Vi è capitato mai di assistere a “scenette” divertenti o tragiche o grottesche o paradossali mentre eravate in fila in banca o alla posta? Sicuramente sì.
Bene! Vi invito a raccontare qui i vostri aneddoti “da coda”. Lo spunto ce lo offre l’incipit di questo inedito di Sergio Sozi (nella foto) che ho il piacere di proporvi.
Sozi è l’autore della raccolta “Il maniaco e altri racconti” (ne avevamo già parlato qui e qui).
Leggete il racconto e commentatelo. Poi raccontate i vostri aneddoti “da coda”.
Non ne avete? Inventateli!
A volte la fantasia è così ricca che diventa più vera della realtà.
Massimo Maugeri
P.S. Si precisa che il racconto che segue non è “integrale”, ma uno stralcio abbondante.
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A Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (in memoriam)
Quando in banca si radunano i vecchietti che depositano le pensioni ritirate la mattina stessa alle Poste, si forma un assembramento paro paro a quello dantesco sulla riva dell’Acheronte, soltanto più loquace: tra malanni sempre incurabili, nipoti sempre degeneri, sciagure stradali e varianti di queste amenità, potremmo affermare l’assoluta salubrità della narrativa orale contemporanea. Peccato che spesso, in siffatte occasioni, manchino le qualificate orecchie di un qualche scrittore per trascrivere il tutto e così smentire platealmente quei critici letterari, inveterati pessimisti, affermanti il disfacimento del romanzo moderno.
Il giorno sedici dicembre del Duemilaotto, però, verso mezzogiorno, Euterpe Santonastasio non è che si divertisse troppo a seguire la borbottante fila del Credito Nazionale, nonostante l’acida vedova dietro a lui e relativa giovane accompagnatrice:
<<Mamma… hai preso le pillole verdi e gialle delle undici?>>
<<Quelle rosse e blu, intendi, vero? Sì le ho prese, anche se sono affari miei.>>
<<No, mamma: alle undici ti toccano quelle verdi e gialle. Le altre dopo pranzo. Va be’: per oggi invertiremo l’ordine, ma non ti ci abituare, che fa male.>> E la scruta con severità.
<<Invece mi fa bene portare a spasso i tuoi figli mentre stai in ufficio tutti i santi giorni, domenica compresa.>>
<<Ti sei offerta tu…>>
<<Che diavolo c’entra: un tempo mi offrivo spesso anche a tuo padre, la sera, ma questo mica voleva dire che poi fossi obbligata a restare incinta ogni nove mesi!>>
<<Paragone insostenibile, mamma.>>
<<Direi che qui d’insostenibile ci siano i tuoi tre divorzi con quattro figli a tuo carico. Oops! Scusa: a mio carico.>>
Santonastasio, i bimbi li considera un po’ oleograficamente quasi partoriti dalle cicogne o dai cavoli a primavera, dunque si guarda bene dal mettere il dito nella piaga delle due donne, sebbene immaginiamo quanto dentro di sé si divida fra il sorriso e la riprovazione. A complicare la faccenda ci pensa invece lo scheletrico matusalemme che lo precede nella coda, uno dall’evidente accento laziale:
<<Bella famigliola, non c’è che dire!>> Altisòna costui con uno sguardo neronero come neanche Ulisse mentre infilzava i Proci. Mezzo branco si volta e, tacendo ovviamente il bersaglio di tale commento, una nervosa tizia sugli ottanta chili alza la mano in stile declamatorio (Augusto in cotta d’arme alla plebe) e, alle spalle delle due incriminate, scandisce:
<<Ha parlato sant’Ignazio di Loyola. Ma torna a zappare, che ancora mando i soldi ogni mese ai tuoi figli, fallito!>>
<<Questi sono affari privàti.>> Replica lo sdentato laziale alzando minacciosamente il bastone.
<<Privàti un corno.>> La voce maschile proviene da qualche indefinibile punto della ressa, verso la porta d’ingresso della banca. <<Lo sanno tutti nel palazzo che avete otto creature date in adozione da Palermo a Milanomarittima! Vergogna!>>
<<A Milanomarittima>> dice tempestivamente un altro uomo <<io ci butterei te agganciato ad un siluro. Così magari vai a far compagnia agli albanesi che non s’aspettano altre sventure. Pensa piuttosto a pagare il condominio.>>
Una palla di carta vola fino a colpire la spalla destra di Santonastasio: <<Tié!>> enuncia in perfetto calabrese l’ugola della distante lanciatrice <<prenditi anche la mia pensione, Carlo Poropat! Basta che la pianti di scassare la macchina di mia figlia ogni volta che parcheggi.>>
<<Ma fammi il piacere, pazza da legare: io le macchine dei terroni manco le sfioro, che m’inquinano l’anima al solo vederle.>>
<<Bello tu, invece: spècchiati!>> Osserva chissà chi nella fila affianco, quella dove si nota una maggior presenza di clienti in età da matrimonio. La voce è triestina, giovanile e muliebre, e starebbe per continuare con qualche ulteriore particolare descrittivo non troppo edificante, ma viene interrotta da un vero e proprio ultimatum:
<<Egregi signori… Ecco: adesso che vi siete sfogati tutti, alzate le mani e chiudete le gentili fauci, per favore.>>
La accompagna un’indiscutibile bocca di fuoco détta pistola a tamburo, levata al soffitto come la torcia di un tedòforo.
Primo capitolo
<<E questo cosa cavolo c’entra, scusi?>> Ardisce comunque polemizzare un incosciente tizio da un altro angolo della vasta sala.
Un qualche brusio di ghignate serpeggia tra la folla, oramai in procinto di far mente locale sebbene ancor divertita da tal insperato carosello – tipica doppiezza italiana ironico-drammatica.
<<Il mio collega c’entra perché entrambi vorremmo rapinare questa banca. E se non ve ne state quieti un attimo, mi sa che butto la bomba.>> Precisa timidamente un’ennesima lingua maschile. Questa volta gli si fa il vuoto attorno, poiché costui agita una borsa nera ben poco promettente.
Quindi salta su una giunonica babbiona ingioiellata che recita trionfante: <<Bravi! Portategli via tutto, a ‘sti ladri di banchieri!>>
Il rapinatore cólla pistola la abbassa involontariamente ad altezza d’uomo; ha l’aspetto d’un coleottero: secco inguastito e mezzo curvo, moro ardesia tinto; età apparente, oltre i sessant’anni. E tace. Il suo compagno, all’incirca coetaneo, posa la borsaccia letale davanti a sé e intanto commenta: <<Un po’ di contegno, per Dio…>> È meno esile di corporatura, anzi si direbbe ben in carne, ma flebile nel tono vocale.
Lo smilzo ha un baritonale sussulto di realismo e <<Strani questi signori>> commenta. <<Abbiamo detto mani in alto!>> Non arriva ad urlare per pochi decibel.
Finalmente si vede un’alberaglia di dita artritiche, incomplete, pingui, insomma multiformi ma comunque tese verso il soffitto. Il magro pistoluto si appressa allo sportello, dove una piacente cassiera ha appena smesso di scrivere qualcosa su di un foglio, e constata:
<<Stavolta attingo alle pensioni di tutti quanti e pure alle non-pensioni, purché in contanti. Sia così gentile da sistemare le banconote in questa busta sùbito, altrimenti il mio compagno farà esplodere la bomba che ha nella borsa, o io, diciamo, scusi la volgarità, manderò all’Oltretomba qualche osso da sepoltura fra i quippresenti.>> Poi, rivolto all’altro che gli sta vicino, sottovoce: <<Fai mettere tutti costoro a sedere, Aligio: non vedi che stanno scomodi?>>
<<Giusto.>> Osserva il cicciottello. <<Abbiate la compiacenza di accovacciarvi, signori.>>
<<Che? Non si capisce un’acca quaggiù!>> Replica la matrona ingioiellata di prima con accento un po’ meno gaudente ma sempre altero.
<<Uff… Mentre svaligiamo la banca, ci piacerebbe vedervi seduti, dice il collega!>> Ripete il ciccio oscillando la borsa senza volere. Ognuno si accuccia. Sporadiche chiacchierette quasi inavvertibili.
<<Aligio: io ho da fare qui allo sportello… ti prego: dì loro di piantarla con le grane, che abbiamo fretta. Magari… ecco: intrattienili con qualche facezia orrorifica e intanto fatti consegnare il… valsente che hanno in tasca, eccetera eccetera: ori, preziosi…>>
Aligio si volta e, vista la platea seduta: <<La sapete quella storia che avvenne, nella notte dei tempi, in un bosco qui vicino? In… Istria?!>> Quasi balbetta.
Silenzio glaciale. Poi uno suggerisce: <<La storia di Casimiro della Torre, dice?>>
<<Casimiro… hem… un attimo, scusi.>> Replica Aligio nell’avvicinarsi all’altro bandito, in piena riscossione, così chiedendogli ansiosamente: <<Che accipicchia ne so, io? Dimmi Favonio: c’è una tradizione locale su tal Casimiro?>>
<<Cosa vogliono?!>> sussurra acido il pistoluto in risposta <<Cappuccetto rosso andrà benissimo. E non chiamarmi per nome, ch’è sconveniente se nessuno ci ha presentati ufficialmente. Ti sei rimbecillito, Aligio? Vogliamo far la figura dei cafoni?>> Poi, rivolto a tutti, prosegue un po’ rude: <<Facciamola breve: zitti e mosca! La pazienza ha un limite. Io incasso e lorsignori godranno della fiaba di Cappuccetto rosso secondo quanto tramandato dai fratelli Grimm. O Andersen, o Calvino. Perrault magari.>>
<<Sì… Mamma oca!>> Provoca un impertinente in sala.
<<Si qualifichi!>> Riponde piccato Favonio il magro.
<<Voglio dire:>> prosegue il provocatore <<sono cinque minuti abbondanti che rapinate. Non sarebbe meglio sbrigarsi? Parlo da addetto ai lavori.>> Si tratta della voce raucosmollata del nostro ex carabiniere. Qualcuno se la ride sottoibaffi. <<Oltretutto…>> continua Euterpe <<…alla vostra età…>>
<<Alla NOSTRA età>> constata Favonio <<mica tutti si rassegnano a crepare con stretto fra i denti (finti) l’ultimo assegno di quiescenza, caro l’amico mio.>>
<<Ma io quello lo conosco,>> interloquisce serio serio uno stravecchissimo seduto ad un paio di metri da Favonio e Aligio, <<è il poeta! Il professor Favonio de Brutti! Come sta la signora, commendatore barone, tutti bene a casa?>>
Un buonumore stravolgente, presa la bocca dello stomaco a ognuno dei presenti, erutta fuoricontrollo, contagiando persino la cassiera piacente. ”Settanta persone che ridono in banca: roba mai vista! Vediamo come faranno a rimettere la situazione nei binari della storia poliziesca.” Medita Santonastasio, il quale comunque si associa di buon grado al delirio senil-collettivo.
Il menzionato commendatore barone, nel diluvio degli scompisciamenti, prende per il collo Aligio e lo sprona: <<Non dovevi pensare tu alle tasche dei clienti? Che razza di consuocero sei, fannullone e debole di carattere!? Io debbo sparecchiare gli uffici e la cassaforte, a te sta il controllo della guardia giurata e della plebe. Oltretutto la guardia oggi manco c’è, vedi che fortuna? Avanti: appoggia la borsa con l’ordigno su quel bancone>> ed indica la cassa numero uno vicino a sé <<e passa fra ‘sti rincretiniti a ripulirli. Intanto vai con Cappuccetto rosso: e sii crudele con il lupo, capito? Viviamo nel ventunesimo secolo, ragazzo!>> L’altro, diligentemente, sbatte senza troppi complimenti la valigetta ove indicatogli.
Secondo capitolo
Sedatosi spontaneamente il tumulto, anzi diremmo l’ilarociclone: <<Mo’ basta! Consegnate tutto quel che avete al mio amico e con sveltezza!>> Proclama il segaligno nobiluomo mentre si affaccenda alla cassa numero due. Aligio inizia dunque a ritirare borsellini, orologi e gioie. Suda con costanza da quando son cominciate le danze e, impacciato com’è, deve costargli molto abbassarsi e alzarsi di continuo e al contempo parlare:
<<Grazie, signora: Dio glie ne renda merito.>> Farfuglia ad una specie di rancida famfatàl, mentre insacca un paio di anelloni zingareschi; <<Scusi, eh…>> Si giustifica agli occhi di un trippone incravattato dall’aria ingegnerile; <<Molto obbligato.>> Ringrazia dimessamente un tizio antipatico sulla trentina per il portafogli. E via dicendo.
<<Lenti come i treni delle Effeesse. Secondo me finite al Coroneo.>> C’è bisogno di commento? Questa è la raucedine bassa e obliqua del nostro capitàno in congedo!
<<Dove finiamo??>> Rimanda il ciccio bloccando a mezz’aria una catenina di similoro.
<<Stiamo freschi: il carcere di Trieste. Almeno ci intrattenga come promesso, no? Che, tiene le corde vocali malate, rapinato’?>>
<<Rapinatore sarà lei. Io ho la laurea in Lettere. C’era una volta, in una solitaria casetta incatramata di rosso e con le piastrelle rosse sul tetto a capanna – mentre invece… uff!… l’unico comignolo era gialloinvidia…>>
<<Ma solo le rapine, è capace a fare, scusi, lei.>> Lo interrompe Santonastasio con tono di constatazione tecnica: <<Dove stanno mai i catrami rossi… e le piastrelle sui tetti a doppio spiovente. Se desidera elargirci un sottofondo musicale come quello degli ascensori amerrecani lasci perdere: io sto meglio in silenzio, mentre perdo la pensione. La laurea all’università della terza età non conta, durante un delitto che sia un evento speciale, elegante e fatto comesideve, mi consenta. Sforzi la fantasia, su.>>
<<Bravo!>> Si associa una signora nella calca che, repentina quanto un lampo, si alza e acchiappa la borsabomba del dinamitardo, levandola a due mani sopra di sé. <<Dài, delinquente: prova a prenderlo, il tuo tritolo!>> E la passa a un signore, che agilmente la dà indietro a un altro e via di séguito, senza pausa.
<<Macché siete matti?! Fermi! Boni, state bboni! Mi sgualcite la cartella di papà…>>
<<Ah! Ah!>> Ironizza una ragazzotta. <<Rischia di fare il botto con noi e pensa alla borsa. Apriamola, forza!>> E se la fa passare senza curarsi dei tentativi di Aligio, il quale goffamente tenta d’intercettare l’oggetto investendo senza risultati – patapùmfete! – qualcuno di a lei distante.
Aligio, a terra bocconi, con il sacco della refurtiva semivuoto stretto nella mano destra e orecchini, brillanti, segnatempo e braccialetti sparsi a corona d’intorno, accenna un moto di pianto: <<Però… la pistola di Favonio, il professor de Brutti, è caricata con pallottole vere, capito, maramaldi, dispettosacci?! E ridatemela, sennò lo chiamo e quello vi spara di sicuro.>>
Invece la valigetta in cuoio, nera, piena strabordante di qualcosa d’inusuale, viene sottoposta all’impietoso vaglio della ragazzotta triestina che l’ha catturata:
<<Ma… queste sono… cambiali!>> E le estrae ad una ad una sparpagliandole, fra lo sbigottito silenzio del cronicario. <<Tutte a suo nome: c’è scritto Aligio Carmentieri di Quintavalle. È lei, no?>>
<<L’ultimo principe di Quintavalle, così brutto?>> Infierisce bonariamente una anziana piccoloborghese forse napoletana. <<Mi ricordo quando, nel Sessantatré, sposò la figlia del re di Danimarca… come si chiamava…>>
<<D’accordo: lasci stare.>> Echeggia un’anima pia.
