Vi propongo un giochino. Un giochino poco impegnativo finalizzato a farci divertire e magari a farci conoscere un po’ meglio.
Vi chiedo di raccontare un aneddoto libresco. Qualcosa di particolare che vi è capitato, di recente o molto tempo fa, e che ha a che fare con l’oggetto-libro.
Un aneddoto divertente, o imbarazzante, o doloroso. Non importa. Ciò che conta e che sia di natura libresca.
Per esempio, vi è mai capitato di regalare il libro sbagliato alla persona sbagliata? Sì? Magari vi siete sentiti pure in imbarazzo perché quella persona è rimasta a bocca aperta. O forse l’avete fatto di proposito. Vi è mai capitato?
Oppure c’è stato quel libro che vi ha fatto impazzire: l’avevate riposto su un ripiano della vostra libreria, non c’è dubbio; solo che quando l’avete cercato non c’era più. Letteralmente scomparso. Nel nulla. E non l’avete più ritrovato.
Certo, ci sarà stato quel volume che avevate prestato a un amico – accidenti, lo amavate proprio quel libro – e che non è mai tornato indietro.
O forse vi è successo di parlare di un romanzo convinti che fosse dell’autore X. Solo dopo vi siete accorti che, invece, l’autore si chiamava Y. Magra figura, eh?
E quel libro che avete odiato perché vi ha fatto stare tanto male? Ogni tanto lo osservate e vi viene voglia di gettarlo dal balcone.
Insomma, raccontiamo (e condividiamo) i nostri aneddoti libreschi.
Ci state?
Comincio io.
Il mio primo Dostoevskij lo lessi a sedici anni. Fu per caso. Nessuno mi aveva mai parlato del grande e celebre scrittore russo. Dovete sapere che in quel periodo ero particolarmente preso dalla letteratura gotica e da quella horror. Divoravo, uno dopo l’altro, i libri di autori come Edgar Allan Poe, Lovecraft e – naturalmente – Stephen King.
Ogni volta che mi capitava di trovare un libro che avesse a che fare con l’horror o il mistero o il fantastico non riuscivo a resistere alla tentazione di leggerlo. Una vera e propria passione.
Quel libro di Dostoevskij lo trovai in una bancarella. Un bel volume. Corposo. Elegante. Rilegato. Copertina rigida.
Lo sfiorai con i polpastrelli di una mano.
Era cellophanato, dunque non avevo la possibilità di sfogliarlo. Ma quel titolo… oh, quel titolo. Impossibile sbagliarsi.
Lo acquistai senza indugi.
S’intitolava “I demoni”.
A me invece e` successa una cosa strana di questo tipo.
Prendo un libro comincio a leggerlo e la storia comincia ad intrigarmi. In modo del tutto inopinato, poi, comincio a trovare citazioni che ricordavo di uno dei film piu` belli che avessi visto. Persino il nome del protagonista era lo stesso, anche se il contesto storico era del tutto diverso.
Alla fine la storia era la stessa, ma contestualizzata dal film in un`epoca successiva. Compresi allora che molto spesso i film sono tratti dai libri, e quasi mai e` il contrario.
Il Libro si chiamava Cuore di tenebra di Conrad. Il film invece era Apocalipse Now.
Sono una mamma distratta e da sempre un’incredibile smemorata. Acquisto libri alla rinfusa, dimentico le recensioni, scordo i nomi degli autori contemporanei.
“Mamma! Per lunedì devo leggere Il fu Mattia Pascal”
Mi comunica il figlio maggiore, certo che nella nostra casa ce ne sia una copia.
“Il fu Mattia Pascal! Bello, bene” esclamo io e comincio a cercarlo.
Scartabello fra una libreria e l’altra, tra un ripiano e una mensola, tra un cassetto e uno scaffale e niente.
In preda ormai all’agitazione trovo 2 copie di “Uno nessuno e centomila” dello stesso autore e addirittura quattro, dico 4, copie, in edizioni diverse, del “Barone Rampante” di Calvino.
Del Fu Mattia Pascal nessuna traccia.
1) antefatto: ho una miriade di libri a casa e mezza miriade di titoli in testa; quando vado in libreria non so più se ricordo un titolo perchè l’ho già comprato o perchè vorrei comprarlo.
2) quando compro un libro scrivo sempre sulla prima pagina il mio nome e la data…a distanza di anni mi piace tornare indietro.
Caro Massimo, rispondo al tuo giochino sugli “aneddoti libreschi” inviandoti un mio racconto pressoché inedito (circolò, molto tempo fa, su un sito internet che si chiamava paroledicarta, ma niente di più).
UNA DELLE ULTIME
È un vicolo stretto, alle undici di un martedì. Arriva poca luce di sole; colpa dei palazzi, che sono bassi, ma sufficienti a dare quell’aria di crepuscolo anche a mezzogiorno, come capita a New York per via dei grattacieli.
In verità mi trovo a Foggia. Sto cercando un negozio piccolo, di libri. E la sua proprietaria; una vecchietta che ha superato, mi hanno detto, gli ottant’anni…
È una vera ammiratrice della letteratura: non si limita a leggere, ad amare le storie narrate, ma le conosce profondamente, le coccola tutto il giorno, le difende con tutte le sue forze dagli attacchi dell’ignoranza. Dalla quotidiana irruzione degli stolti e degli incolti nella sua silenziosa bottega di parole.
Il suo nome è Lucia. Porta una lunga collana di perle che fa un giro doppio intorno alla nuca ossuta. Si dichiara atea. Poi però sgrana le sue perle come un rosario, se le domandi un certo volume. Non sta pregando, soltanto rintraccia nella memoria i nomi degli autori, i milioni di immagini che essi hanno fatto scorrere dalle loro penne o hanno evocato dentro di lei. Non ha fallito una sola volta, da quel che ne so. Non una sola volta è capitato che la sua mente non abbia riacciuffato titoli fuggiaschi o latitanti autori, ai più sconosciuti, ma non a lei.
Era arrivata a Foggia, dalla Lombardia, a trentacinque anni. Con suo marito.
A lui, professore di liceo, era stata offerta la possibilità di una cattedra: poter insegnare da titolare in una scuola valida, abbandonando una volta per tutte la logorante attesa che grava sui supplenti. In cambio gli era stato richiesto un veloce e repentino trasferimento da Monza a Foggia.
Così i due avevano traslocato. Grazie a lei. Grazie alla tenacia di lei, grazie alla forza di spirito, all’entusiasmo di una donna che voleva vedere realizzarsi l’uomo di cui era innamorata, a tutti i costi. E qualunque cosa lui facesse per vivere. Lo convinse che attraversare l’Italia, anche il mondo intero, non sarebbe stato un problema: ovunque, insieme, avrebbero saputo ambientarsi. E restare felici.
Mi hanno consigliato di chiederle del marito, per ascoltare la dolcezza di un amore grande, incondizionato. Per rivivere la straziante fine di un rapporto intenso, a causa del feroce male che si portò via quell’uomo a cinquant’anni. Forse non avrò il coraggio di chiedere. La mia curiosità è di troppo inferiore al mio pudore.
Ma parleremo di libri belli, questo sì. Del mistero di storie che si svelano attraverso segni tutti simili l’uno all’altro, ma straordinari e complici. Dell’emozione che monta dentro nel cominciare a sfogliare, quando le parole mostrano immagini, quando il cuore affonda nel bianco e nero delle pagine e non s’accorge se un autobus si schianta poco prima della fermata dove lo stavi aspettando. E non ascolta il tuo nome chiamato a squarciagola da un amico. E non teme la notte che giunge, il mattino che ammonisce, il chiasso delle automobili in strada… Parleremo di quelli che i libri vogliono e sanno leggerli davvero. Forse io sono uno di quelli. Lei, sicuramente.
