Dicembre 27, 2024

242 thoughts on “Da LE AZIENDE IN-VISIBILI a LA MENTE IN-VISIBILE

  1. Poi vi invito a leggere il mio episodio: Missione finale – Limbo, libera traduzione de “Le città e i morti. II Adelma” (da Le Città Invisibili).
    Cosa ne pensate?
    Esprimetevi con tranquillità. Siete autorizzati a stroncarmi brutalmente.
    Dico davvero.

  2. Invito Marco Minghetti, l’ideatore e il coordinatore dell’intero progetto (nonché “traduttore” di alcuni episodi) a darmi una mano a condurre questo post.
    Magari fornendo ulteriori informazioni rispetto a quelle desumibili dagli (ampi) stralci della prefazione.

  3. E poi sono (caldamente e affettuosamente) invitati a partecipare tutti i componenti della Living Mutants Society.
    Come avete contributo al progetto?
    Qual è stata la vostra esperienza di scrittura?

  4. Quando leggero’ il libro, Marco Minghetti, che saluto caramente, diro’ la mia in proposito. Per adesso rivolgo al prefatore solo una domanda: di chi e’ questa citazione, presente nella Sua prefazione al libro: ”Sostenitori della letteratura come unico viatico di conoscenza piena e assoluta appaiono, a detta di Mazzarella, Asor Rosa, Giulio Ferroni, Claudio Magris, George Steiner, Marc Fumaroli, vestali di un’idea di “belle lettere” tramontata da un pezzo.”?
    Infatti non sono riuscito a capire chi abbia scritto questa frase, riguardante – in modo non certo lusinghiero – i migliori scrittori italiani ed europei viventi, all’interno del lungo pezzo virgolettato. E’ forse Paolo Di Stefano?
    Grazie per le delucidazioni
    Sergio Sozi

  5. P.S.
    Se non ho mal capito, si cita Mazzarella, all’origine di tali considerazioni su Asor Rosa ecc., ma chi abbia scritto il virgolettato mi e’ incomprensibile. Sara’ la stanchezza.

  6. Un’ennesima domanda la rivolgerei al caro Massimo:
    condividi il giudizio di Mazzarella riportato nella prefazione al libro, cioe’ che ”per orgoglio di casta personaggi come Franco Fortini e Pietro Citati hanno continuato a riconfermare il paradigma incontrastato del sapere umanistico, anche quando appariva ormai privo di rilevanza. Sostenitori della letteratura come unico viatico di conoscenza piena e assoluta appaiono, a detta di Mazzarella, Asor Rosa, Giulio Ferroni, Claudio Magris, George Steiner, Marc Fumaroli, vestali di un’idea di “belle lettere” tramontata da un pezzo.” (Sic)?
    Grazie per la solita franchezza nel rispondermi, caro
    Salutoni
    Sergio

  7. Poi, insieme alla buonanotte, una considerazione generale mi piacerebbe esprimerla, pur anche senza aver letto il libro. Questa: se giungeremo, perfino in Letteratura, a rendere l’azienda rappresentativa della vita collettiva della nostra epoca, ho pronta la pistola sotto al letto – come i partigiani degli anni Quaranta, solo che mentre loro sparavano ai dittatori e ai loro sostenitori io sparerei al fantasma della pazzia dominante questa nostra era. E la pazzia e’ difficile da accoppare, essendo ubiquitaria. E non mi si venga a dire che l’azienda del Duemila e’ il corrispettivo moderno della borghesia trecentesca: i ”mutatis mutandis” da sottolineare a proposito sarebbero troppi e il paragone a mio avviso sarebbe insostenibile. L’azienda e’ l’alienazione, non la vita umana del XX secolo. Almeno spero.

  8. L’idea di utilizzare l’azienda come metafora della contemporaneità è assolutamente in linea con la poetica calviniana, con la sua “utopia pulviscolare”.
    Proprio ciò che sembra finito, costruito, definitivo, come una città (o come l’azienda) nasconde al suo interno una grande trappola. L’idea che non sia modificabile. E che questa immobilità sia frutto di un grande sforzo razionale. Di un’astrazione compiuta. Capace di offrire una risposta.
    E invece c’è una Città in ogni città. E imperfezione nella perfezione. C’è nell’apparenza di razionalismo che domina la vita moderna, un’emotività disordinata. Distorta.
    E non c’è arrivo. Non c’è risposta. Perché la città che sembra città,non è il frutto di un progetto. Di un percorso dialettico. Di una mappa.
    Calvino si distaccava dalle tesi di Max Weber e dalle diagnosi di coloro che ritenevano che l’alienazione moderna fosse il frutto di un “sistema” rigidamente finalizzato. Razionale.
    Coglieva piuttosto un andare confuso. Un’irrequietezza irrisolta. Timore.E vedeva oltre il cemento. Oltre le griglie dei palazzi. Scorgeva nell’apparente staticità un movimento parallelo. Dubbioso. Palpitante.
    Piuttosto che a un prigioniero colpevole di essersi costruito da sé una gabbia, l’uomo di Calvino somiglia a un superstite che si aggira tra le macerie. Tra sabbie mobili che non nulla possiedono della consistenza del piede ben piantato. Sicuro.
    Credo quindi che l’azienda come la città, sia una sintesi della stessa crisi. Della stessa incertezza delle città calviniane.
    Ora più che mai, lungi dall’essere lo sbocco di un progetto razionale, di un punto d’arrivo, l’azienda è l’involucro patinato di paure striscianti. Sotterranee. Invisibili.
    Dentro quello spazio, mille altri spazi – tanti quanti le ombre che lo popolano, e i sogni che lo abitano – sono ipotizzabili.
    Purtroppo.

  9. D’accordo con Simona. L’idea di utilizzare l’azienda come metafora della contemporaneità convince anche me.

  10. @Massi: il racconto è perfetto e molto, molto “calviniano”!
    Bellissimo quell’aggirarsi come ombre. Quel dubbio – dolente, pietoso- che anche gli altri ci percepiscano come tali.
    Quella insicurezza di sguardi e di intenzioni in un luogo senza luogo. Senza riferimenti passati. Senza agganci.
    Bravissimo. Un bacio.

  11. Si tratta di un’interessante “contamininazione”. L’azienda rappresenta meglio di tante altre entità il luogo più assimilabile per metafora alla contemporaneità.
    È il nostro quotidiano raffronto con persone come noi che lavorano e vivono (praticamente la vita trascorre più in azienda che fuori) all’interno di una sorta di alveare, con un sistema gerarchico che in senso lato si può trasporre al di fuori del contesto aziendale. Trovo sia un’idea decisamente azzeccata. E sono anche piuttosto curiosa.

  12. X Sozi.
    Come fai a dire che l’azienda e’ l’alienazione, non la vita umana del XXI secolo?
    E’ tutto il contrario. L’azienda è alla base della vita umana, ma non da oggi. Da secoli. Senza l’azienda la nostra società fallirebbe.

  13. Quando sono stata invitata a partecipare a questo progetto, dopo un momento di entusiasmo, sono stata presa dal dubbio di non essere all’altezza. Ho sempre amato molto Calvino e, trovatami a studiarlo all’università, ho potuto comprendere a fondo tutto il finissimo lavoro che egli realizzava per costruire l’intelaiatura dei suoi tesi. Ecco perchè ho pensato di non farcela. Poi ho incominciato a leggere il materiale scritto dagli altri partecipanti e sono riuscita ad entrare meglio nell’atmosfera che animava il progetto. Sono tornata sulle pagine di Calvino per alcuni giorni, per riappropriarmene, per cercare di guardare, per quanto fosse possibile, al meglio il mondo con i suoi filtri. Devo dire che il confronto con gli altri autori, attraverso i loro testi, è stato fondamentale. La mia riscrittura è quasi “venuta da sé”, sulle impressioni forti ricevute dal progetto e sulla limpida prosa calviniana.

  14. caro Massimo,
    grazie per aver pubblicato questo eccellente post che mi sembra offra in maniera molto chiara una serie di elementi fondamentali per avviare un dialogo su forma e contenuti de Le Aziende In-Visibili.
    Da parte mia ho segnalato subito la tua iniziativa sul Metablog dedicato al Romanzo: http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2008/10/dalle-citt-in-2.html#more
    Seguirò con attenzione le reazioni dei tuoi lettori e cercherò di rispondere ad eventuali domande. Merita però subito una risposta Sergio Sozi. Anzi due. La prima è riferita alla citazione virgolettata. E’ tratta da un pezzo di Belpoliti che si trova integralmente qui:
    http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/tecnologia/grubrica.asp?ID_blog=30&ID_articolo=3823&ID_sezione=&sezione=
    Per quanto riguarda il tema dell’azienda come metafora della contemporaneità, sono certo che il dubbio espresso si dissolverà (o comunque assumerà forme diverse) quando Sozi avrà letto il Romanzo. Tuttavia, oltre ad esprimere la mia totale adesione a quanto scritto in particolare da Simona, vorrei anticipare una considerazione che ho già espresso sul Metablog, anche se di questo tema avremo modo sicuramente di parlare ancora molto, a partire dall’evento di presentazione del volume martedì prossimo 21 ottobre in Triennale a Milano (ore 18.00). Mi sembra molto difficile non ammettere che oggi non solo la metafora dell’azienda si applica alla gran parte di quella che Bauman ha chiamato la “modernità solida”, che resiste vigorosamente a tutti gli attacchi portati dalla complessità sempre più “liquida” del mondo in cui viviamo; ma soprattutto è un certo MODELLO MENTALE AZIENDALISTICO che è ormai diventato il modo di pensare e di agire di tutti noi. Basta pensare che viviamo in un Paese in cui un Partito-Azienda ha stravinto le elezioni. Il punto è allora un altro, ovvero: questo modo di pensare è a) etico, b) efficace anche ai fini della produzione economica, c) ricco di futuro? la mia risposta è no, a tutti e tre i quesiti. Non c’è dubbio che oggi l’azienda è, troppo spesso, quell’inferno privo di significato descritto perfettamente dai fratelli Coen nella prima scena di “Burn after reading” (e siccome non più tardi di qualche mese fa ho vissuto nella mia realtà personale proprio quella scena nel ruolo rivestito nel film da John Malcovich, posso dirlo con assoluta certezza). E a mio avviso non è un caso che i fratelli Coen partano dal mondo aziendale per poi mostrare come l’entropia del significato invada tutta la nostra società. E’ il risultato della resa senza condizioni di (quasi) tutti noi al modello (mentale, prima ancora che organizzativo) dello Scientific Management che domina da almeno 100 anni (senza tornare ad Adam Smith, I Principi dello Scientific Management di Taylor sono del 1911) aziende e organismi sociali. Università come Harvard, istituzioni come la McKinsey, strumenti di comunicazione come la Televisione generalista attuale sono fra i protagonisti di questo processo.

    Che fare? Ce lo dice lo stesso Calvino nella pagina più celebre, quella conclusiva, de Le Città Invisibili:

    “L’inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n’è uno, è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

    Che nel nostro romanzo diventa:

    Esclama Fordgates: – Come si può credere che vi siano manager interessati alla letteratura, alla cultura, all’umanesimo! Non sopporto più di sentire ripetere che la bellezza salverà il mondo!

    Replica Deckard: – Forse affermare che la bellezza salverà il mondo è esagerato, però una cosa è certa: se non facciamo attenzione, la bruttezza lo distruggerà.

    – L’estetica è dunque un’etica?

    – La capacità manageriale di vedere, oltre l’usato, l’originale e il bello, genera un’etica e quindi una politica, anzi una poetica, per cui ciascuno può abitare l’azienda, invece di limitarsi ad occuparla, creando lo spazio in cui la qualità individuale sorge e prospera, divenendo bene collettivo.

    – Utopie. Se la Verità e la Giustizia sono di Sinistra, la Bellezza e il Talento sono di Destra. Genio di massa è un ossimoro.

    – La bellezza non risiede in una astratta “genialità” ma nella concreta singolarità. L’organizzazione che, in nome di una Bellezza prescritta, omologa tutti ad un unico modello, nasce già morta; ma è possibile anche una impresa conviviale e partecipativa – di più, erotica – dove tutti possono fare risplendere la propria bellezza singolare, riflettendosi in quella altrui.

    – Liberation management, rivoluzione creativa? Questa è vecchia.

    – Non serve scatenare rivoluzioni, ma portare avanti il minuscolo, quotidiano, lavoro di cura verso noi stessi e gli altri. Raccogliersi su qualcosa in apparenza non così importante, ma che è nostro, e farlo durare.

    – Sogni, sogni, sogni. Sveglia Deckard!

    – Sognare? Forse…. Ma non credere al potere dei sogni ha un’unica conseguenza: lasciare che le cose restino l’inferno che sono.

  15. L’idea mi pare molto interessante e il racconto pubblicato da Maugeri più che apprezzabile.
    Esprimere narrativamente l’azienda come metafora della contemporaneità mi pare perfettamente calzante.
    Sono d’accordo con quanto testé espresso da Minghetti. Tuttavia mi preme dire che è errato pensare all’azienda solo come a qualcosa di alienante e negativo. Ricordo che anche la famiglia, persino lo Stato, sono aziende.

  16. L’idea che la vita sia come un’azienda fa rabbrividire, nonostante il poetico e comvincente commento di Simona. Vero è che il concetto di azienda e quello di città comportano sia il piano razionale che gli inevitabili e per fortuna umanizzanti deragliamenti di regole fisse, canoni a prima vista fattore di ordine ma alla lunga specchio di fascismi dal volto umano, tecnocrazie disumanizzate e disumanizzanti.
    Per il resto il progetto mi sembra validissimo e lo scritto di Massimo calviniano e maugeriano al punto giusto… bravo Massi. Da “Identità distorte”, che già riservava parte del suo interesse ai problemi del capitalismo e dell’alta finanza, a questo tuo nuovo lavoro vedo coerenza ma una crescita notevole. Ad majora!

  17. Io per esempio non vorrei vivere nella Repubblica di Platone.
    Gerarchie, compiti definiti, tutto come un alveare razionale e mostruoso dove l’arte è bandita come fonte di disordine e disarmonia… stessa cosa l’azienda. Se è veramente un’impresa come la famiglia, in cui i membri sono persone, mi sta bene. Quando si diventa cartellini e numeri allora no. Ma è purtroppo una metafora calzante del nostro vivere odierno, tecnologico e disumanato.

  18. caro massimo,
    sei sempre così impegnato a darti da fare per gli altri che spesso dimentichi di promuovere un po’ anche te stesso. è un eccesso di pudore ma è anche un peccato. il tuo “pezzo” è di alta classe, di pregevole fattura. un maugeri “orwelliano”, quasi, e in qualche modo fratello maggiore di “identità distorte”. scusami se glisso sul tema principale di questo post. ma mi sento di parlare di te, della tua scrittura e della tua serietà che, però, non è seriosa. non sono un critico, per carità, e manco ci tengo a esserlo. Ché non ho competenza, né strumenti.
    Vado a sensazioni. E le mie sensazioni mi portano a dire che tu devi scrivere di più, con più costanza, con più convinzione.
    Quello che ho letto è bello, è comprensibile, è efficace, è cultura. cultura senza fronzoli e senza orpelli. quella buona, quella facile, quella che insegna e quella che aiuta. basta leggere. non c’è bisogno d’altro.

  19. Un’altra cosa, Sergio.
    Questo libro, con il suo approccio visionario e sperimentale, tende appunto a stigmatizzare l’alienazione di quel tipo di azienda a cui fai riferimento tu.

  20. Grazie Simona,
    sono molto contento che ti sia piaciuta l’idea di utilizzare l’azienda come metafora della contemporaneità e che la trovi assolutamente in linea con la poetica calviniana, con la sua “utopia pulviscolare”.
    E grazie anche per gli apprezzamenti sul mio raccontino.

  21. @ Valeria
    Grazie per il tuo commento e per l’apprezzamento espresso.
    È vero… anche la famiglia è un’azienda. Ma il tipo di azienda su cui si concentra questo libro – con il suo approccio, ripeto, visionario – è quello di una Corporation.

  22. Eccomi Massimo. Parto con l’entusiasmo che mi contraddistingue ogni volta che vengo coinvolta in qualche avventura interessante. Questa di Marco Minghetti lo è stata. Grande il fascino di Calvino, uno dei miei autori perferiti, ma di più un grande editor, onesto e limpido fino in fondo. Ho lavorato con Marco sulla città che mi ha assegnato e l’ho raccontata esattamente come la sentivo. Sottile fino all’inverosimile. Ho sempre avuto la sensazione di trovarmi su un ottovolante, un aggeggio pieno di braccia e di gambe, una specie di Golem. Ma fiduciosa che avrebbe presto trovato la sua forma. Come è stato. Alla fine. Di questo progetto mi è interessato soprattutto l’aspetto letterario. Anche se credo richiederà un certo sforzo al lettore, perchè la meravigliosa grafica rischia forse di produrre distrazioni e via di fuga. Come richiederà un certo sforzo il prezzo di copertina. Troppo alto, anche per un prodotto così di lusso (e non vorrei mai, di nicchia). La cosa bella è invece la molteplicità di voci. C’è di tutto nei cento mutanti. I tristi, gli allegri, i seri, quelli meno, i divertenti, i noiosi… i saccenti, i modesti. Il mio consiglio di lettura è partire dal fondo, scegliere l’autore e farsi condurre da lui. Almeno la prima pagina…
    Infine (ma solo perchè tu sai Massimo, che io non mi dilungo mai), la distrubuzione… nota dolente, ma è un problema generale. A Milano l’ho trovato di costa tra i manuali self help. Forse è vero, leggerlo potrebbe aiutare qualcuno a stare meglio… ;o)
    Elisabetta

  23. Eccezzionale!
    Difficile il pezzo di questo tema, ma affascinante!
    Minare Cartesio come un vecchio pensatore in fase di sbaglio, unire Fantozzi al surrealismo, il cybernetico, la fantascienza, leggere che il Kaos che trasforma ogni cosa velocemente si afferma sul Kosmo che (vocabolario greco alla mano) si traduce con due significati ordine e ornamento, tutto questo, dicevo, significa iniziare a raccapezzarsi quanto meno sullo stesso Descartes che ci viene spiegato con ” se una verità esiste la conosciamo attraverso l’esistenza pensante”. Il buon filosofo fu infatti promotore dell’ essere e del valore umano, attualissimo, da non interpretare frettolosamente e da studiare inserito nel suo contesto storico, come Italo Calvino, entrambi fanno parte dei grandi pensatori, dei grandi scrittori, non si collocano nella memoria del post, post-moderno. Soprattutto non si occupano di post- umano, di intelligenze artificiali che vogliono duplicare l’intelligenza umana, di neuroscienza, di robotica onniscente che diventa sede sperimentale per codificare mente e corpo, non distante da automatismi aziendali dove tutto si controlla…
    ciao Rossella, la criptica, ma non mi sembra poi tanto

  24. una considerazione al volo, prima di tornare qui, leggere tutto e aggiungere eventuali riflessioni.

    partecipare a Le aziende in visibili è stato per prima cosa “godere” della possibilità di scrivere qualcosa attendendosi a una contrainte. non è una novità in letteratura (se si pensa al solo perec), ma uno strumento che, proprio nel momento in cui indica dei binari da seguire, a cui attenersi nel “movimento”, mette in moto forse in modo inaspettato la creatività
    saluti

    pm

  25. @ Massimo
    Il tuo racconto cattura il respiro, un incubo della notte dell’oggi, dell’uomo disintegrato, insensato. Scrittura elegante e suggestiva. Non si attende più invano God(ot), perchè si è smarrito perfino il senso della parola “attesa”.
    Per quanto riguarda “Le Aziende In-Visibili” – e per quello che suggeriscono i piccoli assaggi di lettura – è un testo che mi incuriosisce e che, dunque, mi piacerebbe avere tra le mani. Già dai frammenti riportati, ci sarebbe parecchio da dire, ma forse rischierei un eccesso di approssimazione.

