Quando Miriam Ravasio mi ha chiesto di discutere qui a Letteratitudine del nuovo romanzo di Pennac, Diario di Scuola (Feltrinelli. 2008, pagg. 241, euro 16), magari coinvolgendo alcuni dei frequentatori abituali di questo blog, io le ho detto subito di sì. E le ho dato carta bianca.
Ne è venuto fuori, come vedrete, un ottimo lavoro di gruppo… sulla base del quale sarà possibile avviare – ne sono convinto – un interessante dibattito.
Prima di lasciare la parola ai “quattro moschettieri di Letteratitudine” (così si sono autodefiniti per “bocca” della Ravasio) vi fornisco, con l’aiuto di wikipedia, una breve scheda biografica di Pennac.
Daniel Pennac, pseudonimo di Daniel Pennacchioni (Casablanca, 1944), è uno scrittore francese.
Nato in una famiglia di militari, passa la sua infanzia in Africa, nel Sud-Est asiatico, in Europa e nella Francia Meridionale. Ha vissuto in Etiopia, Algeria, nell’Africa Equatoriale. Ha fatto anche il mozzo lungo la Costa d’Avorio. Pessimo allievo, solo verso la fine del liceo ottiene buoni voti, quando un suo insegnante comprende la sua passione per la scrittura e al posto dei temi tradizionali gli chiede di scrivere, a puntate settimanali, un romanzo. Ottiene la laurea in lettere all’Università di Nizza, diventando contemporaneamente insegnante e scrittore. La scelta di insegnare, professione svolta per vent’otto anni a partire dal 1970, gli serviva per aver più tempo per scrivere durante le lunghe vacanze estive. Da subito,però, Pennac si appassiona alla professione di insegnante. Inizia l’attività di scrittore con un pamphlet contro l’esercito (Le service militaire au service de qui?,1973) in cui descrive la caserma come un luogo tribale che poggia su tre grandi falsi miti: la maturità, l’eguaglianza e la virilità. In tale occasione, per non nuocere a suo padre, militare di carriera, assume lo pseudonimo Pennac, contrazione del suo cognome Pennacchioni. Abbandona la saggistica in seguito all’incontro con Tudor Eliad, con il quale scrive alla fine degli anni 1970 due libri burleschi di fantapolitica (Les enfants de Yalta, 1977 e Père Noël, 1979) di scarso successo commerciale. In seguito decide di scrivere racconti per bambini. Nel 1980 si reca per un anno in Brasile dove abbozza metà di un romanzo di cui riprenderà anni dopo le idee scrivendo Messieurs les enfants (1997). Ma soprattutto scopre il romanzo giallo, leggendo Louis Berretti di Henderson D. Clark. Successivamente, scommettendo contro amici che lo ritenevano incapace di scrivere un romanzo giallo, scrive Au bonheur des ogres (Il Paradiso degli Orchi) pubblicato nel 1985 in una nota collana di romanzi gialli, e dal quale nasce involontariamente la serie di Belleville. Successivamente i romanzi gialli sono stati spostati dalla casa editrice (Gallimard) dalla collana di romanzi polizieschi alla collana di narrativa. È sposato dal 1979 con Juliette, architetto, con cui ha due figli, e vive nel quartiere di Belleville.
Pennac è diventato noto con i romanzi che girano attorno a Benjamin Malaussène, (di professione capro espiatorio) alla sua inverosimile e multietnica tribù (composta di fratellastri, sorelle veggenti, madre sempre innamorata e incinta) e a un quartiere di Parigi, Belleville. Nel 1992 Pennac ha ottienuto un grande successo con Come un romanzo, un saggio a favore della lettura.
« L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire ».
(Massimo Maugeri)
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Diario di scuola di Daniel Pennac
Presentazione di Miriam Ravasio (autrice de L’Occhio alato)
Canto della somaraggine o della sofferenza condivisa del somaro, dei genitori e degli insegnanti, quella “sofferenza di non capire e i suoi danni collaterali”. Pagine vibranti di amore dolce e furioso per gli esclusi, che Pennac definisce i “passionari del fallimento” e per gli insegnanti “salvatori”, quelli che non mollano mai, artisti nella trasmissione della loro materia. “Nessuno è più pronto a cazziarti di un professore insoddisfatto di sé stesso”, ma “è sufficiente un professore – uno solo! – per salvarci da noi stessi e farci dimenticare tutti gli altri”.
Una magistrale lezione pedagogica, divisa in parti che voglio riassumere così: il somaro, la somaraggine, l’amore. Pagina dopo pagina il lettore ripercorre tutte le tappe di Pennac, Daniel Pennacchioni, bambino che andava male a scuola “non capivo, ero più indietro del cane di casa”. Testimonianze, analisi, riflessioni e prese di posizione nette e anche provocatorie che non mancheranno di sollevare polemiche: un testo dirompente, da leggere e studiare. Un testo sull’organizzazione del sistema scolastico francese, dalla sua istituzione ad oggi. Dallo “zio Jules”, Jules Ferry che assicurò l’istruzione pubblica obbligatoria, al “bambino cliente” e alla sua “Nonnaccia Marketing”.
E’ quasi impossibile, anche con la disamina più attenta, comprendere i temi del libro, perché Pennac ci offre il cuore, la sua professionalità e lo spirito critico dello scrittore, attento al mutare delle abitudini e delle classi sociali. Per riuscire nell’intento ho chiesto aiuto agli amici del blog: Carlo Sirotti (detto Speranza) che con me coordinerà il dibattito, Simona Lo Iacono ed Enrico Gregori interverranno con approfondimenti relativi alle loro rispettive competenze: tutela dei minori e informazione.
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DIARIO DI SCUOLA di Daniel Pennac
recensione di Carlo Speranza (nell’autocaricatura in basso)
C’è una visione un po’ tradizionalista dello studio visto come duro lavoro e sacrificio: l’immagine è quella dell’Alfieri che si fa legare alla sedia per imporsi lo studio dei classici (sarà poi vera o frutto dell’aneddotica ?); comunque una concezione dell’impegno allo studio fatto di sudore e lacrime che si è abbattuta inesorabilmente su generazioni intere di studenti. Personalmente mi ha sempre terrorizzato e forse è per questo che non ho mai amato l’Alfieri. Anzi, debbo confessare che continuo a detestarlo ancora oggi.
Daniel Pennac già nel suo precedente “Come un romanzo” esponeva un decalogo di diritti del lettore che capovolgeva questo concetto asserendo: 1 – Il diritto di non leggere; 2- Il diritto di saltare le pagine; 3 – Il diritto di non finire il libro; 4 – Il diritto di rileggere; 5 – Il diritto di leggere qualsiasi cosa; 6 – Il diritto al bovarismo (malattia testualmente contagiosa); 7 – Il diritto di leggere ovunque; 8 – Il diritto di spizzicare; 9 – Il diritto di leggere ad alta voce; 10 – Il diritto di tacere.
Leggere (e per estensione studiare) è quindi innanzitutto un diritto e dovrebbe pertanto essere anche un piacere. E compito di un buon maestro (per estensione anche quello della scuola) quello di insegnare ad apprezzare tale godimento. Con questo suo recente “Diario di scuola” Pennac, fedele a questa impostazione, racconta con bravi flash vicende autobiografiche di una vita trascorsa al di là e al di qua della cattedra, e ce le narra sia dal punto di vista dello studente “somaro” (perché il Daniel Pennacchioni della vita ne è stato per sua stessa ammissione un caso tipico e apparentemente senza speranza), sia dell’insegnante (professione poi da lui effettivamente esercitata), che della famiglia, la sua. E poi c’è la scuola, questo istituto a torto o a ragione così sempre più bistrattato al giorno d’oggi, che torna in queste pagine ad assumere talvolta una dimensione umana: perché in fondo ben prima dei programmi ministeriali, dei giochi della politica e delle sue riforme, la scuola è innanzitutto una comunità fatta di allievi ed insegnanti, che si devono continuamente confrontare tra di loro, che devono imparare a conoscersi a fondo e ad accettare di svolgere ognuno il proprio ruolo per permettere a tutti di “diventare”. Perché poi nella vita ognuno “diventa” qualche cosa: e in qualche modo, grazie a tre o quattro insegnanti non necessariamente consci dell’opera salvifica che stavano svolgendo, la scuola alla fine ha permesso anche al “somaro” e pluriripetente Daniel Pennacchioni di “diventare” magicamente il professore e lo scrittore Daniel Pennac.
Perché la scuola alla fine dipende solo dagli insegnanti: ci sarà sempre quella dei bravi maestri che riescono a salvare i “somari” da una mancanza di prospettive e di un futuro e quella che per tali studenti senza speranza sarà sempre un incubo, una prigione della propria anima, un’entità ostile, fonte di malessere e di alternative compensatorie che talvolta possono sfociare nella violenza, nell’asocialità, talvolta nella delinquenza; sicuramente nell’ignoranza e nella facilità a rimanere acriticamente strumenti e vittime del consumismo e dei mali della nostra società.
E privi della capacità di apprezzare il piacere della conoscenza, perché in fondo il segreto è tutto lì: l’insegnante che non riesce a trasmettere ai suoi allievi la propria passione, il proprio “amore” (ah, questa parola che sembra così inappropriata nel contesto scolastico, quasi scandalosa!), sarà destinato a trasmettere solo nozioni e solo a chi è pronto a recepirle, a quelli che sono i “bravi” della classe, quelli che ne hanno meno bisogno perché alla fine andranno avanti comunque.
La conoscenza del non sapere (l’essere stato asino) si rivela quindi uno strumento in più per l’insegnante, ma non sufficiente se priva di una certa forma di amore. Il libro si chiude con una bellissima metafora sulle rondini che vanno a sbattere sui vetri, e quelle rondini sono gli studenti, gli allievi meno capaci. “ Sono i nostri studenti. Le questioni di simpatia o di antipatia per l’uno o per l’altro (questioni quanto mai reali, ci mancherebbe!) non c’entrano. Nessuno di noi saprebbe dire il grado dei nostri sentimenti verso di loro. Non di questo amore si tratta. Una rondine tramortita è una rondine da rianimare, punto e basta”.
Un libro di ricordi e di riflessioni, ma fatto essenzialmente di piccoli dettagli che suggeriscono anche grandi temi pedagogici (la diversa percezione del tempo tra un grande ed un bambino, il diverso senso del presente e del futuro, l’importanza dell’autostima e della fiducia in se stessi, il senso di piccoli ma importanti rituali come l’appello mattutino in classe, …ecc.), che dovrebbero essere materia di interesse per gli insegnanti, per i genitori, per gli studenti, ma poi anche al di fuori di qualsiasi categoria, perché lo stile è quello del Pennac di sempre, leggero e frizzante come quello dei romanzi della saga del signor Malaussène e della sua stramba famiglia. Uno stile che vuole rispettare il diritto al piacere della lettura seminando qua e là gli elementi che possano costituire una seria materia di riflessione. Se il lettore vorrà coglierli: è pur sempre solamente un suo diritto.
Carlo Speranza
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L’evoluzione legislativa in tema di tutela dei minori.
di Simona Lo Iacono (nella foto in basso)
La storia dei bambini ha gambe corte. Fiato di sogni. Salti di gambero.E’ una storia piccola e soffiata in vasi di vetro. E’ una storia breve, anche, a volte percorsa dal tempo con balzi di lepre.
Storia, poi, non è neanche. Piuttosto voce. Tradita, a volte. Mal compresa, affogata in apparenze.E comincia tardi. Perché prima del XX secolo neanche esisteva. Solo col nascere della famiglia borghese e della rivoluzione industriale, infatti, si afferma una cultura di protezione del bambino.
Ma tutto è ancora lasciato alla famiglia, senza nessun riscontro giuridico esterno. Il primo organismo internazionale che si occupi di bambini, il Comitato di Protezione per l’Infanzia, fu costituito dalla Società delle Nazioni solo nel 1919. Al 1924 risale invece la prima Dichiarazione dei Diritti dell’Infanzia che precisa la responsabilità degli adulti nei confronti dei minori.E nel 1946 nasce l’Unicef, una struttura creata dall’ONU, specializzata per l’infanzia, che nel 1953 diventa una organizzazione internazionale permanente. Nel 1959 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite proclama all’unanimità la Dichiarazione dei Diritti dell’Infanzia. E nel 1989 sancisce la “Convention on the Rights of the Child”, approdo di una graduale evoluzione della coscienza giuridica e origine delle successive iniziative legislative all’interno dei singoli stati.
I suoi principi infatti sono stati inseriti nel testo di 14 costituzioni nazionali, e sono stati immessi nei programmi di studio di vari paesi. Ad essa fanno esplicito riferimento
la Convenzione europea sull’esercizio dei Diritti dell’Infanzia (1996), la Carta africana sui diritti e il benessere dei bambini, la Convenzione dell’Aia per la tutela dei minori in materia di adozioni internazionali (1993), la Dichiarazione di Madrid sugli aiuti umanitari (1995), la Dichiarazione di Stoccolma contro lo sfruttamento sessuale dei bambini (1996), la Convenzione ILO n. 182 sulle peggiori forme di sfruttamento minorile (1999), la Risoluzione del Parlamento europeo sul traffico dei bambini (maggio 2001). Il testo della convenzione salvaguarda il diritto del bambino di vivere, essere accudito, rispettato, amato nella sua identità e nelle propensioni che manifesta.
Preserva dagli attacchi dell’indifferenza il suo inviolabile diritto ad essere istruito.
Proclama con forza la sua minorità e in ossequio ad essa lo tutela dallo sfruttamento e dall’abuso.
Sottolinea che ogni suo diritto è paritario e non ve ne sono alcuni sovraordinati ad altri. Inneggia a gran voce all’interesse supremo del minore, non subordinabile ad alcuno.
Eppure.
Nella pratica quotidiana del tribunale vivo faide sanguinarie tra genitori scissi e in battaglia. Campo di sterminio è il cuore dei figli, la loro aspirazione all’unità e al sogno.
Talvolta me li vedo sfilare innanzi infagottati e incappucciati. Lo zaino barcollante sulla schiena. Le mani sporche d’inchiostro. Gli occhi cespugliosi e abbacinati dal pressare di un pensiero. E allora mi dico che è vero, sì, che oggi il bambino è un soggetto giuridico attivo, centro di imputazione di inviolabili interessi. Che può immaginare il proprio futuro, anche se non in tutte le parti del mondo. E ha colori variopinti come la coda di un pavone, e carte stampate con tanto di bollo in cui è scritto che esiste.
Ma la sua voce è ancora flebile perché dipende dal destino di un adulto.
C’è una storia non scritta in alcuna convezione né in alcun codice. C’è un sussurro che non appartiene alle statistiche ufficiali e alle sentenze che pronuncio in nome del popolo italiano. Ed è quella della solitudine dei bambini: non nasce dal riconoscimento di alcun diritto, né dalla proclamazione di testi legislativi. E’ storia di tutti i giorni. E dipende da noi.
Simona Lo Iacono
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Il parere di Enrico Gregori
Pennac, a mio avviso, ha sempre avuto il pregio di comunicare pensieri profondi quasi sempre con leggerezza. E forse la lievità è proprio lo strumento adatto a trasmettere i pensieri più “ostici”. Mi interessa molto la riflessione sulla scuola. Forse gli istituti scolastici non sono sempre adeguati alla formazione, ma è molto più facile che la natura criminogena sia insita nell’individuo a prescindere dalla sua frequentazione scolastica.
Molto più spesso, direi, l’insegnante e la materia possono essere un salvagente per chi non ha mai visto altro che la bruttura e la disperazione. La cultura, a volte, funge da redenzione sincera anche per chi si trova ristretto in carcere. Quindi è ben possibile che possa funzionare come riscatto nei confronti di un giovane “incensurato”.
Quanto ai media credo che non vadano esaltati ne demonizzati. Ritengo che vadano accettati come forma di comunicazione. Se questa è corretta (purtroppo non sempre è così), fornisce gli strumenti per accostarsi ai fenomeni. Ma su questi, poi, è necessario che uno lavori e rifletta con la propria sensibilità. Se, invece, si lascia guidare da slogan e frasi fatte come fossero bastonate sul groppone, allora la condizione di “somaro contemporaneo” diventa inevitabile.
Era il 1967 quando scoppiò il “caso Zanzara”. Questo il nome del giornale scolastico del nobile” liceo milanese “Parini”, “colpevole” di aver pubblicato una piccola inchiesta sulla sessualità dei giovani.
Un articolo che, oggi, farebbe ridere persino i ragazzi della scuola media.
Eppure all’epoca fu una bomba, se non altro perché il maggio francese era ancor di là da venire. Tv e giornali si gettarono a corpo morto sulla notizia. Ovviamente ciò che fu sottolineato fu lo scandalo, il folclore, il colore.
L’atteggiamento di chi guarda la scuola con piglio severo e cattedratico.
Nel corso degli anni, fino ad arrivare a oggi, non sembra che siano trascorse 41 primavere.
Il “68”, la “pantera”, le occupazioni, i problemi didattici continuano a essere analizzati da un punto di vista superficiale e senza entrare nel merito.
In pieno 2008, quindi, se un alunno delle elementari crea una statuetta o compone un disegno, si è portati a considerare la manualità, l’impegno e la bravura tecnica. Sorprendendosi, magari, di come un bambino di 8 anni possa fare certe cose.
Si indaga poco, poco si considera ciò che ha condotto il bambino alla sua creazione. Il cuore, i pensieri, l’anima passano in secondo piano.E invece, probabilmente, sono questi elementi da tenere in considerazione. Per comprendere, se si vuole, piuttosto che giudicare.
Enrico Gregori
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Il somaro, la somaraggine, l’amore
di Miriam Ravasio
IL SOMARO
Il somaro di Pennac, è un disadattato senza fondamento storico, senza ragione sociologica, perché lui figlio di laureati era somaro come altri “un archetipo senza unità di misura”. Un escluso, elemento di disturbo per l’istituzione scolastica e incompreso a casa. Al punto che la madre, nell’epilogo, messo ad introduzione del racconto, non gli riconosce nemmeno il successo: Il mio avvenire le parve subito talmente compromesso che non è mai stata davvero sicura del mio presente. Perché il somaro si racconta ininterrottamente la sua somaraggine: faccio schifo, non ce la farò mai. Per loro, la scuola è un club di cui si vietano, da soli, l’accesso. Giorni e ore di scuola e di fatica per comprendere quelle parole, così facili per gli altri, e che lui ripeteva instancabilmente, come bocconi masticati senza inghiottire fino alla totale decomposizione del sapore e del senso. Sofferenza e comicità, momenti di abbandono e voglia di riscatto, impotenza e compiacimento, perché “il somaro oscilla fra lo scusarsi di essere e il desiderio di esistere nonostante tutto”.
LA SOMARAGGINE
La somaraggine, è lo stato di solitudine e impotenza che pervade il somaro; un insieme di sentimenti e reazioni che cristallizzano l’inettitudine in odio, e in lotta aperta contro “il mostro scuola che vuole mangiarmi il cuore”. La somaraggine è anche un rapporto che muta, che vive di condizioni e nuove difficoltà. Pennac ricostruisce, per noi, attraverso i suoi ricordi di allievo e poi di docente, la nuova condizione del somaro. Dal vendicatore solitario, un po’ alla Gian Burrasca, al “renitente” contemporaneo che non è più bambino, nemmeno adolescente ma ha gli aspetti di una nuova categoria: è un consumatore, un bambino cliente. Mentre il somaro di ieri provava una gioia cupa nel sentirsi incomprensibile ai privilegiati del potere, lasciando comunque aperto uno spiraglio al recupero; oggi, il somaro-cliente, forte della sua maturità commerciale si preclude ad ogni intervento. Perché dovrebbe abbandonare questa sua “veste” per la posizione dell’allievo obbediente, che lui reputa infantilizzante? “Per quanto somaro sia in classe, non si sente forse padrone dell’universo quando, chiuso in camera sua, è seduto davanti alla sua consolle?”
L’AMORE
L’amore è liberare il somaro dal suo pensiero magico, che come in una fiaba lo inchioda in un eterno presente. E’ l’amore degli insegnanti che non si lasciano ingannare dalle ammissioni d’ignoranza. Diario di scuola si conclude con un dialogo filosofico fra Daniel Pennac, docente e scrittore di successo, e Daniel Pennacchioni, somaro. Sono domande e risposte sul Sapere e l’Ignoranza; il Sapere comprende l’Ignoranza o ne ha già elaborato il lutto? “Lo studente che va male, non ha mai la sensazione di essere ignorante. Io non mi trovavo ignorante. Io mi trovavo coglione” Pennacchioni risponde con sicurezza all’incalzare delle domande, rifiutando le risposte che lo scrittore suggerisce. Nessuna empatia e nemmeno comprensione, nemmeno i metodi, nemmeno la psicologia; l’ignorante chiede al sapiente, che sia inclusa fra i saperi anche quello dell’ignoranza; che sia quella la base per organizzare il lavoro di insegnare ad impegnarsi. L’ex somaro avrebbe la risposta che sta tutta in una parola. “Una parola che non puoi assolutamente pronunciare in una scuola, in un liceo, in una università, o in tutto ciò che le assomiglia…se tiri fuori questa parola parlando di istruzione ti linciano.”Puntini e puntini di sospensione per l’ultima parola … “L’amore.”
Mi pare che questo sia un post molto interessante. Daniel Pennac è notissimo. E il libro che stiamo presentando, “Diario di scuola”, è in testa alle classifiche.
L’argomento trattato, del resto, è attualissimo.
Ringrazio Miriam Ravasio per l’iniziativa. Ringrazio Carlo S., Simona Lo Iacono ed Enrico Gregori per i loro ottimi contributi.
Affido ai “quattro moschettieri di Letteratitudine” la conduzione di questo dibattito. E nomino Miriam supermegacoordinatrice del post.
Domani aggiornerò il post inserendo un nuovo contributo di Miriam dal titolo: Il somaro, la somaraggine, l’amore.
In più, vi farò trovare una… sorpresina:)
Vi ripropongo le seguenti frasi celebri di Pennac, che già da sole potrebbero essere più che sufficienti per avviare un dibattito:
« L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire ».
Che ne pensate?
Pennac colpisce dritto nel segno sebbene, personalmente, sia convinto che le sue affermazioni “dogmatiche” non siano del tutto tali o, almeno, non siano le sole ed uniche cause. Non esiste forse una sete intellettuale che prescinde la solitudine o il desiderio di immortalità? Una sete che non è mero effetto ma anch’essa causa?
In queste sue frasi celebri, Pennac, prende in considerazione la condizione dell’istinto umano, certamente marcato nell’uomo più della ragione, ma forse non dimentica il pensiero razionale? Le intenzioni, il fine, i propositi ad un valore aggiunto che aiuti a migliorare la propria esistenza, diverso dall’appagamento di un recondito istinto?
A proposito dei cosiddetti “alunni – somari”, se posso, vorrei proporre una mia riflessione: http://storiadopostoria.blog.kataweb.it/il_mio_weblog/2007/03/11/e-che-volete-farci-mi-interessa-la-scuola/
Ciao a tutti.
Quello degli insegnanti è un lavoro missionario.
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In una società nella quale il ruolo genitoriale è appaltato a qualunque cosa o persona sia in grado di ingaggiare l’attenzione dei figli, la scuola è vista come uno strumento utile per coprire ore di assenza e gli educatori come i delegati alla formazione culturale e umana dei figli.
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I limiti dell’insegnamento non non sono dovuti al “sistema” bensì agli individui che le famiglie formano. Come può una maestra competere con il verbo massificante della tv senza altri adulti che avallino e rafforzino il messaggio ?
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Oltre a tanti insegnanti forse distratti e svogliati esistono altrettanti romantici della formazione, persone validissime, alcune delle quali mi picco di annoverare tra le mie amicizie. Di essi solo minima parte riesce ad esprimere il proprio potenziale. Oltre alle ore di lezione esistono laboratori, momenti formativi specifici, attività di ricerca che buona parte del nostro corpo insegnanti è perfettamente in grado di organizzare e di attuare, pur con la scarsezza di mezzi e sospinto solo dalla personale motivazione.
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La curiosità, la principale spinta per la formazione della cultura, soprattutto questa va incentivata ed il lavoro deve iniziare e poi svolgersi in massima parte all’interno della famiglia, con l’esempio, la parola, la dedizione, l’approfondimento continuo. Questa prodigiosa capacità dell’uomo può e deve essere formata al pari della scrittura, Giacchè non basta decidere di farlo. Bisogna esserne in grado.
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Concludo con una riflessione che baso sulla mia esperienza personale di studente prima e di uomo d’azienda poi. Nessun bambino può essere considerato a priori “somaro” o “deviato”. Ognuno sarà il risultato dell’azione combinata dell’attenzione, della responsabilità e del sacrificio personale. Proprio il sacrificio personale.
Ho conosciuto pochi “geni” nella mia vita, ma numerose persone “di successo” che hanno “imparato” a rendere al meglio, a prefiggersi ed a raggiungere obiettivi. Oltre alla curiosità e all’amore per la conoscenza, pur imprescindibili, bisogna formare la volontà. Essa è umile, alla portata di tutti, poco elogiata. Eppure consente di raggiungere risultati impensabili.
