È morto Boris Pahor (Trieste, 26 agosto 1913 – Trieste, 30 maggio 2022): scrittore sloveno con cittadinanza italiana. Aveva 108 anni
Approfondimenti su: Il Corriere della Sera, Ansa, Il Piccolo, Il Sole 24 Ore, RaiNews, Il Messaggero, Il Fatto Quotidiano
La sua autobiografia senza frontiere, “Figlio di nessuno”, sarà in libreria tra pochi giorni per i tipi de La nave di Teseo.
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Boris Pahor, 108 anni, testimone oculare delle tragedie del Novecento sul confine orientale, ci ha lasciati. Restano i suoi libri, che continueranno a interrogarci sulle nostre responsabilità storiche, politiche e culturali in alcune delle pagine più buie del secolo.
Così lo ricorda Elisabetta Sgarbi, publisher La nave di Teseo: «Grazie Boris Pahor. Hai denunciato tutte le dittature. Ma ti battevi perché non venisse omesso nulla dei crimini che il Fascismo ha commesso contro il tuo Paese, la Slovenia. Non volevi morire perché sapevi quanto è debole e pigra la memoria degli uomini, e volevi continuare a fare la tua testimonianza. E lo hai fatto fino all’ultimo. I tuoi libri, oggi e per sempre, continuano la tua lotta.»
Ai suoi libri pubblicati dalla Nave di Teseo – Oscuramento, Il rogo nel porto, Una primavera difficile – si aggiunge adesso la sua autobiografia senza frontiere, Figlio di nessuno, che sarà in libreria tra pochi giorni. Una preziosissima testimonianza del Novecento, una lezione imprescindibile sul coraggio e la memoria.
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BORIS PAHOR – FIGLIO DI NESSUNO con Cristina Battocletti
collana Oceani, pp. 320, 20 euro – In libreria a giugno
L’autobiografia senza frontiere di una delle grandi voci del Novecento, in una nuova edizione ampliata con un capitolo inedito, “Il mondo a colori”.
Queste sono le memorie di una “cimice”: così infatti l’Italia fascista definiva apertamente gli sloveni, “figli di nessuno” per un quarto di secolo. Sono i ricordi di un ragazzo derubato della sua cultura. Di un prigioniero che lotta per sopravvivere. Di un marito e padre aspro e intenso. Di un uomo libero. Dall’infanzia poverissima segnata dalle discriminazioni alla Resistenza, dalla guerra in Libia alla scoperta dell’amore, dall’impegno politico a quello letterario, Pahor traccia in questo libro il bilancio senza reticenze di una vita trascorsa ad attraversare confini fisici e spirituali, e solleva un velo sugli aspetti più privati del suo passato regalandoci un autoritratto inedito e umanissimo. Trovano posto in questa narrazione le passioni intellettuali e gli amori in carne e ossa: quello travolgente per Arlette, la ragazza francese conosciuta in sanatorio all’indomani della liberazione e che lo restituì alla vita, l’inquieta relazione con Danica, giovane antifascista trucidata insieme al marito dai collaborazionisti sloveni o dai comunisti in un mistero ancora non risolto. E poi il matrimonio con la bellissima Rada, permeato da una profonda condivisione ma segnato da assenze e allontanamenti sentimentali. Mentre sullo sfondo si delinea uno scorcio potente del secolo scorso che restituisce alla memoria la storia degli sloveni dei nostri confini orientali, in un intreccio di eventi storici e vissuto privato.
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Biografia di Boris Pahor
Boris Pahor, di lingua e nazionalità slovene, è nato nel 1913 a Trieste (allora Impero austro-ungarico, oggi Italia) figlio di Franc Pahor e di Marija Ambrožič. Il padre lavorava come fotografo alla gendarmeria di Trieste. A sette anni assisté all’incendio del Narodni dom (Casa del Popolo), sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena di Trieste. L’esperienza, che lo segnò per tutta la vita, affiora spesso nei suoi romanzi e racconti. Pahor visse drammaticamente il trauma della negazione forzata dell’identità slovena, attuata dal regime fascista (violenze squadriste, divieto di parlare sloveno, soppressione delle scuole e delle attività culturali e ricreative in tale lingua).
