Novembre 21, 2024

32 thoughts on “CENTOAUTORI (di Gabriele Montemagno)

  1. Pubblichiamo questo articolo mentre è ancora in corso il festival del cinema di Venezia. In un certo senso possiamo dire che siamo in tema.
    Interessante apprendere dell’esistenza di questi centoautori!

    Rilancio le domande di Gabriele:
    1. Il nostro cinema è ancora efficace come un tempo?
    2. Interessa ancora perché ci racconta realmente, oppure perché segue delle mode accattivanti?
    Ne aggiungo una io rivolta a coloro che hanno avuto modo di seguire il festival del cinema di Venezia. Secondo voi questa edizione è stata all’altezza delle altre? Meglio? Peggio?
    A voi…

  2. Massimo eccoti le due risposte:

    1) Mi pare di no. A parte il neorealismo, io parlo proprio della commedia all’italiana e della comicità. Qualcosa di buono c’è.
    Certi film di Virzì, Lucchetti. Certi attori come Mastandrea, Germano. E delusioni come il Moretti degli ultimi anni.

    2) Non mi pare ci racconti. A parte il cinema politico (che non mi entusiasma) tipo le cose che fa Placido…
    Insomma si capisce che al cinema ci vado ormai raramente.
    Aspetto ogni anno il nuovo film di Woody Allen, che mi consola… ma mi pare non faccia cinema italiano.

    Ciao
    Giancarlo

  3. Interessanti ‘sti centoautori. Gabrié ti auguro di essere il centounesimo.
    1- Il nostro cinema non mi pare efficace per niente.
    2 – Non mi pare che riesca a raccontarci granché
    3- Non seguo il festival di Venezia
    Vabbé lo ammetto. Non me ne intendo molto di cinema, quindi era meglio se stavo zitta.
    Smile

  4. Ciao Gabriele, sarei curiosi di conoscere le “tue” risposte alle domande che poni.
    E poi, questa dei centoautori è un’associazione aperta o chiusa? E possibile farne parte?

  5. Vado poco al cinema, perché il cinema costa e la spesa non è proporzionale a quello che si vede. Dalle sale si esce sempre un po’ così, insoddisfatti. Manca il pensiero, l’originalità, il respiro e il confronto! Gli spettattori sono educati e corretti come in una sala d’attesa; come in una veglia funebre. Nemmeno il buio aiuta; tutti attenti ( ma anche masticanti) aspettano la fine e ai titoli di coda, velocemente, ognuno si ricompone per guadagnare l’uscita: che strazio!Andare al cinema mi rattrista; mi allontano in fretta dal luogo e solo in macchina riesco a formulare un mio pensiero. Dalla scemenza alla pesantezza, per noi spettatori non c’è scampo. Il cinema, come tutte le forme d’arte, paga il suo sconto alla tecnica, agli effetti speciali, alle stucchevoli scuole di recitazione, agli intenti comunicativi. Ci serve un nuovo inizio, tutte le strade, ormai, sono state percorse. Godo nei cinema all’aperto dove le immagini e le storie volano e si confondono con le notti estive, ma l’idea di una sala cinematografica mi deprime come un centro commerciale.
    Guardo i film solo in solitudine: cd, video cassette, ecc. Ieri notte ho visto I giorni dell’abbandono e sono andata a dormire felice e serena: bel libro, bel film!

