob ma sì lasciamo stare il piccino,lo capisco che era un sfogo,le zie sono molto importanti,così come i parenti nel loro insieme rappresentano i primi rapporti d’amicizia per i piccoli,la famiglia può essere una grande forza sempre che ci sia rispetto e amore fra le persone.Ripensando a ciò che hai detto sullo stravolgimento del racconto delle favole,se succede credo che sia effettivamente un modo per “proteggere” eccessivamente i figli dalle brutture che poi inevitabilmente scopriranno nella vita.Il problema è proprio questo:io nella semplicità credo che sia sempre meglio parlare e far conoscere tutta la realtà,magari anche attraverso l’uso del raccontare,accompagnando sempre le storie,laddove ce ne sia bisogno, da sincere spiegazioni anche di concetti difficili come la vita e la morte. I bambini sanno comprendere e elaborare i concetti molto meglio di quanto spesso credano i grandi.Io ho sempre parlato di tutto,senza fare del terrorrismo sociologico,anche mostrando le fragilità che abbiamo noi adulti e i contrasti,ma facendo intuire che il lieto fine possiamo crearlo sempre nella nostra vita anche quando pensiamo non ci sia.
P.s.Lo regali anche a me il libro sui pesci di salvo?:-)
p.s.2. Non sempre chi non ha avuto la strada segnata non è capace di segnarla ai figli,anzi,la privazione nella vita può aiutare a capire meglio il senso del dare e il significato dell’amore genitoriale.
baci
Caro Massimo, non so nulla di Bonaviri ma, come diceva un famoso scrittore americano: quando suona la campana, non ti chiedere per chi, la campana suona per tutti.
Caro Salvo,
ti faccio tanti complimenti per la tua favola “Lo sciopero dei pesci”. Spero di leggerla presto. Sono stato sempre un amante delle favole – una gioia da godere anche con gli occhi, attraverso meravigliose illustrazioni, e con le orecchie, attraverso la lettura ad alta voce, preferibilmente da condividere in uno spazio sacro dedicato alla narrazione magica. I bambini di oggi – potrà sorprendere qualcuno – rimangono incantati al cospetto d’una favola al pari dei bambini di cinquanta, o forse cento o mille, anni fa.
Ho apprezzato molto, come già ti dicevo, il tuo romanzo “Il mostro”, letto pochi mesi fa, il quale ha il tocco delicato della favola. E la tua irriverente “Piccola fiammiferaia” mi ha adesso donato un sorriso che fa tanto bene.
Un abbraccio,
Gaetano
@Gaetano carissimo. Immagino la tua tristezza in questo momento per la scomparsa di Bonaviri, persona e scrittore a cui eri molto legato. Io, oltre ai tuoi splendidi racconti, (non mi stancherò mai di ripeterlo) ho apprezzato la signorilità tua e della tua compagna a Roma. Spero di rivederti in estate, qui in Sicilia. Ti invito fin da ora a cena “Dal lebbroso”, una trattoria tipica siciliana nel cuore di Ortigia.
Un abbraccio anche a te.
@Franc
Cara Franc, sì, certo, ti regalo il libro sui pesci di Salvo:)
Immagino che ti piacerebbe.
salvo è simpaticissimo e da come scrive i post secondo me anche i suoi racconti,favole,storie devono essere altrettanto belli!Io poi adoro i pesci e il mare,come ti ho detto rob altre volte,facevo immersioni e ho ricordi meravigliosi legati al mare…una volta ero in acqua in mar rosso e mi sono voltata dopo che il mio compagno di immersione mi indicava con la mano la mia sinistra,sai cosa c’era? un muro fitto fitto di di pesci,di barracuda argentati che non lasciavano intravedere più l’acqua tanto nuotavano vicini l’uno all’altra,insomma non l’ho mai più dimenticato…
w il mare e chi ce lo racconta facendoci sognare!
un bacione a tutti
Eh, ma che clima idilliaco. Anche a me è capitato, durante un’immersione, di trovarmi accanto un essere mostruoso di proporzioni gigantesche: sono rimasto paralizzato dal terrore. Una balena? Un’orca assassina?. No. Mia suocera era caduta in acqua.
