Cinquant’anni fa – per l’esattezza il 18 febbraio 1963 – , a Torino, moriva lo scrittore italiano Beppe Fenoglio.
Era nato ad Alba il 1° marzo 1922. Nel corso della seconda guerra mondiale, combatté come partigiano. Quell’esperienza segnò in maniera determinante la sua scrittura e la sua produzione artistica. La sua opera più nota “Il Partigiano Johnny” (romanzo pubblicato postumo, nel 1968), ne è un valido esempio.
A cinquant’anni dalla scomparsa, nella tradizione di Letteratitudine, mi piacerebbe ricordare questo nostro scrittore con il vostro indispensabile contributo. Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di Beppe Fenoglio con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Beppe Fenoglio e la sua produzione letteraria. Seguono alcune domande volte a favorire la discussione.
1. Che rapporto avete con le opere di Fenoglio?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. A parte “Il Partigiano Johnny” (l’opera più celebre di Fenoglio) qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Tra le varie “citazione” di Fenoglio di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
5. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Fenoglio ha lasciato nella letteratura italiana?
Propongo, di seguito, l’articolo di Gianni Riotta pubblicato su La Stampa del 17 febbraio 2013.
Massimo Maugeri
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ITANGLISH: COSÌ PARLÒ IL PARTIGIANO (da La Stampa)
di Gianni Riotta
Insegnando cultura italiana all’estero si ha talvolta l’impressione che per tanti studenti la nostra sia una lingua morta, classica, ma spenta come il greco di Omero e il latino di Orazio. Che l’italiano sia invece vivo, in trasformazione continua e mai, come in questo XXI secolo, letto, parlato, studiato e innovato, si dimentica, schiacciati dalla grandezza di Dante, Machiavelli, Manzoni. A volte ho ricordato la citazione del De Mauro, meno del 2% dei cittadini parlava italiano al momento dell’Unità, 150 anni or sono, e una letteratura viva, scritta nella lingua della gente, nasce solo nel Novecento. E per interessare i ragazzi a Princeton ho citato Pavese, che scrive in inglese le sue ultime poesie, tenere e struggenti, Vittorini, a cui Hemingway dedica di pugno una prefazione all’edizione Usa di Conversazione in Sicilia, ma soprattutto Beppe Fenoglio.
Il partigiano Johnny non è solo un capolavoro come romanzo politico – il dibattito tra Johnny e il professore comunista Corradi sulla moralità in guerra e nella battaglia ideologica resta imperdibile -, cambia anche completamente la struttura dell’italiano scritto, parlato e pensato.
Johnny agisce secondo una volontà morale, da individuo e tra i partigiani, comunisti e autonomi, perché pensa in una lingua che non ha più la retorica fascista e monarchica. La sintassi frenetica del Partigiano Johnny, il ritmo senza uguali nella nostra narrativa, deriva dall’ibrido di italiano e inglese che Fenoglio, scrittore sperimentale, riesce a ottenere. Ma, ecco il punto, l’effetto magnifico non nasce dall’alambicco dell’avanguardia astratta, come capiterà nel Gruppo 63. È la sperimentazione di idee nuove, il coraggio morale sincero, l’azione politica democratica che, temprata dal talento narrativo di Fenoglio, plasmano la nuova lingua. Rileggete l’incontro di Johnny con i due prigionieri alleati che non vogliono più combattere, «il motore della guerra s’è rotto dentro di noi», e pelano invece patate: «Johnny parlò abruptly. – A bit unwarlike, isn’t, to be peeling potatoes? – Si voltarono lenti, guardarono in su, senza la minima sorpresa di sentir la loro lingua, in un attimo ripresero il ritmo della pelatura. Quello d’aspetto più anziano ed imposing che disse di chiamarsi Burgess, domandò semplicemente se anche Johnny era partigiano. – Yes. What army service, then? – Artirl’ry. – Where were you caught? – Marsah Matruh, 1942. – By Graziani’s troops? – Rommel’s – precisò Burgess rather martellatamente. – Where was the camp you ran out of on the armistice day? – Near Vercelli – disse Burgess, prodigiosamente riuscendo a saltare tutte le vocali del nome. – Near the rice-marshes – disse l’altro, con una voce bizzarramente immature… Si chiamava Grisenthwaite, Johnny dovette farselo ripetere ed infine ripiegare sulla sillabazione. Grisenthwaite sillabò docilmente il suo cognome, e poi: – Have you got any spare razor blade for me? – Sorry, I haven’t. The chief here tells me you’re unwilling to fight. May I know why? – Naturalmente rispose Burgess. – We have enough of fighting, me boy, ’cause we have been through too much fighting, big big fighting in the sands. Mself I’ll never put my finger on a trigger what-soever. So will my pal here Grisenthwaite. The fighting engine’s broken inside us. Furthermore…».