Certo bisogna sapere cosa volere, ma questa è un’altra storia.
Bene, eccoci con Pennac e il suo Diario per parlare di giovani, di scuola, d’insegnanti e di pubblica attenzione. Non siamo in Francia e anche se i contesti descritti, o a cui accenna l’autore, sono simili ai nostri, diversissima è la sensibilità che, in materia scolastica, ci distingue dai francesi.
Tre o quattro anni fa, in quel paese, uscì un film “Être et avoir” di Nicolas Philibert, che ebbe un inaspettato successo di pubblico. Il lungometraggio documenta la vita di un intero anno in una scuola di sole due pluriclassi, con bambini dai tre agli undici anni. Un maestro, prossimo alla pensione, ci accompagna in un lungo e poetico percorso che si snoda fra l’apprendimento delle tabelline, la cottura delle crepes, le discussioni logico-filosofiche. La gran fatica di imparare è narrata con rigore e amore: un reality pedagogico che riprende la vita dei ragazzi e delle loro famiglie, con gioie e preoccupazioni comuni e quotidiane.
I francesi affollarono le sale per vedere questa storia di maestri e di bambini; riuscite ad immaginarvi la stessa cosa anche qui?
Être et avoir (104 minuti)
Regia di Nicolas Philibert. Con Georges Lopez e gli allievi della Scuola elementare di Saint- Etienne sur Usson (Puy-de-Dôm), regione montuosa dell’Auvergne.
Trasmesso in Italia da Rai 3 in tarda serata, è ora rintracciabile negli archivi di Rai-Educational.
« L’uomo costruisce case perché è vivo ma scrive libri perché si sa mortale. Vive in gruppo perché è gregario, ma legge perché si sa solo. La lettura è per lui una compagnia che non prende il posto di nessun’altra, ma che nessun’altra potrebbe sostituire ».
Tutto il bene possibile, condivido pienamente.
Ora torniamo al tema scuola, un argomento per me scottante e pressante, dato che di scuola ci vivo. A scuola ci vivo.
Michele Serra, prendendo spunto da una lettera di un lettore proprio sul libro di Pennac, accomunava il somaro al ragazzo bravo – non il secchione, parola e concetto odiosi. Il sapere non è una secchiata d’acqua e l’alunno veramente bravo è quello che non si fa riempire ma dissetare e che cerca di capire cos’è quel che beve e se va bene per lui e dov’è il pozzo e se potrebbe scavarne uno anche lui per sè e per quelli che hanno sete e per quelli che muoiono di sete e non sanno o non vogliono bere.
Il somaro e il ragazzo bravo sono dei freak perché nella scuola di massa che ci ritroviamo e della quale io mi sento complice, complice colpevole, l’appiattimento e l’abbassamento del livello sono la parola d’ordine – fast food dell’istruzione è la scuola, non un ristorante che ti inizi al gusto di sapere – e quindi chi ci rimette sono le eventuali eccellenze, tagliate e tarpate ai limiti dell’irrimediabile, e i ragazzi con problemi d’apprendimento. Il sostegno, su cui non mi permetto di discutere, è una buona e santa cosa, nonostante pecche e perfettibilità, ma quello che non funziona è il recupero. Come si fa a mantenere livelli decenti quando in prima liceo alcuni ragazzi stentano nella lettura, non comprendono quello che leggono, scrivere non le parliamo, grammatica questa cara estinta? Logico che le lacune di base non vengano recuperate e si cumulino a quelle in corso d’anno. Secondo quadrimestre. Se un ragazzo ha accumulato varie insufficienze, come fa a seguire con gli altri il programma normale – diciamo così – e a frequentare con profitto i corsi di recupero? Fioroni e la pagliacciata degli esami di riparazione. Prima la cosa aveva – lasciatemi dire – un certo valore anche educativo. Ti rovini l’estate, i genitori ti spezzano le gambette perché devono pure pagarti il professore, a settembre ti fai scritto e orale. Ora no. A giugno, scrutini. Promossi, bocciati, sospesi. SOSPESI. Come se parlassimo di dannati danteschi. Di Purgatori dell’istruzione. Docenti stanchi devono organizzare – a GIUGNO e LUGLIO… – un corso di recupero e poi, dopo un congruo numero di giorni, esaminare i ragazzi – stanchi dopo nove mesi di scuola e chissà quanto scazzati e demotivati. Miracolo! Recuperi e sei promosso alla classe successiva. Questo esame si può fare a luglio o a fine agosto. Niente e nessuno mi leva dalla testa che questa bella pensata sia stata artatamente disposta per togliere ancora le meritate sudate ferie agli insegnanti. Perdonate lo sfogo, ma nonostante pochi anni di insegnamento sono piuttosto stanca, demotivata e delusa dalla scuola. La cosa che sognavo di fare da bambina era proprio l’insegnante. Da grande mi sono venuti tutti i dubbi del mondo. Vorrei che assisteste a certi collegi docenti, vorrei potervi trasmettere l’avvilimento, il senso di frustrazione. I presidi ti ripetono di continuo che la colpa, la colpa è tua, è tua, che se metti voti bassi sei tu che non sai insegnare, che non sai motivare i tuoi alunni, che non usi le nuove accattivanti tecnologie, che non sai snellire i contenuti perché non è che si deve insegnare tutto, noi dobbiamo trasmettere competenze, non contenuti, quelli sono soggetti ad una continua obsolescenza, corsi monografici, quale storia evenemenziale, quale filo cronologico? E le carte, le carte, mi raccomando le carte, tutti i verbali a posto, mi raccomando, ché ci possono fare ricorso, un appiglio il genitore lo può trovare sempre…
Genitore che compra al figlio cellulari hi-tech, mp3, lettori dvd portatili, pc, ma non libri. Genitore che non si sogna di portare il figlio nei musei. Genitore che ti sorride davanti e ti sparla dietro. Genitore che difende il figlio sempre e comunque.
Sto correggendo compiti, lo sapete? E in teoria sono in vacanza…
Scusate ma state aprendo una piaga per me sanguinante…
Io a scuola ero brava, ma volevo imparare per me, non per il voto. In questa scuola non mi ci ritrovo, come non mi trovavo in quella di vent’anni fa. E non riuscivo a fregarmene, così come ora ci piango, a volte, ci soffro.
Genitori, perché non pensate alla qualità dell’istruzione dei vostri figli? Perché per una fesseria in un negozio chiamate l’ONU e non vi indignate per come lo Stato tratta la scuola e gli insegnanti? Perché un politico che sia uno in campagna elettorale non ci dice che farà per la scuola se lo eleggono? Le mie modeste proposte: 10 alunni per classe, investimenti massicci sul sostegno, il recupero e il potenziamento. Il resto sono solo chiacchiere.
Pennac ha in mente la sua scuola, che aveva sicuramente un senso della decenza e della qualità migliori dell’attuale. Pecche: l’esclusione sociale, l’autoritarismo. Oggi siamo noi ad essere traumatizzati, non i ragazzi. Qualche giorno fa, una delle mie alunne più brave: “Ma voi professori che fate?”- “Cara, ma io vedi che durante le vacanze correggerò i vostri compiti di latino…”. Lei, con aria di disprezzo supremo che mi ha annichilita, corredata di smorfia: “Tanto, questo solo fate”.
I banchi non volano, però a volte mi chiedo che senso abbia quello che faccio. Inserisco una poesia che ho scritto proprio su questo.
CORPO DOCENTE
NOCENTE
INNOCENTE
Poesia
latinucci
svogliati
predicati nominali
omelie
afone di
storie sconnesse
sulla linea interrotta del tempo
pietre sgretolate
afasiche
registro la noia
il non fare il non senso
il patetico pathos
di stillare
e istillare passione
di professare una fede
in cui a volte non credo
Siracusa, venerdì 18/01/2008
Mi avete presa in un momento no. Spero di poter essere più ottimista più in là.
Enrico Gregori ha pronunciato una frase tosta nel suo assunto:
“…è molto più facile che la natura criminogena sia insita nell’individuo a prescindere dalla sua frequentazione scolastica.”
Non mi trova d’accordo, concorderei invece sul fatto che senza pedagogia e conocenza tutti gli animali della categoria umana potrebbero essere dei criminali ed è per questo che nasce l’istituto della formazione e anche l’istituto giuridico con la repressione del “non conforme” alle regole che ci si è imposti scoprendo il raziocinio.
Di Pennac ho apprezzato “Come un romanzo”; il maestro francese pensavo avesse esaurito li il suo pensiero pedagogico, invece ha sentito il bisogno di ampliarlo con un’analisi più attenta (che non ho letto).
Semplificando, mi sembra che lo scrittore lasci alla scuola “tutto” il compito della formazione.
Io credo, per esperienza personale, che la famiglia vada oltre il 40% delle responsabilità educative. Non accuso la “mia” famiglia perchè la considero una sperienza meravigliosa, ma i miei genitori hanno avuto un grande torto nella mia formazione. Se casa mia non fosse stata un’allegra anarchia io avrei intrapreso la mia formazione culturale già tempo prima. Il lassismo democratico, unito sì ad una scuola degli anni sessanta monotona e distruttiva, capace di perdersi tutti i talenti nella routine del formalismo didattico, hanno fatto si che un soggetto “sensibile” (non significa buono o cattivo: sensibile!) si straniasse ed entrasse in un mondo di formazioni non omologate e sicuramente deleterie.
Oggi mi sembra, dopo tante esperienze innovative, si stia tornando a quel tempo, con una scuola che sforna sottoprodotti, e insegnanti demotivati ed ostaggio della cultura che è già bagaglio degli allievi.
…
I media fecero molto ad un tempo: omologarono una lingua nazionale e dei codici di comportamento; oggi fanno molto in senso negativo, propongono ideali fatui, quando non vanno a rimorchio delle sottoculture popolari (“diamo alla gente quello che vuole”).
Gli intellettuali non hanno peso nella formazione generale e non sono più consderati delle avanguardie culturali, oggi i cittadini guardano (nonostante il finto disincanto) ai politici per le loro apparizioni massiccie, e li riconoscono come punti di riferimento culturale, conoscendo il livello medio di questi individui, possiamo ben dire di essere disperatamente pessimisti per il futuro della formazione in Italia.
i migliori insegnanti secondo me sono quelli che riescono a motivare.
qualunque tipo di insegnamento passa necessariamente per il cuore oltre che il cervello, dribblando miracolosamente gli ostacoli posti lungo la via da genitori indifferenti quando non ostili, modelli di comportamento a valori invertiti (”studia chi non ha voglia di lavorare”, ”a che mai serviranno queste cose?”, ”chi legge è uno sfigato asociale e con tempo da perdere”) e aspirazioni irrealistiche a fare soldi presto e facilmente.
riuscire a smuovere un’anima e farle capire la gioia della conoscenza è il miracolo quotidiano che a piccoli passi si dovrebbe tentare di fare.
Da quando lessi “Il paradiso degli orchi” Daniel Pennac è entrato a far parte degli scrittori i cui libri sono stati letti da tutta la mia famiglia al completo, bambini piccoli compresi.
Ne parlavamo tra di noi, ciascuno avendone sottolineato un aspetto, e si rideva insieme delle trovate fantastiche dell’Autore.
La fata Carabina, La prosivendola, Signor Malaussène e via via tutti gli altri.
Il mio figlio minore si divertiva un mondo a leggere i nomi che il piccolo Jérémy appioppava ai nascituri.
Il cane con le crisi epilettiche, curato con amore ma anche tenuto lontano per l’alito pestifero, e la veggente Thérèse che azzecca sempre le premonizioni. e lui, il perenne perdente, apparentemente, signor Malausséne e tutta insomma l’allegra e sgangherata compagnia che gravita intorno alla tribù.
Nelle sue felici trovate, Pennac con la sua lucida e acuta osservazione della realtà riesce ad entrare nel cuore delle problematiche sociali, ma lo fa con tocco lieve, da cantastorie un pò giullare, quanto basta a dar risalto alle discrepanze di un mondo comunque articolato tra bene e male.
Ottima la presentazione di Miriam Ravasio, la recensione di Carlo Speranza, l’articolato intervento sulla tutela dei minori di Simona Lo Iacono, ed infine il parere quanto mai appropriato di Enrico Gregori.
Non so se ho capito bene e se è questo lo spirito con cui Massimo ha inteso la nostra partecipazione…spero di sì.
Un caro saluto a tutti
Aggiungo che condivido appieno il commento di gea, sull’insegnamento e sulla possibile apertura mentale che ne può scaturire.faccio mia la sua frase di chiusura:” riuscire a smuovere un’anima e farle capire la gioia della conoscenza è il miracolo quotidiano che a piccoli passi si dovrebbe tentare di fare.”
Sì, ne sono convinta anche io.
🙂
@ Riccioli:
ti capisco benissimo, ma ti aspetto ancora qui con un diverso stato d’animo. Perché chi ama il suo prossimo, come fai tu, trova sempre nuove occasioni per rinnovare l’entusiasmo con energia. Anche Pennac ha degli “sconfortoni” tremendi e nel libro lo racconta: quando ci prede lo scoramento la passione ci induce a cercare dei colpevoli ( da pag. 146 in avanti)
🙂
Gea, hai perfettamente ragione… quando riesco a compiere questo miracolo – ma è l’alunno che lo fa, io sono uno strumento, imperfetto, precario, mortale – la giornata acquista senso. Ma è terribilmente difficile, te lo assicuro. Scoraggiarsi è molto facile. Prego e spero sempre di trovare la forza, il coraggio, la motivazione, l’allegria, la determinazione per farlo. La fede.
Questo post mi rende davvero felice! Io amo Pennac, e pur essendo stato un pessimo studente – no, non sono diventato un insegnante-scrittore – credo nelle possibilità scuola, nonostante tutto, e cosa non del tutto marginale sono 15 anni che mia moglie ed io affianchiamo i nostri figli – per quanto possibile – in questo loro viaggio di formazione che come tutti i viaggi ha riservato loro piacevoli sorprese e alcune – non poche – delusioni: la maggior parte riguardavano l’incapacità degli insegnanti di andare in profondità, di mettersi in discussione, la scarsa apertura mentale e la difficoltà di ” appassionare”.
Non voglio sparare sulla croce rossa ma sono fermamente convinto che gli insegnanti siano davvero responsabili dello “stato delle cose”…che poi vi siano stati diversi fattori complici come le scarse gratificazioni – sia economiche che morali, le continue ingerenze da parte dei genitori – quasi sempre dalle parte dei figli – le continue sollecitazioni esterne ” la tv cattiva maestra ” ecc. ecc. questo è sicuramente vero ma credo che chi sceglie di fare l’insegnante deve essere conscio che il compito che andrà a svolgere sarà un compito davvero delicato e talmente importante da trattare con la massima sensibilità e cura e con un grande senso di responsabilità…
Mi piacerebbe contribuire alla discussione invitando chi ne avesse voglia di dare un’occhiata ad un paio di post, sul mio blog, che affrontavano il tema della scuola attraverso le testimonianze di un mio caro amico poeta e insegnante di lettere, ora in pensione: http://stefanomina.blogspot.com/search/label/scuola.
stefano mina
Miriam, grazie delle tue parole… sei dolcissima, già mi sento meglio. Il guaio di questi sconfortoni è che sono quasi quotidiani. Hai presente l’emicrania? Prima l’attacco ti prende ogni sei mesi, poi ogni mese, poi ogni settimana, poi…
La parola scuola ormai mi crea reazioni pavloviane…
Mi credi migliore di quello che sono, te l’assicuro. Anche l’amore si stanca, anche l’amore ha bisogno di amore…
🙂
Stefano, vorrei che tutti i genitori fossero come te. E che si mettessero in discussione prima di puntare il dito sugli insegnanti. Vero è che il reclutamento spesso è alla garibaldina… Quale garanzia di qualità ti dà lo scorrimento di una graduatoria? Gli insegnanti sono stati preparati dal punto di vista didattico e psicologico? Sono supportati in questo senso? Io ho iniziato ad insegnare buttata in un’arena di 25+24 bambinetti di prima elementare. Venivo da una tesi leopardiana, non avevo mai fatto un giorno di supplenza. Sì, avevo frequentato l’istituto magistrale, laurea in lettere, concorso magistrale superato positivamente… ma. Tutoraggio finto, corso di formazione A MAGGIO, anno di prova superato semplicemente perché avevo fatto 180 giorni di servizio. Mi sono rimboccata le maniche. Ho sudato, gridato, pianto, studiato. Lavorato. Lavorato. Chiesto aiuto alle colleghe più anziane. Che da una parte ti aiutano, però in questo ambiente la solidarietà è pochina. Chi chiede aiuto vuol dire che non sa fare, chi ha sperimentato buone pratiche didattiche sta bene attento a nascondertele perché non si sa mai… I presidi? Non piantare grane e andrà tutto bene. Per il resto, sei solo. Sei anni in cui ho imparato tanto. Dai bambini soprattutto. Dai colleghi dai bidelli dai genitori dai presidi. Dai miei fallimenti. Tanti. Dai momenti in cui ero quasi contenta e soddisfatta di me. Pochi.
Poi sono passata alle superiori. Bello, pensavo. Insegnerò le mie materie, wow! L’italiano, mia venerazione assoluta. Il latino. La storia.
Beh, sono cascata tante volte e un po’ di denti me li sono rotti. Stamchezza tanta, soddisfazione pochina. Ma andiamo avanti. Sconfortoni. Giorni più sereni. L’arte che ti chiama quando la burocrazia ti smacina. Suona la campanella. Per ora vi lascio, belli. Ma vi riprendo. Poi vi interrogo, eh?
🙂
@ Stefano:
ho visto il tuo blog, poi ci ritorno. Certo che puoi contriburire alla discussione! Puoi proporre, analizzare, sottolineare, aggiungere: insomma, ti aspettiamo con gioia. Puoi avanzare confronti….
a dopo, a dopo
Salve a tutti,
secondo me i problemi della scuola del 2008 sono i seguenti:
1) Troppe riunioni inutili per i docenti, che portano via tanto tempo nuocendo all’attivita’ scolastica perche’ dopo tre ore di discussione su cose di poca importanza esci che non hai voglia di prepararti, ovviamente, ma solo di andare a dormire o farti gli affari tuoi;
2) classi troppo numerose in tutti i livelli (Elementare, Media, Superiore): sarebbe meglio fare due classi di 15 alunni piuttosto che una di trenta;
3) Orario troppo pesante per i docenti, che ruba spazio alla preparazione culturale;
4) Troppa maleducazione dappertutto: insegnanti, alunni, dirigenti e genitori. Con gli atteggiamenti pesanti si ottiene solo la zizzania e il muro contro muro. Ma molta gente questo non lo capisce;
5) Troppi docenti alle Elementari in ogni classe: si crea confusione e peggioramento generale della qualita’ dell’insegnamento;
6) Poca cultura italiana e troppe robe straniere fra i piedi, messe li’ solo per moda: questo toglie consapevolezza storico-cultural-civile agli alunni, che spesso si trovano davanti docenti di Italiano che conoscono meglio Balzac di Dante;
7) Poca passione da parte di molti docenti: saper spiegare una pagina di Letteratura dipende molto dall’amore che il docente stesso ha per quella pagina;
8) Scarsita’ di fondi ministeriali per la scuola: i genitori devono portare la carta per le fotocopie e questa e’ roba da Terzo Mondo!
9) ”Nozze coi fichi secchi” per i portatori di handycap: vengono lasciati (giustamente) in classe ma spesso senza insegnanti specializzati che li seguano. Cio’ comporta un risultato solo: il bambino handicappato soffre e fa soffrire l’intera classe. Urge obbligare il Ministero a pagare degli insegnanti che COPRANO L’INTERO ARCO TEMPORALE DELLA PRESENZA DI DETTI ALUNNI IN CLASSE, ALTRIMENTI SI LAVORA MALE PER E CON TUTTI.
10) Poco contatto docente-genitore. Non servono riunioni particolari in piu’: basterebbe un contatto quotidiano di pochi minuti all’uscita della scuola per creare quell’indispensabile clima di amicizia e collaborazione insegnante-mammaepapa’ che toglie molti problemi da torno;
11) Scarsita’ di docenti consapevoli del fatto che lavorare con autorita’ regge la scuola, non con autoritarismo o, all’opposto, ”laissez faire”. E l”autorita’ si conquista sul campo con stabilita’ emozionale, cultura ed amore per gli alunni. con personalita’ e convinzione, tranquillita’ e non velocita’, non nevrosi, non ”sbrigati sbrigati”.
–
Una scuola, questa, osteggiata da tutti, so e dico. All’antica? Un pochino. Ma le cose buone ”all’antica” vanno perpetuate, senno’ facciamo ”come gli antichi, che mangiavano le bucce e buttavano i fichi”. Solo che i nostri ”fichi” sono anche l’Italia di domani e meritano piu’ fondi e attenzioni. Piu’ tranquillita’ e tempi meno ristretti e nevrotici. Chi ha problemi personali vada fuori dalla scuola. Ergo, anche molti ministri, facciano altro.
Ciao Massimo,
intanto volevo segnalare a te e ai tuoi lettori un post scritto da me (pubblicato anche su lpels) quando ancora Diario di scuola aveva titolo Chagrin d’école (non era ancora stato tradotto per l’Italia). Metto qui il link, sperando il sistema non mi consideri uno spammer, mentre mi propongo di tornare quanto prima per prendere parte alla discussione.
Link: http://antonioconsoli.wordpress.com/2007/12/01/daniel-pennac-chagrin-decole/
Cordiali saluti a tutti
Antonio Consoli
E anche la tecnologia andrebbe annientata: quella che mi fa le odiose faccine gialle al posto del numero con parentesi, porcaboia! (Stavolta scherzo, eh?)
P.S.
A chi leggera’ sopra e poi mi dira’ sinceramente come la pensa do’ un diploma di specializzazione in premio.
Intanto aggiungo solo un bilancio di poche parole: si vede che da noi lo Stato non e’ forte come in Francia e Germania, dove la scuola sa quel che vuole e non e’ bandiera al vento delle mode del momento. Quando arrivera’ uno Stato degno di questo nome anche da noi?
Per il sig. Stefano Mina,
secondo me, la mia analisi (parziale ma ho detto solo le cose piu’ importanti), mette in luce un motivo di base: il decadimento italiano e’ complessivo, storico, non dipendente da una sola tipologia (insegnanti, alunni, genitori, tivu’, ecc.). Solo che la classe insegnante ha la colpa di non aver le idee chiare su cosa chiedere al Ministero e pertanto gli insegnanti sono disuniti ed individualisti. Se gli insegnanti fossero un po’ piu’ estranei alle perverse regole sociali italiane sarebbero migliori e migliorerebbero la Scuola, dunque anche l’Italia.
Per Sergio:
un estratto dal “bastione grammaticale” pag. 93 del libro
” Sin dalle prime ore di lezione, quell’anno, i miei allievi e io avevamo affrontato quel “ci”, quel “ne”, quel “tutto”. Attraverso di loro abbiamo dato il via all’assalto del bastione grammaticale. Se volevamo calarci appieno nell’indicativo presente della nostra lezione, dovevamo sistemare per le feste quei misteriosi agenti di disincarnazione. Priorità assoluta! Abbiamo perciò dato la caccia ai pronomi vaghi. Quelle parole enigmatiche erano come tanti ascessi da spurgare”.
(sorriso senza faccina gialla)
Grazie, Miriam,
spiritosa (ma al contempo seria) pagina, bella! Prima o poi leggero’ anche quest’ultimo di Pennacchioni – francese come me, mi pare, a parlar di sangue. Ha una prosa interessante e aerea, bella, speranzosa e piena di passione: una passione, la sua, anche, sotto sotto, per le regole, senza le quali la scuola va a farsi friggere. E lui lo sa, come me. Adesso dunque pensiamo a fare di meglio, a modo nostro, anche in Italia, che la scuola fa sempre piu’ schifo. Prima cosa da fare: diventare adulti, cosi’ possiamo far crescere gli alunni.
Ciaobbella
Sergio
P.S.
Non ho ancora letto il tuo commento, ne’ quello degli altri, ma… appena avro’ finito di sgomberare il pensiero dalla presenza (utile) di Salvatore Niffoi, vi diro’, in tutta umilta’, cosa ne penso.
Due punti fermi per parte mia:
1. la fondamentale collaborazione tra genitori e scuola nell’educazione dei propri figli: scuola e famiglia non possono essere compartimenti stagni in contraddizione tra loro; debbono sapere integrarsi. Ed oggi è tristemente vero che nelle famiglie spesso è presente una forte ignoranza spesso accompagnata dallo spregio per la cultura e per l’istituzione scolastica (ieri forse l’ignoranza era altrettanta, se non di più, ma senza l’arroganza di oggi e con senso di profondo rispetto per l’istruzione e per i docenti che la impartiscono).
Non c’è nulla di peggio di un genitore che difende aprioristicamente il proprio figlio di fronte a tentativi educativi, anche punitivi, degli insegnanti. Ricordo il caso della professoressa denunciata per avere fatto scrivere “sono un cretino” al bulletto della classe: io gli avrei fatto scrivere “mio padre è un deficiente e anche un pò stronzo, e io mi adeguo”.