L’uomo intanto tace, col muso stretto fra dieci polposi ditini e sempre all’in giù, pavimentobaciante.
<<Signore e signori,>> continua la ragazza <<osservino: seicentodieci euro… trecentotré… milleottanta. E… Oddio…>> e rovescia un mare di foglietti vuotando la borsa. <<Con chi ha lei questi debiti? Non sarà mica proprio questa banca?>> Sarà stata almeno una mezza migliaiata di pagherò.
<<Con me. Soddisfatta la vostra curiosità da rotocalco? E adesso basta con gli scherzi.>> La tenorile, perfida voce di Favonio de Brutti convinse ciascuno. Teneva in una mano una busta per l’immondizia colma di biglietti di banca e nell’altra la rivoltella, provenendo dagli uffici che stanno sul retro. Poi cambia registro: <<Sursum corda, gentili signore e onorevoli signori: aiutate Aligio a raccogliere il bottino in quattro e quattr’otto e pensate che il mio povero compare nonché consuocero, grazie a questo audace colpo, conserverà intatte le proprietà ipotecate. Io, d’altro canto, con questi soldi potrò a malapena pagare a questa banca i miei debiti. Tutto viene e tutto torna agli istituti di credito, in Italia: la patria degli strozzini.>> Altro divertito cicaleccio in sala, sempre sotterraneo.
<<Però… i debiti li avete fatti voi. Se aveste speso meno… eh… I lussi costano.>> Osserva Santonastasio, il quale, pur non disdegnando qualche arretrato conticino, aborra gli oneri finanziari veri e propri.
A tale rimprovero, Aligio rialza la testa: <<Mica giochiamo a carte come i nostri progenitori, noi!>> Contesta lamentosamente ad Euterpe, mentre il pubblico impietrisce. <<Ci hanno mangiato tutto gli industrialotti dopo la guerra. La Prima dico. Verso il Ventinove. Be’: non proprio tutto… almeno la metà.>>
<<Ciò non spiega un cappero verdeverde: come mai state in queste condizioni?>> Rilancia una spietata pugliese con occhiali alla Wertmüller e un terzo dell’età apparente di quest’ultima.
<<Avete mai sentito che un poeta latino o greco abbia vangato i campi per obbligo e non per semplice mantenimento del vigore fisico?>> Provoca altezzosamente il commendator Favonio, posando il sacco a terra. <<No, vero? Ebbene: noi due, pur avendo prole e moglie, abbiamo scommesso la testa sulla letteratura: sono trent’anni che siamo costretti a scrivere gratis su tutti i giornali italiani – e i periodici, eccetera. È il nostro unico lavoro ma nessuno ci dà un soldo, perché la gente pensa: questo, se mette l’ingegno nello scrivere e basta, vuol dire che è ricco sfondato, mica lo vado a pagare, fossi scemo. Dunque, finché ci siamo potuti mantenere coi possedimenti – e noi i lavoranti dei campi li paghiamo, sapete? – la cosa è andata. Poi… Aligio s’è indebitato con me, che ho qualche ettaro in più di lui ed io, senza mai dirgli niente per non preoccuparlo, ho cominciato a prendere soldi da questa benedetta banca. Ma non abbiamo mai, dico mai, licenziato un contadino e mai abbiamo sgarrato di un centesimo di lira dalla paga sindacale… anzi… più che sindacale, di solito. Oltre il massimo, vanno pagati coloro che ci nutrono a forza di braccia!>>
Si leva qualche timido applauso. Un decrepito occhialuto però non concorda affatto: <<Ma non li vedete i nostri figli, voi signorotti decaduti che vi permettete anche di rapinare le banche? Che valore hanno, per voi, i figli della gente comune che devono rassegnarsi ad un lavoro alienante e opprimente, senz’altra prospettiva se non quella di sprecare il fior fiore degli anni dentro un ufficio moderno con le luci al neon, in una orrenda città come la nostra Trieste o anche Roma, Napoli, Milano? Noi piccoloborghesi, oggi, riempiamo di menti sfruttate i palazzoni delle periferie italiane, non voi scrittori e aristocratici. Sia ben chiaro. Noi diamo la carne a macellai bancari e speculatori borsisti. L’alta finanza si nutre del sangue nostro.>>
<<E perché non vi ribellate, allora? Perché accettate…>> replica con calore Favonio de Brutti, incurante d’uno strano brusio <<… Perchè accettate meschinamente il lavoro nero e le paghe inadeguate, la vita assurda, blindata, che siete costretti a portare avanti nelle vostre città o nei vostri paesi delinquenziali e mafiosoidi? Unitevi e chiedete giustizia, no? Siete il popolo! La democrazia l’avete fatta voi, o almeno la godete ora voi, dopo che i partigiani ci hanno lasciato la pelle negli anni Quaranta. E vi ritrovate ancora nel Duemilaotto a far la solita figura dei borghesucci ottusi ognun per sé e Dio per tutti! Suvvia! Se è vero – ma mica troppo, eh! – che noi aristocratici siamo tutt’ora dei privilegiati, voi restate le teste di legno che eravate duecent’anni fa. Voi non meritate la democrazia. Anzi: tutti noi italiani non la meritiamo, perché siamo degli immaturi e degli egocentrici, dei burini infantili che abbisognano della frusta e delle minacce per rispettare la cosa pubblica. Siamo dei sottosviluppati europei. E pensare che l’Europa l’avremmo fatta noi con le mani dei nostri antenati! Eppoi l’abbiamo svenduta: ai diavoli americanacci che abbiamo dentro di noi, alla sete di commercio di noi stessi, all’istinto autodistruttivo e decadente che ci propone il sangue del nostro sangue antico, eterno.>>
<<Eh… Quando c’era Lui!>> Ammette con sincerità un ragazzo moro sulla ventina scarsa con accento lombardo e naso a promontorio.
<<E che, pensi che il Duce potesse contrastare da solo la nostra bastardaggine? In vent’anni mica si dànno antidoti sufficienti allo scorrere dell’anarchia, sai, giovincello? Ne servono almeno sessanta, come in Iugoslavia. Anzi no… forse ne servirebbero duecento… mille, di anni.>> Risponde Favonio de Brutti pacatamente.
<<Serve un solo principe illuminato e filosofo, credetemi.>> Vedete? È Santonastasio. <<Anzi, preciserei: urgerebbe qualche dio che concedesse le condizioni terrene acché un filosofo illuminato oggi potesse riportare noi italiani ad un regime di condotta complessiva – morale, fisica, intellettiva, onirica – quale esso era nella latinità dell’epoca monarchica. Ma.>> E l’ex milite fa una pausa significativa. <<Ma adesso bisogna risolvere questo macello: scusate… Vedo i miei colleghi fuori dalla porta della banca. Siamo circondati, immagino.>>
<<I… suoi colleghi?>> Interviene Aligio con evidente maremoto di sudore.
<<Ex colleghi: sto in pensione. Carabiniere a riposo.>>
<<Ah… grazie: li ha chiamati lei col telefonino.>> Insinua gaudendo la matrona ingioiellata.
<<Il telefonino io non lo tengo, draga gospà.>>
<<Drago femmina a me? Screanzato. E chi gospò: io non ho mai gospato.>>
<<In sloveno vuol dire cara signora.>> Precisa Euterpe.
<<Scusate>> s’intromette Favonio tesuccio <<ho inteso male o siamo accerchiati dai tutori dell’ordine?>>
Alla conferma collettiva – un annuimento – dei settantaerotti clienti, lo stesso Favonio gesticola senza risparmiar fiato: <<Controlla le porte, Aligio! Serra tutto. Entriamo nella pellicola merrecana!>> Esplode.
Terzo capitolo
<<Ma non poteva tenerla per sé, ‘sta notizia?>> Sussurra un tizio sveglio ad Euterpe. <<Così i rapinatori sarebbero usciti e i carabinieri li avrebbero beccati in un soffio, no? Invece adesso… questi due suonati ci prendono in ostaggio. E finisce a carneficina.>>
<<Ué, Apocalisse: ma li ha visti in faccia? Questa è gente da Monte di Pietà, altro che sangue. Non si preoccupi. Meglio tenere sotto controllo la polizia.>> bisbiglia Santonastasio. Intanto, dai finestroni della banca, si intravvedono i movimenti sulla strada: tante logore fisionomie da sbirri in borghese e mucchi di autocivette blindate. ”Con il solo loro nervosismo, innescherebbero una carica di plastico da un chilometro… altro che prudenti agguati.” Pensa ancora il Nostro.
<<È tutto chiuso?>> Domanda Favonio al consuocero, ricevendone un immediato annuimento. Entrambi stanno posizionati in piedi, Favonio l’arma in mano, al centro della vasta sala: come degli scalcinati guitti, fra i titubanti spettatori di un teatrino parrocchiale che attendono la prima battuta per fischiarli a ragion veduta. Un troppo indifferente silenzio regna nell’ambiente per qualche striminzito secondo, finché il direttore del Credito Nazionale non chiede: <<Allora?>>
A trovare il coraggio per una risposta è il solito Favonio dal barocco eloquio:
<<Quantunque l’imprevisto ci ponga un po’ in difficoltà, io direi che… eh… come fare altrimenti? Dovremo presto comunicare telefonicamente con quei signori là fuori, spiegando che adesso siete tutti sotto la minaccia di questa pistola. Lei cosa farebbe nei miei panni, direttore?>> Adesso suda anche lui.
<<Io avrei evitato di ridicolizzarmi.>> Replica Euterpe al posto dell’interpellato. <<Cosa crede di trarre da un rapimento a scopo di rapina fatto così – scusi – coi piedi? E anche se riusciste (per assurdo) a filarvela senza farvi bucherellare dai tiratori scelti dell’Arma, rifletta: sappiamo tutti come vi chiamate… mica crederete di andare a godervi i soldi a Cuba come negli anni Settanta.>>
<<Ha ragione lui, Favonio.>> Ammette Aligio guardando il collega per la prima volta dritto negli occhi. <<Diglielo, su… è meglio che sappiano tutto tutti, a questo punto: se no qui finisce in tragedia.>>
<<D’accordo, Aligio. Dopo però, cioè entro un minuto, dobbiamo chiamare la polizia prima che decida di entrare a forza. Ecco, signore e signori…>> Tituba cercando di organizzare i pensieri. <<Devo confessare che quanto avete capito della nostra situazione patrimoniale, del nostro esser pensionati come voi e del fatto che non faremmo male a una mosca è tutto vero… eccetto un particolare, che vi rivelerò solo se prometterete di aiutarci a risolvere insieme la situazione con il minimo danno per tutti quanti. Coraggio, esprimetevi, che il tempo scarseggia. Proponete delle soluzioni.>>
<<Soluzioni?>> Commenta acida una trentenne. <<A noi, le chiede? Ma vada a quel paese, imbecille! In galera, dovete finire voi. Bravo chi è riuscito ad avvisare la polizia di nascosto.>>
<<Bravo un corno: se la cosiddetta rapina fosse riuscita, i miei colleghi, tempo ventiquattr’ore, avrebbero recuperato il maltolto e arrestato i colpevoli… per quanto colpevole possa considerarsi questo sudaticcio resto di nobiltà.>> discorda Santonastasio, che non s’era perduto un fotogramma della scena, cogliendo la nera disperazione dei due improvvisati delinquenti. <<Piuttosto, oramai che lo scemo zelante ha fatto il casino, cerchiamo di porgere una mano a ‘sta coppia di sprovveduti senza rimettere un soldo di tasca nostra. Io avrei un’ideuzza.>>
<<Sì>> lo scongiura il ciccioprincipe Aligio <<Faccia presto.>>
<<È semplice ma dobbiamo impegnarci tutti, impiegati compresi. Chiaro?>> Puntualizza Euterpe, pertanto distraendo l’uditorio dalla sconvolgente rivelazione che i banditi erano in procinto di fare.
<<Non so… sentiamo.>> Temporeggia il direttore. Il pubblico sembra, in buona maggioranza, disponibile.
<<A voi della banca cosa importa se sparisce qualche migliaia di euro? Siete consci di sfruttare la gente abitualmente, no? Nel giro di un giorno di lavoro rifate il malloppo. Inoltre siete assicurati contro gli atti criminali.>>
<<Bene: vada al sodo, Santonastasio.>> Sprona un altro anziano. È quel vanesio del rigattiere che ha la bottega vicino a casa sua.
<<Adesso,>> prende ad illustrare Euterpe <<mentre il principe Aligio andrà a telefonare a quelli là fuori, noi tutti, in fretta…>>
A me l’incipit del racconto ha fatto molto divertire.
Voi che ne pensate?
Attendo i vostri commenti.
Poi, ripeto, raccontate i vostri “aneddoti da coda”.
Chi non ne ha… li inventi.
Divertiamoci un po’, su!
Ho letto con grande piacere l’incipit del racconto di Sergio. E con grande divertimento. Il dono dell’ironia è raro di questi tempi e Sozi riesce a creare situazioni paradossali con grande efficacia. Tra l’altro il testo, così ricco di dialoghi, si presterebbe molto bene, a mio modesto parere, per il teatro.
Aneddoti:L’altro giorno un mio caro amico ha voluto portarmi a tutti i costi a un ritrovo di poeti anziani (sebbene io non sia un poeta). Immaginavo che la cosa sarebbe stata piuttosto pallosa ma mi sono sacrificato per il bene dell’Arte. La gita si svolgeva in barca, nel mare di Siracusa. Una poetessa (una contessa mi pare) ha insistito per declamarmi i suoi versi. Mi ha condotto a prua, con lo sguardo rivolto verso il mare perché (così diceva lei) maggiore sarebbe stata l’ispirazione. A un certo punto, mentre era impegnata a declamare, un’onda abbastanza violenta ha fatto traballare l’imbarcazione e le è caduta in acqua la dentiera…
Dialogando con Sergio in vari modi, mi sono fatto l’opinione che in lui il garbato letterato conviva e confligga con un cazzaro matricolato. Egli appare terrestre e surreale al contempo. E lo stile raffinato può essere anche strumento per l’allegoria sfrenata e giocosa.
Questo penso, pronto a rivedere le mie opinioni. E questo mi conferma questo racconto in cui l’odore delle fettine panate si mescola a quello di De Amicis.
Genuinità e cuore, conditi con un pizzico di ironia. Si può ridere, ma si può riflettere. Ognuno scelga l’atteggiamento da tenere. Io, equidistante, cerco Sergio e da qualche parte lo trovo. Per stringergli la mano e dirgli “bravo!”.
@ massimo:
non so se scriverò un aneddoto. ma nel caso è molto probabile che sia inventato.
noi tutti, in fretta…>>
E’no Sergio così però no! Non si può bloccare un sorriso in arrivo, acci!
Comunque ha ragione Salvo Zappulla. Ce lo vedo benissimo, questo testo, rappresentato da attori comici. Davvero.
Frizzante, ironico, concreto, punzecchiante. Scrivere in questo modo è molto più complesso di quanto si può pensare.
Un abbraccio
B
Credetemi, non è per lamentarmi, ma vivere sotto la penna di Sozi non è facile. Eppoi mentre scrive parla e mentre parla sputacchia. E la saliva mi gronda addosso, invero.
”74!”
”Terno!”, rispose ironicamente Gabrio. Lui, come altri, stava in fila lì alle Poste di via Marmorata.
Quell’ennesima ”tombolata”, tra l’altro per pagare la bolletta del gas, andava presa con filosofia. In caso contrario, la voglia di spaccare a cornate il vetro antiproiettile degli sportelli sarebbe stata irrefrenabile.