F.G. Dopo le belle parole che hai speso nei miei confronti, credo dovrò regalarti un mio romanzo. Eh va be’, crepi l’avarizia.
Cara Franc, read the Bonaviri’s passage about Spring: a me sembra che solamente amando molto la natura si può descriverla in modo così poetico che quei petali di mandorlo, poi, li rivede la mente.
Per il mare è la stessa cosa.
Eh, Salvo racconta sempre tutto con molto umorismo, ma nei suoi racconti c’è sempre la velata preoccupazione che un giorno tutta la “magia” dei petali di mandorlo, così come quella del mare, non ci saranno più e ci sarà solamente quel “frenetico egocentrismo” (di cui parla Bonaviri) che è davvero così “pernicioso”.
@Roby. Non mi fare arrossire.
Carissima Roberta,
condivido ciò che dici. Anche se il bambino è recalcitrante (in apparenza) di fronte al limite, al no, alla barriera, in realtà cerca proprio -e disperatamente – quell’argine, perchè entro uno spazio delimitato si sente più sicuro e protetto.
Infatti sarà proprio quella sicurezza a consentrgli di allontanarsi, di iniziare il viaggio dell’autonomia, quella grande avventura che è crescere, separarsi (bellissimo, a tal proposito, il saggio di Asha Phillips: “I NO CHE AIUTANO A CRESCERE”, Feltrinelli).
Come dice Rainer Maria Rilke:” noi quando amiamo abbiamo solo questo da offrire: lasciarci. Perchè trattenerci è facile, e non è arte da imparare”.
La natura per poterla raccontare bisogna conoscerla, respirarne gli odori, il profumo di resina. E i colori delle stagioni, le sfumature del cielo, lo sfavillio dei fiori a primavera. Bisogna assorbirne la ricchezza e farne dono attraverso la scrittura a chi ha vissuto sempre lontano da questo patrimonio. Due anni fa Mario Rigoni Stern al Salone del libro di Torino, esordì la sua conferenza dicendo: “Sono venuto a piedi dall’albergo fino a qui. Quanto traffico! Quanto rumore! Come vivete male in città”. Ci fu un’ovazione, il pubblico si alzò in piedi ad applaudire. E’ un ricordo bellissimo che mi è rimasto impresso nella mente.
@Simona
Cara Simona, sì: è proprio così. Thank you a lot:))
E’ doloroso sia per chi educa che per chi è educato, ma è proprio la “barriera” che ci fa sentire protetti. Grazie: se non ti spiace, farò mia questa tua frase e la riproporrò ai miei cugini… ( sempre che non mi lancino addosso il “martello” che PINOCCHIO ha lanciato addosso al GRILLO PARLANTE….. e a proposito: è vero che anche questo particolare del “grillo schiacciato” è spesso “rimosso” dalla fiaba? O forse ricordo male.. Gli lancia un martello??)
Un abbraccio
sai salvo è proprio vero ciò che dici,a volte per sostenere il ritmo frenetico della mia Napoli devo ricordare un cielo,un profumo,un volo di uccelli,le profondità scure del mare,mi sembra tutto così distante poi mi volto verso il mare e un riflesso mi acceca lo sguardo e rivivo la magia per cui anche qui nel traffico e nel caos cittadino non mi pare così lontana la natura.C’è sempre qualcosa che palpita e respira accanto a noi, spesso non abbiamo più orecchi e occhi per sentirla e ammirarla.