In che lingua scrive qui Fenoglio? Un lettore italiano che non sappia, e bene, l’inglese è tagliato fuori. È Itanglish, come a New York scrivono poesie in Nuyorican, inglese e spagnolo di Portorico: la lingua futura, vaticinata dal grande romanziere del secolo scorso.
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Cari amici, un post per approfondire (con il vostro contributo) la conoscenza della figura di questo nostro grande scrittore del Novecento…
Come ho scritto sul post, cinquant’anni fa – per l’esattezza il 18 febbraio 1963 – , a Torino, moriva Beppe Fenoglio.
Era nato ad Alba il 1° marzo 1922. Nel corso della seconda guerra mondiale, combatté come partigiano. Quell’esperienza segnò in maniera determinante la sua scrittura e la sua produzione artistica. La sua opera più nota “Il Partigiano Johnny” (romanzo pubblicato postumo, nel 1968), ne è un valido esempio.
A cinquant’anni dalla scomparsa, nella tradizione di Letteratitudine, mi piacerebbe – appunto – ricordare questo nostro scrittore con il vostro indispensabile contributo.
Dedico dunque questo “spazio” alla memoria di Beppe Fenoglio con l’auspicio di contribuire a far conoscere questo autore a chi non avesse ancora avuto modo di accostarsi alle sue opere.
Chiedo a tutti di contribuire lasciando un ricordo, un’impressione, una citazione, informazioni biografiche… ma anche link ad altri siti e quant’altro possa servire a ricordare Beppe Fenoglio e la sua produzione letteraria.
Seguono alcune domande volte a favorire la discussione…
1. Che rapporto avete con le opere di Fenoglio?
2. Qual è quella che avete amato di più?
3. A parte “Il Partigiano Johnny” (l’opera più celebre di Fenoglio) qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
4. Tra le varie “citazione” di Fenoglio di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
5. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Fenoglio ha lasciato nella letteratura italiana?
Ecco. Considerate queste domande come semplici spunti per avviare una discussione…
Come avete visto, sul post ho inserito l’articolo di Gianni Riotta pubblicato su La Stampa del 17 febbraio 2013.
Grazie in anticipo a tutti coloro che avranno la possibilità di contribuire a far crescere questo post (e la relativa discussione).
Ne approfitto per augurare a tutti una serena notte.
Fenoglio ha inventato un linguaggio e un nuovo modo di fare scrittura.
E questo è già abbastanza.
Poi, le sue storie sono grandiose.
Scrittore largamente sottovalutato, secondo me. Fai bene a parlarne.
Ciao.
Non ho mai letto Fenoglio. Potrebbe essere l’occasione buona per iniziare a leggere qualcosa.
Grazie per la segnalazione.
Eventualmente, con quale libro di Fenoglio mi consigliereste di cominciare?
Credo sia meglio cominciare proprio con “Il Partigiano Johnny”.
Caro Massimo, come contributo riporterò i passaggi di una articolo di Negri Scaglione, anche questo pubblicato su La Stampa.
Nel cinquantenario della morte, La Stampa ripropone in due volumi
Tutti i romanzi dello scrittore: incompiuti, irrisolti, modernissimi
«Le posso dire sin d’ora che il mio secondo libro sarà ancora di racconti (molto probabilmente non posseggo ancora, se mai lo possiederò, il fondo del romanziere. Non conosco ancora le 4 marce, per esprimermi con termine automobilistico)»: Beppe Fenoglio lo scrive a Elio Vittorini il 9 giugno 1953, dopo che con Einaudi, nei Gettoni, la collana sperimentale diretta proprio da Vittorini, ha pubblicato i racconti dei Ventitre giorni della città di Alba, e dopo che Vittorini stesso gli ha bocciato il primo romanzo (breve, ma pur sempre romanzo), “La paga del sabato”.
«Ricordo di averlo iniziato senza particolari attese, giusto contento che ci fosse qualche rimasuglio fenogliano da scoprire ancora: e invece era il libro perfetto»: l’ha scritto di recente Alessandro Baricco, e il libro perfetto a cui si riferisce è proprio La paga del sabato, quello bocciato da Vittorini, quello che aveva convinto Fenoglio di non possedere il numero di marce necessarie per affrontare il percorso accidentato e insidioso della narrazione lunga.
È strano il destino degli scrittori, creatori solitari, tendenzialmente asociali, costretti a confrontarsi con altri asociali come loro per essere riconosciuti, e pubblicati. Ed è specialmente strano il destino di Beppe Fenoglio, che morì – esattamente cinquant’anni fa – poco prima di compiere i 41 anni, che visse tutti i suoi anni ad Alba, con un posto di lavoro da impiegato e tre soli titoli pubblicati, e che non poté neppure sognare di occupare quel posto di primo piano nella letteratura italiana del XX secolo che oggi tutti sembrano riconoscergli (ancora Baricco: «Ogni tanto, quando giro per il mondo, accade che mi chiedano chi sono per me i grandi della letteratura italiana. Si aspettano di sentirsi dire Calvino, perché la cosa li rassicura. Io, per perfidia, Calvino non lo cito mai, e dico: be’, naturalmente Fenoglio»).
