Un viaggio può rappresentare, nella vita di ciascuno, un’occasione ottimale per conoscere e incontrare gli altri e ciò che è diverso da noi; ma anche per conoscersi. Quel senso di precarietà che si insinua in ogni viaggio (breve o lungo che sia), a causa della momentanea lontananza dal luogo nel quale viviamo e che conosciamo, e dalle persone con cui abitualmente trascorriamo il nostro tempo, ci può rendere più sensibili a farci coinvolgere dall’altro e a misurarci con noi stessi e la nostra identità. Queste semplici considerazioni sul viaggio sono state stimolate in me dalla visione di due recenti film italiani usciti all’inizio della stagione 2006-2007: Nuovomondo di Emanuele Crialese e La stella che non c’è di Gianni Amelio, entrambi, registi di origine meridionale.
Una famiglia di poveri contadini che parte, all’inizio del Novecento, da un paesino povero della Sicilia profonda, per andare in America in cerca di una vita migliore, è la protagonista della pellicola di Crialese. Amelio, invece, filma le peripezie di un ingegnere italiano nella Cina contemporanea, perché spinto dal senso del dovere che gli impone di dover sostituire un pezzo difettoso di un altoforno, venduto ai cinesi e da lui stesso progettato. Due film, due viaggi, ambientati in tempi e contesti diversi: l’emigrazione verso l’America nel primo Novecento e la Cina dei giorni nostri che si affaccia prepotentemente nell’economia mondiale. Due storie che sembrano incrociarsi fra loro e poi allontanarsi. Se infatti, in entrambe, i protagonisti appaiono desiderosi di partire e carichi di fiducia, al loro arrivo dovranno fare i conti con la nuova realtà dei paesi in cui giungono. Infatti, la famiglia siciliana, dopo il definitivo allontanamento dalla sua Sicilia e l’avventuroso viaggio, pur pervenendo in un freddo e labirintico centro accoglienza immigrati di Ellis Island, retto da poliziotti, medici e assistenti che agiscono come tanti burocrati, permane pienamente salda ai propri valori e identità; invece il povero ingegnere sembra comprendere la propria pochezza e piccolezza e finisce per perdere ogni suo riferimento interiore. La Cina gli appare così vasta, multiforme e intenta ad inseguire lo sviluppo, da non curarsi dei traumi provocati da una (modernissima) alienazione, simboleggiata da palazzoni-alveari che svettano folti nelle sue fredde e grigie megalopoli. Questa Cina lo coinvolgerà, sconvolgendolo profondamente nell’animo e negli affetti.
Auguri a Gabriele Montemagno per questa nuova rubrica che si prospetta interessante. La leggerò con piacere.
Ringrazio molto Elektra per i suoi auguri. Un saluto a tutti, Gabriele.