Mi avventuro nell’angusta viuzza con il naso per aria a cercare i numeri civici. Ho viaggiato tutta la notte, in macchina, per arrivare qui. È stato un sogno, magari. Stavo lì, ieri sera tardi, tra le pagine di un antico cantastorie, a gustare la poesia dei passaggi, le descrizioni da pittore, l’enfasi di una vicenda di armi e di amori, di gonne lunghe e busti stretti, di spade incrociate e di capelli intrecciati, lunghi. Mi devo essere appisolato un istante, con un sorriso a fior di labbra. Poi, di colpo, ho deciso. Sono balzato in piedi; ho trangugiato un thermos di caffè e sono montato in auto. Da Roma a Foggia, per incontrare una vecchia che mi capirà, che mi darà l’antidoto o che mi indurrà all’overdose. Non importa. Non posso continuare a soffrire la realtà, per il troppo godere con la fantasia.
Non so perché, ma un odore penetrante di melanzane fritte mi fa pensare di essere arrivato a destinazione… Un passante sorride, annusando lo stesso profumo, ed io lo considero subito come un mio potenziale complice: «Scusi, sa di una libreria da queste parti? Dovrebbe esserci una signora anziana… Lucia…».
«Prego – mi risponde – è il prossimo negozio a sinistra. Guardi… quello lì».
Provo l’emozione di un appuntamento galante. Alzo le dita per ringraziare l’uomo, ma senza dire più niente, né sorridere. Mi avvicino alla vetrina lustra e guardo le copertine dei libri esposti. Ho iniziato il mio dialogo con Lucia…
Decido subito che devo lasciar perdere, dicendomi che non posso essere infantile, che è chiaro, in vetrina ci sono i best-seller, che solo un suicida metterebbe i suoi libri preferiti in mostra, rischiando che non entri nessuno… Mi faccio coraggio, apro la porta. Suona un campanellino.
C’è una bella luce, all’interno. Niente neon. Una scaletta di legno chiaro conduce ad un piano rialzato, sospeso nell’aria e tenuto, apparentemente, da fili d’acciaio che scendono dal soffitto. Gli scaffali mi girano intorno come un vortice, come se mi trovassi nel centro del guscio di una lumaca. Penso a Lucia, deve esserci il suo tocco in tutto questo, una sorta di umanissimo umanesimo, con l’uomo al centro di file di uomini e di donne, vestiti di pagine, che lo guardano, che lo circondano in un abbraccio di lettere…
Ma di lei non c’è traccia… Vedo soltanto una ragazza dietro la cassa, che mi ha detto «’giorno», mi pare, prima di tornare alla lettura attenta di una rivista.
«Signorina, mi scusi…».
«Sì?».
«Mi può aiutare? Sto cercando la signora Lucia».
«È morta, era mia nonna».
Impallidisco, me ne accorgo mentre succede. Il bianco e il rosso, sul proprio volto, sono colori che si sentono arrivare, e che si sentono permanere. Appoggio una mano al banco. Il guscio di lumaca è diventato una vertigine sottile. Provo a dire qualcosa, ma la ragazza mi precede…
«Era un suo amico? Non lo sapeva? Mia nonna è morta due anni fa. Ha lasciato la libreria a me… Signore, si sente bene?».
«Sì, sì. Mi perdoni, è che, ecco, non me l’aspettavo, volevo parlare con lei di alcuni libri…».
«Forse può chiedere a me. Cercava un libro in particolare?».
«Ehm, sì, vediamo… Non ho ancora letto niente di Truman Capote…».
«Kaputt?».
«Sì, anche lui, purtroppo. Ma si chiama Capote, senza kappa».
«È il cognome, Cappotti?».
«Sì, è il cognome, ma non ho così freddo da usarlo come soprabito, né tanto caldo da scoperchiare la macchina!».
«Non capisco».
«Mi sono espresso male. Volevo dire che è meglio che io prenda una boccata d’aria. La notizia della morte di sua nonna mi ha sconvolto. Forse era una delle ultime…».
Paolo Izzo
Avevo in borsa un libro comprato di recente. Entro in un ipermercato per fare una piccola spesa. Vado alla cassa a pagare. Un angolino del libro fuoriesce dalla borsa. La cassiera si convince che era un volume che avevo trafugato dal loro reparto libri con l’intento di rubarlo. Ne è sorta una discussione allucinante. Da allora evito accuratamente di entrare negli ipermercati con libri nella borsa.
La cosa più strana mi è accaduta tanti anni fa. Ho prestato ad un mio collega un libro che mi aveva molto colpito: “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” di Dee Brown. Avevo parlato con lui lungamente di questo libro, della questione indiana, e di quanto io sentissi vicina la sofferenza di un popolo espropriato della propria terra. E a quel libro, ci tenevo in modo particolare.
Passa un po’ di tempo e chiedo al mio collega se l’aveva letto. Mi risponde di si, ma in modo vago, e mi dice: “Te lo ridarò al più presto”.
Passa altro tempo, mi risponde allo stesso modo, ma sono costretta a richiederlo indietro altre due o tre volte. Alla fine, stufa, gli dico “Dammelo, è un libro a cui tengo. A meno che tu non l’abbia perso, in questo caso ricompramelo, per favore”
“No, non l’ho perso. Ecco…. mi è caduto nell’acqua della vasca e si è rovinato”.
“Nell’acqua della vasca? Ma come, lo stavi leggendo là?”
Alla fine me l’ha ricomprato, ma non è stata la stessa cosa. Il mio libro, quello letto con tanto amore, aveva assorbito la mia energia positiva. L’altro non lo sentivo più mio.
Non ho mai particolarmente amato il genere, ma una ragazza, poco prima di diventare brevemente la mia ragazza, mi regalò “Almost blue” di Lucarelli. Frequentavo l’ultimo anno del liceo e divorai il libro nella tratta Bari-Bologna di un espresso notte così pieno che sembrava dovesse scoppiare da un momento all’altro. Sulla prima pagina del libro, la ragazza mi aveva scritto una dedica bellissima, che credo influì a far nascere quel fugace amore di cui dicevo.
Mesi più tardi, un’altra ragazza, una mia compagna di classe che io conoscevo e consideravo irraggiungibile dalla terza media, ma con cui avevo stretto una discreta amicizia, mi chiese -sorpresa! poiché conoscendola mai e poi mai avrei pensato che si sarebbe un giorno dedicata alla lettura- se avessi da consigliarle o prestarle un libro. Con la superbia di considerarmi già un letterato fatto e finito, pensai di non proporle nulla di troppo impegnativo e le prestai -oh, darle qualcosa di mio!- “Almost blue” di Lucarelli. Per i successivi mesi cercai di avvicinarla con la scusa di parlare del libro, scoprendo sempre che ancora non ne aveva letta neppure una riga. Mi sono alternamente dimenticato di quel libro e di lei fino ad oggi e così, per la speranza di un amore sognato, ho perso il ricordo di un amore concreto. Ma ora la chiamo, però…sì sì…
una volta prestai a una mia ragazza un romanzo che avevo ricevuto in dono da una ex, la quale aveva scritto una dedica affettuosa sulla prima pagina del libro.
quella mia ragazza lesse il libro e me lo restituì privato della pagina con dedica. l’aveva strappata.
quando me ne accorsi anche quella mia ragazza divenne una ex.
Aneddoto Librario imbarazzantissimo.