”Ma te che nummero c’hai?”
”128”.
”So’ cazzi amari, allora”
”Perché tu che c’hai?”
”82”
”Ammazza che culo, tra un po’ ce semo”.
”Si ’o so. Ma che me frega, io mica c’ho fretta”
”Mannaggia la matosca, ’o vedi? Chi c’ha er pane, nun c’ha li denti. Io sto ’ncasinato fracico e m’aritrovo er 128. Te che nun c’hai da fa ’na mazza tra ’n po’ ja’ fai”.
”Voi er nummero mio?”
”Sarebbe?”
”Sarebbe che te dò er mio e tu me dai er tuo”.
”Così…a gratise?”
”Eccerto. T’ho detto, io nun c’ho da fa ’na mazza. E poi so’ pure riuscito a parcheggia’ ’a Clio nova nova qua davanti. Chi me core dietro?”.
“Ao’, che te devo da dì! E scambiamoce ’sti nummeri e grazzie tanto…come te chiami?”
”Tullio”
”A Tullio, t’aringrazzio. E stamme bene”
Nemmeno cinque minuti dopo…
”82!”
Gabrio arrivò sorridente e soddisfatto allo sportello.
”Er documento?”, chiese l’impiegato.
”Er documento…de che?”, fece Gabrio.
”Pe’ritira’ er vaja”.
”Ma quale vaja! Io devo paga’ er gasse”.
”E questa è la fila de li vaja”.
”E nun posso paga’ er gasse? Annamo!”
”None, nun lo poi paga’ qui er gasse”.
”Ma l’anima de li mor…e che devo da fa?”
”Aripiji er nummero pe’ paga’ li conti corenti”
”Ma mo’ sto qui, ’no strappo a ’e regole…”
”Noneeee!”
Gabrio andò all’emettitore dei biglietti ed estrasse il 458.
Lo guardò, ci mise dentro la gomma americana masticata e buttò tutto nel cestino.
”Tutto okkey?”, gli chiese Tullio quando lo vide andare verso l’uscita.
”’Na favola”, rispose Gabrio.
Poi arrivò anche il turno di Tullio che sbrigò la sua pratica e se ne andò.
”Scusi, dica – chiese al parcheggiatore – ma qui c’avevo parcheggiato ’na Clio nova nova. E mo’ ’ndo sta?”
”Tanto nova nun me pare”, rispose il posteggiatore indicando una macchina.
La Clio ”nova nova” di Tullio aveva i deflettori rotti, i fanali spaccati, e due ruote bucate. Poi, sul cofano, con una chiave c’era scritto: 458 è il numero più basso che so’ riuscito a pija’ pe’ trombamme quella zoccola de tu’ sorella…e bon Natale!”
Detesto fare le sviolinate ma devo dirlo: Gregori sei un grande.
Ora vi racconto cosa mi è successo con l’impresario delle pompe funebri del mio paese, anche lì è una questione di fila.
@ salvo
thanks, ma era una cosa su “richiesta” di Massimo. Questo luogo è, anche e soprattutto, per spernacch….ops, scusate, per omaggiare Sozi
🙂
L’IMPRENDITORE
“Sono un imprenditore, io. Un imprenditore!”.
L’impresario delle pompe funebri viene a sedermi accanto, ed io mi appresto rassegnato a sorbirmi l’ennesimo suo sfogo. Non che mi dia fastidio, per carità. E’ un onesto lavoratore, uno che dalla morte ha tratto la ragione della sua vita ( però quella degli altri, ci tiene a sottolineare ). Bravissimo ragazzo, sveglio e dotato di un grandissimo fiuto per gli affari. Magari grezzo nei comportamenti e sprovvisto di tatto e della delicatezza necessaria per chi deve svolgere un lavoro di questo genere. Ha preso l’abitudine di venire a confidarsi con me. Non so per quale motivo veda nella mia persona una sorta di padre spirituale. Forse perché sto ad ascoltarlo con infinita pazienza o forse perché non trova di meglio. In effetti, sarà per via del suo mestiere, sarà per il carattere impulsivo, ma non è che goda di molta simpatia nel paese. Seduto al mio fianco, mi confida il suo malumore: “Ce l’hanno tutti con me! Mi detestano dottò, mi scansano come la peste!”.
Cerco di confortarlo: “Su, non esageri, vedrà che tutto si sistemerà per il meglio. Ma lei davvero non potrebbe evitare, la mattina, di fare il giro dei circoli degli anziani per chiamare l’appello?”.
“Allora ragazzi, ci siamo tutti?”.
Tutti corrono a toccare ferro, qualcuno si tocca i genitali, ma visto che sono quasi tutti avanti con gli anni e quindi non si fidano dei propri, toccano quelli del ragazzo addetto alle pulizie, e questo crea non poco imbarazzo. Ormai quando lo sventurato passa per le vie, tutti a toccarsi. E’ diventata una vergogna. Tanto che la Giunta municipale, sindaco in testa, con delibera urgente ha deciso di installare nel paese delle aste metalliche dove i cittadini possono afferrarsi a tutela delle loro superstizioni.
Ma il ragazzo, imperterrito, continua a tirare avanti per la sua strada. “In questo paese mi vedono come il fumo negli occhi!” insiste.
Io sono diventato il suo unico punto di riferimento, anche perché stenta in maniera incredibile a socializzare con il resto della comunità. “Non mi possono vedere, li ho tutti contro, dottò!”.
“Non sono dottore, e non è affatto vero che ce l’abbiano con lei; fanno semplicemente il loro interesse, che è quello di campare il più a lungo possibile, il quale chiaramente non coincide con il suo”.
“Ce l’hanno con me, ce l’hanno con me. Vogliono vedermi rovinato. Ha notato come da qualche tempo siano diminuiti i decessi? Proprio ora che ho affrontato delle spese. Ne sono certo, vogliono rovinarmi. Ma hanno voglia di crepare d’invidia, tra non molto apro la più bella azienda di pompe funebri di tutta la provincia. Ho lavorato sodo io, mica come loro che passano le giornate a toccarsi le palle. L’unico amico vero è lei dottore. Ci terrei che fosse lei a fare l’inaugurazione della nuova azienda”.
Sono commosso ma nello stesso tempo preoccupato. “Inaugurazione in che senso, scusi?”.
La domanda non riceve risposta. Forse non ha compreso il significato, visto che è in buona fede. Sicuramente non in quel senso che penso io, poiché continua a tributarmi segnali di affetto. “Le assicuro che se dovesse capitare di sdebitarmi…se dovesse …se per disgrazia dovesse succedere…la tratterei con riguardo, come si conviene a una persona distinta come lei. Le farei un ottimo prezzo!”.
A questo punto devo confessare che anch’io, immediatamente, con un gesto istintivo, porto la mano giù in cerca di protezione. Io che pensavo di essere superiore a queste sciocche superstizioni. Evidentemente siamo tutti meno eroi di quanto crediamo. “Venga, le offro una birra” dico per tenermelo buono. Appoggiati al bancone del bar, lo invito a rilassarsi e a brindare alla salute.
“Alla salute?”.
“Beh, cosa c’è di strano?”.
“Non ho mai brindato alla salute di nessuno. E’ una questione di principio, cerchi di capire; sarebbe di cattivo auspicio per il mio lavoro”.
Santo cielo! Non vorrei che portasse jella davvero. Sarà la tensione, sarà la foga, fatto sta che la birra mi va di traverso. “Ouff ! ouff !”. Rischio di soffocare.
“Si sente male?”.
“Ouff ! Mi sto riprendendo. “Ouff !”.
“Sa che ha proprio una brutta cera? Ha una faccia che sembra un cadavere”.
“Io!?”.
“Soffre d’ulcera?”.
“No”.
“Mal di fegato?”.
“Nemmeno”.
“Emicranie? Dolori reumatici? Capogiri?”.
“Neanche per sogno”.
“Oh bé, allora potrebbero essere i primi sintomi di una broncopolmonite fulminante”.
“Mi è solo andata la birra di traverso”.
Prova a battermi una mano sulle spalle.
“Non mi tocchi! Non mi tocchi!”.
Da allora, quando lo incontro, anch’io, come tutti, cerco una barra metallica a cui afferrarmi.
Però s’è messo su bene il ragazzo. L’altro giorno mi ha confidato che sta ultimando la villetta in campagna. “Mi mancano gli ultimi quaranta clienti e poi è bella e completa”.
Gli raccomando di essere più diplomatico e soprattutto di evitare gli eccessi. “Ragazzo mio, va bene gli affari, va bene l’attaccamento al lavoro ma eviti di fare affiggere quegli orribili manifesti sui muri”.
Una mattina mi era capitato di leggere: “La ditta di pompe funebri di Caronte Vincenzo è felice di annunciare alla propria clientela che nel periodo pasquale sarà applicato lo sconto del trenta per cento su tutti i funerali di prima e seconda classe. Approfittatene! Inoltre saranno offerte tariffe particolarmente vantaggiose per decessi di gruppo, in caso di stragi o cataclismi naturali”.
“Caronte sia più moderato” lo redarguisco.
“Dice,dottò? Forse ha ragione, ma devo completare la villetta”.
Benedetto ragazzo, è irriducibile.
Lo so, ma quel che è giusto è giusto. Onore al merito. A sozi ho già fatto i miei complimeti, e poi se si divaga un po’ si arricchisce il dibattito
@ salvo:
e ho visto come l’arricchisci. Sto qui al giornale e tutti mi chiedono perché tengo le mani sotto la scrivania 🙂
Bravo!
@Enrico
@Salvo
Stiamo a pettinare bambole?
Il tema era la “coda” e il gustoso soufflè di Sozi che quando scrive è meglio…’nzomma Sergio, quando scrivi sei “meglio”.
Ma voi, figliocci miei siete andati fuori tema e… fuori per fuori, ho un inedito che ho scritto un po’ brillo…’nzomma Jack Daniel’s quella sera era quasi nudo.
O’ Brunch a Mergellina
Eddy “lo smilzo” sgattaiolò all’interno del vecchio palazzo dopo aver citofonato alla tenutaria che squittì “Sei solo Ed?”. Bagnato fradicio come un uovo di pasqua Edgar rispose:
“No, ho con me due pupattole da sfamare, hanno i denti lucidi e poca voglia di discutere”.
“Okay sali, ma bada a quelle due, potrebbero ingolfare l’ascensore e non ho un idraulico a portata di mano”.
L’ascensore era uno Stigler Otis a decollo verticale utilizzato nello sbarco in Normandia e poi come guardiola al check-point Charlie di Berlino Ovest, i buchi per l’aria erano i fori dei proiettili che il Kgb ogni tanto sparava verso quei fottuti americani.
Vi si ficcarono dentro come in un tostapane, Rosa e Roberta schiacciando amorevolmente “lo smilzo”, come un wurstel tra due fette di pane azzimo; il wurstel imprecò in aramaico, il suo ditone boccheggiava sotto una scarpa.
Sul ballatoio c’erano tre stuoini, ma su nessuno c’era scritto “salve”, in quel palazzo non erano ben visti, sarebbe stato duro trovare la porta.
Eddy gocciolava copiosamente sullo zerbino del dott. Nico Argento, medico autoptico degli “Incurabili” e specialista in arresti cardiaci, zio del regista Dario.
Per un attimo gli passò tutta la vita davanti agli occhi e pensò “Meglio quella di Enrico Gregori”.
“Maledizione alla pioggia”
“Perché non hai aperto l’ombrello” gli sussurrò Rosa in uno dei due orecchi (avrebbe dovuto averne due, ma con Eddy nulla era certo).
“Perché è un Burrberry ’s, poteva bagnarsi”.
Roberta gli mozzicò l’altro orecchio, non era proprio appetito solo un leggero languorino e nessuno aveva dei Ferrero Rocher; entrarono.
Mariapia B., splendida nella sua veste di ospite (si sarebbe potuto dire altrimenti, ma il narratore ci tiene ad essere invitato ancora a cena e, anzi, si scusa ancora per il “tenutaria” di cui sopra, ma è il termine che è organico al racconto) fece accomodare i tre nel cook-room (cucina umanizzata), dove torvo girovagava Alex Ferrara un medico ebreo-libanese (si spacciava per napoletano, ma la faccia condanna) specializzatosi a Chestockowa in pediatria.
Sulla sua testa pendeva una denuncia per traffico internazionale di fazzolettini di carta. I bambini curati al policlinico polacco finivano tutti ai semafori di Napoli e la Dia sospettava che fosse lui a rifornirli di fazzolettini.
Appese ai muri delle opere superbe di pittori della nouvelle vague napoletana, tra cui spiccava “Parafango di Seat” opera prima di Frederick Von Car, pseudonimo di “Federico ‘ò carrozziere”, artista emergente del quartiere Sanità. Ad un’altra parete era appesa una figura di donna bionda coi capelli biondi e gli occhi biondi, ma era Maria Rosaria che non trovando sedie si era messa in stand by, appoggiandosi ad un muro.
M.R. era un personaggio pittoresco dell’alta finanza napoletana, la sua scrivania si trovava sul terrazzo del Monte Paschi al 42° etage da quando gli investimenti sul “mattone”erano andati giù e il suo direttore le aveva tolto l’ufficio.
Lei in ogni modo con i mattoni ci lavorava ancora, le servivano per fermare le carte che la Bora maliziosa del centro direzionale faceva volar via.
Francesco Didò arrivò con una polacca e il suo autista personale un certo Fratesco Di Torestico o Rinfresco Col domestico, insomma uno col nome lungo che l’azienda dei trasporti gli aveva donato per toglierselo dalle palle. Era costui un intellettuale minimalista, aveva scritto gli orari del 181 e la piece teatrale “Bianca, Greve e i sette cani” una improbabile cronistoria delle gesta di un gruppo di monache del settecento “Le Carmelitane Zoccole”.
Al suo arrivo Didò tracannò il primo mezzolitro di Gragnano (Mario Soldati, nel libro “Vino al vino” lo chiamò affettuosamente “Il cammello di Capodimonte”) e la sala si animò, il dibattito poi scivolò inevitabilmente sull’ultimo “risotto insipido ai sedici formaggi” realizzato da Maria Pia alla convention anoressica di Assago dove Luca Cordero & Montezemolo in sintonia avevano proposto il manufatto ad un editore del Centro Antidiabetico di Abano terme.
Non c’erano le olive e così nessuno pensò di servire dei Martini ma Mergellina non è Manhattan e io non sono Raymond Chandler.
Tutti occuparono posto a tavola con le mani sulle ginocchia, ma neanche uno tentò di appoggiare le mani sulla bianca Sindone che fungeva da tovaglia, aleggiava nell’aria la presenza di Melina la sovrintendente bulgara della casa, tristemente famosa per aver bastonato a morte Pier Paolo Pasolini dopo che questi aveva rovesciato mezzo bicchiere di barbera sul sofà di Togliatti.
Le pietanze arrivarono come il primo bombardamento su Bagdad. Le convenzioni culinarie di Ginevra non permettevano le armi chimiche, ma quando il trattato fu firmato i peperoni in umido non erano considerati letali.
Il “Gateau di patate” poi, arrivò in tavola nella sua forma classica di terra piatta pre-copernicana, e nessuno osò parlare di rotazione di una terra tonda.
“Bisogna dare a tutti un quarto d’ora di Gateau” aveva affermato Andy Warhol, ma l’ebreo ne prese per venticinque minuti e non stramazzò perché i suoi due secondi a bordo ring, Rosa e Roberta non decisero il lancio della spugna: avevano troppo rispetto per Didò.
