La nuova puntata della rubrica di Letteratitudine intitolata “A botta e risposta (un tandem letterario conversando di libri)” è dedicata al volume “Chroma” di Tersite Rossi (Les Flâneurs Edizioni)
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Tersite Rossi è un collettivo di scrittura, autore del romanzo d’inchiesta sulla trattativa tra Stato e Mafia È già sera, tutto è finito (Pendragon 2010), del noir distopico Sinistri (Edizioni E/O 2012, nella Collezione SabotAge curata da Massimo Carlotto), del thriller economico-antropologico I Signori della Cenere (Pendragon 2016) e di Gleba (Pendragon 2019), romanzo d’inchiesta sul lavoro sfruttato. Suoi racconti sono apparsi sulle pagine di svariate testate, raccolte e antologie. Lo pseudonimo è un omaggio a Tersite, l’antieroe omerico, e al signor Rossi, l’uomo della strada.
Il nuovo libro di Tersite Rossi si intitola “Chroma. Storie degeneri” e lo pubblica Les Flâneurs Edizioni.
Abbiamo invitato Tersite Rossi a discuterne in forma di “Botta e risposta”
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Marco: Vecchio, Massimo Maugeri ci ha chiesto di mandargli un nostro botta e risposta su Chroma. Per me va bene, ma niente di impostato. Lo facciamo come fosse una chat, improvvisando. Ti va?
Mattia: Procediamo! Comincio io, allora: in Chroma ci sono cinque racconti, uno per genere e un genere per colore. In quello Blu, il distopico, si racconta un futuro devastato dai cambiamenti climatici in cui una razza superiore ne domina una inferiore. Mica sarà ‘na roba per anime belle tipo Greta Thunberg? Non credo che la reggerei.
Marco: Greta Thunberg ha avviato una battaglia giusta (anche se parziale) ma purtroppo si è lasciata cuocere dal calderone mediatico… Il racconto Blu parte dal presupposto che quella battaglia sia stata persa, e mostra un mondo dal clima surriscaldato, diviso in due classi, una che lavora e sopravvive a malapena e l’altra che comanda ed è straricca. Il racconto Blu mostra che diritti sociali e ambientali vanno di pari passo, niente a che vedere con le anime belle di cui parli tu, che pensano che l’ambiente si possa difendere senza debellare l’ingiustizia sociale…
Invece tu parlami del racconto Giallo, il mistery: ruota attorno alla sentenza emessa da un giudice progressista e non lo mette per niente in buona luce. Ma come? Abbiamo qualcosa contro i giudici? O contro i progressisti?
Mattia: Chi sono i progressisti? Non sono forse quei “sinistri” protagonisti del nostro romanzo omonimo del 2012? Quelli che hanno distrutto il mondo del lavoro (Treu e i compagni di merende dell’Ulivo te li ricordi?), che hanno letto cento libri capendone forse mezzo ma si definiscono colti, che guardano dall’alto in basso il popolo rozzo e scomposto (monsieur, che pezzenti questi gilet gialli!), che credono alle veline del Tg3 e de La7 con la stessa ottusità con cui le nonne degli anni Novanta credevano a Emilio Fede, che sono circondati da altri come loro – borghesi fino al midollo – e pretendono che tutti debbano adeguarsi al loro conformismo benpensante, quello per cui ci si fa fighi cantando in piazza “bell* ciao” e urlando all’uomo nero, senza accorgersi di aver ben calato sul volto il cappuccio bianco del nuovo KKK. Beh, se questi “progressisti de sinistra” sono pure giudici e hanno anche il dito indice più lungo del medio e lo usano come strumento di potere contro chi chiede semplicemente un lavoro, una casa, un briciolo di dignità sincera, come fai a non dargli contro?
Ma torniamo a Chroma. Nel racconto Rosa, l’erotico, si narra di un pornodivo minacciato da militanti anti-pornografia. Dai, ammettilo, abbiamo inscenato tutto solo per scrivere liberamente di amplessi, culi e peni in erezione, da veri mascalzoni cis-etero-maschi-bianchi quali siamo, no?
Marco: Forse sì, anche per quello, lo ammetto. Il punto è che la pornografia riflette bene la generale dinamica mercificatoria e ipocrita del capitalismo del terzo millennio (che poi è piuttosto simile, di fondo, a quello del secondo). Ovvero: da un lato si condanna e si cavalcano tabù e sessuofobia (“il porno fa schifo ed è male”), dall’altro si spianano autostrade alla mercificazione dei corpi perché questo fa business (deriva dal porno il 30% del traffico online, e traffico online oggi vuol dire parecchi soldi). Il racconto Rosa è soprattutto parodia dissacrante (e divertente, almeno a scriverlo, penso anche a leggerlo): da un lato smerda l’ipocrisia sessuofobica, dall’altro mette alla berlina la mercificazione del sesso.
Andiamo avanti coi colori di Chroma. Il racconto Rosso, quello politico, racconta la storia di quattro sfruttati moderni a cavallo tra Afghanistan e Italia, ma anche qui qualcosa non torna: pare che alla fine il racconto condanni i buoni, quelli che si battono sempre e comunque per democrazia, libertà e diritti umani. Va bene avercela coi sinistri, ma come si fa ad avercela addirittura coi buoni?