Cercavo lavoro in libreria, come commessa. Do il mio curriculum a un libraio, che lo legge e dice, oooh che bel curriculum vedo che lei è laureata in filosofia! sa qui vengono molti traduttori, e linguisti, si parla sempre si strutturalismo…
E io, senza alcuna ironia: “Ognuno ha il suo modo di organizzare gli scaffali”
Sono passati diversi annii! 1) non mi ricattate. 2) abbiate pietà:))
Aneddoto Librario imbarazzantissimo.
Cercavo lavoro in libreria, come commessa. Do il mio curriculum a un libraio, che lo legge e dice, oooh che bel curriculum vedo che lei è laureata in filosofia! sa qui vengono molti traduttori, e linguisti, si parla sempre si strutturalismo…
E io, senza alcuna ironia: “Ognuno ha il suo modo di organizzare gli scaffali”
Sono passati diversi annii! 1) non mi ricattate. 2) abbiate pietà:))
Mi aveva fatto penare un paio di mesi quel ragazzo: si mi piaci e voglio uscire con te, la ragazza l’ho mollata ma non sono sicuro di aver fatto la cosa giusta, non la amo più ma a volte la penso, tu mi piaci ma non mi va di impegnarmi, non vediamoci per un po’ che provo a vedere lei…
Per Natale volevo regalargli “Come smettere di farsi le seghe mentali e vivere felici” di Giulio Cesare Giacobbe. Ma confusi le copertine e invece scoprii di avergli regalato “Alla Ricerca delle Coccole Perdute –
Una psicologia rivoluzionaria per il single e per la coppia”.
Non era quello che intendevo ma regalargli un libro scritto da uno psicologo conteneva lo stesso un messaggio!
;-P
Ho regalato ad un amico un libro intitolato “la ragazza numero 44”, la storia di uno che trova la ragazza ideale dopo averne provate, appunto, 44, con descrizioni anche un pò spinte. Non un gran libro, ma si adattava moooolto bene alla persona. Metto una dedica all’inizio, tipo “una storia che assomiglia molto alla tua vita” ed una alla fine “ma tu ovviamente ne hai sciupate molte di più”… Il libro è stato letto prima da sua madre che gli ha detto “il libro è carino, ma tu non sei così, vero?”.
Stiamo iniziando un nuovo blog sulla scuola realizzato da genitori, insegnanti e studenti. Ti invitiamo a partecipare. Una buona scuola è interesse di tutti, parliamone. L’indirizzo è
http://fuoriclasse2007.blog.kataweb.it/
Tre volte lo stesso libro sempre alla stesa persona: Torno Presto, di James Barlow. “A te. Il mio preferito”. La stessa identica dedica per tre volte. Con tre date diverse. Si è svelato alla terza, raccontandomi che l’avvenimento era persino finito dal suo analista. E mettendomi in difficoltà perchè. secondo lui, c’era qualcosa di inconscio o subliminale in quel gesto. Per me solo una distrazione. Ma forse no. Ci devo ancora pensare.
Ciao caro Massimo, un saluto a te e a tutti gli altri commentatori. Son tornata, finalmente.
Elisabetta
Simpaticissimo il tuo aneddoto Masssimo. Io, al momento ne rammento uno un po’ più banale:
Quando avevo circa undici anni, quinta elementare, scelsi un libro della biblioteca con un titolo e una copertina illustrata molto accattivante: “I ragazzi della via Paal” di F. Molnar.
Lo lessi d’un fiato e in quei due giorni di lettura, non ho fatto neppure i compiti. Tanto mi sembrava entusiasmante il libro, quanto un’inutile perdita di tempo fare i compiti.
Non volevo restituirlo al maestro per poterlo rileggere ancora, e infatti lo feci, ma alla fine dell’anno fui costretto a riportarlo a scuola.
Qualche tempo dopo me ne feci regalare una copia dai genitori perché quel libro era diventato una parte di me. Non saprei dire quante volte l’ho letto.
Una trentina di anni fa, dovevo regalare qualcosa ad un mio giovanissimo cognato per la cresima e pensai di regalargli quel libro.
Gli chiesi in seguito se gli era piaciuto, e lui rispondeva con sincerità: “non l’ho ancora letto”.
E infatti adesso ha 44 anni e ancora lo deve leggere.
Non molto tempo fa, capitato in casa dei miei cognati per caricare dei mobili, lo ritrovai gettato tra la polvere sul “soffitto” di un armadio.
Senza dire niente me lo sono ripreso… con la dedica e tutto. Non per “vendetta”, ma perché “I ragazzi della via Paal” rappresenta ancora oggi un qualcosa che ha segnato la mia fanciullezza e non potevo lasciare quel libro tra la polvere e l’indifferenza.
Ora ne ho due copie con traduzioni differenti.
Naturalmente appena a casa mi sono divertito a rileggerlo per l’ennesima volta.
Lontanissimo 1968. Via Festa del Perdono, Milano. Corso di psicologia di un simpatissimo, arguto e anziano professore, Musatti. Il libro di testo, La mia vita e la Psicanalisi, costava una fortuna. Una motocicletta e una simpatica ragazza dai capelli lunghi, Cristina. Me lo presti? Mi chiese affettuosamente, non ho i soldi per comprarlo. Spariti, lei e il libro. Ancora oggi ho il rimpianto. Del libro.
Al Silenzio degli innocenti ho incollato le pagine con il vinavil, e poi ho restituito il libro al proprietario: fine di un’amicizia.
Hei, vi ringrazio molto per i vostri preziosi contributi. È davvero piacevole conoscere i vostri “aneddoti libreschi”. E poi sono piuttosto vari: alcuni divertenti, altri cinici, altri ancora perfino commoventi.
Grazie.
Andiamo avanti, dài. Voglio leggerne degli altri.
Un saluto particolare a Elisabetta: bentornata da queste parti, cara.
Per Irnerio: il tuo aneddoto non è affatto banale. Tutt’altro. Fa molto riflettere.
Miriam è bravissima, ma sa essere terribile. Il mio “Identità distorte” avrebbe potuto patire una fine ingloriosa nelle sue mani. Per fortuna è andata bene (ciao Miriam).
Una precisazione. “I demoni” di Dostoevskij poi l’ho letto, eh? Da cima a fondo, anche se ero ragazzino. Da lì in poi ho imparato ad amare il grande Fëdor e tutta la letteratura Russa.
A volte l’essere tratti in inganno da un titolo può avere esiti positivi.
Anni fà, per il mio compleanno, mi è stato regalato il libro: “IL
TROPICO DEL CANCRO DEL CAPRICORNO” di HENRY MILLER, di cui mi è piaciuto quel realismo ossessivo fino al surrealismo. Una persona di buona cultura e che credevo aperta ad ogni genere letterario, me lo chiese in prestito.
Con mio grande stupore ella, guardandomi come se fossi Lucrezia Borgia,
me lo restituì quasi subito informandomi che sua madre la spronò affinchè,
dopo una simile lettura, si andasse a…confessare!
Se si assiste imperterriti a certa TV, quali parole meritano d’essere dette?
