Novembre 23, 2024

136 thoughts on “APOCALISSE A DOMICILIO, di Matteo B. Bianchi

  1. Lo scrittore/ospite è Matteo B. Bianchi: autore di libri cult, firma di riviste di tendenza, autore radiofonico e televisivo di successo (da Dispenser su Radio2 a Victor Victoria su La7), Matteo B. Bianchi è considerato uno dei talenti più brillanti e versatili della sua generazione.
    Come ho scritto sul post, il suo nuovo romanzo si intitola “Apocalisse a domicilio” (Marsilio). Una storia coinvolgente e intensa dove Bianchi si misura con uno degli interrogativi più difficili che si può porre un essere umano: come mi comporterei se dovessi conoscere in anticipo la data della mia morte?

  2. Il protagonista di questa storia è un giovane autore televisivo milanese, omosessuale e single, immerso nella routine massacrante del mondo dello spettacolo. A un certo punto riceve la predizione che nessuno vorrebbe mai: una sensitiva – tramite il fratello – gli pronostica due mesi di vita.
    Credere, o non credere?
    Facendo appello alla razionalità, sarebbe opportuno non dare peso a ipotesi di predizione del futuro così nefaste. Il problema, però, è che questa sensitiva ha raccontato cose talmente personali della vita del fratello, talmente “segrete”… che è impossibile che qualcun altro potesse esserne a conoscenza. Insomma, pare che davvero questa giovane donna abbia il dono maledetto della predizione.

  3. Da qui, il passaggio alla domanda successiva: se questa predizione fosse vera, cosa potrei fare nel tempo che mi resta per dare un senso alla mia esistenza?
    Il protagonista della storia decide di intraprendere un viaggio sentimentale a ritroso tra Roma, la Sardegna, San Francisco, nel tentativo di ritrovare i grandi amori del suo passato… quasi a conferma del fatto che amore e morte sono legate a doppio filo (o che la ricerca del rapporto fisico ed emozionale possano fungere, in qualche modo, da barriera nei confronti della fine).

  4. Come ho scritto sul post Matteo B. Bianchi è bravissimo a farci entrare nella vita di questo personaggio, a farci affondare nei sui dubbi e nelle sue insicurezze, a sorprenderci con la placidità mascherata di quest’uomo che non intende sottomettersi all’ansia e all’angoscia… che invece sembrano colpire di più il fratello (il quale, in certo senso, si sente responsabile della predizione). Il risultato è questa storia scritta con abilità e resa al lettore dal punto di vista dei tre personaggi principali: il protagonista, che si vede recapitare l’apocalisse a domicilio; il fratello del protagonista; la sensitiva.
    Tre voci che si alternano in un crescendo di emozioni che costringono il lettore a rimanere attaccato alla pagina fino alle ultime righe, per scoprire se la fine del libro coincide con la fine del protagonista… oppure no.

  5. Come anticipato, vorrei discutere di questo libro insieme a voi e con la partecipazione al dibattito dello stesso autore: Matteo B. Bianchi.
    Come sempre, pongo alcune domande finalizzate a avviare la discussione (domande che, per la verità, implicano risposte difficili… vi chiedo un grande sforzo, lo so).

  6. – Se in teoria si potesse conoscere la data della propria morte, sarebbe più una “condanna” o una “opportunità”?
    Quali sarebbero i pro e i contro?

  7. Il protagonista del libro reagisce tuffandosi nel proprio passato, ricucendo legami affettivi sfilacciati, chiedendo agli ex partner della sua vita di concedergli un ultimo atto di amore fisico.
    A vostro avviso, esiste una relazione tra l’esigenza di amore fisico e la prospettiva della morte?

  8. Nella speranza che la particolarità delle domande non inibisca le vostre risposte (e i vostri interventi in tema), vi auguro – come sempre – una serena notte…

  9. Buonanotte a te, Massimo…
    Sono domande forti.
    Pensavo a I VIAGGI DI GULLIVER, in cui il protagonista oltre a Lillipuziani ed altri stranissimi popoli incontra un popolo presso il quale la vita ha la stessa durata per tutti e quindi chiunque sa quando morirà. E il bello è che non c’è disperazione ma una serena consapevolezza, si salutano amici e conoscenti, si sa quanto tempo si avrà per imparare, per amare…
    Ecco, non so se sapere quando morirò mi renderebbe più o meno serena. Ma vorrei trascorrere gli ultimi mesi con amici e affetti veri, non sprecare il tempo che mi rimane (Battiato, L’OMBRA DELLA LUCE).

  10. Buonanotte, Massi. Sinceramente non so come reagirei se qualcuno, da me giudicato attendibile, mi predicesse la morte. So che ho paura della morte, so che poco tempo fa stavo per morire ma ero tranquillisima, tanto che dopo che in ospedale mi salvarono, quasi rimpiansi di non essere morta, ricordandomi benissimo il senso di serenità che mi aveva pervaso. Non vorrei morire all’ improvviso. Quando prego chiedo a Dio di darmi il preavviso. D’ altra parte quando siamo anziani, ed io lo sono, sappiamo di essere vicini all’ esperienza più misteriosa di noi umani. Chi ha fede coltiva una precisa speranza ma i dettagli di come si realizzerà questa speranza non li conosce. Vorrei morire stringendo le mani dei miei figli ma so che potrebbe andare altrimenti. Credo in un Dio Padre e amico che ci prenderà nella Sua Casa e non aggiungerà alla sofferenza che abbiamo avuto in vita, una sofferenza oltre la morte. Vorrei ricongiungermi a mio marito, ai miei genitori e ai tanti amici e amiche che ho incontrato nella mia vita.

  11. Predire a qualcuno che morirà, specificando il giorno è una cosa terribile.
    Eppure capita. Capita che il malato, di fronte al medico, si senta dire : lei ha tre mesi di vita.
    Terribile.

  12. L’uomo non è un essere a tempo. L’uomo si pensa infinito. Ed anche se una parte del suo cervello (quella razionale) sa che la fine è certa, c’è un’altra che si rifiuta di ammetterlo. Per questo ci affanniamo a lasciare segni: con e nei figli, con li amori della nostra vita, con le cose che scriviamo, con le cose che leggiamo e sottolineiamo.
    Speriamo che quei segni rimangano per sempre.
    Speriamo che quei segni sopravvivono al nostro posto.
    L’uomo non è un essere a tempo.

  13. Leggero senz’altro il libro di Matteo Bianchi a cui vanno i miei auguri. Credo che il protagonista si rifugi negli amori del passato perché è come se in quegli amori ritrovasse il senso di una specie di eternità. Credo che anche l’amore fisico sia un segno di opposizione alla morte.
    Bel tema.
    Buonanotte.

  14. Tema forte e intenso che mi interessa molto approfondire. Dunque leggerò di certo il romanzo di Matteo B. Bianchi che intanto saluto ed a cui mando tanti in bocca al lupo.

  15. In attesa di saperne di più sul libro, anche attraverso la partecipazione dell’autore alla discussione, rispondo alle domande.

  16. – Come reagireste se qualcuno vi dovesse predire l’imminente data della vostra morte? Quali decisioni prendereste?
    Premetto che mi sono sempre rifiutata di farmi leggere la mano, le carte, o cose così. Anche se solo per gioco.
    Una notizia del genere, anche se non comprovata, credo che minerebbe la serenità di chiunque. La vita non potrà mai più essere davvero la stessa. Se fosse vero?
    Io non lo so che decisioni prenderei. Probabilmente lascerei il lavoro e mi aggrapperei agli affetti che riconosco come veri.

  17. – Se in teoria si potesse conoscere la data della propria morte, sarebbe più una “condanna” o una “opportunità”? Quali sarebbero i pro e i contro?
    Secondo me sarebbe più una condanna. Non siamo programmati per pensarci come esseri finiti. Qualcuno l’ha già scritto e sono d’accordo.
    I pro e i contro finirebbero con l’eludersi. Rimarrebbe però l’angoscia.
    Meglio non sapere. Come dice il proverbio: occhio non vede, cuore non duole.

