La nuova puntata de “Il sottosuolo” di Ferdinando Camon è dedicata a un’ampia e approfondita riflessione che si innesta nell’ambito del dibattito su quanto è accaduto nei giorni scorsi in Francia… a partire dal massacro della redazione parigina della rivista satirica Charlie Hebdo.
Ne approfitto per ribadire quanto ho scritto nei giorni scorsi sui social network: “Il modo migliore per potenziare una voce è tentare di soffocarla con la violenza e spegnerla con la morte. Solidarietà ai vignettisti francesi, a Parigi e a tutte le donne e uomini liberi.
Ovunque essi si trovino”.
Il titolo del post l’ho scelto io e coincide con una delle frasi di chiusura che troverete negli articoli di Camon pubblicati di seguito. L’immagine sopra riprende l’hashtag #notinmyname (non nel mio nome) con cui giovani appartenenti all’Islam moderato hanno condannato la strage di Parigi.
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Scontro di civiltà?
Un’inquietante discussione gira per l’Europa: siamo in uno scontro di civiltà che sta per concludersi con la vittoria dell’Islam? Ci sono storici e politici i quali vedono l’Is come un’evoluzione potenziatrice di Al Qaeda, che punta a realizzarne lo stesso scopo (l’imposizione dell’Islam) unendo alle cellule terroristiche sparse per il mondo la forza di uno Stato unitario dotato di esercito. La lotta all’Is è una guerra tra Is e Usa. E non la sta vincendo l’America. L’Is ha impostato lo scontro su diverse fasi, che vanno dal risveglio della coscienza di appartenenza all’Islam alla creazione del Califfato, progettato per espandersi fino a tutto il Medio Oriente, Palestina compresa. Il Califfato usa i suoi mezzi per diffondere l’idea dell’invincibilità e per fare proselitismo, e questi mezzi sono i proclami via internet, i filmati delle decapitazioni, gli spot propagandistici sulla vita libera e felice nella capitale Mosul. L’America risponde con i suoi mezzi, che sono i servizi giornalistici, le riprese dei raids, e i tanti film sulle guerre contro i talebani, ultimo e migliore di tutti il film di Clint Eastwood uscito in questi giorni. C’è un parallelismo preciso tra le scene di onnipotenza dei boia dell’Is, che stanno in primo piano per interi quarti d’ora per tagliare un millimetro alla volta la gola dei prigionieri, e le scene di onnipotenza del cecchino di Eastwood, che tiene nel mirino per interi minuti il terrorista da eliminare prima di decidere se premere o non premere il grilletto. Vedendo le decapitazioni dell’Is c’è sempre una frangia di potenziali terroristi islamici che corrono sul posto e s’arruolano, per far parte di quella potenza. Il film di Eastwood suscita la stessa reazione sul fronte opposto, in chi s’identifica con lo sparatore che ha nel mirino anche donne e bambini con la bomba in mano, pronti a far saltare una squadra di steals americani. In questa guerra è svanita la distinzione tra soldato e assassino: il soldato “deve” eliminare anche vecchi, ragazzini, bambine. Ci domandiamo se Eastwood aderisca eticamente ai valori che racconta, perché allora salterebbe fuori in lui una forma di cripto-fascismo da sempre latente. È evidente il dis-valore che il film attribuisce al nemico, sempre sentito come disumano, identificabile col diavolo. Il nemico non è nostro nemico di guerra, ma di civiltà. È nemico nostro e dei nostri padri, della nostra Costituzione, delle nostre famiglie. È robaccia. Più ne uccidi, meglio è.
In Europa, un nuovo libro di Houellebecq già uscito in Francia e il 15 in Italia, lancia la previsione di una vittoria “democratica” dell’Islam, attraverso una diffusione capillare della nuova civiltà mussulmana alla quale i figli della vecchia civiltà cristiana finiscono per sottomettersi. Islam significa appunto “sottomissione”. L’autore immagina questo sconquasso in un futuro imminente, quando Marine Le Pen guiderà il partito della salvezza occidentale. L’Europa perderà perché non sa più difendersi. È finita. Non preserva famiglia, scuola, giustizia, democrazia. Tanto meno Cristianesimo. È soltanto un agglomerato di mercati. Qualcuno ipotizza una fusione tra civiltà cristiana morente e civiltà islamica crescente, una fusione come alla fine dell’impero romano fu quella tra civiltà pagana morente e civiltà cristiana nascente: nella fusione, sopravvive il meglio dell’una e dell’altra. Confronto seducente ma insostenibile: allora la civiltà cristiana portava la fine della schiavitù, la libertà di coscienza, i premi e i castighi per tutti. Adesso da una parte c’è l’uomo che vale più della donna, il credente più del non-credente, la teocrazia più della democrazia, e dall’altra un’Europa dove i soldi sono tutto e un’Italia dove cultura, scuola e merito non sono niente. Il problema non è che l’Italia in Europa e l’Europa nel mondo contino poco. Il problema è che non meritano di più.