Ci provo anch’io. Nella mia città c’era una libreria e soprattutto c’era un libraio fuori dal comune. La libreria era la più fornita della città e il libraio un appassionato di libri, uno che i libri li amava, li conosceva e li leggeva, non un semplice venditore degli stessi. Quella volta stavo preparandomi per il concorso a cattedre e tra le altre richieste della commissione d’esame c’era la lettura e il commento di 4 libri della letteratura straniera a scelta del candidato/a. Pensai, tra gli altri, ad un libro di cui mi aveva parlato con tanta passione il mio professore di latino e greco, “Piccola città”, di un autore americano degli anni ’50 di cui non ricordo il nome. Andai dal libraio, che per me, ma non solo per me, era un’istituzione e chiesi il libro. Mi guardò con uno sguardo particolare, tra il piacevolmente stupito e il malinconico, e mi disse “No, purtroppo non lo ristampano più, ma lei mi sembra troppo giovane per conoscere questo libro”. Lo ringraziai e fu allora che mi resi conto che alcuni libri “vengono uccisi” dalle case editrici che non li editano più per motivi strettamente commerciali, a prescindere dal loro valore. Mi piacerebbe trovare una copia di “Piccola città”, ma temo che non sia stato edito mai più. Poi per preparare l’esame scelsi “Addio alle armi” di Hemingway, “Casa di bambola” di Ibsen, “1984” di Orwell, e “Tempo di vivere, tempo di morire” di Remarque, uno dei miei autori preferiti, ma mi manca “Piccola città” e quello sguardo di buon papà del libraio della mia città.
Ieri mi capita che si avvicina uno in libreria e mi chiede se conosco un autore brasiliano, un certo Amado. “Senti” mi fa “te che leggi tanto, mica lo sai se si trovano i libri di Amado?”.
“Amado?” ho pensato “Amado? Certo che si trovano i libri di Amado, razza di idiota. Amado è uno degli scrittori più famosi e pubblicati del mondo. Amado”.
Però mica glielo ho detto.
Come si fa a fare una domanda così cretina?
Aveva ragione Bukowski, penso.
Mi avesse detto Galiazzo, Drago, Covacich, Genna, Trevisan. Che io conosco pure quelli. Purtroppo. Ma Amado, via. Guarda credo che Amado lo conosca pure mio padre che in vita sua ha letto soltanto Moravia e qualcosa di Hemingway.
“Cerca tra quelle cose là” ho risposto.
E ho indicato i libri economici, i best seller, i tascabili.
Lui se ne è andato via felice ed è tornato che stringeva in mano “Donna Flor e i suoi due amanti” e correva spedito verso la cassa.
“Voglio leggere qualcosa di nuovo” ha detto.
Io non ho commentato.
Ora, a parte che Amado è un grande, tanto di cappello ad Amado con le sue fantastiche storie del porto di Bahia, che poi a me la letteratura sudamericana mi fa impazzire e ho letto tutto quel che c’è da leggere. Ma mi fa un po’ incazzare ‘sto fatto di stare in un buco di culo del mondo dove ti vengono a chiedere se conosci Amado. Tutto qui. Mi avesse detto Padura Fuentes, guarda. Gutierrez, tanto tanto. Cortazar, Lima, Guillén, Carpentier… che sono tutti dei grandi, guarda bene, però magari è anche giustificato che uno non li conosca. Ma Amado, via.
(da Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura – Stampa Alternativa, 2004 – ma è un fatto vero!)
a casa mia si superano i 7000 volumi, ho una stanza riservata ai libri, in casa ogni stanza, ogni armadio, contiene libri, quelli “d’uso” poi ci sono quelli di uso continuato posati sui twqvoli, mio figlio ha sei scatoloni di libri in attesa di mensole messi sotto al letto e sotto al tavolo della stanza, altri, i libri figliano più dei conigli, attendono una sistemazione ammucchiati sui mobili … in terrazza c’è una libreria pronta dda montare. quando sarà montata mancherà di nuovo spazio per i libri. i libri sono ovviamente registrati su scheda e su un programma del pc e contrassegnati da un numero di codice che indica stanza, mobile scaffale …. peccato che i libri siano ovunque meno che dove dovrebbero essere! ho 5 metamorphoseon , tra cui uno illustrato da fiume,,che è l’unico che so sempre dov’è, ma ieri mio figlio cercava un preciso metamorphoseon, che aveva chiosato:pare si sia smaterializato, in compenso è ricompartsa una delle eneidi, la sua preferita, quella tradotta dal caro, la mia è quella latina del 1852, appartenuta al fratello del mio bisnonno, ma quella so dov’è: tra i libri antichi … credo….
etc. etc. etc….
Secondo aneddoto.
Arrivato in seconda media, mi prende il “virus” del collezionista di francobolli che ancora non mi abbandona. Mi prende talmente tanto che in poco tempo si trasforma quasi in una mania, fino al punto che chiedevo francobolli usati a chiunque: uomini e donne, giovani e anziani.
Era fatale…, i miei compagni di scuola iniziarono a chiamarmi “Franco-bollo”!
Un giorno, non ricordo come, mi capita tra le mani, un vecchio libriccino di poesie in dialetto perugino (allora abitavo a Perugia) intitolato “Le tràppele del monno” (Le bugie del mondo). Quasi tutte le poesie (sonetti) erano ispirate alla vita contadina del periodo fra le due guerre e alcune di esse erano comiche e argute come solo può esserlo la cultura popolare.
Il mio amico Raffaele, più piccolo di me, ma collezionista come me, mi chiese di leggerlo e se lo portò a casa. Raffaele, incredibile a dirsi, già all’età di circa dieci anni era un appassionato intenditore di letteratura e scriveva lui stesso poesie e racconti. Naturalmente s’innamorò del libricino e mi disse che mi avrebbe dato in cambio qualsiasi cosa se glielo avessi regalato.
Io, che molto più prosaicamente mi ero innamorato invece della sua bellissima lente d’ingrandimento per francobolli, gli dissi che avrei scambiato volentieri le poesie con la lente. Egli ancor più volentieri accettò.
Dopo una decina di anni ci siamo separati per sempre. Io uso ancora la sua lente, e lui sicuramente avrà conservato quel libretto come una reliquia. Prima di dividerci ciascuno per la sua strada, io ebbi modo di pentirmi di quello scambio, ma non glielo confessai mai. In seguito, per molti anni, ogni volta che tornavo nella città dei miei studi, andavo nelle librerie a chiedere se si trovava una ristampa di quel libro, come avessi il presentimento che prima o poi dovesse accadere.
E così fu infatti. Dopo almeno 35 anni dal fatto dello scambio, finalmente fu ristampato in versione integrale e adesso anch’io (come, immagino, il mio vecchio compagno di giochi Raffaele) lo conservo come uno dei miei libri più cari.
Abusando di questo spazio vi propongo una delle poesie.
‘N PERUGINO A ‘ST’ALTRO MONNO
Bussò ta ‘st’altro monno ‘n inquilino
e San Pietro ‘ntl’uprì je dimannoe:
-De dua sé?- J’arispose –Perugino.-
Prima de fallo entrè lo ‘nterrogoe.
E quillo nchi su mode se scusoe
D’esse nuto a bussè senza ‘n guadrino,
pu’ tutte le disgrèzie j’arcontoe:
l’acqua che j’oste ‘j miseno ntol vino,
la pèquera magnèta per castrato,
la cendre che ntol pène j’évno ‘ntriso,
‘l municipio che ‘ncò ‘nn l’eva paghèto.
-Basta,- Fice San Pietro ncon sorriso,
-passa puro, perché te se’ mertèto
de gì diretto a gode ’n Paradiso.-
……………………………………….
Umberto Calzoni, Perugia 1937.
(A richiesta posso anche tradurla)
Un po’ di anni fa amavo trascorrere le mia pause-pranzo dal lavoro in libreria. Disertavo volontariamente le tavole calde per infilarmi nel mondo incantato dei libri. In meno di un’ora mi saziavo con ogni ben di Dio. Le colleghe un po’ mi prendevano in giro e al mio ritorno in ufficio mi chiedevano sempre: “E allora, oggi che libri ti sei mangiata?”. Ovviamente non sapevo cosa rispondere perchè i miei attacchi di “bulimia da libro” erano micidiali.
Un giorno ritornai da loro con il “menu”.