La polacca fu messa al centro e spogliata, aveva un corpo biondo e dorato, nessuno pensava di dividerla con alcuno, ma il destino citofonò dal piano terra e Johnny Gambardella si materializzo alle dieci di sera con gli occhi pieni di sofferta libidine gastronomica: gli fu buttata una sedia. La polska era una torta di diciotto chili, almeno così millantò il “Maestro”, cotta in un forno d’Aversa vecchio residuo delle acciaierie Krupp, testato con efficacia nel ‘44 dalle ss.
Si sperava di intrappolare lo stomaco di Johnny “Stecchino” Gambardella, ma il losco pianista fece fuori anche i kleenex alla vaniglia e cominciò a suonare “Somebody to love” (Zompando sulle uova) allora si fu costretti a sottoporlo ad una flebo di limoncello cotto con lava di Vesuvio e il pediatra circasso lo finì con un colpo di karaté alla carotide.
Ora ci sentivamo tutti un po’ pesanti, qualcuno comincio ad avere mal di testa, allora Mariapia per risollevare la serata cinguettò:
“Okay ragazzi, adesso vi tiro su il morale con un po’ di polverina bianca” e stese quattro o cinque righe di Aulin sul nero luccicante del pianoforte: fu uno sballo. Io invece, da sciocco snob quale sono, m’iniettai una sugosa bustina di Geffer direttamente nelle vene: mentre andavo via sentii il mio cuore ruttare, ma nessuno se n’accorse.
@ francesco:
Maugeri scrisse: “Poi, ripeto, raccontate i vostri aneddoti da coda.
Chi non ne ha… li inventi.
Divertiamoci un po’, su!”
E io ho obbedito.
ps: gustoso il tuo racconto…perché non ha nulla di lucido 🙂
A tutti:
se fate i bravi, uno di questi giorni vi ricopio qui il finale del racconto.
Intanto ringrazio tutti per i pensieri e le congratulazioni. Di cuore.
E mo’ scompaio.
Sergio
@ sergio:
grazie dall’avviso, ci offri una valida ragione per comportarci come facchini di Istambul in preda ai fumi dell’alcol
🙂
Enrico: infatti, per l’appunto, era una MINACCIA! ”Attenti che se vi comportate bene vi dico come finisce il film!”
Fa piacere essere compresi da te, Enrico, in ogni nostro recondito aspetto. Aspetto, ho detto? Ecco: io aspetto.
S.
… Pero’ guarda, Enri’, che il finale non e’ per niente ipotizzabile, prevedibile o finanche sognabile. Sei sicuro di volerne privare tutti gli altri lettori di Letteratitudine?
S.
(Salvo Zappulla: eccellente racconto! Eccellente!)
@ SERGIO:
MA NUN TE NE DOVEVI ANNA’?
🙂
M’ero addormentato sul divano: che succede?
Si, Salvo, bello il tuo racconto, anche il mio, l’ho letto adesso:notevole!
Per Sergio, potrebbe essere un bel pezzo teatrale! un consiglio: ai tuoi protagonisti, così “disegnati” e dai nomi così improbabili (forti: Aligio, Favonio, Casimiro, Euterpe…) io ci metterei, anche un Gabrio o un Tullio con l’essenzialità lessicale di Enrico. (perchè non vi accordate?)
Per Salvo, a proposito di pompe funebri: si sa che “nei periodi di morta” i giovani imprenditori , soffrono molto. Ne conosco uno, e il virgolettato è il suo motto ricorrente.
Ciao, Miriam
Ciao, Miriam,
eh si’: un pezzo teatrale con Ciccio-Favonio e Aligio-Franco (o a scelta Paolo Villaggio). Lo stile pero’ e’ quello e a cambiarlo rinuncerei a esser me stesso. Se sei curiosa di conoscere il finale, pazienta: fra qualche giorno ve lo copiero’ qui. Promesso.
Sergio Sozi
@ miriam:
Vedo che in questo blog non c’è limite alle perversioni. E io, sciocchino, che credevo di essere bacato! Poi ti arriva una Ravasio di passaggio che caldeggia un libro scritto a 4 mani da Sozi e da me. Roba da far sembrare Sodoma un asilo nido!
Miriam se hai analoghe perversioni anche “in quel settore lì”, chiedimi il numero di cellulare e te lo darò.
🙂
A Francesco:
spero di non farti un torto se ti dico che sei fra Stefano Benni, Giuseppe Montesano e… un articolo di Arbasino! Bravo!
Sergio
Fra un po’ mi prenderete a tortorate sui denti. Sento ”l’aria di fessura che mena dritto alla sepol…”
Saluto e ringrazio Salvo, Francesco, Enrico, Barbara e Miriam.
Pero’ manca ancora tanta gente: Gea, Eventounico, Simona, Laura Costantini, Silvia, Zauberei, Carlo, Francesco G., Elektra, Maria Lucia Riccioli, Gabry Conti, Luca Gallina, ecc.
Venite a prendermi a schiaffi, su! Senno’ il finale strano del ”racconto monco” ve lo faccio attendere per una settimana!
Sergio
@ sergio:
smettila sennò ti scateno Vito Ferro!
ps: io di elektra non ne sento affatto la mancanza
🙂
AIUTO! Vito no! Per favore, torturami, Enrico, con un altro racconto!
S.
Scusate, vi ho lasciato un po’ in “tredici”, come si suol dire dalle mie parti. Ma ogni tanto ho bisogno di staccare la spina se no mi amalgamo con questo micidiale attrezzo. Superbo anche il tuo racconto, Francesco. Ma le carmelitane zoccole te le ha suggerite Enrico. Però che carogne, abbiamo approfittato dello spazio dedicato a Sergio per pubblicare i nostri racconti.
@ salvo e compagnia cantante:
io ho postato un aneddoto scritto ieri in cinque minuti tra un titolo su un blitz antidroga e una telefonata al comandante dei caramba. Mi sembra che Massimo volesse così. Siamo liberi, se vogliamo, di inviare aneddoti o racconti sul tema, ma è ovvio che il principale “bersaglio” di questo post sia Sergio.
Arieccomi. Assenza dovuta a suicidio del sistema operativo del computer, che da bravo figlio di transistor ha deciso di portare con sé nell’oltretomba un bel po’ di roba. Sto ancora tentando di richiamare almeno qualcosa, ma temo che neanche un medium.
ora leggo con calma e poi vi dico.
Sergio, è vero.
Hai tempi della commedia, ma non solo di quella dell’ultimo secolo, quella di Plauto. Allo scambio dialettico veloce e quasi tronco, concitato e tipico di una moltitudine, stralcio del quotidiano, si alternano spazi nei quali la narrazione prende i suoi tempi. L’attenzione si muove in fretta per seguire il gioco delle parole. Il contributo, per brevi tratti monologante, di alcuni personaggi dilata i tempi ed è di quelli che fa staccare la schiena dalla poltrona, nell’attesa che arrivi il colpo fulminante della battuta. Tutti sono caratterizzati fino a diventare dei metatipi.
La vicenda prende il sopravvento sulla narrazione.
I personaggi acquistano vita.
Sono sicuro che anche tu sei stato il loro primo spettatore, quasi che, riponendo la penna, tu abbia contemplato quella coltura nella quale lembi della tua cultura, ricuciti insieme in nuovi esseri, abbiano cominciato a pullulare sotto i tuoi occhi. Essi si sono nutriti di una satira strisciante sul nostro tempo, hanno vestito i panni di una critica al costume, citano, alludono, evocano.
Sono vivi.
Prendono in mano la storia ed essi solo sanno quando potrà finire.
Che spettacolo !
A te rimane solo il piacere di averci donato la storia. A noi goderne.
Per quanto mi riguarda, alla fine, mi alzo in piedi e ti applaudo.
Adorabile galleria di personaggi… Sono qui che immagino retroscena di ognuno, orrori quotidiani di un campionario di umanità qualunque. E vorrei tanto sapere come andrà a finire. A me personalmente piacerebbe tanto che con democratica votazione gli astanti decidessero di mettere in mano le armi alla madre acida del dialogo iniziale e a sant’Ignazio di Loyola ivi susseguente (si può dire? non credo, ma mi suona carino) e testimoniassero come un sol uomo che i rapinatori erano loro due.
E giustizia sia. 🙂
Beh… il pezzo critico di Eventounico e’ per me un evento unico: quindi mi alzo a mia volta per applaudire lui e me lo tengo stretto come un cammeo.
Gea: la storia ancora sta in bilico fra il paradossale e l’ovvieta’, ma prendera’ una svolta solo alle sue ultime battute. Una svolta collettivistica – lo hai intuito bene – ma del tutto diversa come esiti da quelli che hai tu prospettato e augurato. Grazie, Gea!
Il finale ve lo daro’ quando avro’ sentito il parere anche degli altri.
Sergio
P.S. per Eventounico.
Come diavolo hai fatto a capire che Plauto e’ costantemente alle mie spalle? Sei di un’acutezza critica stupefacente!
Ora non esagerate con i complimenti a Sergio. Altrimenti si monterà la testa e comincerà a credere di essere… che ne so… Alberto Moravia.
Continuate a scrivere miniracconti in tema, se volete.
Bravo Enrico.
Un bravo anche a Francesco e a Salvo; però scrivetene un altro un po’ più in tema. Per esempio… non mi pare che il protagonista del racconto di Salvo (l’impresario) avesse “problemi di coda”.
Tutt’altro.
IN CODA PRESSO L’UFFICIO POSTALE
Due giovani amiche:
“Ciao Veneranda, che ci fai in questo casino?”
“Devo ritirare la pensione per mia nonna. Ha rotto la dentiere e non vuole uscire. E tu?”
” Mia madre mi ha intimato di venire a pagare le bollette per ricordarmi – dice lei – le realtà meno frivole del vivere quotidiano”.
“Come se questa stramaledetta coda non bastasse, quì c’è anche una gran puzza. La senti Alice?”
“Eccome. Credo che provenga da quel sacchetto bello, gonfio, con i manici annodati, tanto da farlo sembrare un coniglietto alla Walt Disney”
“Guarda quel tipo, quello dietro di noi, con pochi capelli forse indeciso se coprire la fronte ignuda o le tempie per non sembrare un cantante rock. Credo che il sacchetto sia suo”.
Ridono.
Il vano dell’Ufficio Postale invaso dal profumo di colonia del ‘nostro’ e dalle esalazioni del maledetto involucro, diventa un contenitore di sensazioni olfattive vagamente orientali, non certo ideate da Chanel. A farne le spese sono i poveri tapini in attesa.
“Di chi è quell’imbarazzante malloppo?” domanda una donna.
Risponde un uomo “Forse il proprietario ha dimenticato di liberarsene prima di entrare nell’ufficio postale. Non si ha certo l’impressione di trovarsi in una profumeria del centro”.
Il ‘nostro’ comprende e inizia una laboriosa operazione di aggancio. L’abito non consente una manovra agile e semplice. Bisogna piegarsi stando col busto eretto, gambe leggermente divaricate e, sfruttando il piegamento delle ginocchia, arrivare ad acchiappare almeno uno dei manici. Un pò di flessione ancora e…la tragedia. Un leggero crepitio, una sensazione di fresco nelle parti nobili e l’immagine risulta deturpata da una bassa falla.
Il contenitore della spazzatura, posto di fronte all’ufficio postale, è difeso da un campo minato. Sacchetti sparsi ostacolano l’avvicinamento. Il ‘nostro’ tende il sacchetto in avanti e, dopo un perfetto slalom, lo fa cadere nel cassone.
La voce delle due ragazze in coda si fa sentire: “Bravo. Centro perfetto”.
Il ‘nostro’ non raccoglie la provocazione. Si irrigidisce e si avvia a piedi verso casa rinunciando all’operazione in Posta.
vale l’autobus?
Dunque: 13.10 a Trieste. Autobus strapieno di ragazzi al rientro da scuola, lavoratori stanchi, ma soprattutto pensionati, che riempiono le loro vite accalcandosi sui mezzi pubblici nelle ore di punta per poter lamentarsi dei giovani d’oggi e dell’azienda dei trasporti.
“Metti via quel zaino, muss! e anche lei siora, la sua spesa me intriga!”
Sale ad una fermata una giovane neo mamma (molto, molto neo) visibilmente stremata, con un porte-enfant vecchio stile, tipo culla portatile per intenderci, che aveva visto giorni migliori (e parecchi altri bimbi); timbra un biglietto per sé e uno per la creaturina che dorme beatamente ignara.
Un paio di passeggeri le fanno spazio, qualcuno le cede il posto e lei grata sistema il fardello sul sedile per ripararlo dagli urti e dagli sballottamenti.
E qui si arriva al sublime: dal gruppetto dei pensionati si leva un coro di mugugni, e una Signora Anziana Con Pelliccia Tarmata e Etti d’Oro al Collo sbotta: “Cossa, no la sa che in bus no se pol portar bagagli?”.
Giuro sulla veridicità dell’aneddoto, di cui sono disposta a fornire traduzione in caso di necessità.
@ gea:
è ostrogoto ma si capisce
🙂
… Invece il romanesco-arabo e’ italiano.
Sergio
RINNEGATO!
«O Mantoano, io son Sordello de la tua terra!» metaforicamente.
Sergio, di che ti meravigli ?
Ma questo non è il post su Dante.
Ma come finisce?
Eh, non vale questa è una congiura ben orchestrata da Sozi e Maugeri, insorgiamo, commentatori!
Vogliamo leggere anche il finale della storia.
Dimenticavo, splendido Sergio, uno stile retrò ma gradevolissimo da leggere.
@Gea: quella dei bagagli è insuperabile! E i presenti come hanno reagito?
Grazie Sergio. La nostra relativa vicinanza geografica ci accomuna.
Enrico carissimo, mi rendo conto ora che forse l’unico vocabolo che necessita di spiegazione è ‘muss’ (mia interpretazione grafica: mai saputo come rendere il dialetto): significa ‘asino’, ma qui in Ostrogozia sta per maleducato più che per ignorante.
Queste inezie a me divertono molto; mi ricordano i tranelli dell’inglese, tipo actually o eventually.
Scusate la digressione filo-illogico-lessicale un po’ pedante.
Bacio
@ gea:
ma no, è interessantissimo, continua. tanto spengo il pc………
scherzo 🙂
@Miriam: dai cinquanta in giù con giusta indignazione, ma purtroppo i vecchi qui sono schiacciante maggioranza, e compattamente stavano dalla parte della Impellicciata. Stava per venirne una rissa, quando la povera ragazza, rossa come un pomodoro, ha deciso di scendere per non dare scandalo, seguita a ruota da quasi tutti noi esseri umani, che non ce la sentivamo più di respirare la stessa aria di costoro.
@Enrico:
sarai un vecchio splendido…
ciao, acidone
🙂
vecchio a chi??????
SARAI ho detto, noioso.
E poi siamo quasi coetanei..
ma io me li porto bene….e tu no!
🙂
in effetti ultimamente la sensazione di stare decomponendomi è diventata fastidiosamente frequente.
sarà l’effetto compleanno (a me quelli col nove mettono sempre un po’ d’angoscia).
uffa.
ma piantalaaaaaaaaaaaaaaaaaaa
ma ti ho fatto venire un briciolo di sensi di colpa?