Finita la scuola media ed essendo stata soppressa l’istituzione slovena, frequentò il seminario di Capodistria, fino al 1935, e poi di Gorizia, fino al 1938, anno in cui abbandonò gli studi di teologia. Stabilì stretti rapporti con alcuni giovani intellettuali sloveni di Trieste; tra questi spiccano le figure del poeta Stanko Vuk, di Zorko Jelinčič, cofondatore della organizzazione antifascista slovena TIGR (e padre dello scrittore Dušan Jelinčič) e dei pittori Augusto Černigoj e Lojze Spacal. Negli stessi anni incominciò il carteggio con Edvard Kocbek (poeta sloveno e pensatore personalista, esponente del movimento cattolico-sociale e allievo di Emmanuel Mounier), nella cui figura Pahor riconobbe un importante ruolo di guida morale ed estetica. In questo periodo iniziò la sua attività letteraria su pubblicazioni periodiche clandestine in lingua slovena (ove rivestì ruoli dirigenziali) e – sotto pseudonimo – su una rivista pubblicata in Slovenia.
Negli anni 1939-1940 pubblicò, firmandoli col suo nome, alcuni contributi letterari sulla rivista slovena “Dejanje”, fondata da Edvard Kocbek. Tornato a Trieste, svolse attività clandestine negli ambienti dell’antifascismo (riunioni in cui si parlava sloveno o si seguivano lezioni e conferenze nella stessa lingua).
Nel 1940 fu arruolato nel Regio Esercito e inviato al fronte in Libia. Ottenuta la maturità classica in un liceo di Bengasi, si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Padova; prese servizio a Bogliaco, sul lago di Garda, come sergente, con il compito di interprete per gli ufficiali jugoslavi prigionieri di guerra catturati durante l’invasione della Jugoslavia.
Dopo l’armistizio dell’otto settembre tornò a Trieste, ormai soggetta all’occupazione tedesca. Sfuggito all’arresto da parte dei tedeschi, decise di unirsi alle truppe partigiane slovene che operavano nella Venezia Giulia; rimase in clandestinità a Trieste, dove, nel gennaio 1944, diventò responsabile per la stampa nell’ambito del comitato cittadino del Fronte di Liberazione del Popolo Sloveno. Nel 1955 descriverà quei giorni decisivi nel famoso romanzo Mesto v zalivu (“La città nel golfo”), col quale diventerà celebre nella vicina Slovenia.
Nel gennaio 1944 venne arrestato dai collaborazionisti sloveni, i domobranci; incarcerato, fu torturato dalla Gestapo e deportato in Germania a febbraio. Fu internato in vari campi di concentramento in Francia e in Germania (Natzweiler, Markirch, Dachau, Nordhausen, Harzungen, Bergen-Belsen).
Dopo la liberazione del campo di Bergen-Belsen Pahor arrivò a Parigi malato di tubercolosi; ricoverato in un sanatorio a Villiers-sur-Marne, rientrò a Trieste nel dicembre del 1946. Si laureò l’11 novembre 1947, con una tesi su Espressionismo e neorealismo nella lirica di Edvard Kocbek, relatore lo slavista Arturo Cronia.
In un contesto triestino caratterizzato da aspre lotte politiche, Pahor aderì a numerose imprese culturali dell’associazionismo sloveno, cattolico e non-comunista. Ebbe ruoli di rilievo in varie riviste slovene (“Razgledi”, “Tokovi”, “Sidro”); nel 1948 fu pubblicata una sua prima raccolta di prose brevi, Moj tržaški naslov (“Il mio indirizzo triestino”). Nell’ottobre 1952 sposò la scrittrice e traduttrice Frančiška Radoslava Premrl (1921-2009), da cui ebbe due figli. Nel 1953 iniziò a insegnare regolarmente letteratura slovena alle scuole medie inferiori; in seguito insegnò anche letteratura italiana, successivamente, e fino al 1975, insegnò nelle scuole superiori con lingua d’insegnamento slovena a Trieste.
Dal 1996 fino al 1991 fu direttore ed editore della rivista triestina Zaliv (Golfo) che si occupava, oltre che di temi strettamente letterari, anche di questioni di attualità, ospitando oppositori del regime di Tito e diventando un punto di riferimento per la dissidenza slovena; collegata alla rivista vi era una collana di pubblicazioni perlopiù di carattere storico-letterario. In questo periodo Pahor continuò a mantenere stretti rapporti con Edvard Kocbek, ormai diventato un dissidente nel regime comunista jugoslavo. I due furono legati da uno stretto rapporto di amicizia.
Nel 1975, assieme all’amico triestino Alojz Rebula, Pahor pubblicò il libro “Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca” (Edvard Kocbek: pričevalec našega časa). Nel libro-intervista il poeta sloveno denunciava il massacro di 12.000 prigionieri di guerra, appartenenti alla milizia collaborazionista slovena (domobranci), perpetrato dal regime comunista jugoslavo nel maggio del 1945, con la connivenza delle truppe britanniche. Il libro provocò durissime reazioni da parte del regime jugoslavo. Fu osteggiata la pubblicazione e la diffusione delle opere di Pahor[5], mentre allo stesso Pahor (diventato “persona non grata” e diffamato da persone legate al regime) per due volte e per lunghi periodi fu vietato l’ingresso in Jugoslavia.