Eccolo:
Antipasto: Marcela Serrano “L’albergo delle donne tristi”.
Primo piatto (bis): Christa Wolf “Medea. Voci” e “Cassandra”.
Secondi piatti: Arundhati Roy “Il Dio delle piccole cose”; Isabel Allende “La casa degli spiriti”
Dolce: Gioconda Belli “La donna abitata”
A quel menu’ ne sono seguiti molti altri. Con grande gioia e curiosità delle mie colleghe.
Di recente mi sono trovata a converesare un po’con una persona di origine tedesca, nel breve discorso in riferimento alla letteratura classica ho fatto menzione di due grandi scrittori di Heinrich Heine e Wolfgang Gothe – un’architetto di origine italiana,che si trovava vicino, sentendo quei nomi “nuovi e strani” all’orecchio ha chiesto:”Chi sono – i vip di Hollivood ???”- Tanto per scherzare amaramente ho confermato >! Natalia
Dopo aver letto “Un indovino mi disse”, colpito dalla personalità dell’autore, ho cominciato a leggere, tra Natale e Capodanno scorsi, “Un altro giro di giostra”, con quella splendida prima pagina dove all’autore viene annunciato: “Signor Terzani, lei ha il cancro. ” Da lì parte uno splendido e struggente viaggio nella malattia, nel male e nel bene del mondo. Un paio di settimane dopo aver iniziato quel libro ero anch’io nella stessa situazione del suo autore. Forse me l’aspettavo, per questo ho scelto quel libro per il mio nuovo viaggio fantastico. L’ho letto tutto e anch’io ho cominciato a scrivere della malattia, senza però muovermi dal mio paesello, a differenza di Terzani che è arrivato fin sull’Himalaia per scrivere il libro.
Quale più completo coinvolgimento tra opera letta e vita vissuta?
Guercino
incredibile ma vero, il mio aneddoto riguarda prorpio massimo. circa un anno e mezzo fa entrai in una libreria del centro di catania in cerca di qualcosa di interessante, e, per la prima volta, decisi di comprare un libro scritto da uno sconosciuto (per me!), ovvero, decisi di acquistare per la prima volta il libro di uno scrittore locale e contemporaneo,dicendomi “ok, diamo fiducia ad esordiente catanese, vediamo se la merita!”. il libro era “identità distorte”.
ebbene, lui se la meritava alla grande, e dopo neanche due mesi, la stessa casa editrice (conosciuta tramite il romanzo di massimo ovviamente!) diede fiducia a me, accettando di pubblicare il mio primo romanzo!
pensa un po’ massimo, forse, il tuo romanzo mi ha cambiatao la vita!!!
ci conoscevamo da due anni, ma ci eravamo sempre guardati male da lontano.poi uno sguardo diverso, una parola diversa, ed un libro, “il piccolo principe” ci innamorammo leggendo quelle pagine. ci amammo una volta sola, la mia prima volta. ci lasciammo appena scoprii di essere incinta. per fato, per sfortuna, non so.rinunciai al mio bambino due mesi dopo, in nome dei miei diciannove anni, della paura dei miei genitori, della paura di rinunciare alla mia vita, perchè lui non disse una parola. lui andò via dall’italia. quel libro mi ha cambiato la vita, per sempre.
la settimana scorsa ne ho comprata una copia, l’altra era di lui. la leggerò, prima o poi.
Estate sul Gargano di qualche anno fa. Accompagno mio padre nella cartoleria-edicola-libreria, l’unica del paese. Come entro, la mia attenzione è catturata dall’unico scaffale con libri e ne scelgo uno, tra i tanti accatastati in disordine. Alla cassa, mentre papà paga il quotidiano gli allungo il libro e gli chiedo se può comprarmi anche quello. Il negoziante getta lo sguardo sulla copertina , poi guarda me ed infine esclama sorridendo compiaciuto: ”ma tu sei una mosca bianca!”
Il titolo del libro era La ballata del vecchio marinaio di Coleridge con le incisioni di Dorè.
Avevo appena finito di studiare al ginnasio il Romanticismo inglese.
uno studio che poi è diventata col tempo, una passione.
Ve lo devo proprio dire: è bellissimo leggere i vostri aneddoti libreschi.
Vi ringrazio davvero tanto per la generosità, perché raccontando il proprio aneddoto si finisce, in un modo o nell’altro, per raccontare qualcosa di sé, qualcosa di intimo.
Un grazie particolare a Guercino, a cui faccio tantissimi auguri (o in bocca al lupo, se preferisce) per la sua salute. La letteratura può essere d’aiuto anche in momenti come questo. Tieni duro Guercino. Il Male si può combattere. E si può vincere.
Ringrazio ancora Irnerio per averci regalato un secondo aneddoto (sì, Irnerio, please, traduci la poesia se puoi; sono curioso di leggere la tua versione in italiano).
Saluto affettuosamente Morgana, alias Anna Riciputo, autrice del bel libro “Domani mattina” (Prova d’Autore). Libro interessantissimo il suo. Leggete qui:
http://www.step1magazine.it/v2_open_page.php?id=2455
Ringrazio XXX per averci raccontato un’esperienza così forte e personale.
Un caro saluto a Gordiano Lupi che ho visto l’altra sera su Rete 4 nel suo ruolo di esperto della commedia all’italiana degli anni Settanta (commentava un film di Gloria Guida).
Miriam, mi hai proprio incuriosito (devo dirtelo). Mi spiegeresti perché hai incollato le pagine de “Il Silenzio degli innocenti” con il vinavil?
Lascio il post evidenza per un altro giorno in attesa di nuovi “aneddoti libreschi”.
Da ragazza comprai “Lo straniero” di Camus. Comincia così: “Oggi la mamma è morta.” Erano le stesse identiche parole che avevo scritto l’anno prima sul mio diario, in un giorno tremendo del mio quindicesimo anno. Un tuffo al cuore. Poi ho raggiunto l’età (39 anni) in cui lei era morta e l’ho superata. Ho detto a qualcuno che era una strana senzazione pensare alla mamma come a una persona più giovane di te. Mi ha detto di leggere “L’ultimo uomo” di Camus. Il protagonista, un uomo adulto, va a vedere la tomba del padre in Algeria e si accorge che la foto di suo padre è quella di un ragazzo. L’aveva superato, e l’ordine giusto delle cose era sottosopra. Come posso non amare Camus?
Cara Antigone,
grazie mille anche a te per averci donato questo tuo bellissimo, toccante, aneddoto libresco.
Grazie davvero.
come tutti sanno, il libro di Camus che ho creduto di citare qui sopra si chiama “il primo uomo” e non “l’ultimo uomo”, ma … il mio lapsus ci sta tutto!
come tutti sanno, il libro di Camus che ho creduto di citare qui sopra si chiama “il primo uomo” e non “l’ultimo uomo”, ma … il mio lapsus ci sta tutto!
approfitto del ‘giochino’ per segnalare una recensione-aneddoto, qui:
http://baotzebao.wordpress.com/
un nuovo programma web tv sui libri, qui
http://www.rvnet.eu/fuoritesto
grazie
Ero un po’ incerto, Massimo, se scrivere nel mio secondo aneddoto quella postilla sulla traduzione della poesia in dialetto perugino, perché, mi dicevo: in fondo non è poi così astruso questo dialetto.
Poi però, nel dubbio l’ho scritto.
Ora che tu mi chiedi di tradurla, lo faccio volentieri, ma, al di là della italianizzazione delle parole, ci manca sempre l’inflessione vocale che è la caratterista principale e più simpatica di quel dialetto, come di tutti i dialetti. E quella purtroppo non posso tradurla per iscritto.
