Cari amici di Letteratitudine,
inauguro una nuova rubrica dal titolo: Ritorno ai classici. Credo che il titolo sia abbastanza esplicativo, per cui non mi dilungherò molto.
Ritorno ai classici. Una rilettura delle grandi opere e dei grandi autori del passato recente e del passato lontano.
Il Novecento, l’Ottocento, fino ai grandi classici greci. Un modo per riscoprire testi e autori della Grande Letteratura e per discuterne assieme.
Ho affidato la rubrica allo scrittore Sergio Sozi al quale ho chiesto di dedicare questo primo numero alla figura di Luigi Meneghello, recentemente scomparso.
(Massimo Maugeri)
Il coccodrillo è quella sorta di necrologio allungato che si fa a proposito della scomparsa di un personaggio pubblico. Il termine è del gergo giornalistico (forse di un tempo?) e direi perciò che, purtroppo, calzi a pennello per un pezzo come questo per Letteratitudine. Oramai, infatti, non è più notizia dell’ultima ora che Luigi Meneghello ci ha lasciati ieri, 26 giugno 2007, all’età di 85 anni (era nato il 16 febbraio del 1922). Lo hanno ritrovato morto, probabilmente a causa di infarto, nella sua casa di Thiene (VC), dove viveva dal 2000. Oltre ai testi narrativi e critici, moltissimo lo scrittore di Malo ha sempre fatto per la nostra Letteratura all’estero, ed esattamente all’università di Reading (Inghilterra), dove nel 1947 fondò e diresse la cattedra di Letteratura italiana, mantenendola fino a tempi recenti.
Luigi Meneghello
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Comunque, la prima cosa che mi viene ora in mente, è un’osservazione polemica ma, ohimé, indiscutibile: constatare quanto egli era, oramai da lustri, assente dai cuori e dalle menti degli operatori culturali (in genere: giornalisti, docenti, critici, ecc.) italiani, nonostante libri che appartengono ormai all’immaginario comune (Libera nos a Malo, l’esordio narrativo datato 1963, è oggi anche il titolo di una canzone di Luciano Ligabue, tanto per dire una banalità) e ad irridere delle capacità scrittorie di straordinaria originalità per lingua, stilistica, poetica e euristica – ovvero metodologia.
A parlare, infatti, della ”funzione euristica dell’ironia” in Meneghello è Maria Corti, la quale, nell’introduzione a I piccoli maestri (1964), mette in risalto, nel libro presentato ma anche nelle altre opere, il continuo attrito fra ”due culture contrapposte, quasi messe in dialettica” e scatenante appunto questa funzione ironica, che funge da basso continuo, diremmo, per l’intera sua produzione narrativa. Poi, sempre lì, la Corti enumera scientificamente le similitudini fra Libera nos a Malo e I piccoli maestri, pertanto facendoci notare delle altre corrispondenze, oggi utili per fare un quadro generale dell’autore – un autore che la critica italiana deve aver condannato a morte anzitempo, direi, nonostante l’incessante amore da parte soprattutto dei lettori più giovani. Ecco, in conclusione d’articolo, le ulteriori ”costanti” individuate dalla Corti. Le riporto qui perché concordo e perché mi sembra il modo migliore per render giustizia ad uno fra i migliori autori italiani del Secondo Dopoguerra. Un artista della prosa ed un linguista (nel senso di studioso di dialetti e della lingua italiana) eccellente. Un raro esempio di riuscita simbiosi fra realtà soggettiva, realtà oggettiva e arte del narrare (ovvero, secondo i miei termini critici, tout court creazione fantastica).
”(…) C’è un personaggio che dice io e c’è un narratore che, ben distinto, osserva se stesso agire entro le vicende di un mondo lontano.”
”Il mondo della memoria. (…) Il punto di vista della memoria è anche quello che sottilmente determina il tipo di stilizzazione della scrittura e mescolandosi alla vena umoristico-ironica porta lo stile a lievitazione.”
”Il senso della coralità.”
”Ultima costante (…): in ogni opera di Meneghello una funzione basilare ha il linguaggio o, per essere più precisi, il plurilinguismo. (…) Come dire che entro la sua personale lingua, così viva e nei dialoghi lucidamente colloquiale, Meneghello inserisce linguaggi di vari livelli della testualità sociale: il linguaggio delle canzoni popolari, di quelle specificatamente alpine, dei testi poetici letterari evocati, dei comandi militari, della burocrazia italiana, degli intellettuali. La pluridiscorsività sociale si trasforma, direbbe Bachtin, in plurivocità dello scrittore.”
Fin qui Maria Corti, nel 1986. L’ho scelta perché riassuntiva… ai limiti del paradigmatico.