;P 🙂
@ gea:
Massimo è decisamente favorevole ai colloqui anche fuori-post, ma non possiamo impiastrare il blog con le nostre polemiche sulla TUA senilità. ovemai……enrico.gregori@ilmessaggero.it
ps: senza ovemai 🙂
“E’ppecure chissà addò stanno”. Questo pensiero gli venne così all’improvviso mentra aspettava il suo turno. Non che fosse una idea improvvisa o imprevedibile, dal momento che non aveva smesso di pensare alle sue amiche bianche fin da quando gli avevano recapitato la “cartolina”. Era arrivato alla caserma Cascino in quella città che appariva smisurata, addirittura troppe le case. Salerno la conosceva solo di nome. Tummà veniva da una casa sperduta nel basso Cilento, non l’avresti trovata su nessuna mappa. Lui però sapeva bene dove fosse la sua casa, quella dove aveva vissuto i suoi primi diciotto anni. Aspettava il suo turno, ma non sapeva esattamente perché si trovasse lì e perché si era lasciato convincere. Tutti in divisa pronti a far fruttare le poche ore di libera uscita. “Vieni con noi, Tummà. Ti facciamo conoscere e’femmine”. E Tummà aveva rifiutato tante volte facendo solo un cenno con la testa, un brusco cenno di diniego alzando gli occhi al cielo e muovendo appena le sue grosse guance rosee. Non parlava con nessuno e si limitava ad imitare gli altri. Cosa ne sapeva lui del servizio di leva, della città e di tutte quelle diavolerie, comprese le “femmine”. Lui aveva le sue pecore e non voleva altro. I soldati avevano tolto il basco, come se fossero entrati in chiesa e lo facevano rigirare nervosamente nelle mani.
Il piccolo corridoio che dal portoncino d’ingresso conduceva direttamente alla porta al pianterreno era stretto come un cunicolo da catacomba ed altrettanto scuro, ma per quei ragazzi era il luogo più luminoso del mondo. Oltre quella porta, davanti alla quale, aspettavano tutti in una fila che avresti definito quasi ordinata. Peppe continuava a ripetere a Tummà “mò vedi che trovi qua dentro. Stai calmo e lascia fare a Rosalba. Nessuno può farti il servizio come lei. E’ una brava lavoratrice e ci mette il cuore”.
Era sempre più agitato quel ragazzone al quale solo da pochi anni avevano portato la luce elettrica a casa e che ancora prendeva l’acqua alla fonte. E l’agitazione progressivamente si andava diffondendo in tutti i ragazzi di leva, in quella fila, come se dalla porta qualcuno avesse preso quella coda di panno e ne avesse scosso all’improvviso un lembo ed essi, al pari di una coperta, stessero passando dall’uno all’altro quello scossone. Il primo si era mosso perché aveva sentito un gemito. “Sta lavorando bene, guagliù” “E pure noi dobbiamo fare la nostra parte” gli fece eco un altro più indietro. Ed un altro ancora “a facimme, a facimme”.
Oltre la porta Rosalba, il cui nome avresti immaginato per una maestra elementare o per una lontana cugina di tua madre, stava officiando. Nella stanza c’era un grosso cassettone di legno scuro con sopra un specchio dalla cornice dorata, di fronte un armadio ad una sola anta, nell’angolo un bacile, accanto alla finestra con le persiane sempre chiuse ed al centro della stanza un letto di ferro battuto, tanto rumoroso che sembrava una macchina industriale di quelle scure e unte che stantuffano nelle fabbriche, con rumore di puleggie e cigolio di ingranaggi. E lei, Rosalba, cercava di meritare il suo compenso limitandosi a lasciar fare quei ragazzi ed accontentando generosamente il loro orgoglio giovanile con misurati mugolii di assenso.
Ad ognuno di quei lamenti, oltre la porta, la lunga teoria di divise subiva un nuovo scossone e saliva l’attesa, la voglia, l’emozione. La coda si accorciò rapidamente e Tummà non poteva smettere di pensare alle sue pecore alle quali non aveva bisogno di parlare e spiegare. Il suo nervosismo aveva cominciato a fargli sentire pesanti le cosce ed i muscoli delle spalle erano quasi contratti come se stesse sorreggendo un peso. Ormai davanti alla porta erano arrivati i suoi compagni di camerata, quelli che lo avevano trascinato in quel posto che tanta angoscia gli procurava. Avrebbe pagato, Tummà, ma per tornare a casa sua, non per aspettare quel turno oltre la porta grigia.
Antonio entrò.
Dalla porta si ricominciò ad udire lo sferragliamento del letto e quella sequenza di versi, a tratti simile ad una nenia, un ripetersi stanco ed annoiato delle stesse identiche note, senza variazioni né nel tono, né nel volume. Peppe era fuori di sé. Fremeva. Dopo pochi minuti Antonio aprì la porta ed abbottonando l’ultimo bottone affermò entusiasta “l’aggia fatte male !”.
Peppe in un misto di ammirazione e di invidia, quasi cogliendo però la sfida lo scostò con un certo vigore ed entrò. Di nuovo il cigolio, di nuovo quella voce.
Tummà era smarrito. Perché avrebbe dovuto pagare per far male a qualcuno ? Cosa significava tutto ciò ? La sua agitazione cresceva e parimenti aumentava il peso sulle sue spalle al quale si unì un groppo alla gola tanto che semmai avesse voluto parlare non gli sarebbe stato possibile. Stringeva ed allargava nervosamente le sue mani e contraendole sentiva ogni volta il sudore aumentare. Passarono alcuni minuti, un tempo interminabile per Tummà e Peppe spalancò quella porta grigia tanto rumorosa quanto screpolata. Era rosso in viso, i capelli scompigliati, la blusa ancora da abbottonare, ma, con una voce che aveva quasi i toni del falsetto, dichiarò “l’aggia quasi accisa” e si fermò per qualche istante sull’uscio quasi a serbare il suo segreto.
Tummà sentì che un moto di rabbia e di orgoglio cresceva dentro di sé. Non voleva essere lì, ma non voleva che ridessero di lui come sempre era accaduto dal suo arrivo lì alla caserma Cascino. Abbassò gli occhi. Radunò quelle poche idee che riusciva a malapena a contenere nella sua grossa testa ricoperta da una brusca di capelli spessi e scuri., asciugò le mani sulla pancia ed entrò.
Antonio e Peppe si guardarono preoccupati, non l’avevano mai visto con quella espressione. Forse avrebbero dovuto dirgli di più, non lasciare che andasse così all’incontro con le grazie di Rosalba, in fondo la prima volta è sempre complicata. E poi l’attesa ed il nervosismo. Povero Tummà, era dentro solo con il suo istinto ed unicamente su quello avrebbe potuto fare affidamento.
Oltre la porta il silenzio. Passò qualche minuto ed ancora silenzio.
Poi, improvvise arrivarono le urla, come non si erano mai sentite lì da Rosalba. Delle grida di patimento e di dolore. Antonio e Peppe erano esterrefatti ed ammirati: Tummà si stava facendo onore. Durò qualche minuto quel crescendo di strilla, lamenti e pianto, mentre tutti i soldati in fila sentivano nascere nei loro cuori uno spontaneo senso di stima per quel ragazzone che pensava sempre alle sue pecore e non parlava mai.
Poi, la porta si aprì.
Tummà riempiva quasi tutta la luce tra i due stipiti, rosso in viso, appena sudato, era composto ed i suoi bottoni tutti al loro posto. La bocca serrata. I suoi occhi nascondevano a malapena la sua soddisfazione. Tutti lo guardarono in silenzio e con deferente rispetto.
Tummà era un eroe, un guerriero che, avendo vinto la più gloriosa delle battaglie, superando per ardore ogni altro combattente, tornava al fuoco e avrebbe potuto raccontare nei giorni a venire le sue gesta che sarebbero state tramandate di bocca in bocca. Era diventato una figura mitica.
Dal fondo della fila un soldato osò rivolgergli la domanda che tutti avrebbero voluto fare, quasi che da quella risposta potesse dipendere la loro permanenza in quella file ed in quella casa. “Che….”. Non la finì quella domanda. Il suo interrogativo era sfumato in quell’ultima vocale, come se l’oggetto stesso della questione fosse impronunciabile, un tema epico, un evento al quale non si può nemmeno alludere senza provare vergogna per la propria inferiorità.
Tummà guardò verso il fondo della fila e vedeva tutte le faccie attonite e sospese, sentiva di dover dire qualcosa, quasi un discorso di insediamento al trono, una frase adatta a quella leggendaria circostanza nella quale aveva dimostrato a tutti chi egli fosse veramente e di cosa fosse capace.
Prese fiato, come se dovesse pronunciare una frase lunga ed articolata, strinse ancora le sue mani e ruotando appena la testa di lato ad accompagnare la voce che gli uscì improvvisa e stentorea “L’aggia spezzato na coscia !”, disse.
I sensi si’ di colpa chissa’: fattelo dire da un romano, Gea!
Francesco Giubilei: come, il mio stile e’ ”un po’ retro”’!?! Guarda che se continui a provocarmi io il finale te lo dico fra un anno! (eh! eh! a parte gli scherzi: Grazie mille!)
Il finale arrivera’ a giorni. intanto continuate a divertirvi e magari fate come Gea che ne ha ipotizzato uno.
Bacioni a tutti – tranne che al Greg-ori e argenti.
S.
P.S.
Vito Ferro dov’e’? Carlo Speranza? Eccetera ecceterina?
@ evento:
bello, forse un po’ troppo breve
🙂
Ad Eventounico:
bella prosa: affabulazione garantita e crescendo di tensione ottimamente reso. Equilibrio sintattico realizzato, con periodare della giusta lunghezza. Inserti dialettali credibili per una Seconda Guerra Mondiale. Realismo di prima scelta. Solo il finale… mi sarei aspettato un… buco nell’acqua del protagonista. Pero’ molto bello e in tema con il ”post”. Complimenti sinceri!
Sergio
Maria Luisa Papini Pedroni: e bello anche il tuo, veramente divertente e un po’ cafchiano! Cosa ne pensi della mia storia? Perche’ non provi ad indovinarne il finale, che rivelero’ solo quando ne avro’… la voglia?
Saluti Cari
Sozi
(Evento: andrebbe ancor meglio se collocato verso gli anni Dieci).
Enrico, ti ringrazio. Potevo allungare le attese, hai ragione, ma considera che lo scritto in pochi minuti tra la “cronaca” di casa mia ed innumerevoli telefonate degne di una caserma dei caramba.
Sergio, in fondo non è che avessi grandi pretese, men che meno la collocazione storica. E comunque considera che Levi descrive, a Dicembre del ’43, una situazione che è andata avanti senza grandi mutamenti fino alla fine degli anni 70. In ogni casi l’ho buttato giù sulla base di qualche ricordo e con autentico spirito decoubertiano.
p.s.
non è che la banca la svaligiano i poliziotti ?
N… no, Evento. I poliziotti no. La soluzione, come ho anticipato a Gea qualche lettera piu’ su, e’ ”collettiva”. Chi ci arriva e’ matto come me.
S.
Dimenticavo di sottolineare a tutti coloro che stanno cercando di indovinare la conclusione del mio racconto (che vi daro’ sicuramente ma non dico quando): NON E’ UNA CONCLUSIONE SURREALE, NE’ ONIRICA O LASCIATA IN SOSPESO. E’ UN FINALE VERO E PROPRIO, CHIARO E NETTO.
Vediamo, allora…
Sergio Sozi
Massimo non essere troppo pignolo. La coda c’entra, eccome se c’entra. Prova a parlarci tu con quel mio amico imprenditore e ti prenoterà subito un posto. L’importante che tu ti metta in CODA, perchè in questo periodo ha molte richieste.
Posso sparigliare?
Non ho letto il racconto di Evento (ma di nome come fai?) lo farò domani e mi scuso.
Io sono voglioso come le donne incinte: ne posso pubblicare un’altro?
E’ di getto.
SOZI, se me lo correggi te ne sarei grato (non scherzo).
Ora devo scappare a letto, mi alzo alle 4.
CONTATTO A SUD DI AL-DHAFRA
Nicolahs Manfredi mi avrebbe atteso per trenta minuti poi sarebbe ripartito col suv continuando la missione col secondo con-tatto, gli agenti da contatto in missione erano sempre due. Non mi avrebbe aspettato, lo sapevo, era come un tedesco, uno spaccamil-lesimi, trenta secondi di ritardo erano il limite massimo che ti con-cedeva. Manfredi era arabo, figlio adottivo di una coppia di docenti di lingua araba all’ Università Orientale di Napoli, il professor Thomas Levi Manfredi e la professoressa Safyia Al-Sayed. Coppia bellamente assortita, lui ebreo italiano, lei palestinese dei territori. Nessuno dei loro profeti li aveva aiutati ad avere un figlio, ne, tan-tomeno c’era riuscito l’unico Dio che accomuna le tre religioni.
Nicolhas aveva sei anni quando si scatenò l’inferno a Tall-el-Zaatar; a Safyia, che era la sua insegnante, gli rimase solo lui, di tut-ta la classe. Vagò per giorni alla ricerca dei suoi genitori, poi trovò i loro nomi – nonni compresi – affissi su un pezzo di compensato davanti ad una fossa comune: lo adottò sul campo e lo trascinò in Italia.
Alla sezione “Arabian” avevano scelto i quattro migliori agenti dei top ten. Dei dieci migliori in assoluto, anzi nove – Nicola era stato bruciato quella notte a Bagdad – dei nove eravamo stati scelti in quattro, due di primo “ contatto” e due di riserva; quando la mis-sione era di importanza “Alfa” doveva essere terminata, in ogni modo. Le due riserve erano Jonas Sciamino e Adele Renon, agenti, questi ultimi due a copertura totale. Gli agenti “a copertura totale” erano “addormentati” per anni.
Jonas Sciamino era stato ebreo, ma quello era un tempo in cui ave-va affetti, quando ancora c’erano i suoi.
Lavorava al bar della Galleria Sordi a Roma come métre, conduce-va una vita oltremodo normale; l’unica cosa che avrebbe potuto bruciarlo erano i suoi “allenamenti strani” in una palestra a Tor di Quinto e le sue nuotate ad Anzio in pieno inverno. Neanche i cen-tomila bigliettoni con la bandiera europea che languivano in una cassetta di sicurezza inutilizzabili gli facevano pensare a strambate, aveva accettato quel lavoro e viveva con lo stipendio di barista, i soldi del Min-intern era come non li avesse.
Jonas non aveva una compagna, solo fugaci rapporti con ragazze facili mai conosciute in galleria, dove molte commesse gli sbavava-no dietro; quando gli veniva il “languorino” strisciava un po’ con la sua mini dalle parti di viale Parioli e viale Liegi, abbordava qualche troietta in cerca del cinquanteuro per la miscela. Non c’era bisogno neanche di portarle da qualche parte; in particolare la figlia dell’avvocato Tali, uno potente, anche informatore dei “servizi”; si faceva sbattere in piedi dietro alcuni alberi in villa Borghese, con la macchina lasciata in sosta a due passi dalla sorveglianza dei conso-lati. Poi “ci si vede macho”, e ognuno per la sua strada.
Quella sera, prima di arrivare alla umidiccia mansarda di via Appia Pignatelli a Capannelle, si fermò a Cinecittà.
Si mescolò alla gente del centro commerciale e pensò un attimo di portarsi a casa una di quelle stanche lavoratrici d’ufficio, affasci-nanti fogli bianchi di A4 in tailleur, con, sicuramente, gli slip umidi di una giornata alla scrivania, ancora nubili o con uno scialbo di-vorzio consenziente alle spalle, retaggio di un abulico matrimonio con asettiche scopate al sabato sera e lavatrici da stendere subito dopo.
No, basta! Non è più vita. Guardava le coppie mano nella mano, qualcuna mano sul culo, qualcun’altra corredata di bambini, qual-che bambino rompeva le palle, le bambine no.