  18. – Il protagonista del libro reagisce tuffandosi nel proprio passato, ricucendo legami affettivi sfilacciati, chiedendo agli ex partner della sua vita di concedergli un ultimo atto di amore fisico.
    A vostro avviso, esiste una relazione tra l’esigenza di amore fisico e la prospettiva della morte?
    Penso anch’io di sì. Anch’io intravedo in uno dei tanti possibili aspetti dell’amore fisico il rigetto della fine.
    Ma sarebbe utile conoscere il parere di esperti in proposito.

  19. Caro dottor Maugeri
    alla stessa domanda che lei pone oggi (cosa faresti se sapessi il momento della tua morte) Giovanni Bosco rispose così: continuerei a fare tutto quello che stavo facendo.
    E ciò per dire che la sua vita era già così piena di significato, e che questo significato era già così evidente in tutte le sue azioni, che la morte non avrebbe potuto far altro che compierlo, senza sorprenderlo.
    Ah, dottor Maugeri! Fossimo tutti così vigili! Nessuno cercherebbe l’amore perduto, nessuno farebbe viaggi a ritroso, nessuno si chiederebbe perchè, come se questo perchè, in fondo, non fosse già nostro ogni istante, come se la morte avesse sempre una strada lontana, mentre ci guarda, è qui, nel nostro respiro che potrebbe incepparsi solo che il cuore decidesse – senza un motivo – di battere.
    E allora bravo il Dottor Bianchi che ci riporta all’attualità della nostra condizione, a quel nostro essere finiti, scaduti, dal primo vagito nel mondo, quello che segna il nostro conto alla rovescia.
    E siamo folli davvero quando non facciamo i conti con la nostra misura, siamo presuntuosi e inutilmente onnipotenti. Non ci è dato che questo spazio ristretto, in verità, che sarebbe meglio affrettarci subito a riempire di compassione.
    Quindi ribadisco: bravissimo il dottor Bianchi.
    A me piacerebbe poter dire, come Giovanni Bosco, resterò ad aspettare la morte senza null’altro fare che vivere la mia vita, spendere le mie azioni, continuare ciò che stavo facendo….
    Ma dirò invece che correrò davanti a Dio, gli chiederò perdono per ogni mancanza, e lo implorerò di chiudermi gli occhi come un mendicante del cielo.
    Poi tasterò la mano sulle lenzuola del letto, dottor Maugeri, alla ricerca, finlmente, della mano di mia moglie.
    Mi abbia sempre suo affezionato
    Professor Emilio

  20. giochino a parte, mi incuriosisce molto il libro di cui state parlando. proverò a richiederlo alla mia amica libraia.

  21. Per lo più al fatto di dovere un giorno morire non ci pensiamo. Si sa che succederà, ma non sapere né quando né come (se tra un istante o tra settant’anni) ci rende possibile dimenticarlo (tanto a morire sono sempre gli altri). Se ognuno sapesse per certo il giorno in cui dovrà morire temo che il genere umano si sarebbe già estinto da tempo non riuscendo a pensare ad altro.

  22. non converrebbe conoscere la data della propria morte?
    spesso ci ho pensato anche io…piu’ che altro perche’ quello che manca molte volte in questa vita e’ il coraggio….il coraggio di dire,fare,vivere…spessissimo si e’ bloccati da paure incontrollate e infondate e capita che ci si riesca a sbloccare solo in situazioni ‘estreme’…anche per dire un semplice ti voglio bene….allora quando penso a questo penso a quanto sarebbe piu’ facile sapere quando sara’ finita e vivere senza paura..avere quella forza…ma e’ anche vero che la vita e’ fatta anche di incertezze…e bisogna affrontarle..senza chiedersi quando e come succedera’…bisognerebbe imparare a vivere cosi’ ugualmente bene e spontaneamente..

  23. Professor Emilio, mi fa piangere… quanta verità, quanta fede nelle sue parole!
    La morte si sconta vivendo, scrisse Quasimodo. E questo atteggiamento “nichilistico” – ed è subito sera… ognuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole – senza prospettive altre, senza speranza, ci rende angosciati e soli, atterriti dalla morte altrui che è anche un po’ la nostra.

  24. E poi conoscere la data della propria morte sarebbe come leggere un libro dalla fine.
    Credo che ogni singolo nostro gesto azione pensiero abbia il potere di spostare questo limite.
    Ci sono cose che possiamo controllare ed altre no.
    Possiamo decidere di autodistruggerci.
    Possiamo decidere di fare dell’amore il centro della nostra vita e quello è l’elisir dell’eternità.
    L’amore fisico: il contatto umano, ecco quello che cerchiamo sempre. Deprivare qualcuno della presenza altrui è appunto dis-umano. Siamo esseri sociali per eccellenza e l’amore fisico è un modo di generare vita oltre la morte, di creare una realtà di unione che trascende anche quella dei corpi, perché psicologicamente separazione=morte.

  25. Sono d’accordo con Maria Lucia Riccioli. Anche a me le parole del professor Emilio commuovono sempre.

  26. Leggerò volentieri il libro, che mi pare interessante, anche perchè spesso il tema della morte nella contemporaneità è evitato e allontanato, diversamente che nel passato.
    Ho pensato molto a cosa farei io, se avessi la certezza di un tempo limitato e calcolato da vivere. Poichè sono una pavida, fondamentalmente, se debbo dirlo ora credo che mi suiciderei, per l’angoscia di non saperla vivere nè come condanna nè come opportunità. Però so bene che certe consapevolezze cambiano i modi di sentire, e forse finirei per cercare anche io di vivere una vita piena per quel che mi rimane, cosa che al momento invece mi sembra di non saper fare.

  27. leggerò pure io con molto piacere il libro. intanto complimenti a Bianchi per aver avuto il coraggio di affrontare un tema tutt’altro che facile.

  28. Stamattina ho aperto il tuo post Massimo, come sempre ho letto le tue domande, non sono mancate le riflessioni durante tutto il giorno, non riesco neppure a trovare le parole per descrivere gli occhi di chi aspettava la morte con scadenza breve o di chi l’ha conosciuta sul momento, posso solo tentare di sottolinearne la sua sacralità.
    L’amore fisico, eros che si relaziona con tanatos è un bisogno a ritroso, prenatale, anorgàsmico, dietro questo binario parallelo si cela l’essere.
    Sul SENSO della vita che dire, ognuno l’ha visto e sentito a modo suo durante la propria esistenza ha “lavorato” nella direzione ritenuta più giusta, sopratutto maggiormente confacente alle proprie esigenze, generalmente l’Essere in quanto tale è difficilmente etichettabile, a scendere le sue opere, le sue azioni nella freccia direzionale della materia.
    saluti

  29. Generalmente la genialità, non muore mai, mi sembra che Matteo Bianchi faccia parte di questa categoria.

  30. Grazie per avermi informato su un libro che voglio assolutamente leggere.
    A chi non è capitato, almeno una volta nella vita, di porsi quelle domande?
    Per ora non mi sento di rispondere. Forse più tardi, o domani. Di certo leggerò il libro.

  31. Cari amici,
    grazie di cuore a tutti per i vostri commenti (alcuni davvero molto profondi). L’argomento proposto – come scrivevo ieri – non è dei più facili da trattare.
    Dunque, vi ringrazio doppiamente.

  32. Adesso vorrei approfondire la conoscenza del libro, ponendo un paio di domande a Matteo B. Bianchi.
    Avrei dovuto farlo ieri sera, ma poi mi è sfuggito per via della stanchezza.
    Mi scuso, con Matteo.

  33. @ Matteo B. Bianchi
    Caro Matteo, molto spesso chiedo ai ospiti di raccontarci un po’ la genesi del libro. Non sempre è possibile individuare il momento in cui un libro nasce, o dire con esattezza cos’è che abbia spinto un autore a occuparsi proprio delle tematiche trattate.
    Ma, a volte, le risposte che ho ricevuto sono state sorprendenti.
    Così ti domando: come nasce “Apocalisse a domicilio”?
    (C’è stata un’idea, un’immagine, una situazione particolare che ti hanno spinto a sfidare la pagina bianca e a cimentarti con questa storia?)