Sergio Sozi
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Sergio Sozi collabora con il quotidiano L’Unità ed il settimanale Avvenimenti, con il mensile triestino Trieste Arte e Cultura, il mensile lubianese Nova revija, il quotidiano sloveno Dnevnik, la Radio Tre slovena e la casa editrice Studentska Zalozba – per la quale ha curato nel 2005 il volume antologico di racconti italiani (1989-2003) ”Carta e carne” (”Papir in meso”, SZ-Beletrina, Ljubljana 2005). Suoi pezzi culturali sono presenti su diversi siti letterari. Da ricordare la pubblicazione di colloqui con Dacia Maraini, Sebastiano Vassalli, Diego Marani e Claudio Magris.
Ha pubblicato "Il maniaco e altri racconti" (Valter Casini Editore, 2007)
In bocca al lupo a Sergio Sozi per questa nuova rubrica.
A voi chiedo: vi piace l’idea?
Naturalmente siete invitati a lasciare commenti sul pezzo di Sozi e, in generale, sulla figura di Meneghello.
Tanti auguri a Sozi per questa rubrica che si prospetta interessante. Anche il titolo mi piace: ritorno ai classici. Che poi semnbra anche un’esortazione, ma pure una specie di proclama.
Un saluto al grande Meneghello. Forse sarà più ricordato da morto che da vivo.
“constatare quanto egli era, oramai da lustri, assente dai cuori e dalle menti degli operatori culturali (in genere: giornalisti, docenti, critici, ecc.) italiani”
Parole sante!
Bell’articolo.
A Sergio Sozi in bocca al lupo e complimenti.
A Massimo, come ti scrivevo ieri “perchè non ci ho pensato prima” 😉
E chi se ne è mai andato dai classici?
Ciao, Antonio.
Carolina Invernizio e la narrativa di genere
(un coccodrillo molto post mortem…)
Abbiamo deciso di ristampare I misteri delle soffitte di Carolina Invernizio come tributo letterario a una scrittrice che consideriamo maestra della narrativa popolare. Nessuno meglio della Invernizio incarna con le sue opere lo spirito che anima la nostra casa editrice. Scrittrice d’appendice, narratrice instancabile, amante del mistero, suggestionata da trame nere, indagatrice di sensazioni orrorifiche, semplice da leggere e da capire. Carolina Invernizio non viene compresa dalla critica contemporanea che le preferisce letterati incomprensibili, astrusi ed elitari. Lei scrive per il popolo, per le donne di servizio, per chi ha poca cultura, per un pubblico che attende con ansia la puntata successiva di un feuilleton a base di amore e morte. Strano destino per una ragazza di buona famiglia innamorata della scrittura sino al punto di essere espulsa da scuola e messa all’indice dal Vaticano per aver scritto cose peccaminose. Il comune senso del pudore cambia con il passare del tempo: adesso i racconti della Invernizio non meritano nessuna scomunica. A nostro giudizio vanno riscoperti per comprendere come la tanto disprezzata Carolina di Servizio sia stata una delle prime narratrici di genere della nostra letteratura. Carolina Invernizio compie opera meritoria soprattutto come divulgatrice della parola scritta nei confronti di alcune generazioni di lettori, soprattutto donne, in tempi che consideravano disdicevole perdere tempo con i romanzi. Il cinema non è immune al fascino misterioso dei suoi racconti. Guido Brignone, nel 1948, porta sul grande schermo Il bacio di una morta con una giovanissima Paola Quattrini. Aldo Lado, nel 1973, compie un’operazione simile con La sepolta viva, romanzo gotico a tinte orrorifiche interpretato da Agostina Belli e Maurizio Bonuglia. Le Edizioni Il Foglio riportano alla luce un romanzo del mistero ambientato a Torino, tra il Valentino e la Mole Antonelliana, scritto con uno stile piano e comprensibile, basato su una trama semplice che segue il filo conduttore di una storia d’amore e delitti. Carolina Invernizio ha segnato la via popolare alla narrativa di genere seguendo ispirazioni che la portavano a costruire trame storiche, gialli d’azione, thriller orrorifici, romanzi gotici e storie d’amore strappalacrime. Resta il fatto che Carolina Invernizio, checché ne dicano critici paludati e recensori prezzolati per esaltare Faletti e Moccia, sapeva scrivere e aveva nella sua penna il gusto latinoamericano del racconto. La nostra scrittrice popolare è ancora oggi molto apprezzata dal pubblico sudamericano che ama la narrazione pura, libera da artificiose costruzioni letterarie.
Gordiano Lupi
@ Gordiano:
In bocca al lupo per questa tua nuova coraggiosa avventura
@ Francesco.
ma tu pensi tante altre belle cose! 🙂
Un saluto ad Antonio
Bella rubrica. Complimenti ed auguri a Sergio.