@simona e rob “la barriera” mi ricorda proprio qualcosa che ha a che fare con il mio mare.Una ragazza scese in acqua per la prima volta in un mare trasparente e cristallino in un’isola remota della Polinesia con l’istruttore che si chiamava dominique,lui portava un gruppetto alla prima esperienza in acqua e disse “chi vorrà risalire mi farà un gesto con il pollice verso l’alto chi vorrà continuare mi dirà ok”!rimasero in due,dominique e la ragazza,lei sentiva il proprio respiro sibilare nell’erogatore e le gambe fluttuare nell’acqua calda poi sempre più fredda via via che si scendeva. Arrivarono in un punto dove lui si fermò come un astronauta a mezz’aria con le pinne gialle lunghe che lo tenevano fermo, di fronte a loro la “barriera” corallina li proteggeva dal blu, quello più scuro dove l’occhio non arrivava a veder l’orizzonte e si perdeva nella paura dei sogni. La ragazza si sentiva sicura eppure più guardava il blu oltre la barriera più il cuore sembrava schizzarle fuori dalla muta,lui fece il segno dell’ok e lei rispose l’ok,poi comparve un’ombra lunga e affusolata al lato della barriera,poi un’altra e tante altre dietro come fantasmi silenziosi si avvicinavano a loro. Erano squali. Dominique aprì il sacchetto che teneva legato in vita e allungò sulla punta della pinna gialla brandelli di pesci che spinse con decisione verso i fantasmi,questi aprirono le bocche come bambini affamati e uno dopo l’altro mangiarono tutto ciò che gli venne offerto da chi stava al di là della barriera.Fu tutto molto naturale come se fossimo stati seduti insieme ad un tavolo a festeggiare.La barriera non sempre ci separa da chi crediamo ci sia nemico,ma è una falsa separazione piuttosto un tramite per chi abita da una parte e chi dall’altra,un mezzo per farci incontrare.
perdonate il ricordo,ma è in tema di pesci e forse qualcuno ne trarrà ispirazione per altre favole. 🙂
buona notte a tutti
Cara Roberta…
com’è sano quel martello lanciato contro il grillo!
Segna quel difficile momento che noi giuristi chiamiamo il passaggio da una coscienza morale (e giuridica) eteronoma ad una coscienza morale autonoma.
E cioè da un rispetto della regola solo perchè dettata dal’adulto (o dallo stato ) , ad una adesione dettata dal sè, per scelta interiore, perchè la norma di condotta viene RICONOSCIUTA come buona, anche senza la approvazione o l’imposizione degli altri.
E’ una conquista così delicata ed essenziale nella vita di un essere umano, e al tempo stesso così faticosa e fragile, da definire il concetto di “felicità”.
La coscienza morale di un uomo (così come la coscienza giuridica di uno stato) si fonda tutta su questo viaggio da un’imposizione esterna a una adesione interna.
Diciamo che il grillo smette di gracchiare dall’alto della credenza e s’intrufola all’interno del cuore….
Un bacio grande anche a Francesca Giulia e ai suoi pesci….
@Simo. Vorrei vederti, dal vivo, andare a baciare uno squalo.
Le favole sono importanti. E lo sono anche da adulti. Io dico sempre che non voglio mai rinunciare alla mia ‘anima bambina’. Credo sia una parte molto importante di me.
Lo sciopero dei pesci è una bellissima favola con un fondo di morale che non guasta mai e che è utile per fare capire alcune cose ai bambini ma anche ai grandi che a volte dimenticano quanto sia importante il rispetto per la natura e per il mondo in cui viviamo.
Leggo negli ultimi commenti che viene molto apprezzata la simpatia e l’ironia di Salvo. Devo dire che lui ha questa particolarità che, per quanto possa sembrare ovvia non è da tutti, di scrivere trasferendo nei testi la persona che è, e tutto questo in modo semplice e naturale. Ciò rende le sue scritture avvincenti e vivaci. E Salvo è così anche nei rapporti umani.
A lui devo molto e lui lo sa. Non dico altro altrimenti s’imbarazza (!).