  6. Ringrazio tanto Elektra per l’augurio che mi rivolge e voglio dirle anche che non è vero che avrebbe fatto bene a starsi zitta, giacché per rispondere non occorre essere “esperti” di cinema, ma solo spettatori. E dalle sue risposte mi sembra prprio che lo sia. E una spettatrice attenta. Elektra, perché non chiarisci meglio le tue risposte, che mi sembrano interessanti e ragionate?
    A Franz rispondo che a mio avviso il cinema italiano ha anche recentemente dimostrato di essere efficace, se per efficacia intendiamo la capacità di intercettare gusti e di creare mode (penso a film quali “L’ultimo bacio”, “Tre metri sopra il cielo”, o “Notte prima degli esami”). Si può affermare inoltre che questi film riescono anche a raccontarci un po’. E affermo ciò pur non apprezzando particolarmente questo genere di film, e nella piena consapevolezza che costituiscono ormai un filone di moda e una fonte di sicuro guadagno. Diverso è il caso di altre opere a mio avviso di diversa e maggiore profondità, quali ad esempio: “Caterina va in città” o “Il caimano” o “L’amico di famiglia”. Questi film (ma non solo loro) hanno dimostrato di saperci parlare attraverso linguaggio che va dal comico al grottesco e al tragico, divenendo delle metafore dei nostri tempi. Certo, possono non piacere e si può non essere d’accordo con il loro punto di vista (o i punti di vista); però (sempre, a mio avviso) non si può non riconoscere l’originalità narrativa e il tentativo di andare più a fondo nelle cose, che i loro autori hanno voluto. Per non parlare delle opere di registi quali Amelio, Olmi, Scola ed altri. Detto ciò mi fermo qui, caro Franz. Ma sono sempre pronto a rispondere ulteriormente.
    A Miriam Ravasio voglio dire che ha ragione a elogiare la visione privata di un film, ed a rammaricarsi per il pubblico “frettoloso e masticante” delle nostre sale. Però, per fortuna, non sempre è così. E poi (e forse risulterò un po’ retrò o, peggio, cadrò in un luogo comune) la sala cinematografica resta il luogo principe della visione di un film, secondo me, sebbene non riesca a nascondere il mio disagio per le multisale. Perché il cinema è un ‘arte collettiva, anche per la fruizione. Solo nella sala si percepiscono gli umori della gente e la risposta del pubblico.
    Carissimi, sono contento di questi primi vostri interventi e vi ringrazio. Continuate a scrivere sul cinema italiano, mi raccomando! A proposito, avete visitato il sito dei Centoautori? Che ve ne sembra?
    Un saluto a tutti e a presto!
    Gabriele.

  7. Scusami Franz, ho dimenticato di aggiungere che non so bene se ci sia un’ iscrizione ufficiale nel moviento Centoautori. Puoi provare a scrivere loro nel loro sito. Quello che ti posso dire è che mi sono sembrati interessati a tutti coloro che, non cineasti, li vogliono sostenere.
    Di nuovo: a presto!
    Gabriele.

  8. Mah! Io sul cinema italiano rimango un po’ scettico. Forse il mio è un pregiudizio, non lo so. Come registi piuttosto giovani a parte Muccino e Tornatore non che abbiamo poi granché. Ma forse, ripeto, è solo pregiudizo e ignoranza.
    Sul festival di Venezia vorrei conoscere la tua opinione, Gabriele.

  9. Ho visitato il sito centoautori. Bello e interessante!
    Io ho l’impressione che il vero grande problema del cinema italiano dipenda dalla produzione. La produzione cinematografica, in Italia, non esiste più. Nella maggior parte dei film prodotti intervendono i colossi Rai e Mediaset. Ne parlavo l’altro giorno al telefono Gordiano Lupi, che a questo punto chiamo in causa.

  10. Intervengo di nuovo per sottolineare che il movimento dei Centoautori mi pare interessante è più che giusta la sua ragion d’essere. Ribadisco le mie perplessità sullo “stato” della produzione cinematografica in Italia.
    Ciò detto, anche per favorire il dibattito, vi trascrivo un breve passaggio dell’articolo di Goffredo Fofi (critico letterario e cinematografico) pubblicato sul Domenicale del Sole24Ore di oggi 9 settembre 2007 (cfr. pag. 48).
    “Il cinema italiano esce da Venezia con le ossa sempre più rotte nonostante il confronto non fosse eccelso, né c’è da sperare nel movimentodei Cento Autori, che potrebbe anche chiamarsi dei Cento Assistiti. Se altrove si è cercato di aggiornare il dosaggio tra arte e comunicazione e tra privato e pubblico, le nostre corporazioni continuano a non vedere più in là dei propri portafogli e considerano come un bene nazionale le loro private velleità espressive. È certamente assurdo pretendere dal nostro cinema di essere vivo, progettuale e positivo se la nostra società è scomposta, antiprogettuale e negativa. I lamenti sui tempi migliori servono a poco: parlano infatti di tempi di forti coesioni sociali, di reazioni, spinte e speranze che erano collettive”.