Meneghello lo conoscevo per sentito dire. In effetti non ho mai letto nulla di suo.
Oh, ma possibile che con voi una è costretta e sentirsi spesso ignorante?
Smile.
Cari amici di Letteratitudine,
nel ringraziare caldamente le vostre spettabili penne e relative mani (direi indispensabili utensili per far si’ che le penne si mettano a ”cantare”) per il collettivo incoraggiamento, mi dico piu’ che galvanizzato e pronto, lancia in resta, al compito di scartabellare e – oserei dire – dissezionare la casalinga libreria al fine di presentarvi delle analisi critiche degne delle opere delle quali parlero’.
L’importante, per me, non e’ creare dei ”monstri” critico-letterari, ma almeno delle oneste letture approfondite di testi a proposito dei quali gia’ e’ stato detto e scritto molto e… da gente ben piu’ competente del sottoscritto – il quale ha iniziato a pubblicare critica letteraria solo nell’Ottantanove.
Speriamo bene e non datemi la Croce addosso se dovessi – come succedera’ – dire qualche fesseria. Insomma prendetemi con seria benevolenza, per favore, ragazzi!
Saluti Cari a tutti
Vostro
Sergio Sozi
Dài, Sergio. Non fare troppo il modesto e non mettere le mani avanti, eh?
Non direi che Meneghello e’ bistrattato e dimenticato. Lo dico perche’ c’e’ sempre il pericolo di una cultura del piagnisteo (prendo e deformo l’espressione di Robert Hughes) per cui tutto dovrebbe essere diverso da come e’ (dato che i grandi sono dimenticati, i migliori sono morti, e l’intelligenza sarebbe estinta). Faccio solo un esempio: Marco Paolini lo ha frequentato, usato e applicato: la massima prova di vitalita’ di un autore. Ha fatto anche, con Mazzacurati, un Ritratto filmato – magari povero – che pero’ secondo me ha una potenzialita’ sperimentale notevole.
Trovo che la letteratura contemporanea italiana sia estremamente vitale, varia e promettente.
E grande e’ Meneghello, per la qualita’ della percezione. Rileggiamolo.
Grande Meneghello. Ho letto i suoi libri e apprezzato la sua mirabolante scrittura. Meritava certamente più attenzione, il suo stile innovativo faceva impallidire anche i nostri “classici blasonati”. Sono anche contenta di vedere che Sozi scrive per questo tuo, “nostro” blog, caro Massimo. Lo apprezzo e lo leggo da tempo.
Aggiungo invece, che solo oggi prendo visione di alcune polemiche che mi hai segnalato. E continuo a pensare che la libertà di opinione, democratica e pacata, sia l’unica via da perseguire. Dalla parte della Cilento e di chi si esprime con pacatezza e rispetto, quindi. E soprattutto senza secondi fini o manovre occulte, o peggio ancora, frustrazioni profonde.
un saluto a tutti e buon fine settimana
Elisabetta
Elektra: provo anch’io la stessa sensazione, ma è questo il bello dei blog! Ciao e complimenti per i tuoi costruttivi interventi. Su Meneghello, a dopo. Ciao, Miriam
Grazie per la solidarietà, Miriam. Ma tu dimostri di saperne più di me.
Smile.
“Che cos’è una patria se non un ambiente culturale? ”
Non avevo mai letto niente di Meneghello, non lo conoscevo nemmeno! Questa mattina, ho fatto una ricerca nel sistema bibliotecario che comprende sessanta comuni della provincia di Lecco, ma ho trovato solo “I piccoli maestri”, che sto leggendo con sommo piacere. “Ci hanno tenuti troppo a lungo nel pozzo, non ci netteremo mai del tutto da questa muffa”. Colpisce l’ironia, umana, mai sarcastica o saccente; quel suo modo di raccontare stando dentro e fuori la storia, la purezza curiosa di chi è protagonista ma,che, nella rivisitazione dei fatti si mantiene ancora tale, offrendo ai posteri o ad altri un’ apertura al racconto. Avevo visto il film realizzato qualche anno fa, ma seppur ben confezionato e per certi aspetti nuovo, è molto molto distante dallo spirito dello scrittore.(però lo rivedrei volentieri)
Lo “spirito”, caro Sergio, vuol sempre la sua parte, è proprio una cosa seria. Non è acqua!
Bene e grazie per questa tua rubrica, che non suonerà di nostalgia ma favorirà l’emersione dei dati che ognuno di noi, per formazione, scelte e orientamenti, ha chiuso nella propria memoria. E questa è un’azione d’arte.