  34. Seconda domanda per Matteo.

    Come ho scritto sul post, la storia è narrata dal punto di vista dei tre personaggi principali: il protagonista, che si vede recapitare l’apocalisse a domicilio (qui Bianchi usa la tecnica narrativa della “seconda persona”); il fratello del protagonista, che ci viene presentato con una narrazione in terza persona; la sensitiva, che racconta l’esperienza del suo “dono” in prima persona.
    Perché – dal punto di vista tecnico – hai adottato queste scelte?
    (Peraltro, per me, azzeccatissime…)

  35. Il tema è interessante: viviamo in una società ossessionata dall’invecchiamento, dalla decadenza, dalla morte (e proprio noi, che siamo riusciti a prolungare mediamente la vita a età impensabili solo cent’anni fa). Esplorarlo dà spunto a innumerevoli possibili storie, e questa potrebbe esserne una.
    A me ne vengono in mente altre due diversissime (anche da questa di Bianchi, che senz’altro merita di essere letta) che mi hanno ugualmente colpito: Ubik di Philip K. Dick (libro naturalmente di genere SF, con ribaltamento finale a sorpresa che prende in giro la morte e la di lei paura con caustico umorismo) e La fine è il mio inizio, di Tiziano Terzani. Di quest’ultima sta anche per uscire il film, ma non so se potrà mai essere all’altezza del libro, che raccoglie pagine di una serenità invidiabile, anche se certamente Terzani non era Don Bosco. Quello che colpisce di Terzani è il suo vedere la malattia e la morte come un’ulteriore occasione di crescita. Di fare piazza pulita di ciò che è inutile e avvelena le nostre vite. Perchè finchè si è vivi è alla vita che bisogna pensare, la morte ne è solo un presupposto finale imprescindibile, e come tale va accettato fin dall’inizio.

  36. Nella storia del mondo è una esigenza umana voler comprendere il mistero
    della precarietà della vita e l’neluttabilità della morte.
    Però, è condivisibile il pensiero di Don Bosco, serenamente adottato dal caro e tenero professor Emilio. Forse per l’età e per l’annosa agonia vissuta in troppi anni di devastante malattia, cerco di vivere ogni giorno come se fosse l’ultimo. Tale atteggiamento, mi permette di non dare tutto per scontato, ma di centellinare le rare gioie che l’esistenza mi regala.
    Come la vostra cara amicizia, nella quale volentieri mi rifugio, quando mi sento tagliata fuori dalla quotidiana normalità.
    Tessy

  37. Leggendo ‘Apocalisse a domicilio’, sono rimasta colpita dalla credibilità della storia, da come ti ci senti catapultata dentro e la vivi con le emozioni dei personaggi. Un libro che mi sento di consigliare. Saluti a Matteo B. Bianchi ed a tutti.

  38. Ciao Massimo e ciao a tutti i lettori del blog.
    Intanto ringrazio tutti per i tanti commenti e comincio a rispondere alla prima delle tue domande.
    E’ sempre difficile dire come nasce un libro. In questo caso, erano anni che pensavo di scrivere qualcosa che avesse a che fare col metafisico o il sovrannaturale, anche se cercavo il modo di evitare i soliti cliché del caso. Una volta (e davvero non so come) mi sono trovato a pensare al potere di predire la data esatta di morte agli altri. Era l’idea per un racconto, ma poi si è sviluppata in qualcosa di più grande. La svolta è stata immaginare che la sensitiva lo dicesse non al diretto interessato, ma a qualcuno a lui vicino (in questo caso, il fratello). Questa comunicazione indiretta mi permetteva di lasciare aperte molte più domande, dava molto più spazio all’azione: lui non ha potuto parlare direttamente con la sensitiva, quindi doveva affrontare questa profezia solo con se stesso.
    “Apocalisse a domicilio” non è, né vuole essere, un romanzo sul tema della morte, ma sull’ipotesi della morte. Come la consapevolezza della nostra caducità potrebbe modificare la vita stessa che viviamo ogni giorno.
    In altre parole, il romanzo gioca con uno spunto e un personaggio paranormale (la sensitiva), ma mette in scena una condizione reale e condivisa. tutti sappiamo che dobbiamo morire. Semplicemente non ci pensiamo.
    Questo libro dice invece: pensaci. Ora.

  39. @ Matteo B. Bianchi
    Incuriosita da questo post ho comprato il suo libro e ho già letto la prima parte. Mi ritrovo nelle sue parole che leggo nel post qui sopra. Non e’ un libro sulla morte, ma sul fatto che non ci si pensa. Questo e’ limite della società occidentali. Il suo libro dice appunto: pensaci. Induce a pensarci in maniera non pesante, ne’ banale. Non aggiungo altro se non ringraziarla e farle tanti complimenti.

  40. Bellissimo titolo, “Apocalisse a domicilio”! io se scoprissi di dover morire… cercherei di dormire di più, di stare coi bambini e coi vecchi, mangerei tutto quello che mi piace e tanto, tirerei dei gran sospiri di soddisfazione, smetterei di preoccuparmi, bacerei tanto le mie figlie e mia moglie, sarei buono e cattivo tutte le volte che ne avessi voglia, direi più di quanto faccia ora tutte le verità, le mie, guarderei dritto negli occhi le persone, camminerei a testa alta… ah, e naturalmente me la farei sotto!

  41. Vengo alla seconda domanda. Mi piace giocare con il testo. L’ho fatto moltissimo nel mio romanzo precedente (“Esperimenti di felicità provvisoria”), nel quale alcuni capitoli erano composti da aforismi, racconti, riassunti di telenovelas e così via. Il tema di “Apocalisse” non mi permetteva di essere altrettanto sbarazzino, ma ugualmente ho cercato di movimentare la struttura del libro. Ho compiuto una serie di scelte narrative curiose: inizio col capitolo 31, in pratica buttando il lettore verso la fine della vicenda, non ho dato nome al protagonista, uso tutte e tre le persone singolari, ho fatto impaginare una frase di un dialogo in caratteri più piccoli del resto del volume… Sembrano stranezze, ma hanno tutte un senso preciso.
    Il protagonista non ha nome ed è scritto in seconda persona (una forma usata raramente in narrativa): la maggior parte del romanzo è dunque al “tu” ed è un espediente per essere più diretto e quasi rivolgermi direttamente al lettore. Appunto, tu cosa faresti al suo posto?
    La sensitiva è una donna piena di incertezze. Ha davvero un dono, ma non è affatto felice di possederlo. Questo potere le è quasi rovinato la vita ed è solo analizzando i suoi ricordi, le sue insicurezze che potevo rendere questo tormento interiore: per questo ho usato la prima persona. Volevo che risultasse molto umana, molto fragile, in modo che fosse più credibile, dunque, le sue profezie ancora più spaventose.
    Il fratello è il ponte che unisce questi due estremi, il perno involontario su cui si posa l’intera vicenda, si trova in una posizione più oggettiva ed equidistante, ecco perché è narrato in terza persona.
    Spostando l’azione continuamente fra questi tre personaggi ho cercato di dare più ritmo al racconto e di offrire al lettore una diversa prospettiva sulla stessa vicenda. Anche se il tema del romanzo è impegnativo, il tono non lo è affatto: non sono tipo da paroloni. Ci sono anche molte scene divertenti, il protagonista viaggia, incontra un sacco di gente, va a feste e cene. Non si percuote il petto piangendo per 240 pagine, anzi. Molti lettori mi hanno scritto di averlo letto d’un fiato, come nel caso di un giallo. L’ho preso come un grande complimento. Sono felice che risulti di così facile approccio, perché al contrario per me è stato difficilissimo scriverlo e trovare questo equilibrio tra leggerezza di stile e profondità del soggetto.