Comunico qui, anche se so che non è la sede giusta ma spero che Massimo mi perdonerà, che sta per uscire Pentelite 2009, la bellissima rivista letteraria a cui abbiamo lavorato insieme e che contiene interessanti contributi, anche di alcuni commentatori di questo blog.
Oltre che…
mi fermo qui. Lascio da parte qualche sorpresa.
Un caro saluto a tutti. m.
Grazie per i nuovi commenti pervenuti anche qui.
Ne approfitto per salutare l’ottima Morena.
C’era una volta, incomincia già con un rapporto sul passato per orientarci sul futuro e renderlo proprio, voluto, non dato al caso.
La vita ci prende fin da piccoli, sii buono e tenace ci dice, perché altrimenti non riuscirai mai a capirla e ancor meno a definirla a tua immagine e volontà.
C’era una volta, ha un valore anche oggi e varrà anche domani quando non abbiamo perso il contatto con la natura, simbolo della nostra dimora che non va alterata con violenza e rapidi, da non riconoscerla e perderla per sempre.
Allora è meglio tenersela nella mente, come ricordo, immagine riflettente i nostri bisogni sempre in contrasto con la realtà quotidiana.
C’era una volta, è simbolo nostalgico dell’essere stati una volta liberi senza usare violenza, liberi in unione con tutto ciò che ci circonda.
C’era una volta, è anche l’amore giovanile che mai svanisce e sempre ci accompagna come un desiderio appagabile solo nelle fiabe che la nostra mente sa costruire abilmente.
Amare e perdere questo amore intenso, superarlo solo con la forza della convinzione che la vita ci vuole forti, che l’amore , quello vero, non è di questo mondo e che si può coltivare solo nel nostro animo, sempre cercante di riviverlo anche dopo in un’altra persona il cui spirito si scopre simile al primo perduto.
C’era una volta è simbolo di condanna, di stato di schiavitù, servitù, perdita, riconquista per perdere di nuovo e credere di vivere anche così.
Non altro ci resta, che rassegnazione per il momento, e speranza che un giorno il c’era una volta diventi simbolo di quotidianità, perché abbiamo imparato a capirlo e conservarlo.
Educare un figlio, come dice bene Simona, significa prepararlo al lasciare la dimora di casa, per diventare adulto attraverso le sue esperienze, senza le quali non è figlio di questo mondo e non potrà mai contribuire a migliorarlo.
Sarà il tempo, dove tutte le dimore saranno uguali, perché dappertutto ci sentiremo a casa e il “c’era una volta” avrà perso il significato che conserva ancora oggi.
Cari saluti.
Lorenzo
@Grazie Lorenzo per i tuoi interventi sempre di grande spessore.
@Morena. E diciamolo pure, senza timore di sembrare vanagloriosi: quest’anno Pentelite, dopo i contributi nei numeri passati di Camilleri, Mistretta, Cacciatore e altre firme prestigiose, avrà l’onore di ospitare un articolo del grande, unico, inimitabile…Lui…la Letteratura per eccellenza: il mitico Massimo Maugeri
@Lorenzo
Caro Lorenzerrimo, ogni volta che scrivi qualcosa tu, a me trasmetti, non so come, un’immagine “leggera” della vita, “leggera” nel senso di “bella”, voglio dire. Per molte persone la vita è molto bella, ma è anche molto pesante, faticosa. Un giorno ci dirai il segreto?
Cari saluti anche a te:))
A proposito di fiabe e illustratori, vorrei segnalare tre fiabe illustrate da due coniugi russi ( io non li conoscevo fino ad oggi) Olga Dugina+Andrej Dugin. Le loro illustrazioni sono meravigliose, oltre ogni dire. Le fiabe: ” Il sartorello coraggioso”+ ” Le piume del Drago”+ ” Le avventure di Abdi”.
Inserisco il link in cui si possono visualizzare alcuni dei capolavori di questi due artisti. Come li trovate?
