“La vita intima” di Niccolò Ammaniti (Einaudi) – recensione
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La ricrescita nei capelli di Maria Cristina Palma è il logo più azzeccato per un manifesto del nuovo femminismo, pardon “femminile”. Punto unico del manifesto sono le parole rivolte da Teresa Sangermano “Tu, gioia, non emergi per carattere, ma almeno impara a portare la bellezza come una regina” alla figlia Maria Cristina Palma destinata, da una ricerca scientifica dell’Università della Louisiana, a essere catalogata la donna più bella del mondo. La cordata del manifesto è formata da Stefania Subramaniam, parrucchiera indiana di Casal Bertone imbucata alla festa annuale dell’Associazione degli Albergatori dove, nei bagni del Circolo Canottieri Aniene, fa la tintura a Maria Cristina Palma che alla festa accompagna il marito e premier italiano Domenico Mascagni. Il passaggio mediatico del manifesto è affidato alla giornalista Mariella Reitner “un orcio pugliese dotato di vita”.
Come non riconoscere da questi indizi un romanzo di Niccolò Ammaniti? Solo Ammaniti poteva mescolare personaggi e situazioni al limite della credulità. E non ci si è ancora addentrati nella questione del rapporto verità finzione o nell’inquietudine novecentesca e oltre di eroine simil Bovary. Nemmeno si è arrivati alle pagine in cui l’oltranza del reale irrompe e rompe la parete tra malinconia e riso. Quando accadrà, già nelle prime pagine del romanzo, sarà impossibile resistere alla fantasmagoria stilistica del reale di Ammaniti. (Leggi tutto… clicca qui)
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Come nasce un romanzo? Per gli Autoracconti d’Autore di Letteratitudine: ANDREA VITALI racconta il suo romanzo “Cosa è mai una firmetta” (Garzanti)
Chiamarlo condominio mi suona male, anche se di fatto lo sarebbe, anzi lo è. Preferisco caseggiato tuttavia perché l’ho battezzato così sin dalle prime battute di “Cosa è mai una firmetta “, eleggendolo a protagonista vero e proprio della storia. E non un caseggiato qualunque, magari preso a caso tra i tanti o addirittura immaginato, nossignore! Il Caseggiato in oggetto (la Ci maiuscola è dovuta in quanto protagonista della narrazione) è vivo e vegeto e lo posso testimoniare senza tema di smentita perché lo conosco, l’ho conosciuto fino dalla più tenera età. La differenza, sostanziale, sta nel fatto che per fini narrativi ho dovuto imbruttirlo, conciarlo un po’, renderlo fatiscente come nella realtà non è mai stato. Ma andiamo per ordine. Ho appena scritto di averlo conosciuto fin da bambino e lo confermo. Ci abitava infatti mia nonna materna e tanto io quanto i miei fratelli eravamo abituati a passaggi pressoché quotidiani per salutarla o fermarsi a pranzo, talvolta anche a cena: esperienza per me fondamentale, addirittura formativa. Non sto esagerando. Quel Caseggiato infatti fu un fertile terreno per far nascere le prime fantasie oltre che campo di gioco e di scoperte. Le famiglie che lo abitavano infatti erano quasi tutte, chi più chi meno, legate da vincoli parentali, le porte dei loro appartamenti erano sempre aperte tanto ai condomini quanto a coloro che li visitavano. (Leggi tutto… clicca qui)
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“Il castello dei falchi neri” di Marcello Simoni (Newton Compton): intervista all’autore.
È uscito in questi giorni il nuovo romanzo di Marcello Simoni intitolato “Il castello dei falchi neri” (Newton Compton).
Siamo nell’Anno del Signore 1233. Il protagonista del romanzo, il nobile Oderico Grifone, torna a casa in questa grande magione nelle campagne napoletane dopo aver preso parte alla crociata di Federico II. Come a volte accade, il tempo cambia persone e situazioni…
Così come per i precedenti libri ho avuto il piacere di discutere in anteprima con Marcello Simoni di questa sua nuova creatura letteraria…
– Marcello, raccontaci qualcosa sulla genesi di questo tuo nuovo romanzo. Come nasce “Il castello dei falchi neri”?
