DJANGO UNCHAINED
di Quentin Tarantino
con Jamie Foxx, Christoph Waltz, Leonardo DiCaprio, Samuel L. Jackson
Recensione di Ornella Sgroi
O si ama o si odia. E con Quentin Tarantino è più che mai vero. Non solo perché nei sui film non esiste mai una via di mezzo tra questi due sentimenti, ma anche perché è questa la frase più usata quando si parla di lui. Eppure il compromesso si può raggiungere anche nel caso del suo cinema, semplicemente apprezzandolo, soprattutto per il modo in cui Tarantino si addentra nella sperimentazione di un vecchio genere per farlo rivivere in assoluta autonomia. Trasformando persino le citazioni in elemento integrante della narrazione, a tal punto da non poterle più scindere dall’insieme che si conquista la sua originalità.
Lo ha fatto con i B-movie e i film d’exploitation, da cui è un dipendente conclamato e da cui ha estrapolato violenza estrema e fiotti di sangue per inventarsi quello stile singolare tutto suo, il pulp. Che possa piacere oppure no. E lo ha fatto con un genere classico come il western, che con “Django Unchained” ritrova una sopita vitalità, risvegliata e reinventata alla maniera di Tarantino, dichiarato estimatore in particolare degli spaghetti-western cui rende omaggio non solo nel titolo ispirato alla pellicola di Sergio Corbucci. Con il rischio di conquistarsi la simpatia di un nuovo pubblico, lungo un percorso già iniziato con il precedente “Bastardi senza gloria”. Film che segna una svolta nel cinema del regista contemporaneo forse più cinefilo, con l’ingresso della Storia (quella con la maiuscola) non solo sullo sfondo del racconto, di cui diventa anch’essa grande e irrinunciabile protagonista.
Tolto lo scalpo ai nazisti per mano di un gruppo di ebrei vendicativi, Quentin Tarantino prende di mira un’epoca ancora più lontana nel tempo, ma poi non così distante dall’oggi e da certi suoi orrori. E spara a zero contro il razzismo più crudele e cruento, che in certe scene ci mostra in tutta la sua disumana efferatezza. Senza sconti. Come, del resto, sconti i negrieri bianchi non ne facevano alle loro vittime. E come – ahimè – sconti non ne fa certo cinema più recente che usa la violenza con una disinvoltura inutile ed inquietante.
Gli elementi che caratterizzano il cinema di Tarantino ci sono tutti in “Django Unchained”, come sempre, questa volta però puntati verso una nuova direzione. Il gioco delle parti e lo scambio dei ruoli, la strategia del terrore e l’esibizione della violenza, persino la vendetta, hanno infatti anche un altro scopo. Quello di garantire il lieto fine ad una grande storia d’amore e di dolore, che fa da cassa di risonanza alla rivendicazione del bene più grande: la libertà, con la dignità che ne deriva. E ciò senza mai rinunciare ad un modo di fare cinema che è puro divertimento. Per il regista e per chi ne ammira il lavoro di precisione, fatto di scrittura e quindi di dialoghi potenti ed ironici, ma anche di messa in scena accattivante ed immagini evocative che omaggiano il western all’italiana con primi piani e sguardi, lanciati però all’improvviso, con colpi di zoom rapidissimi come uno scatto fotografico o un colpo di pistola, che per contrasto rimandano alla leggendaria lentezza di Sergio Leone.
In “Django Unchained” la tradizione ed il classico confluiscono così nella dimensione del nuovo e dell’originale, anche nella suggestiva colonna sonora con le note evocative di Luis Bacalov e il tocco magico di Morricone con la sua “Ancora qui” interpretata da Elisa per il film di Tarantino. Che, oltre al piacere della scrittura e della regia, si gusta fino in fondo il piacere della musica e il piacere di dirigere i suoi magnifici attori, portando oltre ogni possibile aspettativa le interpretazioni di un cast, i cui volti restano scolpiti nella memoria dello spettatore, come i singoli personaggi che rappresentano. La coppia Jamie Foxx e Christoph Waltz, da una parte. I singoli Leonardo DiCaprio e Samuel L. Jackson, dall’altra. Protagonisti e antagonisti, bianchi e neri, vittime e carnefici. Gli uni con gli altri. Gli uni contro gli altri. In uno scontro frontale in cui anche i buoni devono fare i conti con la propria ferocia.
Se tutto questo è “Django Unchained”, allora anche solo per questo è un film che vale la pena vedere. Comunque. Perché Quentin Tarantino o si ama o sia odia. In ogni caso, si apprezza.
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Leggi l’introduzione di Massimo Maugeri
Il trailer del film
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