In occasione del centenario della nascita di Leonardo Sciascia, pubblichiamo questo articolo del saggista e critico letterario Giuseppe Giglio.
Ne approfittiamo per segnalare questo articolo di Antonio Di Grado (su Sicily Mag), l’iniziativa de “La strada degli scrittori“ e altri approfondimenti da varie testate.
Di seguito: un video e la biografia di Sciascia
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Approfondimenti su: la Repubblica, Il Corriere della Sera, L’Espresso, Il Fatto Quotidiano, Vanity Fair
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Leonardo Sciascia (Racalmuto, 8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989) è stato uno scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, politico, critico d’arte e insegnante italiano.
Spirito libero e anticonformista, lucidissimo e impietoso critico del nostro tempo, Sciascia è una delle grandi figure del Novecento italiano ed europeo. All’ansia di conoscere le contraddizioni della sua terra e dell’umanità, unì un senso di giustizia pessimistico e sempre deluso, ma che non rinuncia mai all’uso della ragione umana di matrice illuminista, per attuare questo suo progetto. All’influenza del relativismo conoscitivo di Luigi Pirandello si possono ricondurre invece l’umorismo e la difficoltà di pervenire a una conclusione che i suoi protagonisti incontrano: la realtà non sempre è osservabile in maniera obiettiva, e spesso è un insieme inestricabile di verità e menzogna.
Ebbe anche un’attività politica importante, attestato su posizioni di socialismo democratico e marxismo moderato, poi di radicalismo liberale, garantismo e socialdemocrazia. Dapprima fu consigliere comunale a Palermo (1975-1977) per il Partito Comunista Italiano, ed in seguito (dal 1979 al 1983) deputato in Parlamento per il Partito Radicale, infine fu simpatizzante del Partito Socialista.
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Leonardo Sciascia nasce l’8 gennaio 1921 a Racalmuto, in provincia di Agrigento, primo di tre fratelli, figlio di un impiegato, Pasquale Sciascia, e di una casalinga, Genoveffa Martorelli. La madre proviene da una famiglia di artigiani mentre il padre è impiegato presso una delle miniere di zolfo locali e la storia dello scrittore ha le sue radici nella zolfara dove hanno lavorato il nonno e il padre. Trascorre l’infanzia circondato da zie e zii nella casa di Racalmuto di via Regina Margherita, 37 (oggi via Leonardo Sciascia), aperta al pubblico nel luglio del 2019 da privati e inserita nel percorso turistico “Strada degli scrittori”.
Gli studi: il periodo nisseno
A sei anni Sciascia inizia la scuola elementare a Racalmuto. Nel 1935 si trasferisce con la famiglia a Caltanissetta dove si iscrive all’Istituto Magistrale “IX Maggio” nel quale insegna Vitaliano Brancati, che diventerà il suo modello e che lo guida nella lettura degli autori francesi, mentre l’incontro con un giovane insegnante, Giuseppe Granata (che fu in seguito senatore comunista), gli fa conoscere l’illuminismo francese e italiano. Egli forma così la propria coscienza civile sui testi di Voltaire, Montesquieu, Cesare Beccaria, Pietro Verri.
Nel capoluogo nisseno trascorrerà gli anni più indimenticabili della sua vita, come lui stesso confessa nella sua autobiografia, fatti delle prime esperienze e delle prime scoperte della vita oltre a rafforzare la sua formazione culturale.
Intanto intrattiene un rapporto epistolare con Giuseppe Tulumello, compaesano di Racalmuto, con cui si scambiava giudizi sui film. Un’amicizia fraterna, questa, che lo accompagnerà fino alla morte.
Richiamato alla visita di leva viene considerato per due volte non idoneo, ma alla terza viene accettato e assegnato ai servizi sedentari.
Nel 1941 consegue il diploma magistrale e nello stesso anno si impiega al Consorzio Agrario, occupandosi dell’ammasso del grano a Racalmuto, dove rimane fino al 1948. Ebbe così modo di avere un rapporto intenso con la piccola realtà contadina.
Nel 1944 sposa Maria Andronico, maestra nella scuola elementare di Racalmuto. Dalla loro unione nasceranno due figlie, Laura e Anna Maria.
Nel 1948 Leonardo Sciascia rimane scosso dal suicidio dell’amato fratello Giuseppe.
