LE NOSTRE VITE TRA DIRITTO E WEB – N. 6: DIFFAMAZIONE A MEZZO FACEBOOK
L’introduzione di Massimo Maugeri e Simona Lo Iacono
Ottobre 2012, Tribunale di LIVORNO: diffamazione a mezzo facebook
La materia della diffamazione costituisce uno dei temi più delicati nella regolamentazione del mondo delle informazioni, soprattutto da quanto la comunicazione viaggia veloce su internet.
L’esistenza del web ha infatti aggravato il problema della asimmetria tra potenziale calunniato e potenziale calunniatore, poiché la rete non ha confini territoriali e limiti di percezione. È quindi indubitabile che la lesività del reato è potenziata, e pressoché irrecuperabile.
Iniziamo col definire la diffamazione.
L’art 595 c.p. stabilisce che “chiunque, al di fuori dei casi di cui all’art. 594 c.p. (Ingiuria), comunicando con più persone, offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino ad € 1.032,00. Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino ad € 2.065,00. Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altra forma di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad € 516,00”.
L’art. 596-bis c.p. (Diffamazione a mezzo stampa) dispone, inoltre, che se il delitto è commesso col mezzo della stampa, lo stesso trattamento sanzionatorio, diminuito in misura non eccedente un terzo, è applicato al direttore o vicedirettore responsabile, all’editore ed allo stampatore (per i reati di cui agli artt. 57 c.p., Reati commessi col mezzo della stampa periodica, 57-bis c.p., Reati commessi col mezzo della stampa non periodica, e 58 c.p., Stampa clandestina), in quanto tenuti ad esercitare sul contenuto del periodico il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati.
Il legislatore, pur mostrando di aver preso in considerazione l’esistenza di nuovi strumenti di comunicazione, telematici ed informatici (si veda, ad esempio, l’art. 623-bis c.p. in tema di reati contro l’inviolabilità dei segreti), non ha ritenuto di mutare o integrare la normativa con riferimento ai reati contro l’onore (artt. 594 e 595 c.p.), pur essendo intuitivo che questi ultimi possano essere commessi anche per via telematica o informatica.
Pensando, ad esempio, alla trasmissione di comunicazioni via e-mail, ci si rende facilmente conto che è certamente possibile che un agente, inviando messaggi atti ad offendere un soggetto, realizzi la condotta tipica del delitto di ingiuria (se il destinatario è lo stesso soggetto offeso) o di diffamazione (se i destinatari sono persone diverse). Ovviamente, l’azione è altrettanto idonea a ledere il bene giuridico dell’onore anche se l’agente immette il messaggio in rete con modalità diverse.
Dottrina e giurisprudenza sono, dal canto loro, oramai in accordo, ritenendo che nella nozione di “stampa” di cui all’art. 595, co. 3, c.p. debba essere ricompresso ogni prodotto idoneo alla sua diffusione in una molteplicità di esemplari, con mezzi meccanici o fisico-chimici. Analogamente, per “altri mezzi di pubblicità” si intendono, in senso ampio, tutti gli altri mezzi divulgativi, quindi, anche internet (Cass. pen., n. 4741/2000, cit.).
È noto che il reato di diffamazione si consumi anche se la comunicazione e/o la percezione non siano contemporanee e contestuali ma, mentre nel caso di diffamazione commessa a mezzo posta o e-mail è necessario che l’agente compili e spedisca una serie di messaggi ad uno o più destinatari, nel caso in cui l’autore del reato crei o utilizzi uno spazio web o un social network come facebook, la comunicazione deve intendersi effettuata potenzialmente erga omnes (anche se nell’ambito limitato di coloro che abbiano gli strumenti, la capacità tecnica o l’autorizzazione a connettersi).
Partendo da tale premessa, si giunge agevolmente a ritenere che l’utilizzo di Internet integri l’ipotesi aggravata di cui all’art. 595, co. 3, c.p. (offesa recata con qualsiasi altro mezzo di pubblicità), poiché la particolare diffusività del mezzo usato per propagare il messaggio denigratorio – solo lontanamente paragonabile a quella della stampa ovvero delle trasmissioni televisive o radiofoniche – rende l’agente meritevole di un più severo trattamento penale.