2. il sacrificio viene dopo (ma molto dopo) l’aver imparato l’amore per la conoscenza; e l’amore si insegna solo con amore. Se non si impara che la conoscenza è un piacere in sè (è quello il premio, non la bicicletta) sarà dura convincere qualcuno (un bambino poi) ad applicarsi con metodo e sacrificio; il sacrificio deve valere qualcosa, se no è masochismo puro. Se il premio è indiretto (la bicicletta, il telefonino, l’I-pod…) sarà sempre facile trovare “scorciatoie”, perchè intanto l’obiettivo è spostato da tutt’altra parte. Ed i valori imperanti nella nostra società (furbizia, competizione con qualsiasi mezzo, inutilità della cultura, ecc.) non aiutano certo.
mentre Sozi si organizza per commentare a dovere Diario di scuola, segnalo a Didò il Contrappunto di Riccardo Chiaberge, pubblicato sull’inserto del Sole 24, domenica 23 marzo; “E il laureato devasta il chiostro”. Sembra che “nel civile Nord-est, le sessioni di laurea si trasformino in gazzarre da stadio, con le aule magne gremite di parenti fino al terzo grado, nonne, zie, nipotini in passeggino, torme di fidanzate e amici che fanno la “ola”. il candidato o candidata che al termine di uno stentato triennio espone balbettando la sua tesina “googlata” con un frettoloso copia-incolla, viene interrotta dalle ovazioni dei fan davanti ai volti rassegnati dai professori (…) Ma il bello viene dopo: il laureato viene inseguito nei corridoi da legiadri coretti del tipo “dottore del buco del…/ vaffan…/vaffan…”, trascinato in cortile, denudato, legato a un albero o a un’inferiata, ricoperto di uova e farina, mentre i partecipanti al festino, ormai visibilmente alticci, si tirano bottiglie addosso e contro le pareti…”
a dopo
@ sergio
Certo: le regole. Pennac o Pennacchioni che sia non le rinnega assolutamente. Ma anche la regola va compresa, per essere rispettata e perche no, amata con sincera passione, come tu dici.
Come potremmo capirci, spiegarci, convivere se non le si condividesse ?
Ciao
Trovo utile riportare un piccolo stralcio di “diario di scuola” dove Pennac parla degli stretti nessi tra società, famiglia e scuola. Io aggiungerei , oggi, anche un altro collegamento: quello col mondo giudiziario, dove è in procinto di essere istituito un “tribunale della famiglia” che si occupi di ogni aspetto giuridco legato alle ferite nate nel contesto familiare.
Sono ferite che incidono sull’atteggiamento dello scolaro, del genitore e dell’insegnante. La mancanza di sicurezza si traduce in aggressività, l’aggressività genera tensione e la tensione stanchezza (lo sfinimento di cui parlava la carissima Maria Lucia).
–
“In materia di omicidi è utile ricordare che, se escludiamo le aggressioni a mano armata, le risse , i delitti a scopo di rapina e i regolamenti di conti tra bande rivali, l’80% circa dei delitti di sangue avviene nel contesto famigliare. E’ soprattutto a casa che gli uomini si uccidono, sotto il loro tetto, nella fermentazione segreta del loro focolare domestico, nel cuore della loro personale desolazione.
Far passare la scuola per un luogo criminogeno è, in sè, un crimine insensato contro la scuola”(pag. 195)
@ Riccioli:
Pennac sostiene addirittura con entusiamo che il dettato è un “appuntamento completo con la lingua. La lingua come suono, come racconto, come ragionamento, la lingua come si scrive e come si costruisce, il significato quale si delinea attraverso l’esercizio meticoloso della correzione”. pag. 114
Che ne dici?
Carlo il consenso di un genitore ed il tempo passato insieme a condividere lo stesso non è un premio ? Perché dovebbe servire altro ?
Sarò di parte, o comunque influenzato dalla mia esperienza o dal mio cervello (quel che c’è). Ma io del liceo ricordo solo quello che mi veniva spiegato da insegnanti appassionati.
Nulla da dire sui “professionisti ” dell’istruzione che ottemperavano con puntualità all’orario e ai programmi. Ma è un altro modo di insegnare.
Io ricordo il mio professore di Italiano che fu ben contento di venire a scuola anche di pomeriggio (e gratis) quando spuntammo l’apertura pomerdiana del liceo.
Ricordo quanto e come riuscimmo a capire meglio Guicciardini e Machiavelli, autori d solito un po’ sacrificati rispetto ai “big”.
Non scomoderò parole altisonanti come “missione”, ma quella di “passione” almeno sì.
Una differenza abissale tra lo stare in cattedra a dare un voto e lìessere seduti a semicerchio a sviscerare argomenti per i quali, entro il suono della campanella, non c’era tempo.
Un’alchimia difficile, dunque, durante l’orario canonico. Tra la disponibilità del docente e la disposizione dello studente.
Più questa alchimia tende a dissolversi, più la somaraggine è in agguato.
Bisogna saper insegnare, dunque. Ma altrettanto occorre saper studiare. E ciò non significa imparare per prendere 8 all’interrogazione.
Ma afferrare ciò che (si ritiene) sarà per sempre un piccolo patrimonio.
Pennac dedica agli insegnanti riflessioni umane e profonde: non sapevo che la testa degli insegnanti è satura di avvenire. Che soffrono la ripetitività delle lezioni rifritte all’infinito a classi intercambiabili, che, anche loro, pensano al futuro. Pennac è nella scuola, come allievo, insegnante e genitore; le sue osservazioni, le sue critiche nascono dall’esperienza, nel bene e nel male, ma richiamano il lettore, sempre, ad una possibile via d’uscita. Perché dobbiamo arranggiarci con quello che siamo. “Insomma, diventiamo (…) Le cose non vanno mai come previsto, ma una cosa è certa: noi diventiamo”.
Anche io della scuola ricordo il professore che ci amava di più: l’insegnante di Figura, che alternava le lezioni con le modelle, portandoci in piscina a ricopiare dal vero i nostri corpi. Con lui imparammo le tecniche, ma soprattutto imparammo a guardare. E saper vedere è comprendere.
domani posterò una sorpresina
🙂
Sono pienamente d’accordo con più della metà dei punti di Sergio Sozi con i due di Carlo S. e con l’ultima analisi di Enrico Gregori…c’è solo un problema: la maggior parte dei genitori apprezzano (solo) gli insegnanti diligenti, quelli che rispettano il programma ministeriale (nel liceo classico della mia città è spesso così) e “bocciano” quei professori “diversi”, quelli che hanno ancora quella”luce particolare negli occhi”che serve ad appassionare i ragazzi. Dico questa per esperienza personale: tutti gli insegnanti poco ortodossi vengono considerati degli incapaci…la cosa buffa è che sono tutti gli insegnanti che ai miei figli – e a me – piacevano maggiormente e che abbiamo perso per strada, quelli che quando ci andavi a parlare non si soffermavano solo sui voti ma si interessavano del ragazzo, delle sue emozioni, che cercavano una sorta di complicità con noi genitori per aver ancora più elementi che potessero aiutarli nel loro compito, insomma quelli andavano maggiormente in profondità… e questi puntualmente venivano attaccati da molti genitori, medici, avvocati, ex insegnanti, avvocati ecc. con l’accusa che non facevano lavorare abbastanza i propri figli, che non rispettavano quel cazzo di programma…insomma per loro l’importante erano le razioni quotidiane di nozioni che i loro figli dovevano ingoiare senza preoccuparsi del modo in cui queste venivano “cucinate…altro che poesia… bisogna produrre ragazzi, e bisogna iniziare subito, magari sin dall’asilo! che tristezza!
@ Maria Lucia
immagino le difficoltà, le amarezze, la rabbia che un insegnante si trovi a dover affrontare ma ti chiedo – e sicuramente, lo avrai già fatto – di considerare anche le frustrazioni, le disillusioni, la senso di tradimento, di quei ragazzi -e ti assicuro ne ho conosciuti diversi – che speravano di trovare nella scuola quel “nutrimento” che spesso non hanno ricevuto lasciandogli la vaga sensazione di aver perso un’occasione…
Il mio secondogenito, 17 anni, pochi giorni fa mi ha detto riferendosi all’insegnante di Greco:” cosa serve una conoscenza così “specialistica” se quando usciamo dalla materia vera e propria magari facendo dei paralleli interdisciplinari o più semplicemente parliamo delle “cose del mondo” del “quotidiano” e l’insegnante dimostra un vuoto culturale spaventoso e una chiusura mentale che lascia interdetti? lo studio fine a se stesso non serve a niente… è tardi, buonanotte….. stefano
P.S. ho cominciato a leggere ” il senso del dolore” di De Giovanni…mi piace un bel po’!
Se il 70 % dei ragazzi italiani ha difficoltà in matematica ( tra l’altro credo sia sempre stato così) è colpa di chi gliela insegna o queste ultime generazioni sono nate con una tara genetica?
Come fai a pretendere che i ragazzi imparino ad apprezzare l’arte moderna se l’insegnante di storia dell’arte del liceo mi ha detto durante il colloquio di non conoscere praticamente quasi niente della pittura del 900!
Come fai apprezzare un’insegnante che durante una lezione a dei diciassettenni dice di apprezzare quasi tutto dell’antica Grecia…..se non fosse per l’omosessualità un po’ troppo tollerata!…e alle proteste dei ragazzi ha risposto: scusate ma questa è la mia opinione.!
scusate ma avevo detto che andavo a letto…a domani. stefano
Riesco a connettermi solo adesso. Ne approfitto per salutarvi tutti e ringraziarvi per i vostri interventi (li leggerò con calma domani).
Mi pare – a prima vista – che il dibattito sia partito bene. E sono convinto che proseguirà altrettanto bene nei prossimi giorni.
Buonanotte e a domani!
Caro Stefano,
io ho espresso un’analisi completa. Grazie per l’apprezzamento. Ne deduco che i genitori ne capiscano meno di noi, in genere, almeno da quanto hai scritto. Non ci resta altro da fare che quanto e’ piu’ ovvio: unirsi, genitori, ragazzi, politici, eccetera, per realizzare un’Italia migliore. io la mia parte l’ho fatta. Adesso sto fuori Italia. Ma perugini e triestini si ricordano di me. Come insegnante e soprattutto come occhio lucido di cittadino e uomo. Senza fare troppo, beninteso, che io voglio avere molto tempo libero, ma fare il mio dovere si’, sempre. E per fare il proprio dovere, un insegnante non deve per forza lavorare come un muratore, a cottimo, a ”piu’ ore piu’ rendita”. Ma lavorare nel proprio orario bene. Un lavoro come un altro, la scuola, secondo me: solo che va fatto col cuore, col tempo, col metodo e con la cultura.
Saluti Affettuosi
Sozi
P.S.
Adesso aspetto una critica ragionata e ponderata, sapiente, sui punti che Lei, Stefano, non condivide della mia precedente analisi. Da amico, parlo, beninteso. Da insegnante alla ”sua maniera”: austero ed amichevole con tutti.
Gli insegnante hanno una remunerazione adeguata al loro ruolo ?
Torno un attimo sul libro di Pennac per raccontare una cosa “strana” (almeno per me) che mi è successa.
Sembra che in Europa sia una cosa normale e che lo facciano tutti: perché io no? E allora vado da Feltrinelli al sabato pomeriggio (in realtà bisognerebbe farlo nella pausa pranzo, ma questi sono dettagli trascurabili) e mi scelgo un libro. Poi mi siedo su una delle poltroncine appositamente disseminate nel locale e mi metto a sfogliarlo. È l’ultimo “romanzo” di Pennac, al secolo Daniel Pennacchione, geniale scrittore che ha, purtroppo per noi fans, perso la vena narrativa quando ha chiuso la saga della famiglia Malaussene. Questa volta il professore descrive come un alunno tanto negato per l’apprendimento da metterci un anno a imparare la lettera a alle elementari è riuscito a trasformarsi in un insegnante e uno scrittore. Un applauso a suo padre che commentò, entusiasta, “Pensa, Daniel, a ventisei anni riuscirai splendidamente a padroneggiare tutto l’alfabeto!”
Dovrei sentirmi un po’ in colpa: i libri si comprano e si leggono a casa. Ma sento che questa regola non vale per Pennac, almeno da “Ecco la storia” in poi. E poi, non è stato proprio lui a dire che se un libro non ci piace non è un delitto metterlo da parte? Per scoprire se un vestito ti sta bene lo indossi in camerino; perché con un libro non si può fare lo stesso, leggendone qualche pagina comodamente seduti? Non sto certo rubando nulla a nessuno. E poi, se fosse vietato, un commesso sarebbe già venuto a dirmelo, no? E ancora, perché mettere delle poltrone se non vuoi che i clienti scrocchino una lettura?
E infatti non sono il solo a dedicarmi a questo sport. Mentre nel locale si spande il sottofondo di una tristissima raccolta di ballad di John Denver, guardo altre persone accomodarsi sulle poltrone acconto a me, sfogliare, leggere, tornare indietro, chiudere i libri, riaprirli. Stanno qualche minuto, si alzano, si appropriano di altri testi, tornano indietro prima di perdere il posto. Un ragazzo è addirittura arrivato con una pila di dieci/dodici libri: libri d’arte, uno su Second Life, romanzi, saggi, ricette, barzellette, si vede proprio di tutto. Non c’è genere che si sottragga a questa sorta di rito collettivo.
Un po’ guardo i miei compagni di lettura, un po’ leggo. Il bambino Pennac racconta di quel suo compagno che si fece spiegare con millimetrica precisione dove fosse l’appendicite, prima di simulare un malore per sfuggire alle interminabili giornate in collegio. Portato d’urgenza all’ospedale, finì immediatamente sotto i ferri. Il chirurgo, terminato l’intervento, andò dai genitori e disse “Avete fatto bene a portarlo qui in fretta: stava già andando in peritonite!” Misteri delle patologie scolastiche.
Intanto, per nostra fortuna, la raccolta di John Denver è finita (scegliere le canzoni country no, vero?) e qualcuno l’ha sostituita con un cd di Elvis. Tengo il ritmo con il piede mentre continuo a leggere. Il preside della scuola di Pennac tiene d’occhio uno di quinta che sta collezionando assenze una dopo l’altra. Ogni mattina va a fare personalmente l’appello in quella classe, sperando di beccare il trasgressore in fallo. Quel giorno, però, non lo trova. Scende in presidenza e chiama la madre dell’allievo. “Mio figlio è a letto con la febbre alta” dice la signora. Il preside si tranquillizza, esce dall’ufficio e guarda davanti a sé. Vede il ragazzo taglione camminare in mezzo al corridoio: durante l’appello era andato in bagno.
Rido, anche perché questa scena è successa anche nella scuola di un mio amico. E già che ci sono mi alzo. Ho letto più di novanta pagine e, per oggi, mi sembra sufficiente. Vado verso la cassa e, prima di uscire, rimetto il libro al suo posto. Poi supero le persone in fila ed esco dal negozio. Perché non ho comprato il “romanzo” di Pennac? Sapevo che non l’avrei fatto, sin da quando l’ho preso in mano per la prima volta, quasi un’ora prima: dopo Storie di altre storie ho deciso che non avrei più comprato un suo libro. È una specie di rimborso al contrario. Alla peggio, la prossima settimana, quando tornerò a passeggiare in centro, mi leggerò le novanta pagine successive. In una quindicina di giorni l’avrò finito. Non so se riuscirò a far pace con la mia coscienza ma, ogni tanto, bisogna affrontare le tentazioni. E cercare di superarle. Forse.
(continua…)
http://inprimapersona.blogspot.com/2008/03/daniel-pennac-2.html
@Andrea Borla,
complimenti (come dice Lino Banfi:”Na parola è poca e due so’ assaie!”).
Ben ritrovati a tutti.
Mi spiace ma il Pennac è fuoriuscito dalle mie simpatie nel momento in cui aveva comunicato ufficialmente che non avrebbe più scritto nulla sulla famiglia Malaussene in quanto il filone si era a suo dire inaridito, e che l’ultimo suo scritto era stato fatto più per motivi commerciali che altro.
Pochi mesi dopo, forse un anno, puntuale nelle librerie è apparso mi sembra “Ultime notizie dalla famiglia”, come volevasi dimostrare. E forse non è stato neanche l’ultimo, del famoso filone “inaridito”.
Dato che ho la fortuna di poter scegliere ed avere delle simpatie, ho depennato il suo nome dagli acquisti possibili.
Cercherò di essere più proattivo sul prossimo argomento 🙂
sono lieta che il concetto di apprendimento di tipo affettivo-emozionale per contagio di entusiasmo sia condiviso dagli altri. è cosa nota peraltro che il tipo di rapporto che si instaura con l’insegnante influenza pesantemente il risultato finale.
poi i ragazzi non sono scemi, e sanno distinguere autorevolezza da autoritarismo. ho avuto un professore di scienze cattivissimo, ma a vanvera. nel senso che era un cretino frustrato in chissà quali ambizioni che godeva del suo piccolo potere. otteneva disciplina, ore di studio a memoria, crisi d ansia (non mie, in generale) e odio assoluto per le sue materie. e come contraltare uno di greco e latino, severo ma preparatissimo e capace di tenere lezioni coinvolgenti e appassionate. risultato: io, che per propensione e mentalità sarei stata una scientifica, all’università ho preso lettere classiche.
per motivi indipendenti dai risultati non ho finito, ma mi è rimasto un grande amore per la conoscenza in generale, che, fosse dipeso da insegnanti come l’imbecille, avrei perso senz’altro.
su pennac: a me questo libro è piaciuto (nonostante la traduzione che non mi ha entusiasmato) come mi era piaciuto ”come un romanzo”.
saggi narrati su argomenti semplici e complessi, con l’arte di rendere accettabile, basandolo solidamente. il buonsenso.
Quest’ultimo Pennac mi manca, ma qualche idea sull’insegnamento in generale ce l’ho. Per esperienza personale e per quella “tramandata” da mio padre, insegnante di italiano, storia e geografia. Oh, in realtà anche io sarei prof di italiano e storia, ma ho fatto solo qualche settimana di supplenza in un istituto tecnico commerciale alla periferia di Roma, dove il più sobrio tra i ragazzi aveva i capelli verdi e inevitabilmente mi davano del tu con fare spocchioso. Va beh, questa era solo una chicca. 🙂
Quello che volevo dire in sostanza l’hanno già detto diverse persone (Gea, Enrico, Maria Lucia e Stefano) prima di me in questa sede.
Ma è la sacrosanta verità. Da un parte c’è la passione che è anche, perchè no, missione, dall’altra la voglia dello studente. Mio padre, che adesso è in pensione, è stato esattamente uno di quegli insegnanti che voleva dare qualcosa, che discuteva piuttosto che interrogare seminando il panico, che cercava il buono e il bello anche nella somaraggine ostinata,provando con entusiasmo a tirare fuori da ognuno dei suoi alunni il meglio. Si, perchè c’è un “meglio” in ognuno, secondo le proprie possibilità.
Poi però, come sempre, c’è il caso disperato. Il maleducato di turno, per esempio, quello con cui non c’è metodo o speranza. I genitori vanno a parlare con il prof e questi riferisce i comportamenti del figlio, più che i voti. Come sottolinea Stefano, la reazione più frequente è : MIO FIGLIO???? ma come si permette? Lei deve pensare solo a portare avanti il suo programma.
Ecco qui che spesso intenzioni e azioni cozzano clamorosamente e il povero prof si scoraggia. Insomma, l’empatia va creata da entrambe le parti.
@ eventounico
assolutamente no è la risposta alla tua ultima domanda. Lo stipendio non è adeguato. Dopo trent’anni di lavoro e impegno, mio padre è andato in pensione e io ho iniziato a lavorare con uno stipendio più alto del suo. E ti assicuro che il mio lavoro non è certo più “missionario” del suo.
@ Sergio Sozi
Anche questa tua ( ci diamo del tu?) ultima analisi mi trova perfettamente in sintonia: solo se tutte le parti in gioco decideranno di adoperarsi per un obiettivo comune riusciremo a salvare il salvabile….ma è proprio su questo che sono maggiormente pessimista, ognuno fa la sua gara dimenticandosi di quello che dovrebbe essere il vero protagonista: il bambino
Non è un motivo per abdicare, naturalmente.
Per quanto riguarda i tuoi “punti” devo essere sincero e dirti che praticamente 9 li condivido in pieno, mentre ho alcune piccole perplessità sui punti 5 e 6…per esperienza personale( dei miei figli) proprio l’aver avuto tre insegnanti ( modulo) alle elementari è stata la loro salvezza … con il vecchio “sistema” avrebbero avuto una maestra che – credimi – era davvero un pericolo pubblico: in 4 anni è stata assente 540 giorni – ma questa è stata una fortuna, soffriva di mania di persecuzione, era vendicativa e subdola, non mandava i bambini in bagno durante le sue ore (sai come sono i ragazzini di sei o sette anni: dicono che gli scappa invece vanno fuori a fumare), mentiva continuamente, si accordava ( tentava) con alcuni genitori per far “cacciare” gli alunni con problemi, quelli che avevano maggior bisogno, denunciava continuamente al provveditorato falsi abusi da parte delle colleghe e chi cercava di opporglisi, e dal punto di vista didattico non faceva praticamente nulla (ogni insegnante che si trovava a sostituirla sembrava un genio)…ricordo ancora la situazione assurda dell’ esame di quinta elementare, peggio di un esame di stato, erano presenti agli orali tutte le insegnanti, la direttrice didattica e un ispettore del provveditorato…tutto questo perché la cara maestra aveva denunciati “brogli”, presunte interrogazioni concordate fra le maestre e gli alunni…tutto questo per un assurdo e banalissimo esame di quinta elementare! … ne avrei di aneddoti – per lo più tragicomici – da raccontare dopo 15 anni come rappresentante di classe!…anche sui genitori!
Per quanto riguarda l’altro punto, quello su “Poca cultura italiana e troppe robe straniere fra i piedi, messe li’ solo per moda …”non mi trova d’accordo perché credo sia importante trattare tutto quanto abbia una valenza socio – culturale a prescindere dalla nazione da cui si attinge… ci sono stati secoli, ad esempio l’800, dove a mio avviso le cose più interessanti in letteratura sono state partorite da altri paesi: Francia, Inghilterra e soprattutto Russia, credo si debba utilizzare tutto quanto ci viene messo a disposizione senza temere di perdere la nostra “identità”…in fin dei conti la letteratura
parla soprattutto dell’uomo e l’uomo, l’abbiamo visto, si pone le stesse domande e cerca le stesse risposte in ogni parte del globo!
Ciao Sergio, un saluto sincero..Stefano
@ eventounico
Probabilmente gli insegnanti sono poco remunerati ma non credo che lo stipendio più cospicuo – anche se doveroso – possa migliorare la qualità dell’insegnamento…. serve la passione, il fuoco sacro e quello o ce l’hai
o non ce l’hai…non credi?… Cosa c’è di più bello del trasmettere, condividere e soprattutto dello “scambiarsi” con sincerità, passioni, conoscenze, esperienze?
@ didò, ma in generale:
probabilmente in merito alla potenzialità criminogena mi sono espresso male e comunque non intendevo dire alcunché di definitivo.
la mia opinione è semplice: non è il livello di istruzione a determinare la potenzialità criminale. ossia, non è affatto una legge che se uno è meno istruito ha più facilità a commettere reati. ci sono in italia e nel mondo fior fior di criminali (serial killer compresi) che hanno istruzione universitaria. una laurea con 110 e lode, in sostanza, non aiuta a tenersi fuori dalla criminalità soprattutto in una tipologia di reati che nascono dalla schizofrenia. questa consente di essere impeccabile professionista di giorno e spietato assassino di notte.
credo che il tema su Pennac vada affrontato in maniera più “normale”, ossia valutando se e quanto l’insegnamento superficiale privi lo studente del bagaglio necessario alla sua formazione.
è ovvio che da parte di chi apprendere ci dev’essere atteggiamento recettivo. se questo c’è, allora è compito dell’insegnate fargli capire o no Petrarca. L’auotidattica ha dei limiti, credo, specialmente in persone che hanno dai 5 ai 18 anni.
@Ciao a tutti cari amici di scrittura!
Ho apprezzato molto i Vostri interventi esaustivi e pertinenti su quello che ci è stato riferito dai nostri eccellenti commentatori su Daniel Pennac, che saluto e ringrazio: Miriam Ravasio,Simona Lo Iacone, Carlo Speranza, Enrico Gregori: facendo emergere la questione del rapporto scuola-famiglia,insegnanti-alunni di ogni ordine e grado d’istruzione.
Avete toccato le lingue morte, a che servono ancora, se non a sapere di latino e greco per una migliore scrittura e affrontare la cultura umanistica in generale; del resto poco spendibile, oggi ,in assenza di valori universali e ideologie e fede religiosa, congelate dopo la caduta di tabù sociali di varia natura.
E’ stato detto anche che negli anni passati, probabilmente la generazione degli anni 50’, hanno prodotto studenti che volevano colmare il gap culturale famigliare arretrato rispetto a modelli più evoluti, iniziando la famiglia con il rispettare gli insegnanti, di una scuola utile a cercare la qualità e i valori universali attraverso l’insegnamento di tutte le materie.