Le prime opere: poesie e saggi
Nel 1950 pubblica le “Favole della dittatura”, che Pier Paolo Pasolini nota e recensisce. Il libro comprende ventisette brevi testi poetici, “favole esopiche” classiche, con morali chiare, di cui sono protagonisti animali. Venti di questi testi erano apparsi tra il 1950 e l’estate del 1951 su “La Prova” fondato a Palermo dal politico democristiano Giuseppe Alessi, periodico politico con il quale Sciascia inizia a collaborare fin dal primo numero firmando il 15 marzo 1950 il necrologio “Molto prima del 1984 è morto George Orwell”.
Nel 1952, esce la raccolta di poesie La Sicilia, il suo cuore, che viene illustrata con disegni dello scultore catanese Emilio Greco.
Nel 1953 vince il Premio Pirandello, assegnatogli dalla Regione Siciliana per il suo saggio “Pirandello e il pirandellismo”.
Inizia nel 1954 a collaborare a riviste antologiche dedicate alla letteratura e agli studi etnologici, assumendo l’incarico di direttore di «Galleria» e de «I quaderni di Galleria» edite dall’omonimo Salvatore Sciascia di Caltanissetta.
Nel 1954 Italo Calvino scrive, riferendosi a un’opera di Sciascia:
«Ti accludo uno scritto d’un maestro elementare di Racalmuto (Agrigento) che mi sembra molto impressionante» (Lettera di Italo Calvino a Alberto Carocci, 8 ottobre 1954)
Nel 1956 pubblica “Le parrocchie di Regalpetra”, una sintesi autobiografica dell’esistenza vissuta come maestro nelle scuole elementari del suo paese. Nello stesso anno viene distaccato in un ufficio scolastico di Caltanissetta.
Nell’anno scolastico 1957-1958 viene assegnato al Ministero della pubblica istruzione a Roma e in autunno pubblica i tre racconti che vanno sotto il titolo “Gli zii di Sicilia”. La breve raccolta si apre con “La zia d’America”, un tentativo di dissacrare il mito americano dello “Zio Sam”, visto come dispensatore di doni e libertà.
Il secondo racconto è intitolato “La morte di Stalin”, nel quale, ancora una volta, il personaggio è un mito, quello del comunismo che viene incarnato, agli occhi del siciliano Calogero Schirò, da Stalin. Il terzo racconto, “Il quarantotto”, è ambientato nel periodo del Risorgimento (tra il 1848 e il 1860) e tratta del tema dell’unificazione del Regno d’Italia vista attraverso gli occhi di un siciliano. Nel racconto l’autore vuole mettere in evidenza l’indifferenza e il cinismo della classe dominante affrontando un tema già trattato da Federico De Roberto ne I Viceré (1894) e da Giuseppe Tomasi di Lampedusa ne Il Gattopardo.
Alla raccolta si aggiunge, nel 1960, un quarto racconto, “L’antimonio”, che ebbe favorevole consenso della critica e al quale Pasolini dedicherà un articolo sulla rivista Officina. In esso si narra la storia di un minatore che, scampato ad uno scoppio di grisou (chiamato dagli zolfatari antimonio), parte come volontario per la guerra civile in Spagna.
A Caltanissetta: i romanzi
Sciascia rimane a Roma un anno e al suo ritorno si stabilisce con la famiglia a Caltanissetta, assumendo un impiego in un ufficio del Patronato scolastico.
Nel 1961 esce Il giorno della civetta col quale lo scrittore inaugura una nuova stagione del giallo italiano contemporaneo. Al romanzo si ispira il film omonimo del regista Damiano Damiani, uscito nel 1968.
Gli anni sessanta vedranno nascere alcuni dei romanzi più sentiti dallo stesso autore, dedicati alle ricerche storiche sulla cultura siciliana.
Nel 1963 pubblica Il consiglio d’Egitto, ambientato in una Palermo del ‘700 dove vive e agisce un abile falsario, l’abate Giuseppe Vella, che “inventa” un antico codice arabo che dovrebbe togliere ogni legittimità ai privilegi e ai poteri dei baroni siciliani a favore del Viceré Caracciolo.
Il ritorno al saggio
Nel 1964 pubblica il breve saggio o racconto, come dice lo stesso Sciascia nella prefazione alla ristampa del 1967, Morte dell’Inquisitore, ambientato nel ‘600, che prende spunto dalla figura dell’eretico siciliano fra’ Diego La Matina, vittima del Tribunale dell’Inquisizione siciliana, che uccide Juan Lopez De Cisneros, inquisitore nel Regno di Sicilia.
La Compagnia del Teatro Stabile di Catania, diretta da Turi Ferro, mette in scena “Il giorno della civetta”, con la riduzione teatrale di Giancarlo Sbragia.