  42. Caro Matteo Bianchi, grazie molte per le sue belle risposte. Fa venire ancora più voglia di leggere il libro. Riuscire a mantenere l’equilibrio tra queste tre voci non deve esser stato facile. Davvero complimenti.

  43. @ Matteo B. Bianchi
    Ne approfitto per porgere una domanda: di questi tre personaggi, quale e’ stato il piu’ difficile da trattare?
    Grazie e ancora complimenti

  44. @ Matteo B. Bianchi.
    Leggerò presto e molto volentieri il Suo bel romanzo.
    Per approfondire il profilo psicologico della sensitiva ha letto qualche volume di parapsicologia? Poiché, se non ricordo male, un serio studioso di arti divinatorie non predice mai in maniera diretta all’ interessato che dovrà morire, ma cerca solo di avvertirlo larvatamente del grave pericolo.
    Infatti, persone fragili possono essere influenzate negativamente e la loro vita verrebbe del tutto sconvolta.
    Lei si è avvalso del fratello della sensitiva per tale motivo?
    Grazie e un vivo plauso per l’ inconsueta trama.
    @ Mariano Sabatini. Mio caro, ho trovato un aforisma che per molti di noi ( in caso di infausta dipartita…con relativo scongiuro! ) ci calzerebbe a pennello:-
    ” Sono talmente occupato che ho dovuto rimandare la mia morte.”
    Bertrand Russel
    .
    Ti ci rivedi Mariano caro?
    Un giocoso saluto.
    Tessy

  45. Caro Massimo , ma da dove ti vengono certe idee? Proporre un libro del genere? che non sia stata la Quaresima? Per me che sono cristiana fino all’osso è un bel tema per mettere in gioco lo spirito umano in un tempo che richiede riflessione sulla nostra vita, la fede , i valori in noi radicati il pentimento , e la penitenza. Questo è un tempo di purificazione e forse, laicamente, l’autore vuole dare una mano alla riflessione sui nostri comportamenti moderni che ci rendono difficile vedere aperte le porte del Paradiso. La proposta mi ti fa vedere più come un sacerdote del tuo Blog che come un letterato.
    Comunque da parte mia posso dirti che non ho mai creduto alle profezie.
    Non ho mai dato la mia mano perchè qualcuno ne leggesse i segni.
    A questa donna non avrei sicuramente creduto:
    1° perchè la morte e la vita sono i due unici avvenimenti su cui l’uomo è completamente ignaro.
    Quando sei nato tu ne sapevi niente?
    Gesù nel Vangelo dice ” questo nessuno lo sa” soltanto il Padre che è nei cieli.
    2° perchè una persona che ti annunzia la tua morte non è nello spirito giusto
    ovvero fuori dal principio di “CARITA'”. La carità impedisce di annunciare cose che possono turbare la nostra vita.
    Non c’è bisogno sapere quando si compirà il nostro percorso terreno. Siamo tutti dentro un crogiolo di peccati, se riusciamo ad evitarne alcuni siamo già eroi e santi e nessuno è mai totalmente malvagio.
    Prima della CADUTA eravamo nel Paradiso terrestre ed è lì che ritorneremo anche se attraverso pene e sofferenze perchè Dio è più grande di noi e ci ama. Lui è Amore e non può fare nulla contro se stesso.
    Ciao a tutti ed a chi ci predice che andremo all’Inferno, auguriamo come faceva Malaparte, di andare subito in Paradiso.

  46. Ah! A proposito , se per assurdo dovessi conoscere il giorno e l’ora della mia morte mi affretterei a fare ed a finire tutte le cose che ho intrapreso e se pensassi che il tempo non mi basterebbe scegliere fra la pittura, la poesia, il racconto, l’autobiografia,e contemporaneamente il visitare gli ammalati ed i carcerati,consolare gli afflitti…..ma fra tutto questo mi ritaglierei qualche pò di tempo per salire verso Monte Pellegrino e guardare dall’alto le bellezze di Palermo, la sua natura tra il verde e l’azzurro e dirmi che avevo ragione quando pensavo che in questa vita “niente è mio”.

  47. Un saluto a Matteo B. Bianchi che ho conosciuto tempo fa ad una presentazione del libro. Come qualcuno ha già detto ‘Apocalisse a domicilio’ è bello già a partire dal titolo. Un libro che fa riflettere su temi forti, senza causare angoscia. “Merce rara”.

  48. Per Amelia: il personaggio certamente più difficile da scrivere è stato quello del protagonista. E’ una figura di uomo che non cede di fronte all’ipotesi della fine, ma cerca di darsi uno scopo, una modalità del tutto concreta di vincere l’angoscia. In questo libro non ho c’è traccia di misticismo, di religione, di fede: è tutto fisico, tattile, terreno. Per questo il protagonista può essere colto come categorico nelle sue scelte, forse antipatico. Io avevo onestamente il terrore che i lettori lo detestassero, invece non è andata così, meno male. Io però sì, un po’ l’ho odiato per la fatica che mi è costato (e infatti a un certo punto gli faccio prendere un pugno, dovevo pur sfogarmi anch’io!).
    Per M. Teresa: no, non ho studiato alcun testo di parapsicologia, né ho consultato biografie di celebri sensitive. Stavo per farlo, ma ho deciso di soprassedere. Volevo un personaggio specifico, con caratteristiche di umanità di un certo tipo, quindi ho preferito crearlo. Di storie a riguardo (maghe, sensitive, fattucchiere) ne avevo ascoltate a sufficienza da amici.
    Comunque nel romanzo spiego perché lei confidi la profezia di morte al fratello, anche se è consapevole di non doverlo fare. E’ un punto focale del romanzo, che non posso riprendere qui.

  49. Cari amici, vi ringrazio tutti per i nuovi interventi… e soprattutto grazie a Matteo per la sua partecipazione.
    Benvenuto a Letteratitudine, caro Matteo!

  50. @ Matteo
    Grazie per le risposte, caro Matteo. Come ho avuto modo di riferirti le scelte tecniche di scrittura (che hai utilizzato per narrare la storia) mi sembrano davvero azzeccatissime. E il risultato è davvero ottimo.

  51. A questo punto, caro Matteo, visto che hai accennato un po’ anche ai personaggi ti chiederei (se possibile) di farci assaggiare un po’ il libro inserendo qualche brano.
    Magari potresti inserire un brano per ciascuno dei tre personaggi…
    (sempre se è possibile). Così li presentiamo ulteriormente e ci riallacciamo al discorso delle diverse “tecniche di scrittura” adottate.
    Che ne dici?

  52. La discussione, ovviamente, rimane aperta.
    Invito chi ne avesse voglia a rispondere alle domande del post e a porre domande su questo bel romanzo di Matteo B. Bianchi.

  53. Carissimo Matteo,
    lei scrive a proposito del suo libro:
    ” per me è stato difficilissimo scriverlo e trovare questo equilibrio tra leggerezza di stile e profondità del soggetto”.Questa sua tensione tra levità e profondità, tra parola leggera, pura, e senso dell’esistere mi ha fatto pensare a Italo Calvino e alle sue “lezioni americane” dove scrive:”…la leggerezza è qualcosa che si crea nella scrittura, con i mezzi linguistici che sono quelli del poeta…”

    “La leggerezza…si associa con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso”

    In effetti Calvino dedica la prima delle lezioni americane all’opposizione leggerezza-peso, dichiarando di sostenere le ragioni della leggerezza, in quanto sulla leggerezza pensa di avere “più cose da dire”. Il suo lavoro di scrittore è stato infatti una sottrazione di peso..
    Caro Matteo, ha tenuto conto nel suo romanzo della lezione del grande Calvino?