  26. per Elisabetta. Grazie per i complimenti, ma è stato veramente un onore e un piacere per me lavorare con te e gli altri 99 coautori. E stato un lavoro duro ma ho imparato tantissimo da tutti voi. Per quanto riguarda le altre osservazioni: a) si la distribuzione è un punto dolente, il consiglio è sempre quello di ordinare il volume dal librario di fiducia o ancora meglio in Internet in siti tipi Ibs; b) il costo non è poi così alto se consideri che si tratta di 450 pagine tutte a colori con ben 190 immagini di Luigi Serafini; c) è vero che il paratesto è ricco ma io sono soddisfatto, l’equilibrio fra testo scritto è grafico mi sembra molto buono. Del resto in tutte le mie cose precedenti da l’Impresa shakesperiana illustrato da Milo Manara, a Nulla due volte in collaborazione con Wislawa Sxymborska e con le foto di Fabiana Cutrano, ho sempre ricercato di perseguire percorsi narrativi metadisciplinari, che si possano fecondare reciprocamente. E’ una strada rischosa ma cosa vuoi, mi piace vivere pericolosamente.

  27. Ringrazio cordialmente Marco Minghetti e Massimo. Ed ovviamente sottolineo un paio di cosette: 1) Leggero’ il libro appena ne avro’ la possibilita’ – vivo all’estero e non ho librerie italiane disponibili a meno di cento chilometri di distanza; 2) Adesso posso affermare con sicurezza di essere in completa discordanza con Mazzarella – via Belpoliti. 3) Per me Calvino muore alla meta’ degli anni Sessanta – la penso come Sebastianio Vassalli insomma – ovvero prima dell’epoca sperimentalistica.
    Cio’ non toglie che continueremo a discutere del vostro libro considerandolo – almeno da parte mia – ”sui generis” e non in riferimento a chicchessia (come mio solito).
    Salutoni Cari
    Sergio Sozi

  28. Poi disturbo nuovamente il bravo Marco Minghetti per chiedergli – nel caso il suo sodale Paolo Savona fosse il professore di Economia, ex ministro ed ex presidente del Credito Industriale Sardo – di salutarlo da parte mia e di mio pader Giuliano, che lui conosce bene sin dagli anni in cui Berta filava.
    Grazie di cuore, Marco
    Sergio

  29. Ultimo messaggio: sul testo di Massimo sto pensando di scrivere qualcosa di specifico, ora che mi sono un po’ calmato dai ritmi lavorativi. E siccome sono uno che setaccia senza fretta e separa il grano dal loglio, mi ci vorra’ un po’ di tempo ma… mi esprimero’ – anche se cio’ conta come il due di coppe a briscola quando comanda bastoni.
    Ed ora a tutti voi un Buon Dibattito!

  30. Al caro Ste rispondo che l’azienda di Virgilio produsse l’Eneide. Lapalissiano, no?
    Saluti Cordiali
    Sozi

  31. Massimo, che sorpresona!
    Ovviamente mi associo ad Enrico nell’invitarti a scrivere di più e a “bloggare” di meno. Ci vuole una sensibilità incalcolabile per proiettare in un’altra dimensione, il nostro presente, mantenendo intatta la dolcezza delle intenzioni. Complimenti a te e alla operazione editoriale che si presenta grandiosa, perché nasce dal pensiero di raccontarci attraverso i codici dell’arte . Perché di arte si tratta! Una salvifica forma di riscatto.
    A presto

  32. Caro Massimo, mi voglio associare anch’io a quanti ti hanno fatto i complimenti per questo tuo breve racconto. Se posso, vorrei completare il bel commento che ti ha scritto Enrico Gregori scrivendoti che, come avevo avuto modo di notare in “Identità distorte”, anche qui è sempre viva la tua attenzione agli aspetti etici della realtà che hai voluto sintetizzare in questo racconto dal carattere quasi “dantesco”. Sono rimasto colpito infatti dalla consapevolezza via via crescente del protagonista, il quale (così l’ho interpretato) ricordandosi del padre, della nonna, sembra cogliere un aspetto inquietante di questa nostra realtà alienata: essa ci tocca dentro, fino alla nostra famiglia. Fino a noi stessi. E a noi non resta, spesso, che il bisogno di aggrapparci a tutto ciò che ci è noto da tempo (i volti dei dipendenti conosciuti da tempo)per lenire la consapevolezza che potremo essere sottoposti alla stessa sorte che è capitata ad altri. Ho pensato allora ad alcune immagini del noto, visionario (e bellissimo) “Tempi moderni” di Chaplin.
    Un saluto a te e a tutti!
    Gabriele.

  33. Gabriele, il carattere dantesco potrebbe ricordarci anche Metropolis, forse più che il poeticoo Tempi moderni, entrambi visionari. Ma Massimo opera con il senso un senso di intima responsabilità, che è raramente riscontrabile . Come in “Identità distorte” si manifesta l’osservazione silenziosa di chi sa “guardare” con partecipazione, ma sarebbe più esatto con compassione vera, senza costringere i sentimenti in un pensiero stabilito. Sono felicemente sorpresa, perché in questi due anni di “coabitazione” nel blog, il Maugger non si è mai “esposto”, sacrificando, come è già stato scritto, la sua personalità.
    Conosco molti nomi, fra i protagonisti dell’iniziativa e spero di leggere al più presto il libro.
    Cari saluti a tutti.
    Miriam

  34. Cara Elisabetta, è molto bella la descrizione del tuo entusiasmo e il rapporto di lavoro col Minghetti/editor.
    Sulla distribuzione è vero… sappiamo che i piccoli editori (per quanto gloriosi e di qualità come Scheiwiller), ma anche i medi, sono un po’ penalizzati. Per fortuna oggi c’è Internet.
    Per il resto… ci avviciniamo a Natale (eh, già… il tempo vola), e le “aziende invisibili” potrebbe essere un’ottima idea regalo.
    Pensateci…
    (perdonate lo spot 🙂 )

  35. Elisabetta, perché non ci spieghi cosa tratta l’episodio da te “tradotto”.
    Rivolgo l’invito anche a Caterina Bonetti e a Paolo Melissi (che saluto e ringrazio).
    Naturalmente l’invito è rivolto anche agli altri co-autori che interverranno.

  36. Rossella,
    grazie di cuore anche a te!
    E’ vero, in fondo non sei così criptica.
    Però questo tuo commento l’ho letto ben due volte… (ma solo perché è bello).
    😉
    grazie

  37. Caro Sergio, grazie a te. Io invece penso che Calvino sia “tutto bello”, da quello neorealista a quello sperimentatore.
    Inutile aggiungere che sono un appasionato di Calvino. E che proprio per via di questa passione ho aderito con entusiasmo al progetto di Marco.

    Per me la mia (dissacrante) “traduzione-contaminazione” è un piccolo tributo per il grande Italo.

  38. Grazie infinite pure a Gabriele e a Miriam.
    La mia scrittura tende – per sua natura – a essere visionaria (da questo punto di vista temo sia un po’ fuori moda). Però in questo caso si prestava “a pennello.”
    Grazie davvero.
    (Scusate se via via sono più stringato… ma sono un po’ stanco).

  39. Aggiungo (un po’ off-topic) che il progetto principale di questo blog rimane quello di favorire l’incontro e… dare spazio (soprattutto ai libri… degli altri).
    Per me è un progetto bellissimo e continuo a crederci tanto.
    E mi piace condividerlo con voi.

  40. per Sergio. Confermo che Paolo Savona è “quel” Paolo Savona. Alla prima occasione porterò i saluti.
    Per Massimo. Come ha ben messo in luce il recente libro Wikinomics, il concetto di mashup, di contaminazione, trasformazione e trasferimento fra conoscenze, discipline e prodotti artistici o di altro tipo, è essenziale per lo sviluppo della conoscenza e della innovazione nella nostra epoca neo-alessandrina. Sotto questo aspetto assai significativa è la presenza nel nostro romanzo di 190 immagini di Luigi Serafini (il grande artista italiano scoperto proprio da Calvino) che commentano il testo, che è divenuto così un “romanzo a colori”. In una battuta, l’idea è stata quella di scrivere un romanzo mashup che possa essere a sua volta riscritto attraverso altri linguaggi, a partire da quello dei blog (cfr: http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/) e dei video. Il prossimo passo infatti potrebbe essere la creazione di una “web opera” in cui i 128 episodi del romanzo si traducano in altrettanti videoclip da diffondere in Internet. Un primo video (traduzione dell’Episodio scritto da Federico Platania Pensionamento per limiti d’età) è già stato realizzato dai ragazzi dell’Accademia dell’Immagine di L’Aquila ed è visibile sul Metablog e su YouTube. In questo quadro mi piacerebbe lanciare un concorso per giovani videomaker interessati a questa sfida ma è un campo che non conosco, se qualcuno ha idee da sottopormi in merito gli sarei gratissimo. In particolare, ho già preparato, insieme a Diomira Cennamo, una bozza di regolamento ma dovrei trovare in sostanza uno sponsor/produttore. Un’altra possibilità è di realizzare invece un vero e proprio lungometraggio che sia ambientato in tutto o in parte in Second Life o in altri Metaversi. Su questo sono in attesa di una proposta di sceneggiatura dal regista che per primo in Italia ha cominciato a realizzare film in SL. Se l’idea si svilupperà naturalmente terrò tutti informati.

  41. Caro Massimo,
    posso dirti la verità: il tuo racconto è così appropriato e di pregevole fattura che non fa fatica a dare il suo contributo di valore aggiunto a tutta l’opera a 200 mani; tutti quanti Voi autori pronti e impegnati con competenza culturale multidisciplinare a valorizzare una visione visionaria di una realtà che ci sfuggirà, forse per sempre, perché senza valori fondanti e soprattutto in piena malafede; mi spiego meglio: se vogliamo parlare di azienda come metafora della contemporaneità, dovreste anche spiegare meglio se l’azienda e Profit o no Profit.Qual è esattamente l’etica e il senso di appartenenza sentita dai suoi aderenti, per esempio?Perché un’eventuale crisi del sistema, finanziaria qual è quella d’oggi, scompiglierebbe tutte le carte di un castello basato su di un’idea di fascinazione,senz’altro. Ma non di un’utopia condivisibile da tutti come nel passato: mi riferisco alla tradizione letteraria e a chi si assume la responsabilità di custodire e trasmettere la memoria storica; arrivati a questo punto con coraggio!
    Certo, secondo me.

    Segue%

  42. Altresì mi piacerebbe, volendo entrare nell’esercizio, immaginare un intervento eventuale di Alessandro Baricco – estimatore di Italo Calvino – o dello scrittore Alessandro Piperno – dico per usare un eufemismo, polemista letterario e ricercato nello stile – in questo dibattito.
    Nel mentre,mi riprometto di cercare il libro qui a Milano e mi scuso anticipatamente di intervenire nel dibattito come lettore comune e di non avere la vostra competenza: in buona sostanza, quello che scrivete e tutto il progetto di ricerca che c’è dietro è apprezzato per la qualità della sperimentazione ed è comprensibile anche da me;tant’ è che io vorrei capire meglio se sia estendibile, nella realtà, a tutti i soggetti partecipanti e aderenti alla contemporaneità in essere, qualunque sia la generazione d’appartenenza; senza risultare invece, quanto sopra: solo un’ etichetta molto raffinata di esercizio di stile post-post-moderno o meglio post-industriale? .
    Grazie!
    Luca Gallina
    P.S. Massimo, se ritieni il mio intervento poco inerente cassalo pure!

  43. bellissima iniziativa e ottimo il racconto. mi piace l’idea di mischiare parole e disegni e integrare il tutto con musica e video

  44. a marco minghetti: come e quando le è venuta questa idea? nel futuro ci saranno altri progetti di co-scrittura come questo?

  45. a gianluca. Come spiego nell’Introduzione riportata anche da Massimo, il nostro Romanzo a colori rappresenta la più recente declinazione di una riflessione collettiva e metadisciplinare che per comodità abbiamo chiamato Humanistic Management ma che ormai potremmo chiamare Humanistic Mindset, in quanto travalica l’ambito specificamente aziendale. In sintesi: è dal 1979 che tutti diciamo con Lyotard che si è esaurita la capacità dei grandi paradigmi scientifici di descrivere la realtà. Dopodichè continuiamo a scrivere saggi scientifici per dire che l’approccio scientifico non è più adeguato. Ecco allora la necessità di passare ad un discorso narrativo, o meglio meta-narrativo, che a partire dalla forma-romanzo sperimenti nuove modalità mutanti di scrittura e di esplorazione riflessiva del reale, nella consapevolezza che la sua complessità è comunque inesauribile.
    Le Aziende IN-Visibili è il tentativo di percorrere questa strada. Si tratta di una strada che abbiamo appena iniziato: se questo esperimento susciterà un sufficiente interesse (come mi sembra stia succedendo) io ho già in mente il progetto di un nuovo volume collettivo, cui si potrebbe mettere mano a partire dall’anno prossimo, che raffina la metodologia usata in questo caso e affronta in modo ancora più radicale il tema della narrazione della complessità.

  46. 1. Conoscevo il progetto e si lo trovo bellissimo!
    2. Massimo mi è molto piaciuto anche il tuo racconto.

    Confido moltissimo nelle narrazioni sfaccettate per restituire parte della complessità, inesauribile eh:) E insomma ho paura di dire solo banalità. Non so naturalmente se questo possa scalzare i paradigmi scientifici, i quali tutto sommato – benchè altrettanto discorsivi e pursempre sintatticamente determinati come le narrazioni – rispondi ad altre funzionalità e lo fanno abbastanza bene. Diciamo che ci si mette accanto.In ogni caso, fa solo che bene.

  47. @Marco Minghetti:
    anche l’idea di affidare alla letteratura una funzione conoscitiva è in armonia con la poetica calviniana!
    Dice Calvino (da un intervista a la “Gazette de Lausanne” 3-4 Giungo 1967): “Io credo che il mondo esista indipendentemente dall’uomo. Il mondo esisteva prima dell’uomo ed esisterà dopo. L’uomo è solo un’occasione che il mondo ha per organizzare alcune informazioni su se stesso. Quindi la letteratura è per me una serie di tentativi di conoscenza e di classificazione delle informazioni sul mondo….”
    Ecco perchè la scrittura di Calvino diventa sperimentazione, come nel vostro – bellissimo – libro!
    Perchè è il “luogo” deputato per eccellenza alla ricerca.
    Tra la realtà (intesa in modo complessivo e non esauribile con l’uomo) e i segni per rappresentarla, c’è uno spazio di mezzo – ricco quanto lo sguardo sulle cose, pietoso come lo sforzo per raccoglierle e per affondare in esse – che coincide con la capacità di comprendere qualcosa in più. Fosse anche un lapillo. Una scaglia. Un fortunato granulo di polvere.
    Per quel qualcosa vale la pena scrivere.
    Complimenti, Marco.

  48. Il mio contributo alle Aziende di Minghetti – la rivisitazione di Diomira nel capitolo “On stage” – vuole inquadrare l’esperienza di chi cerca oggi di entrare, con sempre maggiori difficoltà, purtroppo, all’interno del sistema delle aziende.
    Eh sì, è l’attualissimo problema del famoso “ingresso nel mondo del lavoro”, vissuto peraltro in prima persona (le Aziende in-visibili è anche un grosso carico di biografie, cosa credete?!).

    E’ una delle voci modeste, Elisabetta. Una di quelle presenze ancora umili e invisibili nelle aziende di oggi, troppo impegnate ad “ottimizzare” da risparmiare anche sul futuro delle “nuove leve”, che reclamano qualche garanzia o almeno un po’ di rispetto in più da parte delle strutture che ne traggono nuova linfa, impegno, tempo, denaro. Già, perché oggi lavorare costa molto mentre l’azienda molto spesso offre molto a chi le si avvicina, ma esige persone già preparate (a suon di master che molti non si possono nemmeno sognare) e a costo zero o quasi. E anche per tempi lunghi. E anche rimandandoti a casa senza troppi complimenti, alla fine di questo sacrificio inutile mascherato da “apprendimento”.

    Un’azienda-vampiro.

    Con il ricordo di Odara, racconto l’azienda luminosa in cui ognuno, giovane e meno giovane, vorrebbe lavorare e crescere. Una Corporation che ha come valori fondanti principi etici di rispetto della dignità umana e che sprizza da tutti i pori una vocazione fortemente estetica. Che respiri appena ne varchi la soglia.
    Etica ed estetica. Credo siano proprio queste le due parole chiave che disegnano l’utopia aziendale espressa in questo libro.

    Ma Odara esiste?

    E’ questo il punto, Sergio. E’ questa la domanda centrale che il libro ci spinge a porsi, a partire dal titolo.

    La mia risposta è che soltanto se iniziamo a pensare all’Azienda del futuro, quella che ha come “utile” l’essere umano – nella sua dimensione di singolo e di specie – e non la materia a cui abbiamo dato un valore convenzionale, il “denaro”, che queste Aziende si materializzeranno.

    Azienda che non solo, Massimo, è metafora della vita, ma che è la vita. Perché ci passiamo un bel po’ del nostro tempo noi uomini, là dentro. E’ un modo, non solo metaforico, di esprimere il nostro agire nel mondo, a diversi livelli di complessità, dal negozio di fiori allo shuttle spedito sulla luna.

    Ma, in definitiva, qual è l’Azienda di cui parla questo libro?

    E’ l’azienda che produce ricchezza.