UN PERUGINO ALL’ALTRO MONDO
Bussò all’altro mondo un inquilino
e San Pietro nell’aprire gli domandò:
-Di dove sei?- Gli rispose: – Perugino-
Prima di farlo entrare lo interrogò.
E quello con i suoi modi si scusò
di essere venuto a bussare senza un quattrino,
poi tutte le disgrazie gli raccontò:
l’acqua che gli osti gli avevano messo nel vino,
la pecora mangiata per castrato,
la cenere che nel pane gli avevano intriso,
il municipio che ancora non l’aveva pagato.
-Basta- Fece San Pietro con un sorriso
-Passa pure, perche ti sei meritato
di andare diretto a godere in Paradiso.-
………………………………………..
(Umberto Calzoni – Perugia, 1937)
Ho amato la letteratura ridondante prima di approdare a quella essenziale. Nel mezzo ho vissuto Carlo Cassola. A 13 anni avevo già letto tutto quello che aveva pubblicato fino a quel momento. Presi a rileggere le sue opere quando fu paragonato a Liala. Una penna piuma, proprio non direi. Una maniera invece non aggressiva e se vogliamo romantica di raccontare vicende dolorose. Capace di farmi superare gli atroci 13 anni legati alla perdita di una mia sorella. Un grande Cassola che vorrei ora studiare. E se fossi brava attrice, una ragazza di Bube che vorrei interpretare.
Ciao!
Ecco il mio aneddoto libresco:
Sono uno che quando legge un libro, storpia quasi tutti i nomi che ci sono. Oddio: non è proprio così. Voglio dire: sì, è così, perché i nomi li storpio, sì che lo faccio. Però non è proprio uno “storpiare”, è un’altra cosa. Faccio qualche esempio. Per il corso di scrittura di Tortona del 12-13 Novembre 2005 dovevo leggere un libro di Edgar Allan Poe che ha come protagonista un personaggio che si chiama Arthur Gordon Pym, solo che questo nome non l’ho mai pronunciato dentro la mia testa Pim ma Paim, e quando mi è stato fatto notare che la pronuncia giusta non era Paim ma Pim, io non ho cominciato a pronunciarlo Pim ma ho continuato con Paim. Magari questo è successo per la forza dell’abitudine: certi errori inveterati sono difficili da cancellare; eppure, io penso, è successo per un’altra ragione. Un altro esempio.
Uno dei libri di John Le Carré che preferisco – non chiedetemi il motivo – è La Casa Russia. In questo libro nel capitolo iniziale c’è un personaggio che si chiama Niki Landau e siccome non sapevo bene come pronunciarlo ed era un nome che non mi piaceva niente per come suonava ( Niki Landò), l’ho tagliato e ho cominciato a leggerlo Niki Land. Lo so, è imbarazzante; ma forse ancora più imbarazzante è sapere che ho sempre letto George Smiley non Georg Smailei ma Georg Smilei. Smilei mi piaceva di più; e Smailei mi ricordava, e purtroppo mi ricorda ancora, la trasmissione di Jerry Scotti che si intitola Smile (e che si pronuncia Smail) – che a sua volta mi ricordava, e se è per questo lo fa ancora adesso, Umberto Smaila. Altro esempio. Ho sempre pronunciato Dirk Pitt, l’eroe dei romanzoni di Clive Cussler, non Dirk Pit ma Dirk Peit – mi sembrava si attagliasse meglio alla natura anglosassone del personaggio. Non parliamo poi dei romanzi russi. Quando a dodici anni lessi per la prima volta Guerra e Pace trasformai il Conte Besuchov (che mi suonava tra besugo e benso, mi ricordava il Gabibbo e non mi piaceva niente) in Conte Beirut. (Avevo dodici anni però…). Il Buck del Richiamo della foresta di Jack London l’ho sempre pronunciato Back non Buck – un suono che a tredici anni chissà che cosa deve avermi evocato… Il Cujo di Cujo di Stephen King io l’ho sempre pronunciato Cuio e non Cuo e lo faccio ancora adesso che so che si pronuncia Cuo e non Cuio. Non parliamo poi di tutte le volte che vedevo il film tratto da un libro che avevo letto. Mi accorgevo molto presto che i suoni dei nomi che avevano abitato la mia fantasia per una, due, tre settimane, se non mesi, se non anni addirittura, erano tutti diversi (e questo succedeva che fosse il nome di un personaggio, di un luogo o di un qualsiasi oggetto dotato di una certa importanza nell’economia della storia), una cosa che mi ha sempre procurato anche piccoli traumi. Ed ecco che sono arrivato al punto: tutte le volte che ho scoperto o mi è stato fatto notare che il suono del nome era diverso da quello che io avevo nella testa, ho provato un piccolo trauma. Come se l’universo spalancato in qualche angolo della mia mente avesse subito uno scossone tremendo con tutto un cascare di stelle e pianeti e schianti di grossi blocchi di meteoriti, e per il solo modificarsi di un suono. Tutto questo probabilmente mi dovrebbe suggerire chissà quale riflessione sulle proprietà magiche dei nomi e dei suoni dei nomi; ma oggi non sono in vena per fare queste riflessioni. Oggi mi va solo di raccontare un’esperienza – bizzarra, certo, ma, sono sicuro, non singolare – di comune lettore.
I suoni dei nomi che ho storpiato sono numerosissimi e potrei portare esempi di nomi tedeschi, cecoslovacchi, giapponesi, vietnamiti persino; ma non penso che sia più che tanto necessario: ormai si è capito, credo, di che cosa sto parlando, e, scommetto, ogni lettore potrebbe esibire il suo repertorio di esempi. Quello che mi preme sottolineare adesso, invece, è che questo “storpiare”, come l’ho definito, io non l’ho mai considerato proprio uno “storpiare”. L’ho sempre considerato piuttosto un “familiarizzare” con la storia che si sta leggendo. Il lettore si mette a suo agio in una storia che lo abiterà e che verrà abitata da lui stesso per giorni, per mesi, forse addirittura per anni. Non a caso ho portato esempi di storie che ho letto da molto piccolo. Quando ero molto piccolo le storie mi possedevano come gli spiriti posseggono un corpo e una mente, mi travolgevano completamente, e le rielaboravo di notte con sogni fantastici o con incubi terrificanti – una cosa che adesso, devo confessare, non mi succede più, se non molto raramente. Quando ero piccolo, invece, “familiarizzavo“ parecchio con una storia e facevo quel che si fa normalmente quando si “familiarizza”, o si cerca di farlo: rimodellavo tutti i nomi a mio piacere, quel personaggio chiamandolo così, quell’altro colà, quel luogo così, quel particolare oggetto colà. Ecco è questa la ragione che mi ha fatto storpiare (e ancora lo fa, ma più raramente) i nomi: il bisogno di familiarizzare e di mettermi a mio agio in una storia che non voglio smettere più di frequentare, anche solo come riverbero che mi viene da qualche angolo della mente durante la giornata o nella notte.
Ero imbottito di Ariosto e Manzoni e Omero… poi mi è capitato tra le mani Il Vecchio e il Mare e l’ho letto e ho detto: ma allora c’è anche questo…
E’ cominiciata così.
E continua ancora.
Più che un aneddoto vi racconto una pratica che ormai seguo da parecchi anni. Quando compro un libro per me, per mia moglie o per mia figlia – e già vi ho detto un sacco di cose – ci scrivo dentro una non dedica particolare. Descrivo cosa accade intorno a me, cosa fanno le persone, come è il tempo, gli stati d’animo dei miei amici a quattro o due zampe, la notizia del TG che mi ha colpito, se mi puzzano i piedi o se mi sono tagliato facendo la barba. Il diario umorale della giornata in cui il libro è entrato dentro casa. Ora, dopo qualche anno, comincio a riaprire libri dimenticati e vi assicuro che leggendo le righe che ho scritto mesi o anni prima c’è da scompisciarsi dalle risate, a volte è meglio di un video o di una foto.