  54. Ancora dalle lezioni americane:
    “La gravità senza peso di cui ho parlato a proposito di Cavalcanti riaffiora nell’epoca di Cervantes e di Shakespeare: è quella speciale connessione tra melanconia e umorismo, che è stata studiata in Saturn and Melancholy da Klibansky, Panofsky, Saxl. Come la melanconia è la tristezza diventata leggera, così lo humour è il comico che ha perso la pesantezza corporea (quella dimensione della carnalità umana che pur fa grandi Boccaccio e Rabelais) e mette in dubbio l’io e il mondo e tutta la rete di relazioni che li costituiscono. Melanconia e humour mescolati e inseparabili caratterizzano l’accento del Principe di Danimarca che abbiamo imparato a riconoscere in tutti o quasi i drammi shakespeariani sulle labbra dei tanti avatars del personaggio Amleto. Uno di essi, Jaques in As You Like It, così definisce la melanconia (atto Iv, scena I): …but it is a melancholy of my own, compounded of many simples, extracted from many objects, and indeed the sundry contemplation of my travels, which, by often rumination, wraps me in a most humorous sadness.( …è la mia peculiare malinconia composta da elementi diversi, quintessenza di varie sostanze, e più precisamente di tante differenti esperienze di viaggi durante i quali quel perpetuo ruminare mi ha sprofondato in una capricciosissima tristezza). Non è una melanconia compatta e opaca, dunque, ma un velo di particelle minutissime d’umori e sensazioni, un pulviscolo d’atomi come tutto ciò che costituisce l’ultima sostanza della molteplicità delle cose”…
    ——-
    Caro Matteo, si riconosce in queste riflessioni?

  55. opsss…. correggo: le va di parlarci DEL motivo che l’ha spinta a trattare questo tema?
    Più su, infatti, ha spiegato come è nato il suo libro. Ma qual è stata la spinta interiore? Quale l’esigenza di dire?

  56. Caro Matteo, mi associo alle domande che ti pone Simona Lo Iacono.
    Non ho letto il tuo libro ma conosco il caso di una persona a cui una veggente
    ha predetto qualcosa di brutto. Non ricordo più di cosa si trattasse ma non dimenticherò come si è ridotta quella persona dopo la profezia: sembrava un’ebete, era un orologio rotto che aveva fermato le lancette su un numero e quindi tutte le volte che la guardavi leggevi lo stesso pensiero fino a quando questo pensiero divenuto ossessione non si iscrisse con le rughe sulla fronte ed il cervello rimase vuoto.
    Come hai fatto tu a definire vera la sensitiva della tua storia ed imperniare la vicenda su di lei( mi sembra di capire che tutta la storia giri intorno all’annuncio della morte) senza peraltro lasciare al lettore il dubbio che non si trattasse di una Vanna Marchi?
    Io non ho nè cultura nè conoscenza di questi tipi, ma nella mia giovinezza ho letto alcuni libri sulla “mitologia” nordico-vichinga dove lo spirito di Ondino aleggiava su tutte le vite e ricordo che la nebbia dei fiordi penetrava l’anima ma soprattutto rendeva la vita opaca e ripetitiva.(ma forse non centra niente con la tua sensitiva perchè le mie vichinghe sono più avvicinabile a delle belle streghette)
    Per quale fine ti sei dedicato a questa suggestiva storia che definisci “Apocalisse a domicilio”? Non certo per fine religioso-spirituale come tu stesso dichiari e io invece penso che le vie del Signore sono infinite.
    ciao

  57. Matteo ‘ quando mi sarà possibile comprerò il tuo libro e ti scriverò privatamente per dirti che io intuisco il motivo per cui l’hai scritto. Per il momento se lo manifestassi sarei una veggente e siccome questo dono non me lo riconosco, nè alcuno me lo riconosce ho PAURA che la mia presunzione psicologica mi porti fuori strada.
    Ciao Ti auguro sogni d’oro: acque cristalline , spiagge dorate, cieli stellati e campi di grano…… Messi abbondanti per la tua fatica letteraria.

  58. Ho comprato il romanzo di Matteo Bianchi ieri pomeriggio e inizierò a leggerlo nel fine settimana. Sono rimasto colpito dal modo in cui la storia e le tematiche sono state affrontate nella narrazione ( per quel che era dato sapere dalle notizie lette qui ).
    Cari saluti all’autore Matteo Bianchi ed a tutti i partecipanti a questa bella discussione.

  59. Ciao a tutti, rispondo prima a Simona. Conosco le lezioni calviniane (sono un discreto appassionato di Calvino) e condivido il discorso sulla leggerezza. Nel mio caso direi che si tratta quasi di una necessità stilistica: per formazione rigetto l’idea che argomenti impegnati richiedano toni necessariamente cupi o drammatici. In tutto quello che ho scritto ho cercato di scardinare questo assioma: in “Generations of love”, il mio romanzo d’esordio, ho scritto di omosessualità togliendo volutamente tutti quegli aspetti di dramma, autoafflizione e tormento che caratterizzano i romanzi di formazione su questo tema; in “Fermati tanto così” ho parlato di malattia mentale e infanzia abusata usando toni lievi; in “Esperimenti di felicità provvisoria” ho parlato di storie sentimentali che prescindono dall’orientamento sessuale dei protagonisti, senza troppi patemi. Mi sforzo di avere sempre uno sguardo trasversale, di osservare la realtà da un punto di vista non abusato. E spesso l’ironia, la leggerezza, sono uno strumento ideale per favorire un punto di vista “altro”.
    “Apocalisse a domicilio” non fa eccezione. Cerco di parlare di morte senza usare angoscia, lacrime, fede, ultimi testamenti. Nel libro, l’ipotesi della morte diventa un mezzo per affrontare la vita in modo differente. Anche (paradossalmente) più pacificato e sereno.

  60. Ancora per Simona: non so cosa mi abbia spinto a trattare questo tema. Sono certo che a vent’anni l’ipotesi non mi avrebbe neppure sfiorato. Oggi, a 45, è innegabile che fare i conti con queste tematiche mi interessa di più. Immagino faccia parte del percorso individuale di ognuno di noi: a vent’anni siamo immortali, a 40 abbiamo vissuto a sufficienza per capire cosa siano il dolore e la perdita. Uno scrittore non riesce a rimanere indifferente a certe potenti emozioni.

  61. Per Mela Mondi: in parte ho risposto nell’intervento precedente rivolto a Simona.
    Ma sono davvero curioso di sapere quale sia il motivo che tu hai ipotizzato. Considero una promessa quella di scrivermi dopo che avrai letto il libro. La mia mail è matteo@matteobb.com.

  62. Come reagireste se qualcuno vi dovesse predire l’imminente data della vostra morte? Quali decisioni prendereste?

    Probabilmente sarei atterrito dalla mancanza di prospettive e cadrei in uno stato semicatatonico; non mi ci vedo a tentare di recuperare tutto il tempo perduto durante i miei anni di incoscienza. E poi, ho fatto il test postato nel topic: morirò nel 2047, c’è ancora tanto, tanto tempo…

    – Se in teoria si potesse conoscere la data della propria morte, sarebbe più una “condanna” o una “opportunità”? Quali sarebbero i pro e i contro?

    Sarebbe una condanna, solo l’afflato ad un’immortalità anelata ma irrangiungibile, ma chissà, perduta (forse che non siamo altro che angeli caduti?!), ci spinge a vivere al meglio la nostra vita transeunte.

    – Il protagonista del libro reagisce tuffandosi nel proprio passato, ricucendo legami affettivi sfilacciati, chiedendo agli ex partner della sua vita di concedergli un ultimo atto di amore fisico.
    A vostro avviso, esiste una relazione tra l’esigenza di amore fisico e la prospettiva della morte?

    Credo che nell’atto sessuale ci sia un desiderio di ritorno ad una condizione primigenia, prenatale, e quindi precedente alla vita. Da ateo, non posso confutare che la morte non sia altro che un volgersi ad uno stato di non-esistenza che ci caratterizzava prima della nascita.

    Ma a proposito di inesistenze, colgo l’occasione di salutare Matteo, che ho avuto l’onore di accogliere tra i compilatori dell’Enciclopedia degli scrittori inesistenti, la garzantina della letteratura immaginaria che ho curato insieme ad Aldo Putignano e di cui presto appronteremo la seconda edizione (magari accogliendo altri compilatori letteratitudiniani 😉

    Saluti,
    Giancarlo.