Risale al 1965 il saggio “Feste religiose in Sicilia”, che fa da cornice alla presentazione ad una raccolta fotografica ad opera di Ferdinando Scianna, fotografo di Bagheria, dove torna l’accostamento della Sicilia alla Spagna, soprattutto per quanto riguarda il valore e l’importanza, in ambedue le società, della superstizione religiosa e del mito.
Sempre nel 1965 esce la sua commedia L’onorevole che è un’impietosa denuncia delle complicità tra governo e mafia.
Nel 1966 ritorna con un romanzo, A ciascuno il suo, che riprende le modalità del “giallo” già utilizzate ne Il giorno della civetta.
La vicenda narrata è quella di un professore di liceo, Paolo Laurana, che inizia per curiosità personale le indagini sulla morte del farmacista del paese e dell’amico dottore, ma che si scontra con il silenzio di tutti i paesani, silenzio dovuto alla paura e alla corruzione. Come commento alla tenacia nelle indagini del professore e alla sua tragica fine, l’explicit del libro si risolve in una frase lapidaria:
«”Era un cretino.” disse don Luigi»
Dal romanzo, il regista Elio Petri trae, nel 1967, il film omonimo.
Le analisi sull’arte
Leonardo Sciascia si dedicherà all’analisi critica della pittura, e in particolare al siciliano Mario Bardi, asserendo nel 1967: “Non c’è niente nella pittura di Bardi, che non possa spiegarsi con la pittura. E tuttavia non c’è niente nella sua pittura che la Sicilia, a riscontro, non possa spiegare: e non soltanto negli avvenimenti, nei fatti, ma anche e soprattutto nel modo di essere. E nel suo modo di essere pittore”.
L’interesse di Leonardo Sciascia, si estende verso gli incisori jugoslavi Makuc, Jaki, Gliha… anche se la sua attenzione si focalizza sempre più sugli artisti di origine siciliana come Mario Bardi, Bruno Caruso, Piero Guccione, Andrea Vizzini.
A Palermo
Nel 1967 si trasferisce a Palermo per seguire negli studi le figlie e per scrivere. Esce intanto per l’editore Mursia un’antologia Narratori di Sicilia, curata da Sciascia in collaborazione con Salvatore Guglielmino.
Nel 1969 inizia la sua collaborazione con il Corriere della Sera e pubblica Recitazione della controversia liparitana dedicata ad A.D., che racconta, attraverso una rappresentazione teatrale, la controversia per la vendita di una partita di ceci per la quale il vescovado di Lipari non vuole pagare la tassa (siamo all’inizio del ‘700). Il vescovo aveva scomunicato i gabellieri, ma il re, mediante l’appello per abuso, aveva annullato la scomunica. La storia, apparentemente banale, in realtà denuncia i rapporti tra Stato-guida dell’ex Urss e gli Stati satelliti. Le iniziali A.D. identificano Alexander Dubček, che fu protagonista nel 1968 della Primavera di Praga.
La pensione
Nel 1970 Sciascia va in pensione e pubblica la raccolta di saggi “La corda pazza”, nella quale l’autore chiarisce la propria idea di “sicilitudine” e dimostra una rara sensibilità artistica espressa per mezzo di sottili capacità saggistiche. Quest’opera riporta, già dal titolo, a Luigi Pirandello che nel suo libro “Berretto a sonagli” sostiene che ognuno di noi ha in testa “come tre corde d’orologio, quella “seria”, quella “civile”, quella “pazza””.
Sciascia vuole indagare sulla “corda pazza” che, a suo parere, coglie le contraddizioni e le ambiguità ma anche la forza razionalizzante di quella Sicilia che è tanto oggetto dei suoi studi.
Il ritorno al genere poliziesco
Il 1971 è l’anno de “Il contesto”, con il quale l’autore ritorna al genere poliziesco. La vicenda si svolge intorno all’ispettore Rogas che deve risolvere una complicata vicenda che origina da un errore di giustizia e una serie di omicidi di giudici. Benché il romanzo sia ambientato in un paese immaginario, il lettore riconosce senza sforzo l’Italia contemporanea. Il libro desta molte polemiche, più politiche che estetiche, alle quali Sciascia non vuole partecipare, ritirando così la candidatura del romanzo al premio Campiello.
Dal romanzo venne ispirato il film di Francesco Rosi, uscito nel 1976 e intitolato Cadaveri eccellenti.