«Vittorini s’è sempre più deciso che nel romanzo c’è troppo cinematografo, e vuole fare solo i racconti, pensando che per il romanzo troverai di sicuro un altro editore. Io non sono del suo parere perché come sai il romanzo mi piace, ma la collana la dirige lui e pubblica solo cose che lui si sente di difendere fino in fondo», aveva scritto nel settembre 1951 Italo Calvino a Fenoglio. Non si trattava dunque di una bocciatura assoluta, semmai di un rifiuto occasionale, parziale e motivato.
Secondo Vittorini, c’era troppo cinematografo. E Fenoglio ne trasse la convinzione che gli mancasse «il fondo del romanziere», come se il suo talento, la forza dirompente della sua scrittura, fossero eccessivi, impossibili da collocare all’interno di categorie consolidate, adatti, al massimo, a racconti, novelle, raccolte di racconti e novelle. La verità è che entrambi avevano ragione: c’era troppo cinematografo in quel romanzo, troppo per il 1950, abbastanza per farcelo apprezzare oggi più di allora e per chiedersi come sia possibile che a nessun regista italiano sia venuto in mente di portare sullo schermo quella storia di reduci, di partigiani mai rassegnati al rientro nei ranghi, di giovani che erano stati apocalittici e che faranno di tutto – anche morire presto – pur di non finire integrati (proprio pochi anni prima, lui stesso si era adattato all’impiego in un’azienda vinicola, e sapeva bene di che cosa stava scrivendo). Ma era anche vero, dopo tutto, che Fenoglio non possedeva il fondo del romanziere, in senso classico, ottocentesco: per una ragione o per l’altra, i suoi romanzi raramente sono davvero tali. Quasi mai. Sono incompiuti, non finiti, irrisolti, postumi. Modernissimi.
“La paga del sabato”, «il libro perfetto», Fenoglio l’archiviò subito dopo il no di Vittorini. A farlo uscire con un altro editore non ci provò neppure: verrà pubblicato nel 1969, quando il suo autore era morto ormai da sei anni. La malora, invece, uscirà nel 1954, subito dopo la lettera delle «4 marce», con la singolare distinzione di ricevere la critica più dura dal proprio risvolto di copertina, scritto da Elio Vittorini in persona, in cui Fenoglio è accomunato a «questi giovani scrittori dal piglio moderno e dalla lingua facile» che rischiano, «appena non trattino più di cose sperimentate personalmente, di ritrovarsi al punto in cui erano, verso la fine dell’Ottocento, i provinciali del naturalismo, i Faldella, i Remigio Zena». Si tratta in effetti di un romanzo (breve) che rappresenta una deviazione rispetto al percorso di Fenoglio, articolato su due strade: i racconti «del parentado», storie in genere brevi (anche molto brevi) ambientate sulle colline avite delle Langhe e i racconti di guerra. Si tratta di un esperimento che, anche e forse soprattutto a causa della parole di Vittorini, Fenoglio non tenterà mai più.
Gli altri romanzi di questi due volumi sono invece episodi di un’unica epopea, un unico romanzo cavalleresco che Fenoglio tenterà di scrivere – senza riuscirci, senza pubblicarlo, se non in parte, e senza neppure concluderlo – dalla fine della guerra alla morte. “Primavera di bellezza” (uscito nel 1959), “L’imboscat”a (pubblicato da Maria Corti nel 1968 con il titolo di “Frammenti di romanzo”, ripubblicato e rititolato così da Dante Isella nel 1992), “Una questione privata” (pubblicato due mesi dopo la sua morte), “Il partigiano Johnny” (nato dall’assemblaggio di due diverse stesure, poi accantonate, solo parzialmente sovrapponibili, pubblicato nel 1968 da Lorenzo Mondo) e in fondo anche I penultimi, che in termine cinematografico si definirebbe prequel (è ambientato ai tempi della prima guerra mondiale ed è uscito in volume nel 1973) fanno tutti parte di quel progetto di «libro grosso», come Fenoglio stesso lo chiamava, che avrebbe dovuto seguire un ragazzo «nel fitto della guerra civile», come Fenoglio stesso scrisse a Livio Garzanti nel 1960.
Un romanzo, il primo, “La paga del sabato”, gli fu rifiutato da Vittorini. Un altro, “La malora”, gli fu pubblicato e contemporaneamente stroncato. Il grande romanzo di guerra lo mise in un cassetto lui stesso, amputandolo alle prime riserve del nuovo editore, Livio Garzanti: “Primavera di bellezza” non è che un pallido annuncio di ciò che sarà “Il partigiano Johnny”. “Una questione privata”, il suo capolavoro, non riuscì neppure a finirlo, e uscì pochi mesi dopo la sua morte. Ricordarlo con due volumi intitolati “Tutti i romanzi” è un gesto che assomiglia moltissimo a un risarcimento. Solo ora, solo dopo la morte, Fenoglio è diventato il romanziere che in vita non riuscì a essere.