Le generazioni successive,invece secondo me, hanno beneficiato di famiglie più istruite ma meno propense a riconoscere un ruolo autorevole ed istituzionale a un corpo docente vivo e operante nella scuola italiana.
Perché l’istruzione scolastica superiore conseguita, per alcuni, è stata vissuta come visione democratica assoluta di decidere, per il bene dei propri figli, che l’istruzione scolastica deve servire solo per trovare lavoro;e del resto
al di fuori della scuola è possibile conoscere la vita,pagando anche di persona, senza attribuirle necessariamente contenuti esistenziali metafisici.
La scuola deve ritornare, purtroppo è il mio parere, un laboratorio di idee e formazione moral-culturale: aperta a tutti ma non per tutti.
Fatta salva la scuola dell’obbligo!
Finche la vita nel sociale permetterà a tutti, ignoranti e non, di sopravvivere, meno sarà sentita e perseguita la qualità del proprio vissuto, speriamo di no e nel mentre: sarà sufficiente nel futuro nascere in una famiglia political-correct rispetto a quello che ci circonda e altresì fuorviante, a riconoscere l’utilità di formazione civica-culturale, in una scuola indebolita e minacciata al suo interno dai fantasmi burocratici- amministrativi?
Siamo arrivati dopo aver, permesso il libero accesso all’università,riconosciuto il diploma superiore tecnico di pari grado rispetto al liceo classico e scientifico, anche, alla laurea breve e forse dovremmo considerare crediti formativi anche l’esperienze professionali dello studente, corsi di formazione varia e pratica di sport agonistico per contribuzione a un corso di laurea?
Valgono anche test universitari a cui sottoporre gli studenti, per verificare la loro cultura televisiva o quant’altro e conoscenze delle droghe in uso?
Mio figlio si è laureato da poco e partirà per frequentare un master negli U.S.A.: certo che si è dovuto impegnare molto ma con passione e senza pensare di sapere quanto basta per trovare lavoro, ma lo troverà e dove in quale parte del mondo andrà a lavorare?
E agli altri figli cosa raccontiamo,che la scuola dura troppo e dà diritto a un lavoro precario? Inoltre, che gli insegnanti giustamente sono demotivati e che le famiglie non hanno i soldi per fare studiare i propri figli?
Certo la speranza è l’ultima a morire!
Luca Gallina
E’ vero. La realtà attuale può scoraggiare. La crisi della famiglia investe la scuola e la stessa scuola, spesso, non ha i mezzi per fronteggiarla. L’appiattimento di massa può demotivare e livellare le eccellenze.
Però.
L’amore basta all’amore. C’è in ognuno di questi bambini, e adolescenti, e ragazzi una spinta alla vita, al canto che inneggia di esistere. C’è desiderio d’assoluto, voglia di sperimentare. Fantasia. Lo vedo in tribunale.
Una volta, durante un’udienza di discussione sull’assegno di mantenimento che un ex coniuge doveva alla moglie mi ritrovai davanti una bambina di otto anni. La mamma l’aveva portata con sè, perchè non sapeva a chi lasciarla. Il papà era chiuso e ostile.
Si discuteva su una variante dell’assegno. Da 450,00 a 600,00 euro. Il padre non ne voleva sapere. La moglie, disoccupata, insisteva. Gli avvocati battevano la fiacca. Specie quello della signora pagato attraverso il gratuito patrocinio.
La bambina venne a mettersi dalla mia parte. Me la ritrovai sul banco d’udienza. Era attratta dalle nocche della toga e le accarezzava. Mi chiese se erano capelli.
Io le dissi sì, sono capelli.
E lei si illuminò in volto perchè non credeva che stessi al gioco.
Proseguì…:”E perchè sono bianchi? ”
Le risposi: “Perchè sono una vecchietta”.
Il giorno dopo la madre mi fece avere un disegno della bambina.
Ritraeva un giudice con una toga piena di capelli. Sotto c’era scritto:
“Non sei vecchietta, sei pelosa”.
La mamma mi disse che la bambina non scriveva più una parola da un anno, da quando il padre aveva lasciato la famiglia.
Ecco.
E’ bastato stare al gioco.
Considerando che gli abituali frequentatori del blog sono tutti “grandicelli” ho chiesto a Germano Milite, fino ad ora il più giovane fra gli affezionati del sito, le sue considerazioni sul Diario di Pennac. Prima di postare l’intervento, ve lo presento.
Germano Milite (bel nome, ndr) ha 21 anni e studia Scienze e Politiche alla Federico II. Scrive, sono note sue, da quando ne aveva 7 ed è nato, sempre dalle sue note, per comunicare… Ha un blog dove espande il suo pensiero ( http://blog.libero.it/badmind) resocontando esperienze e riflessioni. Germano lavora anche come giornalista praticante per la Julichannel, con interviste e servizi . Ama alla follia “tutto ciò che è collegato all’ars”. E se ad Archimede bastava una leva per sollevare il mondo, a Germano serve solo “un’idea creativa” che poi tirerebbe su “come un papà farebbe con il suo bambino”.
Non aggiungo altro e posto il suo godibilissimo pezzo!
Buona lettura, Miriam Ravasio
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La scuola, i docenti; la didattica. Argomenti che non possono non toccare la sensibilità di uno studente che ha la fortuna/sfortuna di avere una madre insegnante con la quale, purtroppo, non ha mai avuto un rapporto sereno. Il ricordo degli studi liceali è ancora vivo: i giorni interminabili passati all’ultimo banco (per molti insegnanti segno inequivocabile di scarsa volontà di seguire le lezioni) con il mio inseparabile compagno “somaro” e pluriripetente. Io c’ho vissuto per alcuni anni, con un Daniel Pennacchioni di fianco. Ne combinavamo di tutti i colori io ed Emanale, bocciato due volte prima di diplomarsi, insieme al sottoscritto, al famoso liceo scientifico A. Diaz di Caserta. Due vite completamente diverse le nostre; due modi di “andare a scuola” che spesso si trovavano agli antipodi…ad unirci, l’insoddisfazione vaga e diffusa e la voglia di fare altro, di leggere libri e assaggiare un tipo di cultura meno “vecchia” e “incanalata”.
Non sono mai stato il primo della classe e non me ne mai fregato molto di prendere bei voti. Studiavo con passione ciò che mi piaceva e copiavo spudoratamente e senza vergogna alcuna i compiti di latino e matematica. Il mio 92, però, me lo sono dovuto sudare e, all’esame di stato, mi sono dovuto inventare una “tesina” che fosse a dir poco originale. Decisi di cominciare con una mia poesia, spacciandola per un’opera di Cesare Pavese. La mia tesina, infatti, prendeva spunto dal potere del pregiudizio. Così, per dimostrare la forza deviante dei preconcetti, all’inizio del mio colloquio d’esame, presentai questa poesia alla mia adorata (e per fortuna ndr) (e non sono sarcastico perché, sul serio, è una delle insegnanti alla quale mi sono legato di più) prof di italiano dicendole di leggerla ad alta voce, di modo che potessero ascoltarla anche tutti gli altri docenti presenti. Alla fine la mia prof esclamo:”Eh si…questo è proprio Cesare Pavese”.
Trattenni la risatina malefica che stava per uscirmi e chiesi a tutti i miei professori di esprimere un giudizio in merito all’opera che avevano appena udito leggere. I giudizio, ovviamente, furono tutti molto positivi e andarono dal:”Molto profonda” al :”Con poche righe ha saputo esprimere moltissimo”. A quel punto il colpo di scena che avevo previsto…sorrido, schiarisco la voce e dico:”Bene, ora posso dirvi che questa poesia non è di Pavese…queste poesiola l’ho scritta io”.
Silenzio tombale da parte di tutti; la mia prof di ita sarebbe voluta scappare sulla luna (o, in alternativa, avrebbe voluto strozzarmi) (appunto, ndr). A quel punto anticipai ogni eventuale domanda da parte della commissione spiegando il perchè di quella “truffa” e potei partire con il mio discorso sul pregiudizio.
Il mio amore per la letterature e per la poesia (oltre alla stima reciproca esistente tra me e la mia docente di italiano) mi permisero di osare un “giochetto” tanto ardito. E, visto che nel libro di Pennac si parla anche di amore, di amore per la cultura e per l’insegnamento, vorrei ricordare le mie insegnanti delle elementari che, nessuna esclusa, hanno contribuito a far crescere in me la passione per la scrittura e la lettura. Spesso si sottovaluta l’importanza delle scuole elementari ma, a mio avviso, spesso sono ancor più importanti delle scuole medie e medie superiori. Le elementari sono l’inizio, il punto di partenza…il momento in cui, nella testa (e nell’anima) del bimbo si forma l’idea, anche solo vaga, di ciò che è e di ciò che, magari, vorrebbe essere un giorno. Ricordo che, alle elementari, adoravo andare a scuola, adoravamo le mie insegnati e mi piaceva persino la matematica(materia verso la quale, oggi, provo repulsione). Le mie maestre, prima di tutto, sono state maestre di vita. A loro va il mio grazie…grazie per avermi fatto capire, prima dei dieci anni, che scrivere mi faceva sentire vivo!!
Germano Milite
Simona, è molto bello il tuo racconto. “L’amore basta all’amore” scrivi.
Credo non si possa aggiungere molto altro. Grazie.
@Simona
che aneddoto !!! Potresti scriverci dei racconti : Le nocche bianche!
E a proposito di scrittura e letteratura, da pag. 76 del Diario di scuola, riporto:
“All’epoca leggere non era l’assurda prodezza di oggi. Considerata una perdita di tempo, ritenuta dannosa per il rendimento scolastico, la lettura dei romanzi ci era proibita durante le ore di studio. Da ciò la mia vocazione di lettore clandestino (…) tutto andava bene purché potessi ritrovarmi solo con un libro”.
Stefano, di senso della missione, che a mio parere non può esistere senza la passione, avevo parlato nel mio primo intervento.
Ho aggiunto questa ulteriore domanda per suscitare una breve riflessione su quali sforzi siano richiesti ad un insegnante, soprattutto, se motivato. Ringrazio, peraltro, peraltro Silvia per rimarcato citando una situazione personale.
Non tutto il corpo insegnante è spinto solo da passione spontanea.
Molti insegnanti, pur dotati, rinunciano perchè non riescono a condurre una vita decente con quello che guadagnano (specialmente nelle grandi città).
@ Evento
Non è facile la vita degli insegnanti, ma io mi mangio le dita per non aver intrapreso quella strada. Ogni classe è diversa, ogni scuola è un mondo unico e assoluto, ogni bambino è un mistero, e il tuo lavoro è fatica. Però quando sei davanti a loro per condividere tempo, conoscenze ed emozioni , ti accorgi che ogni lezione ” è una vita sbocciata, imprevedibile come la forma di una nuvola” pag. 86
Io lavoro con molte insegnanti, ed ogni volta devo adeguarmi all’ambiente, alle loro abitudini e anche alle loro paure. Ho scoperto che la mia presenza le imbarazza, temono il mio giudizio, invece io temo la mia inadeguatezza. All’inizio reagivo come quando ci si trova in una compagnia, imposta dalle circostanze; adesso, dopo qualche anno di esperienza, mi guardo meno attorno, mi butto nel lavoro e mi lascio studiare. Le “scavalco” un po’ e le aspetto, oppure modifico il programma. La cosa importante è coinvolgerle, perché la classe è un’orchestra e deve lavorare in sintonia.
La scuola è soffocata dalla burocrazia, dagli adempimenti e ogni anno questo peso aumenta, contro ogni logica ed ogni fine.
@Miriam.
Come ti ho già scritto per mail, ti ringrazio per la stima che mi hai concesso e per la pubblicazione del mio pezzo(per un attimo, mi son sentito il quinto moschettiere:-P). Sei stata grandiosa anche nel rendere più gradevole la presentazione che ti avevo mandato. Non so se qualcuno ha avuto il coraggio di leggere il mio “papiello” ma, comunque, ringrazio tutti voi già solo per il fatto di esserci e di fornirmi sempre spunti interessanti e stimolanti con i vostri interventi. Ho letto anche il pezzo di Simona…commovente e di una tenerezza infinita;) Del resto, che Simona avesse un gran cuore e altrettanta fantasia, lo avevo intuito fin da subito.
Abbraccio circolare
Ge
Oltre a ringraziarvi vi faccio i più sinceri complimenti.
Ho letto più della metà dei vostri commenti (completerò la lettura più tardi) e li ho trovati belli, corposi, competenti e tutt’altro che banali.
Intanto ho aggiornato il post con il contributo di Miriam a cui avevo fatto cenno ieri: Il somaro, la somaraggine, l’amore
Andate a dare un’occhiata.
Cerco di essere sintetica. Ho letto che ai test di ammissione alla facoltà di lettere di un’università, la maggior parte degli studenti ha toppato più di 15 risposte su 60 (fino a 15 venivano graziati). Domande del tipo: distingui nella frase la E congiunzione dalla E voce del verbo essere.
E via di questo passo.
Di chi è la colpa? Ho una nipote di 10 anni e come ho già detto altrove, scrive benino, legge maluccio, non c’è verso di farla appassionare ad un libro (ai film si, ovviamente). Ha molta fantasia, mi legge i suoi racconti e sono belli e originali, ma sbaglia le H del verbo avere e tutte le doppie. In compenso la maestra le mette voti tipo ottimo, bravissima, superlativa etc etc. Quando mia sorella le ha fatto notare che la piccola non indovina una doppia che sia una, la maestra ha risposto: “Imparerà, adesso non è questo l’importante”. Mia nipote frequenta la quarta elementare e se non le impara adesso, le doppie, quando?
Questa è la scuola italiana. Zaini pesanti come macigni, quaderni pieni di schede fotocopiate e incollate, compiti pesanti che costringono i bambini a rimanere sui quaderni (non sui libri, sui quaderni) fino a tarda sera… senza imparare niente. Osservanza scrupolosa di programmi assolutamente inutili, messi insieme da burocrati e avallati da politicanti con la quinta elementare. Insegnanti senza motivazione, genitori ignoranti pronti solo a fare da avvocati difensori ai figli, alunni che non sanno materialmente chi o cosa seguire, privi di guida, privi di stimoli.
Quando ero una studente io, non c’era niente di perfetto, Però ho avuto un maestro elementare (uno, non quattro) che ci insegnava i verbi latini insieme a quelli italiani (scuola pubblica, sia chiaro). Ho avuto un’insegnante di lettere alle medie che non avrebbe sfigurato come aguzzina in un collegio da film dell’orrore, ma aveva una preparazione abissale e la pretendeva anche da noi. Ho avuto un professore al liceo che era un uomo stupendo, uno di quelli che ti instilla l’amore e la passione per la conoscenza. Solo fortuna? Non lo so. So che mia nipote questa fortuna, oggi, non ha alcuna possibilità di incontrarla durante il corso dei suoi stentati studi.
Laura
Ora devo scappare, ma più tardi lascerò tra i commenti un paio di considerazioni personali; ma non sul libro di Pennac, che non ho avuto modo di leggere (per quanto concerne il libro, però, mi pare che Miriam & C. si stiano destreggiando più che egregiamente).
A stasera.
E ancora grazie a tutti.
@Enrico Gregori,
poi quando non si scherza sei sempre un faro luminoso (“diciamo”, direbbe La Russa, “un fanalino”!).
Daccordissimo col uo intervento.
Non ho tepo di leggere gli altri, scappo alla presentazione napoletana da Edicolè di Pino Imperatore. Saluti dalla comunità napoletana!
@ Laura:
Su tutto quello che scrivi, io ho addirittura scritto un quasi libro! Ma come ti capisco, credimi. E’ il sistema pedagogico dell’induzione, nato come risposta al nozionismo, con il tempo è diventato “non-nozione” nozionistica: imparare giocando. Non devi capire, ma fare e facendo e facendo ti accorgerai di avere imparato le regole giuste! E’ così che si apprende la matematica, l’italiano e tutto il resto. Nel mio diario(che trovi nella colonnina a finaco) ne parlo diffusamente. Per me fu un vero shock quando, prima come zia-mamma e poi come esperta esterna, scoprii le assurdità della nostra didattica. Appuntai tutto con amore e rabbia; come potevano dei bimbi che con me realizzavano lavori importanti, che io coinvolgevo in progetti d’arte e gratificanti, appassionarsi al programma di storia che prevedeva l’allestimento dei reperti dei loro primi anni di vita? Con me visitavano i chiostri, gli antichi percorsi romani, realizzavano mosaici e pannelli straordinari e in classe per mesi (perché quella cosa durò mesi e mesi) dovevano concentrati sui loro primi abitini, le loro prime scarpe, e i ciucci. Ogni anno così, c’era questo rito a cui le seconde si dovevano sottomettere: acquisire il concetto di passato. E il passato per loro era una fotocopia orizzontalmente aggiunta ai quadernoni su cui crocettare il primo mese di vita, il secondo mese, ecc. Che dire? Mi misi a scrivere.
PS. però sulle fotocopie usate nelle scuole sarebbe salutare una grande campagna di sensibilizzazione! E’ assurdo vedere interi quaderni ricoperti, dalla prima all’ultima pagina, dalle fotocopie! Una mano di toner sui pensieri.
@Didò. Ne approfitto per rampognarti!!! Prima mi hai chiesto la mail e poi sei sparito…e io che mi illudevo di instaurare una nuova, romantica corrispondenza epistolare!! Mi hai fatto sentire sedotto e abbandonato;( sig…sob
@ laura:
se a tua nipote vengono somministrati solo i libri che scrive la zia direi che il suo rifiuto a leggere ha delle motivazioni profonde e giustificate. e sii contenta che per ora si limita a trascurare i tuoi romanzi. a breve potrebbe anche chiedere il soccorso di telefono azzurro.
@ didò:
me ne hano dette di tutti i colori, nel bene e nel male. ma per farmi dare del “faro luminoso” dovevo conoscere te che guidi l’autobus bendato. che cazzo te ne fai di un faro luminoso? vattene tranquillamente a infrociare per conto tuo.
@ germano:
se un insegnante non conosce tutto pavese non vuol dire che come professore sia inadeguato. probablimente tu sarai stato orgoglioso che abbia ritenuto una tua poesia talmente bella da poter essere tranquillamente di pavese, e il professore ha gonfiato il tuo ego. in sostanza l’aneddoto non dimostra che l’insegnante fosse scarso, ma solo che tu sei un innocuo coglione. e se non ti stimassi non te lo direi.
@germano
io l’ho letta – la tua testimonianza – che giudico davvero preziosa!
credimi, mi emoziono davvero tanto quando scopro ragazzi come te – per fortuna ne ho conosciuti diversi – così carichi di sensibilità e di fresca intelligenza, così differenti dallo stereotipo del “giovane” che solitamente ci propinano….è una vera boccata di ossigeno.
D’accordo con te sull’importanza delle insegnanti delle elementari ( anche delle medie), però è anche fastidioso ed ingiusto pensare che il destino di uno studente sia legato alla fortuna di un incontro …e se uno è così sfigato da non incontrare nessuno? ciao
stefano
@ simona
come si dice: basta poco che ce vo’ …ma quel poco spesso non è così scontato!
Grazie per le tue testimonianze cariche di umanità!
stefano
@ non solo simona
una mia amica maestra mi ha raccontato che in classe ha un bimbo di otto anni con mille problemi a causa dei genitori separati e dei molti traumi che ha dovuto subire, fa a pugni con tutti, è taciturno, ma se gli si mette davanti un foglio di carta e quattro matite riesce a disegnare prospettive da accademia. Questo accade senza aver preso alcuna lezione di disegno da addetti ai lavori. E’ fenomenale.
Il mistero è tutto qui: bisogna scoprire come un bimbo è realmente in virtù del cielo e l’educazione ricevuta e se, quest’ultima, ha veramente aiutato la prima. Poi bisogna capire chi sono i somari e che cosa significa essere adulti: il dato anagrafico spesso non è segno di specie evoluta.
@Enrico. Hai ragione al 100%. E, infatti, non ho mai sostenuto che, la mia adorata insegnante, fosse impreparata…tutt’altro; la passione con la quale ci ha trasmesso la sua materia mi ha fatto amare la letteratura in maniera vera e sincera(è stata lei a farmi leggere tutti i libri di Calvino e a farmi conoscere Enrico Brizzi). Io sono coglione ma, innocuo, non direi proprio…in questo mi conosci poco eh eh eh:-P
ps ho finito di leggere il tuo libricino insulso…sei bravo e, tra qualche anno, credo riuscirai a scrivere bene quasi quanto me. Allenati, esercitati e sono convinto che migliorerai. Scherzi a parte, ti anticipo che mi ha piacevolmente sorpreso(in alcune parti mi pareva addirittura paragonabile al genere Tarantiniano). Ti farò una recensione accurata nei prossimi giorni..inizia a tremare muahahahahahah;)
@Stefano. Io ti ringrazio di cuore per le belle parole che hai speso per me(sei stato gentile quasi quanto il mio adorato maschio Gregoriano^_^) e, soprattutto, per aver trovato il tempo(e la voglia) di leggere il mio intervento. Sul fatto di puntare tutto, o quasi, su un incontro fortuito…non so che dirti! Io credo che, purtroppo, sia così. L’insegnante è molto più importante della materia che impartisce e, di docenti validi, ce ne son pochi. Io amavo la matematica alle elementari grazie alla bravura della mia insegnante. Anche alle medie me la cavavo bene. Il trauma l’ho passato alle superiori: il 3 ai compiti in classe è diventato una costante…di sicuro avrò avuto una buona parte di colpe ma, tu, come spieghi un cambiamento così radicale?! A 21 anni posso dire di sentire i conati di vomito quando vedo un’espressione…e pensare che, alle elementari e alle medie, se mi chiedevi quale fosse la mia materia preferita, ti rispondevo:”la matematica”. E’ triste, amico mio…ma, oggi, in Italia, siamo in balia del caso…chissà quante altre giovani menti dovranno essere bruciate o dovranno “fuggire” all’estero prima che, chi ci governa, si renda conto che, le riforme più urgenti, sono proprio quelle del sistema scolastico(università comprese). Siamo messi male, Stefano…sul serio male. E se inizio a parlare delle “raccomandazioni” e delle ingiustizie alle quale ho assistito, non finiamo più!
Ti abbraccio forte e ti ringrazio, nuovamente, per avermi letto.
Grazie Miriam, scoprire qualcuno che ha le mie stesse sensazioni, mi e’ di grande aiuto nello scoramento di zia preoccupata!
C’è, oggi, un atteggiamento diffuso che mi lascia perplesso: ci si palesa ignoranti con orgoglio(finto): ” ah! io di queste cose non so niente…no, io non leggo dalla scuola, leggere mi stanca…la politica, l’arte, la letteratura…che palle!. Vi assicuro che molte di queste “candide ammissioni” non sono dette con l’umiltà di chi in passato – come i miei genitori ad esempio che a malapena hanno fatto le elementari – provava (ingiustamente) un vero senso di colpa per non aver studiato, nel riconoscersi “ignorante”ma con l’atteggiamento di chi quasi si vanta della sua non conoscenza … Trovo che la cosa sia inammissibile in una società quasi interamente scolarizzata come la nostra e che, è di gran lunga preferibile l’ignoranza (non reale) di chi non ha avuto la possibilità di un’istruzione adeguata, come la maggior parte degli italiani nati nella prima metà del secolo scorso, rispetto a questa così ammiccante che vuole auto assolversi con una faciloneria che rasenta l’arroganza.
Enrico allora i tuoi figli che dovrebbero dire? 😛
@Stefano. Ti quoto al 1000 per 1000!!! E non solo…oggi capita spesso di sentirsi degli alieni perchè si ama l’arte. Ovvio che, se ostenti in ogni occasione le tue conoscenze, passi (giustamente) per il tipo che vuol darsi un tono intellettuale a tutti i costi ma, cazzo, spesso basta citare un autore contemporaneo e tutti ti guardano strano. Una volta sono uscito con una tipa e stavamo parlando delle posizioni che preferivamo per fare l’amore. Appena l’argomento è deviato su altro e le ho detto:”la mia vita è piena di libri…ma sono molto più quelli che ho nella testa rispetto a quelli che riesco a leggere”…lei mi ha guardato per un po’ e poi ha risposto:”ma pensa alla salute; a me le persone che parlano dei libri che leggono mi stanno sulle palle”. Che cazzo vuol dire?! Non le avevo mica fatto l’elenco delle mie letture? Io non voglio parlare delle mie passioni per farmi bello ma per condividere le cose che amo…spesso, troppo spesso, la gente vede questo desiderio di confronto come modo per tirarsela. Eppure, ti assicuro, quando sto tra amici sono un’autentica testa di tubero…parlo delle cose più frivole del mondo. E’ frustrante: c’è sempre qualcuno pronto a sminuirti e a spegnerti…il mondo è pieno di mediocri impositivi, non c’è nulla da fare. Io mi son fatto un’idea precisa sulle persone che si dimostrano insofferenti a chi dimostra di avere estro creativo e voglia di affermarsi…ma è meglio che la tengo per me;)
Bèh, scrivo qui il commento che ho messo nella mia libreria, dopo aver letto “Diario di Scuola”:
Mi ero preparata a leggere questo libro pensando al solito caso del genio che racconta le proprie disavventure scolastiche con orgoglio.