    Avete sentito bene, ne più né meno di quello che si trova su qualsiasi manuale di Economia.
    Ma qui si parla di ricchezza vera. Qui si rimette in gioco tutta la questione dell’arricchirsi. Qui si chiede alle aziende di ripensare totalmente il concetto di ricchezza.

    E se quell’azienda ancora non c’è?
    Beh, allora deve esserci.
    Invisibile? Sì, ma lì. Oltre l’orizzonte.
    E già visibile, visibile-in (visibile-dentro). Se qualcuno comincia a rifletterci.

  49. Ringrazio anche l’ottima Zauberei. E Simona per averci regalato quella bella dichiarazione di Calvino datata 1967 (io dovevo ancora nascere… e anche molti di voi).

  50. Dò il benvenuto a Diomira Cennamo.
    Grazie per il tuo bellissimo intervento, cara Diomira.
    Scrivi: “racconto l’azienda luminosa in cui ognuno, giovane e meno giovane, vorrebbe lavorare e crescere. Una Corporation che ha come valori fondanti principi etici di rispetto della dignità umana e che sprizza da tutti i pori una vocazione fortemente estetica. Che respiri appena ne varchi la soglia.”
    Bello! L’azienda in cui tutti vorremmo lavorare…

    Ma è solo utopia, secondo voi,… o potrebbe essere realtà?

  51. Come co autore devo un plauso a Marco che ha saputo “amalgamare” il vortice di contributi che, a mio avviso, rende unica quest’opera. Quando sono stato invitato a contribuire ho accettato con entusiasmo e ho scritto di getto due racconti (Paradiso e Crudelia – scoprirete a quali città di Calvino mi sono riferito leggendo il libro). Qualcuno, vicino, temeva che questa iniziativa sarebbe sfociata in un sabba caotico di ispirazioni e codici. Un esperimento difficile da governare e, in seconda battuta, da fruire. Le spinte divergenti si sono invece rivelate i vettori di un’energia affascinante. Bravo Marco. Bravi Mutanti.

  52. Cara Diomira Cennamo,
    certo, il punto e’ quello che lei ha specificato e dunque e’ proprio quello che mi divide dalla progettualita’ ”ante rem” di questo libro. Insomma io sono del tutto estraneo perfino al considerare l’azienda come qualcosa di importante per la societa’ italiana. Pertanto, mancando il punto di partenza, a me non resta che confrontarmi con quello di arrivo – ovvero: personalmente osservo il vostro libro come opera letteraria, vista dal punto di vista degli stili, dell’affabulazione, dei linguaggi, dei contenuti umani, morali e onirici, delle poetiche; di tutto insomma eccetto l’azienda (che essa sia ”ideale”, ”contestabile” o ”meta-azienda”). Questo perche’, infatti, personalmente ritengo l’azienda un elemento di disturbo in seno alla civilta’ italiana.
    Cordialmente
    Sergio Sozi

  53. P.S.
    L’azienda in senso moderno, ovviamente; quella esistente prima aveva altre denominazioni e peculiarita’: opifici, fabbriche, uffici, laboratori artigiani, botteghe. Questi tutti invece li considero parte della nostra civilta’ antica, storica, e dunque anche della produzione artistica in genere. L’azienda no, la sento estranea all’arte, sia come oggetto che come soggetto.

  54. Segnalo due altri contributi di riflessione reperibili in Rete da parte di altri due Mutanti: Francesco Varanini, http://www.bloom.it/vara150.htm
    e Armando Aldogiso, http://www.nybramedia.it/
    Altri coautori come William Nessuno hanno contribuito al dibattito che si è svolto sul sito di Ibridamenti: http://ibridamenti.splinder.com/post/18485546/Le+Aziende+In-visibili+-+Livin
    Sul Metablog le Aziende In-Visibili ho dedicato una trentina di post di approfondimento al tema che trovate qui: http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/cornice/index.html

    Per il momento è tutto. Mi riservo di rispondere in maniera articolata alle osservazioni di Francesco Varanini nei prossimi giorni.

  55. Sergio, la tua visione spinge a riflettere.
    Personalmente credo che l’azienda, a diversi livelli di complessità, ovviamente, sia parte dell’organizzazione della vita umana sul globo.
    E convengo con te: spesso questa articolazione organizzativa e produttiva della nostra vita attuale ha fatto prevalere interessi che hanno tradito il senso più profondo dell’essere al mondo armonico e civile. Non di rado hanno scatenato guerre (alcune ancora in corso…). Spesso – mi balenano le efficaci immagini di “Tempi moderni” – hanno disumanizzato e alienato. Hanno ferito il nostro habitat naturale (o ciò che ne rimane) e continuano a farlo, sprezzanti di un ambiente che ci sta chiedendo aiuto anche in maniera violenta. O ancora – e qui mi riferisco alle ultime derive della finanza internazionale – hanno ingannato e tradito il proprio stesso scopo, distribuendo povertà su vasta scala.
    E’ questo il punto, secondo me. Dirigere i processi aziendali in una direzione più umanistica.
    Per il resto, sono d’accordo anche con il tuo apprezzamento letterario del romanzo. In effetti, il mio discorso più filosofico ha lasciato forse in ombra quello che è il pregio letterario dell’opera. Ambiziosa anche in questo senso. Mi premeva però sottolineare che il suo valore estetico si innesta su un sostrato di contenuti di riflessione estremamente attuali, fondamentali per una piattaforma che vuole continuare a vivere e a crescere – come sta già facendo attraverso il blog e come probabilmente farà attraverso nuove declinazioni artistiche.
    Se poi spingerà anche a dei mutamenti sociali in positivo, beh, allora sarebbe il massimo che a questa fatica collettiva si può chiedere.
    Ma queste sono le mie “Aziende In-Visibili”.
    Sono curiosa di sentire anche l’esperienza e le aspettative dei miei compagni di ventura…

  56. Secondo me la Cennamo esprime concetti condivisibilissimi. Sono d’accordo con lei. Complimenti e auguri a tutti per la vostra opera collettiva

  57. C’è stato chi in Italia, in qualche modo, ha tentato di percorrere una strada diversa dagli altri, ma che oggi vedo, ahimè, del tutto ignorata. Ogni tanto lo si ricorda, ma in pratica nessuno ha il coraggio di seguirne l’esempio.
    Parlo naturalmente di Adriano Olivetti.
    Io in Olivetti ci ho lavorato negli anni 80 e 90: erano già i tempi di DeBenedetti, ma il ricordo di Adriano era ancora vivo e presente in azienda (ancora diversi manager avevano lavorato con lui). Però lo si ricordava già con la consapevolezza che quei tempi fossero definitivamente tramontati, e non più proponibili. Io proprio oggi mi chiedo il perchè.

    PS: @Massimo
    Complimenti: il tuo contributo all’opera è delizioso. Il libro è sicuramente molto interessante e vedrò di procurarmelo.

  58. bene.
    per l’ennesima volta arrivo tardi, e trovo che carlo ha già detto quello che avevo in mente.
    il pensiero dell’olivetti come concetto di azienda diversa sorge spontaneo, soprattutto di questi tempi.
    molto bello il tuo pezzo, massimo. fuori dagli schemi.
    un abbraccio grande

  59. Tanti in bocca al lupo per la vostra iniziativa…
    Un caro saluto anche alla cara Antonella Cilento! Dai Antonella, perché non intervieni e non ci parli di questa esperienza dal tuo punto di vista?

  60. Cari ”Mutanti”,
    Certo, non vorrei mi si fraintendesse: sono conscio del fatto che la produzione della ricchezza e’ fondamentale per ogni Nazione – pertanto richiedendo delle analisi e delle modalita’ attuatuve e progettuali affinche’, per esempio in Italia, vi sia non solo crescita economica stabile ma anche distribuzione equa della ricchezza prodotta.
    Ma parimenti mi chiedo se non sia forse meglio – al fine di ottenere una migliore vita collettiva nel Paese – che ogni cittadino desse il proprio contributo nel campo professionale in cui e’ specificamente competente. Cio’ non vuol dire che uno scrittore debba pensare solo a scrivere e dunque tacere sulle questioni economiche, naturalmente, ma piuttosto mi spinge a proporre una cosa: che gli scrittori-economisti separino i due loro campi di competenza, destinando alla letteratura cio’ che e’ proprio della letteratura e all’economia cio’ che e’ proprio dell’economia. Il motivo di tale idea e’ che in tal maniera, credo, sarebbero piu’ socialmente efficaci in entrambe le materie – ovvero otterrebbero piu’ risultati in ambedue i settori.
    E, ovviamente, questo detto senza intaccare l’opinione estremamente positiva che mi sono fatto del Vostro ”Le aziende in-visibili”.
    Sergio Sozi

  61. P.S
    Il ”marchio di fabbrica” (vedete: resto nel linguaggio aziendalistico!) (Vanni) Scheiwiller (quello della fortunatissima collana poetica ”All’ insegna del pesce d’oro”) e’ infatti una ”garanzia di qualita”’… che ricorda le migliori plaquette mai date alle stampe in Italia!

  62. Cari Carlo e Gea, vi ringrazio di cuore per i complimenti.
    Secondo voi, cos’è che manca oggi alle grosse aziende rispetto a quelle di un tempo?
    Avete fatto l’esempio dell’Olivetti. Perché?
    Cosa la caratterizzava, a vostro avviso?

  63. Caro Sergio,
    credo che alla fine tutti noi vorremmo un’azienda più umana e meno alienante… e che il “capitale umano” non suoni solo come un ossimoro ipocrita.
    Insomma… credo che questo, alla fine, mutatis mutanti, ci metta tutti d’accordo.

  64. Per venire al racconto di Massimo Maugeri,
    mi trovo di fronte ad una discesa agli ”Inferi Aziendali” ottenuta tramite una serie di accorgimenti retorico-stilistici di chiaro retaggio calviniano – ossia delle modalita’ affabulatorie imprimenti nel dettato, mi pare, sia la tipica sensazione del sogno a occhi aperti che, parallelamente, un tono assertivo e diaristico d’inequivocabile suggestivita’ classica (mi viene in mente con prepotenza la ”Storia vera” di Luciano di Samosata, padre della, oserei dire, ”fantaletteratura”).
    La stralunata ed efficacissima resa descrittiva di un evidente, stridente, contrasto d’ordine politico-economico (l’azienda che produce disoccupati e fantasmi pseudoviventi), diretta in maniera quasi pittoricamente dettagliata a dipingere le contraddizioni insite nell’attuale stato dei rapporti sociali fra pluto-tecnocrazia e sensibilita’ umana – polemica resa nel racconto per mezzo della efficace ”carnevalizzazione” dell’azienda – qui si rende strumento per la simbolizzazione di un piu’ ampio conflitto, estesosi in Maugeri fino ad includere la verosimiglianza ed effettiva concretezza dell’esistenza umana in senso quasi pirandelliano.
    Le atmosfere di questo autore dunque respirano l’aria – o meglio soffrono dell’asma – che fu di Buzzati e del gia’ citato, senza perdere le coordinate fantastiche di costoro – possibilita’ questa che certamente i narratori ”metaindustriali” quali Paolo Volponi e Ottiero Ottieri non avrebbero mai osato, ne’ credo saputo, applicare alla pagina narrativa in modo tanto diretto e affascinante. cosi’ andando in direzione di un esplicito testa-a-testa con la letteratura della tradizione italiana piu’ sublime.
    Sergio Sozi

  65. Scusate, ma questa battuta del “mutatis mutanti” ce l’avevo in punta di tastiera dall’inizio del post.
    Credo che possa fare compagnia a quella del “Wu Minghetti” del buon Marco.

    Marco… ogni tanto si scherza, eh 🙂

  66. Si’, Massimo, mi serve un favore piccolo piccolo: che cancelli dal tuo vocabolario il termine ”capitale umano” quando parli dei lavoratori… eh eh eh…
    Ciao, caro. Bella pagina, la tua.
    Sergio

  67. Bella l’idea del libro a… duecento mani (ho capito bene?).
    A Massimo: visionario e inquietante il tuo brano. Una specie di città dei morti?

  68. @ Gabriella Rossitto
    Sì, cara Gabriella… una specie di “città dei morti”. D’altro canto quel brano è una traduzione della città calviniana di Adelma, che è appunto una delle cottà dei morti.
    Il libro è stato scritto da un centinaio di autori. Novantanove, per la precisione.
    Grazie mille.

  69. Per quanto mi riguarda, Marco mi ha lasciato liberisimo di creare come ho voluto – lo dico perché in altri progetti collettivi non accade così- e personalmente ho messo in gioco molti temi che mi hanno sempre affascinato, che sento miei, da Shakespeare alla Finlandia.
    In pratica quel che è avvenuto è che, a partire dall’ “assegnazione” di una particolare città calviniana, mi sono mosso in completa autonomia, non senza aver dato, come ovvio, un’occhiata a come si stava componendo il romanzo, ad alcuni contributi altrui.
    E’ stato molto divertente, un po’ a puzzle (“come posso tradurre questa idea calviniana nella dimensione aziendale, o nello specifico dell’azienda che mi sto inventando?”).
    Almeno, io mi sono regolato così, ma forse altri autori avranno ragionato altrimenti, e questa molteplicità sotterranea è un altro aspetto affascinante del progetto di Marco…

  70. Per chi si vuole iscrivere su Facebook all’evento di presentazione del romanzo che si terrà alla Triennale di Milano il 21 ottobre alle ore 18.00 può farlo qui:
    http://www.facebook.com/event.php?eid=33525572686

    Fra i relatori: Alessandro Zaccuri, Francesco Morace, Luigi Serafini, Armando Massarenti, Giulio Sapelli. Chairman: Gian Paolo Serino.
    Altri co-autori sono attesi nell’occasione, in cui potremmo per la prima volta confrontarci tutti insieme dal vivo.

  71. Sono molta curiosa. L’esperimento mi sembra molto bello. Credo che la scrittura collaborativa abbia molto ancora da offrire. Complimenti per il tuo racconto Massimo.

  72. Bravissima Elisabetta questo è il modo giusto di leggere Le Aziende In-Visibili: ascoltando in sottofondo il brano musicale indicato nella In-Visible Screcard (in questo caso Epistrophy nella fantastica eseuzione che hai selezionato su YouTube)

  73. @ Elisabetta Bucciarelli
    Un bravissima anche da parte mia.
    E un in bocca al lupo per la nuova avventura del commissario Maria Dolores Vergani: “Femmina De Luxe” (Perdisa Pop).
    Ne parleremo presto.

  74. Cari amici, mi aggiungo in ritardo ai post delle Aziende per testimoniare rapidamente la mia partecipazione. L’idea di riscrivere Calvino che Marco mi sottopose ormai due anni fa, se non vado errata, sulle prime mi diede tremore ai polsi: le Città invisibili ha avuto il curioso destino di diventare, fra tutti i libri di Calvino-classico in vita e quindi perennemente alla moda, almeno fino a qualche anno fa, il libro sacro di alcune generazioni di architetti e comunque uno dei libri più citati in assoluto nelle epigrafi di altri libri (è capitato ache a me, capita di continuo). Dunque, con che animo avviarsi a quest’impresa? Si aggiunge il fatto che il continuo ritornello che da più parti ci invade da anni di uno stato-azienda, di una scuola-azienda, ecc… mi dà i brividi (non di piacere letterario, come per Calvino) e che sono del tutto contraria all’idea della vita come prodotto aziendale. Tuttavia, l’idea di Marco aveva un suo perché, sollevando in ogni caso una questione e così mi sono trovata a riscrivere una città che da vecchia azienda familiare è diventata azienda multilivello senza più padroni identificabili o superiori raggiungibili, dove ogni cosa è spersonalizzata e anche le stanze non sono più stanze ma ambienti di lavoro, con separé di plastica. Niente di nuovo, però la riflessione nasceva, mentre Marco mi chiedeva di scrivere, a causa delle visite in antiche botteghe artigiane napoletane fatte per conto de Il Mattino, tutte moribonde nonostante una straordinaria qualità e una storia gloriosa. E mi facevano molta tristezza, almeno quanto fastidio fisico mi danno i mega uffici delle aziende che visito di solito.
    E questo è quanto. Marco ha osato anche fare un libro costosissimo per gli attuali standard! Che il dio del commercio gliela/cela mandi buona…
    Un abbraccio a tutti!
    Antonella

  75. Cara Antonella, spero che le tue parole vengano ascoltate… hai ragione e consento con te quando parli dei mercati e delle botteghe artigiane disertati nonostante qualità e contatto umano a favore di megastore e aziende spersonalizzanti e fredde… in cui gli anziani si smarriscono, anche perché devono scomodare figli e nipoti per andarci, mentre i banchi dei mercatini rionali offrono loro lo spunto per una chiacchierata con il venditore di olive, una passeggiatina con carrellino al seguito…
    Calvino vi benedirà, dall’Azienda Paradise!

  76. Massimo, qualche giorno fa mi avevi chiesto di parlare un pò dell’Olivetti e della figura di Adriano. Compito arduo e difficile da svolgere per un breve post: ci sarebbe voluto un libro (e ne sono già stati scritti), o almeno un articolo.
    Proprio ieri (venerdì 24-10) su Repubblica l’articolo è uscito, dalla penna di Alberto Statera che ricorda la figura di Adriano Olivetti, la sua idea spesso definita utopistica ma in qualche modo da lui realizzata negli anni 50 e 60, di azienda il cui fine non era solo l’utile, ma anche il benessere e la cultura, in primo luogo dei suoi lavoratori.
    Quando (lo ricorda Statera) in un momento di crisi di sovrapproduzione alcuni dirigenti suggerirono il licenziamento di 500 persone lui licenziò quei dirigenti, e si preoccupò invece di investire per potenziare le vendite, per innovare i prodotti, con la tecnologia ed il design, per renderli migliori tecnologicamente e più belli di quelli degli altri, e per il potenzianmento della rete commerciale.
    Adriano fu osteggiato da tutti: dai politici, dalla Confindustria (cui non volle mai iscrivere la sua impresa), dalla Fiat; perchè era un vero “indipendente” che non volle mai piegarsi alle logiche imperanti.
    Altri tempi, altre logiche, altre persone soprattutto.
    Oggi si ignora che un’impresa è fatta in primo luogo da persone (non da “manager”), e che il prodotto è per le persone (non semplici “consumatori”), e che l’economia è fatta dalle persone (e dal loro comportamento). La lezione di Adriano è, nei fatti completamente dimenticata.
    Oggi in una lettera a Repubblica un ex impiegato Olivetti dichiara di essersi commosso leggendo l’articolo di ieri (e solo un ex-olivettiano credo possa comprendere in pieno), ma tristemente conclude: “Vedere oggi certi politici senza etica commemorare quella Azienda mi indigna”.
    E io sottoscrivo.