No! ne prendo una a caso, non tanto brutta, non eccessivamente appariscente, me la porto a casa e dico ai “servizi” che la mia vita da fantasma deve finire, mancano quindici giorni al quinto anno in “sonno”, poi posso prelevare il danaro e andare dove ca…
Le era in fila a schiena dritta, ma era stanca. Gli occhi dise-gnati da Hugo Pratt erano scuri, il naso gli sembrò di plastica, caz-zo, troppo perfetto! Il tailleur di lana color vino s’intravedeva sotto uno stazzonato impermeabile Burberry’s – forse comprato usato a Porta Portese. Quello che però lo fulminò erano le gambe coi pol-pacci perfetti: Kathleen Turner li aveva così!
Jonas non mangiava cibo Cacher da che erano morti i suoi, se ne fotteva di quelle stupide usanze ebree. Aveva preso dei pomo-doro pachini e vongole, troppe vongole, puzzavano di…
Lei si volto con un’aria disgustata, poi vide il sacchetto che goccio-lava mare e si mise a ridere, moderatamente. Poi fissò Jonas negli occhi e vi lesse la tristezza che tutti gli ebrei portano nello sguardo, o forse non s’accorse che il bruno Sefardita era solo scoglionato.
“Troppe vongole!” disse Jonas.
Lei rise ancora, “Buon per lei, per la sua famiglia, verrà un sugo de-lizioso”
“Ma io…sono solo”
“Bhè, allora sono troppe, ne regali un po’ al portiere”
“Ho il citofono; il portiere è scappato con mia moglie”
Lei rise ancora di più, “No, via, non è vero!”
“No, sono scapolo, mi chiamo Jonas”, tendendole la mano e lei, lasciandola penzolare – sembrava irrefrenabile con quella sua risata garbata – chi quello della balena? Ho mio Dio è simpatica questa cosa, perciò mangia tanto pesce? Lo sa che gli Ebrei non mangiano vongole? Mi chiamo Adele!”
La cassiera, mentre si avvicinavano, li guardava un tanto ingelosita.
La fila si assottigliava e l’altoparlante dava la “ritirata” ai signori clienti: erano le 20.58, le porte d’ingresso si stavano chiudendo.
Quando il Tg1 diramava la notizia che un non precisato gruppo armato vicino ad Al-Quaeda aveva sequestrato e decapitato un imprenditore italiano, un certo Nicholas Manfredi, negli Emira-ti Arabi scambiandolo per una spia, io ero già attivo.
Attivai la procedura di emergenza e convocai col cercapersone il primo delle due riserve, il circonciso. Aveva mezz’ora per contat-tarmi. 28 minuti, 29…45 secondi, 58…Stop. Secondo contatto, la tedeschina, il contatto numero due, era Altoatesina; nel mentre di-ramavo il segnale di mancato contatto con l’ebreo alla centrale.
“Lei è sposata?”
“No, spietatamente zitella”
“Potremmo dividere le vongole?”
“Senta simpaticone, sicuramente dividerei con lei più di mezzo chi-lo di vongole, ma dopo essermi informata che lei non è un serial killer, che lavoro fa e quand’è morta la sua ultima moglie, e, sopra-tutto, come!”
Stavolta Jonas scoppiò in una risata! Si rilassò, erano cinque anni che non si rilassava.
Torretta entro per primo. Glauco Torretta, detto “micio”, mai co-nosciuta la madre, adottato dalla cocaina. Dietro di lui Simone – quanti cazzi di romani si chiamano Simone – Simone Moriconi det-to “Morricone” per la sua mania di fischiettare “Per un pugno di dollari”.
Jonas, e Adele. Tutt’e due erano addestrati come animali da com-battimento, ma in quel secondo preciso erano inattivi, rilassati, sta-vano ridendo.
“Micio” urlò “Questa è una rapina, fermi zozzi!”
“Morricone” disse “Si fermi!”
La sua Beretta 9 lungo SF Brigadier aveva fatto un percorso lun-ghissimo dopo essere finita nelle sue mani.
I muscoli di Jonas si contrassero. Gli occhi di Adele girarono vor-ticosamente, calcolarono distanza e potenza della massa muscolare che sarebbe stata impiegata in un salto.
Saltarono quasi contemporaneamente. “Micio” e “Morricone” a-vevano una mira pessima, spararono contemporaneamente.
Il proiettile della Beretta bloccò il volo di Jonas a cinquanta centi-metri da terra, gli uscì dall’orecchio sinistro. Il coltellaccio di “Mi-cio” si ficco nel reggiseno “La Perla” di Adele spaccandole il cuore a metà.
All’arrivo dei Carabinieri, uno strano e antiquato cercapersone rin-ghiava silenziosamente nella tasca del Tailleur della Renon.
“Il Messaggero” – la mattina dopo – titolava: ASSURDA STRAGE AL SUPERMERCATO DI CINECITTA’ – Uccisi due bravi im-piegati al ritorno dal lavoro.
‘Mazza quanti commenti!
Sozi, chi te lo doveva dire?
😉
@ Gea:
davvero “forte” il tuo aneddoto. Grazie mille per avecelo raccontato.
Che gente!
@ Salvo.
Altro che coda! Secondo quando qualcuno incontra il tuo amico imprenditore se la dà (giustamente) a gambe (anzi, con la “coda” tra le gambe). Ma è pure vero che, in un modo o nell’altro, la fila si forma (anche se è una fila che non si filerebbe nessuno). Con la particolarità che, comunque, i componenti anziché in piedi attendono distesi. Una fila molto riposante, direi.
😉
@ francesco:
ma io ce verrei da te a spiegatte come se guida l’autobbusse? e allora lascia perde li titoli. a questo ce penso io.
occhiello: I carabinieri ritengono che i rapinatori fossero almeno due. Sul posto numerosi testimoni, ma nessuno ha saputo fornire una descrizione degli assassini
titolo: A LUI UN PROIETTILE IN TESTA, A LEI UNA COLTELLATA AL CUORE
catenaccio: Cinecittà: uccisi due impiegati nella pausa pranzo mentre i banditi tentano una rapina
Un bravo a Maria Luisa Papini e a Eventounico.
Francesco Di Domenico ci ha preso gusto (e fa bene). Bravo Francesco!
–
@ Francesco Di Domenico (off topic)
Secondo me dall’alto del tuo autobus chissà di quante storie sarai stato testimone. Mai pensato di scrivere una raccolta di racconti a tema?
Pensaci!;)
@Eventounico: all’inizio è la casetta di Mediterraneo, e anche i protagonisti sembrano gli stessi, il “riluttante” ricorda i fratelli bergamaschi che nel film restano in collina a giocare con le capre, ma il tuo racconto evolve in un grottesco bestiale e imprevedibile. Bello! Sei forte!
@Gea: in certi casi vien voglia di picchiare! Comunque l’episodio potrebbe diventare il soggetto di un cortometraggio. Ciao e auguri di buon compleanno e di felice settimana.
Non sapevo che Gea faccesse il compleanno.
Be’. Auguri!
GIUSTO! BUON COMPLEANNO A GEA!
Sergio
…ma il finale del racconto come lo mettiamo? Evento dice che sono stati i poliziotti. No. Gea pensa che tutti si siano accordati per incolpare i due piu’ antipatici fra i clienti della banca. No.
Allora?
Provateci!
Sergio
Facciamo così… mettiamo in palio un premio.
Chi indovinerà il finale riceverà in casa un dvd a scelta tra i due seguenti:
a) Roberto Benigni che recita il Canto V dell’Inferno di Dante
b) Sergio Sozi che recita il cap. I di “Un tè prima di morire” di Enrico Gregori
😉
A Francesco Di Domenico:
be’… visto che me lo chiedi, qualche erroruccio c’e’, in giro: l’hai copiato da un testo prescritto, vero? Poi preferisco l’altro tuo racconto: il sangue e il sesso non mi piacciono. Sii raffinato come sai esserlo. Meglio la strada nuova, insomma.
S.
Sergio, del tuo racconto non posso che dire tutto il bene possibile: oltre che divertente, è pieno di ritmo e c’è l’ottima cura dello stile e del lessico (come ci si deve sempre aspettare da te). Franco e Ciccio ? Si, ma anche Totò e Peppino, oppure ci vedrei anche Leopoldo Trieste e Leo Gullotta. Mi riservo comunque un giudizio finale al completamento della storia (insomma, vogliamo vedere cammello, no solo una gobba), di cui non riesco immaginare lo scioglimento nonostante le ben labili tracce (…collettivo, no surreale ma chiaro e netto). Attendo con ansia e trepidazione.
Di tutti gli altri, e sono tutti memorabili, la mia predilezione va a quello di Francesco, assolutamente sfrenato, ulteriormente avvalorato dal suo stesso commento successivo (“Si, Salvo, bello il tuo racconto, anche il mio, l’ho letto adesso: notevole!”).
Quanto ad un mio aneddoto sul tema… non ne ho, e l’insuperabilità della fantasia di Francesco mi ha letteralmente annichilito impedendomi la pura invenzione: mi sento come Brian Wilson nel momento di bruciare i nastri del suo “Smile” dopo aver ascoltato “Sgt. Pepper”. Sul tema delle code (ed altri) allora, per chi non lo conoscesse già (circola in rete già da diversi anni) vi invio l’indirizzo per divertirvi aggratis con un godibilissimo cortometraggio di un grandissimo cartoonist italiano, Bruno Bozzetto con “Italy &Europe”:
http://www.rivelazioni.com/mm/bozzetto/eu-it.shtml
Buona visione
Carlo Speranza
@ massimo:
Dante…chi?
🙂
…Terzo Premio, ”di consolazione” (letteralmente inteso):
Massimo Maugger che recita in dvd l’intervista a Elektra la quale recita la parte della (inesistente) moglie di Santonastasio. Dunque lei sbava mentre parla (vero, Maugger?). In conclusione dvd: nota critica di una (schifata) Maria Lucia Riccioli.
Questo premio sara’ il piu’ ambito, immagino. Provate ad indovinare, su: finale concreto, ripeto: niente di assurdo o incompleto.
S.
Gregori(ano): io che recito il primocapitolodeltuoromanzo? Mica c’ho er fero al posto dei polmoni, io! Magari tre righe, per dare speranze all’uman genere!
S.
Ehi, ehi! Come andate di corsa ! Non ho fatto a temo a postare il mio sovrastante (ho perso un pò a cercare il link da inserire) che al primo racconto di Francesco se n’era aggiunto già un altro! Ma se guida l’autobus nello stesso stato mentale in cui scrive (continuo a riferirmi particolarmrnte al primo) credo che la prossima volta a Napoli prenderò la metropolitana!
Auguri a Gea, e ora anche a me che oggi (è ormai il 3) è pure il mio compleanno.
CS
Carlo Speranza: no: o Franco e Ciccio o l’inedita coppia (impossibile purtroppo per il primo) Ciccio-Villaggio. Gli altri sono fuori registro.
Un incipit sciocchino per te:
Sulle italiche rive del Mar Mediterraneo, si fa la fila per immergere le chiappette fra leptospirosi naviganti e ombrosi diennea’ d’ignota congegnata conformazione. Come al casello: prendi ombrellone e sediasdraio e paghi per centimetro quadrato…
A parte gli scherzi: grazie per le opinioni (lusingato)! Cerca il finale!
Sergio
AUGURI, Carletto!
auguri Gea
Eventounico: se vuoi scrivermi, chiedi pure il mio indirizzo elettronico a Massimo.
Grazie
‘Notte
Sozi
Sarei curioso di sapere cosa ne pensino Gordiano Lupi, Maria Lucia Riccioli, Laura, Silvia e Simona. E di sentire l’opinione di tutti coloro che si colleghino, ovviamente: chi, dopo aver letto il mio raccontino, voglia pensarne il finale (che ho per ora tenuto nascosto), provi a scriverlo qui. AGGIUNGO UN INDIZIO: LA SOLUZIONE PROSPETTATA DA SANTONASTASIO E’ TALE DA LASCIARE TUTTI I PRESENTI SODDISFATTI, INCLUSI – PARZIALMENTE – I DUE RAPINATORI (Aligio e Favonio). Dunque la cosa e’ indolore. E si attua, goccia a goccia, durante altre ore che tutti i protagonisti passeranno nel ”teatro” del misfatto.
E ora vado veramente nelle braccia di Morfeo.
Ciao, cari, e ancora ”grazie a quintalate” a tutti voi
Sergio
P.S.
F. Di Domenico: ti ho scritto sopra.
Ultimo aiuto: i clienti lasceranno, come vedremo, la banca, un po’ per volta. Ma… non ”da soli”.
E stavolta mi sembra di aver detto troppo. Basta.
Sergio Sozi
Luca Gallina?
Sergio Sozi come Mike Bongiorno? Che pone domande come nel più classico dei quiz? Indovinate, gente! Indovinate!
Chi l’avrebbe detto?
Torno seria. Racconto delizioso, raffinato e divertente. Bravo.
Precisazione.
Reciterò solo accanto alla star Massimo Maugeri. E in quell’occasione sarei pure disposta a svelare la mia identità. Forse.
Smile
Sergio, complimenti per il tuo surreale e ironico racconto ben orchestrato, per i personaggi da macchietta così insoliti che lo animano e per le inversioni di ritmo che ti fanno “vagare” da un tipo all’altro con la voglia di sapere come andrà a finire.
Già…come andrà a finire? magari viene fuori che non c’è nessuna rapina ma che si tratta di un film che stanno girando!
Davvero crudele da parte tua Sergio… dai, non tenerci sulle spine! 🙂
@evento
hai una capacità critica notevole! complimenti
@Gea e @ Carlo S.
AUGURI!!!!
@ elektra:
oddio, che evento imperdibile! tu che sveli la tua identità!!!
Ma, mi chiedo, perché rovinare un sogno?
Lasciaci continuare a immaginarti così come sembri…antipatica e vanesia.
🙂
Dimenticavo di fare i complimenti per i racconti a tutti voi, soprattutto a Enricuccio, che continua a punzecchiare Elektra (rassegnati, lei adora Massimuccio)!!
@ silvia:
e tu chi adori?
Chi adoro? direi meglio “cosa” adoro…adoro questo blog, adoro scrivere, adoro leggere, adoro anche le tue provocazioni, sai….ma non ci casco!
😛
Per Carlo: auguri, buon compleanno e buona giornata!
Ho appena visto il video di Bozzetto, è troppo forte, sintetico, significativo, e divertente: grazie per la segnalazione.
Tanto per confermare: il fatto comunicatoci da Gea non lascia dubbi, siamo proprio dei cafoni!!!
A presto, Miriam
– Tocca a me ?
– Prego si accomodi.
– Avrei una prenotazione …Smargiassi ragionier Anselmo…..
– Sar…,Sce..,Scu…, Sma.., Smar…, Sme…No, mi dispiace, qui non risulta.
– Maccome, guardi bene, la prego, …dovrebbe esserci, – o forse mi hanno segnato come Elektra (è uno pseudonimo che uso su un certo Blog) ….
– Elettra come la figlia di quel greco… ?
– No, come la Scuola-Radio (mi son diplomato lì). Vede ? Ho fatto la prenotazione tramite l’agenzia Pellegrinviaggi: è seria, è pure gestita dall’ordine delle Carmelitane Zoccole…
– Ah, tutto si spiega!
– In che senso, mi scusi.
– E’ che quella è una cosa di napoletani, una burla. Si figuri che con una prenotazione come la sua voleva entrare qui un tranviere bevuto e fumato che neanche Bucoschi. L’abbiamo spedito ai piani inferiori, a far compagnia ad una coppia dedita ad orge e baccanali: lui è un giornalista romano di “nera” che si diletta in romanzetti gialli, lei una triestina novantenne che gioca a far la squinzia. Non si fidi dei napoletani.
– Chiami le cose col loro nome: una truffa ! Dunque son stato turlupinato.