Ho visto, sempre sui siti dedicati alle loro illustrazioni, che sono stati fatti studi sull'”irrealtà” di alcuni disegni: a parte il “Drago con le piume”, nello stesso disegno c’è un “cubo” che “sorvola” la testa del Drago..
http://webmail.katamail.com/parse.php?redirect=http://www.illustratoren-online.de/Dugin
@ Salvo, grazie, detto da te, mi aiuta a continuare. Il mio segreto non è nel leggere molto, ma nel riflettere sulla vita e osservare il tutto senza fine, lontano da ogni influsso, estraneo o dettato da un ordine o consuetudine, che non sia quello di arrivare a un punto dove tutti i punti minori formano un mosaico, un insieme, e danno un senso buono.
@ Robertina
il segreto non esiste. È semplicemente la forza del mio animo che, sostenuto da uno spirito sano, mi rende sempre ottimista, anche quando incontro dolore e sofferenza.
In esse trovo sempre un senso di guida e sostegno perché nulla è senza di loro.
Non vivo per celebrarmi o godere, ma per imparare, e per farlo ho bisogno sempre del prossimo. È nel confronto con lui, che sento di essere e che devo impegnarmi per meritarmelo, ma anche lui mi deve meritare, altrimenti non funziona e crea squilibri.
Chiamalo pure stato di padronanza, ma è quella che deriva dal poter rinunciare, quando il caso lo richiedesse e sebbene la rinuncia crei in me disagio e delusione. Qui divento leggero, per superare e continuare sulla mia strada. Nella mia giovane età ho sofferto da credere di non poter più vivere.
Ad un certo punto il mio orgoglio ha avuto il sopravvento e ho superato la sofferenza, ridandomi più importanza.
Non ha senso di rendere la vita più difficile di quella che è. Il sostegno si trova nella preparazione accurata e nella volontà e coraggio d’impegnarsi. Da qui, la vita stessa diventa bella, perché si acquista buon umore anche davanti alle difficoltà che sembrano diventare poi più leggere e superabili.
La vita è effimera anche a chi la vuole vivere degnamente. Prima ti attira premiandoti col donarti molto, per poi un giorno togliertelo di nuovo, soprattutto quando ti sei abituato al raggiunto e devi riconoscere che non può essere sempre tuo. Che cosa ti rimane, se non la tua capacità di raggirarla e rivivere i momenti felici e di gloria nella tua fantasia, l’unica forza che neanche lei può toglierti.
Un caro saluto a entrambi.
Lorenzo
@Caro Lorenzo. Io ti invidio molto. Invidio la tua spiritualità, la tua maniera di rapportarti con gli altri e con te stesso, la tua filosofia esistenziale. Dai l’idea di un uomo che ha attraversato i sentieri della vita e, pur riportando ferite causate da rovi acuminati, ha imparato a curarle o quanto meno a conviverci. Io dai miei labrinti non sono ancora riuscito a uscirne e, anche volgendo lo sguardo al cielo, non riesco a vedere una luce che mi indichi la via. E ti assicuro, è brutto brancolare nel buio, contare esclusivamente sulle proprie forze, cercare un Dio che non si trova, vederlo rappresentato da uomini inetti che il più delle volte indossano una tunica come se andassero a un ballo in maschera.
@salvo nell’invidia “buona” è insito il desiderio di possedere lo sguardo di colui che invidiamo,perciò quello spirito e quella che tu chiami filosofia esistenziale di lorenzo in un certo senso ti appartiene già,la condividi perchè la desideri,è la tua naturale inclinazione alle cose della vita,il tuo buio è necessario come le cose che non si comprendono e che servono perchè solo così possiamo intravedere la luce dentro e fuori di noi,nelle parole che ci appartengono prima ancora di essere pronunciate,perchè il loro significato è dentro noi stessi. Quel significato ci lega a chi sà cogliere la nostra sensibilità e sa prenderci per mano nel buio,qualche volta, e non è affatto poco, quel qualcuno siamo proprio noi stessi. Questo contare esclusivamente sulle proprie forze non significa limitatamente contare solo su noi stessi,ma principalmente su noi stessi,è il passo più autentico e sincero per cogliere lo sguardo di chi condivide il nostro stesso sguardo sulle cose della vita,è il passo per uscire dal buio e vedere la mano che tende verso di noi,altrimenti nessun Dio basterà a darci la luce.E non guardare a chi crede che basti un abito per parlare di Dio,Dio esiste in ciò che l’amore ti rappresenta attorno e dentro,basta accoglierlo.