Invece mi sono trovata ad affrontare una lettura incredibile che ha risvegliato in me stati d’animo passati, che mi ha aperto le porte per capire certe sofferenze dei miei figli, che mi ha chiarito cosa significa insegnare davvero.
Una chiara visione della società e di noi stessi attraverso l’analisi grammaticale.
Se quando lo si legge si è particolarmente fragili si può scoppiare in lacrime come dopo una seduta dallo psicanalista.
Complimenti a Pennac che conoscevo solo come inventore di capri espiatori e già credevo fosse un genio.
Un libro da leggere, studenti, insegnanti, tutti.
@Lavinia:
grazie per il tuo commento, partecipato e davvero “sentito”. Anch’io sono rimasta colpita dal testo, così potente e nuovo; non la solita rappresentazione della scuola degli errori e degli eccessi, o il coro delle lamentazioni; Pennac ci regala un trattato di pedagogia scritto dopo una ricerca poetica. E’ durissimo, invece, con le “figure preposte” : sociologi, psicologi, assistenti; in quelle riflessioni emerge ancora tutta la solitudine e la sofferenza del somaro. “Solo la giornata di uno psicanalista o il salame del pizzicagnolo sono tagliati a fette così identiche. E, questo, tutte le settimane dell’anno! Il caso senza la sorpresa, è il colmo!” pag.102
Continua a seguirci, un abbraccio, Miriam
Estratto da una mia intitolata: I giovani diventano violenti, altri si tolgono la vita e la società è perplessa e non capisce ancora.
Così come io vedo la crisi della scuola:
Sono certo che molti insegnanti sono diligenti, accurati e sensibili, ma anche loro devono rassegnarsi, dopo aver fatto alcune esperienze negative e costatato che il sistema di comunicazione con i genitori e a volte anche con i presidi e ispettori non funziona più come dovrebbe.
Favoritismi d’ogni sorte da parte dei genitori per proteggere i loro rampolli, elevati a prodotto prezioso da preservare e conservare così come sono e costi quel che costi, pesa sulle possibilità di riconoscimento e difesa degli insegnanti, tanto da essere degradati e accusati, invece che ascoltati e rispettati.
Alla fine devono rassegnarsi e lasciare la grandiosa costruzione educativa e istruttiva del dopoguerra, sorta con tante speranze e intendimenti di voler progredire a beneficio di tutti, arenare sui banchi di sabbia dai quali diventa sempre più difficile liberarla.
Il problema non riguarda solo la scuola, i genitori, le istituzioni, ma tutti i cittadini, nessuno escluso, ma sempre secondo del livello d’intendimento e istruzione che occupa nella società.
Ogni livello occupato comporta così tanta responsabilità pari alla sua elevazione, per cui ritorniamo di nuovo ai genitori, insegnanti, istituzioni pubbliche di ogni ordine e grado, associazioni attigue e così via fino al fattorino.
Dobbiamo capire che è la società intera che sbaglia perché resa cieca da un sistema di sostenimento personale che non offre alcun incentivo alla difesa delle virtù sane, tra le quali pongo in primo piano la serietà e la solidarietà.
Essa, privata dei suoi ideali e principi sani, sbaraglia, perde l’orientamento e lascia crescere ciò che nella mia ultima ho definito la negligenza, indifferenza, menefreghismo, opportunismo.
Da questa situazione, irrazionale in un sistema democratico, nasce la violenza contro gli altri e infine contro se stessi.
A mio parere, ogni insegnante, anche il professore d’Università, deve anche educare e non può esentarsi di farlo.
Sempre a mio parere, lo deve fare anche il datore di lavoro, il giudice, l’impiegato pubblico, il lavoratore, insomma ogni membro della società deve sentire la necessità di contribuire alla formazione di una società pacifica e serena. Ognuno secondo il suo grado di comprensione e istruzione, per cui è indispensabile istruire ed educare conseguentemente fin dalla tenera età e non smettere mai.
Questo, che io definisco principio della sopravvivenza sociale, è il fondamento del progresso umano, e dovrebbe valere molto di più dei risultati tecnici scientifici, che purtroppo oggi determinano il nostro vivere e sopravvivere.
Saluti,
Lorenzo Russo
@Germano
grazie per gli apprezzamenti! ..è davvero confortante che una persona di 50 anni possa sentirsi complice di un ragazzo di 21 – certo per me è facile dato che ho due figli, uno di 17, studente liceale – un po’ ti assomiglia ( sicuramente per la matematica) – e uno di 24 musicista (veramente bravo!…lo so che non sta a me dirlo, ma lo dico lo stesso : è bravissimo! ) di cui mia moglie e io siamo veramente orgogliosi!…non per i voti (medi) che portano a casa ma per quello che hanno nella loro zucca e nella loro anima.
P.S. ho visitato il tuo blog e ho letto con vero piacere il post : tutti a messa…tornerò a farti visita. Ciao Germano
Cavolo Lavinia – e anche tu Miriam non scherzi -, ora mi toccherà comperare pure Diario di scuola ( non preoccuparti l’avrei fatto comunque)…da quando frequento questo blog non faccio altro che acquistare libri!…e la pila sale, sale…non vorrei che mi cadesse sulla testa mentre dormo, come al protagonista del libro ” una solitudine troppo rumorosa” di Hrabal! Ciao
Caro Stefano,
contento di condividere con te la maggioranza assoluta dei miei ”punti-considerazioni” sulla scuola. Naturalmente non avevo considerato casi di follia tout court come quello che hai tratteggiato tu. Aggiungiamo dunque un ennesimo punto:
12) Sospendere o cacciare i pazzi – soprattutto quelli pericolosi – dalla scuola. Alunni, insegnanti, presidi o chicchessia.
Lieto di averti conosciuto
Sergio Sozi
@ Simona
Davvero molto bello il tuo aneddoto, Simo. Brava. E grazie.
Riprendo questa frase segnalata da Miriam (ed estrapolata dal testo di Pennac):
“Solo la giornata di uno psicanalista o il salame del pizzicagnolo sono tagliati a fette così identiche”
Mi pare una frase molto caustica.
Sarei curioso di conoscere il parere di un rappresentante della categoria dileggiata.
Zauberei… ci sei?
@ Lorenzo Russo
grazie per il tuo intervento e la tua analisi. Proprio oggi, leggendo qualche pagina da Il tramonto dell’Occidente di Umberto Galimberti mi sono imbattuta in una citazione di Heidegger, tratta da Identità e differenza (1957) e che riporto pari pari:
“Il passo indietro si muove quindi nella metafisica verso la possibilità interna ad essa (…) E’ un passo che richiede una durata e una costanza, la cui portata noi non conosciamo ancora. Intanto una cosa è certa, e cioè che tale passo esige una preparazione, una disposizione esistenziale che non può essere rinnegata”.
A questa necessità del Passo Indietro sembrano arrivarci tutti, anche Pennac, che conclude il suo Diario parlando d’amore, rivestendo questo pensiero con un dialogo filosofico d’altri tempi. Dopo aver considerato che negli anni settanta “un bambino è morto” (sistema scolastico obbligatorio introdotto nella seconda metà dell’ottocento) sostituito dal “bambino cliente-consumatore”, l’autore fa un passo indietro; perché nulla si può contro un somaro che non si riconosce, perché potente è il mondo delle merci che lo ripaga di una identità, quella del consumatore. Così Pennac fa appello ai sentimenti, al sentire e si rivolge ai singoli insegnanti o ai futuri tali con questo suo lavoro “esemplare”.
La maggior parte degli insegnanti che conosco (e ne conosco parecchi) mi comunicano un generale senso di frustrazione e di inadeguatezza.
I motivi li avete “snocciolati” molto bene nei commenti precedenti.
Domanda per Miriam, per gli altri lettori del libro e per gli insegnanti.
Quando Pennac critica le “figure preposte” (sociologi, psicologi, assistenti), lo fa in generale o in riferimento alla scuola?
Simo: poetica come sempre!
L’analisi di Sergio è puntuale e veritiera; Carlo, Stefano, Enrico, Luca… condivido in pieno quello che scrivete. Lorenzo, hai riportato il problema ai valori “alti” a cui dovrebbe essere riferito. Purtroppo per vari motivi è in corso un processo generale di deresponsabilizzazione: lo scaricabarile è uno sport nazionale, certezza delle regole e della pena sono sempre più lontane… Anche a scuola il processo è in atto da tempo. Alle superiori si criticano i professori delle medie che a loro volta criticano gli insegnanti della scuola elementare. Il triennio è tutta una critica degli insegnanti del biennio… Professori e alunni si rimpallano torti e responsabilità educative. Chi ci rimette, è vero, sono i ragazzi.
Costituiamo dei modelli validi per i nostri figli e alunni?
Abbiamo reso la loro vita più facile e più difficile assieme. Più facile per via del fatto che hano tutto subito e su un piatto d’argento. Un clic, copia e incolla e la ricerca – anche le tesi, com’è vero, Miriam! – è fatta. Deresponsabilizzazione quasi totale. Parole come sacrificio, impegno, studio come applicazione sono quasi scomparse. Vero è che la conoscenza è anche divertimento – io sparo anche battute durante le lezioni, non sono un’arcigna signorina Rottenmeier! – ma non puoi correre una maratona senza correre per 20 chilometri al giorno, regole, procedimenti, teorie devono essere studiati, anche con fatica, perché ciò che hai conquistato faticosamente è tuo davvero…
Vita più difficile. Perché, se papà mamma insegnanti ti giustificano ti coprono ti condonano i debiti formativi ti riempiono i vuoti con cose materiali, quando mai potrai affrontare le sfide, le frustrazioni, i fallimenti, le fatiche che la vita ti presenta?
Sono domande che mi pongo ogni giorno. A volte mi sembrano le pecore senza pastore di cui parla il Vangelo. Hanno sete di verità, di assoluto, di certezze che non trovano in noi né a casa.
Stefano: volentieri sacrifico ore di lezione “come da programma ministeriale” alla discussione in classe di problemi di attualità, programmi televisivi e varia. Tutto serve. Ma che fatica.
Miriam: deliziosa come sempre. Vero: la grammatica può e deve essere divertente. Ma dobbiamo far passare il messaggio che non si può semmpre fare ciò che è più divertente. Arriva sempre il momento in cui su qualcosa ci devi proprio sbattere…
Sociologi, psicologi, assistenti: o costituiscono una task force utile a chi insegna e chi apprende o sono solo figure retoriche.
@Massimo
Rispondo subito alla tua domanda: la critica è generale ed è generata da una riflessione profonda che forse in Francia è già opinione comune. Uscì un libro, un paio di anni fa, che ebbe uno straordinario successo: L’allievo di Daniel Zimmermann, un noir- noir ambientato fra scuole speciali e comunità d’accoglienza. L’ho riletto in questi giorni, è forte, cupo, sgangherato e con un grande fondo di verità. Penso che a Pennac sia piaciuto moltissimo.
Lo conosci? Oppure c’è qualcuno che se la sente di scrivere una recensione da inserire in questo dibattito?
C’è un bel passo di Pennac che invita a riflettere sul senso del tempo, delle pause che stimolano il gusto di far qualcosa:
–
…Qualche volta ho consigliato ai miei studenti esercizi di noia per collocarli nella durata. Li pregavo di non fare niente: non distrarsi, non consumare niente, nemmeno una conversazione, nè tantomeno studiare, insomma non fare niente, niente di niente.
“Oggi pomeriggio esercizio di noia, venti minuti a non fare niente prima di mettervi a studiare”
“Nemmeno ascoltare musica?”
“Assolutamente no!”
“Venti minuti?”
“Venti minuti, orologio alla mano. Tornate tutti a casa, non rivolgete la parola a nessuno, non vi fermate in nessun bar, ignorate l’esistenza dei flipper, non riconoscete i vostri amici, entrate in camera vostra, vi sedete sul letto, non aprite la cartella, non vi mettete i walkman sulle orecchie , non guardate il vostro gameboy, e aspettate venti minuti , fissando il vuoto”.
…
“E dopo i venti minuti?”
“Buttatevi sui compiti come degli affamati”.
–
@Germano:ti ho letto! Hai una folle, tenera , fantasia.
@Stefano, Evento,Miriam,Rossella: grazie.
@Massi:bacio e notte.
Grazie per la risposta, Miriam.
Sì… mi ricordo de “L’allievo” di Daniel Zimmermann (pubblicato da Meridiano Zero). Ne ho sentito parlare molto bene, ma non l’ho letto.
–
‘Notte, Simo (e bacio a te).
Miriam, inserisco di seguito la recensione di Gabriella Bosco per Tuttolibri sul libro di Zimmermann
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PER DANIEL ZIMMERMANN, come per Durrenmatt, «la verita’ resiste in quanto tale solo se non la si tormenta». Se ne convinse dedicando la vita all’emarginazione delle banlieues. Nato nel 1935, figlio di una spia francese al servizio dei sovietici e di un’ebrea polacca emigrata in Francia dal ghetto di Varsavia, ZIMMERMANN si e’ rotto la testa per decenni sui problemi della scuola nei quartieri sfavoriti della periferia parigina, ha scritto saggi sull’argomento, e romanzi. Morto nel dicembre del 2000, poco dopo aver dato alle stampe una sua autobiografia, non ha assistito al crescendo di violenza che nei mesi scorsi ha incendiato quelle banlieues, ma un esito del genere lo aveva visto arrivare e descritto nelle sue pagine. Di quanto fosse endemico il problema, e male affrontato, era perfettamente consapevole. Provava a leggere il disagio dei suoi ragazzi, ma non aveva dubbi sulla manipolazione della verita’ che lo fondava e che lo rendeva imprendibile. L’allievo, il romanzo di ZIMMERMANN in uscita per Meridiano Zero nella buona traduzione di Federica Alba, introduce sin dall’inizio il tema dell’errore: di interpretazione, di gestione, di liquidazione del disagio adolescenziale nelle periferie della metropoli. La vicenda ha due personaggi principali, David Kupfermann, che interpreta il ruolo dell’insegnante di sinistra impegnato politicamente e di forte ideologia (palese alter ego dell’autore), e Patrick Leguern, il ragazzino problematico difficile da prendere e soprattutto capro espiatorio. E’ una vittima, infatti, Patrick. Ma di chi? Questo e’ il nodo centrale del romanzo. Siamo a Savigny-sur-Orge, banlieue Sud di Parigi, seconda meta’ degli Anni Sessanta. Kupfermann si occupa di ragazzini disadattati, all’epoca li si chiamava – scusate, sembra crudele – «ritardati» (nel romanzo fioriscono espressioni ben piu’ crude, documento di usi e costumi locali di quegli anni: i senza cervello, i poveri tonti, i balenghi completi…). E’ incaricato di selezionare un gruppo di soggetti con disturbi dell’apprendimento sufficienti per entrare a far parte di una classe «differenziale» che sara’ affidata a lui. La prima manipolazione della verita’ e’ ad opera di Kupfermann stesso. Il «ritardo» di Patrick e’ di difficile interpretazione, in base ai test non rientrerebbe nella forchetta di disturbo ritenuta necessaria per accedere a quella classe. Ma Patrick e’ mal vestito, maleodorante, spiacevole d’aspetto, gli altri ragazzini lo chiamano «la scimmia». Sua madre, che lo viene a prendere a scuola, si presenta sciatta, e’ una border line. E un giorno Patrick si presenta con i piedi fasciati: suo padre, dice, gli ha bruciato le piante con un accendino Flaminaire. Kupfermann falsifica i test per potersi occupare del caso, le regole vanno boicottate quando sono tropo rigide. La vicenda pero’ e’ raccontata due volte. La prima dal punto di vista dell’insegnante, la seconda da quello dell’allievo. Scopriamo allora che il problema di Patrick e’ ben diverso da quello che appare. Viene da un’altra manipolazione della verita’, operata dalla madre Marie. In pubblico si finge border line per attirare pieta’ sociale sul figlio, con il marito si finge alcolizzata perche’ lui le stia lontano. E’ brutto, il marito, e’ guercio, e’ reduce dall’Algeria. La madre Marie smette gli abiti della finzione e indossa guepie’res e baby doll quando e’ sola con suo figlio, lo fa dormire nel suo letto, lo accarezza e lo convince a condividere la sua menzogna. I piedi glieli ha bruciati lei, lui consenziente, perche’ si creda che il marito e’ un seviziatore. La terza parte del romanzo racconta le «soluzioni» inadeguate. Patrick e’ stato mandato in un centro di recupero per minori criminali. Ha finito per uccidere il padre (e gli ha anche disfatto la faccia con il vetriolo, dopo averlo ucciso, per non vedere piu’ il suo sguardo sghembo) confermando il suo destino edipico, di cui del resto i piedi fasciati dell’inizio erano chiaro segno premonitore. Li’, educatori analisti psicologi hanno bruciato in un falo’ liberatorio nel cortile il dossier di Patrick, per «affrancarlo» dal suo passato. Potra’ cosi’ compiere il suo percorso diventando il figlio-marito della madre-amante, dopo aver traslocato nella banlieue Nord dove nessuno li conosce. E generare con lei nuovi bambini disturbati.
Terribile, Massi…
@Massimo
Grazie! E’ più di una recensione…è anche un riassunto puntuale e preciso preciso…
@ Maria Lucia.
Lo so. Terribile! Almeno… questo è quanto si evince dalla recensione della Bosco.
Vi auguro una buona notte!
Vi lascio con una domanda provocatoria.
Secondo voi, oggi, necessitano di più assistenza gli insegnanti o gli allievi?
@ Miriam
Tu che parallelismo trovi tra Pennac e Zimmermann?
(Buonanotte… stavolta davvero).
Io parlerei più che si assistenza di una seria preparazione degli insegnanti: teoria sì, preparazione teorica approfondita mi va bene, ma anche accertamento delle predisposizioni e della propensione psicologica… Qui si gioca con delle persone in formazione, e io che vivo la scuola dal di dentro vi posso assicurare che esistono i “maniaci”, i nullafacenti, gente che non dovrebbe varcare le soglie di un’aula, oltre che gente seria, preparata, educatori oltre che trasmettitori di nozioni.
L’insegnante inoltre dovrebbe poter contare su una “rete”: una task force di assistenti sociali, educatori, psicologi che non siano figure allegoriche ma un vero e proprio team educativo. I team che esaminano i bambini – per il sostegno, ad esempio – sono spesso pressapochisti, sottopongono i bambini a test assurdi e non adeguati.
A Massi: i migliori film che ho visto sul tema scuola – off topic, ma non ho letto i libri che hai citato, ahimè, rimedierò – sono: La scuola della violenza (o il seme. C’era Sidney Poitier, che io adoro), L’attimo fuggente naturalmente, ed un film francese bellissimo, Les choristes.
Libri non so. Mi piacque tanto Papà gambalunga – studio orfanotrofio e college – , Jane Eyre – eroina! – … ci penserò.
Grazie per il commento, Maria Lucia.
Vediamo che cosa ne pensano gli altri. Se sono ancora in piedi è perchè ho preparato una piccola sorpresa.
Andate a riguardare il post.
Ora vado. Stavolta sul serio.
Ciao Maria volevo esprimerti tutta la mia solidarietà…si intuisce dalle tue parole accorate, dalla tua rabbia quanto tu sia coinvolta emotivamente e quanto tu ci tenga davvero a questo tuo “lavoro” a questo impegno sociale portato avanti con coraggio e abnegazione fra mille difficoltà. grazie ancora.
@Germano,
le corrispondenze romantiche falle con Gregori che ormai s’infiamma più dei suoi calli,io la tua mail la volevo per tenerti per le p…!
…
Ooops, figliolo, venerdi sera c’è de Giovanni a “Galassia Gutemberg”, la più tosta rassegna letteraria europea dopo quella tedesca (ormai Torino è muffa, non ci và neanche più Baricco), sabato a mezzogiorno ci siamo quasi tutti noi di “Centoautori Edizioni”, fatti vivo teppista, se non dovessi esserci io, sabato cerca Pino Imperatore o Maurizio de Giovanni, non ti preoccupare, anche se sei casertano noi non siamo razzisti!
p.s. puoi parlar male di Greg ben oltre la mezzanotte, in questo momento la “Letteratitudine romana” è davanti ad uno spaghetto matriciano, stanno tutti a cena, dai sfogati!
Massimo, ci siamo incontrati sul forum di writersmagazine. Ho trovato il tuo blog quasi per caso, navigando tra i blog “amici”. Mi pare molto interessante, i temi vengono trattati in modo approfondito e da prospettive e angolazioni differenti. Ti mando un cordiale saluto. Writer.
@Francesco. E come fai a tenermi per le p…grazie ad una semplice mail?! illuso…ah ah ah:-P
@Simona. Ma grazieeeeeeeeee…arrossisco;)
@Stefano. Il senso di conforto, ovviamente, è reciproco. Però che bello, tu pittore e tuo figlio musicista…una famiglia di artisti, la tua. Vi invidio!! Ti ringrazio per essere passato sul mio blog…anche io ho fatto visita al tuo ad essere sincero e ho deciso di linkarlo dal mio. Qualche volta, se trovi qualche post degno di nota, puoi anche lasciare un commento…ne sarei indescrivibilmente onorato. Ora vado a nanna che sono appena tornato da un appuntamento galante:-P…domani ho una giornata pienissima ma tenterò di passare per lasciare qualche altro segno delle mie attività neuronali…come già detto nel mio primo intervento, tale argomento, mi sta molto a cuore!!!Ti abbraccio forte e…spero di rileggerti presto.
Germano, guarda che ho anche un lavoro “normale”…sempre che fare il capotreno possa essere considerato tale.. tengo famiglia! ciao
Ah ah ah…il capotreno non dovrebbe essere un lavoro normale?!!Certo, rispetto al pittore è quanto di più normale ci sia ma, ne ho conosciuti un paio di capotreni e, dalle cose che mi hanno raccontato, non è una vita tanto piatta…a volte si fanno incontri interessanti. Io non ho ancora famiglia(ma spero di avercela un dì) ma, già adesso, oltre a gironzolare per l’uni e lavorare come giornalista praticante, sto tentando di fare il mio bravo lavoro “normale”…domani ho i test attitudinali per entrare in banca, al “front-office”(oggi lo chiamano così). Un buono stipendio e la possibilità di far carriera…certo, questo vorrebbe dire laurearsi tra 3/4 anni se tutto va bene ma chissene…con quello che mi pagherebbero, si può fa;)
A presto
i genitori hanno abdicato. la funzione educativa non la svolge più nessuno. i figli vengono considerati preziosi gioiellini perfetti in sé, non giudicabili da altri e svisceratamente venerati coccolati e accontentati.
è come se la mammitudine mediterranea come clichè si fosse estesa al completo apparato. gli unici no che si sentono sono quelli isterici di iperprotettività (non correre che sudi, non giocare che ti sporchi), tutti gli altri se anche ci sono non vengono mantenuti.
gli insegnanti considerano il loro un mestiere come un altro, quando in realtà è un’arte(non mi piace il termine missione, implica sacrificio e sofferenza quando quello che serve è allegria ed entusiasmo), e implica motivazioni che non siano solo lo stipendio a fine mese e il tempo libero.
in questo panorama vagano smarriti bambini e ragazzi senza una guida, che cresceranno per diventare.. per diventare che?
qualcuno si salverà comunque per merito suo o per fortuna, la maggior parte sopravviverà barcamenandosi e riproducendo gli stessi comportamenti, altri si perderanno come esseri umani e cittadini consapevoli.
e sarà sempre colpa di qualcun altro.
MAUGERI SCRIVE: “Vi lascio con una domanda provocatoria.
Secondo voi, oggi, necessitano di più assistenza gli insegnanti o gli allievi?”
Bella domanda. Io me la caverei dicendo che è la scuola che necessita di più assistenza. La mia impressione è che, a colpi di riforme, non si sia fatto altro che peggiorare le cose. Non mi piace dire nè pensare “ai miei tempi….”, però io oggi non vedo (complessivamente) una didattica che stimoli la creatiività dell’insegnante e l’apprendimento dello studente.
I compiti in classe esistono, ma spesso vengono chiamati verifiche. Al posto di temi, riassunti, “critiche” da fare a casa, vedo delle cosiddette schede con domande prestampate alle quali si risponde come ai quiz per la patente.
Non rimpiango la mia professoressa di latino che ci interrogava sui verbi con la clessidra: tre minuti, e più sbagliavi e più erano cazzi.
Però io il latino me lo ricordo. Tra cinque-sei anni, a furia di rispondere con le schede, gli studenti attuali ricorderanno qualcosa dei Promessi Sposi oppure soltanto se Manzoni aveva le basette lunghe e si trombava la serva?
Gea, la penso esattamente come te…i genitori hanno paura di crescere dei figli insoddisfatti e problematici perciò li assecondano in tutto ….ma dai, ce l’hanno tutti, se non glielo compro poi magari si sente diverso…il motorino appena compiuti i quattordici (magari non gliene importa una sega), il telefonino già alle elementari ” metti che abbia bisogno di me, che si senta male che …”ma cavolo non è mica nel deserto, è a scuola!la cosa tragica è che facendo così – anticipando i loro desideri, togliendo il piacere, del desiderio, spianandogli la strada in continuazione – saranno davvero dei disadattati nel momento in cui dovranno fare delle scelte e non avranno gli strumenti per farle.