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L’Islam e noi
L’Islam si evolve troppo lentamente, perché gli mancano due spinte: quella dei moderati e quella delle donne. Non si fanno sentire, non influiscono sullo sviluppo della loro società. Quando s’impostava qui in Occidente la linea d’accoglienza degli immigranti, qualcuno, dal mondo cattolico, avvertiva che c’erano aree del pianeta compatibili con la nostra civiltà, per esempio il Sudamerica o l’Est europeo, e aree molto meno integrabili, per esempio l’immenso territorio islamico. I politici non hanno dato importanza a questo avvertimento, nella convinzione che le radici religiose non avrebbero avuto poi grande influenza sulla vita sociale dei nuovi arrivati. Questi avevano bisogno anzitutto di una possibilità di vita, perché nei paesi da cui venivano non l’avevano, neanche minima. Avrebbero lavorato e vissuto con noi, mandato i figli nelle nostre scuole, vissuto nei nostri quartieri, e pregato tra loro, nelle loro moschee, magari in capannoni riadattati. Si diceva allora: benvenuti i migranti che vengono per vivere in mezzo a noi, e quelli che vengono per vivere a fianco di noi. Quando alcuni imam, a Torino, Milano e Genova, si misero a predicare che qui i perfetti islamici dovevano combattere la nostra vita, e trattarci da infedeli, e stare separati da noi, comprendemmo che il problema era più complesso: emigravano ma si consideravano portatori di una civiltà superiore. Volevano per i loro figli classi separate. Venivano per lavorare, guadagnare e vivere, ma non integrarsi. Stavano separati. Non hanno mai manifestato in massa contro le Due Torri. Adesso ci sono sindaci che chiedono agli islamici delle loro città di condannare pubblicamente la strage parigina, altrimenti se ne possono anche andare. Ma le pubbliche condanne di massa non arrivano. L’Islam moderato non cresce, non fa storia. La storia islamica continua ad essere fatta dagli jihadisti, ed è una storia terribile. C’è stata la breve esplosione delle primavere arabe, pareva che da lì partisse il rivendicazionismo delle donne, che sono la vera frangia sociale oppressa dall’Islam, ma così non è. Non hanno neanche il diritto di guidare l’auto. Non c’è Islam moderato. E allora? E allora bisogna crearlo qui: è qui, nelle nostre scuole, che i figli e le figlie degli islamici possono sentire il gusto della cultura, dell’emancipazione e della libertà. Ogni nozione in più che imparano è un pregiudizio in meno che conservano. Loro, che studiano nelle nostre classi, ma anche i nostri figli, che studiano con loro. Non si decide niente con le bombe e i mitra, ma tutto con i quaderni e le penne.
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Libertà di parola e blasfemia
Sugli islamici offesi dai disegni blasfemi dei vignettisti francesi le opinioni nel mondo stanno cambiando. “Financial Times”, “New York Times”, “Telegraph”, NBC News” e un’altra dozzina di testate ripetono che la satira dev’essere libera, ma non può oltraggiare i sentimenti religiosi. Concordo. Se un filosofo, per esempio Immanuel Kant, vuol dimostrare che Dio non c’è e scrive la “Critica della Ragion Pura”, io leggo quel libro interrogandomi su ogni parola. E alla fine, consentendo o dissentendo, resto grato all’autore. Ma se uno, per dimostrare che Dio non c’è, gira per le strade bestemmiando come un turco, e a qualcuno dà fastidio e questo qualcuno lo denuncia, io penso che questo qualcuno esercita un diritto e il bestemmiatore no: libertà di parola non significa libertà di bestemmia. Se uno sostiene che Cristo era un uomo, nient’altro, e come tale è morto e non è resuscitato, e aveva tutte le pulsioni dell’uomo, fame sete sonno, e i Vangeli che parlano di lui parlano di un grande uomo che dalla Terra si alza verso il cielo e non di un Dio che dal cielo scende sulla Terra, insomma parla di Cristo restando ateo, come ha fatto Pasolini col film “Il Vangelo secondo Matteo”, io lo ascolto e non lo dimentico e conserverò verso di lui gratitudine. Ma se un regista, per dimostrare che Cristo era soltanto un uomo, lo fa convivere con una puttana che si chiama Maddalena, e inizia il suo film con Maddalena che esercita il suo mestiere in una stanza da letto e riceve i clienti, e nella stessa stanza Cristo la osserva seduto per fare il voyeur, questo regista, anche se si chiama Martin Scorsese, mi disturba e mi ripugna: un conto è narrare una storia sacra da non credente, altro conto è sputare su chi crede. Non ditemi: “Ma tu paghi il biglietto per vedere quelle scene”, perché non è vero: le foto e le scene finiscono sulle copertine dei settimanali, negli spot pubblicitari e ti seguono per le strade. Se un grande regista, come Buñuel, per presentarci uno che recita una preghiera senza fede, ci mostra San Simeone che si gratta la barba perché non la ricorda più, io ammiro regista e attore e scena. Ma se un altro regista, per la stessa ragione, ci mostra Isabelle Huppert che recita “Ave Maria, piena di m…”, provo ripugnanza, e penso che quel regista sostituisce con la bestemmia la mancanza d’ispirazione. Gli islamici credono che il Corano sia Dio, credono cioè nel “Dio incartato”: la peggior tortura che gli americani gl’infliggevano a Guantanamo era buttare per terra il Corano e pisciarci sopra. Era una tortura, fuori dalla legge. Ma i vignettisti parigini disegnano sulla copertina una raffica di mitra che trapassa il Corano e colpisce il petto di un imam che esclama: “Il Corano non ferma le pallottole, è una merda”. Quella copertina parla dalle edicole a tutti i parigini, islamici compresi. Che dunque sono sotto tortura. Moravia diceva: “Chi ragiona così è un fobico, e un fobico non può governare la società”. È vero. Chi crede in qualcosa di sacro e non vuole che sia violato, è un fobico. Ma chi lo vìola per professione e per divertimento è un sadico, può un sadico governare la società? Siamo tutti malati di storia e d’ideologia, non possiamo cercare una convivenza? Noi non sentiamo la sacralità di Maometto: è un nostro diritto. Ma ci sono popoli che la sentono: è un loro diritto. Se io visito una moschea, non prego Allah ma mi levo le scarpe. Ciò detto, una cultura deve portare l’uomo a rispettare gli altri, se lo porta ad offenderli è sbagliata. E una religione deve portare l’uomo ad amare gli altri, se lo porta a ucciderli è sbagliata.
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