  77. Grazie Carlo Speranza: anch’io ho sempre ammirato Adriano Olivetti – e anche, nel suo piccolo, la famiglia imprenditoriale degli Spagnoli di Perugia, i quali erano sulla stessa strada del piemontese, con l’omonima ditta di abbigliamento di ottima qualita’ che tutti ricorderanno anche per via del progetto, mai realizzato, di costruire una specie di ”citta’ operaia ideale” alle porte di Perugia con tanto di teatro, case confortevoli per i dipendenti, cinema, palestra, eccetera. Era lo stesso periodo, mi sembra. Altro che i cafoni di oggi.

  78. Come ho già scritto, sono molto lieto di poter dare spazio a “La Mente Invisibile“, il nuovo progetto editoriale di scrittura collettiva – organizzato da Marco Minghetti – che possiamo considerare come la prosecuzione naturale del romanzo collettivo a colori intitolato “Le Aziende In-Visibili” (a cui partecipai pure io, come specificato nell’originario post del 15 ottobre 2008 che potete leggere qui sopra).

  79. Tra i vari autori coinvolti in questa nuova avventura letteraria a più mani, figura anche il caro e indimenticabile Luciano Comida. A lui è dedicato il libro… e questo post.

  80. @ Marco Minghetti
    Caro Marco,
    entriamo subito nel vivo della discussione.
    Chiedo a te… ma anche agli autori coinvolti di spiegarci come è nato e come si è sviluppato il progetto narrativo…

  81. cosa pensate dell’idea di utilizzare l’azienda come metafora per parlare della nostra contemporaneità?
    *
    molto, molto calzante… tanto più che in alto vorrebbero che sempre più diventassimo un ingranaggio al soldo: l’essere umano producente e prodotto, che mangia se stesso, dà meno fastidio e lascia poco residuo.
    Stupefacente questo dibattitto, Massimo. I miei complimenti. Sei sempre una sorpresa.
    ciao e buona giornata a tutti

  82. Ciao Massimo, grazie dello spazio che ancora una volta dedichi a me e agli amici della Living Mutants Society. Come ricorderai tu e come forse ricorderanno i tuoi lettori già un anno fa (http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2010/05/27/la-camera-accanto-17/) avevamo anticipato sul questo blog il progetto e fra l’altro in quella occasione Luciano Comida aveva spiegato la natura del suo particolare contributo. Un anno dopo ci ritroviamo purtroppo senza Luciano a parlare del romanzo finalmente completato. Sarò felice di rispondere a tutti coloro che vorranno saperne di più nelle prossime ore/giorni: per il momento inviterei coloro che sono interessati a leggere la preview delle prime 50 pagine disponibile sul sito de ilmiolibro (http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=617636) con particolare riferimento ai due episodi di cui sono protagonisti Phil Spector e Charles Manson, scritti dal grandissimo Luciano.
    Per quanto riguarda la scelta di pubblicare il romanzo su ilmiolibro, credo possa essere interessante riportare una discussione che ho avviato sul mio profilo Facebook e che ho intitolato: “Il self publishing è solo spazzatura”?. Eccolo qui:
    “Qualche giorno fa ho annunciato di aver scelto la strada del self publishing per dare alle stampe il nuovo romanzo della Living Mutants Society, La Mente InVisibile. Fra le varie piattaforme online disponibili ho scelto ilmiolibro che mi sembrava la più interessante, visto che è frutto di una collaborazione fra soggetti importanti come Feltrinelli, Gruppo L’Espresso e Scuola Holden.

    Nonostante al momento stia registrando buoni risultati (oltre 2000 like pervenuti dalla comunity letteraria di Facebook in poco più di una settimana, una attenzione che difficilmente avrai ottenuto in così breve tempo utilizzando un editore tradizionale), la mia scelta è stata oggetto di critiche e dibattiti, che sono rivelativi di come in Italia oggi su questo fronte ci sia ancora molta incertezza e confusione.

    Riporto di seguito una conversazione significativa, sviluppatasi su Facebook, che ho avuto con InkKiller di Letter Magazine, cui avevo proposto di commentare la preview de La Mente InVisibile pubblicata su ilmiolibro.

    Riscrivo il botta e risposta così come si è svolto, corredato da alcuni commenti lasciati sempre su Facebook da persone che hanno voluto commentarlo, lasciando ai lettori il giudizio sul tema ed eventualmente invitandoli a dire la loro.

    Letter Magazine – rivista letteraria online Ciao Marco, noi, per filosofia, siamo contro il fenomeno dell’editoria a pagamento. “Il mio libro” di Kataweb fa proprio parte di questo triste fenomeno.

    Marco Minghetti Posso sapere per quale motivo? Mi sembra che il self publishing si stia affermando in tutto il mondo come una nuova possibile frontiera dell’editoria. Personalmente ho pubblicato una decina di libri con editori anche molto qualificati e mi sembrava interessante sperimentare questa novità. Però sono interessato a capire anche quali sono le criticità, vi sarò grato se mi potrete spiegare meglio il vostro punto di vista. Grazie.

    Letter Magazine – rivista letteraria online Perché, in modo molto semplice, se invii l’elenco delle spesa, vedrai che te lo pubblicano ugualmente, basta pagare. Il punto è che è un mero business dove si punta sull’ego dello scrittore (o aspirante tale). Si sono resi conto che su 1000 autori 5 sono bravi, 10 sufficienti ed il resto conta poco. Però il resto conta molto numericamente e si sono inventati questa cosa di “paga e ti pubblico”. Ma ha davvero senso? Se nessun editore, nemmeno piccolo, ha scelto d’investire su di te (te generico) forse un motivo di sarà, o no?

    Marco Minghetti Rispetto il punto di vista, ma credo sappiate benissimo come sia estremamente difficile se non si è già nel giro degli “amici degli amici” trovare attenzione nel ristretto mondo dell’editoria nostrano. Non vedo che male ci sia nel fornire a tutti coloro che lo desiderano un luogo dove, rischiando di tasca propria e mettendoci la faccia, una persona possa fare una propria proposta saltando il circuito spesso “mafioso” (scusate il termine un po’ pesante) della editoria tradizionale. Certo non saranno tutti John Locke (l’autore che ha venduto un milione di copie appunto tramite una attività di publishing on line) ma perchè criminalizzarli a priori? Di spazzatura nelle librerie tradizionali c’è ne più che a Napoli…

    Letter Magazine – rivista letteraria online Marco, il punto è questo: l’editoria a pagamento permette a tutti, ma proprio a tutti, di pubblicare. Questo vuol dire invadere il mercato con migliaia e migliaia di cose illeggibili. Credo che su questo tu sia d’accordo. Poi ciò non vuol dire che tra questi scrittori non ci sia qualcuno di davvero bravo, ma come identificarlo in un mare magnum di sedicenti scrittori? Le proporzioni sono che su 10.000 libri autofinanziati 5 sono bravi e 10 sufficienti. Il dato è ottimistico.

    Ed ecco alcuni commenti:

    Billy de Vita Hai chiesto ad un critico letterario di parlare di un prodotto che fa parte, quindi alimenta e definisce, un ciclo di business che non prevede un ruolo per un critico letterario, o sbaglio? E’ come se tu avessi chiesto ad un allevatore di maiali un commento su una ricetta vegana: ottima o pessima che sia evidenzia uno spazio a lui antagonista, almeno per la sua “filosofia”. L’errore che ha fatto, almeno secondo me, e quindi non è detto che lo sia per altri, è nel tono utilizzato nelle risposte, e che “odora” ogni contenuto di merito. Anche alcuni termini ne mostrano una “filosofia inconscia” che forse lo stesso Ink preferirebbe tener celata.
    Come vedi non rispondo alla tua domanda… ma la risposta è già nel punto interrogativo. Per farmi perdonare questa mia mancanza puoi chiedermi quanti libri di merda sono presenti nelle librerie dell’universo mondo nel quale viviamo: la risposta non conterrà turpiloquio..lo prometto!

    William Nessuno Non so come funzioni Kataweb, io ho fatto un paio di cose con Lulu e e non ho pagato nulla. Quindi Lulu non è propriamente “a pagamento” . In quei casi l’ho fatto perché comunque sapevo che i testi non avrebbe suscitato l’interesser di nessun editore, anche per motivi che Marco Minghetti spiega fin troppo bene. Per il resto, ho ricevuto una proposta da un editore VERAMENTE a pagamento (che si pubblicizza molto anche su quotidiani importanti dicendo che lancia “nuovi autori): mi ha chiesto circa 2500 euro per una pubblicazione inutile, non distibuita, palesemente fine a se stessa e a spennarmi. In questo caso ovviamente ho detto di no, anche se conosco persone che hanno accettato e poi vanno in giro a vantarsi di aver pubblicato. Perché questo è il vero scopo. Credono che pubblicazioni simili facciano curriculum. “Non ci tengo nè ci tesi mai”. Come Marco sa ho invece partecipato a diverse pubblicazioni rinunciando a compensi, ma questa penso sia un’altra faccenda. Vorrei far notare che un grande editore (molto grande) per ragioni misteriose (hem hem) ha pubblicato una raccolta di poesie di Michela Miti… Sì, proprio lei.
    Quindi mi domando fino a che punto sia sempre sensato il discorso discriminatorio, la distinzione tra autopubblicazione e pubblicazione tramite una casa editrice grande e autorevole. Occorrerebbe entrare nel merito.

    Mario Pireddu è un problema di visioni decisamente differenti: a me pare che la prospettiva di InkKiller sia profondamente elitaria e aristocratica. E’ più o meno la stessa critica che molti dotti nel Cinquecento muovevano alla stampa a caratteri mobili che rivoluzionò il modo di scrivere e far circolare i libri: “con tutta questa facilità e rapidità di pubblicazione, verremo invasi da libri inutili scritti da persone incompetenti”, etc. Ma se si accetta il fatto che ogni nuovo medium connesso alla scrittura non ha fatto altro che allargare le possibilità della scrittura stessa, allora non si comprende – se non appunto per elitarismo ‘estetico’ – una posizione di rifiuto. Con queste visioni di retroguardia non si va da nessuna parte, secondo me: Amazon Kindle Direct Publishing negli Stati Uniti è già una realtà importante nel panorama editoriale (qualcuno avrà letto di John Locke e del suo milione di copie). Diciamo che il “filtro” editoriale è un sotterfugio: nessuno infatti garantisce che filtro=qualità (basta vedere quanta porcheria si pubblica da sempre). Direi invece che conta il ‘mercato’: si prova a vendere il proprio prodotto (con editore tradizionale o meno), e si vede se i lettori gradiscono. Il resto è snobismo controproducente, dal mio punto di vista, perché nega possibilità di esistenza a possibili autori interessanti.

    Zeronovantuno Edizioni La zero91 non è contro la Vanity Press (autogestione del manoscritto) ma contro l’Editoria a Pagamento ( l’autore che paga un’editore per essere pubblicato).

    William Nessuno Zeronovantuno sono assolutamente sulla stessa linea.

    Andrea Galanti Ragazzi, non voglio offendere nessuno e sia chiaro. Ma ho provato a stampare una cosa con IlMioLibro… per carità di Dio. Senza contare il servizio “Vendi da Feltrinelli” che è una presa per i fondelli bella e buona. Lulu tutta la vita.

    Leo Twit Bloom come al solito la scrittura è un ambito molto particolare, nel senso che la differenza qualitativa non la fa l’editore a pagamento o l’editore non a pagamento, due esempi opposti lontanissimi fra loro: Nietzsche pubblicò molte sue opere fondamentali a proprie spese, al contrario del calciatore Totti che magari l’hanno pure pagato per ‘pubblicare’.

    Leo Twit Bloom ‎”Se nessun editore, nemmeno piccolo, ha scelto d’investire su di te (te generico) forse un motivo di sarà, o no?”: risponderei ironicamente: forse il motivo sarà il mio strano cognome, Nietzsche….

    Laura Cardinale Scrittrice InkKiller ha confuso editoria a pagamento con self publishing. Caro Marco Minghetti fagli leggere questa intervista http://www.storiacontinua.com/case-editrici/pubblica-i-tuoi-ebook-vanilla/ ad Antonino Loggia, l’A.d. di ebook Vanilla e poi digli di provare a inviare alla loro redazione una lista della spesa. Col cavolo che quelli gli anticipano i soldi di 2 isbn, l’impaginazione, il demo e altro.

    Laura Cardinale Scrittrice la cosa che mi da fastido è che in Italia siamo come in una pozzanghera dove le cose arrivano a mo di tsunami, ma dopo 2-4 anni che sono partite dal punto di origine. In America il self è la prima opzione di pubblicazione e potrei continuare, ma so che qualcuno direbbe che mi pagano o peggio, quindi, lascio a voi la fatica di cerificare/credere.

    Francesco Izzo Credo sia necessario distinguere tra editoria a pagamento e self-publishing, che per me è come distinguere tra la notte e il giorno. Il primo è un fenomeno di mera speculazione economica sulla pelle e sulle tasche di ‘scriventi’ ingenui da parte di soggetti che nulla hanno a che fare col sistema editoriale italiano; il secondo, invece, fa parte di un fenomeno nuovo, più vasto e globale, di diffusione delle idee e delle conoscenze senza l’intermediazione degli editori.

  83. Un saluto a Carlo che è ancora Speranza e a Sergio Sozi. Condivido le vostre osservazioni ma Adriano Olivetti non fu l’unico ma (forse) l’ultimo di quel socialismo “utopista” e/o illuminato che “operò” nel nostro paese all’indomani dell’unificazione.
    Mai stati a Trezzo d’Adda in visita al villaggio operaio (vedi in rete)? Adriano Olivetti si ispirò a quel progetto….ma non fu il solo. Legler (famosa per i tessuti) trasformò le vecchie filande in fabbriche operose, costruì case e finanziò quel che oggi chiamiamo progetti di micro-credito, ai suoi lavoratori per favorire miglioramenti di vita e di studio per i figli. La SAE, fece altrettanto e l’elenco sarebbe lunghissimo…ora però mi aspettano in colorifico…a poi. Saluti

  84. Vorrei chiedere a Minghetti da dove nasce l’esigenza di coordinare un gruppo di scrittori. Cioè perché preferisce scrivere in gruppo invece che da solo?

  85. @Edo: questa domanda mi è stata rivolta spesso e volentieri quindi rispondo. Premesso che chi mi conosce sa che ho scritto molto (forse troppo!) anche da solo (vedi ad esempio il volume L’Impresa shakespeariana, Etas 2002 con illustrazioni di Milo Manara), è verissimo che a me piace moltissimo coordinare progetti di scrittura collettiva sia a livello saggistico (si veda ad esempio il Volume Le nuove frontiere della cultura d’impresa. Manifesto dello humanistic management, ETAS, 2004 o Nulla due volte, in collaborazione con il Premio Nobel Wislawa Szymoborska) sia a livello narrativo. Questo piacere nasce da una serie di ragioni: mi limito a citarne due. La prima è di ordine personale: io amo coordinare gruppi di persone più competenti e brave di me. Come dire: preferisco fare il direttore d’orchestra piuttosto che il solista virtuoso, l’allenatore (magari capitano che gioca a centrocampo) piuttosto che la prima punta. Questione di (Letter)attitudine personale. C’è poi però una ragione anche di ordine teorico. Da ormai molti anni si dibatte sulla necessità della morte dell’autore, sull’impossibilità di guardare alla complessità della nostra modernità liquida con un unico sguardo, ecc ecc, poi però l’egocentrismo individuale mi sembra mantenga largamente la meglio specie in campo letterario laddove in altri campi artistici (la musica il teatro ecc) è la performance collettiva a segnare la differenza (anche se esistono i solisti i monologhi e via dicendo). Ecco io ritengo importante offrire delle possibilità di performance collettive anche in ambito letterario.

  86. A questo punto mi piacerebbe sapere come hanno vissuto l’esperienza di scrittura gli autori giudati dal capitano Minghetti. Immagino sia stata una bella esperienza.

  87. Comolimenti ed auguri a Marco Minghetti ed ai membri della Living Mutants Society. Vi seguo con piacere e spero di leggervi.

  88. Chiedo scusa. C’è un refuso nel mio post di prima. Intendevo scrivere ‘autori guidati dal capitano Minghetti’

  89. Sono entrata molto tardi nel progetto e devo confessare di avere navigato a vista, barcamenandomi con le idee altrui.
    I binari della storia erano già tracciati. Forse la mia salvezza è stata il fatto che, essendo io una scrittrice di trame storiche, devo sempre confrontarmi con alcuni binari precisi. Un personaggio realmente vissuto deve essere credibile e muoversi in modo plausibile… Certe fatti sono avvenuti davvero e… alcune date sono INAMOVIBILI, eccetera…
    Marco è stato di grande aiuto con alcuni suggerimenti chiave e gli dico ancora grazie.
    E, giunti alla fine, ritengo che il mio Profeta abbia saputo farsi strada e integrarsi bene con gli altri

  90. @ Marco Minghetti e Living Mutant Society
    Una domanda: il libro ha anche un valore metaforico?
    Mi viene in mente che la società di oggi parrebbe molto assoggettata a certi tipi di controllo.