– Eh… è più facile che un cammello… piuttosto che per un napoletano..ettuttoquelchesegue.
– Ah, ma mi sentiranno! Io le cito in tribunale! Rivoglio indietro i miei soldi !
– …. Se crede di riuscirci …, comunque ora si accomodi, c’è altra gente dietro e lei deve scendere ai piani inferiori.
– Ma io adesso non so, mi avevano prospettato una certa sistemazione … cercavo anche una certa Ravasia che mi dicono alloggi qui. Ora mi si scombussolano tutti i piani…
– Ho detto la prego, chè non son problemi miei, né di tutta questa gente.
– Ma non saprei neanche dove andare !
– Guardi, all’altro sportello c’è il nostro servizio di prenotazione di guide per i piani inferiori: c’era un Vate molto bravo, un mantovano che però da un po’ di tempo non è più tornato. Si potrà accontentare di un umbro-romano trapiantato in Slovenia, vedrà che si troverà comunque bene.
– Non mi resta che fare quel che dice lei.
E quindi se ne uscirono, a ricercare un quattrostelle.
Beh, ci ho provato anch’io e spero nessuno si sia offeso, se non per il modesto risultato (ne sono cosciente). Comunque i personaggi sono di pura fantasia e chi vi si riconoscesse o non è lui oppure lo prenda come un segno d’affetto. Insomma non ne rispondo a livello civile e penale.
Saluti a tutti.
Carlo Enciclica (@Miriam: ‘sto nome che mi hai messo, dopo la papale uscita, comincia a starmi un po’ pesante !!)
Un
Carlo
@ carlo:
geniale!
solo, mi dico, io e gea avevamo usato tante cautele per non far sapere che facciamo le orge. e invece….!
.. e vi ringrazio per gli auguri !!!!
A Carlo S.
Molto, moooolto spiritoso.
Non osare più, MAI PIU’, darmi del ragioniere! Capito?
Comunque auguri.
Anselmo.
Smile
Questo sito è uno spasso, non ci si annoia mai. Davvero una bella comunità. Ma voi non lavorate mai?
@ Enrico:
io fossi in te mi preoccuperei di più a flirtare con un ragioniere che si fa chiamare Elektra.
Però nel raccontino non hai nominato “accidentalmente” il megaboss Massimo Maugeri.
Paura, eh?
Smile
Ho ripetuto di volte mai in due righe…me possino…
@ Salvo
io in questo momento dovrei, ma è il mio compleanno.
@ Elektra
Lui è l’uno e trino, c’è sempre ma non si vede che quando Lui vuole mostrarsi.
Allora auguroni. Se vengo su ti porto un nettare che produciamo solo qui
@ carlo:
non mi preoccupo più di tanto. ho flirtato per mesi con un domatore di tigri del bengala che si faceva chiamare Monica
Secondo me nel racconto di Carlo c’è anche Massimo Maugeri. E’ lo sportellista. Sbaglio?
Tanti auguri. Ma è davvero il tuo compleanno?
Grazie anche a Salvo e a Stefania: lo è e son 53, anche se in ufficio ho fatto un test che me ne dà 31. Io me ne sento 8 o 9 (grazie a Molnar).
Tra un pò supererò mio figlio che ne ha 7: Child is father to the man.
Che Massimo sia lo sportellista può anche darsi, lascio a voi interpretare.
Ma torniamo a Sergio piuttosto: nessuno si è ancora lanciato nella soluzione del suo quiz. Io non ce l’ho, ma voi ? Il premio vi atterrisce ?
@ carlo quelchevuoi:
SQUINZIA A CHI? 🙂
orrido vecchiaccio, io ne ho fatti solo 49.
però facendo media con la mentale (12) e l’emotiva (5) fa 22, credo..
bisogna pur appigliarsi a qualcosa, no?
augurissimi, caro.
e complimenti, mi sono molto divertita; sempre pensato con non ricordo chi che, se pure il paradiso ha un clima migliore, la compagnia più interessante la trovi all’inferno.
Ciao Gea, sull’inferno neanch’io ho dubbi. Sepperò la compagnia è quella di chi se la fa con domatori di tigri del bengala dal nome Monica… attenta anche a te! Grazie ancora degli auguri, ed un bacio tra compleannisti ravvicinati di vario tipo.
In effetti sto dalla parte delle tigri del Bengala: chi l’ha detto che vogliono farsi domare? Monica peraltro è un bel nome…
appena passato un venti minuti a godermi Bozzetto. Grazissime per la segnalazione che provvederò a passare avanti.
Le stellette aumentano.
Sergio, dove sei?
Ipotesi due: costringono la banca a rimettere i debiti dei due scombinati;
ipotesi tre: si dividono i soldi tra tutti e fanno una colletta per i vecchi ragazzi.
Caro Euterpe,
anche se Sergio sputacchia quando scrive e ti tormenta, accontentati, un creatore così me lo augurerei anch’io (…senza sputi, però).
Dunque, Sergio. Su questa potresti scriverci un episodio del tuo godibilissimo Euterpe. Anche se non è finzione ma realtà.
Devi infatti sapere che all’interno del palazzo di giustizia di Siracusa c’è un ufficio postale.
Mi trovavo dunque in fila (chilometrica) in attesa del mio turno quando una vecchietta mi chiese la cortesia di farla passare avanti perchè non si sentiva bene.
-Ma si figuri, signora- le dico- Vada pure.
-Lo vuole sapere perchè sto così male?
-Perchè, che le è successo?rispondo, immaginando un malanno o un acciacco di …mezza età .
-Quel grandissimo corn… del giudice Lo Iacono. Ah, signorina, se lo prendo.Ma me lo dice lei com’è che mi ha potuto condannare?Cose dei pazzi. E io adesso mi sento male.Lo sa , lei, chi è il giudice Lo Iacono?
-Non ne ho la più pallida idea, signora – rispondo io con un’aria angelica che avrebbe fatto concorrenza ai serafini .
La stessa aria che ostentai (con un po’ di sforzo, lo ammetto) il giorno dopo in udienza, quando mi ritrovai davanti l’intrepida vecchietta pronta a battagliare.
Egregio Euterpe Santonastasio,
chiedo il suo intervento perché continuo a ricevere proposte indecenti a sfondo omosessuale da tal Carlo Speranza, anni 53. Il citato signore, peraltro, insiste nel chiamarmi con il nome Elektra. Per convincermi ha anche dichiarato di avere la prestanza di un trentunenne. E da ultimo mi ha inserito all’interno di un racconto che ha reso pubblico continuando ad affibbiarmi il nome Elektra.
Carissimo Euterpe, chiedo il suo pronto intervendo appellandomi alla sua sensibilità e alla grande esperienza maturata nel campo delle molestie.
Con stima e urgenza.
Rag. Anselmo Smargiassi
@ carlo:
auguri e aspettami. tra 9 giorni ti raggiungo a quota 53. come si sta? 🙂
Ma solo della MIA senilità bisogna parlare in separata sede? 🙂
E poi come vuoi che si stia, in poltrona, attenti al catetere e a quel formicolio alle gambe…
Sghignazzo
Non tu, carlo: c’è anche chi regge. 🙂
E’ bello divertirsi, però se fosse possibile preferirei che non si continuasse a citarmi per quel genere di cose.
Grazie.
Ancora auguri a Carlo ed a Gea.
Smile
@ gea:
a’ spiritosa! se passi pe’ roma te faccio ‘n trattamento total-body che t’arincojonisco e ‘nvece de torna’ a trieste te frulli ‘n tanganika!
🙂
ooops…
Elektra scusami se in qualche modo ti ho causato risentimento.
D’ora in poi giuro che faccio la brava.
un abbraccio
g.
Mica mi riferivo a te, Gea.
Supersmile
@ Enrico Gregori,
sto per rompere un’amicizia plurisettimanale per dirti – una tantum – che sei “giornalista da mattinale di questura” (mo’ s’incazza), pero che bello esserlo e quanto avrei voluto esserlo io.
E’ Sozi, questa specie di stop mitteleuropeo (Incrocio), ad aver indovinato: CONTATTO AD AL-DHAFRA è solo il titolo di un incipit balordo che avevo scritto un pomeriggio mentre mia suocera ancora raccontava, sparecchiando, della sua caduta sul gradino del Banco Lotto.
L’ho continuato ( “a cazzo di cane” diresti?) per diletto e vanesio presenzialismo (“due di tutto”).
@Sozi,
complimenti per l’intuizione (cominci a nausearci, una febbre non ti viene?), solo che mi ero autocitato.
@ Don Massimo Maugeri
Si, un’antologia di miei racconti è dall’editore; uscira in primavera, ma riguarda le mie altre vite, sul guidare autobus a Napoli sarebbe come riscrivere “Gomorra” e temo la sublime intelligenza di Roberto (Saviano).
@Carlo Speranza,
racconto delizioso; costruzione eccellente e gustosissima (c’entra un c…che hai la stessa età mia e del trucido Gregori, tu sei nato per caso nel ’54, dev’essersi rotto il preservativo…oops l’ho detta grossa!).
@ francesco:
se per fare il mio mestiere mi fossi accontentato del mattinale della questura, a un certo punto avrei dovuto cambiar lavoro e, magari, chiedere a te se mi rimediavi un posto da conducente dell’autobus. Però, in fondo, te lo immagini un bus guidato da te e da me?
signora: “senta io devo secendere a via Roma”
gregori: “e ‘sti cazzi?”
signora: “insolente, mariuolo. la mia fermata l’avete passata”
di domenico: “u ‘a maronna che scassambrella!”
signora: “ma dove mi portate? dove mi fate andare? aiuto”
gregori “signora, le piace il turismo?”
signora: “sì”
di domenico: “e le piace pure il sesso?”
signora: “sì”.
gregori e di domenico in coro: “allora…vada a fare in culo!”
@Carlo: mi spiace che ti pesi la speranza, ma a volte capita che il carico si sproporzioni. Facciamo solo Carlo? Oppure ri-presentati ….
Seguirai il prossimo post? (ci terrei )
Ciao, Miriam
Mi chiedo come mai non intervenga la censura 🙂
@ Miriam:
1) Carlo va bene. Talvolta forse tornerò anche a Speranza, e chi lo sa? Oggi mi pesa, in nome dell’Illuminismo.
2) Ma io vi seguo in capo al mondo! anche se forse da domani non mi farò vivo (un viaggio di lavoro di 2 o 3 giorni), da venerdì dovrei essere di nuovo al PC, e spero di trovaregià il finale di Sergio.
Saluti a tutti
@ silvia:
perché, come si diceva dinanzi a rari capolavori cinematografici degli anni 50-60, la censura si inchina all’arte
🙂
@ Silvia,
ti prego non zitellare; e poi, sesso, turpiloquio…io non l’amo nelle cose che scrivo, quanto sarebbe facile far ridere col sesso, molti umoristi di infimo ordine lo fanno in televisione; molte illustre anime letterarie ci hanno fatto una fortuna.
Daniel Pennac, in quel piccolo e scontato vademecum del lettore che va’ sotto il nome di “Come un romanzo” – l’ho gia citato, ma non è senilità – racconta di un soldato che si faceva mettere di servizio apposta nella corvè dei cessi per leggere in santa pace e narra che, alla fine del servizio militare, scrisse su di uno sciacquone:
“Non mento se dico, sedete, maestrine,
che tutto Gogol’ io lessi nelle latrine”
OIBO’….OIBO’…..OIBO’…..ma se le latrine sono il luogo consono per leggere Gogol allora i libri di Vito Ferro dove vanno letti, a Chernobyl?
Tempo. La risorsa più scarsa della nostra epoca.
Silvia “zitelli” forse tu ? E da quando ? Ti vidi scrittice posata e pudica.
P.S.
Simpatica la tua intervistatrice…
Caro Sozi, ancora una volta ci hai rinvigorito con un racconto di qualità. Evviva la qualità! Congratulazioni.
Dopo “Il maniaco”, che invito ad acquistare, leggere e rileggere, ed altre opere un altro piccolo capolavoro.
A presto.
Sandro
Avete scritto parecchio in questo “post/bacheca/angolo del racconto”.
Bene! Molte grazie.
Rinnovo i miei auguri a Gea e li faccio a Carlo S. (che ci ha allietati con un sardonico, ma simpatico raccontino).
Mi verrebbe voglia di fare gli auguri anche ad Enrico (perché tra qualche giorno lo scorderò di sicuro), ma evito dato che augurare buon compleanno in anticipo non porta bene.
@ massimo:
tranquillo, ormai i mei compleanni tendo a dimenticarli io stesso. mi prendo gli auguri oggi li conservo
Aggiungo che (forse) ci siamo lasciati un po’ andare. Ma ogni tanto fa bene.
Vi anticipo, però, che l’argomento del prossimo post sarà piuttosto serio.
Va bene Enrico. Allora ti faccio gli auguri per i prossimi cento anni.
😉
@ Simona:
molto divertente il tuo aneddoto. Grazie.
Aggiornaci sugli esiti del successivo incontro con la vecchietta succube del giudice cattivo, dài.
(P.s. Speravo di incontrati domenica sera alla presentazione di Luigi da Megastorie a Catania; e non sono riuscito a beccare nemmeno Maria Lucia, perchè quando l’ho cercata era già andata via).
@ Elektra:
dài, non ci credo che ti sei arrabbiata. Non è da te. Smettila subito, eh?
Smile
@ Massimo
Tornerò subito in riga!
Mah! serietà, con Gregori, figurati è come se il Ku-Kluks-Klan invitasse a cena Michael Jackson!
@Enrico,
ora Maxim ci spara un post sui denti cariati di Carducci, o sul numero di scarpe di Durrenmatt e dobbiamo andare a fare forum su Eroxe.it in compagnia di Lupi, ma almeno li c’è gnocca che non s’offende (l’ho ridetta grossa)!
Ma poi @Elektra, chi ti ha turbato?
Dai algido bocciolo, rifiorisci!
Caro Francesco, non zitello, non zitello. Semplicemente ironizzavo sul linguaggio da trivio di Enrico!
@ eventounico
grazie grazie, meno male che tu hai capito come sono!!
p.s. l’intervistatrice è una delle mie più care amiche.
@Silvia L.
No! per favore, difendo Enrico per il semplice motivo che moltissimi intellettualini del c…negli anni settanta hanno – non dico tu – fatto diventare letteratura Bukovski e tanta altra spazzatura, ma tanta, compreso qualche eminente napoletano di cui non posso fare il nome; ospitato nei paginoni centrali di autorevolissimi giornali francesi…spazzatura: preferisco le “Code alla vaccinara”, almeno sono sanguigne!
Penso che nessuno qui pettini bambole!
Alcuni giorni or’sono imbastii una sceneggiata, da marchesa offesa, una buffonesca montatura per comprendere cosa si fosse.
Via! Siamo vaccinati!
@ francesco:
calma e gesso. io e silvia siamo amici e lei sta prendendo in giro me attraverso il blog. tutti buoni e continuiamo tranquillamente a prendercela solo con elektra
🙂
@ Enrico,
mica scherzavo? sono arrabbiato con la Leonardi, mica si può mettere un sedere di Velasquez così sulla copertina di un libro: è disdicevole!
Almeno una leggera velatura “a calza” di telecamera sulle nude e tondeggianti terga.
@ francesco:
se fosse opportuno coprire tutti i culi, sulle facce dei nostri parlamentari ci sarebbe il burka. e il libro di Silvia leggilo pure, invece che guardare solo le figure come si fa coi giornaletti porno. pipparolo!
🙂
Quarto capitolo
(…)
(…)
(…)
Sergio, sono Massimo. Mi intrufolo per dirti che devi sostituire all’interno dei dialoghi i simboli che usi tu con le classiche virgolette “…….”.
hai capito?