PS. Mi sono riconosciuta un po’ nel personaggio di Marta.
ciao a te e a Massimo
Miriam scrive: “questa tua rubrica (…) non suonerà di nostalgia ma favorirà l’emersione dei dati che ognuno di noi, per formazione, scelte e orientamenti, ha chiuso nella propria memoria. E questa è un’azione d’arte.”
E’ proprio quello che spero e che immagino speri anche Sergio.
Grazie Miriam.
Cari Miriam e Massimo,
io sono un nostalgico che tiene la propria malinconica affettuosita’ per il passato accuratamente distante dall’analisi utile allo scopo di conoscere e far conoscere meglio un’opera letteraria. Pero’ non sono nemmeno privo di sentimenti e di istinti… fra i quali la simpatia e l’antipatia, appunto, istintive.
Cerchero’ dunque di evitare con tutte le forze della ratio i miei istinti, ve lo assicuro.
Bacioni e grazie per i suggerimenti.
Sergio Sozi
Ma certo ad un artista non si chiedono bigini! Ad un artista si chiede l’anima.
Ricambio con gioia i bacioni.
Miriam ravasio
Un saluto caro ed un ringraziamento sincero per la stima ad Elisabetta, con la quale credo proprio che discorrero’ spesso e volentieri, qui e magari altrove.
Sergio Sozi
Sono capitato per caso in questo datato post. Colgo l’occasione per una spiegazione puramente tecnica. In gergo giornalistico la parola “coccodrillo” si usa ancora e non è esattamente un necrologio allungato. E’, invece, una biografia abbastanza lunga e dettagliata che serve a corredare la notizia della morte di un personaggio. Per motivi di tempo, infatti, potrebbe non esserci modo di scrivere a caldo la storia del personaggio. Allora essa è conservata in un apposito archivio. Ci sono due tipi di coccodrilli. Quelli composti per persone che (si sa) sono più di là che di qua, e quelli composte per persone che soppiano di salute ma le quali (in caso di morte improvisa) avrebbero grande rilevanza sulle pagine dei giornali.
Non cito nomi di persone più di là che di qua perché delle loro condizioni sono informate solo le persone care e gli addetti ai lvori ma, per fare esempio di altro tipo, molti giornali hanno il “coccodrillo” del principe Carlo di?inghilterra. Lui sta benone e se la spassa con Camilla, però se gli prende un colpo la sua biografia è già pronta.
Il termine “coccodrillo”, come è facile arguire, deriva dal fatto che tutto sommato si tratta di un “pianto” fasullo. Infatti, per l’appunto, viene scritto in onore di una persona deceduta che, in realtà, morta non è.
Facendo un esempio di personaggio popolare ma non universalmente conosciuto, quando muore, la struttura il pezzo di cronaca che racconta che è morto, perché è morto e dove è morto. Poi c’è un pezzo di reazioni e da qualche parte la biografia prefabbricata chiamata, appunto, coccodrillo.
Caro Enrico, grazie mille per il valido contributo tecnico da bravo addetto ai lavori quale tu sei.
Grazie anche da parte mia, Enrico; pero’ il titolo del mio breve ricordo di Meneghello e’ da considerarsi – e lo era gia’ quando l’ho scritto – come estensivo della definizione che tu hai precisato, similmente a quanto accade per la figura retorica dell’antonomasia. Per antonomasia un Caio Giulio Cesare diventa qualsiasi importante sovrano. Quindi anche il mio ”coccodrillo”, per estensione, diventa il ricordo della figura di Meneghello, pur senza il ”conforto” di lacrime ipocrite. Un necrologio biografico-critico. Breve. Forse, a voler esser esatti, sarebbe meglio definirlo ”commemorazione”.
Sergio
P.S.
Devi ammettere, Enrico, che stavolta a spaccare il capello in quattro sei stato tu.
Comunque me la merito, ‘sta tua ineccepibile precisazione – anche se sapevo gia’ cosa fosse un vero e proprio ”coccodrillo” – perche’ in effetti io, essendo abituato a giocare con le parole con molta fantasia, a volte tendo un po’ ad esagerare con l’estensibilita’ dei significati delle parole. E’ nel mio stile, come e’ nel tuo la parolaccia facile e la boutade in romanesco.
S.
ti sembrerà strano ma anche dalla distanza che ci separa avevo intuito che tu volessi attribuire alla parola “coccodrillo” un significato esteso.
se avessi voluto correggerti avrei premesso che la mia dissertazione sarebbe stata a tuo beneficio. invece, se rileggi, è appunto una spiegazione puramente tecnica. E, aggiungasi, che anche io mi diverto parecchio a giocare con l’estensibilità delle parole. E comunque, estension per estensione, meglio un coccodrillo che una iena, e meglio spaccare il capello che i coj…(bip) 🙂
ps: sto a scherza’!