  11. A me la posizione di Fofi sembra un po’ troppo dura, o forse sarebbe meglio dire eccessivamente critica.

  12. Vorrei provare a rispondere a Luca circa la mia opinione sul festival di Venezia appena concluso e non posso non tenere in considerazione quanto ci ha riportato Massimo del giudizio di Fofi su Venezia e sul cinema italiano. Non può passare inosservato, infatti, che la rassegna cinematografica del nostro paese più ricca di storia e di lustro non abbia premiato film e autori italiani, se si eccettua il leone assegnato a Bertolucci. Ma andiamo con ordine. Caro Luca, che dirti? Io sono abbastanza soddisfatto di questo festival. Avrei certamente preferito che avesse vinto il film del regista franco-tunisino Kechiche dal titolo “Le graine et le mulet” (del quale è stata premiata, tra le lacrime, l’attrice Hafsia Herzi), e non per un esotismo modaiolo, bensì perché ho letto una rencensione (sil sito http://www.cinematografo.it) che ne ha elogiato il tema e la freschezza e l’innovazione con cui questo film è stato realizzato. Ma i film bisogna vederli per poter acquisire un’opinione più fondata. E questo mi riporta ai premi assegnati. Mi va benissimo Ang Lee che è un regista che mi piace e mi convince. Pensa un po’: l’ho conosciuto e apprezzato vedendo il suo “Hulk”! Che insieme al recente “Borkeback Mountain” mi hanno convinto non tanto per il loro tema di facile drammaticità (super eroe sfigatissimo e cowboy gay), quanto per il taglio originalissmo. Sono molto contento per il premio assegnato alla Blanchett, che ritengo fra le migliori attrici in circolazione; un po’ meno per Pitt, sebbene il suo film, “The assassination of Jesse James by the coward Robert Ford”, sia definito molto interessante per la lentezza e l’interesse attorno all’introspezione dei personaggi. Come non apprezzare poi i premi assegnati a Michalkov e a De Palma per i loro due film di stringente e drammatica attualità: “12”, sul conflitto in Cecenia e “Redacted” su quello iracheno. due film polemici verso i loro paesi d’origine e la loro politica. Il premio a Bertolucci significa un pieno riconoscimento ad un nostro grande e provocatorio cineasta che ha dimostrato di avere orizzonti intenazionali, sebbene qualche volta grandiosi o un po’ demodé (non mi ha molto entusiasmato il suo “The Dreamers” sul ’68 francese). Però, c’è sempre quella macchia dell’assenza del cinema italiano. Nonostante gli elogi alla qualità dei film e documentari italiani, affermata con decisione da Caterina D’Amico, neo amministratrice delegata di Rai Cinema, in un’intervista su L’Unità di oggi, 9 settembre. Peccato. Credo assolutamente a ciò che afferma la D’Amico; ma ancor più mi chiedo: perché questa imbarazzante assenza? Ma, come o già detto, solo al cinema potremo constatare la veridicità del verdetto dei giurati di Venezia. Per adesso non posso che ribadire un giudizio complessivamente positvo su di un festival che, mi sembra, abbia inseguito un’idea di qualità a scapito di colpi di scena efficaci ma effimeri. Ma spero che, l’aano prossimo il nostro cinema sia meglio riconosciuto.
    Continuate ad intervenire, scrivendo le vostre opinioni, anche sul binomio cinema-cultura, rilevato dai Centoautori.
    Grazie ancora e saluti!
    Gabriele.