Con gli “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel” del 1971, si comprende che in Sciascia la propensione ad includere la denuncia sociale nella narrazione di episodi veri di cronaca nera si fa sempre più forte. Così sarà ne “I pugnalatori” del 1976 e ne “L’affaire Moro” del 1978.
Nel 1973 pubblica “Il mare colore del vino” e scrive la prefazione ad un’edizione della “Storia della colonna infame” di Alessandro Manzoni, in cui scrive: «Più vicini che all’illuminista ci sentiamo oggi al cattolico. Pietro Verri guarda all’oscurità dei tempi e alle tremende istituzioni, Manzoni alle responsabilità individuali».
Nel 1974 pubblica la prefazione ad una ristampa dei “Dialoghi” dello scrittore greco Luciano di Samosata dal titolo “Luciano e le fedi”.
Esce intanto Todo modo, un libro che parla “di cattolici che fanno politica” e che viene stroncato dalle gerarchie ecclesiastiche. Il racconto, di genere poliziesco, è ambientato in un eremo/albergo dove si effettuano esercizi spirituali. In questo luogo, durante il ritiro annuale di un gruppo di “potenti”, tra i quali cardinali, uomini politici e industriali, si verifica una serie di inquietanti delitti.
Anche da questo romanzo verrà tratto un film dallo stesso titolo diretto dal regista Elio Petri nel 1976.
L’impegno politico
Alle elezioni comunali di Palermo nel giugno 1975 lo scrittore si candida come indipendente nelle liste del PCI; viene eletto con un forte numero di preferenze, ottenendo il secondo posto come numero di preferenze dopo Achille Occhetto, segretario regionale del partito, e davanti ad un altro illustre candidato, Renato Guttuso.
Nello stesso anno pubblica La scomparsa di Majorana, un’indagine sulla scomparsa del fisico Ettore Majorana avvenuta negli anni trenta.
Nel 1976 esce una ristampa delle commedie L’onorevole e Recitazione della controversia liparitana con l’aggiunta de I mafiosi. Nello stesso anno pubblica l’indagine I pugnalatori, un libro inchiesta su una vicenda avvenuta a Palermo nel 1862 che vide uccise a pugnalate 13 persone.
All’inizio del 1977 Sciascia si dimette dalla carica di consigliere del Partito Comunista Italiano. La sua contrarietà al compromesso storico e il rifiuto per certe forme di estremismo lo portano infatti a scontri molto duri con la dirigenza del Partito.
Nel 1978 pubblica L’affaire Moro sul sequestro, il processo e l’omicidio nella cosiddetta “prigione del popolo” di Aldo Moro organizzato dalle Brigate Rosse.
Nel giugno del 1979 accetta la proposta dei Radicali e si candida sia al Parlamento europeo sia alla Camera. Eletto in entrambe le sedi istituzionali resta a Strasburgo solo due mesi e poi opta per Montecitorio, dove rimarrà deputato fino al 1983 occupandosi dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro (con una forte critica rivolta alla cosiddetta “linea della fermezza”, difatti Sciascia si era prodigato perché si trattasse con le Brigate Rosse per liberare Moro) e sul terrorismo in Italia. Da una parte si trova in lui il rifiuto della violenza, dall’altra una costante critica del potere costituito e dei suoi segreti inconfessabili. È inoltre membro della commissione agricoltura e della bicamerale antimafia.
Si espresse anche contro la legislazione d’emergenza, che istituiva poteri speciali e inaspriva molte fattispecie di reato; egli era inoltre contrario al “pentitismo” (sia per il terrorismo sia per la mafia), in quanto premiava troppo un colpevole in cambio di rivelazioni che potevano essere fallaci, anche a danno di innocenti. Fu inoltre uno dei primi a ravvisare lati oscuri nel rapporto tra il terrorismo e lo Stato.
I contatti con la cultura francese
In questi anni aumenta i suoi viaggi a Parigi e si intensificano i contatti con la cultura francese.
Nel 1977 pubblica “Candido ovvero un sogno fatto in Sicilia”, dove è chiaro il riferimento al “Candido” di Voltaire.
Esce in quell’anno “Nero su Nero”, una raccolta di commenti ai fatti relativi al decennio precedente, “La Sicilia come metafora”, un’intervista di Marcelle Padovani e “Dalle parti degli infedeli”, lettere di persecuzione politica inviate negli anni cinquanta dalle alte gerarchie ecclesiastiche al vescovo Patti, con il quale inaugura la collana della casa editrice Sellerio intitolata “La memoria” che festeggia nel 1985 la centesima pubblicazione con le sue “Cronachette”.