scusatemi ma mi sono intromessa con affetto e interessamento sincero.
buona giornata
@ Caro Salvo,
anche l’invidia può diventare una forza benevole.
Usarla, per spingerci a riconoscere i nostri limiti e decidere a limitarli, onde diventare più equi, con noi e poi con gli altri.
Prima di volgere lo sguardo al cielo, lo dovresti volgere in te stesso, e scoprirai che ne è il riflesso e il punto di partenza per convivere con il tutto. Dai a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio.
È un invito forte a costruire in te un mondo divino che nessuno può toglierti e che ti permette di accettare il mondo esterno così com’è, ma che ti stimola anche ad agire per dare testimonianza del bene, il che significa che il male perdurerà ancora, ma alla fine si dissolverà nelle mutazioni inevitabili dell’Universo.
Entrare nel buio è il primo passo da fare, è un invito a confrontarsi e a redimerlo, di modo che diventi luce, della quale anche lui ha bisogno.
La fede nel bene è il risultato di una lotta con se stessi, per riconoscersi e reagire alla conquista dell’equilibrio nel quale ogni elemento (buono e cattivo) è presente e accettato, riconosciuto per necessario, perché solo dal confronto sorge una coscienza migliore, e da lei una vita vissuta.
Ma credo che tu lo faccia con la tua scrittura, dove alla fine il bene viene riconosciuto per necessario e anche sostenuto. Senza il male da combattere, non avresti nulla da scrivere. Questa è la vita: confronto di contrasti che danno luogo a vicende umane percepibili per la nostra coscienza solo così.
Stiamo tutti nel buio come in un giogo obbligato, dove il cercare di uscirne da origine alla vita così com’è.
Un caro saluto
Lorenzo
giuro che io lorenzo non ci siamo messi d’accordo per la risposta… 🙂
@ francesca giulia
hai fatto bene a interferire tra Salvo e me. Hai spiegato con le tue belle parole come superare la propria ombra e vedere la luce, l’equilibrio e l’invito a vivere conforme allo stato cognitivo raggiunto.
Il punto di partenza è sempre l’amore, verso il prossimo nel quale cerchiamo ciò che ci manca e creare così unione e la natura che ci ospita.
Grazie e cari saluti
Lorenzo
@Franci, Lorenzo
Scusate, siete sicuri di aver capito cosa voleva dire Salvo?
@Simona
il tuo punto di vista è illuminante, quello sulla “adesione interna” alla legge morale. Se non fossi troppo ignorante e molto “arrugginita”, il tuo discorso mi farebbe pensare a Kant, ma non so perché.
Io ho sempre “parteggiato” per il Grillo, in Pinocchio. Non amo troppo la favola di Collodi, però quanto rimane impressa ai bambini; perché quel povero Grillo, quel povero Geppetto+ quella povera Fatina quanto hanno tribolato per la crescita di Pinocchio e quanto erano antipatici il Gatto e la Volpe (animali adorabili, fuori dalla fiaba..)
Un abbraccio
hai visto le illustrazioni dei coniugi Dugin? Sono strepitose.
se ho mal interpretato me ne scuso,ma magari salvo può dirci cosa intende quando parla di “buio” e “labirinti”,è chiaro che nessuno di noi, tanto meno io che ero anche fuori dalla discussione,mi ritenga tanto presuntuosa da essere uscita del tutto dai labirinti:mi nutro di dubbi per crescere.Però mi pare che non fosse tanto equivoco il messaggio di salvo,tu cosa hai interpretato roberta?
p.s.torno in serata…
Cara Franci,
no, è solo perchè il “vedere la luce” nell’esistenza, se dipende da una fede interiore, non si può “apprendere”, né trasmettere. Lo dicevo solo per questo. Magari ho capito male io. Ci spiegherà lui più tardi, se vorrà.