  13. A me a volte capita di sentir dire: questo film è un’americanata, quasi con sdegno, come se fosse un prodotto artificioso che nulla ha a che fare con l’arte e con la rappresentazione della vita. Ora, molti dei film americani sono filmetti, ma nel mucchio ci sono dei veri e propri capolavori che non hanno eguali, per esempio, in Italia. Ma non è solo una questione di effetti speciali. E’ tutto il contesto: l’ambientazione, la fotografia, le scenografie, le sceneggiature, i registi, gli attori. Il cinema americano secondo me è quello che rappresenta meglio, e riflette meglio, dubbi, ossessioni, contraddizioni, ecc. della civiltà occidentale.
    Il cinema americano vola con jet di ultima generazione, quello italiano va ancora in mongolfiera. Sarà più romantico, più artistico e tutto quello che volete voi. Ma che palle!
    Smile.

  14. ho letto il post che ho trovato molto interessante e i commenti (altrettanto interessanti). anche a me l’opinione di goffredo fofi, che conosco per fama, mi è parsa eccessiva. sarei curiosa di conoscere le eventuali reazioni da parte dei 100autori.
    elektra, il tuo genuino filoamericanismo mi ha fatto un po’ sorridere. smile a te.

  15. Sono un grande appassionato di cinema italiano e proprio in questo periodo sto scrivendo un libro sul cinema di Fernando Di Leo, autore dimenticato ma importante del nostro cinema più vero. Cosa ci possiamo aspettare da un cinema che non celebra neppure i loro autori? Di Leo è uno dei padri del western all’italiana, ha scritto persino i primi capolavoro di Sergio Leone. Non ho mai sentito fare il suo nome durante i servizi TV da Venezia. Passiamo al nostro cinema di oggi. Sono pochi gli autori capaci di raccontare davvero la nostra epoca, si contano sulla punta delle dita, la maggior parte degli autori asseconda le mode o racconta il proprio ombellico. Un po’ come in letteratura. Negli anni Settanta persino la commedia sexy era in grado di raccontare un’epoca…

    Gordiano Lupi
    http://www.infol.it/lupi

    Su http://www.tellusfolio.it il mio spazio Cinema Anni 70 (il mio preferito!)

  16. Cara Elektra, innanzitutto vorrei confermare quanto ti ho già scritto, e cioè che, a mio avviso, sei una spettatrice attenta e critica. Anzi, (mi) poni una questione interessante, complessa, e, devo dire, molto sentita, stando a quanto si sente spesso affermare dopo aver visto un film italiano. Cercherò di rsponderti in modo adeguato, sebbene, ahimé, sintetico.
    Io penso che fra il cinema americano e quello italiano ci sia un rapporto complesso. E penso anche che sia riduttivo ritenere il cinema italiano (ed europeo) sinonimo di lento e quello americano, invece, di veloce o tutto effetti speciali. Basti pensare a quanti registi europei si siano trasferiti in America ed abbiano contribuito a rendere grande il cinema americano e a connotarlo. Inoltre occorre aggiungere che molti autori italiani hanno guardato (e guardano) all’America come riferimento (Sergio Leone e tutti gli autori dei cosiddetti “spaghetti western” o Tornatore, ad esempio). Ed è avvenuto anche il contrario (uno fra tutti: Martin Scorsese). Sono pienamente convinto che gli americani riescano a produrre autentici capolavori (film quali “La sottile linea rossa”, “America oggi”, “Radio America”, la saga di “Guerre stellari”e tanti altri stanno lì a dimostrarlo, come è ovvio). Inoltre, le cosiddetta americanate non sempre sono tali e andrebbero valutate attentamente, perché possono nascondere autentiche perle. Come anche gli effetti speciali, i quali vanno benissimo se sono al servizio di una storia avvincente ed anzi possono contribuire a quella certa magia di cui è composto ogni film. D’altronde essi fanno parte del cinema sin dalle sue origini, basti pensare al cinema di Georges Méliès. Quindi, cara Elektra, ritengo sia rispettabilissimo il tuo essere “filoamericana” (forse lo siamo in molti). Aggiungo: forse è proprio vero che il cinema USA riesce ad avere, tendenzialmente, uno sguardo molto più ampio del nostro. E fa bene Giordano Lupi a lamentare l’esiguità di autori italiani capaci di raccontare la nostra epoca. Però ti chiedo (e lo chiedo a tutti gli altri lettori) se il punto non sia anche un altro. E cioè se quella che viene identificata come “la” differenza fra le due cinematografie e che, poi, conduce a ritenere il nostro cinema lento (e palloso) o chiuso in se stesso, non provenga da una differenza di linguaggio e di stile, derivata da una tradizione culturale italiana distinta da quella americana. In altri termini: il fatto che noi facciamo un cinema differente da quello americano non può essere causato dalla necessità di raccontarci partendo da altre esigenze e punti di vista tutti nostri? E se le cose stessero in questi termini, non potrebbe essere che la predominanza di film americani nelle nostre sale abbia abituato noi spettatori ad un linguaggio, ad un ritmo che è quello medio americano (e che va assolutamente bene, intendiamoci) e poco ad altri, compreso il nostro, il quale sarebbe tutto da riscoprire e da gustare? Chissà!? Che ne pensi? Che ne pensate?
    Ancora grazie e un caro saluto!
    Gabriele.