  91. @Lucilla: il libro si propone diversi obiettivi. In primo luogo, come è nella filosofia della Living Mutants Society, è una riscrittura mutante (in chiave horror e noir) della Bibbia, intesa come archetipo letterario (anzi: come rassegna di archetipi letterari fondanti la stessa cultura occidentale). Ogni autore per sviluppare ciascuno degli undici percorsi narrativi che danno coralmente vita al romanzo ha scelto un libro o un luogo biblico: Luciano Comida per narrare la storia di Phil Spector ha seguito la falsariga del Libro di Giobbe, Patrizia Debicke si è ispirata all’Apocalissi (lo show televisivo durante il quale il suo eroe Giustiziere pone ogni sera al pubblico il dilemma “Vita o Morte?” si intitola significativamente “La Bestia del Mare”), eccetera. In secondo luogo, ogni traccia narrativa, si pone su una immaginaria retta che parte dal più assoluto realismo (gli Episodi “americani” che vedono agire Spector e Manson così come l’ambientazione siciliana e mafiosa degli episodi del giovane Petrus scritti da Piero Trupia sono ricostruiti sulla base di una minuziosa ricerca storica di persone e avvenimenti) alla fantascienza cyberpunk di Gianluca Garrapa che anima la narrazione della vendetta del “cadavatar” (cadavere-avatar) Omar o l’evocazione del regno di Predigit appartenete ad un livello di realtà parallelo a quello in cui si svolge la storia (un Possibile Stato Quantico). Al centro sta la realtà totalmente letteraria della città di New Nantucket. In questo quadro non manca la critica sociale, che (verso la fine) diviene esplicita, al modello “comando e controllo” che dai tempi di Taylor e Ford ad oggi si è imposto sia dentro che fuori dalle aziende. Cito un passaggio dell’Episodio 129/132 assai significativo a questo riguardo: “Sempre più flebilmente l’Uomo del Deserto continuò a leggere le ultime pagine del libro che aveva davanti a sè: “Quale è il senso di tutto quello che vi ho raccontato? E’ che il sogno dei costruttori di ordinamenti perfetti, di istituzione totali, sia l’impero di Hammurabi o una cosca mafiosa, è di poter disporre di sudditi perfettamente flessibili e del tutto autonomi, nel senso di semoventi, rispetto al compito e solo rispetto al compito. Sudditi religiosamente devoti oppure schiavi, iloti, meteci, liberti, servi della gleba, picciotti, operai manchesteriani, operai-massa, operai tayloristi, robot, manager integrati e integratori nella e della macchina organizzativa. Riconoscibili. Nell’abbigliamento e nel comportamento, capaci di iniziativa e di rischio entro i margini del brief.
    Ogni tanto uno di questi androidi in grisaglia tenta di evadere dall’ordinamento, dal brief e dal destino. “Questo week-end voglio stare con i bambini; devo rimanere con mia moglie; ho promesso a Giulia (l’amante) uno shopping a Londra…”. Viene riacciuffato con un “Puntiamo su di Lei” del Direttore Generale; con un premio di produzione; con un fuori busta; con la promessa, vaga, di un avanzamento; con un fringe; con un viaggio-incentive. Riprende così la vita nel mondo 2 dell’Ordinanento ove il mondo 1, la realtà, è riprodotta in codice: la competenza è disponibilità; la partecipazione, conformismo; l’iniziativa, anticipare i desideri del capo. Non è che ci sia malafede o volontà malvagia di un despota visibile o invisibile. E’ l’Ordinamento che domina le volontà. Tutte. Ordinamento il cui sogno di perfezione è l’eliminazione di ogni disturbo: quelli interni con il conformismo, quelli esterni, comprando tutto ciò che resiste. Un’assoluta Fenomenologia dello Spirito Organizzativo operativamente tradotta nel mondo delle imprese (ma un discorso speculare lo si potrebbe fare nel mondo criminale applicandolo alla Mafia) in scientific management”.

  92. mi è saltata una parola nel commento di sopra: “che parte dal più assoluto realismo… PER ARRIVARE alla fantascienza cyberpunk…”

  93. @Massimo: nella scheda libro è saltato il nome di un co-autore: Andrea Sgarro, che si è cimentato con la riscrittura della storia biblica di Giuditta e Oloferne.

  94. Mi incuriosice molto la metodologia realizzativa di un’opera come questa. Per esempio, come avete agito per amalgamare la scrittura?

  95. Altra domanda. Non c’era il rischio che la storia potesse andare “fuori binario”?
    Ci sono stati scambi di punti di vista tra gli autori?

  96. @Margherita: la stesura del romanzo ha richiesto oltre due anni di lavoro e si è basata su alcune semplici regole. 1) Come era già accaduto con Le Aziende InVisibili, io mi sono assunto la responsabilità di sviluppare il subplot principale che ha come protagonista Sam Deckard (il Direttore del personale ex investigatore già al centro del primo romanzo). Gli Episodi che lo riguardano aprono e chiudono ciascuno degli 11 capitoli. 2) Ai coautori è stato richiesto di realizzare una linea narrativa che incrociasse quella principale e fosse nello stesso tempo la riscrittura di un libro biblico. 3) Ciascun subplot doveva essere modulato in 11 episodi, 1 per capitolo 4) Ogni capitolo (e quindi ogni episodio di ciascun subplot) doveva fare riferimento ad un macro tema: la memoria, la morte, l’amore, eccetera 4) Ognuno dei 132 episodi è stato associato ad un tag o parola chiave: l’autore doveva sviluppare l’episodio tenendo conto di quel tag e di un numero a scelta degli altri 131 tag disponibili (oltre che dell’argomento generale di ogni capitolo, della trama del libro biblico prescelto e del plot principale “Deckard”) 5) ogni linea narrativa ha un personaggio chiave, in genere scelto fra quelli del primo romanzo (ma ci sono eccezioni a questa regola, come nel caso di Phil Spector) 6) Ogni episodio è stato associato ad un pezzo musicale.
    Sulla base di queste regole abbiamo lavorato per circa un anno e mezzo scambiandoci via mail i materiali al ritmo di un episodio per autore al mese (quindi circa 11 episodi ogni 4-6 settimane): in questo modo il romanzo è cresciuto (più o meno) armonicamente, avendo ogni autore il controllo di quanto stavano facendo gli altri.
    Queste le regole generali, cui poi ci sono state numerose eccezioni: ad esempio Patrizia Debicke si è inserita quando il lavoro era già in uno stadio avanzato, mentre Antonio Fazio e Andrea Sgarro hanno partecipato fin dall’inizio ma con modalità diverse: Antonio ha consegnato subito tutti gli 11 episodi, Andrea ne ha scrupolosamente consegnato uno al mese.
    Infine mi sono preso sei mesi per rivedere tutto il materiale insieme ai coautori semplificandolo (abbiamo tagliato oltre 100 pagine del manoscritto originale) e rivedendolo per assicurare le necessarie coerenze.
    Lo stile è stato il problema più difficile da affrontare: il tentativo è stato quello di dare al tutto un significato unitario, lasciando però il tratto originale di ogni autore a “marcare” i singoli subplot (come del resto accade nella Bibbia il cui supposto Autore unico si avvale di autori singoli molto diversi che usano stili molto variati: da quello poetico del Cantico dei cantici, a quello sapienziale del Siracide, a quello storico dei libri dell’Esodo, eccetera).

  97. perchè nell’elenco della The Living Mutants Society Luciano Comida non è citato?

  98. In effetti forse la scheda libro non e’ chiara benche sia scritto che Luciano e un membro della Living Mutants Society.nell’ultima riga bisognava forse ribadire che gli ALTRI coautori oltre a me e Luciano sono…

  99. Mi sono permesso di modificare la scheda inserendo tra i membri della Living Mutants Society anche il nome di Andrea Sgarro, che era saltato (me ne scuso).
    Ho inserito anche quello del nostro caro Luciano, così non ci sono dubbi sulla sua partecipazione al progetto.

  100. @ Marco Minghetti
    Caro Marco,
    visto che sia il libro, sia questo post sono dedicati a Luciano Comida, pensi che potremmo leggere (qui tra i commenti) il suo testo (o parte del suo testo)?

  101. Ero al corrente del fatto che Luciano stesse scrivendo qualcosa su Phil Spector e Charles Manson, avevo avuto modo di leggere una prima versione di quello che è ora l’inizio dell’Episodio 2 del Capitolo 1, ma non sapevo facesse parte di questo progetto e che il suo lavoro fosse destinato a finirvi dentro. Una piacevole sorpresa, perchè credevo che ormai questa storia fosse rimasta incompleta, e come tale destinataall’oblio.
    Mi rincresce enormemente che lui non abbia potuto vedere il libro stampato, ma mi consola il sapere che lui sarebbe contento che molti oggi lo possano fare. E con questo ricordarlo.

  102. @miriam
    Non mi ricordavo neanche quasi di essere stato Carlo Speranza! Ora come sai sono carlo s. o carloesse (e già questo mi crea profonde crisi di identità!)
    🙂
    Ciau !

  103. Venendo incontro alla richiesta di Massimo pubblico di seguito il primo degli 11 Episodi scritti da Luciano Comida per La Mente InVisibile. Ricordo che le prime 50 pagine del romanzo (fra cui un secondo episodio firmato da Luciano) possono essere lette gratuitamente qui:
    http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=617636

    Sarebbe per me utilissimo avere dei feedback dal competente pubblico di Letterattitudine, in vista di una prossima edizione de La Mente InVisibile.

    Episodio 02/132. Phil Spector.

    McNeil Island, Stato di Washington
    (22 novembre 1963)

    Per l’esattezza, il mio nome completo sarebbe Harvey Philip Spector, ma voi chiamatemi pure con quello famoso. E se qualcuno dirà che non mi conosce, i casi sono soltanto tre: o è sordo, o in questi ultimi cinquant’anni ha vissuto su un altro pianeta, oppure non ha nessuna memoria per i nomi.
    Phil Spector. Ancora niente? Allora vi faccio subito due titoli di canzoni che senza di me non esisterebbero: The Long and Winding Road (nel 33 giri Let it be) e Imagine. Sappiate che, quando ascoltate il pezzo dei Beatles, il suono fu farina del mio mulino o (se mi capite meglio così) polvere bianca del mio sacchettino. E voglio raccontarvi un piccolo segreto su quella mezza checca di Paul McCartney: ovvio che The long l’aveva scritta lui, ma con un arrangiamento tanto moscio che faceva cagare. E nei giorni in cui lavorai alla postproduzione dell’intero disco, quando i Quattro Baronetti s’erano arenati come quattro balenotteri e non sapevano nemmeno dove voltarsi perché neanche George Martin poteva più tirarli fuori dalle secche e tutti volarono da me a supplicare help (afferrato?), si fece come volevo io. A cominciare da The Long and Winding Road, aggiungendo violini dell’altro mondo e cori celestiali arrivati direttamente dal Paradiso. Quando ascoltò il risultato finale, Paul piagnucolò e sbatté i piedi sulla moquette. Comunque, Let it be fu il disco beatlesiano di maggior successo. Qualcosa vorrà pur dire, no? Ma la vera rivincita la ottenni anni dopo: nei suoi concerti, il Belloccio non suonava mai The Long nella sua versione, ma sempre nella mia.
    E Imagine? Ogni volta che lo stacco della batteria e l’incedere dei violini sotto la voce di John vi fanno venire nei boxer o nelle mutandine, ricordatevi del vecchio Phil.
    Vi bastano come esempi? E se no andate a farvi un giretto su Youtube, voi che potete usare Internet: troverete un oceano di canzoni mie.
    Lo so, lo so che siete attenti. E che avete notato l’inciso di poco fa: “voi che potete usare Internet”.
    “Voi”.
    Perché io, stando qua, non posso nemmeno toccarlo Internet. Il computer sì, il Web no. Non vi è chiaro? Beh, lo immagino. Ne riparleremo dopo, così ve lo spiego. E vi racconterò altre cose: come sono finito in questo posto, il demonio (o il figlio dell’uomo?) che ho incontrato, la proposta che mi ha fatto e i suoni della Mente InVisibile.
    Ma intanto, abbiate la pazienza di seguirmi indietro nel tempo, tanti anni fa. Quarantasette, per la precisione.

    . . .

    “Cosa voglio fare con A Christmas Gift For You? Semplicissimo: il più bel disco natalizio che sia mai esistito e che mai esisterà. Prendere tredici grandi canzoni di Natale e trattarle con la stessa eccitazione di due adolescenti che per la prima volta si baciano e si toccano sul retro di un’auto al drive-in. Il tutto, senza perdere nulla dell’atmosfera natalizia”.
    Inutile nasconderlo: davanti al negozio e al taccuino del giornalista inglese del New Musical Express ero nervoso. Intanto, quel londinese alto un metro e novanta mi superava di trenta centimetri buoni. E poi avevo un mal di testa da spaccare il cranio: un bulldozer carico di dolore andava avanti e indietro dall’osso occipitale fino all’occhio sinistro buttando giù tutto quello che trovava davanti a sé. Per ultima cosa mi rendeva frenetico la vetrina, decine e decine di copertine del long playing uscito oggi: la foto coloratissima dei tre giganteschi pacchi natalizi con dietro Bob B. Soxx and the Blue Jeans, le Ronettes, le Crystals e soprattutto Darlene Love col vestito giallo e le braccia spalancate in un gesto così invitante. Non per nulla le avevo regalato la canzone migliore, Christmas (Baby please come home). Settimane di lavoro in sala d’incisione, musicisti sull’orlo (e forse oltre) della ribellione… col batterista Hal Blaine ero quasi venuto alle mani e il pianista Leon Russell avevo dovuto minacciarlo con la mazza da baseball… ma era venuta fuori una gemma che sarebbe durata fino alla fine del secolo. Dal negozio uscì una ragazza, in mano il secondo disco di un certo Bob Dylan, Freewheelin’ qualcosa, brodino folkie solo ossa, niente carne e niente pop, roba che aveva bisogno della polpa di un suono come Dio comanda, batteria basso tastiere e chitarre elettriche. Il giornalista inglese colse l’occasione per una domanda sulla politica americana: “Cosa pensa del presidente Kennedy?”
    “I testi non sono male ma gli manca un produttore tosto”.
    Di nuovo si aprì la porta: mamma e figlia con Elvis a 45 giri, poi si spalancò ancora per far entrare un uomo anziano. Tutte e due le volte la polvere del marciapiede fu nobilitata dalle canzoni di A Christmas Gift For You diffuse dagli altoparlanti del negozio.
    “Andiamo a mangiare?”, propose Malcom Flandry.
    Trovammo un tavolo alla Boos Brothers Cafeteria lì vicina. La radio era sintonizzata sulla ABC Network, l’orologio della parete segnava le 13.36 e io stavo dicendo che la carne dell’hamburger non sembrava… quando la voce di Don Gardner dall’altoparlante bloccò tutto, la mia frase, la forchetta del giornalista che portava tre pezzi di patate fritte alla bocca, la cameriera con quattro birre, la cassiera che dava il resto a un commesso viaggiatore, i clienti che mangiavano, una coppia che si baciava, una ragazza che si metteva il rossetto, gli Stati Uniti, il mondo intero: “Interrompiamo questo programma per trasmettervi una notizia speciale da Dallas, Texas. Tre colpi d’arma da fuoco hanno colpito il corteo del Presidente Kennedy oggi in centro. Questa è la ABC Radio”.

    . . .

    Venerdì 22 novembre 1963, Charles Manson aveva ventinove anni e dieci giorni. Condannato per due stupri nel 1959, passava da un carcere all’altro e adesso era al McNeil Island nello Stato di Washington. Il suo nuovo compagno di cella era polacco. Schifoso come tutti quelli col cognome in ski, ma sempre meglio dividere l’aria con lui, Max Kaminski, che con quei negri di merda. O con qualche cubano. Almeno Max stava ad ascoltarlo quando cantava i suoi pezzi, accompagnandosi col suono delle dita sui denti. Canzoni come Cease to Exist o People say I’m no good. O quel blues molto lungo che stava scrivendosi dentro la testa, The InVisible Mind, la storia del tizio che si sveglia nel suo ufficio e non sa chi è, solo che si chiama Sam oppure Petrus o forse Omar, sgozza la moglie e poi entra in un mondo strano. Ogni volta che gliele faceva ascoltare il polacco applaudiva: “Sei bravo. Appena esci diventi famoso. Ti ricorderai di me?”
    Sì, certo, come no. Sarebbe uscito di galera nel ’67. Intanto doveva progettare il futuro: pensare a come l’America bianca poteva liberarsi una volta per tutte della feccia nera, imparare a suonare la chitarra, a farsi amare e ubbidire dagli altri. Forse Kaminski era una buona cavia.
    Voci lungo le celle: “Gli hanno fatto saltare la testa… il presidente…”.
    Rimbalzavano: “Hanno ammazzato… sparato… Kennedy…” .
    Le labbra di Charles si stesero lente e soddisfatte: un amico dei negri di meno.

    . . .

    Non c’è bisogno che me lo diciate voi perché lo sapevo già da solo: questa piccola scena sulla vita del giovane Charles Manson in prigione non è molto convincente.
    Ma ho voluto provarci lo stesso. Provate a capirmi: vederlo ogni giorno, lavorare con lui al nostro progetto, fissare i suoi occhi e ascoltare la sua voce fa venire pensieri strani. Davvero strani. Soprattutto di notte. E così, quando non riesco a dormire, passo le ore al buio, con gli occhi chiusi, a costruire dentro di me le sonorità del nostro Capolavoro. Poi, quando sono stanco e sto per addormentarmi, fantastico sulla storia di Manson, basandomi su fatti che conoscevo già, su altri che mi ha raccontato lui… oh sì! Charles è uno che adora parlare di sé stesso… e dei suoni della Mente InVisibile che escono da queste mura.
    Come quelli in cui riecheggiano i sentimenti di dolore, di odio e di paura della giovane Yana, eccoli, li sentite?….

  104. Commento a La Mente InVisibile:
    Vista l’esperienza, la tecnica non poteva che essere impeccabile e il contenuto accattivante. Ho apprezzato le prime pagine anche perché mi hanno ricordato quando, tempo addietro (molto)suonavo il basso in un complesso, azzardando arrangiamenti improbabili.

  105. Un racconto di genere. Gli ingredienti ci sono tutti. Mi piace molto la parte di Spector, come appassionato della musica anni ’60 e ’70, come ho letto di Macca e Sperctor, ho trasecolato. Bravo Marco, trama importante, si percepisce un gran lavoro di preparazione dietro le “quinte”. Saluti.

  106. Un’azienda, nell’economia aziendale, è un’organizzazione di uomini e mezzi finalizzata alla soddisfazione di bisogni umani attraverso la produzione, la distribuzione o il consumo di beni economici. (recita Wikipedia)

    E l’etimologia racconta che “azienda” deriva dal provenzale “hazenda”, e dal latino “facienda”, cose da farsi…

    Della definizione si sta perdendo lo scopo (la soddisfazione di bisogni umani) e quanto alle “cose da farsi” la ragione si perde ormai nel caos dell’impermanenza e dell’imprevedibilità

    L’azienda come spunto per riflettere sulla vita quotidiana contemporanea, priva di fini definiti, in cui il fare è pura routine (vale anche per la cosiddetta “innovazione” subito dopo che, dopo il piacere del “creare”, diventa immediatamente un’interminabile catena, che quel “fare” fa apparire come “necessario”, ma si è persa la fonte di quella “necessità”

  107. Nei Capitani coraggiosi i due negri parlano gaelico, se ben ricordo proprio nella variante irlandese. Nel gaeltacht, in una di quelle riserve gaeliche dove Dublino e’ solo Baile Atha Cliath, pioveva, nel pub c’erano dei vecchi, la barista giovane ma drab e una ragazza in minigonna. I vecchi e la barista parlavano in gaelico (uno, ubriaco, lo cantava), la ragazza in minigonna parlava inglese. i vecchi di tanto in tanto l’abbordavano in inglese. Era una meraviglia, e sono felice che la Mente Invisibile abbia un ambiente sufficientemente anglosassone da dar spazio al mio Seamus e a un paio di vocativi in gaelico. Ah gia’ c’e’ anche Giuditta … nella Mente l’ho associata al catalano e al Barri Xines. Perche’ sono uno dei coautori della Mente invisibile? Perche’ ho accettato di posarmi sulla ragnatela, come fossi una mosca? E Giuditta chi e’, quella di Caravaggio o di Artemisia, o quella del Nuvolone che Internet generosamente ci mostra? Chissa’ … sta tutto nella Mente Invisibile!