Se avrò il tempo, vorrei inserire qualche pensiero di Pascal, nel post sulla traduzione. Alcuni discorsi ( forse il “frenetico egocentrismo” di cui parla Bonaviri nella sua pagina sulla primavera) mi hanno fatto pensare a lui.
Allora a più tardi, speriamo.
Baci:)
Non riesco a vedere le imagini!
ML
http://www.illustratoren-online.de/Dugin
@Maria Lucia
Cara Maria Lucia, sono davvero belle, ora provo a inserire di nuovo il link- altrimenti si possono cercare sul loro sito cercando: Olga Dugina+Andrej Dugin.
Baci:)
Lorenzo+Francesca+Roberta.
Mi riferivo alla serenità che traspare dagli interventi di Lorenzo, i quali mi fanno pensare a un uomo che ha raggiunto una grande pace interiore. Una bella conquista. Naturalmente ciò non vuol dire che io ritenga di avere problemi a comunicare, né che sia un diavoletto ( O forse sì? Cavolo, comincio a nutrire qualche sospetto. Vado un attimo di là a controllare se mi è spuntata la coda).
L’invidia è intesa come desiderio di ambire alla stessa meta, quindi positiva.
Non credo di avere una grande “spiritualità”, ma ricordiamoci che spiritualità è un termine complesso che si presta a diversi significati. Vi può essere anche una spiritualità non specificatamente religiosa, che va al di là della dogmatica, della liturgia. Ritengo che ognuno di noi può avere una propria spiritualità e coltivarla interiormente in base alla propria esperienza esistenziale. Quando parlo di labrinti, mi riferisco allo stato di coscienza che sussiste in me (e in ognuno di noi), una costruzione estremamente complessa, la quale senza l’apporto della fede, fa leva esclusivamente sulle capacità intellettive, e quindi tendenzialmente materialiste. Da ciò l’amara consapevolezza di essere destinato a rimanere impotente di fronte al mistero della vita.
Dio, che discorsi! Il mio povero cervellino è in panne. Mi preparo una doppia razione di pappa reale. E pensare che siamo partiti da un’innocua favoletta sui pesci).
@Francesca Giulia. Non ti sei intromessa tra me e Lorenzo, il dibattito è aperto a tutti e ogni intervento lo arricchisce.
@Roberta. Permettimi un abbraccio così grande da attraversare il mare. Mi stai seguendo con l’affetto di un tutor. Non poteve scegliermi madrina migliore.
Gli stessi teologi distinguono tra fides quae creditur, cioè dogmi e precetti, i contenuti diciamo così, e fides qua creditur, cioè la fede nella quale si crede, grazie alla quale si crede. In soldoni: si può credere in spirito e verità, vivendo e camminando nella speranza, se non nella certezza, che la vita sia un dono. Salvo, credo che tu abbia fede nella vita, per il solo fatto che scrivi e non ti arrendi al disfattismo, alla noia. Spiritualità è far crescere in noi e negli altri quello che non è strettamente materiale. L’arte non serve. Perché non è serva ma libera e ci rende liberi.
Ehi, che discorsi!
@ Salvo
con la spiritualità la intendo come te. Anche la mia non è religiosa, intesa nel senso di seguire dogmi e riti ecclesiastici. Credo che essa sia un collegamento metafisico che si apre a chi aneli fortemente a svelare un po’ di più di ciò che la ragione riesca a fare.
Essa potrebbe essere limitata e quindi parzialmente sminuita con l’avanzare dei progressi della ragione attraverso le scoperte scientifiche.