  17. Ciao Gabriele, grazie. Probabilmente hai ragione tu. Ma io credo che il problema non sia la “lentezza” o il “ritmo”. La storia del cinema italiano è piena di film lenti e belli. Tra i più recenti cito “Il nuovo Cinema Paradiso”, “Il postino”, “La vita è bella”. Ma questi film rappresentano eccezioni. Il panorama odierno, secondo me, è desolante. Sono d’accordo con Gordiano Lupi.
    E in linea generale credo che il cinema americano ci superi su altri fronti: la fotografia, le scenografie, le sceneggiature, la recitazione, la regia.
    Secondo me non è questione di abitudine. Il punto è che il cinema italiano si è un po’ perso. Non è riuscito a rinnovarsi adeguatamente guardando, al tempo stesso, alla propria tradizione.

  18. Sono contento che la nostra discussione si sia imperniata attorno al cinema italiano con opinioni differenti: credo che possa far bene alla nostra sensibilità di spettatori. Cercherò mantenere l’attenzione sul nostro cinema anche con le mie prossime recensioni e/o discussioni cinematografiche. Ad Elektra, a Marina De Cristoforo e a Giordano Lupi suggerisco (se vorrete) di sottoporre le vostre attente osservazioni e critiche anche ai Centoautori, cliccando sul loro sito. Chissà che non possiate contribuire anche ad una loro discussione! Ovviamente, continuate anche qui. Siete tutti ottimi collaboratori!
    Saluti, Gabriele.

  19. Caro Gordiano, le rivolgo le mie scuse!! Le posso assicurare che il mio ripetuto errore a proposito del suo nome è stato unicamente il frutto di una svista. Grazie per avermelo fatto notare.
    Le invio il mio saluto.
    Gabriele.

  20. @ Gabriele:
    Guarda che Gordiano Lupi, oltre a essere uno scrittore di narrativa e di saggistica, con al suo attivo qualcosa come trenta libri o giù di lì, è anche un signor critico cinematografico.
    Non mi fare gaffe, eh?

    @ Gordiano:
    Dài, che di essere famoso… lo sei. E lo sai 😉

  21. Caro Massimo, mi scuso ancora con Gordiano per il mio errore circa il suo nome e mi auguro di non commettere altre gaffe (ma questa è stata assolitamente involontaria)! Inoltre, ho colto perfettamente le sue ottime qualità di critico cinematografico, giacché non solo ho gradito i suoi giudizi, ma lo invito ad intervenire ancora.
    Saluti, Gabriele.

  22. Attenzione: Massimo Maugeri

    Da alcune settimane non riesco ad “aprire” le comunicazioni o i racconti che ci mandi per un eventuale commento.

    Ho provato anche attraverso altri computers, passando pure attraverso Google. Riesco soltanto al leggere le mail con gli interventi dei lettori, ma non gli originali.

    Nessuno è riuscito ad aiutarmi. Il tutto è cominciato con la nuova impaginazione.

    Mi spiace non potere intervenire, quando ho qualhe opinione in merito agli argomenti proposti.

    Scusami per la digressione personale e buon lavoro
    Marisa Magnani

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