Dimenticavo di segnalare il link dell’articolo. Eccolo http://www.lastampa.it/2013/02/17/cultura/beppe-fenoglio-primavera-di-timidezza-Qx1X0SXRav7Rggqh42RL5O/pagina.html
Ciao a tutti.
La cosa che dispiace di Fenoglio e’ che sia morto prematuramente. Avrebbe potuto dare ulteriori contributi alla letteratura italiana con altre opere.
Be’, intanto leggiamoci quel che ci ha lasciato: letteratura di altissima qualità.
Che non è poco.
Un grande del Novecento, forse ancora poco letto e poco studiato. Oltre al già citato Partigiano Johnny, direi il suo Una questione privata, romanzo breve dove ritorna l’attenzione alla tematica della lotta partigiana ma s’intreccia con la storia di un amore impossibile.Un autore che ha posto attenzione particolare all’uso della lingua, dello stile, ma sempre altamente poetico. Sicuramente da rileggere da adulti, questo post darà occasione di riavvicinarsi a Fenoglio a molti lettori, compresa la sottoscritta.
Un caro saluto a Massimo e grazie sempre!
Grande Fenoglio! Un autore che va assolutamente scoperto e riscoperto. Un grande patrimonio della nostra letteratura.
Io lo farei studiare anche nelle scuole (non so se è già in programma) sia per la bellezza del linguaggio sia per i temi.
Complimenti per questo bel blog.
“Troppo cinematografo” diceva Vittorini, e forse aveva ragione. E’ che molta della letteratura del dopoguerra (e in alcuni casi anche di prima: vedi Bulgakov e i suoi ritmi da “comica del muto” in “Diavoleide”) assumerà sempre di più carattere cinematografico. Il cinema del resto irrompe allora prepotentemente nella nostra cultura e la letteratura più moderna non può ignorarlo. Fenoglio anche in questo senso è perciò uno scrittore pienamente moderno, ed è Vittorini a non rendersene conto (o a non volere rendersene conto).
Io non ho letto Il Partigiano Johnny, ma ho letto (e abbastanza recentemente) La Paga del Sabato. Ed è stata una bella lettura. I giovani ex-partigiani che nell’immediato dopoguerra si trovano di fronte una società ben diversa da quella che avevano immaginato nel corso della Resistenza e si trovano spaesati, e istintivamente “ribelli”, sembrano già gli antesignani della “gioventù bruciata” americana di pochi anni dopo.
Sì, Fenoglio va fortemente rivalutato.
Caro Massimo, ottima questa iniziativa volta a promuovere Beppe Fenoglio e le sue opere in occasione di questa ricorrenza.
Provo a rispondere alle tue domande per quel poco che posso…
1. Che rapporto avete con le opere di Fenoglio?
Non conosco tutte le opere di Fenoglil, ma solo un paio. Le apprezzo molto e questo post mi stimola a leggere ciò che non ho ancora letto e a rileggere quanto lessi ben più di vent’anni fa.
2. Qual è quella che avete amato di più?
La grande opera rimane senz’altro “Il Partigiano Johnny”
(mi scuso per il refuso del commento precedente. Fenoglil = Fenoglio.
3. A parte “Il Partigiano Johnny” (l’opera più celebre di Fenoglio) qual è quella che ritenete più rappresentativa (a prescindere dalle vostre preferenze)?
L’altro libro che ho letto è “Una questione privata”. Dunque non posso che citare quest’altro.
4. Tra le varie “citazione” di Fenoglio di cui avete memoria… qual è quella con cui vi sentite più in sintonia?
Vi lascio il meraviglioso incipit de “Il Partigiano Johnny”
……
“Johnny stava osservando la sua città dalla finestra della villetta collinare che la sua famiglia s’era precipitata ad affittargli per imboscarlo dopo il suo imprevisto, insperato rientro dalla lontana, tragica Roma fra le settemplici maglie tedesche. Lo spettacolo dell’8 settembre locale, la resa di una caserma con dentro un intero reggimento davanti a due autoblindo tedesche not entirely manned, la deportazione in Germania in vagoni piombati avevano tutti convinto, familiari ed hangers-on, che Johnny non sarebbe mai tornato; nella più felice delle ipotesi stava viaggiando per la Germania in uno di quei medesimi vagoni piombati, partito da una qualsiasi stazione dell’Italia centrale.”
5. A cinquant’anni dalla morte, qual è l’eredità che Fenoglio ha lasciato nella letteratura italiana?
Credo che Fenoglio sia stato un innovatore nella nostra letteratura, sia per il linguaggio sia per l’impostazione del racconto (come ha osservato Carloesse).