Potessimo controllare il nostro mondo pacificamente e garantire così la nostra sopravvivenza, non avremmo bisogno della spiritualità, o almeno sarebbe relativizzata.
In quanto alla fede, essa arriva dopo aver cercato e trovato l’armonia e l’equilibrio, perché di esse abbiamo bisogno e ci mettiamo a cercarle.
Adesso vado anch’io a mangiare la pappa, doppia razione e solo reale con un bicchiere di vino rosso, tanto per rischiarare le idee.
Ciao.
Lorenzo
@Mary Lucy (fuori post). Domani vi accompagno io ad Acireale per la presentazione del libro. Mi ha riferito Simona che stai poco bene. Ricevi gli auguri di pronta guarigione. Però, giuro, che se mi vomiti in macchina ti faccio scendere e ti lascio per strada.
Ma che carino!
🙂
E’ la vecchia cinquecento ricevuta in eredità dal nonno, praticamente un reperto storico, non mi posso permettermi di rovinarla…cerca di comprendere.
@tutti it’s ok it’s ok,c’è sintonia sul concetto di spiritualità e seppur con parole diverse abbiamo un filo che ci unisce nella percezione delle cose belle della vita,scrittura in primis.
Abbiamo sviluppato il concetto di moltiplicazione dei pesci in….pensieri filosofici e spirituali!
per i pani ci penseremo a cena 🙂
buona serata a tutti
off topic : stasera vi ho pensato un pò perchè ho studiato la sicilia con mio figlio in geografia!!!quante belle occasioni riserva la vita ad una mamma.
saluti e baci
Grazie, Salvo, per la tua stima e il tuo affetto, che ricambio.
@ Franci+ Lorenzo+ Maria Lucia
Siete tutti molto cari. Poi ognuno ha il suo mondo, il suo modo di vedere il mondo..
Anche le illustrazioni per le fiabe sono così diverse eppure tutte così belle: allegre e vivaci quelle dello Sciopero dei pesci; più cupe, nordiche e “fatate” quelle dei Dugin. Io me le guardo, assieme ai disegni di Tenniel per “Alice”.
Buonanotte a tutti:)
Inserisco il link anche per i disegni di John Tenniel (chi non li conosce? Ma sono più belli a colori)
http://www.johntenniel.com/
@ Francesca Giulia-Maria Lucia-Robertina-Salvo-Simona (in ordine alfabetico)
Credo che anche i diversi commenti presentati sulla spiritualità abbiano qualcosa a che fare con le fiabe.
Le fiabe assumono la funzione, di veder realizzate le speranze dell’uomo di ritrovarsi in un mondo buono, dove la realtà maligna viene sconfitta e alla fine i buoni di cuore sono tutti felici e uniti.
È come un cercare la salvezza nella spiritualità, da opporre alla realtà del mondo.
Ognuno ne ha una sua, così come anche le fiabe. A ognuno la sua fiaba dove immaginarsi appagato e felice.
Esse sono così un mondo parallelo al vero, dove potersi immaginare la vittoria del bene e sfuggire per un momento dal grigiore del giorno.
È anche la spiritualità, allora, un rifugio dall’incapacità di risolvere i problemi giornalieri con la sola ragione?
Il senso dell’amore, privo della spiritualità, non reggerebbe al confronto con la realtà materialistica, perché nessuno potrebbe sostenere i sacrifici e le costrizioni che richiederebbe.
Le fiabe donano ai piccoli la forza immaginaria di poter resistere al confronto con la vita reale e di sperare sempre nella buona fine. È una forza importante che non va sottovalutata e che si nutre della fantasia della quale sono ricchi i piccoli.
La fiaba assume quindi un compito educativo e formativo e va raccontata e spiegata con tatto, perché riporta una realtà distruggente e dominante tutta la vita in una mente ancora ingenua e non preparata, perché priva delle esperienze e sconfitte.
Cari saluti
Lorenzo