Io, non ho mai odiato i miei genitori perché non mi comperavano una “cosa”, perché non mi mandavano in palestra…quello che conta davvero è l’onestà intellettuale, la buona fede…i no, se non sono gratuiti ma espressi in maniera coerente non hanno mai fatto male a nessuno! stefano
L’assistenza servirebbe a tutta la nostra società che ultimamente mi sembra alquanto depressa. I ragazzi probabilmente sono quelli con meno colpe
visto che, quello che hanno/ o non hanno glielo abbiamo regalato noi, loro sono il risultato delle nostre scelte o meglio della nostra incapacità di scegliere.
@ Enrico
i bimbi sono affossati dalle verifiche, che nella scuola sono il modulo comparativo di ogni programma! E’ angoscia già al primo anno delle elementari: si fanno verifiche anche per religione e motoria ( che sarebbe la vecchia ginnastica). L’aspetto tremendo dell’intera faccenda è che la verifica assolve l’incompetenza, la programmazione e l’intento pedagogico. Pensa ai bimbi ancora frastornati dal chiasso della materna, che, quasi all’improvviso, scoprono la contabilità dei loro giorni. E gli esami sono solo all’inizio.
@ Massimo
Tu mi chiedi la relazione fra Pennac e Zimmermann; in parte ti ho già risposto, quando ieri accennavo al passo indietro. Abbiamo accumulato teorie, troppe, una montagna sui piedi che ora c’impedisce il movimento. Nell’ultima parte del suo libro, Pennac, con la metafora della “nonnaccia marketing”, affronta il problema. All’invasione delle merci la scuola ha contrapposto la quantità degli intenti e delle norme: un’implosione educativa che umilia insegnanti ed allievi. Per ripartire, Pennac propone l’azzeramento: alla solitudine di un bambino corrisponde la solitudine di un adulto. Chi lo aveva salvato dal suo disastro scolastico? Quattro insegnanti, i suoi “quattro moschettieri” che per amore, verso sé e il proprio lavoro, non si arresero “all’evidenza”. Quell’evidenza che Zimmermann “introduce sin dall’inizio- come- il tema dell’errore: d’interpretazione, di gestione, di liquidazione del disagio adolescenziale nelle periferie della metropoli”.
Ma siamo in Francia, paese più sensibile e attento alle mutazioni generazionali. Dopo il sessantotto, un’altra rivoluzione? Pennac lo sussurra, quasi con paura, nelle ultime righe del libro.
Giusto anche quanto precisato da Maria Lucia, Miriam e Gea: arte, sacrificio e passione in classe e’ quanto, secondo me, dovrebbe completare il ”quadro” di un buon insegnante serio, preparato, onesto ed equilibrato. Molto per me ha contato l’amore per le mie materie e per i ragazzi. Il ”fare tribu”’ con i ragazzi porta tutti a lavorare bene e senza troppo avvertire la fatica. Perche’ c’e’ un importante dettaglio che non andrebbe trascurato: i ragazzi, se sanno che tu vuoi loro bene e ami le materie, farebbero per te qualsiasi cosa, si butterebbero in un vulcano in eruzione.
Insomma bisogna ancora imparare dal Principe della pedagogia: Socrate.
Sergio
P.S.
Altra cosa da sottolineare: un insegnante deve sempre saperne di piu’ degli alunni, senza farlo pesare, ma tant’e’. L’autorita’ deriva molto da questo e in altra percentuale dagli altri sopracitati elementi, che rendono un insegnante un adulto vero prima ancora che un docente.
@Massimo,carissimo in questi giorni posso solo leggere quanto scrivete.
Ho il braccio bloccato e dolorante..eppure la quaresima è finita!
Siete bravissimi.Vi penso molto.
Tessy
Bravo, Sergio: io ho una concezione socratica dell’insegnamento. Io sono il ponte su cui i miei alunni traghettano da ciò che sono a ciò che diventeranno. Amore, preparazione, fatica. Tutto qui il segreto.
Stefano: grazie infinite delle tue parole, non sai quanto mi fanno bene. Il capotreno: che cosa affascinante. Quando l’hai scritto ho pensato al padre di Vittorini, ferroviere affascinante affabulatore che compare sotto varie spoglie negli scritti del figlio. Scriveva saggi sul teatro classico, recitava a memoria il Macbeth nelle stazioncine di un’assolata desolata Sicilia…
OFF Topic ma non tanto…
Oltre ai film, pensiamo ai libri sulla scuola e soprattutto a quelli scritti da chi la scuola l’ha vissuta veramente.
Penso a Sciascia, che è stato maestro elementare e ha scritto “Le parrocchie di Regalpetra”. I suoi alunni erano i figli di una Sicilia ancora pastorale e contadina.
Penso a don Milani e al suo I care, che prima di diventare slogan per politici in cerca di identità culturale e valori che giustifichino la corsa immonda alle poltrone per poi trasformare il motto nel me ne frego del Mussolini nazionale, era un programma educativo: mi interessa, mi sta a cuore. Oggi ai ragazzi sta a cuore e interessa ben poco, proprio perché noi abbiamo smesso di interessarci a nulla più delle necessità e dei falsi bisogni materiali.
Penso – sto rileggendo della pedagogia umanistica, per molti aspetti rivoluzionaria – a Vittorino da Feltre, che fondò la “Ca’ Zoiosa”, una specie di accademia per giovanetti ricchi e poveri in cui si pensava all’educazione integrale, umanistica nel senso migliore dle termine. Lì i ragazzi studiavano i classici latini e greci, la letteratura italiana, facevano esercizi ginnici, cantavano e suonavano, danzavano…
La scuola che io sogno ha palestre e laboratori musicali e campi da gioco più che aule da computer, perché la scuola non è preparazione al lavoro. Altrimenti non sarebbe scuola ma un’agenzia di formazione con le i berlusconiane – informatica, inglese, INCULTURA, IGNORANZA, IRRESPONSABILITà, INUMANITà. Sogno una scuola con pochi alunni per classe, in cui si canti, si danzi, si scriva, si vada insieme ai professori al cinema, a teatro, nei musei. In cui si mangi assieme come in una grande comunità. Si cucini, si faccia giardinaggio…. Come accade nei nuovi tipi di scuola – le scuole familiari. Che ne pensate?
Abbiamo parcellizzato il tempo scuola: ore di cinquanta minuti, tutto in fretta: l’appello e le giustificazioni delle assenze dei ritardi, spiegazioni interrogazioni verifiche scritte e orali recupero lettura circolari venghino scolari venghino… Tutto di prescia, tutto fatto in fretta e fatto male. L’alunno non capisce ciò che sa fare e che non le cose per cui è inclinato per natura e quelle per cui deve faticare, quello che riuscirebbe a fare solo se…
Silvia, sei tu che sei diventata zia? Io lo sono da otto mesi. Sono strafelice e auguro a te la stessa gioia che mi dà Paoletto, un esserino intelligente e spiritoso…
Tessy cara: mi dispiace tanto. Vedrai che ti rimetterai presto… Sento la mancanza dei tuoi interventi poetici e delicati, sempre appropriati e pieni di garbata umanità. Un bacio e rimettiti presto!
@ simona, tanto per stemperare:
oh che bel pezzo di fi….gliola!
🙂
Che Enrico abbia visto le foto della trasferta di Maximus Maugerius a Siracusa?
Mistero.. Massi, che ne hai fatto?
E per continuare a stemperare, non è male nemmeno il tratteggio che Pennac dedica alle madri del somaro : mamma logorata, mamma umiliata, mamma furibonda, la mamma ferrata… con descrizione tipologica in cui è impossibile non riconoscersi….
Grazie per i nuovi commenti e per le risposte fornite.
@ Maria Lucia
Ho aggiornato il post inserendo alcune caricature nate dalla mitica penna di Carlo S. e una foto di Simona (estrapolata da quella di gruppo fatta a Siracusa)
–
@ Enrico
Sì, Simona è una bella e brava figliola (e dal vivo è ancora più bella e brava). Ma non esagerare con i commenti. Ricordati che è un magistrato.
Rispetto per le istituzioni, mi raccomando!
🙂
…sempre per stemperare… vi riporto un passo di Simone Weil sull’insegnamento :
“Il poeta produce il bello con l’attenzione fissata su qualcosa di reale. Lo stesso avviene con l’atto d’amore. I valori autentici e puri del vero, del bello e del bene nell’attività di un essere umano si producono mediante un solo e identico atto. Una certa applicazione della totalità di attenzione su un dato obiettivo.
L’insegnamento dovrebbe avere per fine solo quello di preparare la possibilità di un tale atto mediante l’esercizio dell’attenzione”…
–
@ Massi ed Enrico: faccina.
A tutti – specialmente a Maria Lucia:
e brava tu, Maria! secondo me dovremo tornare a fare scuola sotto le querce, nei boschi sacri, vicino ai ruscelletti. E a farla per piacere e senza rotture di scatole e ”prescia” (anche noi della Valle Umbra Sud usiamo questo termine dialettale per intendere ”fretta”). A farla per scambiarci reciprocamente il sapere e i sentimenti, le idee ed i sogni, le domande e le risposte.
Io sogno una scuola fatta per chi la sceglie e la vuole, ne sente l’esigenza, non una gabbia per tutti.
Tant’e’ che da quando la scuola e’ divenuta obbligatoria ha cominciato a perdere i pezzi. E stavolta ho parlato provocatoriamente.
Tanti Auguri di Guarigione a Maria Teresa Scibona! Vedrai che passa. Te lo dico io.
Siamo tutti assieme a te
Sergio
Credo che l’insegnante debba evitare di far arrivare allo studente le nozioni dall’alto, come una fastidiosa e acida pioggia.
Deve tentare di trasferirle in modo che lui si possa sentire sicuro di apprendere. A quel punto rimarrebbe soltanto una questione di buona volontà dello studente.
Credo anche che, supponendo una classe di 25 persone, se l’insegnante ce la mette tutta e ciononostante una decina di studenti non seguono, questi vanno seguiti “al minimo garantito”. Non possono essere zavorra per chi vuole apprendere.
@ massimo:
su simona mi sono tenuto, e lo sai. ma se vuoi….
🙂
Scusate l’assenza. Da moschettiere non si dovrebbe, ma il fatto è ho avuto un bel po’ da fare sul lavoro. E anche domani sarò fuori tutto il giorno (ahimè parto domattina alle 5 e sarò di ritorno la sera, spero per cena). Ma mi sono scorso velocemente le postate di ieri e di oggi e anche se non ho molto da dire, mi pare che le conversazioni proseguano in modo interessante, e mi fa piacere che il libro di Pennac le abbia stimolate. Mi aspetto molto dal libro di Zimmermann, sulla base della recensione postata da Massimo e confermata da Miriam che l’ha letto e per prima lo ha segnalato. Forse sarà il caso di riparlarne quando uscirà in italiano (a breve, pare di capire).
Saluti a tutti, ed in particolare a Stefano: da un po’ seguo con attenzione i suoi commenti che mi trovano molto d‘accordo. Già con Gea ho stretto una sorta di patto di “fratellanza”…. ho visto anche i suoi gusti sul suo blog, e cita pure Hildegarde Von Bingen (oltre a Terence Malik, Volver di Almodovar, Fossati, Coltrane, Garbareck, tutto Dickens …ecc.)…… E qui si rischia di allargare ulteriormente “la famiglia”.
Mi piacerebbe vedere qualche sua mostra e mi piace molto anche quel titolo: “un ONESTO pittore riminese” ….
(PS: Riguardo alla pittura il mio “must” è Morandi.)
@ Maria Teresa
Come ha già scritto Sergio, siamo tutti con te. Tieni duro.
@ Carlo
Il libro di Zimmermann è già uscito in Italia per i tipi di Meridiano Zero (nel 2007 o nel 2006, adesso non ricordo).
La recensione che ho proposto fu pubblicata poco prima dell’uscita del libro in Italia
@ Enrico
Su Simona fai bene a… “tenerti”. Altrimenti sappi che sono pronto:
1. A salire a Roma per tagliarti i capelli a zero (ovvero tosare)
2. A denunciarti al Tribunale di Avola (e guarda che conosco il magistrato che lo dirige)
🙂
Ringrazio Miriam Ravasio, Maria Lucia Riccioli per le loro gradite risposte al mio commento sulla scuola.
Sul quesito di Massimo Maugeri: chi abbia maggior bisogno di assistenza, mi preme una specificazione.
Il problema della nostra società, uguale di quale orientamento sia, è globale, cioè abbisogna di un radicale mutamento in ogni attività umana.
Alla base di questo nuovo orientamento, pongo la necessità di orientare l’economia su una base nuova e radicale, perché è sempre da essa che sorgono i gravi problemi educativi e istruttivi.
Allego una mia intitolata: l’economia del futuro.
Mi scuso in anticipo per la lunghezza del testo.
Saluti.
Lorenzo Russo
L’Economia del futuro: come sostenere le forze positive derivanti dalle elevate cognizioni raggiunte al confronto con le forze negative operanti ancora nell’uomo.
Di certo, con l’attuale sistema economico non risolviamo i problemi economici d’oggi e ancor meno risolveremo quelli del futuro; anzi temo che l’attuale sistema porterà al collasso tra il fabbisogno primario globale insufficiente e quello superfluo dei popoli privilegiati.
L’allargamento dell’istruzione a tutti i ceti sociali in tutto il mondo migliorerà il loro stato di coscienza, così che maturerà la necessità di una correzione decisiva dei fini economici in atto.
Per realizzarla, senza correre il rischio di creare conflitti gravi che potrebbero sfociare in confronti bellici, sarà necessario propagare un mutamento radicale del concetto del lavoro e della sua remunerazione.
Il concetto attuale della remunerazione secondo il rendimento, espresso solamente in utili di reddito creati ( per chi?) non reggerà più al confronto con i diritti, sentiti e pretesi da ogni cittadino, di vivere ognuno la sua vita in concordanza con le proprie capacità e inclinazioni naturali e per le quali sarà necessario rivalutare il concetto del tempo da dedicare al lavoro.
Il lavoro dovrà essere inteso per il bene collettivo e quindi ripartito tra tutti i membri della società. Non dovrà più dipendere dal tempo impiegato a svolgerlo, come purtroppo oggi viene richiesto. L’importanza sarà posta sulla quantità di beni da produrre in relazione al fabbisogno delle popolazioni, eliminando molte forme di superfluo e di lussuoso per pochi ceti privilegiati.
Un motto dice che se gli europei hanno l’orologio, gli africani hanno il tempo.
L’orologio ci rende schiavi degli altri che c’impongono di osservarlo e rispettarlo con esattezza, privando lo spirito di quei valori che possono agire solo nelle menti lontane da questi concetti egoistici e sfruttatori, menti ebbene sane, cioè buone, semplici e modeste.
Il tempo libero a disposizione ci arricchisce di pensieri e sentimenti che ci congiungono con gli altri, così che ne sorge una società unita e solidale.
Nel sostenerli, ritengo però importante evitare contraddizioni e attriti inerenti all’inclinazione del singolo di prevalere sugli altri e dalla quale sorgono i privilegi d’ogni tipo per sé stesso.
Insieme alla necessità di sostenere e sviluppare le qualità personali dell’individuo, realizzabile al meglio attraverso un’adeguata e costante educazione e istruzione, è necessario cercare il compromesso quando esse contrastano con le stesse degli altri.
Educazione e istruzione devono riferirsi e attenersi sempre e unicamente al raggiungimento del processo di maturità, indipendentemente dal grado d’istruzione raggiunto, e dal quale nessuno deve e può esentarsi.
Le attuali discriminazioni riscontranti tra i lavori ad alto livello intellettuale e quelli a basso livello dovrebbero lasciare il posto al concetto, a mio modesto parere addirittura psicologicamente liberatorio per tutti, che ogni lavoro è utile e indispensabile per il raggiungimento del benessere collettivo.
Il benessere della società intera diventa premessa del benessere individuale; l’individuo s’identifica nella società perché comprende che in lei si sente più sicuro, protetto ed evoluto.
Le esperienze personali fatte mi hanno insegnato che la formazione dell’uomo non è unicamente condizionata dalla qualità, in pratica dichiarata a priori da gruppi interessati e quindi secondo fini estranei alla volontà e all’interesse del soggetto in discorso, del lavoro svolto, ma esclusivamente dal suo interesse e dalla sua volontà di volersi identificare meglio.
Nel corso di discussioni con persone di differente formazione e grado d’istruzione, incontrate anche per caso, ho potuto costatare che le argomentazioni fatte dagli addetti ai lavori dichiarati comunemente umili e quindi bassi e mal retribuiti, erano più genuine, sincere, profonde, sostenibili e lecite.
Ne deduco, che lo svolgimento di un lavoro meno intellettuale può comportare, sempre secondo dell’interesse del soggetto, una maggiore inclinazione alla riflessione personale alla ricerca della propria vera identità, oltre al tentativo di stabilire un equilibrio tra il lavoro minore svolto e quindi meno appagante la propria vanità, e le maggiori aspirazioni sentite, ma per lui non ancora realizzabili.
L’attuale distinzione dell’importanza di una mansione nasconde la vanità di coloro che l’hanno imposta e continuano a pretenderla a danno degli altri meno fortunati.
Nella considerazione, nuova e promettente, che ogni attitudine e mansione è rilevante e indispensabile, creiamo un ponte d’incontro tra i diversi ceti della società e aiutiamo i meno abbienti ad uscire dal loro isolamento, con il risultato che s’instaura un effetto psicologico liberalizzante ed appagante per tutti.
A mio avviso e tanto per fare un esempio, trovo deplorevole chi, possedendo più diplomi e lauree, attestanti senza dubbio la sua gran facoltà intellettuale e quindi intelligenza, non capisce l’importanza di sostenere il senso, fondamentale per l’uomo, di non valere più degli altri per il funzionamento della società. È l’unico senso che unisce e crea quindi equilibrio.
La società intera progredirebbe meglio, quando non sosterrebbe ed eleverebbe a mito chi apparentemente dedica tutta la sua vita allo svolgimento di mansioni ritenute da lui stesso di fondamentale importanza per la collettività, ma che in verità nascondono l’appagamento della sua vanità, presunzione e fama di potere.
Sono compiti certamente importanti, ma non più tanto quando, in effetti, trascura la sua famiglia che rimane così priva della sua presenza e crea ripercussioni gravi sul campo affettivo e d’equilibrio.
Una famiglia e di conseguenza una società possono progredire e svilupparsi positivamente solo con la partecipazione attiva e costante di tutti i suoi membri e non può e deve essere sostituita a lungo tempo da dritte persone, assunte e pagate anche generosamente con mezzi finanziari di cui è largamente in possesso e come per pacare la sua coscienza malata.
In verità, costui infesta negativamente lo spirito degli altri, già accecati dal suo modo di vivere questa vita da volerlo imitare.
È così che la società sorretta da esempi falsi e ingannevoli sbanda e si rovina.
Il credo, che ognuno è unico in questo mondo, è errato; in verità portiamo in noi tutto ciò che i nostri predecessori hanno dovuto lasciare: il risolto, come l’irrisolto per mancanza di maturità, disposizione o altre cause esterne.
È nostro compito impegnarci per migliorare le nostre condizioni di vita, ma è anche nostro compito offrire ai posteri le migliori condizioni di vita possibili e così garantire la continuazione del processo evolutivo.
Credo, che questa vita possa così assumere per noi un significato migliore e ci conduca ad un fine comune, perché più comprensivo, sostentabile e liberatorio.
È ancora un sogno, ma tutti i processi evolutivi raggiunti finora sono sorti da un sogno. Certo è che le grandi difficoltà ambientali già registrabili e causate dal concetto d’espansione di tutto senza limiti, la sovrappopolazione del globo che avanza irresistibilmente e lo stato elevato degli armamenti ci costringeranno a realizzare questo sogno, senza il quale non potremmo sopravvivere.
Saluti,
Lorenzo Russo lì, 19.07.07
@ Lorenzo Russo
Grazie per questo tuo nuovo commento.
Sulla base di ciò che scrivi si potrebbe aprire un ulteriore filone di dibattito.
Studenti, comunicazione e New Media
Premesso che l’amore e la passione sono alla base (e sono dunque d’accordo con quanto sostenuto da Simona, Sergio e gli altri nei recenti commenti), credo che la disciplina sia comunque un valore che non può essere disconosciuto.
L’altra volta, dopo aver assistito all’ennesimo video di un docente messo su YouTube dagli allievi (video che poi rimbalzano sui TG, incentivando i tentativi di emulazione), mi è venuto in mente quanto segue. È semplicissimo riprendere con i cellulari, in classe, senza essere visti. Dato che tutti siamo esseri umani (e che un insegnante può pure sbagliare e commettere gaffe) ho visto questa possibilità (riprendere a caricare su YouTube) come un possibile strumento di ritorsione (se non di ricatto) nei confronti dei docenti in mano agli studenti più sprovveduti e senza scrupoli.
Cosa ne pensate?
P.s.
Badate bene che io sono il primo a utilizzare YouTube (sapete che ho aperto un canale video del blog) e sono più che convinto che i pro siano superiori ai contro.
Ma non si potrebbe fare in modo di tenere i cellulari spenti durante le lezioni (tutti, docenti e discenti)?
La tecnologia dovrebbe entrare poco ed in punta di piedi a scuola – ovvero solo per motivi autorizzati o richiesti dai docenti. Io non ho mai sopportato gente col telefonino acceso in classe: i miei occhi davano un tacito ordine di silenziatore o sgombero del gingillo disturbatore. Chi voleva capire poi capiva perche’ gli interessava quel che avevo da spiegare io: infatti se ti dai da fare col telefono non puoi ascoltare bene la lezione, dunque scegli: o Sozi o le tue cretinate. Molti, incredibilmente, sceglievano me. La cretinata numero due nel menu’.
La disciplina e’ cosa di cui le persone normali hanno cognizione senza bisogno di esserne costretti. Semplice: se ti piace la lezione non fai altro, stai zitto e prendi appunti. Se non ti piace la lezione fai altro: mangi, chiacchieri, dormi, ti scaccoli. Dunque bisogna lavorare bene e del tutto seriamente. In genere se fai cosi’, un alunno di media intelligenza ti segue ed interviene. Tu ci parli, gli rispondi sinceramente senza dire cretinate ed insieme si pensa a crescere e non a fare filmini per scemi. Fra persone serie si cresce. Le minoranze di idioti rimarranno sempre tali. E’ ovvio.
P.S.
Dimenticavo la cosa piu’ ovvia: NIENTE CELLULARI, ne’ gli alunni ne’ noi.
@ Massi…non solo si può, ma si deve.
Chiunque faccia uso improprio dei cellulari e dei meccanismi audiovisivi che contengono viola la L. 675-96 sulla privacy e va incontro alle sanzioni previste dalla L. n. 98 dell’8-4-1974 artt. 615 bis e 617 bis nonchè dall’art 226 cpp che tutela il diritto alla riservatezza.
Se poi il materiale è utilizzato abusivamente e senza autorizzazione di chi è ritratto o al di là dei limiti da questi fissati, viola il diritto all’immagine previsto dall’art 10 cc.
In ogni caso molti istituti scolastici per statuto interno vietano ormai l’entrata in classe di alunni muniti di cellulare. E anche in udienza è vietato tenere i cellulari accesi o utilizzare dispositivi c.d “Spia”.
@ Simo e Sergio
Perfettamente d’accordo
Grazie Massimo, sul libro di Zimmermann avevo frainteso, e pensavo che la nostra Ravasio lo avesse letto in francese. A questo punto lo cercherò (… per innalzare la pila).
@ Simona
Ma sei splendida! Prima o poi aprirò una nuova rubrica a tuo nome e la intitolerò “Forum”.
Grazie davvero.
🙂
–
Pensavo che non sarebbe male dedicare agli studenti una lezione sulla normativa a tutela della privacy e sul diritto alla riservatezza (illustrando con dovizia le sanzioni a cui si va incontro in caso di infrazione).
Che ne dite?
@ Carlo
E allora ti chiamerò… Carlo “pilato”.
A patto che non te ne lavi le mani, però.
🙂
Simona, mi spaventi; comunque pienamente d’accordo: chi di cellulare ferisce, sul cellulare (si chiama ancora così?) finisca!
Piccola precisazione: ”negativo” e ”positivo” sono termini che io associo solo a fenomeni di natura fisica e tecnica, non a cose umane. Pertanto mi scuso col sig. Russo se non leggero’ integralmente il suo intervento, che immagino sia comunque da stimare e di cui ho assaggiato l’incipit. E’ una questione linguistico-filosofica di fondo. Non me ne abbia, ma a questo mondo noi singoli uomini siamo stati fatti per scegliere, pur rispettando sommamente cio’ che rifiutiamo.
@ Massi e a tutti: notte. Domani altra udienza…senza cellulari.
@ Massi…sì, nelle scuole ho già tenuto conferenze sulle sanzioni cui si va incontro in caso di violazione della privacy. Il problema è che i fruitori sono…minorenni!!!