Nasce dalla duplice idea di scrivere un medieval thriller costruito su una vicenda familiare e caratterizzato da delitti “spettacolari”. Delitti, intendo, che faranno saltare il lettore sulla sedia.
– In epigrafe leggiamo questa citazione tratta da “Le mille e una notte (Pensai che sul sole fosse passata una nuvola ma, dato che eravamo d’estate, mi meravigliai e, alzata la testa mentre stavo guardando, vidi un uccello di grande mole, con ali larghe, che volava nell’aria: era esso che aveva coperto l’occhio del sole nascondendolo all’isola). In che modo si lega al romanzo? E come la commenteresti?
Uno degli argomenti centrali di questo romanzo è la falconeria. Un’arte venatoria molto praticata durante il Medioevo, anche se non ancora “codificata” così come accadrà nei secoli successivi. Il falcone è, in questo periodo, un animale dotato di un forte valore simbolico, al punto da ritrovarsi citato e classificato persino in libri insospettabili come il Tresor di Brunetto Latini. (Leggi tutto… clicca qui)
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“Diavoli di sabbia” di Elvira Seminara (Einaudi)
[Ascolta la puntata radiofonica di Letteratitudine dedicata a “Diavoli di sabbia”: Elvira Seminara in conversazione con Massimo Maugeri]
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Leggere Elvira Seminara è come entrare in una foresta tropicale, un ecosistema perfetto e misterioso che puoi solo attraversare, ringraziando quella natura selvaggia che affascina e sgomenta, mentre ti accoglie materna nel suo grembo.
E quando ne vieni fuori ti accorgi di quanto irripetibile e incantata sia stata quell’esperienza, e ti domandi se non si sia trattato di un miraggio o di un incantesimo, magari un ennesimo scherzo di uno dei demoni che muovono le storie raccontate nei quattordici capitoli: quattordici capitoli, più un demone in copertina, che fa quindici, Il Diavolo dei Tarocchi. Anche i conti tornano, diabolicamente.
Una presenza demoniaca che fa capolino in modo subliminale per tutta la durata della narrazione, ma il lettore non ci fa caso, intento com’è a sbirciare da dietro le tende la vita dei protagonisti: Devil sarà il nome di un albergo, mentre demoni di vento e sabbia sferzeranno una notte di tempesta, e diabolici saranno i protagonisti, due in particolare, che regaleranno al lettore il più inaspettato dei colpi di scena. Il nome del demonio che si ripete come un’evocazione ed estende la sua mano divertita e mefistofelica su tutta la storia, mescolando le carte del reale, creando verità di secondo grado, entrando come una tempesta (annunciata dagli spifferi freddi in un pub) nell’anima delle persone, mentre la vita vera li sfiora, come la sabbia a Porto Palo. (Leggi tutto… clicca qui)
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“Randagi” di Marco Amerighi (Bollati Boringhieri): incontro con l’autore e un brano estratto dal romanzo.
“Randagi” è nella dozzina dei libri finalisti all’edizione 2022 del Premio Strega
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Marco Amerighi vive a Milano, dove lavora come traduttore, editor e ghostwriter per varie case editrici. Il suo romanzo d’esordio, Le nostre ore contate (Mondadori, 2018), ha vinto il premio Bagutta Opera Prima ed è stato pubblicato in Francia.
Randagi è il suo secondo romanzo.
Abbiamo chiesto all’autore di parlarcene…
«Voglio provare a raccontarvi come nasce Randagi. O, forse, dovrei dire quando nasce.
Alcuni anni fa mi trovavo a un bivio», ha detto Marco Amerighi a Letteratitudine. «Avevo da poco finito di scrivere il mio primo romanzo. Non sapendo nulla del mondo editoriale, né di quale fosse il miglior percorso per esordire, lo avevo stampato e consegnato a due o tre grosse case editrici. Leggi tutto (clicca qui)
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