Di seguito il link a un mio bel post sui libri, sul libro regalato, odorato, letto, accarezzato ecc.
http://ducciop.blog.kataweb.it/duccio_blog/2006/12/i_libri_e_le_pa.html
Il mio aneddoto libresco risale a molto tempo fa, quando avevo 14 anni.
Io ero in sala, a leggere IL CORSARO NERO di Emilio Salgari. Non era il primo romanzo che tentavo di leggere, ma era il primo che non riuscivo a smettere, preferendolo persino alla televisione.
Ero lì, immerso nella lettura di una fragorosa tempesta, quando sentii Tic, Tic, Tic!
“Accidenti, che potente questo libro” pensai. “Mi fa persino sentire il rumore dell’acqua che cade!”
Continuai imperterrito a leggere, ma il rumore non cessava. Cominciando a dubitare che potesse essere un “effetto speciale” dovuto all’immedesimazione nel romanzo, alzai lo sguardo incuriosito, e notai che dalla catena del lampadario… misteriosamente gocciolava acqua.
Diedi subito l’allarme, tuonando come il Corsaro Nero, evitando così cortocircuito & allagamento.
Da allora non ho più smesso di leggere.
Oggi compio 39 anni, e, anche se ho aggiunto molti altri autori alla mia lista, Emilio Salgari continuo ancora a leggerlo.
Vi ringrazio ancora una volta per aver raccontato i vostri bellissimi aneddoti libreschi (se ne avete altri non abbiate remore a scriverli qui).
Un saluto particolare allo scrittore Sergio Rilletti che ieri ha compiuto 39 anni. Tantissimi auguri da parte mia e di tutti gli amici di letteratitudine!
Più che un aneddoto, mi sembra una ventata di sfiga…nell’estate del 2001 lessi POTERE ESECUTIVO di Tom Clancy…la trama apocalittica si può riassumere brevemente: un jumbo giapponese distrugge il Campidoglio a Washington uccidendo il presidente USA, ministri e deputati del congresso, i membri della corte suprema, i capi dell’esercito dell’avizaione e della marina…
Neanche un mese dopo aver letto il libro…11 settembre 2001…
uno dei giorni della mia breve vita in cui mi sono posto più domande…la prima delle quali è stata “Chi mi ha consigliato quel libro?”…non mi sono ancora ricordato…
Un saluto a tutti
Maverick 87
Ciao Maverick,
in effetti il libro di Tom Clancy che tu citi (e che a dire il vero non ho letto) ha fatto molto discutere dopo la tragedia dell’11 settembre. Qualcuno ha sostenuto, addirittura, che avrebbe fornito una sorta di ispirazione agli attentatori. Altri hanno messo in rilievo la presunta capacità della letteratura di anticipare la realtà, di preconizzarla. Ma alla fine la realtà (in quel caso potremmo dire “purtroppo”) ha surclassato la fiction.
Come molti di voi sanno il tema 11 settembre (e derivati) mi sta molto a cuore. Avremo modo di discuterne assieme in altri post.
“DIVINA COMMEDIA” di famiglia
C’è un libro che ha connotato la mia vita passata e presente, un libro prezioso sia come cimelio storico, sia come testimonianza affettiva.
Trattasi dell’edizione patriottica della “Divina Commedia”, illustrata con 33 incisioni, formato 14 x 9, Editori Betti e Reggiani – librai – Via Dumini, n° 54 MILANO – 1915.
E’un’edizione tascabile, con copertina telata, già di colore rosso acceso, ora divenuto quasi marroncino, con impresso sul frontestipizio,, in rilievo il busto argentato di Dante.
Mio nonno aveva ricevuto il volumetto da cadetto all’Accademia di Modena e da allora non se ne era mai separato, neppure da ufficiale, durante la 1^ guerra mondiale
Io quel volumetto rosso l’ho sempre visto sul comodino della camera da letto del nonno. Era solito leggerne alcune terzine prima di addormentarsi; a volte me ne parlava, semplificando i contenuti a racconto in prosa accessibile alla mia
età bambina.
Finite le medie, quando alle superiori cominciai a studiare Dante , il nonno me lo regalò. Fu un gesto di grande fiducia nei miei riguardi, gesto che io apprezzzai smpre più consapevolmente negli anni.
Il volumetto non è annotato , ed io vi ho studiato sopra con impegno moltiplicato per la mancanza di guida interpretativa. Non ho tuttavia mai voluto acquistare le edizioni scolastiche, più accessibili. La Divina Commedia del nonno mi ha accompagnato sino all’esame di Stato ( non esisteva ncora la dicitura “Maturità” ) ed oltre , anche all’Università.
Ai miei figli ho acquistato Inferno, Purgatorio e Paradiso come da elenco libri di testo suggerito dalla loro scuola.
Ancor oggi di tanto in tanto sfoglio il “Mio Dante” con riverenziale timore per non frantumare le pagine ormai rinsecchite che vibrano come linfa vitale di amore e di sapienza.
I miei figli conoscono la “storia” del prezioso volumetto e mi auguro che ne abbiano rispetto anche negli anni a venire.
C’è un libro che ha connotato la mia vita, un libro prezioso sia come cimelio storico, sia come testimonianza affettiva.
Trattasi dell’edizione patriottica della “Divina Commedia” illustrata con 33 incisioni,formato 14X9, EditoriBetti e Reggiani – librai – Via Dumini, 54 MILANO, 1915.
E’ un formato tascabile, con copertina già di colore rosso acceso, ora divenuta piuttosto marroncina, con impresso in rilievo il busto argentato di Dante.
L’ho sempre visto, quel volumetto, sul comodino della camera da letto del nonno paterno, già cadetto dell’Accademia di Modena a cui fu donato prima della partenza per la 1^ Guerra Mondiale. Lui non se ne è mai separato e, da anziano, soleva rileggerne alcune terzine prima di addormentarsi. A volte me ne parlava, semplificandone il testo in racconti in prosa, accessibile alla mia età bambina.
Finite le Medie, quando alle Superiori cominciai a studiare Dante, il nonno mi regalò il “Suo Dante”. Fu un gesto di grande fiducia nei miei riguradi, fiducia che io apprezzai sempre più negli anni.
Il volumetto non è annotato, ed io vi ho studiato sopra con impegno moltiplicato, perchè la mancanza di guida accresceva il mio lavoro di comprensione. Tuttavia non ho mai voluto acquistare l’edizione scolastica, più facilitata.
Il libro del nonno mi ha accompagnata fino all’esame di Stato ( non erano ancora arrivati i tempi della MATURITA’) ed oltre, anche all’Università.
Ai miei figli ho acquistato Inferno, Paradiso e Purgatorio come da suggerimenti scolastici.
Il “MIO DANTE”, il libriccino rosso stinto, ancor oggi lo sfoglio con timore reverenziale per non sgretolarne le pagine rinsecchite dal tempo, che per me vibrano come linfa vitale di amore e di sapienza.
I miei figli conoscono la “storia affettiva” del “Mio Dante” e mi auguro che ne abbiano cura anche negli anni a venire.