  63. Accogliendo infine l’invito di Massimo, inserisco tre frammenti del romanzo che si riferiscono ai tre personaggi principali.

    Il primo è il protagonista, in seconda persona:

    “Visto così, con il viso abbronzato, i capelli un po’ più lunghi sulla fronte, il sorriso sulle labbra e il sole del tramonto che ti illumina gli occhi, non sembri uno che sta per morire. Hai più l’aria di uno che torna da una bella vacanza e che si gode gli ultimi istanti di terra straniera guardando il paesaggio fuori dal finestrino.
    Ma non è stata una vacanza.

    Quando l’areo comincia la manovra di decollo la donna al tuo fianco mostra i primi segni di agitazione. I vostri sguardi si incrociano e lei non riesce a trattenersi: – Ho il terrore di volare – dichiara, come se non fosse già palese. – Per mio marito invece è una passeggiata. Come lo invidio -. Indica l’uomo accanto a sé, che già dorme col volto reclinato e la bocca socchiusa.
    – Io sono un po’ come lui. Per me volare è solo noioso –, ammetti.
    – Beati voi – sospira la donna. E già siete diventati una categoria: voi impavidi del volo, o forse, più geneticamente, voi uomini.
    L’aereo si impenna e la donna si lascia sfuggire un urletto.
    Due ragazze sedute di fronte a voi si voltano per sbirciare chi sia stato.
    Lei ti sussurra: – Mi scusi -.
    Il suo imbarazzo ti fa tenerezza.
    Ha quel trucco e quella acconciatura vaporosa che indicheresti in un questionario sui luoghi comuni come le caratteristiche tipiche della casalinga media americana. Dovendola descrivere agli amici finiresti per ricorrere allo stereotipo seriale di Marion Ross in arte Cunningham.
    – Non sono ancora abituata a chiamarlo “mio marito”. Ci siamo sposati due settimane fa. Questo è il nostro viaggio di nozze –
    – Ah, congratulazioni –
    – Vuole vedere le fotografie? –
    No che non le vuoi vedere. Ma come si fa a negare in certe circostanze? E’ una donna che sta tremando e tu sei la sua distrazione dall’ansia. E’ un atto di pietas latina.
    Dalla borsetta estrae un piccolo album in plastica. Le dimensioni ti rassicurano. Temevi di dover affrontare uno di quei raccoglitori a dimensione enciclopedia con trecento foto uguali. Mentre te lo passa ti viene il dubbio che forse questa è un’abitudine ancora solo italiana, che negli altri paesi civilizzati anche il rito delle fotografie da cerimonia è stato ridotto a dimensioni accettabili. Apri l’album e la donna comincia a commentare le immagini che tu sfogli: questa è mia sorella, questa è mia figlia (è il mio secondo matrimonio, naturalmente), questo il mio ex marito con la sua nuova compagna.
    Le foto sono tutte ambientate in un ristorante, con la gente seduta al tavolo che sorride, il taglio della torta, qualche accenno di ballo negli scatti finali.
    Hai l’impressione che sia stata una bella cerimonia, sobria e al passo coi tempi, con i componenti delle precedenti famiglie riuniti in armonia a festeggiare la nascita di una nuova. Happy days, appunto.
    Restituisci il raccoglitore a Marion Cunningham e rinnovi gli auguri. La signora ti sorride, grata dell’attenzione che le hai concesso. L’aereo ormai è in quota, l’emergenza decollo è superata. Ripone le foto in borsa, chiude la zip e poggia la testa vicino a quella del nuovo coniuge, chiudendo gli occhi in un gesto di imitazione del sonno nel quale difficilmente riuscirà a cadere. “

  64. Il secondo riguarda il fratello, in terza persona.

    “Si avvicina al primo banchetto. Un ragazzo sui ventidue, ventitre con una maglietta a tinte psichedeliche che ha conosciuto estati migliori e un’acconciatura rasta che gli piove ondeggiando sugli occhi sta fumando con aria assente.
    Stefano non finge neppure per un attimo di essere interessato alla sua mercanzia terzomondista: – Senti, scusa, sto cercando una ragazza, forse la conosci. E’ una coi capelli lisci, neri, che legge la mano a un banchetto qui nei dintorni. Hai presente? –
    Il ragazzo annuisce.
    – Sì, ho capito chi è –
    – Sai dove posso trovarla? E’ importante –
    – Non è di Torino, non viene qui sempre. Anzi, solo ogni tanto –
    – Ma sai se va anche da altre parti? In altre piazze? –
    – Guarda, non so che dirti. La conosco appena. Giusto un ciao e due parole quando passa di qui –
    – Io l’ho incontrata lunedì sera davanti al Cavalier Ferrante, qua dietro… –
    – Si mette quasi sempre lì, difatti –
    – Tutti i lunedì? –
    – No, te l’ho già detto: ci viene quando ha voglia, anche due o tre sere di fila, poi magari scompare per un mese. Fa così –
    Stefano è impreparato alla notizia. Apre bocca come per replicare qualcosa, ma rimane bloccato nel movimento, l’espressione allarmata in volto.
    – Mi dispiace, socio – dice il ragazzo con un sorriso equosolidale.

    [Stefano] Estrae dalla tasca il portafoglio e cerca il suo biglietto da visita. E’ un cartoncino formale, col logo della banca, inadatto al carattere privato e urgente della faccenda. Ma almeno lì c’è tutto: cellulare, ufficio, mail. Lo porge al rasta.
    – Senti, per favore, se la vedi, dille che mi deve chiamare. E’ importante –
    Il ragazzo osserva il logo della Banca AntonVeneta e alza le sopracciglia.
    – E’ nei casini? Per soldi? –
    – No, lì è solo dove lavoro. Questa è una storia mia, privata –
    Si rende conto che il sospetto del giovane non è fuori luogo. La sensitiva non sa neppure il suo nome. Se anche si vede consegnare un biglietto da visita bancario perché dovrebbe chiamarlo?
    – Ascolta, mio fratello sta male. Lei mi può aiutare -.
    E’ l’istinto che glielo fa dire. Niente batte la tragedia in questi casi.
    Il ragazzo infila il biglietto in tasca.
    – Tranquillo. Appena passa di qui le dico di chiamarti –
    – Grazie –
    Il rasta allunga una mano. Stefano quasi non capisce, poi tende la sua. Siglano il patto con una stretta energica.
    Speranze rinchiuse fra palmi premuti.”

  65. Il terzo infine riguarda Giulia, la sensitiva, in prima persona.

    “Esistono tanti modi per indicare ciò che possiedo: potere, dono, capacità, dote, facoltà. Sinonimi imprecisi, perché non c’è un termine specifico che lo identifichi. Mi sembra che questa assenza sia piuttosto eloquente: tendiamo a non nominare ciò che ci terrorizza. Ignorarne l’origine è un modo per tenere a bada la paura, per evitare che ci divori.