In questo caso la responsabilità ricade o sul genitore o sull’insegnante per culpa in vigilando….
Carletto ex-Speranza (Sirotti, eh… vecchio mio!):
cosa ti spaventa? Che esistano delle leggi giuste? A volte accade – come si diceva una volte del risveglio degli zombie-morti viventi. Ovvero dei politici di razza. Ce ne sono, bisogna ammetterlo. Si alzan dalle tombe piu’ raramente dei nostri Martiri garibaldini ma ci sono. Per fortuna non ”tutto quanto” fa spettacolo. Esiste anche il Cittadino e la sua vita intima.
Simona, aspetta un attimo: non sarebbe piu’ giusto dare queste colpe ai genitori? Sono loro che concedono i cellulari ai figli, loro hanno la patria potesta’. Come si fa a pretendere che i docenti controllino venticinque alunni?
@ Simona
Questo è uno dei problemi. Sono minorenni, dunque “intoccabili”. E loro lo sanno.
Buonanotte a te. Vado a nanna anch’io.
Allora le cose sono due: o si irrobustiscono i genitori, che devono imporsi coi propri figli per far loro rispettare le leggi, o si adeguano le leggi: per certi reati gia’ e’ previsto il carcere minorile; aggiungiamo anche i reati contro la riservatezza con mezzi tecnologici ed e’ fatta.
@Sergio…ma poi davvero scappo a nanna …
Sì, la colpa è sempre a monte del genitore in quanto esercente la potestas. A meno che non provi che il minore ha agito sfuggendo al suo controllo e che a lui non sia stato possibile intervenire (ma è una prova rigorosa e molto difficile da raggiungere da un punto di vista istruttorio).
In questo solo caso se l’insegnante è presente al fatto e non lo impedisce è ritenuto responsabile per culpa in vigilando.
@ Massi: sì il problema principale è l’inadeguatezza della normativa rispetto a situazioni che spesso sono frutto di soggetti considerati dal diritto “incapaci” fino al raggiungimento della maggiore età.
Inoltre questo tipo di sanzione ha natura – per lo più – squisitamente civilistica. Ove scatti la previsione penale il giudice minorile ha qualche spazio di manovra…ho conosciuto qualche collega del tribunale dei minori estremamente fantasioso che in virtù della discrezionalità che la legge attribuisce in questi casi dava pene educative ed esemplari:
per esempio mandare sms a Dante durante l’orario di lezione…
Bene. Pero’ dopo, se l’insegnante sequestra il telefono per non esser passibile di ”culpa in vigilando”, non bisogna far si’ che il docente venga denunciato per sequestro illegale di bene privato. O cosa simile – non conosco la terminologia tecnica ma ci siamo capiti.
In ogni caso, tagliamo la testa al toro: facciamo si’ che le leggi sulla riservatezza di cui diceva Simona coinvolgano anche i minorenni. Cosi’ gli insegnanti diranno in classe il primo giorno di scuola: ”guardate ragazzi, che qui il telefonino non si puo’ usare per l’articolo tot e tot delle Leggi dello Stato. Le pene per voi sono le seguenti ed io chiamo i carabinieri, se mi costringete a farlo.”
(Poi resta ovvio quel che affermavo prima: se sei bravo a far lezione, solo una minoranza dei ragazzi si distrae con altre sciocchezze. Socrate docet illo tempore, nunc et semper).
In illo tempore… eh… il latinorum…
@ Carlo
Sì, il libro di Zimmermann l’ho letto l’estate scorsa e ho anche imposto l’acquisto alla mia biblioteca. Una lettura sconvolgente, perché non conoscendo la trama (adesso svelatissima) di pagina in pagina, l’emozione scresceva a mozzafiato. Riconoscendo nella scansione dei fatti il sussegguirsi delle incongruenze pedagogiche-educative, che nel corso degli anni si sono sovrapposte. Ha avuto un certo successo anche qui, infatti sul sito della casa editrice era possibile condividere con gli altri lettori impressioni e commenti. Però non mi ero posta il problema di conoscere meglio l’autore. Che stupida!
Prestai il libro ad alcune maestre che lo trovarono disgustoso. In effetti, non è una lettura da ombrellone. E’ un libro francese e “giacobino”, estremista e dirompente.
Zimmermann ne ha scritti molti altri, ora, tutti in fase di ristampa. “La scimmia” e la “mammabefana”, che “storia”!!! Leggilo….
Forse servirebbe, e qui la smetto, una legge apposita: ”In ambito scolastico, i docenti sono autorizzati a sequestrare agli alunni anche minorenni, ma solo in caso di infrazione alle leggi sulla riservatezza, i marchingegni tecnologici di proprieta’ di questi ultimi, limitatamente alla durata dell’orario scolastico”.
l’ho detta con un po’ di fantasia ma la sostanza sarebbe da proporre in Parlamento. Seriamente.
‘Notte a tutti
(E complimenti di cuore a Gregori, Ravasio, Lo Iacono e Carlo ex-Speranza per gli articoli su Pennacchioni)
@ Sergio:
gli amici di Pennacchioni ringraziano. Notte
(sorriso)
@ Riccioli
già ieri avrei voluto aggiungere qualcosa al tuo pensiero per una scuola “agreste”. L’habitat conta, ha veramente la sua importanza. Lavorando in più scuole, diverse per zona e aspetto, la primissima cosa evidente è, che nelle scuole di montagna, i bimbi e i ragazzi lavorano meglio. Poco rumore, l’occhio oltre i vetri va a boschi e colline, i ragazzi, tranne gli sparsi nelle frazioni, si muovono a piedi o in bici e A SCUOLA SONO ATTENTI, incredibilmente più dei loro coetanei in città o nei grossi centri urbani. Se a questa condizione naturale aggiungiamo una struttura architettonica “umana” allora, come è capitato a me nel piccolo comune di Monte Marenzo, le ore di lezione volano fra attenzione e piacere reciproco. Lì, la scuola aveva quasi la forma di una nave, e all’ingresso intarsiata nel pavimento una rosa dei venti, ogni mattina, salutava capitani e marinai. I soffitti in legno a vista, un aula di immagine con terrazzo grandioso sulla valle, luce, spazi per il relax…..mi fermo…
E’ un paese particolare, attento all’uomo e al suo spirito. L’Amministrazione comunale pubblicò un bel libro sulla memoria storica dei fatti, dei luoghi, del lavoro; ne regalò una copia ad ogni famiglia e io per tre anni consecutivi impostai i miei progetti di educazione all’immagine proprio su quelle pagine.
Sig. Sozi, è vero, siamo stati fatti per scegliere, ma quante volte facciamo scelte inopportune, se non addirittura false, perché guidati unicamente da questioni linguistiche-filosofiche di fondo, come afferma lei.
Un po’ più di comprensione per chi preferisce l’uso di una terminologia, per lei incoerente, ma per lui stesso più adatta per esprimere un concetto, o più concetti, che lei stesso ritiene per lo meno rispettabili e quindi degni di una lettura.
Lorenzo Russo
@Lorenzo Russo:
grazie per il suo intervento precedente e per l’impegno nel seguire la discussione del post.
Per riconciliarla con il resto dei frequentatori del blog, le dedico il brano che avevo scelto per oggi, dal Diario di scuola, a proposito di alunni, professori ed errori. Un sorriso.
ELEMENTO: voce del verbo elementire.
“Uno studente che scambia il sostantivo “elemento” per un verbo della terza coniugazione non manca forse straordinariamente di basi? Certo. Ma un insegnante che finge di considerare sbagliata una risposta così palesemente assurda non farebbe forse meglio a dedicarsi anche lui al gioco d’azzardo? Almeno avrebbe da perderci solo i suoi soldi, non si giocherebbe la carriera scolastica dei suoi studenti”. pag 142
🙂
@ Miriam
grazie per il tuo intervento riconciliatore.
@ Lorenzo e Sergio
Sergio, in verità il tuo commento (di giovedì, 27 Marzo 2008 alle 10:31 pm) un po’ fastidioso lo è. E capisco la reazione di Lorenzo. Nessuno dei frequentatori del blog deve sentirsi obbligato a leggere (necessariamente) tutti i commenti degli altri. Ritengo sia sufficiente saltare la lettura senza impegolarsi in spiegazioni di sorta.
–
Dato che non è successo nulla di grave direi di chiuderla qui (e vi invito, ovviamente, a stringervi la mano senza rancore).
E vi dedico anche una faccina con sorriso largo.
😀
Mi scuso immediatamente ed incondizionatamente con Lorenzo Russo: non intendevo esser maleducato. Cose che capitano e… amici come prima, spero.
Sergio
P.S.
Oltretutto il sig. Russo dice anche cose condivisibili. La mia era una critica parziale e che non intendeva provocare malevolmente nulla. Dopotutto in un blog come in una Repubblica democratica c’e’ liberta’ di critica, purche’ rispettosa. In ogni caso, spero Lei accetti le mie scuse: le critiche reciproche aiutano a crescere tutti noi, me compreso, ma se vengono a creare danni involontari bisogna sapersi scusare. Ed io lo faccio qui immantinente.
Sergio, va bene così. Ti ringrazio. Sono certo che Lorenzo sarà d’accordo con te e continuerà a frequentare e a scrivere su questo blog.
Ho letto velocemente i commenti e spero che questo discorso non sia giù venuto fuori nelle pieghe di qualche discussione (nel qual caso mi scuso). A un certo punto Pennac sostiene che, in sostanza, non ci sia differenza tra un allievo di oggi e uno di molti anni fa. Credo che dica che quelli di un tempo portavano i giacconi dei fratelli maggiori, abitudine oggi scomparsa. Vi sembra proprio così (cellulari a parte, ovviamente)?
(@francesco di domenico: questo intervento era tra la parola e la parola e mezza ;))
@Andrea Borla:
Sì e no. Pennac sostiene addirittura che negli anni settanta “è morto un bambino” sostituito poi dal bambino cliente; e al riguardo dedica tutta l’ultima parte del libro. “Oggi esistono cinque specie di bambini sul nostro pianeta: il bambino cliente da noi, il bambino produttore sotto altri cieli, altrove il bambino soldato, il bambino prostituito, e sui cartelloni della metropolitana il bambino morente la cui immagine, periodicamente, protende verso la nostra indifferenza lo sguardo della fame e dell’abbandono.
Sono bambini, tutti e cinque.
Strumentalizzati, tutti e cinque.” pag. 228
Nei confronti degli adulti , quindi, sono bambini come ieri: è questo il messaggio del buon lavoro di Pennac. Pur affrontando la difficoltà di un insegnante assolutamente impreparato ad una classe di bambini/adolescenti clienti, alla fine netto e forte è il richiamo alla responsabilità: un prezioso dono d’amore che educatori, ed adulti in generale, dovrebbero riscoprire.
Miriam
e a proposito di “cambiamenti”…. posto questa
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Il bambino e il maestro di scuola
Racconto questa per mostrar d’un tale
la stupida burbanza magistrale.
Un Ragazzo, giocando al fiume in riva,
cadde nell’acqua e forse vi periva,
se non avesse un salice afferrato
che, dopo Dio, lo tenne sollevato.
Mentre nell’acqua ci sta fino alla gola,
viene a passare un maestro di scuola.
“Aiuto, aiuto!” grida quel che annega.
Il maestro si ferma, e a lui che prega,
con voce burbera e nasale,
gli somministra questa paternale:
“Ah scimunito, ah sciocco, ah babbuasso!
Guarda dove si caccia il satanasso.
Andate pure a prender dell’affanno
per questi tristi, oh sì, che vi faranno
morir tisici! Ah poveri parenti
a cui tocca di questi malviventi!
Ah i tempi tristi, oh i figli traditori…”.
E quando ebbe finito, il tirò fuori.
Quanti non sono al mondo altri pedanti
E brontoloni e critici ignoranti,
razza dotta più in chiacchiere che in scienze,
che Dio conserva a nostra dannazione!
In ogni cosa, a torto od a ragione,
bisogna ch’essi sputino sentenze.
“Prima di pena tirami, se puoi,
il bel discorso lo udiremo poi.”
La Fontaine
@tutti …….è forse cambiato qualcosa?
VERSI NODOSI SUL NOSTRO TEMPO
Quelli che viviamo son brutti tempi
diemancipazione e di prepotenza.
Ogni membro, per piccolo che sia,
vuole per sé libertà e autonomia.
Non scienza e spirito son carte vincenti
bensì la forza del braccio e dei denti.
Poesia ed umorismo
stan peggio che mai.
La gente vuol ridere come una volta
senza però mai esser coinvolta
vogliono tutto, ben presentato
o addirittura sul muso spalmato.
Se prima leggevano con diligenza
le biografie
di grandi e sapienti
studiano oggi la carriera dei Rothschild
dei Rockefeller e dei Vanderbilt.
Chiedi a qualcuno se ha letto Schiller,
da lui ha imparato e cosi via ;
quello risponde sprezzante: suvvia!
Schiller non era che un ignorante!
O è forse morto benestante?
Perché già è passato il tempo di liti e disputanti
ora giunge quello di venditori e commercianti.
Brecht
Luca Gallina
La vera amicizia è quella che riconosce e sostiene le caratteristiche personali dei suoi membri.
Sergio, certo che possiamo diventare amici. Lo hai dimostrato con le tue scuse, che naturalmente e con sollievo accetto, e ricambio qualora la mia risposta ti abbia disturbato.
Sull’uso improprio dei due termini posso darti ragione, sarà che in tedesco li sento usare largamente in ogni occasione e ambito.
Purtroppo, non sono un letterato, neanche laureato, e vivo da quarantacinque anni a Vienna. Questo per prepararti alle mie prossime inesattezze nell’uso dei vocaboli.
Sono, per natura, un autodidatta, anche il tedesco l’ho imparato senza frequentare corsi.
I miei interventi sono il frutto delle mie esperienze fatte, insieme alle mie analisi che svolgo istintivamente su tutto ciò che incontro sul mio cammino.
La filosofia e la psicologia sono il terreno delle mie osservazioni. In esse vedo realizzate le mie inclinazioni personali, ma per scrivere devo sentire i temi nel cuore.
Miriam, grazie ancora del tuo intervento. Noto che sei una persona colta, speciale e sensibile. Dimmi, da dove viene il tuo bel nome? Mia moglie si chiama Esther ed è nata in Haifa, e tu?
Massimo, sei un ottimo moderatore, cortese, equilibrato e sincero. Grazie di essere intervenuto, sebbene noti ora che Sergio è un vero democratico, maturo e corretto.
Mi fa piacere d’intervenire, sempre quando i temi m’interessino, da essere spinto a farlo.
Saluti e grazie a tutti.
Lorenzo
Assente da una trentina di ore e mi ritrovo una sfilza tanta di commenti da leggere! Nonostante la stanchezza – oggi anch’io sono stato seduto dietro un banco, in un’aula tristissima con un istruttore altrettanto bigio, per un corso di aggiornamento (tanta solidarietà per gli studenti) – l’ho fatto, e mi venuta un’idea: perché non mandiamo al prossimo ministro della Istruzione tutto il contenuto di questo post …secondo me gli potrebbe tornare davvero utile…voi che ne dite? Perché ridete, lo so, sono un inguaribile ingenuo ma che ci posso fare “è nella mia natura”.
Grazie Maria, ma credo proprio di non assomigliare al padre di Vittorini, a memoria non ricordo neppure il mio numero di telefono, figuriamoci un testo teatrale…far l’altro se mi mettessi a citare a voce alta, che ne so, una poesia mi rinchiuderebbero subito, non per la stravaganza ma perché le piccole stazioni non esistono praticamente più…leggevo libri, ai miei figli quando erano piccoli ( bellissimo avere un pubblico che pende dalle tue labbra) ma poi un giorno il mio secondogenito mi ha detto: “Babbo ma non lo capisci che la lettura è un fatto personale, intimo…i libri me li scelgo e me li leggo da solo!”
Purtroppo è vero…ogni volta che gliene porto a casa uno – sono testardo io -, lui ringrazia e lo infila nella sua libreria…forse dopo uno o due anni di frollatura mi darà la soddisfazione di dargli un’occhiata..
Grazie Carlo, anche io apprezzo quello che scrivi…ti ringrazio per la visita…se non mi trovi è perché sto spesso fuori… vado spesso a visitare un blog poco frequentato, letteratitudine mi pare si chiami.
A Tessy, un saluto sincero! Ciao
@ Lorenzo:
che bello vivere lì, a Vienna!!! Allora, mi chiamo Miriam perchè mia mamma conosceva una ragazza che poi fu deportata: io presi il suo nome.
Abiti a Vienna e leggo che la psicologia rientra nei tuoi interessi: perché non raccogli la sfida lanciata da Pennac? E anche, hai letto l’altro libro citato qui, L’allievo di Daniel Zimmermann? Potresti, se ti va, scrivere un commento.
Io amo Schiller, Lessing, Goethe, von Chamisso e un po’ anche Novalis (che però trovo troppo mistico) e poi soprattutto Musil.
Qui su Letteratitudine siamo tutti, pur nella nostra diversità, un po’ amici e confermo che Sergio è una persona democratica, ma a volte capricciosamente intransigente (leggi: è un brontolo).
A presto, Miriam
@ sergio:-)
Ringrazio chi mi ha ringraziato per il mio contributo a questo post. Ma ho fatto poco e nulla. Meno male che Miriam, Simona e Carlo avevano frecce al loro arco.
Io ho la faretra ormai vuota e, sperando di fare imbestialire didò, chiudo con due versi che mi sembrano in tema.
“La figlia del dottore è una maestrina,
la figlia del dottore è una maestrina.
E conosce a memoria,
tutti i libri di Omero.
Li ripassa tre volte la mattina”.
(Francesco De Gregori)
@ Lorenzo
Caro Lorenzo,
ogni volta che interverrai mi farai davvero piacere. Dico a te ciò che dico spesso a coloro che transitano da queste parti: considera letteratitudine come casa tua. Non è solo uno slogan. A me piace molto che si crei un clima il più possibile familiare e famigliare… soprattutto con coloro che frequentano questo sito da poco tempo.
Grazie a te, dunque.
A cena parlavo della questione dei cellulari con mio figlio (1 liceo classico ): ” ma babbo, se le mie insegnanti son sempre lì a giustificarsi – oh! scusate ragazzi mi sono scordata di spegnerlo…e giù messaggi!”….qualche esempio in più?
…questa dei cellulari tenuti accesi in classe è veramente una assurdità!
Telefonata di un genitore alla ragazzina durante il compito in classe di latino: Ciao Paola, allora tutto bene con la versione, è difficile… e i verbi ?…d’accordo, ho detto una balla….la ragazza non si chiama Paola.
@ Carlo S.
Ottima e condivisibile la scelta di Morandi…a me piace molto Spilliaert…se non lo conosci, prova a dargli un’occhiata. Ciao
@stefano
Spilliaert confesso di conoscerlo poco. In quel poco vedo molto Munch, molto Lorenzo Viani, un pò di Chardin ed anche qualche Nabis.
Ho visto i tuoi quadri sul tuo blog: è interessante la gallery1, mi lascia un pò freddino la gallery2 (per carità, sono i miei gusti), ma trovo straordinari i 2 quadri sooto “landscapes”: sono di un’enorme potenza pur nella loro delicatezza.
Un saluto a te .
@tutti
Il post mi sembra abbia toccato temi molto interessanti e mi spiace non essere stato presente come avrei voluto. Miriam (bella la vicenda del tuo nome: una storia di cui andare orgogliosa) comunque è stata ottima capo-moschiettera, e Simona ottima spalla e perfetta consulente giuridica. Enrico parco ma acuto, come suo solito: saranno i nasi che gli attribuisce Zauberei (a proposito: dove è finita sta ragazza?).
Grazie anche ai contributi di Sergio e benvenuto, sperando di rivederlo, a Lorenzo Russo.
Un saluto a tutti voi
Miriam, sono pigro nel leggere. Cosa strana, per me, che penso così tanto.
Forse, sarà che mi piace di più scoprire da solo il nocciolo di una questione.
Musil mi piace, ma anche Roth, cercherò i libri che mi hai consigliato, ma ci vorrà del tempo.
Molti anni fa, in un gruppo di partecipanti parrocchiali, che si riunivano per commentare il Nuovo Testamento, tradotto da Luther, ma anche da Buber, il pastore moderatore rimase sorpreso dalla mia incisività nel commentare i passi del Vangelo; ogni volta che intervenivo, annunciava di stare attenti, perché Lorenzo sarebbe arrivato subito al nocciolo della questione, senza tanto navigare sul tema alla ricerca di ciò che per me era chiaro e semplice. Figlio di un collega di Freud, era anche lui colto e sapiente, oltre che maestro di una Loggia dei Massoni.
Siamo diventati amici, ma non partecipai alla riunione della sua Loggia, dove mi aveva invitato. Gli dissi che il mio spirito ama la libertà personale, di modo che io possa essere sempre fedele a me stesso. Non appartengo quindi a nessun gruppo, religioso o no.
Non mi vanto di nulla, perché so che il vantarsi di sapere include il pericolo di poter fare anche brutta figura. Per questo affermo sempre: a mio parere e per il momento credo….. Non è così che ogni conclusione di un ragionamento apre sempre la porta al prossimo, determinando così il senso della nostra esistenza?
Il mio filosofare, l’ho ereditato da mio padre, di professione direttore didattico e dottore in filosofia e pedagogia, laurea conseguita a Urbino, nonostante fosse sposato, padre di quattro figli, e abitassimo a Reggio Emilia.
Ultimamente ho letto Primo Levi: se questo è un uomo, sono rimasto distrutto dal suo modo di raccontare la vita nei campi di concentramento, tanto da sentirmi presente e sofferente. Mesi, prima di leggerlo, scrissi qualcosa sul tema del nazismo, esaminando i motivi del suo sorgere, dominare e infine finire. Spero che il tema venga trattato anche su Letteratitudine, di modo da poterlo presentare.
Saluti e grazie di nuovo.
Lorenzo
Massimo, grazie del tuo invito, sei molto gentile e ospitale, ne approfitterò sicuramente.
Ho già percepito, che i partecipanti sono tutti cordiali e gentili, oltre che molto più colti di me. Leggono molto e sanno commentare il letto.
Saluti e grazie.
Lorenzo
Su La Stampa di oggi è uscito un articolo interessante.
Ve lo riporto nel commento successivo.
28/3/2008 – 10 SPIE SVELANO IL DISAGIO PER GENITORI E INSEGNANTI
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Adolescenti depressi per i brutti voti: Dalla materna al liceo, colpito oltre il 30% dei ragazzi
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Scolari con improvvisi cali di rendimento, silenziosi, che si isolano dai compagni o si fanno venire il mal di pancia pur di saltare le lezioni? «Potrebbe essere colpa della depressione, che oggi arriva ad affliggere fino al 30% degli adolescenti», spiega Italo Farnetani, pediatra e docente dell’Università di Milano-Bicocca, convinto che «se un bimbo va male a scuola, c’è un problema o un disagio irrisolto. Mentre se va male tutta la classe, il problema va cercato negli insegnanti o nei programmi». Esistono però delle “spie” che possono aiutare professori, maestri e genitori a riconoscere in tempo il disagio di un alunno, e farlo vivere meglio fra i banchi.
«L’insuccesso scolastico nel periodo delle elementari e delle medie inferiori può essere determinato da disturbi di relazione, da fenomeni depressivi o da una causa organica (per esempio ipoacusia, deficit oculari), che però prima del termine della scuola dell’obbligo ha dato segni di sè e perciò è già stata diagnosticata», dice Farnetani, anticipando la sua relazione al XXIV Congresso della sezione regionale della Calabria della Sip (Società italiana di pediatria), in programma oggi pomeriggio a Siderno Marina (RC). Alle superiori, invece, causa di insuccesso scolastico è quasi esclusivamente la depressione.
«I motivi del disagio, responsabili del cattivo rendimento scolastico, ma anche del rifiuto e addirittura della fobia scolare, non vanno ricercati all’interno della scuola – dice il pediatra – La famiglia, in questo caso, non ha fornito al figlio un ambiente sereno, in grado di essere un punto di riferimento e perciò non ha saputo aiutarlo in modo valido». Ma come capire se c’è un problema di depressione? Il cambiamento di umore del bambino e dell’adolescente si riflette nei rapporti con i compagni, e influenza il rendimento in classe.
«Ci sono sintomi che fanno pensare subito alla depressione – assicura Farnetani – per esempio una tristezza prolungata. Mentre altri, come la cefalea o condotte additive negli adolescenti, come il consumo di alcolici o sostanze stupefacenti, più difficilmente vengono messi in relazione. Occhio anche all’insonnia, che soprattutto nell’adolescente può non essere riferita o notata dagli adulti». Ecco i sintomi tipici della depressione durante l’età evolutiva, che possono osservare anche gli insegnanti:
1) Turbe dell’umore (improvvisa tristezza)
2) Turbe del comportamento, aggressività. «Il giovanissimo depresso non riesce ad avere un rapporto equilibrato con l’ambiente, per cui cerca di dominarlo e perciò manifesterà aggressività, oppure si isola, e talvolta alterna aggressività a quiete, presenta irritabilità, noia»
3) Dolori somatici ricorrenti: cefalea, dolori addominali, dolori agli art
4) Perdita dell’autostima: quando il bambino è capace di verbalizzare la depressione, in genere dopo i 6 anni, inizia a dire frasi del tipo “non ne sono capace”, “a me non riesce”.