Il mio aneddoto libresco è molto semplice. Stavo finendo la tesi per la laurea in filosofia. Un giorno mi concessi una vacanza: cominciai a leggere Delitto e castigo di Dostoevskij. Finito Delitto e castigo lessi quasi tutto di questo straordinario scrittore che mi aveva inculcato l’ amore per la letteratura russa. Poi passai a Cecov,
(ricordate quei libricini piccoli della BUR?)Non ricordo quanti fossero in tutto ma li lessi tutti.
L’ amore per la letteratura russa mi è rimasto. Mi sono laureata ma….con due anni di ritardo. Per due anni la mia tesi ha ceduto il passo agli scittori russi.
Salto di palo in frasca. Tra i tanti autori citati non ho trovato Luis Sepulveda. Anche di lui ho letto quasi tutto. Il suo
“Il vecchio che leggeva romanzi d’ amore” è straodinario! Di “Donna Flor e i suoi due mariti” ho scritto una recensione”
Credo sia ancora sul sito
http://www.francamente.net Ho detto credo perché sono sicura che stesse su Scrivendo che ha cambiato tutta la struttura e tutto quello che c’ era prima è andato perso e non ricordo se la recensione l’ ho messa anche su francamente. Buone letture
a tutti. Ciao. Franca.
Due anni fa, per l’esame di Letteratura italiana I ho preparato “Il Principe” di Machiavelli. Lessi il testo una volta e poi una seconda, per fissare bene i concetti. Sul retro dell’ultima pagina bianca prima della copertina finale scrissi, in alto, a lapis, la frase “COSE CAPITE PRIMA DIFFICILI” e poi il numero di due o tre pagine del libro dove c’erano i concetti che alla prima lettura non avevo ben capito.
Diedi l’esame e riposi il libro.
Lo prestai qualche mese dopo ad un amico che voleva dare lo stesso esame. Lui mi mandò un messaggio con scritto “Cose capite prima difficili di Cecilia C.”. Io, imbarazzatissima, neanche mi ricordavo più di un appunto così insignificante che era utile solo al mio studio.
Quell’amico ha scritto una canzone per il suo gruppo il cui ultimo verso è “Cosa capita, prima difficile” e la mia insignificante scritta sarà il titolo del loro primo album.
Caro Massimo, come mio contributo agli aneddoti libreschi ti mando un breve squarcio di vita vissuta, un po’ rielaborata.
In giro per editori presi in giro
Come dice qualcuno saggiamente, in Italia ci sono più scrittori che lettori e se gli scrittori leggessero di più, probabilmente scriverebbero meno e meglio. Questo, naturalmente vale sempre per gli altri, mentre l’orgoglio scrittorio ci spinge a spandere continuamente inchiostro, nella convinzione che il nostro sarà il romanzo del secolo e che ci renderà ricchi e famosi. Gli scrittori, come i musicisti, dicono di comporre e scrivere per sé stessi, ma in realtà adorano farsi ascoltare e leggere, anche se il processo creativo comporta già un piacere interiore, che diventa cento volte più intenso quando si proietta all’esterno.
Il sottoscritto non è migliore degli altri e preso da smania grafomane e animato da un ego grosso come un maiale, è riuscito a mettere insieme qualche centinaio di pagine che ora cercano un editore sufficientemente insano da metterle su carta, con copertina, grafica, firma e prezzo in quarta. Non ho nulla contro gli editori, ognuno fa l suo mestiere e conosce le difficoltà di farlo, ma è buffo vedere quanto alcuni tentino di scoraggiare l’esordiente, l’inesperto, il velleitario, con formule addirittura minacciose:
non mandateci manoscritti, se non richiesti espressamente ( ma come fai a chiedermelo se neanche mi conosci dato che sono esordiente?);
non osate mandarci manoscritti, perché abbiamo il piano editoriale completo fino al 2012 (ma come mai conosco qualche collega che l’anno scorso ha pubblicato come esordiente solo perché fa un altro mestiere nella vita e occasionalmente scrive?);
se proprio volete/dovete mandarci un manoscritto, spediteci l’indice e il primo capitolo (l’indice? cioè capitolo 1, capitolo 2, capitolo 3 e così via? il primo capitolo serve giusto a capire che lo scrittore ha una certa dimestichezza con ortografia e sintassi);
i manoscritti vanno spediti per posta ordinaria, verranno rifiutati quelli spediti per raccomandata, posta celere, espresso, corriere (in altre parole, voi spediteli, se poi la posta li perde tanto meglio, meno ne arrivano, meglio è);
i manoscritti vanno spediti solo su carta, guai a voi se utilizzate cd, floppy, zip, chiavette, email (ma non siamo nell’era dell’informatica? E la foresta amazzonica che viene abbattuta per nutrire le velleità dei grafomani non vi tocca il cuore?);
i manoscritti vanno spediti solo per email, ma senza allegati, non mandateci carta che ne abbiamo gli scaffali pieni (come senza allegati? vi mando una email chilometrica con tutto il romanzo? contenti voi. Ma poi lo leggete a schermo? speriamo);
non spediteci manoscritti o veniamo a cercarvi (toc toc, chi è, riina editore con un contratto a seguito della spedizione del suo manoscritto, ah bene una proposta editoriale?, no, un contratto su di lei, sono un killer professionista e sono venuto a farla fuori)
se volete informazioni sull’invio di manoscritti potete telefonare al numero dalle ore alle ore
(pronto vorrei mandare un manoscritto…
devo dirle che abbiamo una certa difficoltà a leggere tutto quello che ci mandano, cos’è?…
un romanzo…
ecco, appunto, abbiamo difficoltà proprio sui romanzi…
immagino, avessi scritto le istruzioni sull’uso della penna a sfera, probabilmente le leggereste senza troppa fatica, invece un romanzo richiede un certo impegno…
poi noi privilegiamo in questo periodo gialli e fantascienza, il suo è uno di questi due?…
mah, più o meno, c’è un po’ di giallo, in effetti, c’è anche un morto…
ah be’, allora, ma perché non si rivolge ad una agenzia letteraria?…
non ho dimestichezza, cosa sono?…
sono agenzie che si incaricano a pagamento di leggere i manoscritti e fornire un primo giudizio e, se validi, offrono un percorso privilegiato verso un editore e la pubblicazione…
ah sì, le più accreditate chiedono 150 euro per la lettura del manoscritto, ma per farmi dire che fa schifo, lo può fare gratis direttamente l’editore. E poi mi resta sempre il dubbio: e se l’agente letterario è un cretino e non ha capito che sono un genio? ho buttato i 150 euro. Allora mi rivolgo ad un altro, che per gli stessi soldi o anche di più cosa mi dirà? Mi procurerà un contratto? Non mi convince. Ma alla fine i manoscritti li leggete o no?…
certo, e rispondiamo sempre…
meno male, non lo fanno tutti…
tenga conto, però, che se non si riceve risposta equivale ad un rifiuto…
Allora non è vero che rispondete sempre.
No, parlavo per gli altri…
vabbe’, ve lo mando…Comunque, fino ad ora sono riuscito a rifilare sei manoscritti e altri quattro o cinque partiranno nei prossimi giorni. Per la legge dei grandi numeri (si fa per dire) almeno uno dovrà rispondermi. Speriamo non le Riina edizioni.
Grazie Gcanc.
Questo tuo intervento mi ha fatto molto divertire. È molto “umoristico” e descrive in maniera egregia il panorama editoriale dal punto di vista dell’esordiente.
Bravo! 😉
3 anni dopo i vostri racconti, ecco il mio attuale: 2 anni fa comprai “Nelle terre estreme” di Krakauer, pregustandone la lettura. Ma avevo altri libri da finire e pensavo che meritasse del tempo tutto per lui, così lo riposi con cura… Devo averne messa davvero tanta, perché è da più di un mese che lo sto cercando per casa ma non lo trovo…