  108. Dal mio punto di vista di scrittore e musicista devo ammettere che il risultato finale dell’opera è molto intrigante. Credo che La Mente Invisibile abbia raggiunto un buon potenziale evocativo, capace di coinvolgere sfere sensoriali diverse… colori, espressioni, sapori, suoni mai scontati. Un’esperienza insolita e stimolante nella quale mi sono immerso con entursiasmo e che, sto notando, affascina molti amici.

  109. Grazie ad Andrea Sgarro e ad Antonio Fazio che hanno aggiunto la loro testimonianza di coautori a quella di Patrizia Debicke. Spero che anche il resto della squadra lasci una traccia qui, ma credo che già dalle loro parole (oltre che dall’Episodio sopra citato di Luciano Comida) stia emergendo la natura composita del romanzo e nello stesso tempo la sua molteplice unitarietà che trova un catalizzatore forte nel suo essere “musicale”.

  110. La Mente Invisibile.
    Un romanzo superbo dove spicca una trama densa di episodi complessi e appassionanti, arricchita da un linguaggio ed uno stile tipicamente americano. Complimenti!

  111. Ho letto le (poche purtroppo) pagine che il sito concede e devo dire che ho trovato il tuo lavoro ben fatto, scritto in maniera veramente superba,direi, e non esagero, geniale.
    mercoledì 22 giugno 2011 commento alla 1a edizione
    Franci53

  112. Geniale. Una delle “cose” migliori che abbia letto finora in questo sito.
    Per fair play, non posso andare oltre le 5 stars.
    Sorry.

  113. La Mente Invisibile
    Affascinante intreccio di visioni che trascinano il lettore in un crescendo di emozioni forti, attraverso l’esplorazione della mente umana. Trama degna di un best seller targato USA.

  114. Premetto che ho letto solo la preview di questo libro ( vivo in Canada e dovro’ ordinare il libro per posta e sperare che non vada perso come spesso purtroppo accade ancora con le poste internazionali).
    Al fine di spiegare al meglio il mio parere sulle pagine fino ad ora lette, dividero’ le mie impressioni in pro e contro .
    PRO:
    Scritto in maniera eccezionale. Quello che mi ha piu’ colpito e’ la facilita’ e la riuscita di vari stili a seconda dell’episodio, del personaggio o del momento narrativo.
    Il linguaggio e’ impeccabile.

    Mi ricorda il modo narrativo in chiave quantica di John Lindqvist, sebbene lui si concentri in particolar modo su personaggio horror tradizionali tipo spiriti e vampiri ( peraltro molto in voga in questo periodo), ma l’atmosfera narrativa e le sensazioni di disagio, terrore e incapacita’ di controllare gli eventi e’ la stessa.
    Inotre trovo similitudine nella forma narrativa a Carlos Ruiz Zafon nei suoi libri iniziali come Marina o El tren de Medianoche, antecedenti a La Sombra del viento. Tutti i personaggi che all’inizio sembrano “scollati” uno dall’altro, sicuramente sono cuciti da un filo conduttore che verra’ in superficie in un secondo momento.
    CONTRO: Sebbene inquietante, nuovo e come dicono in America “intriguing”, ho avuto difficolta’ a seguire e di conseguenza non ha avuto molta attrattiva per me la parte quantica.
    Non ho capito e pertanto non ho gradito le date indicate con i sistemi cibernetici, in relazione con personaggi esistitenti come Charles Manson e Spector. Forse leggendo tutto il libro potrebbe avere piu’ senso per me.

    Chiaramente un libro letto solo in parte e con narrativa tipo Lindqvist o Zafon diventa difficile capire o seguire la storia apprezzandola nella sua interezza.

    Il libro ambizioso e complesso

  115. La mente invisibile

    E’ stimolante, creativo e originale. L’impalcatura narrativa è costruita abilmente. La narrazione scorre fluida.
    da luciano loccatelli

  116. ottimi spunti, eccellente scrittura, tecnica narrativa notevole che comporta in rari passaggi un minimo di autocompiacimento per il talento indiscutibile dell’autore.

  117. compatibilmente con le esigenze del mio traballante comodino, leggerò presto quest’interessante esperimento letterario.

  118. Trovo che “La mente invisibile” sia un romanzo ben strutturato, in grado di coinvolgere in modo appassionato nello scorrere dell’intrigante trama che richiama alla mente un indiscutibile talento, come ha già dimostrato d’essere, di Marco Minghetti.
    Alba

  119. Se l’ azienda è la metafora della contemporaneità…….poveri noi! E povera cultura! Sono molto diretta: a capo del nostro governo c’ è un capo d’ azienda che dirige il Paese come se fosse una parte della sua azienda.

  120. Intrigante il riferimento alla scrittura collettiva di quello che è stato il primo libro a raccontare la storia di una comunità (appunto quella del “Popolo del Libro”). Molto centrato anche il riconoscimento al ruolo del pop anni ’60 (anche nei suoi aspetti più estremi, disturbati e disturbanti) nella creazione di ciò che sarebbe diventata la “Mente Invisibile” dell’era della rete.

  121. premetto che sono in attesa del libro
    premetto che accogliendo la segnalazione di Marco ho letto le prime 50 pagine a disposizione sul sito…
    detto questo, non vedo l’ora di leggerlo tutto…
    mi piace questa storia della tecnica collaborativa, linguaggio mutante, scelta editoriale, insomma in una definzione “l’approccio scelto dagli autori”, che però non definerei “esperimento” ma scelta logica, visto che stiamo tutti i giorni qui sopra a ravanare dire fare contribuire costruire contenuti divenendo noi stessi contenuti…ecco alla luce di tutto questo lasciamo alla nostalgia l’approccio del libro scritto in perfetta solitudine, al bagliore del lume, persi nelle brume della notte…
    mi piace l’atmosfera che si respira e qui, ma non chiedetemi perché visto che le connessioni mentali sono qualcosa di assolutamente imprevedibile, qui ho ritrovato il pynchon di lotto 49…concedetemi la suggestione, ma la letteratura, anche quella più progressista vive di continui rimandi…(forse c’entra qualcosa la questione dell’ invisibiità?!?)

    torno a lettura terminata

  122. ho cominciato a leggere le pagine offerte sul sito e… ne sono stata catturata
    è ovvio che adesso dovrò procurarmela, questa singrafia quasi escheriana.
    fosse solo per vedere dove conducono i labirinti della mente.

  123. Daniela Bianchi, il riferimento a Pynchon è venuto in mente anche a me a lavoro ultimato. Questa associazione è frutto di un meccanismo che ha reso il processo di scrittura ancora più interessante (il passaggio dai propri brani al tessuto complessivo è un sorprendente crescendo di ricchezza espressiva e di coesione).
    Approfitto dell’occasione per ringraziare nuovamente Marco per avermi permesso di prendere parte a un’esperienza di questo tipo (e i compagni d’avventura per il risultato finale).

  124. Premetto che non sono uno scrittore, ma il progetto mi sembra davvero interessante, sia per la sua originalità, sia per la coralità intrinseca al progetto stesso, senza dimenticarne la multidisciplinarietà insita nella proposta letteraria sin dal momento della sua nascita.

  125. Un saluto a Matteo Domenico Recine che insieme ad Antonio Tursi ha creato il personaggio dell’ibrido Ox. L’introduzione di questo personaggio è un buon esempio di come si è sviluppato il lavoro sui contenuti. Fino a quel momento l’idea del plot centrale era semplice: Sam Deckard ripercorrendo il percorso di Genesi e dei Vangeli risorge a nuova vita salvo accorgersi alla fine che risorge… sotto forma di zombie. Con l’apparizione di Ox questo plot si è complicato e senza anticipare troppo posso rivelare che Deckard scoprirà di essere lui pure un ibrido come del resto il malvagio Kannon. Andando avanti con l’esempio, queste tracce narrative si sono poi fuse con l’idea dello Stato Quantico di Predigit e le vicende del cadavatar Omar (provenienti dalla fertile fantasia di Gianluca Garrapa) per poi creare un cortocircuito imprevedibile con quanto Patrizia Debicke ci racconta sul reality show La Bestia del Mare… Tutto ciò anche per sottolineare (anche se ovviamente ringrazio sentitamente chi come Sabrina e Alba ha voluto lodare il mio lavoro personale) come il romanzo sia il frutto di un vero lavoro collettivo e di squadra in cui ciascun contributo è stato determinante per il risultato finale.

  126. @ Daniela e a tutti coloro che “sono in attesa del libro”. E’ vero che con ogni probabilità a fine anno pubblicheremo con un editore tradizionale (abbiamo già un paio di richieste e fino a settembre siamo comunque sotto opzione di Feltrinelli), ma per chi volesse fin d’ora leggere tutto il testo ricordo che si può acquistare direttamente dal sito ilmiolibro: http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=617636

  127. Un appunto infine sulla struttura: in questa seconda prova della Living Mutants Society, abbiamo spinto ancora più a fondo l’acceleratore su una forma-romanzo contemporanea, in cui i singoli pezzi del puzzle (o meglio del caleidoscopio) narrativo, ovvero i 132 episodi, possano essere combinati infinitamente a seconda dell’estro e della preferenza del lettore. Inizialmente addirittura il romanzo era stato pensato sotto forma di Romanzo Nativo Digitale e ancora non dispero di trovare un editore multimediale interessato a battere questa strada.La particolare struttura del testo consente di immaginarne la pubblicazione come una vera e propria applicazione per Ipad/IPhone. Ogni Episodio infatti è affiancato nella versione originale da una InVisible Scorecard (che nel romanzo pubblicato è stata ridotta ai soli elementi spazio-temporali) con alcuni
    elementi di supporto per la sua lettura-interpretazione:
    una attribuzione numerica progressiva (Episodio n. 01/132, 02/132,ecc.);
    una colonna sonora;
    il link ai passi della Bibbia oggetto della “mutazione” letteraria;
    la categoria di riferimento corrispondente al tema del Capitolo;
    la tag cloud generata per ogni Episodio dalle 132 parole chiave del Romanzo (ognuna assegnata ad un Episodio);
    la Sentenza del Libro dei Mutamenti Cosmici (testo del tutto immaginario) che illumina ogni Episodio di un arcano sapere;
    la posizione geografica in cui si trovano i personaggi;
    la data in cui si svolge l’azione;
    i riferimenti agli altri 10 Episodi che qualificano ciascuna delle 11 serie narrative (ogni Capitolo propone 1 Episodio di ciascuna delle
    11 storie che compongono il romanzo).

    Questi elementi potrebbero diventare il “software” dell’applicazione stessa consentendo ad esempio:

    • Di leggere il libro nella sequenza numerica degli episodi che però non riflette lo sviluppo cronologico né del romanzo nel suo complesso, né della singola linea narrativa di cui ogni Episodio fa parte (essendo quasi tutte le Storie caratterizzate da flashback, salti logici e temporali, eccetera), ma solo l’ordine dei macro-temi ovvero dei Capitoli (che contengono gli Episodi di ogni trama dedicati di volta in volta alla memoria, all’amore, alla complessità, eccetera)
    • Di leggere il libro nella sequenza cronologica degli Episodi, ordinandoli per data
    • Di leggere il libro storia per storia, selezionando di volta in volta una specifica linea narrativa fra le 11 che compongono il romanzo
    • Di leggere il libro ordinando gli Episodi sulla base della ricorrenza di una o più delle 132 parole chiave
    • Di leggere il libro avendo per ogni Episodio come “testo a fronte” l’intero capitolo del libro biblico di riferimento, opportunamente linkato
    • Di leggere il libro “geolocalizzando” ogni Episodio sulla mappa del mondo (a metà strada fra reale e immaginario) in cui si svolge la trama
    • Di leggere il libro consentendo o sospendendo la possibilità di leggere la Sentenza proposta come glossa
    • Di leggere il libro ascoltando come sottofondo la colonna musicale.
    Questa applicazione base potrebbe essere integrata da un sito Internet in cui gli utenti possano postare nuove tracce narrative ispirate da altri libri biblici e corredate da altre colonne sonore.

  128. @Franca Maria : sono totalmente d’accordo con il tuo disaccordo! Se avrai tempo/voglia di leggere La Mente InVisibile potrai verificare come la metafora dell’azienda sia utile a rappresentare la società… anche (soprattutto) nei suoi aspetti negativi!

  129. La Mente InVisibile : un romanzo a cavallo tra fantascienza e sociologia, scritto a più mani in un testo perfettamente equilibrato, di una scrittura semplice , pulita e immediata. Qualcosa da leggere nelle calde notti insonni d’estate, tutto d’un fiato, aspettando l’alba.

  130. Sono un vecchio fan di Marco e della sua Compagnia di Mutanti, ho esaminato le Aziende In-Visibili abbastanza a fondo per trarne una sceneggiatura, e poi ho discusso a lungo con lui sul progetto passato e su quello presente.
    Spero di leggerlo quanto prima, compatibilmente con impegni pressantissimi e mi auguro di poterlo commentare insieme a tutti quanti i coautori.
    Vi lascio con un cortometraggio realizzato in altissima definizione nello spazio virtuale di Second Life, basato sull’episodio 90 de Le Aziende In-Visibili, ad opera dell’astronauta Roberto Vittori. Buona visione.

    http://www.youtube.com/watch?v=xJLk1KjOiXQ&feature=channel_video_title

  131. Ciao Marco, mi sembra molto interessante il Sequel La Mente Invisibile: unire Horror, Metafisica e Rock’N’Roll è un buon Mix che in Letteratura può funzionare bene ed esplora nuove strade, esplorando la Vita Liquida Baumanniana nel Futuro, sarebbe anche interessante valutare una trasposizione cinematografica, ma in questo caso con Produzioni Indie Usa – Uk. Inboccallupo 🙂 M

  132. Ciao a tutti. Pochi sanno che il verbo “leggere” significa, oltre che “recitare ad alta voce”, anche “cantare” e (soprattutto oserei dire) ” “raccogliere”. Il libro non e’ assolutamente un mezzo di comunicazione “unilaterale”, quanto un vero e proprio “luogo di raccolta”, un campo pieno di alberi da frutto. Purtroppo ho solo letto la prima parte del libro, ma mi sembra un progetto ricco di spunti e di stimoli. Grazie a tutti coloro che hanno partecipato al progetto.

    A.R.

  133. Ciao!!
    Devo ancora leggere La mente invisibile, ho solamente letto l’introduzione, quindi per ora non posso dare un giudizio personale sull’intero romanzo. Posso però esprimere un opinione creativa relativa alla copertina, che trovo molto graziosa ed adatta al genere di romanzo trattato. Molto bello è il volto della persona un pò horror, un pò reale, un pò personaggio 3d di un videogioco.

  134. Lette le prime pagine sul sito.
    Bello!
    Impossibile staccarsi: dalla prima parola sei preso ineluttabilmente.
    Assaggiando il frammento online come un sommelier letterario direi che ci si sentono forti aromi da la Bibbia, la saga di Guida Galattica per Autostoppisti, le interviste alle rockstar da Ciao 2001 degli anni ’70/’80 a Rolling Stone (mi è saltata in mente, leggendo l’autopresentazione di Phil Spector, una battuta di Tommy Tedesco, il più grande session man della storia della chitarra: “…non mi hai mai sentito suonare? Sei stata in coma negli ultimi vent’anni?”), Philip K. Dick, Celine, Robert Heinlein… in un mix formidabile che ha quella caratteristica inevitabilità della più genuina urgenza espressiva.
    Il libro intero sarà una parte importante della mia estate, già me lo pregusto.
    Offro un’idea (e mi candido per far parte della sua messa in pratica): perchè non leggere il libro a puntate in teatro, con l’accompagnamento di una band capace di fare un commento musicale improvvisato, che dia note vere a quella colonna sonora che sento accucciata fra le righe, ma che non può balzare fuori e esplodere come vorrebbe fare?
    Una lettura/concerto/jam session è quello che ci vuole!

    P.S.: sono d’accordissimo con l’idea di autopubblicarsi: è o non è la disintermediazione la chiave di lettura di questo periodo e per uscire dalla crisi di sistema che ci sta mangiando? Vogliamo capirlo che internet non è un medium, ma un Territorio, che dà regole anche ai territori confinanti, fra cui quella di rendere di colpo obsolete determinate strutture (e sì che Alvin Toffler l’aveva capito trent’anni fa e ce l’ha detto ben prima che esistesse la rete delle reti)? E poi finalmente i critici avranno la possibilità di uscire dal tunnel della marchetta e riconquistare il proprio ruolo di separatori di grano dal loglio!

  135. @ Andrea: hai colto benissimo! Ecco un passo tratto dell’Episodio 10 de La Mente InVisibile: ” Si sentiva ancora stordito, ma non era più solo.
    Li aveva radunati lui, anche quella volta, quell’ultima volta, benché ora non riuscisse quasi a parlare. Era stanco, spossato e gli sembrava di non vedere bene. Davanti a sé scorgeva solo sagome, un lento ondeggiare di sagome in attesa delle sue parole.
    Quel che doveva dire era utile per loro, ma ora sentiva, sapeva che lui stesso avrebbe tratto giovamento da quel racconto. Erano trascorsi decenni, lui non era più la persona di cui stava per parlare, ora era qualcos’altro. Ricordare gli avrebbe fatto bene.
    Prese il libro che aveva portato con sé, lo aprì e ne toccò le pagine con le dita, quasi accarezzandole.
    Senza guardare avanti cominciò a parlare.
    “Vorrei leggere con voi alcuni passi. Leggere significa adunare e raccogliere. È quel che stiamo facendo qui, ora”.
    Nessuno disse niente. Le sagome ondeggiavano, in attesa di altre parole.
    “Ascoltate, o cieli: io voglio parlare: oda la terra le parole della mia bocca! Stilli come pioggia la mia dottrina, scenda come rugiada il mio dire; come scroscio sull’erba del prato, come spruzzo sugli steli di grano”.
    Nessuno disse niente.
    Ancora il lento ondeggiare.
    “Desidero raccontarvi una vicenda che iniziò anni fa. Tanti anni fa”.
    Ondeggiare.
    Nel silenzio, cominciò a raccontare, tornando indietro nel tempo.”

  136. Da coautore alquanto dissonante per ragioni di età, confesso che ero dubbioso sulla possibilità di costruire un qualcosa di unitario e pure dotato di senso. Mi sono ricreduto e i commenti dei lettori ne sono la più autorevole conferma. A mia discolpa sul dubbio iniziale, ho sempre riconosciuto pubblicamente a Marco la capacità di amalgare l’impossibile e di avere sempre lucidamente presente il risultato. Una capacità per me incomprensibile, pertanto magica. Mi ricorda quella di Cotrone ne I Giganti della Montagna e quella di Prospero ne La Tempesta.