    Quando la gente scopre le mie facoltà mostra entusiasmi spropositati. Solo alcuni se ne spaventano, intuendo le zone oscure che ogni potere porta con sé. Gli altri, la maggior parte, vedono solo la superficie. Favoleggiano di un controllo sull’ignoto, sul denaro, sugli affetti, sul destino. Pensano che sia fantastico.
    Non lo è affatto.
    Quello che non riescono a capire è l’immanenza del potere. Hanno preconcetti da telefilm, eroi che azionano e disattivano i propri sensori a piacere. Non riescono a comprendere che non sono io che possiedo il dono: è il dono che possiede me, che io lo desideri o meno. E’ qualcosa che sono, non qualcosa che ho scelto. “

  66. Caro Matteo, ho cliccato sulla tua rivista ‘tina” e che trovo ? Trovo la generazione di Wanna Marchi.
    Quando l’ho citata nel mio post, credimi, per me , Tu, il tuo originale on line. eravate assolutamente ignoti. Non frequento internet se non per “letteratitudine” eppure ho sentito l’odore dei panni che W.M. sciorinava in TV.
    Io sono un’ex sessantottina, quindi una della beat generation, quando Marcuse era il nostro idolo. Per il lavoro che ho fatto conosco anche tutto il percorso scivoloso di tante generazioni ognuna delle quali aveva una frontiera da superare perchè pensava che i barbari erano sempre dietro l’angolo., ma per la generazione love chi sono i barbari? I barbari sono quelli che stanno alla porta o quelli dentro la casa? Forse che noi non abbiamo saputo fermarli, non abbiamo contestato quel che era veramente da contestare? Comunque ti ringrazio per questa insostenibile leggerezza che esprimi nella tua rivista e nel tuo libro (e su cui non sono d’accordo sui giudizi ed i confronti che sono stati fatti) perchè mi ha dato l’opportunità di qualche riflessione e di capire qualcosa di più dell’oggi e del tuo romanzo che ancora non ho letto.
    Quanta leggerezza c’è nella nostra storia letteraria ed artistica ma è leggerezza di avanguardie che hanno smontato pezzo a pezzo realtà dure ed arcigne!
    Ho l’impressione che all’attuale generazione manchino le ali per alzarsi da terra e guardare se stessa ed il mondo dall’alto tra le pieghe che vogliono saltare come fossati e invece finiscono per caderci dentro.Credo che essa si comporti in love ma quando si tratta di organizzarsi per raggiungere delle mete usa le strutture cognitive che noi abbiamo creato, gli strumenti organizzativi che gli abbiamo apparecchiato e risultano più bravi di noi. Noi contestavamo e basta , loro usano il loro modo di essere di pensare come materiale, lasciamelo dire, per il proprio tornaconto.
    Se avessi voluto scrivere “Apocalisse a domicilio” negli anni sessanta, quando ancora Rifikin non aveva scritto di empatia,quando non conoscevamo Peguy,Cesbron, Borget, Kundera ecc…come e cosa avresti scritto? Quale taglio avresti dato alla tua storia? I tuoi santini dove li avresti messi?
    Cercami su internet , se hai tempo. Qualcosa troverai di me, ma non chiamarmi vegliarda come fanno i ragazzi in motore quando mi vogliono sorpassare mentre guido lentamente sbirciando sui marciapiedi.

  67. Altrimenti non mi sarei soffermata a parlare con te su un livello diverso.
    Ciao a matteo

  68. E, ovviamente, grazie a Matteo per le risposte che ci ha fornito e per aver condiviso con noi tre brani tratti da questo suo nuovo romanzo… uno per ogni “voce”.

  69. Per ora ho letto solo i brani, che mi sono piaciuti tantissimo. Complimenti a Matteo B.Bianchi. Ma voglio leggere tutti i commenti perchè il tema di questo post mi interessa molto.

  70. Grazie anche a te, Laura.

    Ringraziando ancora una volta tutti voi, e in particolare Matteo B. Bianchi, auguro una serena notte (auspicando, ovviamente, che la discussione possa continuare).

  71. Riuscire a parlare non della morte, ma dell’ipotesi della morte, con la leggerezza con cui, da quello che ho già letto, è riuscito a fare Bianchi credo sia difficilissimo. Probabilmente se ci provassi io a scrivere una storia così probabilmente finirei con l’essere pesantemente drammatico, se non patetico. Infatti non ci provo a scriverla. Non mi rimane che leggerla, e lo farò di certo.

  72. E poi c’è anche il rischio opposto. Un eccesso di leggerezza può rendere la storia poco credibile. Ancora più difficile, dunque.
    Mi sono molto piaciute le risposte date sulla scelta del tipo di “persona” usata per raccontare i punti di vista dei personaggi. Qui si potrebbe aprire un’altra parentesi su come la scrittura, a parità di intreccio, può perfino modificare la percezione della trama.
    Davvero molto interessante.

  73. Titolo efficace ed emblematico “Apocalisse a domicilio” per un libro e, caro Massimo, post che, detto ironicamente, stanotte non mi farà dormire per certe riflessioni e incubi.
    Nessuno “pensa” a morire, ché – altrimenti – non gli verrebbe voglia nemmeno di nutrirsi, studiare, lavorare, amare. Anche se l’amore sia fisico sia idealizzato – e chiedo conferma al profondo Matteo B. Bianchi – è un antidoto all’obbligatorietà della morte, secondo valide (logiche) leggi naturali o divine (per chi crede).
    Infatti, se non ci fosse la morte, chi mai potrebbe garantire l’evoluzione della vita e delle sue sfaccettature, delle sue innovazioni?
    La morte come fase necessaria al rinnovamento della specie umana, anzi di tutte le specie viventi.
    Chiaro, però, che chi conoscesse in anticipo il giorno preciso della morte cadrebbe in un’angoscia devastante se non avesse il supporto della fede o della ferrea volontà di sfidarla, ricorrendo a ogni mezzo, come fanno gli eroi o i martiri.
    Meglio non sapere né il giorno e neppure l’anno, coltivando – invece – la speranza di poter vivere a lungo, molto più a lungo dei nostri avi o di chi ci circonda, nonostante l’eventuale tarlo di qualche male cronico per non dire incurabile. A mio avviso.
    Un saluto cordiale.

  74. Nessuno ha ancora detto nulla sulla copertina del libro. La trovo molto bella, inchioda gli occhi. Volevo chiedere all’autore se ha contribuito alla scelta o è stata solo farina del sacco dell’editore.
    Ciao a tutti.

  75. l’idea del libro di Matteo b. Bianchi e’ il modo con cui e’ stata trattata mi piace molto. Mi piace soprattutto l’idea della leggerezza rispetto al tema della consapevolezza della nostra fine. leggerezza non significa mancanza di profondità. Cavino docet, appunto.

  76. forse l’ha scritto qualcun altro: un libro che fa riflettere su temi così importanti e delicati, senza angosciare, e’ proprio quello che ci vuole per me. faccio un esempio: non sono mai riuscita a terminare il romanzo Everyman di Roth, anche se li le prospettive sono diverse. quel libro era troppo angosciante per me.
    Per Matteo B Bianchi : lei ha mai letto questo libro di Roth, Everyman. Cosa ne pensa?

  77. per rispondere a una domanda: cosa farei se qualcuno mi dovesse predire la data della mia fine? Penso che mi stringerei ai miei affetti e mi preparerei spiritualmente per il passaggio

  78. Per Giorgia: è vero, anch’io trovo bellissima la copertina. Non è stato facile trovare un’immagine adatta a questo titolo. Io contribuisco sempre in modo attivo sulla scelta delle copertine dei miei libri e stavolta è stato un lavoraccio. Abbiamo tentato varie strade, inclusa l’utilizzo di una illustratrice e fumettista, ma senza risultati convincenti. Questa immagine (di una fotografa turca di appena 19 anni!) l’ha trovata l’ufficio grafico Marsilio e mi ha convinto immediatamente: suggerisce inquietudine in modo indefinito, e non si capisce se l’uomo ritratto sul pontile sia svenuto, sdraiato per riposarsi, morto, o che altro. Apre domande, diciamo. Come in fondo il romanzo.

  79. Grazie per la risposta. E’ davvero bellissima la copertina: lo sfondo del cielo cupo, l’uomo disteso a terra in quella posizione…
    Cattura e rende l’idea. E si sposa bene con il titolo.
    Complimenti

  80. Per Mela Mondi: non so come avrei scritto un libro del genere negli anni ’70. Penso che nessuno dei miei libri avrebbe potuto esistere negli anni ’70. Io ero un adolescente allora e a me quel decennio (musicalmente, culturalmente) sembrava agghiacciante. Gli anni ’80 mi hanno salvato la vita e indicato la via. Sono il prodotto di quella generazione. Della tv commerciale agli albori, artigianale, imbarazzante. Dell’ascesa allo status di star televisiva di Wanna Marchi solo perché urlava per vendere delle creme di bellezza (un’esaltante contraddizione di termini, lei grassoccia e bruttina che vendeva miracoli impossibili). Della nascita del rock indipendente italiano. Dell’esordio di Tondelli. Della new wave inglese che mischiava musica, abiti e video. La mia formazione è un patchwork di alto e basso che ho vissuto come una liberazione rispetto alla pesantezza dei temi, delle canzoni e dei film del decennio appena trascorso.