Grazie alle sue posizioni morali ed estetiche, Pahor diventò uno dei più importanti punti di riferimento per la giovane generazione di letterati sloveni, a cominciare da Drago Jančar.
Durante un viaggio a Parigi, nel 1986, Pahor conobbe il filosofo Evgen Bavčar (1946), grazie al quale l’opera più importante di Pahor, Necropoli, romanzo autobiografico sulla sua prigionia nel campo di concentramento di Natzweiler-Struthof, trovò il suo primo editore francese. La traduzione francese di Necropoli rese Pahor famoso nel mondo, facendolo assurgere al rango di grande classico della letteratura del Novecento.
Le sue opere in sloveno sono tradotte in francese, tedesco, serbo-croato, ungherese, inglese, spagnolo, italiano, catalano e finlandese. Nel 2003 gli è stato conferito il premio San Giusto d’Oro dai cronisti del Friuli Venezia Giulia. Nel giugno del 2008 ha vinto il Premio Internazionale Viareggio-Versilia; nel maggio del 2007 è stato insignito dell’onorificenza francese della Legion d’onore; ha ricevuto il Premio Prešeren, maggiore onorificenza slovena in campo culturale (1992). Nel 2008, con Necropoli, è stato finalista e vincitore del Premio Napoli per la categoria “Letterature straniere”.
Il 17 febbraio 2008 è stato ospite nella trasmissione televisiva Che tempo che fa di Fabio Fazio. Nel novembre 2008 gli è stato conferito il Premio Resistenza per Necropoli. Il 18 dicembre 2008 lo stesso Necropoli è stato eletto Libro dell’Anno da una giuria di oltre tremila ascoltatori di Fahrenheit, programma culturale radiofonico in onda su di Radio3. Nel 2012 gli è stato assegnato il “Premio Letterario Internazionale Alessandro Manzoni – città di Lecco” per la sua autobiografia Figlio di nessuno. La Repubblica Italiana gli ha conferito le onorificenze di commendatore e di cavaliere di gran croce, rispettivamente nel 2019 e nel 2020.
In occasione delle elezioni europee del 2009, fu candidato nella lista della Südtiroler Volkspartei (SVP), collegata con il Slovenska Skupnost.
Pahor da pensionato visse a Trieste.
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L’opera di Pahor è ricca di spunti autobiografici. I bombardamenti della Prima guerra mondiale sono descritti nella novella Nesluteno vprašanje (Una domanda senza presagio); l’incendio del Narodni dom nella novella Il rogo nel porto e altrove; l’esperienza di soldato in Libia è narrata nei diari Nomadi brez oaze (Nomadi senza oasi); il periodo vissuto in riva al lago di Garda è rievocato nel romanzo breve La villa sul lago; i giorni successivi all’8 settembre 1943 nel romanzo La città nel golfo. Mentre la prigionia nei lager nazisti è oggetto del capolavoro Necropoli, il successivo ritorno alla libertà è rievocato nel romanzo Una primavera difficile. Il romanzo Dentro il labirinto fa riferimento alla difficile situazione politica di Trieste nell’immediato dopoguerra. Le vessazioni subite dallo scrittore da parte del regime jugoslavo sono narrate nel volume di diari Ta ocean strašnó odprt.
Scrive Claudio Magris che nelle opere di Pahor «ci si confronta non solo con la violenza fascista e l’orrore nazista, ma anche con il frequente disconoscimento agli sloveni di elementari diritti e di identità triestina a pieno titolo e col conseguente muro di ignoranza che ha separato a lungo gli italiani dalla minoranza slovena, privando entrambe le comunità di un essenziale arricchimento reciproco».
Secondo Tatjana Rojc, «l’epos di Boris Pahor assurge […] non più a mera testimonianza, a esclusiva condanna, ma diviene storia di uomini oppressi, ombre, morti risuscitati, a cui Boris Pahor ha saputo dare voce. La sua, però, non è una voce scandita solo dalla condanna, ma un canto lirico che commuove, dandoci l’illusione che diventa man mano sempre più certezza della salvezza». Un tema costante è il confronto fra Eros e Thanatos, in cui «il potere salvifico viene affidato all’incontro con la figura femminile, immagine centrale della narrativa pahoriana».
Il critico letterario francese Jean-Luc Douin ha accostato il nome di Pahor a quello di altri grandi autori della letteratura concentrazionaria europea del Novecento, come Primo Levi, Robert Antelme e Aleksandr Isaevič Solženicyn.
(Fonte: Wikipedia Italia)
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