E in assoluto è colui che ha meglio sperimentato “pastiche” attraverso la contaminazione della nostra lingua con quella inglese, con eccellenti risultati.
Questa, secondo me, è la sua principale eredità.
Comunque sia mi ripropongo di leggere e rileggere Beppe Fenoglio.
Saluti a tutti.
Son d’accordo con chi ha detto che bisognerebbe inserire le opere di Fenoglio nei programmi delle scuole.
Mi è molto piaciuto il pezzo di Gianni Riotta.
Felice che Riotta abbia citato anche il mio concittadino Vittorini, grande operatore culturale attentissimo alla letteratura angloamericana.
Grazie Massimo per questi spunti interessantissimi di discussione.
IL PARTIGIANO JOHNNY è molto letto e studiato anche nelle scuole, al quinto anno della scuola superiore.
Insieme al Calvino de IL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO, insieme a quegli scrittori che sanno parlare della nostra storia recente e innovano, sperimentano.
Molto interessante l’articolo di Riotta, davvero.
Care amiche, cari amici…
grazie di cuore per i vostri commenti e per l’aiuto che mi avete dato a divulgare notizie e informazioni su Beppe Fenoglio e le sue opere.
Ne approfitto, come sempre, per salutarvi.
Un caro saluto e grazie a: Andrea, Claudia C., Margherita, Francesca G. Marone, Filippo…
Ancora ringraziamenti e saluti a: Santo Vinci, Carlo S., Amelia Corsi, Aurelio, Maria Lucia Riccioli.
Grazie a tutti!
Spero che possano pervenire altri contributi su Beppe Fenoglio.
Vi ringrazio in anticipo e vi auguro uno splendido fine settimana!
Sono lieto che Fenoglio sia studiato nelle scuole e sia nei programmi. Non lo sapevo.
mi piace il neologismo itanglish coniato da Riotta.
Ammetto comunque di non aver mai letto Fenoglio.
Dichiaro però l’intenzione di leggere questo autore.
Non è mai troppo tardi.
Carissimo Massi
che bell’idea ricordare Fenoglio! Il suo romanzo più noto è certamente “Il partigiano Johnny” ma ha scritto anche racconti meravigliosi, veri gioielli, incisivi e taglienti come una lama.
Ne ricordo uno che mi folgorò, qualche anno fa…IL GORGO.
E’ uno di quei racconti di vita contadina lontano dai “racconti partigiani”, ma entra nel cuore per la sua drammaticità, e non lo si può più dimenticare…
La trama è semplicissima….parla di un padre che – sconvolto per le vicissitudini gravi della vita dei figli (la guerra, la malattia…) – tenta il suicidio.
Il figlio comprende la sua intenzione e da qui nasce il racconto
L’incipit è indimenticabile:
“Nostro padre si decise per il gorgo, e in tutta la nostra famiglia soltanto
io lo capii, che avevo nove anni ed ero l’ultimo”.
“Si decise per il gorgo”: un’unica breve frase prefigura il tema del
racconto, cioè il fatto che il padre decide di uccidersi nel fiume.
il figlio, in un attimo, comprende tutto…
“Uno di quei giorni, nostro padre si leva da tavola e dice con la sua voce
ordinaria: – Scendo fino al Belbo, a voltare quelle fascine che mi hanno preso la pioggia. –
Non so come, ma io capii a volo che andava a finirsi nell’acqua, e mi atterrì,guardando in giro, vedere che nessun altro aveva avuto la mia ispirazione: nemmeno nostra madre fece il più piccolo gesto, seguitò a pulire il paiolo, e sì che conosceva il suo uomo come se fosse il primo dei suoi figli.
Eppure non diedi l’allarme, come se sapessi che lo avrei salvato solo se
facessi tutto da me”.
“Ma arrivammo insieme alle nostre fascine. Il gorgo era subito lì, dietro un fitto di felci, e la sua acqua ferma sembrava la pelle di un serpente. Mio padre, la sua testa era protesa, i suoi occhi puntati al gorgo ed allora allargai il petto per urlare. In quell’attimo, lui ficcò il forcone nella prima fascina. e le voltò tutte, ma con una lentezza infinita, come se sognasse. E quando l’ebbe voltate tutte, tirò un sospiro che l’alzò di un palmo. Poi si girò. Stavolta lo guardai, e gli vidi la faccia che aveva tutte le volte che rincasava da in festa con una sbronza fina.
Tornammo su, con lui che si sforzava di salire adagio, per non perdermi d’un passo, e mi teneva sulla spalla la mano libera dal forcone ed ogni tanto mi grattava col pollice, ma leggero come una formica, tra i due nervi che abbiamo dietro il collo”.
tutto qui. Un racconto di appena due pagine, che racconta solo uno sguardo. Lo sguardo del figlio che salva il padre. Lo sguardo del padre che coglie al volo, e conforta il figlio del gesto che non ha fatto.
Un salvataggio disperato, che si consuma in pochissimi, pietosi atti.