  81. Mi è piaciuto molto questo commento di Matteo. Anch’io sono figlia degli anni ’80 e delle contraddizioni di quegli anni, come quella di Wanna Marchi che ben evidenzia lo stesso Matteo riprendendo l’input dato da Mela Mondi.
    Io credo che ogni generazione finisca con il raccontarsi tenendo conto del proprio vissuto e della propria formazione, o de-formazione. E’ sempre stato così. Per fortuno, direi. Altrimenti il mondo rimarrebbe sempre uguale. Il che a volte può essere anche peggio, per carità.
    Ma i cliché rimangono immutati. Le vecchie generazioni diranno sempre che la loro è superiore e migliore alla generazione che ha fatto seguito. E le generazioni attuali non ascolteranno le lagnanze di quelle precedenti.
    E’ un ciclo che prima o poi ci avvolgerà tutti.

  82. Provo a rientrare in tema rispondendo alle domande del post.
    – Come reagireste se qualcuno vi dovesse predire l’imminente data della vostra morte? Quali decisioni prendereste?
    Verificherei l’attendibilità della previsione. Se dovessi verificare, come accade al protagonista del libro di Matteo B. Bianchi, che la previsione ha un suo fondamento rivoluzionerei la mia vita per cercare di mettere tutte le cose a posto. Vorrei andarmene senza lasciare conti in sospeso con nessuno.

  83. – Se in teoria si potesse conoscere la data della propria morte, sarebbe più una “condanna” o una “opportunità”? Quali sarebbero i pro e i contro?
    Dipende dal soggetto e dalle sue caratteristiche.
    Per esempio, per un credente cristiano che sia davvero tale penso che la cosa peggiore che possa capitargli è morire fuori dalla grazia di Dio. Dunque, dato comunque per scontato l’ineluttabilità dell’evento, per lui sarebbe un’opportunità.
    Una ghiotta opportunità, oserei dire.

  84. – Il protagonista del libro reagisce tuffandosi nel proprio passato, ricucendo legami affettivi sfilacciati, chiedendo agli ex partner della sua vita di concedergli un ultimo atto di amore fisico.
    A vostro avviso, esiste una relazione tra l’esigenza di amore fisico e la prospettiva della morte?
    Credo di sì, e credo che sia innata in ciascuno di noi. In fondo nasciamo tutti da un atto di amore fisico. C’è stato un momento in cui, per ciascuno di noi, quell’atto ha coinciso con l’inizio della nostra vita. Tentare di riprodurlo, a prescindere dal fatto che sia omo o etero, potrebbe rispondere all’esigenza inconscia di ribellarsi alla morte, di aggrapparsia a quella scintilla che ha coinciso con l’inizio della nostra esistenza.

  85. Volevo ringraziare Massimo Maugeri per aver proposto un tema così intenso e coinvolgente e Matteo B. Bianchi per averci scritto un libro che sarà la mia prossima lettura:l’ho ordinato on line.

  86. Ciao. Ho letto un po’ tutti i commenti e rimango affascinata dalla modalità con cui Matteo B. Bianchi ha realizzato la sua opera. Anche secondo me il rischio era quello di finire negli stereotipi di un eccesso di drammatizzazione. Ma qui mi pare che il rischio sia stato superato.

  87. Tra i tre personaggi, quello che mi interessa di più è la sensitiva. Credo perché sono da sempre interessata di chiaroveggenza.
    Non so se può essere utile, fornire indicazioni sull’etimologia della parola in questione: deriva dal francese “clairvoyance”, «visione chiara», e ancor prima dal latino “clarus”, «chiaro» e “videre”, «vedere»; a seconda del contesto si può intendere sia alla lettera come percezione di tipo visivo, sia in senso esteso come acquisizione generica di conoscenza; in questo senso esteso è chiamata anche telestesia o metagnomia.

  88. La chiaroveggenza, come termine della parapsicologia, è distinta dalla divinazione poiché in quest’ultima le conoscenze provengono da una fonte soprannaturale come una divinità o un ente spirituale, mentre nella chiaroveggenza provengono direttamente dalle capacità del sensitivo. Tuttavia questa distinzione non è sempre rispettata: sia nell’uso comune sia nell’uso letterario i termini “chiaroveggenza” e “chiaroveggente” sono talvolta utilizzati anche per pratiche di tipo divinatorio, come la chiromanzia o la cartomanzia; c’è chi addirittura li usa per indicare una spiccata perspicacia di tipo intellettivo, che è però estranea sia alla chiaroveggenza sia alla divinaz

  89. La credenza che esistano fenomeni di chiaroveggenza esiste da sempre in tutte le culture. In Occidente, uno dei primi chiaroveggenti ad acquisire grande notorietà fu, nel XVIII secolo, il mistico svedese Emmanuel Swedenborg, che suscitò perfino l’attenzione di Kant, nell’opera “I sogni di un visionario spiegati coi sogni della metafisica” (1766). La chiaroveggenza era anche uno dei fenomeni attribuiti ai pazienti di Franz Mesmer.

  90. Durante l’epoca d’oro dello spiritismo, a cavallo tra XIX e XX secolo, numerosi medium affermavano di poter praticare la chiaroveggenza, che è stata studiata scientificamente dalla Society for Psychical Research a partire dal 1882.

    Alcuni parapsicologi ritengono che chiaroveggenza, telepatia e precognizione siano manifestazioni diverse di uno stesso fenomeno; tuttavia non è ancora stata formulata una teoria soddisfacente di quale possa essere tale meccanismo, né tantomeno sono state trovate fino ad ora prove scientifiche che tali fenomeni esistano davvero.

  91. In questi mesi ho presentato il romanzo un po’ in tutta Italia. Lunedì 11 aprile alle ore 18.30 sarò alla biblioteca provinciale Albino (sala conferenze) a Campobasso. Se siete in zona e volete passare, ne sarò felice.

    Vi segnalo inoltre un divertente filmato YouTube nel quale la simpatica Luciana Littizzetto consiglia la lettura del romanzo:

    http://www.youtube.com/watch?v=0COe-bzVC-4

    Vi invito poi a continuare a seguirmi anche sul mio blog personale
    http://www.matteobblog.blogspot.com

    Grazie

  92. vivo in provincia di Campobasso. Forse riesco a fare un salto per salutarla e farmi autografare una copia del libro.

  93. Caro Matteo, ti faccio i migliori in bocca al lupo per la tua presentazione di lunedì 11 a Campobasso.
    Ne approfitto per salutarti e per ringraziarti per la partecipazione a questo dibattito incentrato sul tuo romanzo “Apocalisse a domicilio” (e sui temi da esso trattati).

  94. – Come reagireste se qualcuno vi dovesse predire l’imminente data della vostra morte? Quali decisioni prendereste?
    Non ci crederei. Ma se avessi garanzie reali, penso che venderei tutto quello che ho e andrei in giro per il mondo a vedere più cose possibili prima della fine.

  95. – Se in teoria si potesse conoscere la data della propria morte, sarebbe più una “condanna” o una “opportunità”? Quali sarebbero i pro e i contro?
    Credo che sarebbe più una condanna. Quel poco ti resta da vivere, una volta che conosci la data della fine, lo vivresti comunque con il peso insostenibile delle lancette che girano.

  96. – Il protagonista del libro reagisce tuffandosi nel proprio passato, ricucendo legami affettivi sfilacciati, chiedendo agli ex partner della sua vita di concedergli un ultimo atto di amore fisico.
    A vostro avviso, esiste una relazione tra l’esigenza di amore fisico e la prospettiva della morte?
    Per quanto mi riguarda, di fronte alla prospettiva della morte viene meno qualunque forma di desiderio fisico a sfondo sessuale. Per me esiste una relazione tra la pace (si fa per dire) dei sensi e la fine dell’esistenza.

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