  137. Premesso che le mie cognizioni circa La Mente inVisibile e Le Fabbriche inVisibili sono la lettura delle famose cinquanta pagine disponibili on-line, mi sembra che questo lavoro sia la prosecuzione contemporanea di quello che propugnava il Gruppo 63 (Sanguineti: Il giuoco dell’oca; Manganelli: Centuria; Calvino: Il castello dei destini incrociati; letture che certamente fanno parte del sommerso letto – neanche poi tanto – dagli autori); sto parlando di letteratura combinatoria e potenziale.
    C’è un qualcosa di involuto di quell’epoca che sta riapparendo con forza, negli ultimi anni. E non solo in letteratura. Probabilmente il contenuto di quell’involuto è ciò che allora la critica deprecava e che è rimasto a un livello embrionale, nel migliore dei casi. Vedi, per esempio, l’opinione accademica nazionale nei confronti della letteratura fantascientifica. Più che altro fu abortita.
    Se oggi si può leggere Il giuoco dell’oca di Sanguineti, per esempio, è perchè Sanguineti fu accolto in un determinato “ceto” culturale perchè, se ne fosse stato estraneo, dubito che qualcuno lo avrebbe pubblicato. Di fatto, la gente “normale” ne legge la poesia, non i romanzi. E qualche volta.
    E, comunque, a mio parere, tutto rimase sperimentalismo. Lo stesso Calvino fu esasperato dalla sequenza combinatoria dei Tarocchi: che si era proposta, che non gli veniva, che mandò all’aria quando passò a La taverna dei destini incrociati. Cambio di tarocco, cambio di prospettiva; e, siccome i tarocchi della taverna erano quelli popolari (i marsigliesi), e quindi più “suggestivi” dei primi (i viscontei) rinunciò allo schema lineare attuato nel Castello.
    Fuori casa mi viene in mente il surrealista Raymond Queneau (Hazard e Fissile?), il patafisico Raymond Roussel (Locus solus?), ma, più di tutto, mi viene in mente Samuel Ray Delany, forse perchè qualcuno ha ventilato un’ipotesi di escheriano nell’opera di The Living Mutant Society. Lo ritengo uno tra i migliori scrittori che abbia saputo interpretare la visione di Escher, e non solo quella. Con un tipo di scrittura oltremodo moderna e perfettamente attuale, anche se allora di internet non esisteva l’ombra.
    Luciano Comida fece un piccolo commento su un lavoretto che avevo scritto a proposito di Dhalgren e che non resi pubblico, primo perchè non faccio la scrittrice, secondo perchè non se era mai presentata l’occasione, terzo perchè di questo genere di scrittura pochi se ne interessano. Ma, visto che questo luogo è inteso anche come omaggio a Luciano, ho pensato di linkare il suo commentino. Dico commentino perchè all’epoca stava già male; se ne parlò ancora in privato ma era già alle prese con ospedali, esami e analgesici. Gli era piaciuta anche la trovata di quello che voi chiamate “work in progress” e insisteva su un altro punto. Giusto per notificare che non sto facendo autoincensamento – tanto la cosa non potrebbe aumentarmi ne diminuirmi -, dico che si può sempre saltare quello che ho scritto io e passare subito al suo commentino.
    Entrare in Dhalgren e scorrere alla fine: http://blog.biblioiconoteca.it/
    ***
    Premesso questo, mi chiedo quanto si possa parlare di “letteratura mutante”, e quanto piuttosto di “letteratura mutata”. Perchè, se è vero che la band di TLMS (The Living Mutant Society) è la prosecuzione di un involuto per il quale non esistevano ancora i tempi e la tecnologia e che rimase a un livello di sperimentalismo (mutante), allora si conviene che la letteratura di TLMS è un prodotto compiuto, cioè mutato. Se non altro, perchè ha compreso perfettamente le esigenze di una letteratura digitale, su e-book, interattiva: e credo che solo lì potrebbe dare il meglio di se stessa.
    Quanto al libro di carta, credo che solo una mente rinascimentale, in senso leonardesco, possa tenere il passo con l’interattivo, e possa scrivere su carta. Il che, mi rendo conto, troverebbe il mercato un po’ spiazzato.
    Purtroppo si è stati abituati a pensare a scomparti. La stessa medicina pensa a scomparti: c’è l’otorino, il cardiologo, il ginecologo. Non c’è più il medico che sa pensare che, se fa male da una parte, la causa sta non nel sintomo ma in un motivo a monte. Si cura il sintomo, non la causa, perchè non c’è più una visione d’insieme sulla malattia. Si tende, in generale e collettivamente, a non avere proprio per niente una visione d’insieme delle cose, dei fatti, della vita, dell’apprendimento, della Scrittura… oh, ci sono arrivata.
    C’è lo scrittore di giallo, quello di rosa, quello di nero, quello di azzurro (è azzurra la fantascienza?), e, se va bene, c’è la commistione. Per forza, dico, uno scrittore si arrabbia se gli viene messa un’etichetta di genere: se la ritrova incollata addosso come una forma mentale ossessiva mentre imbraccia una penna, o la tastiera (che/ma non ha lo stesso impatto freudiano; a meno che non sia lanciata di punta e lontano).
    Capisco che Marco Minghetti abbia voluto fare brain storming: quando proprio più non va, è uno dei migliori sistemi per uscire dal tunnel.
    ***
    A questo proposito, auspico al più presto una bella traduzione in inglese che permetta a TLMS di valicare i confini nazionali ed entrare nel mercato internazionale: sarebbe ora che i primati de “Il nome della rosa” venissero surclassati. Ne è passata di acqua sotto i ponti e di italiano si parla poco all’estero. Tanto più che dall’estero, come letteratura mutante/mutata, ci viene proposto Shiels e la sua Fame di Realtà, di cui se ne è parlato alla nausea in questa sede, e con esito collettivo negativo; se non sbaglio.
    L’auspico prima che ci rubino l’idea e se ne approprino altri.
    Scusate ma sull’Italia sono come una mamma italiana… scherzo.
    ***
    Invece, a non voler essere campanilista, ci sarebbe da menzionare un esperimento statunitense del 1935, sviluppato all’interno del fandom e precisamente sulle pagine di “Fantasy Magazine” che, più che una fanzine, si proponeva – ed era – una rivista professionale realizzata dai fans. In quell’anno, diede il via a una curiosa iniziativa che portò sulle sue pagine numerosi autori di gran nome: in pratica, la rivista fece la richiesta a cinque autori di fantascienza e a cinque autori di storie fantastiche di scrivere una novella su un tema prestabilito, ponendo il limite di poche pagine per ciascuno di modo che ogni autore continuava sullo scritto del precedente collega, per dare corpo a un’unica novella finale.
    Una seconda iniziativa invece, l’anno dopo, aggiunse una difficoltà supplementare stabilendo che la costruzione narrativa a più mani, cominciasse dalla fine della novella fino a risalire all’inizio.
    ***
    Quanto al libro “La mente inVisibile”, credo che non raggiungerà un pubblico semplice, cioè un vasto pubblico. E non intendo il pubblico dell’ultimo “best seller” 🙁
    Entrare nell’ottica è scoraggiante fin dalle prime pagine e un lettore abituato a una scrittura “classica”, per esempio, lo scarterebbe a priori. L’impatto è violento, frammentario, la mente si agita e vaga cercando di capire. Non capisce, ritorna sul già letto, si perde. Sembra quasi che a monte ci sia una protostoria di cui si è perso il controllo, oppure le pagine iniziali; come quando inizi a vedere un film già iniziato e non riesci a entrare nella parte della storia. Chi è il pubblico che lo leggerà? Si scrive per farsi leggere o per leggersi fra addetti ai lavori?
    Per questo dico e mi pare che la collocazione migliore sia quella interattiva, come benissimo la spiegava e interpretava Marco Minghetti; e per come riesco a immaginarmela.
    L’idea è “molto ottima”. Invece nel libro sucarta occorrerebbe: non abbassare il livello di scrittura – beninteso -, ma pianificare in modo più morbido l’entrata del lettore nell’universo di Phil Spector; magari postillando l’origine del Libro dei Contenuti e del Libro della Forma, creando un antefatto scritto in modo “classico” per rendere da subito quella famosa visione d’insieme di cui parlavo all’inizio. E sono solo esempi. Bisognerebbe appunto leggere l’intero libro per fare esempi più appropriati.
    Dal momento che, mi sembra di avere capito, la sfida era anche e appunto dare unitarietà all’apporto e al contributo di più cervelli.

  138. @ Adelchi Battista
    molto, molto suggestivo il cortometraggio. Questo personalmente mi conferma la proprietà costitutiva e la destinazione interattiva di TLMS e dei suoi libri. Solo su carta non rende abbastanza: è mancante. Non fa mutazione.

  139. Ne approfitto subito per ringraziare Antonella Beccari che qui sopra ha scritto un corposo commento che – a mio modo di vedere – fornisce un contributo notevole alla discussione (che spero possa evolversi ulteriormente).
    Grazie, Antonella!

  140. Saluti e ringraziamenti anche a: Luciano Locatelli, Elisa, Angelo Orlando Meloni, Farinata, Alba Contino, Franca Maria Bagnoli, Eva C., Claudio Ferilli, Daniela Bianchi…

  141. E ancora grazie a: Cristina Bove, Matteo Domenico Recine, Alessanro, Anna, Laura Cardinale, Adelchi Battista, Mauro Caporale, Andrea, Ki-Keyra, Guido Silipo, Piero Trupia.

  142. @Antonella: grazie di cuore, hai toccato una serie di punti veramente cruciali, su cui provo a fare qualche chiosa.
    1) L’eredità della letteratura combinatoria. Hai centrato benissimo uno dei riferimenti culturali dei progetti della LiVing Mutants Society. Qui il discorso sarebbe lunghissimo e lo ho già in parte svolto nella introduzione a Le Aziende InVisibili, cui rimando. Mi limito qui ad aggiungere, agli antecedenti letterari citati da Antonella, innanzitutto Cortazar con il suo Ruyela (ovvero Ragnatela ovvero… WEB), che negli anni 60 aveva in qualche modo anticipato le modalità di lettura tipiche degli ipertesti e su Internet (dove ognuno crea il suo proprio percorso di senso); ma se vogliamo andare più a fondo, cosa sono le opere omeriche (che sono alla base di tutta la letteratura occidentale) se non un esercizio di letteratura combinatoria? Nella attuale epoca segnata da quello che potremmo definire una sorta di neoplatonismo digitale, tornare a lavorare in questo modo credo abbia un profondo significato.
    2) L’approccio metadisciplinare. I due romanzi della TLMS sono anche il risultato di una riflessione ormai ventennale fortemente critica nei confronti di quello scientific management (modello cognitivo e operativo che pervade tutto il nostro attuale vivere associato) basato sulla standardizzazione delle attività, l’ostilità verso creatività, innovazione e qualsiasi forma di “mutazione” e la suddivisione dei compiti che produce il delirio della iperspecializzazione che ricordava Antonella. Contro questo modello da molti anni insieme ad una cerchia di persone che si è andata via via sempre più allargandosi, propongo un approccio, denominato Humanistic management, fondato su valori esattamente uguali e contrari a quelli tayloristici e fordisti: la metadisciplinarietà, la creatività, la diversità, la cura verso gli altri, la responsabilità individuale e collettiva, il genius loci, ecc. ma anche l’incrocio fra patrimonio umanistico e nuove tecnologie 2.0 (non a caso assolutamente avversate dagli scientific manager di tutto il mondo). La proposta ha avuto qualche eco tanto che nel 2005 l’Università di Pavia ha creato e mi ha offerto una cattedra di Humanistic management. Per saperne di più vedi il sito http://www.humanisticmanagement.it o anche la relativa voce su Wikipedia, oltre a tutto quanto è stato pubblicato negli ultimi tre anni sul mio blog: http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/
    3) Oltre la carta. Anche qui Antonella ha visto benissimo. Così come è stato per Le Aziende InVisibili (che dopo aver mutato Le Città InVisibili di Calvino si è trasformato in meta-blog, cortometraggi realizzati in Second Life ma anche in real life, esperienze multimediali proposte anche alla Triennale di Milano, eccetera), a maggior ragione La Mente InVisibile (come ho cercato di spiegare sopra) si presta a sviluppare questo tipo di percorsi. Tuttavia anche la versione che abbiamo predisposto per la carta stampata credo abbia una sua possibilità e senso di esistenza: le prime reazioni di chi ha avuto l’opportunità di leggere le pagine in preview ma soprattutto ha letto l’opera nella sua interezza,, mi stanno molto confortando su questo.

  143. Struttura puzzle o caleidoscopica come ha suggerito ieri Marco… o sogno?Chi può dirlo?
    Ciascuno può vedere o leggere a suo piacere la Mente InVisibile.
    Partecipare è stata un bella esperienza, non facile, ma il lavoro di ciascuno di noi può esaltarsi e migliorare con il fattivo contributo degli altri.
    Grazie ai desiderosi di leggere, a quelli che leggeranno e a tutti coloro che ci seguiranno e continueranno a discuterne!

  144. Riprovo, visto che non vedo apparire il precedente commento… immagino si sia perso nei nodi della rete!
    Ho letto La Mente InVisibile praticamente tutto d’un fiato lo scorso week-end… I personaggi si fanno amare e seguire, la struttura narrativa avvince (anche in parte per lo sforzo che chiede al lettore nello scovarla, o meglio, nel ricostruire per approssimazioni successive, un po’ come in un videogame, l’intelaiatura che gli autori hanno deciso di creare / seguire e che Marco ha spiegato nel suo post più sopra). Sono solo rimasta un po’ delusa dalla descrizione del sopramondo quantico… ma forse questo è un mio problema a prescindere da questo libro, spero sempre di trovare il modo di penetrare attraverso le parole un qualcosa che mi affascina ma che invece, non “comprendendo” io i numeri, invece mi è precluso.
    Che altro dire? Che quest’estate conto di rileggerlo, per gustarmi tutto quello che ho solo sfiorato nella prima lettura a rotta di collo, degna del peggior bestseller 🙂
    (e anche che non avevo letto le Aziende InVisibili e a questo punto me lo vado a cercare)

  145. Leggo solo adesso il bell’articolo di Piero Citati pubblicato sul Corriere: gli dei greci abitano il romanzo moderno. Riporto la parte finale, che mi sembra una degna glossa alla discussione svolta fin qui in particolare con Antonella (fra l’altro su tutto questo mi piacerebbe sentire, oltre ai ringraziamenti, anche il parere del nostro anfitrione Massimo Maugeri…): “Più che Apollo, Ermes fu il dio che protesse la letteratura del ventesimo secolo. Non posso che fare nomi: Yeats, Kavafis, Pessoa, Valéry, Walser, Kafka, Musil, Nabokov, Cioran, Caproni, Dylan Thomas, Kundera, Calvino, Perec, persino (nella Montagna magica) Thomas Mann. Essi derivarono tutti i loro doni da Ermes: la molteplicità delle forme: la molteplicità delle strade: la mente variegata: il gioco: l’invenzione: la mistificazione: l’inganno: il viaggio: l’arte dei rapporti; e, sopratutto, quella della fascinazione, che attraeva la mente profonda dei lettori. Un ultimo, giovane erede di Ermes, Paolo Lagazzi, ha appena pubblicato un piccolo libro: Nessuna telefonata sfugge al cielo (Aragno, pp. 135, e l2). È un libro per lettori maturi che finge di essere scritto per bambini; e un libro per bambini che si rivolge agli adulti. Ermes è onnipresente: sopratutto come ladro, istrione, mistificatore, bugiardo, giocoliere. Credo che tutti ne ameranno l’eleganza. Non so cosa accadrà agli dèi greci, e specialmente ad Apollo ed Ermes, nel ventunesimo secolo. Da vent’anni sembrano nascosti. Quasi sempre gli scrittori li ignorano; ed essi sono stranamente spaesati, come se non riconoscessero il paesaggio dei nostri tempi. Forse, sebbene mi sembri impossibile, verranno dimenticati. Forse gli scrittori non hanno più la forza mentale necessaria per rispondere alle loro terribili esigenze. O, forse, la letteratura moderna, della quale essi sono stati signori, è finita qualche anno fa, con Nabokov e Calvino. Tranne pochi casi, quella che noi leggiamo oggi non è letteratura: o è vecchia, noiosa, senza giochi, misteri e invenzioni.”