Grandissimo Fenoglio! Grazie di questo sguardo!
buona domenica da Simo!
Ho letto “Il Partigiano Johnny”. Gran libro, anche se la presenza dell’inglese può dar fastidio a chi non lo conosce.
Non ho letto altri libri di Fenoglio, ma mi piacerebbe aver la possibilità di farlo.
So che c’è un’iniziativa editoriale de La Stampa che include tutte le opere di Fenoglio.
Vorrei intanto segnalare questo importante sito dedicato a Fenoglio
http://www.centrostudibeppefenoglio.it/Homepage/index.php
Qualche notizia sulla vita e sulle sue opere. Ringrazio letteratitudine che ci dà questa opportunità.
Beppe Feoglio fu il primogenito di tre figli e nacque ad Alba nelle Langhe il 1º marzo 1922 (da Amilcare, garzone di macellaio di fede socialista e seguace di Filippo Turati, e da Margherita Faccenda, donna di forte carattere che ambiva per i suoi figli una vita migliore della propria). Nel 1928 il padre riuscì a mettersi in proprio, acquistando una macelleria in piazza del Duomo che gli fornì buoni proventi.
Da bambino, Beppe frequentò la scuola elementare “Michele Coppino” di Alba e si dimostrò un bambino intelligente e riflessivo, anche se affetto da lieve balbuzie. Terminate le scuole elementari, la madre, su consiglio del maestro e malgrado le persistenti ristrettezze della famiglia, iscrisse il figlio al Liceo Ginnasio “Govone” di Alba. Successivamente si trasferì per un breve periodo a Cantello dove visse alcuni anni della sua adolescenza e dove lavorò nei campi d’asparagi come contadino.
Alunno modello e appassionato della lingua inglese, fu lettore vorace e iniziò anche alcune traduzioni, che dovevano rivelarsi le prime di una lunga serie. Al liceo ebbe come insegnanti professori illustri e per lui indimenticabili, come Leonardo Cocito, insegnante di lingua italiana, che aderì tra i primi alla Resistenza e fu poi impiccato dai tedeschi il 7 settembre del 1944, e Pietro Chiodi, docente di storia e filosofia, grande studioso di Kierkegaard e di Heidegger, in seguito partigiano, compagno di Cocito stesso, e che invece fu deportato in un campo di concentramento tedesco.
Nel 1940 si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Torino, che frequentò fino al 1943, quando fu richiamato alle armi e indirizzato prima a Ceva (Cuneo) e poi a Pietralata (Roma), al corso di addestramento per allievi ufficiali.
Dopo lo sbandamento seguito all’8 settembre 1943, Fenoglio nel gennaio del 1944 si unì alle prime formazioni partigiane. In un primo momento si aggregò ai “rossi” delle Brigate Garibaldi, ma presto passò con gli autonomi o badogliani del 1º Gruppo Divisioni Alpine comandata dal maggiore Enrico Martini “Mauri” e della sua 2ª Divisione Langhe, brigata Belbo, comandata da Piero Balbo “Poli” ed operante nelle Langhe, tra Mango, Murazzano e Mombarcaro. Partecipò allo sfortunato combattimento di Carrù e all’effimera esperienza della Libera Repubblica partigiana di Alba, indipendente tra il 10 ottobre e il 2 novembre 1944.
Alla fine della guerra, Fenoglio riprese per un breve tempo gli studi universitari prima di decidere, con grande rammarico dei genitori, di dedicarsi interamente all’attività letteraria. Nel maggio del 1947, grazie alla sua ottima conoscenza della lingua inglese, fu assunto come corrispondente estero di una casa vinicola di Alba. Il lavoro, poco impegnativo, gli permise di contribuire alle spese della famiglia e di dedicarsi alla scrittura.
Nel 1949 comparve il suo primo racconto, intitolato “Il trucco” e firmato con lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti, su Pesci rossi, il bollettino editoriale di Bompiani. Nello stesso anno presentò a Einaudi i “Racconti della guerra civile” e “La paga del sabato”, romanzo che ottenne un giudizio molto favorevole da Italo Calvino. Nel 1950 conobbe a Torino Elio Vittorini, che stava preparando per Einaudi la nuova collana “Gettoni”, ideata per accogliere i nuovi scrittori; nella stessa occasione Fenoglio conobbe di persona Calvino (con il quale aveva intrattenuto fino a quel momento solamente una cordiale corrispondenza) e Natalia Ginzburg.
Incoraggiato da Vittorini, riprese “La paga del sabato” e ne attuò una nuova stesura, ma a settembre abbandonò definitivamente il romanzo per organizzare una raccolta di dodici racconti, alcuni dei quali già inclusi nei “Racconti della guerra civile”. Nel 1952 la raccolta di racconti uscì, nella collana “Gettoni”, con il titolo “I ventitré giorni della città di Alba”. L’anno seguente Fenoglio completò il romanzo breve “La malora”, pubblicato ad agosto 1954.