Nel 1980 pubblica “Il volto sulla maschera” e la traduzione di un’opera di Anatole France, “Il procuratore della Giudea”.
Nel 1981 pubblica “Il teatro della memoria” e, in collaborazione con Davide Lajolo, “Conversazioni in una stanza chiusa”.
Nel 1982 esce “Kermesse” e “La sentenza memorabile”, nel 1983 “Cruciverba”, una raccolta di suoi scritti già pubblicati su riviste, giornali e prefazioni a libri.
Pubblica nel 1983 “Stendhal e la Sicilia”, un saggio per commemorare la nascita dello scrittore francese.
Gli ultimi anni di vita
In quegli stessi anni gli fu diagnosticato il mieloma multiplo. Sempre più spesso fu costretto a lasciare la Sicilia per Milano per curarsi ma lo scrittore continuò, sia pure con fatica, la sua attività di scrittore.
Nel 1985 pubblica “Cronachette” e “Occhio di capra”, una raccolta di modi di dire e proverbi siciliani, e nel 1986 “La strega e il capitano”, un saggio per commemorare la nascita di Alessandro Manzoni.
Carichi di tristi motivi autobiografici sono i brevi romanzi gialli “Porte aperte” del 1987, “Il cavaliere e la morte” del 1988 e “Una storia semplice”, ispirato al furto della Natività con i santi Lorenzo e Francesco d’Assisi del Caravaggio, che uscirà in libreria il giorno stesso della sua morte.
Nel 1986 Sciascia scrive a Bettino Craxi, comunicandogli di aver votato per il PSI nelle elezioni regionali siciliane di quell’anno e invitando il leader socialista a favorire il ricambio della classe dirigente siciliana del partito.
Nel 1987 cura una mostra molto suggestiva, all’interno della Mole Antonelliana a Torino, dal titolo “Ignoto a me stesso” (aprile-giugno). Erano esposte quasi 200 rare fotografie scelte da Leonardo Sciascia e concesse in originale da importanti istituzioni di tutto il mondo. Si tratta di ritratti di scrittori famosi, dai primi dagherrotipi ai giorni nostri, da Edgar Allan Poe a Rabindranath Tagore a Gorkij a Jorge Luis Borges. Il catalogo viene stampato da Bompiani e oltre il saggio di Sciascia “Il ritratto fotografico come entelechia” contiene 163 ritratti e altrettante citazioni dei relativi scrittori. La chiave della mostra è forse la citazione di Antoine de Saint-Exupéry:
«Non bisogna imparare a scrivere ma a vedere. Scrivere è una conseguenza»
Una delle sue ultime battaglie politiche fu in difesa di Enzo Tortora (suo amico di lungo corso, vittima di errore giudiziario e divenuto anch’egli un militante radicale) e il sostegno dato ad Adriano Sofri, accusato nel 1988 dell’omicidio Calabresi (Sciascia chiese anche che si facesse finalmente luce sulla morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli del 1969).
Pochi mesi prima di morire scrive “Alfabeto pirandelliano”, “A futura memoria (se la memoria ha un futuro)”, che verrà pubblicato postumo, e “Fatti diversi di storia letteraria e civile” edito da Sellerio.
La morte
La tomba di Leonardo Sciascia accanto a quella della moglie, Maria Andronico, presso il cimitero di Racalmuto.
Leonardo Sciascia morì a Palermo il 20 novembre 1989, in seguito a complicazioni della malattia che lo affliggeva (nefropatia da mieloma multiplo con insufficienza renale cronica, per cui si sottoponeva spesso a emodialisi), e chiese i funerali in Chiesa, per “non destare troppo scandalo” attorno alla famiglia a Racalmuto. Con lui nella sua bara la moglie e gli amici vollero mettere un crocifisso d’argento, simbolo che egli rispettava, pur non essendo un credente in senso stretto (ma nemmeno ateo: «mi guidano la ragione, l’illuministico sentire dell’intelligenza, l’umano e cristiano sentimento della vita, la ricerca della verità e la lotta alle ingiustizie, alle imposture e alle mistificazioni», scrisse. Al funerale viene ricordato da numerose parole di stima, fra cui quelle del grande amico Gesualdo Bufalino.
È sepolto nel cimitero di Racalmuto, suo paese natale; sulla lapide bianca una sola frase:
«Ce ne ricorderemo, di questo pianeta»
(Epitaffio sulla tomba di Sciascia, la citazione è di Auguste de Villiers de L’Isle-Adam).
[Fonte: Wikipedia Italia]
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