5) Disturbi del sonno, soprattutto insonnia
6) Diminuzione del rendimento a scuola, insuccesso, fobia, abbandono scolastico
7) Disturbi della condotta alimentare: anoressia o bulimia
8 ) Turbe gravi del comportamento: fughe, tentativi di suicidio
9) Dipendenze come l’alcolismo o la tossicomania
10) Autoerotismo: masturbazione prima degli otto-dieci anni. Dopo questa età non è più da considerare un sintomo di depressione, «perchè in genere è la prima forma di sessualità», spiega Farnetani.
I sintomi si manifestano in modo diverso nelle varie età: nella fase della scuola materna (3-6 anni) predominano i disturbi affettivi e del comportamento, caratterizzati da tristezza, pipì a letto, calo dell’appetito. Alle elementari (6-11 anni) «il bambino verbalizza la depressione e compare il rifiuto scolastico – prosegue Farnetani – mentre al momento della scuola media inferiore e superiore (da 11 anni in poi) il ragazzo ha una maggior autonomia sia fisica che intellettuale, perciò è capace di ragionare per ipotesi. Per cui – conclude – anche la depressione acquista forme più gravi, e può essere ’accompagnatà da cefalea, alcolismo, tossicomania, suicidio, anoressia, bulimia».
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Fonte: http://www.lastampa.it
@ Lorenzo Russo
Sui temi che ti interessano, e visto che hai letto Levi di recente, ti consiglio un libro uscito da poco: NECROPOLI di Boris Pahor (edito da Fazi). Pahor è un italiano di lingua slovena, perseguitato dai fascisti insieme alla sua minoranza etnica durante il tristo ventennio, internato in campo di concentramento dai nazisti, ancora ignorato in Italia benchè novantenne e da tempo in odore di Nobel. In Francia è conosciuto ed apprezzato molto di più che da noi. Io non l’ho ancora letto, ma me lo ha regalato Gea (come non fidarsi di Lady G ?) e avevo visto di recente alcuni servizi in TV su di lui (a notte fonda), nonchè un’intervista da Fabio Fazio a “Che tempo che fa” non più di un mesetto fa. Mi ero già imposto di doverlo leggere.
@ carlo s.
Sono molto contento che tu ti sia fatta un’idea del mio lavoro visitando il sito, e ti ringrazio tanto per gli apprezzamenti. Presto aggiungerò i quadri che ora sono in mostra. Spero che si presenti, un giorno, l’occasione per poterteli far vedere dal vero – non voglio sembrarti immodesto ma ci sono quadri che in foto ci guadagnano e altri che perdono la loro carica emotiva, i miei, considerando anche le dimensioni, credo appartengano ai secondi. Ciao e grazie ancora.
stefano
@ Massimo
Ho letto il pezzo riportato da La stampa: concordo in parte.
I disagi vanno ricercati ovunque, nella famiglia, nella scuola e nei ritmi frenetici, ma forse è più giusto edonistici, dell’intera società. Da noi ora c’è il Piedibus: i ragazzini raggiungono la scuola a piedi, con un percorso assistito da volontari (in simpatica divisa catarifrangente) che si alternano a turno. Un vero successo, le auto che vomitavano bambini ancora addormentati dai cartoni (prima della colazione si guardano i cartoni!) e dai trasporti compulsivi, sono diminuite clamorosamente. Però, poi al paniere aggiungerei la programmazione, l’abuso delle verifiche, la burocrazia che impegna gli insegnanti in compiti onerosi ed estranei alla loro formazione, i genitori …sì, I GENITORI e i Ministeri dell’istruzione che “legiferano” in mostruosa quantità. All’uscita, la maggior parte dei ragazzini, almeno da noi, non va a casa, ma raggiunge corsi di ogni tipo, palestra, basket, danza, arti marziali, chitarra, piscina … e altro, altro ancora. Con un rapido calcolo dei tempi di trasporto fra “corsi” e abitazione, affermo con assoluta certezza che i piccoli si ritrovano finalmente nella quiete di casa non prima delle 18.30! Poche ore per condividere con la famiglia l’esperienza della giornata, i compiti (perché anche nelle scuole a tempo pieno si fanno i compiti!), il gioco, la cena e la preparazione ad una “felice notte” perché all’indomani “devi andare a scuola, hai la verifica di lingua, e l’allenamento di basket!”. E poi non vorrei aggiungere altro sulla mensa: due incredibili ore che ammazzerebbero la capacità di concentrazione anche di un durissimo rockettaro. Nel pomeriggio, i bimbi più quieti, hanno tutti un gran mal di testa!
Mi fermo qui…..
@ Stefano
Ciao, ti avrei lasciato un commento sul tuo blog, ma non sono certa di esserci riuscita. Poi nel timore di inflazionare i clicchi (le cliccate) ho lasciato perdere. Ci riprovo poi.
🙂
PS. ma ti occupi anche di musica popolare?
@ carlo:
sai che “dov’è finita zauberei?” sarebbe un bel titolo per un noir?
peccato che non freghi un cazzo a nessuno
🙂
@ miriam
mi piacerebbe davvero un tuo commento…ho scoperto di essere molto in sintonia con quello che scrivi …clicca pure.
p.s. non mi occupo di musica, ma la ascolto, mio figlio è musicista.
per popolare intendi quella etnica? Ciao miriam.
stefano
@ enrico
E allora scrivilo (il genere è il tuo). Forse per Zaube non mi allargherei al romanzo, ma un raccontino, una storiellina breve breve per il tuo blog in noir….
@ miriam
Come hai ragione! Mio figlio (Francesco, un pò credo che ormai tu lo conosca..) esce da scuola tutti i giorni alle 4.30. Un paio di volte a settimana va al minibasket, ma la sua felicità è tornare a casa, tra i suoi giochi, le sue cose, il suo ambiente. Il massimo è riuscire a trasportarci anche qualche suo amichetto (ammesso che non abbia lui nuoto, basket, calcetto o chissà che altro, e così spesso non riesce).
E’ il toccare con mano di quanto i bambini abbiano bisogno di “sentirsi a casa”; nella nostra vita frenetica abbiamo invece preso l’abitudine di adattarli ai nostri ritmi, al nostro tipo di impegni fatti di orari stretti, inderogabili, inesorabili. Vivono il nostro stress già da piccoli, lo assorbono, lo introiettano. Forse è anche per questo che sono portati alla depressione già dalle medie.
Grazie Carlo S. della segnalazione del libro.
Vedrò se qui a Vienna sarà reperibile.
Una volta letto, riferirò.
Saluti.
Lorenzo
Vi ringrazio per i nuovi commenti (Lorenzo, vedo con piacere che c’hai preso gusto!).
Buona domenica!
Enrico gregori è vivamente pregato di parlare a suo nome,e non a nome di tutti i componenti di letteratitudine.Se non l’aveste capito parlo della sparizione di Zauberei,che a me invece preoccupa abbastanza.Forse fra le cause del suo allontanamento ci sono state le acide e gratuite battutacce del satiro romano,(gratuite a quanto ne so io),oppure la poverina ha veramente qualche problema.
Visto che di scuola si parla vi racconto io un aneddoto che risale agli anni del liceo,a una lezione di civilta’ che mi lega con infinita gratitudine a un professore di italiano,di cui ricordo anche episodi molto simpatici,che forse vi raccontero’ in seguito,ma per non divagare,vi racconto ora questa memorabile lezione.Da alcuni giorni una compagna disertava le lezioni,ma ovviamente nessuno di noi ci aveva fatto caso,entro’ in classe quella mattina sparato alla cattedra,nn si sedette,guardo’ in direzione del posto vuoto, e ci disse: ”Dov’e’ angela?”noi ci guardammo tra noi ,interrogativi e sbalorditi.ci rivolse la stessa domanda,uno a uno.Poi attacco’ un discorso che non dimentichero’ mai,un’ora intera ci tenne sotto a farci capire che nessuno puo’ disinteressarsi del proprio compagno,o membro di una stessa comunita’,chi si perde va cercato,come Gesu’ stesso insegna,e’ una precisa responsabilità morale e civile,informarsi e capire i motivi del suo allontanamento.Sospese le lezioni fino al ritorno della ragazza,minacciando altri provvedimenti punitivi nei nostri confronti.Si scatenarono le telefonate e le indagini,angela,dopo varie esperienze con la droga,era caduta in uno stato depressivo,e aveva tentato il suicidio.la riportammo a scuola,e la nostra solidarietà,le nostre attenzioni,l’interesse del prof la salvarono da una brutta fine.
Dove sono finiti quei professori?E zau? e Nina?Io sono venuta spesso a leggere il blog,anche senza intervenire,le voci assenti le ho notate,nn mi sono parse buon segno,se qualcuno puo’ si informi,anche solo per sapere se va tutto bene e per dire che ci mancano.Il cinismo riserviamolo a piu’ intelligenti e consone applicazioni.
@ maria gemma
rilassati.
zaub è in vacanza col marito in campagna. dovrebbe tornare a giorni.
lo ha annunciato nel suo blog. è per questo che nessuno si è preoccupato.
Vero, Maria Gemma. Elektra dov’è? Oltre a Zauberei altra gente si è persa… Nuovo post: chi le ha viste (in rete)?
Miriam: che bella la storia del tuo nome! Scrivici un racconto… Se avrò una nipotina si chiamerà come te e come Miriam di Nazareth, la Mamma per eccellenza…
Leggi Erri de Luca: c’è un libro proprio su Miriam, con delle belle riflessioni sulla mem, la lettera ebraica che inizia e chiude questo nome.
Stefano: Vienna! L’ho vista per mezza giornata e ci voglio tornare!!!
Esther è un nome bellissimo… da principessa. Credo voglia dire stella.
Massi: l’articolo che hai postato è veritiero. molti dei miei alunni sono stanchi, depressi, anoressici o bulimici – mangiano di continuo a quelle dannate macchinette dispensaschifezze che ci sono ormai in tutte le scuole. Non stanno attenti per poco più di qualche minuto e quando ho insegnato alle elementari c’era qualche onanista precox e qualcuno manifestava tendenza suicide per le situazioni domestiche ingestibili…
@gea
Questa volta sei tu che hai rovinato tutto. E’ come se ci avessi svelato l’assassino prima ancora di leggere il libro (peraltro ancora da scrivere: grego aveva solo appena trovato il titolo). Capisco che Maria Gemma si era lanciata in ipotesi da strofinarsi gli zebedei 77 volte con la mano sinistra, ma la soluzione “campagnola” del giallo, …. col marito poi! Ci fosse stato almeno un amante insospettato….. chessoio, qualche scrittore in camicia azzurra, o uno di noir con nasi in numero variabile comunque multiplo di 7 (chi disprezza compra, eh, eh!).
@Maria Gemma, mai che ti preoccupassi di me; nessuno si preoccupa delle mie assenze, dei miei vuoti, del mio antivirus che non parte; di Mastro Mimì che quando è in vigna non risponde al citofonino e io ho pochi giorni d’autonomia: cosa accadrà, quando inevitabilmente, mi finirà il vino?
@Maria Lucia,
sei evasiva peggio di Franco Battiato, ce l’hai lo spartito del “Cantico delle creature” di Padre Stella?
Il miglior insegnante, attualmente, è… quello che sopravvive! scherzi a parte ho ordinato il libro, d’altronde li ho tutti tutti i Pennac, mica potevo perdere proprio questo e che ‘professoressa’ sarei? Sono sicura che non mi pentirò!
Maria Lucia Riccioli,
sono io, Lorenzo che abita a Vienna; che anche Stefano ci abiti non so.
Vorrei chiarimenti, perchè, se anche lui ci abitasse, potremmo incontrarci e fare conoscenza.
Esther è un nome ebraico-persiano. Si racconta che sia stata la sposa del re persiano e liberatrice del suo popolo, tenuto in schiavitù nel suo regno, nel momento nel quale fu accusato falsamente dal primo ministro di tradimento e truffa.
Il nome sta per stella, ma anche per raggiante, splendente o portatrice delle stelle. Tutto in fondo, è una figura non confermata storicamente.
Gli ebrei la festeggiano come una delle loro apparizioni liberatrici del veccchio testamento, ruolo che crea dei parallelismi con la figura di Maria nel nuovo testamento.
Saluti,
Lorenzo
@ dido’:sinceramente tu nn mi hai dato mai tempo di preoccuparmi perche’ le tue assenze sono tanto brevi e fugaci che le puoi benissimo attribuire al regolare funzionamento dei trasporti pubblici tra uno sciopero e l’altro.A proposito,ma a Napoli i bus pasano sempre col rosso come una volta?
Quanto a Zauberei evidentemente,sono stata lettrice disattenta del forum sulla pasqua,questo non impedisce che al ritorno sia tenuta al resoconto bucolico del suo soggiorno rurale a forma di ponte di ..brooklyn.
quanto all’assenza di elektra,direi che mi preoccupa meno di quella di nina,che potrebbe essere partita a nostra insaputa e rimasta vittima della repressione cinese dei disordini in Tibet.Forse ho troppa fantasia?
Salutoni fugaci a tutti, e in special modo a Lorenzo Russo, Carlo ex-Speranza e Miriam, alla quale confermo la sua sommaria descrizione del mio carattere: infatti sono burbero, ostinato e fermo nelle mie opinioni, oltre che fermamente democratico. La democrazia, infatti, a mio avviso, vuol dire proprio rispettare le persone per come esse sono, non renderle delle specie di amebe prive di opinioni personali chiare, nette e decise.
Il vero democratico non deve essere una banderuola ipocrita, ma una persona che riflette a fondo e lungamente prima di cambiare la propria opinione, e, se veramente lo sente, dopo lungo travaglio la cambia, altrimenti resta come prima. Insomma il cittadino democratico e’ una persona aperta e disposta ad ascoltare e interloquire, non una grigia figura di sfondo che non da’ mai torto a nessuno e alla quale piace tutto per quieto vivere.
Una democrazia forte e’ fatta da uomini forti. Altrimenti si chiama ”tolleranza”, ovvero ”sopportazione”, non ”democrazia”.
Bacioni
Sergio Sozi
P.S.
Dimenticavo un altro sostantivo che io mal digerisco analogamente a ”tolleranza” e ”sopportazione”: ”adattamento”. Chi si fa queste cose per abitudine o per volonta’, non ama il prossimo, ma lo sopporta, vi si adatta, lo tollera. Una democrazia vera invece e’ basata sull’amore reciproco e di ognuno per se stesso. Ecco perche’ non credo proprio che in Italia si viva troppo in democrazia. Gira troppa diffidenza, permeante tanta sottaciuta disistima del prossimo. Ma io non sono cosi’.
Siamo maleducati perché questo mondo non ci piace, ci fa un po’ schifo. Più o meno così scrive Ermanno Olmi sul Sole 24 di ieri, e forse è proprio così! Ci rifletto e nel frattempo mi riguardo “I 400 colpi” di Francois Truffaut.
“Era da molto tempo che l’idea de I 400 colpi mi ronzava in testa. L’adolescenza è un modo di essere riconosciuto da educatori e sociologi, ma negato da famiglia e genitori. Per parlare da specialista, direi che lo svezzamento affettivo, il sopraggiungere della pubertà, il desiderio di indipendenza e il complesso di inferiorità sono segni caratteristici di quest’età. Basta un solo atto di ribellione e questa crisi viene giustamente chiamata ‘originalità giovanile’.
Il mondo è ingiusto, dunque dobbiamo sbrigarcela da soli: e si fanno i quattrocento colpi”. F T
a dopo
Lorenzo: grazie della spiegazione biblic-linguistica! Il libro di Ester è uno dei più “narrativi” della Bibbia, insieme a quello di Giuditta, di Tobia, Rut… io li ho divorati da piccolina, persa com’ero nei meandri del Levitico e dei libri più tosti… Da allora, e da quando ho letto delle tragedie ebraiche, ho amato i nomi biblici.
Cinzia, anche tu proffy? Collega!
Proffs di Letteratitudine, unitevi!
Sergio,
ricambio i tuoi graditi salutoni. Sull’amore da te riportato, scrissi tempo fa una breve riflessione. Te la allego con i miei saluti.
Lorenzo
L’amore è la forza risolutrice e sostenitrice per chi vuole affrontare veramente la vita. Nella morte non si trova nulla quando non si è cercato e sostenuto i nostri compiti nella vita.
Troppo tardi per chi è sordo e cieco ai richiami dello spirito. All’inizio ci fu il “Verbo” che creò anche la nostra dimensione che ci ospita e soggioga. Il Creatore ci ha donato però la possibilità di liberarci dal giogo terrestre indicandoci la via da prendere. Dette così inizio al processo evoluzionistico.
È una vita difficile e tortuosa, piena d’insidie che sorgono dall’immaturità della nostra dimensione e quindi anche nostra.
È la via dell’Amore che richiede da noi tutto e spesso va insieme al dolore e la tribolazione a causa del nostro forte “IO” che gli si oppone.
Una volta che l’abbiamo superato, ci rende liberi e sollevati e pronti a dare senza pretendere, se non la gratitudine che ci viene espressa liberamente.
Amore non è piacere e non significa prevalere, dettare, pretendere. È una forza che vuole creare, formare e rafforzare nell’intento di unire.
È una forza spirituale che vuole la nostra liberazione e il nostro realizzo come esseri maturi.
È un processo che richiede da noi un continuo sostenimento d’esami e prove nelle quali dimostrare le nostre capacità e idoneità.
L’amore anticipa l’esito finale del processo evolutivo, c’incita a volerlo tentare anche senza la certezza di poterlo realizzare a causa delle nostre debolezze come egoismo, egocentrismo, vanità e i complessi d’inferiorità che nascono dalla paura di non essere all’altezza dell’impresa.
Si alimenta delle nostre differenze di carattere e personalità nell’intento di unirle per creare armonia e felicità.
In esso si annullano i contrasti, le debolezze proprie e degli altri, ricambiamo un torto subito con la comprensione che anche noi li facciamo.
L’amore è la forza evolutiva del “BENE” (maturità da raggiungere) in un mondo, nel quale il ”MALE” (immaturità iniziale e temporanea) domina.
Chi fa dell’Amore l’essenza della sua vita, non si sentirà mai solo e non perderà mai la speranza nel futuro. Avrà il senso di vivere all’infuori del nostro concetto riguardante il tempo e lo spazio. In lui saranno il passato, il presente e il futuro uniti sul cammino della propria salvezza.
Ciao lorenzo, no purtroppo non abito a vienna ma a rimini …non ho detto niente
a Maria perché non è mai prudente far notare ad una prof che ha sbagliato…e se poi mi interroga! Ciao Maria, bellissimo il libro di Erri de Luca: in nome della madre..
l’ho regalato consigliato a tutte le donne che conosco e se devo essere sincero, un po’ vi ho invidiate!
stefano
Ieri sera ho rivisto “I 400 colpi ” di Truffaut, e la prima impressione è quella del mio primo commento a questo post: diversissima è la sensibilità che in materia scolastica ci differenzia dai francesi. C’è terreno, c’è pensiero comune, c’è humus e quindi interazione, rielaborazione, vero approfondimento. Non meteore, anche splendide, ma destinate a spegnersi nella dimenticanza generale, oppure miti la cui celebrazione stravolge e confonde il pensiero originario. Come è successo e succede per Don Milani. Da noi non si fa squadra, a parte ovviamente qui su Letteratitudine, ognuno fa per sé. Se si considera un pensiero, lo si fossilizza; ci manca l’intelligenza del raccolto: siamo un popolo di seminatori concentrati sul seme più prossimo al piede.
Nel capolavoro di Truffaut, ieri sera ci leggevo Pennac e Zimmermann; rivedevo il film in un contesto attuale, grazie, appunto alla creatività degli scrittori che citano Truffaut per capire, non per competere e nemmeno emulare. Azioni d’Arte a misura d’uomo. Che bello!!
@ Lorenzo
comunicazione di servizio: ti ho risposto di là ma ho perso la password. Ritenterò. Ciao
@ miriam
ancora una volta, come non essere tristemente d’accordo con te?
@ Stefano
la comunicazione di servizio era per te, non per Lorenzo…. mi ero confusa.
Stefano: io sono una pessima prof ma apprezzo sempre chi mi fa notare che sbaglio!!!
🙂
Poi ti interrogo…
Pesca d’aprile!
Scusatemi entrambi, sarà che ho nostalgia di Vienna…
“In nome della madre” è un libro meraviglioso…
Oggi ho ripreso scuola. Compito di latino. ero in ansia più io che loro. La verifica sarà adeguata? Avranno studiato durante le vacanze?
Che stress…
Giorno 3 scelta dei libri di testo che non devono superare un certo tetto di spesa – giusto. Palmari, televisori al plasma sì, a costo di mettersi le pezze là. Solo i libri fanno impaccio.
Poi scrutini… alè!
Li valutiamo 4 volte. Vi lascio immaginare il carico di scartoffie. 2 pagelle e 2 pagellini intermedi…
@ Miriam
Mi ero dimenticato di “dirti” che anch’io ho letto con interesse l’intervento di Olmi sul Domenicale. E sono stato tentato di chiedere agli amici del Sole24Ore di passarmi il pezzo per proporre un dibattito.
Maria Luisa Riccioli
apprendo dal tuo post che hai nostalgia di Vienna.
Allora, perchè non organizzi di nuovo un viaggio. Fammelo sapere in tempo.
Non hai bisogno di scusarti. La nostalgia è un sentimento utile e, se possibile, dovresti cercare di soddisfarla.
Ti allego un mio scritto sulla città di Vienna, ma vale anche per le altre città del mondo con una storia gloriosa, da spingere i turisti a visitarle ancora.
Saluti.
Lorenzo
Vienna è una città che invita il visitatore a visitarla sempre di nuovo e permanere un tempo per assimilarla con tutti i suoi contrasti improntati dalla sua storia gloriosa di un tempo non troppo lontano, ma dove anche la malinconia si riflette in ogni monumento e palazzo fino ad arrivare alla mente dei suoi abitanti.
È una città dove la gente soffre ancora di nostalgia, tanto da non riuscire a vivere il presente senza il continuo ricorso e speranza di un ritorno del passato, o d’eccessivo modernismo, che sempre di più s’immischia e sostituisce il tradizionale e crea un ambiente promiscuo e indefinibile da non trovarsi a proprio agio, o di protesta di coloro che non sono mai stati bene in questa città, allora come oggi.
Penso ai trasandati, ai senza tetto che non vogliono andare con il tempo che sempre uguale crea sempre più palazzi favolosi e lussuosi per dimostrare il potere acquisito dalla classe operante.
La colpa è anche del turismo di massa che ingenuo invade le città dei monumenti storici come per sentirsi parte del processo che li ha creati e che andrebbe meglio criticato e contraddetto.
È così che anche oggi vengono costruiti monumenti, alti e imponenti con una struttura bizzarra e fantomatica per confermare la vanità dei nuovi padroni, uguali a quelli di un tempo.
Le loro facciate, ora di vetro e dalle forme più estravaganti, si elevano su nel cielo sovrastante in segno di sfida e riflettono le sue formazioni che si delineano come sagome sempre in movimento, dimostrano la stessa forza e potere che diventa quindi il potere di sempre.
Nulla cambierà se i cittadini non capiscono che sono loro con il loro comportamento a dare ragione ai forti e potenti e vengono infine sfruttati ancora.
All’infuori della critica giusta e necessaria, vale la pena d’inoltrarsi nella Vienna popolare, dove la gente comune vive e sopporta l’autorità del potere con rassegnazione, ben sapendo che difficilmente potrà mutare in meglio.
È la gente dei borghi della periferia, non calorosa come quella delle città italiane, ma di solito cordiale e gentile, dove la semplicità del loro ambiente crea un senso d’agiatezza e serenità e si oppone alla presunzione dei palazzoni i cui costi sono talmente elevati da poter alleviare le necessità primarie dei molti bisognosi.
Vienna è una grande città come tante altre in Europa, con un carattere proprio che rispecchia un passato famoso, un presente del tutto diverso e un futuro ancora da definire.
Lorenzo Russo
Caro Lorenzo,
grazie per il tuo scritto sull’amore. Lo sottoscrivo senza doverne discutere un’acca. Grazie. E speriamo che anche la forza sorreggente il tuo pensiero entri nel cuore della troppa gente malfidata e malpensante. Insomma speriamo che tutti leggano quel che saggiamente tu dici – perche’ purtroppo la diffidenza, il sarcasmo e l’ironia aggressivi sono ”di moda” oggi e discostarsene e’ uno sforzo erculeo che molti non vogliono fare, perche’ e’ sempre piu’ comodo essere e vivere ”pro domo sua”.
Grazie veramente
Sergio
Lorenzo, grazie!
Quando ripasserò da Vienna, stanne certo, te lo farò sapere…
Didò: non ti ho dimenticato… Purtroppo non ho lo spertito ma mi sto attivando con i miei “potenti mezzi” 🙂
presso i PP. Cappuccini di Siracusa…