Seguì un’intensa attività come traduttore dall’inglese: nel 1955 uscì sulla rivista Itinerari la traduzione de “La ballata del vecchio marinaio” di Samuel Taylor Coleridge. Iniziò intanto un grosso romanzo sugli anni 1943-1945, che presentò in lettura all’editore Garzanti nell’estate del 1958. Nell’aprile del 1959 uscì, nella collana “Romanzi Moderni Garzanti”, “Primavera di bellezza”; firmò con Livio Garzanti un contratto quinquennale sui suoi inediti. Nello stesso anno ricevette il premio “Prato” e iniziò a scrivere un nuovo romanzo di argomento partigiano.
Nel 1961, stimolato da Calvino a raccogliere i suoi nuovi racconti per presentarli al premio internazionale “Formentor”, si mise a lavorare alla raccolta “Racconti del parentado”; alla firma del contratto con Einaudi, tuttavia, accettò il titolo di “Un giorno di fuoco”. La pubblicazione fu però sospesa: Garzanti rivendicava i diritti e le due case editrici non riuscirono a raggiungere un compromesso. Iniziò così a scrivere “Epigrammi” e una nuova serie di racconti, oltre alla collaborazione a una sceneggiatura cinematografica di tema contadino.
Nel 1960 si sposò civilmente con Luciana Bombardi, che conosceva già dall’immediato dopoguerra, e compì il viaggio di nozze a Ginevra. La moglie gli sopravvisse per oltre 50 anni, morendo nel 2012 ad Alba. La figlia Margherita nacque il 9 gennaio del 1961; per l’occasione, Fenoglio scrisse due brevi racconti, “La favola del nonno e Il bambino che rubò uno scudo”.
Nell’inverno tra il 1959 e il 1960, in seguito a un esame medico, gli venne accertata un’infezione alle vie aeree, con complicazioni dovute alla forma di asma bronchiale che lo affliggeva ormai da anni che era degenerata in pleurite, a causa dell’eccessivo vizio del fumo.
Nel 1962, mentre si trovava in Versilia per ritirare il premio “Alpi Apuane” conferitogli per il racconto “Ma il mio amore è Paco”, venne colpito da un attacco di emottisi. Rientrato precipitosamente a Bra, a una visita medica gli venne diagnosticata una forma di tubercolosi con complicazioni respiratorie.
Si trasferì per un breve periodo (settembre e ottobre) a Bossolasco, a 757 metri d’altitudine, dove trascorse il tempo leggendo, scrivendo e ricevendo la visita degli amici. Ma presto per un aggravamento della malattia fu ricoverato in ospedale, prima a Bra e poi alle Molinette di Torino, e gli venne diagnosticato un cancro ai bronchi
Ogni cura risultò inutile: in pochi mesi lo scrittore peggiorò irreversibilmente. Durante gli ultimi giorni fu costretto a comunicare con un foglietto poiché venne tracheotomizzato a causa dei problemi respiratori.
La morte lo colse, dopo due giorni di coma, la notte del 18 febbraio 1963; venne sepolto nel cimitero di Alba con rito civile, con poche parole dette sulla tomba dal sacerdote don Natale Bussi, amico ed ex professore di liceo. Il suo romanzo più noto, “Il partigiano Johnny”, fu pubblicato postumo nel 1968.
Nel 2001 è stato istituito a Mango il percorso letterario intitolato “Il paese del partigiano Johnny”. Altri itinerari fenogliani sono stati istituiti, in seguito, a Murazzano e a San Benedetto Belbo, dove sono ambientati alcuni dei racconti di Langa più intensi e significativi. Il 10 marzo 2005, all’Università di Torino, a questo scrittore è stata conferita la “Laurea ad honorem” in Lettere alla memoria, segno della fortuna in gran parte postuma della sua opera letteraria.
Grazie a tutti per l’attenzione e grazie a Massimo per l’opportunità.
Spero, Massimo, che i contributi siano stati spezzettati nella lunghezza giusta. Non ho molta esperienza negli interventi su forum come questo.
Mi raccomando: leggete Fenoglio!
Cari amici,
grazie mille per i vostri nuovi commenti.
Un caro saluto e un ringraziamento a Simo (ciao, Socia!), Aurelio, Anna, Giorgio, Luca F.
Grazie a tutti. Spero possano pervenire altri contributi…
Incuriosita dai vostri discorsi, ho acquistato Il partigiano Johnny.
Non vedo l’ora di iniziare a leggerlo.
Ben fatto!
Buona lettura Marisa!!!Comunque vada sarà un incontro con un autore molto originale anche nella lingua.
Grazie! Siete molto gentili!
Mi pare un’ottimo inizio, cara Marisa! 😉
Caro Massimo,
inserisco qualche altra informazione su Fenoglio, soprattutto per quanto riguarda il romanzo “Il Partigiano Johnny”. Come è stato ampiamente detto è l’opera più conosciuta.