  146. @ Marco
    Marco, ho riletto daccapo le prime 47 pagine (Kkunn, L’Assillo, L’esaurimento) e per provartelo ti dico che a pagina 19 c’è un “ritocchi” scritto “ritoccchi” e dei trattini all’inizio della pagina spaziati irregolarmente e non uniformi.
    Continuo ad essere dell’opinione che il testo su carta DEVE differenziarsi dalla versione interattiva.
    Non so quale sia il campionario scelto per la preview o per la lettura in toto ma, scommetto, non è la fascia che comprerà. E scommetto che i parametri del suddetto campionario sono troppo alti (d’élite) per dare una misura di mezzo. In ogni caso, lasciare così la versione cartacea sarebbe ridurla alla mappa di una guida strategica di gioco di ruolo e, non ultimo, ma soprattutto: lasciare la versione cartacea identica al testo depositato sull’e-book è una contraddizione perchè, dunque, non avrebbe bisogno di diventare interattiva.
    Inoltre: il feedback economico ha una sua ragione di essere nella misura in cui il pubblico esprime un accoglimento di acquisto. Se non acquista (sempre che la distribuzione sia stata fatta a dovere), significa che l’opera non ha raggiunto risposte e richiami a un bisogno collettivo. Un libro vuole essere letto, ha le prerogative di cambiare la mentalità di chi legge, ha bisogno di una continuità che non riesco a trovare in La mente inVisibile. Scusa se sono così diretta. E sarebbe un peccato se il motivo di non acquisto fosse solo la modalità d’esposizione. Bisogna tenere presente che il lettore di e-book non è ancora arrivato a fare numeri tangibili. Si ha la possibilità di fare anche alta letteratura (cartacea) e bisogna sfruttarla in pieno, in ogni senso.
    Inoltre, anche e perchè, senza un riscontro economico, finisce l’avventura. Per ritornare a Delany, non credo che Dhalgren l’abbia finanziato nei suoi bisogni quotidiani, piuttosto credo che altre sue opere gli abbiano dato di che vivere. E non è certo con Il castello dei destini incrociati che Calvino ha potuto continuare a scrivere. Aggiungo anche che bisogna avere qualche neurone in acido per leggersi Dhalgren o Il giuoco dell’oca di Sanguineti.
    Dimmi quanta gente con una mente eccellente conosci ma che sia al di fuori dell’ambiente letterario (è la conditio sine qua non) che possa essere interessata a un’esposizione così neurotica. Vedo chiaramente il filo conduttore ma non vedo la fabula entrare leggera e insinuarsi con facilità; percepisco invece molto bene la crisi della scrittura che racconta la sua crisi. E’ Ouroboros.
    Quindi: occorre un piano strategico introduttivo, universale, modulato su un linguaggio d’insieme capace di essere inteso da ogni essere intelligente disposto a leggere. Di qualsiasi fascia d’età. Perchè non tutti si interessano di metadisciplina e ancora meno di managing d’avanguardia; ma chiunque, con un po’ di buona volontà, può leggerne la metafora letteraria sotto forma di una storia, e senza chiedersi se stia leggendo un tipo di intersezione, il nuovo ruolo del mecenatismo, una diversa visione dell’identità creativa, uniti all’innovazione tecnologica.
    Insomma, se si vuole combattere la “standardizzazione delle attività, l’ostilità verso creatività, innovazione e qualsiasi forma di “mutazione” e la suddivisione dei compiti che produce il delirio della iperspecializzazione”, bisogna renderla un po’ più facile al lettore medio che di brainstorming razionalizza poco, ma – sottolineo – intuisce molto. E sa scegliere con la facilità del contadino che, guardando la luna, sa quando deve seminare. Perchè quando una battaglia poggia su un fondo di bene, il “popolo” l’appoggia senz’altro. Naturalmente. Senza sforzo.
    *
    Cioé: non tutti hanno bisogno di fare il percorso dal Caos all’Ordine, molti devono fare l’inverso e cioè partire dall’Ordine per arrivare al Caos che è il principio base dal quale partire per ritrovare una propria identità creativa. Anche leggendo. Perchè il doppio filo scorsoio “dal caos all’ordine” presuppone già un ritorno. C’è chi non è ancora partito.
    Lo so che potrebbe sembrare che qui mi esprima in modo oscuro, parlando di Caos e Ordine ma, mentre in una situazione interattiva i sensi sono tutti necessariamente aperti, sulla carta di sensi bisogna percepirne un altro: l’immaginazione. Ad esempio io, non essendo in questo preciso istante in cui scrivo in una situazione di comunicazione interattiva (magari un telefono o una web camera), bensì sulla “carta”, per svegliare il tuo super-conscio devo evocare una bilocazione di eventi temporali coesi (stamattina/stasera; interattivo/carta; la tua risposta veloce/la mia lenta; oggi ho fatto il pranzo di compleanno con la nonna novantaseienne/ tu hai bevuto birra al birrificio di zona; è mezzanotte e non ho più guardato se Letteratitudine è andata avanti con altri commenti però scrivo ugualmente/ma Antonella perchè non risponde? ) tali che tu, Marco, intenda quanto dico.
    Come stai, ora? Hai capito quello che intendo? Disorientato? Che cosa ho detto? Sono pazza?
    Bhè, dopo le prime pagine di La mente inVisibile si sta così, almeno per come è introdotto e legato adesso.
    E’ l“uomo/lettore della strada” come starebbe?
    Male, ti dico. E lascerebbe la presa dopo le prime pagine.
    … “introduttivo, universale, modulato su un linguaggio d’insieme capace di essere inteso da ogni essere intelligente disposto a leggere” …
    *
    A meno che, appunto, non si volesse fare letteratura mutante (sperimentale), come giustamente ti esprimi quando dici LiVing Mutants (not mutated) Society; e non mutata. Ma allora siamo daccapo. L’aveva già fatta il Gruppo 63.
    Sono convinta che la “bilocazione” carta/interattivo sia una carta vincente, una sorta di Il Carro (il tarocco) che, proprio a causa del percorso parallelo imposto ai due cavalli (carta e interattivo) trova la sua forza; ma il cavallo-interattivo non può essere nello stesso spazio del cavallo-carta se vuole spingere il carro. E viceversa.
    *
    Infine ti ringrazio per la bella possibilità di essermi potuta esprimere. Trovo che tu sia un individuo molto intelligente. E ringrazio anche Massimo per il suo incredibile impegno giornaliero che permette di leggere e imparare ogni giorno e di trovare utili spunti in ogni senso.
    (A proposito, dove è scritto l’autore di ogni racconto nel libro? Nel libro ho riconosciuto la penna della donna e quella dell’uomo ma, non conoscendo lo stile di ognuno, non saprei dire).

  147. E va be’, Marco, ti faccio un buffetto.
    Quando Citati dice: “Non so cosa accadrà agli dèi greci, e specialmente ad Apollo ed Ermes, nel ventunesimo secolo” (ma ormai quella del ventiduesimo), ti svelo che, se vuoi sapere dove sono finiti/finiranno gli dei dell’Olimpo devi andare a leggerti una storia di Roberta Rambelli, e precisamente “Profilo in lineare B”.
    Certo l’accademia insorgerà ma tu sta zitto, leggilo e non fare pubblicità.

  148. cara Antonella, grazie a te per il confronto intellettuale che mi consenti e gli stimoli di riflessione che mi offri. Tutti i temi che sollevi sono importanti e sono oggetto da molti ani delle mie riflessioni e delle scelte che ne conseguono. Provo a reagire su alcuni punti.
    1) Versione cartacea/ebook. Vorrei fosse chiaro che il testo pubblicato sotto forma di romanzo NON è quella che era stata inizialmente predisposta per realizzare una applicazione per iPAd (che è cosa del tutto diversa da un ebook, naturalmente: su questo sto avviando una discussione che pernso di proseguire nei prossimi giorni qui: http://marcominghetti.nova100.ilsole24ore.com/2011/07/alice-annotata-1.html). Come ho cercato di spiegare sopra, rispetto al testo iniziale sono state tagliate oltre 100 pagine e soprattutto la gran parte delle indicazioni che erano state pensate per guidare il software dell’applicazione (che ricalcavano la “colonna a margine” de Le Aziende InVisibili, un esempio della quale opportunamente Massimo Maugeri ha proposto in apertura di questo thread). Se poi questo testo risulta poco fruibile o scarsamente appealing questo è un altro paio di maniche. Devo dire tuttavia che la pubblicazione in preview delle prime 47 pagine ha già fruttato l’interesse di due case editoriali che si sono proposte per la pubblicazione, un centinaio di giudizi positivi (se non addirittura entusiasti) pubblicati in parte anche qui, in parte sul sito ilmiolibro, in parte ancora su Facebook e persino una ventina di copie vendute nonostante il prezzo di copertina tenuto volutamente alto – quasi il doppio rispetto alla media dei testi pubblicati in self publishing. Ma il dato più significativo sono gli oltre 2000 Like ottenuti dalla community letteraria di Facebook che fanno de La Mente Invisibile di gran lunga il romanzo più gettonato di tutti quelli proposti sulla piattaforma ilmiolibro. Certo non sono i dati dei libri di cucina della Parodi o dei gialli di Faletti. Ma in quanti hanno letto (interamente) non so Infinite Jest di Wallace? Il paragone è assolutamente sproporzionato ma voglio dire che esiste un pubblico anche per opere sperimentali che cerchino di evitare l’appiattimento e lo squallore della banalità contemporanea (pur rappresentandola magnificamente). Il Gruppo 63 o i seguaci di Queneau si sono posti in questa linea che ha avuto mi sembra un notevole seguito di pubblico e soprattutto un influsso importante su tutti coloro che hanno scritto dopo. Certo è un approccio che adesso mostra qualche limite, ma ciò non toglie che possa essere ripreso e rinnovato (vedi i vari Luther Blissett, Wu Ming e via dicendo: ancora una volta beneficiati da un buon successo anche di pubblico).
    2) Letteratura combinatoria e affini. Il riferimento a Wallace è utile anche per sottolineare che esiste nel romanzo moderno un filone importante e tutto sommato popolare di letteratura non lineare che affonda le sue radici nel romanzo picaresco alla Don Chisciotte ma soprattutto nel Tristram Shandy di “Yorick” (non a caso il riferimento di Wallace) Sterne per arrivare a testi tipo La vita istruzioni per l’uso di Perec. E per quanto riguarda Calvino tu insisti con il Castello dei destini incrociati, ma trascuri il fatto che il testo scelto per realizzare la mutazione de Le Aziende InVisibili è Le Città Invisibili, di gran lunga il testo più venduto di Calvino in Italia e nel mondo. E per La Mente InVisibile il riferimento è quell’esempio perfetto di letteratura combinatoria che è la Bibbia, in testa ai libri più venduti da qualche secolo.
    3) Dis-orientamento. E’ proprio uno degli obiettivi che mi propongo. Disorientare il lettore per costringerlo a ri-orientarsi. Prima fra gli Episodi del libro ma poi fra i modelli interpretativi alternativi al Pensiero Unico dominante che cerca di imporci (riuscendoci ahimè) la Verità Assoluta (quella voluta dalla Internazionale della Casta mafiosa che controlla i luoghi di potere in Italia e nel mondo) in tutti gli aspetti della nostra vita quotidiana, a livello personale, sociale, politico, economico. Troppo ambizioso? Utopico? Forse. Ma non avere sogni ha un unico risultato: lasciare il mondo così come è. E a me il mondo così come è non piace. Per nulla.

  149. ……… perchè proprio la stessa accademia italiana, a cui apparteneva anche Calvino, ha decretato la fine dell’immaginazione in Italia, bocciando violentemente tutti quei geni letterari che stavano nascendo e che, è vero, spesso (ma non sempre) non raggiungevano ancora il capolavoro o molto spesso si arenavano su territori di scarsa qualità letteraria, ma stavano preparando il terreno e introducendo un tipo di letteratura che avrebbe ridato la “forza mentale” – di cui parla Citati – per la letteratura contemporanea.
    L’intolleranza verso questo popolo sommerso di defenestrati “poeti” è stato un grave errore, quando addirittura non ha lasciato letteralmente dimenticati, veri geni della letteratura. Vedi Anna Maria Ortese, un esempio classico di letteratura compiuta di cui il “lettore della strada” sa poco e nulla, spesso nemmeno l’esistenza; e che, in altra sede, ho definito un’esponente del realismo magico. Quanto a Calvino il lettore della strada, di solito, non va oltre la trilogia, qualcuno arriva alle fiabe, e non sono stati certo i testi “sperimentali” che hanno cambiato la testa della gente.
    Se non si arriva al cuore della gens, non si arriva da nessuna parte. Non è secondario che quello che decreta l’accademia finisce sui banchi di scuola e quello resta a chi ne esce.
    Lo scrittore, nella sua qualità vaticinante e preveggente, ha anche la prerogativa, oltre che il compito, di farsi interprete della voce collettiva e spegnerne una parte è stata la naturale conseguenza dell’involuzione a cui stiamo assistendo oggi. Sto ancora parlando di letteratura.
    Per questo è importante superare il grave errore del Gruppo 63: per non ripeterlo. Fare sperimentazione funziona nel momento in cui diventa da mutante mutato. E’ in quel momento che cambia le sorti della letteratura. E per diventare il mutato deve accorparsi prima tutta l’eredità letteraria di una lingua e poi restituirla nuova, cioè superata, entro gli schemi della stessa lingua. Perchè, se uso una lingua diversa nessuno mi capisce, o solo chi (il popolo eletto) è stato iniziato ai nuovi segni (geroglifici?) ma si tratta di studiare daccapo una nuova lingua. L’esperanto non ha avuto quella fortuna che si sperava; di fatto oggi la lingua mediatica è l’inglese, una lingua preesistente, non studiata a tavolino.
    Di fatto, ripeto, una letteratura cambia anche con l’apporto dei non-lettori/non-scrittori che però hanno eccellenza in altri campi e, tu me lo insegni, è il brain storming collettivo che crea l ‘ “incidente”, l’ “inaspettato”, il parto. Infine, il capolavoro nasce quando il brain storming collettivo succede all’interno di un unico cervello, cioè un’unità (miracolo!). Ma questa è un’altra storia.
    Tant’è che, per arrivare al capolavoro, bisogna passare attraverso l’umiliazione della semplicità, e questo non tutti sono disposti a farlo.
    *
    Grazie ancora, Marco, per l’attenzione. Ora devo spostare la mia sulle mie competenze. Buona giornata.

  150. @ Marco: “Troppo ambizioso? Utopico? Forse. Ma non avere sogni ha un unico risultato: lasciare il mondo così come è. E a me il mondo così come è non piace. Per nulla.”
    *
    Marco, sfondi la biblica porta aperta: sono un’accesa sostenitrice dell’utopia. Non appena me lo si consente dico sempre che il mondo va avanti in forza dell’utopia, non certo delle certezze.
    *
    Non so se ci siamo capiti: a me il tuo La mente inVisibile piace, nell’insieme. L’altro giorno ho chiesto alla biblioteca di zona di procurarlo perchè sono dell’opinione che dovrebbe essere bene in vista sullo scaffale pubblico. Ma non sarebbe il libro che mi porterei sul Titanic sapendo di salvarmi perchè non mi porta sulla strada della mia identità creativa. Brain storming lo faccio tutti i giorni e ho bisogno di calmare le acque del mio cervello, non sollevarle.
    I dati di vendita che mi riferisci significano che c’è un pubblico in grado di recepire il tuo messaggio e, dunque, significa che hai colto nel segno. Significa che c’è ancora una parte vitale che ha voglia di superare se stessa.
    Però non dimenticare chi vorrebbe farlo e non ha gli strumenti per farlo. Lo scrittore è anche uno stregone e deve attrarre con l’inganno. Un inganno buono.
    I miei complimenti per il buon lavoro: posso immaginarmi quello che ci sta dietro.
    Ora proprio devo staccare.

  151. questa parte finale del dibattito mi sembra molto alta e, per i miei gusti, entusiasmante. perquesto ringrazio marco minghetti e antonella beccari.
    grazie ad entrambi.
    e grazie a massimo per lo spazio che mette a disposizione di tutti.

  152. mi inserisco dopo aver letto con interesse e partecipazione i commenti che mi precedono e che trovo stimolanti e ricchi. “complessità” non è una vox media. significa le contraddizioni e le amplificazioni che promette. non è una sfida per l’umanità contemporanea. piuttosto, ne è l’anima. con parole di calvino, il morso delle termiti consuma la materia meno digrezzata mentre è meno efficace sulla filigrana sottile del racconto. raccontare, individuare memorie, segni, desideri. un lavoro importante, nella vita collettiva, individuale e in azienda. complimenti, marco.

  153. qualunque progetto innovativo è ben-arrivato. E questo progetto sembra proprio esserlo.

  154. C’è sempre la necessità di una nuova frontiera. Ogni letteratura (ogni espressività letteraria) deve per forza scoprire nuovi spazi narrativi. Sono convinto che il lavoro di Marco Minghetti e della Living Mutant Society vada in questa direzione. Non è un’operazione creativa fine a se stessa, bensì la colonizzazione di territori inesplorati dove la bussola è la parola e il sestante è la creatività.

  155. Da musicista e produttore sento la presenza del suono tra le righe e sulle pagine della Mente. Sarebbe un Radio Drama coi fiocchi. O forse, una Radio Saga??

  156. Ne approfitto per ringraziare e salutare, oltre a Marco e Antonella per lo scambio, gli autori dei più recenti commenti.
    Un caro saluto e grazie a: Adriana, Giacomo Tessani, Lia Maranto, Alfredo Accatino, Angelo Ricci, Francesco Lenzi.

  157. Le aziende in-visibili è stato un progetto fantastico e divertente di scrittura collettiva – continuamente in fieri per un lungo periodo – di un libro.

    Io ho collaborato o curato altre iniziative in questo senso e non tutte hanno avuto il medesimo tocco entusiastico.

    Poche righe scritte, certo; ma che hanno avuto una simpatica grande presenza per il fatto di essere … mutanti tra mutanti

  158. Mi sembra di vedere tanti sottilissimi fili che si intrecciano per creare una ragnatela perfetta…un genere che non conoscevo ma che comincio ad apprezzare. Bravo.

  159. La Mente Invisibile.

    Il tuo modo di scrivere mi ricorda William Gibson e Philip Dick. Strepitoso!

  160. Buongiorno a tutti e scusate il ritardo del mio intervento. Sono contento d’aver partecipato a questo progetto che all’inizio temevo non riuscire a portare a termine. Lavorare in un ambito collettivo, sviluppare una propria idea tenendo presente quella degli altri mutanti e con un occhio alle sacre scritture e alle aziende invisibili, mi ha dato l’impressione di un neo-oulipo, un modo di porsi dei limiti e delle regole che però non hanno costretto la creatività, anzi! io ho potuto lavorare su due livelli molto diversi, per quel che concerne l’aspetto letterario: da un lato la scrittura degli episodi del cadavatar Omar in stile tipicamente horror-fantascientifico (e qui il lavoro di Marco è stato fondamentale a evitare derive metafisico-oniriche a favore dei momenti d’azione e ogni suo suggerimento mi ha sempre stimolato a inventare sempre nuove soluzioni), dall’altro la scrittura degli episodi di Ben Wildenbrot: in questo caso ho utilizzato twitter come ‘schema metrico’ nel senso che ogni episodio con le relative note del glossario predigit, contano 140 caratteri. In questo caso la scrittura è molto sperimentale e di ‘ricerca’, il personaggio è nuovo rispetto a quelli provenienti dalle aziende invisibili e poi c’è il discorso delle formule derivate dalla fisica quantistica, formule utilizzate per ‘tradurre’ in termini meta-fisici quello che accade in ogni singolo episodio, per spiegare il rapporto tra i protagonisti, insomma per tradurre la trama letteraria in equazioni pseudo-matematiche, sulla falsariga di sentenze bibliche, una sorta di interpolazione. Così ogni episodio di Predigit prende come spunto nozioni e concetti della fisica: il teletrasporto quantistico, la teoria del caos, la seconda legge della termodinamica ecc ecc però invece di far interagire forze, masse, campi magnetici e particelle, ho utilizzato i personaggi dell’episodio, come se la lotta tra bene e male, per esempio, fosse a tutti gli effetti una rappresentazione letteraria di una più generale regola micro-macro-cosmica. Probabilmente la realizzazione digitale con la possibilità di andare a vedere il link sotteso all’episodio, avrebbe reso i fatti di Predigit più ‘fruibili’. Spero comunque che Predigit possa evolvere in un ulteriore ‘progetto’. Detto questo ringrazio Massimo per l’ospitalità e tutti coloro che hanno espresso il loro giudizio. Ringrazio ancora una volta Marco e i mutanti e resto a vostra disposizione per ulteriori chiarimenti. A presto e buona giornata!

  161. Caro Gianluca, grazie mille per il tuo bell’intervento.
    Ne approfitto, ancora una volta, per fare i complimenti e augurare tanta fortuna a questo progetto e a tutti i membri della Living Mutants Society.

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