Mattia: Non si tratta di avercela coi buoni, ma di chiarire che nella storia “buono” fa spesso rima con “ingenuo” (a essere ottimisti) o con “paraculo” (a essere pessimisti). Poiché fare narrativa d’inchiesta significa indagare il reale al di sotto dei luoghi comuni e delle etichette dei telegiornali della propaganda mainstream, occorre scardinare il concetto di “buono” e osservarne in profondità le contraddizioni, le ipocrisie, i fallimenti. I nostri protagonisti scoprono loro malgrado che la bontà da rotocalco e da manifestazione innocua è una presa per i fondelli, innanzitutto per loro. E per questo esplodono di rabbia. Edulcorare la violenza imperialista americana, ad esempio, con la prosopopea dei diritti umani e della democrazia (quale?) non può essere accettabile per chiunque abbia un briciolo di senso critico. Chiaro il concetto?
Procediamo con l’ultimo colore di Chroma: il Nero, quello horror. Nessuno ne capisce il vero significato. Aiutami a metterci una pezza, dai…
Marco: Mah, intanto va detto che, un po’ come per il racconto Rosa, Tersite Rossi ogni tanto può pure decidere di scrivere, più che per la causa, per il piacere di farlo. Con il Rosa quel piacere era dato dal fare parodia grottesca, con il racconto Nero, invece, dal creare una bella, salutare atmosfera da incubo. Dopodiché chiaramente un senso ulteriore c’è ed è mostrare al lettore che scegliere di isolarsi e uscire dalla società in nome di una presunta superiorità morale e intellettuale, come fa l’uomo perduto protagonista del racconto Nero, non può che spalancare l’accesso a un abisso profondo e inquietante. L’uscita di sicurezza in bella solitudine non è data: dalla crisi di oggi, sociale e ambientale prima ancora che economica, si esce solo assieme, dal basso, collettivamente. Detto questo, il racconto Nero fa soprattutto paura, ed è quello che deve fare: la paura è stata un fondamentale propulsore evolutivo e non va fuggita, come ben sapeva Edgar Allan Poe.
Fammi chiudere con una questione più generale. In questo momento il libro più venduto in Italia è quello di Renzi. Gli indici di lettura sono ai minimi storici. Chroma è una raccolta di racconti. E noi pochi mesi fa abbiamo aperto un dispaccio online proprio per pubblicare racconti per conto nostro, e gli iscritti sono pure parecchi. Mi ricordi chi ce l’ha fatto fare di tornare in libreria con un nuovo libro? Editori e librai ci servono ancora?
Mattia: Siamo tornati perché tu sei un grafomane in astinenza da presentazioni! Battute a parte, siamo tornati (anche) perché sentivamo di avere qualcosa da raccontare. E sai com’è Tersite: quando deve sbracare, lo fa con un libro. Così, per un po’, si acquieta. Per quanto riguarda la seconda domanda, direi che gli editori e i librai servono se anch’essi hanno qualcosa da raccontare: di nuovo, di ficcante, di avvolgente. E i piccoli editori, come le librerie indipendenti, spesso svolgono questa funzione perfettamente. Invece, i grandi colossi editoriali, quelli che al Salone del libro di Torino (tanto per dirne una) si costruiscono le librerie interne ai padiglioni, spesso pestano una merda (metaforica) dopo l’altra. Del resto, che senso ha pubblicare chi già straparla in televisione e su Twitter, come gli irritanti virologi da avanspettacolo, gli economisti che la realtà di un lavoratore non sanno manco dove stia di casa, i giornalisti che abbaiano manfrine ai piedi del padrone. Ecco, quegli editori e i loro librai di rimando servono a poco. Salvo che con “servire” tu non intendessi fungere da maggiordomo. Perché su quello, invece…
Comunque, vecchio, mi sa che con questo dialogo stavolta abbiamo pisciato un po’ troppo fuori dal vaso, no?
Marco: Ma no, dai. Almeno non più di quanto abbiamo pisciato fuori in questi dodici anni di scrittura… Comunque starà a Massimo Maugeri decidere cosa fare di questo botta e risposta improvvisato. Botta e risposta che, a dirla tutta, mi è piaciuto ben più di molte altre interviste tradizionali che ci siamo sorbiti in passato. Forse nemmeno di certi giornalisti abbiamo bisogno…. Vabbé, che dici, copio e incollo sta chat e gli mando tutto?
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La scheda del libro: “Chroma. Storie degeneri” di Tersite Rossi (Les Flâneurs Edizioni)
Nero: un ragazzo alla ricerca delle proprie origini scopre in una sperduta gola di montagna un segreto spaventoso, al di là del bene e del male. Blu: una madre tenta di salvare sua figlia e il suo popolo in un mondo in cui i Terreni sono ridotti in schiavitù per l’incapacità di ricordare il passato. Giallo: un giudice che si sente sempre dalla parte giusta della storia pronuncia la sua impietosa sentenza tra le nebbie della provincia italiana. Rosa: un pornodivo viene sequestrato dai Nuclei Armati contro la Distrazione da YouPorn e potrà salvarsi solo a patto di non pensare all’erezione. Rosso: Ashrif, Tahira, Giovanna e Luca sono le pedine di uno spietato gioco di potere, alla ricerca di un riscatto impossibile tra Afghanistan e Italia.
Quelle di Chroma sono Storie degeneri. Legate dalla degenerazione della forma: non c’è fedeltà a nessun genere letterario, nemmeno a quello apparentemente dichiarato dal colore che le contrassegna. E da quella dei personaggi: antieroi, o post-eroi, che perdono anche quando vincono, degeneri al massimo grado in una società dove se perdi non sei nessuno.
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