Ribadisco che “Il partigiano Johnny” è considerato uno dei più importanti romanzi della Resistenza e del Novecento italiano. Tuttavia, Fenoglio non riuscì mai a pubblicarlo in vita: lo stesso titolo non è autografo, ma va attribuito ai curatori della prima edizione Einaudi (1968).
Non c’è dubbio sul fatto che la vicenda editoriale del Partigiano Johnny sia una delle più complesse e controverse del Novecento letterario italiano. Basti dire che il romanzo fu pubblicato postumo in una versione che (come dimostrò subito la filologa Maria Corti) mescolava arbitrariamente due stesure diverse, ambedue acefale e lacunose (specie la seconda):
La prima stesura era divisa in capitoli, ma non iniziava dal primo, bensì dal “decimosesto”, in cui si raccontava l'”imboscamento” di Johnny nella villetta di campagna. Questa stesura era scritta in una curiosa mescolanza di italiano e inglese (i critici la soprannomineranno poi “fenglese”), con numerosi neologismi e anglismi.
La seconda stesura era divisa in blocchi più vasti e presentava un numero minore di neologismi e termini inglesi. La narrazione, più stringata, cominciava con l’esperienza di Johnny nei partigiani comunisti, sorvolava su diversi episodi contenuti nella prima, e terminava lasciando intendere la morte del personaggio. Si noti che se entrambe le stesure si interrompono allo stesso punto della storia, solo nella seconda stesura si ha l’impressione di non trovarsi di fronte a un’interruzione, ma alla conclusione narrativa. Anche la seconda stesura è comunque lacunosa e ricca di varianti d’autore che la presentano ancora lontana dalla stabilità di una redazione definitiva e pronta per la stampa.
I curatori dell’edizione Einaudi del 1968 si erano basati soprattutto sulla seconda stesura, ricorrendo alla prima per i capitoli iniziali. L’idea (difesa, in sede critica, da Eugenio Corsini) era che Fenoglio verso la fine degli anni cinquanta stesse lavorando a un grande romanzo ‘quasi’ autobiografico sulla Resistenza, l’ideale continuazione di Primavera di bellezza, in cui avrebbe inserito temi presenti già in altri suoi romanzi e racconti.
Per Maria Corti, invece, “Il partigiano Johnny” era da considerare come la prima, e non l’ultima, opera di Fenoglio, scritta probabilmente verso la fine degli anni quaranta. Nella primissima versione, probabilmente, l’autore pensava a una sola opera “relativa agli avvenimenti tra 1940 e 1945” (così nel 1957 scrive a Italo Calvino, che aveva pubblicato le sue prime opere per l’Einaudi): la storia di Johnny prima nell’esercito e poi nei partigiani. In seguito Fenoglio aveva trasformato la prima parte di questa grande opera in “Primavera di bellezza” e, accogliendo un suggerimento dei redattori di Garzanti, aveva fatto morire Johnny al termine di questo romanzo: cioè, poco dopo l’8 settembre 1943. Ma accettando di ‘uccidere’ Johnny, Fenoglio aveva in pratica rinunciato all’idea di pubblicare integralmente tutto il resto della storia: e difatti negli anni successivi aveva attinto dalla vicenda il materiale per altri romanzi (“Una questione privata” e racconti “I ventitré giorni della città di Alba”).
La polemica coinvolse filologi e critici, e sembrò volgere a favore di Maria Corti, che nel 1978 pubblicò un’edizione critica delle opere di Fenoglio in cui le due stesure del romanzo erano riportate integralmente (accanto a un altro testo molto interessante, tutto in inglese, battezzato dalla Corti Ur-Partigiano Johnny). L’edizione critica non ebbe la stessa fortuna commerciale dell’edizione del 1968: sicché la versione più conosciuta e letta del Partigiano Johnny resta a tutt’oggi quest’ultima.
Anche la riedizione curata da Dante Isella nel 1994 (ancora per Einaudi, con in appendice un importante saggio critico sulla lingua di Fenoglio) riprende sostanzialmente la versione del 1968. Nel 2003 questa versione è stata poi ristampata per una collana di classici del Novecento allegati al quotidiano La Repubblica: una prova ulteriore dell’interesse mai sopito del pubblico per questo romanzo.
A tutt’oggi, insomma, la seconda stesura del romanzo è la più conosciuta, mentre la prima rimane confinata a un’edizione (ormai esaurita) per addetti ai lavori. Questo per certi versi è un peccato: nella prima versione, infatti, Fenoglio si prende libertà linguistiche e narrative che nella seconda vengono bruscamente limitate. Uno dei casi più eclatanti è la scomparsa dell’episodio dell’incontro di Johnny coi genitori durante la temporanea liberazione di Alba.
Un caro saluto a tutti!
Carissima Margherita,
grazie di cuore per i tuoi contributi!!!