Internet è, infatti, un mezzo di comunicazione più “democratico”: chiunque, con costi relativamente contenuti e con un apparato tecnologico modesto, può creare un proprio “sito”, ovvero utilizzarne uno altrui. Poiché le informazioni e le immagini immesse nel web, relative a qualsiasi persona, sono fruibili (potenzialmente) in qualsiasi parte del mondo, il reato, di conseguenza, si consuma al momento della percezione del messaggio da parte di soggetti estranei sia all’agente che alla persona offesa (Cass. pen., n. 4741/2000, cit.).
Una volta stabilito che in astratto è configurabile la diffamazione a mezzo Internet, occorre chiedersi come sia possibile dare la prova processuale dell’esistenza di uno scritto o filmato o immagine diffamatoria.
Non bisogna dimenticare che la pagina web incriminata potrebbe essere cancellata dopo poche ore dalla pubblicazione, quando il reato è già stato commesso ed il danno prodotto. Le informazioni tratte da una rete telematica sono per loro stessa natura volatili e suscettibili di continua trasformazione e, pertanto, deve escludersi che abbia qualità di documento, con conseguente efficacia probatoria, una copia su supporto cartaceo (una mera stampa dalla pagina web) che non risulti raccolta con garanzie di rispondenza all’originale e di riferibilità ad un determinato periodo temporale (Cass. civ., sez. lav., 16 febbraio 2004, n. 2912).
Si impone, quindi, la necessità di fornire certezza al contenuto del testo diffamatorio e dimostrarne la data certa. Tale impellenza viene soddisfatta con una produzione della copia conforme della pagina web, proprio al fine di cristallizzarne il contenuto in un preciso istante temporale .
Posto che la pagina web costituisce “documento informatico” (rappresentazione informatica di atti e fatti o dati giuridicamente rilevanti) ai sensi dell’art.1 d.lgs 7 marzo 2005, n. 82 (Codice dell’amministrazione digitale, in Gazz. Uff. 16 maggio 2005, n. 112, suppl. ord. n. 93) e che, ai sensi all’art. 23, la copia del documento informatico – su supporto cartaceo o digitale – è valida se raccolta in conformità alle regole tecniche vigenti, la copia conforme della pagina web potrà essere eseguita da un notaio (oltre che da un cancelliere, segretario comunale, etc., ex art. 18, d.P.R. 28 dicembre 2000, n. 445, Disposizioni legislative in materia di documentazione amministrativa, in Gazz. Uff. 20 febbraio 2001, n. 42, suppl. ord. n. 30) il quale adatti alle peculiarità del documento informatico la tipica attività notarile di rilascio di copie autentiche. Tale certificazione di conformità costituisce il presupposto minimo richiesto dalla giurisprudenza.
Infine, giova rammentare che sotto il profilo civilistico la diffamazione a mezzo internet comporta un danno morale, quantificabile economicamente. Sul punto, una sentenza del Tribunale di Monza, ovvero la sentenza n. 770 del 2 marzo 2010, afferma che: “ogni utente di social network (nel caso di specie di “facebook”) che sia destinatario di un messaggio lesivo della propria reputazione, dell’onore e del decoro, ha diritto al risarcimento del danno morale o non patrimoniale, ovviamente da porre a carico dell’autore del messaggio medesimo”.
Ancora più di recente Il Tribunale di Livorno, in data 1 ottobre 2012, ha pronunciato sentenza di condanna nei confronti di una donna per diffamazione a mezzo stampa (comma 3 dell’articolo 595 c.p.), per aver scritto frasi offensive sul proprio profilo Facebook, e rivolte al proprio ex datore di lavoro. Il tribunale di Livorno, dando vita ad un nuovo orientamento nella giurisprudenza di merito, ha deciso di condannare la donna per “diffamazione” con l’aggravante del “mezzo stampa” poiché l’insulto all’ex datore di lavoro (che l’aveva licenziata) è avvenuto sul proprio profilo Facebook.
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