Ho cancellato il pasticcio (ovvero il tuo testo privo di dialoghi).
Tra un po’ cancello questo messaggio e quelli dopo.
Massimo
MANNAGGIA ALLA MISERIA!!! SECONDO TENTATIVO ANDATO A VUOTO!! DOVRO’ CHIEDER CONSIGLI O RISCRIVERE TUTTO DIRETTAMENTE QUI.
Abbiate pazienza.
Sergio
Sergio… mi sa che devi sostituire le virgolette che usi tu con queste altre: “……….”, altrimenti il sistema non le accetta.
Ora cancello questo mio commento e il tuo precedente. Dimmi se hai inteso.
Hai inteso?
Mandami un segnale, Sergio.
hai capito?
Sì, Sergio. Buonanotte!
Ora sembriamo noi Franco e Ciccio.
Mi sa che questi commenti li lascio, così domani si fanno due risate.
–
P.s. Intervenite nel post “bambine, tra letteratura e vita”, please?
Sergioooooo, sono stancoooo. Io andrei a dormire…
Va bene, ho inteso. Lo faccio io. Grazie.
S.
Cancella pure tutto: adesso metto le virgolette giuste ed invio.
Scusatemi tutti
Sergio
Dài, lasciamoli i commenti!
Perché privare i nostri amici di questa simpatica scenetta?
Mi pare pure in tema con il racconto, non trovi?
Tu chi sei, Franco o Ciccio?
Buonanotte, va’!
😉
Quarto capitolo
“Cosa volete, per la liberazione degli ostaggi?!” Urla con arroganza il commissario incaricato delle trattative alla cornetta; evidentemente la lista non gli era piaciuta. “Mmmh… Vedremo. Intanto ditemi: stanno tutti in salute?”
“Certo. Settantasei persone compresi gli impiegati. Avete trenta minuti esatti per richiamarci.” conclude Favonio abbassando il ricevitore. Poi: “Secondo me ci concederanno qualcosa in cambio di qualche ostaggio.”
Dopo i minuti stabiliti, l’apparecchio della scrivania direttoriale squilla. È lo stesso funzionario di polizia: “Cari masanielli… come avevate richiesto, il questore di Trieste ha assicurato che triplicherà la sorveglianza notturna nelle zone calde della città. Volete che ve lo passi? Sta qui con me, a pochi metri dall’ingresso della banca.”
Risponde sempre Favonio: “Non importa: basta che il signor questore dichiari in televisione entro venti minuti questa sua decisione: lo vedremo dall’apparecchio che abbiamo in banca, se avrete soddisfatto la prima delle nostre esigenze. Subito dopo, rilasceremo dieci ostaggi. Parola d’onore. Ma ne ammazziamo tre in un attimo se sappiamo che i massmedia possiedono la notizia di quanto sta succedendo qui. Guai a chi fiata, come vi ho intimato al primo colloquio: silenzio stampa totale, oscuramento, ripeto!”
Così è: l’edizione dell’una e mezza del telegiornale fa il suo dovere senza ambiguità e dieci ostaggi, fra i quali ovviamente la rompitasche matrona, s’incolonnano in fretta e furia all’uscita del Credito Nazionale, agenzia numero tre di Trieste; ecco: sono fuori, nelle grinfie dell’Italia moderna. Intorno, tacciono i cannon.
Passa un’oretta e di nuovo squilla l’apparecchio della banca: “Il punto secondo” enuncia il medesimo commissario “diceva: assicurazioni pubbliche e di proprio pugno del Ministro competente riguardo all’edilizia abusiva. Insomma maggior attenzione a cosa viene costruito e ruspe sempre pronte per abbattere gli obbrobri urbanistici; in tutt’Italia. Be’: altri dieci ostaggi ce li dovete, cari robinùd.” Infatti, tramite facs, sta giungendo negli uffici tenuti sotto controllo dai due malviventi un foglio, manoscritto e firmato, che giura guerra senza compromessi a ogni futuro edificio sospetto d’illegalità, nonché verifiche impietose rispetto ai palazzi esistenti. Otto uomini vengono liberati, fra i quali degli importuni giovinastri e certe ottuse megere da romanzo campaniliano.
Altri trenta minuti ed ennesima telefonata del commissario (tal Manforte di Trieste):
“Che razza di rapinatori siete? Sacco e Vanzetti? Eh… Quando c’era Lui! Va be’: il punto terzo prevedeva una bella chiacchierata col Ministro del Lavoro, vero? Ecco: glielo passerò fra un attimo in linea. Ma prima mi faccia ascoltare la voce di qualche ostaggio.”
“D’accordo” Stavolta a parlare è il principe Aligio, che dà la cornetta ad un mezzo tricheco biondoeburneo un po’ svampito:
“Signor poliziotto, mi chiamo Virgilio Bordon: stiamo tutti bene (eccetto l’appetito: che sono ormai le due e mezza, orpo!) ma non li prenda sottogamba: hanno un… ordigno e una pistola e sono disposti a tutto.” Era il quinto ostaggio ad esprimersi così al telefono, durante l’intero corso del mercanteggiamento. Dopodiché l’egregio Ministro del Lavoro assicura che si ”prodigherà in prima persona” per introdurre in Italia un decente sussidio di disoccupazione, come in mezza Europa si fa da almeno quarant’anni. “Ma adesso lei lo deve dichiarare pubblicamente in televisione, signor Ministro, ché noi non ci fidiamo.” Afferma Aligio. “Dopo, rilasceremo la solita comitiva di vecchietti. Prima le vecchie, anzi. E si ricordi che la nostra confraternita non la mollerà, finché non vedremo il suo Partito presentare il disegno di legge in Parlamento. La cosa mica finisce qui, se lei ci prende in giro: altri rapimenti… o peggio. Siamo numerosi dovunque.” Ed interrompe spavaldamente il contatto. Tutto si compie come previsto: l’idea del sussidio viene riportata da ogni tiggì pomeridiano; dunque, attorno alle diciassette del sedici dicembre Duemilaotto, altri sette poveri ostaggi lasciano curvi il proprio luogo di martirio per volatilizzarsi fra le braccia dei soliti ipocriti figli – troppo preoccupati per l’esosità delle bambinaie da lasciarsi sfuggire un caldo abbraccio a mammà o a papà appena liberato.
Verso le ventidue, il decalogo delle richieste sta per terminare: ancora un obiettivo centrato e gli ultimi sei reclusi – il direttore dell’agenzia, le tre impiegate, Santonastasio ed il tizio sveglio – avrebbero messo a loro volta la parola fine alla spiacevole avventura.
Senonché…
“Ovviamente,” principia Euterpe, rilassato come lo era in verità stato sin dall’inizio “adesso i miei colleghi là fuori si aspetteranno l’aggiuntiva richiesta finale: un pulmino ed un aereo perché voi rapitori possiate scaricarci da qualche parte facendo poi perdere le tracce chissaddove. Invece… Eh… Voi ci rimanderete a casina come abbiamo concordato e ringrazierete la Madonna di avermi incontrato sulla vostra strada – ed immodestamente spero che così stiano ora facendo gli altri amici nostri, magari accendendo il classico cero. E lei, signor direttore, si ricordi prima di uscire di distruggere la videocassetta che ha filmato tutta la commedia, per favore, sennò qui la pago io più di tutti, perché l’idea è mia.
Però, dicevamo, cari gentiluomini: voi la richiesta del get e del torpedone la dovete fare ugualmente, e subito: anche (e non solo) per tirare alle lunghe la sceneggiata e così permettere agli altri di arrivare a domattina, quando ognuno consegnerà al proprio nipote (o a un figlio se è giovane) quel che ha, per dargli modo di inguattarlo come solo i bambini sanno inguattare qualcosa a cui tengono sul serio. Oltretutto, domani la scena finale dovrà essere proverbiale… roba da annali! Dunque stiamo rischiando di brutto: capite che, se riusciremo a non farci ammazzare nottetempo dai cecchini dell’Arma, domattina potremmo sempre beccarci qualche pallottola durante la fuga?” Tutti ne sono consapevoli e questo lo si vede dalla moltiplicazione delle rughe sui volti.
“Scusi…” dice il tipo sveglio “ma come fa lei, Santonastasio, a sentirsi in pace con se stesso, vista la palese illegalità del suo… pazzo progetto? E come è sicuro di concludere questa odissea senza che qualche inquirente, presto o tardi, intuisca la verità – nonostante sia una verità strampalata come poche?”
“Per quanto riguarda la mia coscienza, le dirò che io, nel mio lavoro di carabiniere, ho sempre cercato di evitare che una inutile osservanza puntigliosa dei Codici comportasse un incremento di sofferenza nella gente: mica le leggi servono a questo, no? Ergo: meglio il mezzo gaudio del mal comune, quando sia possibile ottenerlo senza danneggiare nessuno o quasi. Nel nostro caso, a rimetterci sarà solo la compagnia assicurativa della banca… la quale, con i premi che incassa abitualmente dai clienti, non subirà chissà quale danno economico: cifre risibili. Inoltre, qui c’era di mezzo l’incolumità di tutta questa bella gente malevola, litigiosa e decadente, ed io ho capìto che, ad osservare le procedure tecnico-legali, sarebbe stato ovvio almeno qualche ferito. Lei poi mi chiede se mai qualche commissario o giudice arriverà alla verità. E qui devo esser prudente nel risponderle: considerata la fantasia degli uomini di legge, è molto probabile che quando la storia verrà fuori nessun elemento probatorio potrà più esser disponibile per il riavvio dell’indagine. A meno che qualcuno non parli ora.” E lancia un’eloquente occhiata al personale della banca.
–
Epilogo
La mattina del giorno successivo, eran le dieci circa, la strada per il lontano aeroporto triestino di
Ronchi dei Legionari ebbe il privilegio di assistere ad uno spettacolo d’insolita coreografia: un pulmino dal quale si sprigionavano banconote da cinque, dieci e venti euro come una pioggerella primaverile – con frammisto qualche chicco di grandine sottoforma di anello o braccialetto. Gli affollati marciapiedi cittadini ne gioivano e non un biglietto di banca toccò terra, come anche la… benefica grandinella.
Trascorsi una abbondante manciata di minuti e qualche chilometro dalla fine del filantropico innaffiamento, il mezzo si fermò e ne uscirono, a mani alzate, otto persone, delle quali due vennero arrestate e sei riferirono concordemente quanto riassumeremo qui da presso in breve:
I rapinatori, malaticci, angustiati, pentiti e vìstisi alle strette, hanno optato per un gesto inconsulto: disperdere l’intera refurtiva piuttosto che tentare un’improbabile e vigliacca fuga per via aerea. Evidentemente avranno pensato: o me li tengo o li dò all’aria, al cielo maledetto! Forse speravano anche di ridurre, così, la pena, meschini.
Ma Santonastasio desidera aggiungere qualche particolare alla cronaca: concediamogli questo privilegio.
Grazie: sarò lapidario. E che, credete che la pistola a tamburo di quel rimbambito di Favonio fosse veramente carica? I due disgraziati stavano con le pezze al culo: me ne accorsi sin dal principio. E fui il solo a capirlo. Intanto però gongolavo nel sentire quei cittadini perbene dei clienti confessare la propria indole… ché… il vero carattere di un uomo si vede al momento del bisogno. Quindi feci finta di non sapere che i banditi erano in realtà indifesi e portai gli ostaggi a concordare un patto: mentre venivano liberati dovevano trasportare con sé, occultata nelle tasche o altrove addosso, una buona parte dell’intera refurtiva, compresi i loro propri averi. Avrebbero sùbito consegnato il tutto ai loro sagaci nipotini, o figli, per far sì che niente ne venisse eventualmente ritrovato.
Il resto, circa un trenta per cento del bottino, rimase nelle mani di Favonio e Aligio, i quali poi lo gettarono agli uccelli come abbiamo visto in piena città. Così la polizia avrebbe dovuto per forza credere che tutto il maltolto fosse andato disperso nelle tasche dei passanti, come ogni persona coinvolta nell’affare testimoniò.
Ma perché i rapiti – e soprattutto i dipendenti della banca – concordarono questa via di salvezza per i fuorilegge? – mi chiederete ora. E perché i rapinatori stessi avrebbero fatto altrettanto, se non sapevano che io sapessi la mancanza di pallottole nel revolver di Favonio?
Semplice: i banditi accettarono il piano perché consci di essere del tutto vulnerabili in fronte a qualsiasi attacco delle Forze dell’Ordine; gli ostaggi condivisero la mia proposta soprattutto per paura mascherata da pietà verso i due nobili decaduti. E anche perché, portando la roba fuori zittizitti, magari ci avrebbero guadagnato pure. E i banchieri non ci avrebbero rimesso nulla, grazie sia all’assicurazione che al loro normale operare da strozzini legalizzati.
Su Aligio e Favonio… mah… cosa dire: si son beccati cinque anni di ospitalità al Coroneo (così poco grazie alle attenuanti: l’età, la fedina pulita, la mancanza di perdite umane e di armi efficaci) e dunque non saranno troppo contenti della morale della favola… ma ignorano che qualche soldo li aspetterà, quando usciranno: io ho mantenuto sotto la giacca, oltre alla mia pensione, un collié di brillanti da mille e una notte – proveniente dalle cassette di sicurezza – che sarei crudele a non destinare proprio a loro. Salvo restante il proposito che se faranno qualche altra sciocchezza li strangolerò con le mie mani.
Però lasciamo che la cosa resti fra noi, eh.
(Capodistria, 14 – 21 agosto 2006)
–
Nota dell’autore
Perché dedicare a Franchi ed Ingrassia un raccontino scemofesso come il presente? Ovvio: la coppia comica siciliana, con le proprie eccellenti qualità attoriali, sarebbe stata l’unica a poter nobilitare al massimo le figure dei nostri scalcagnati rapinatori – alla faccia, sia degli snob critici cinematografici che credettero, con il silenzio, di sminuirne la meritata popolarità, sia dei cafoni guitti d’oggidì, i quali manco votando l’anima al diavolo riusciranno a realizzare un decimo di quanto ottennero Franco e Ciccio (senza mai dire una parolaccia, si noti bene!).
Purtroppo, però, Qualcuno lassù ha deciso diversamente. Perciò Aligio e Favonio resteranno per sempre dei personaggi letterari (come d’altronde sembra essere il destino di Euterpe Santonastasio).
Sic transit gloria mundi.
S.S.
Mi sento Ciccio. Il meno bravo.
Comunque ecco il testo con IL FINALE DELLA FAVOLA – E NON LA MORALE DELLA MEDESIMA, CHE QUELLA VE LA TROVATE DA SOLI, VECCHI MIEI!
Quarto capitolo
(…)
(…)
Oh no!!!
L’avevo già postato io per te.
Se ci fosse un blob dei blog penso proprio che ci finiremmo dentro.
Franco
…allora secondo me siamo tutti e due Franco. O in simbiosi o scemi tutti e due!!
Cancelliamone una, va’! (serata memorabile, Massimo!)
‘Notte
Cancella la mia che la tua e’ migliore.
Grazie
Ma no, lasciamo. In fondo è divertente. L’importante è stabilire chi dei due dice all’altro: “vieni avanti cretino!”
😉
La mia è sempre migliore!
😉
‘Notte
Ogni volta che mi guardo allo specchio, mi sento quello che risponde all’invito, non l’invitante.
‘Notte, Ma!
Non eri tu che dicevi che la letteratura è una cosa seria?
O ero io?
Andiamo a dormire che è meglio, va.
Pero’ cancella la mia, dai! Subito.
Lo dice il mio terzo ego che la letteratura e’ una cosa seria. L’ego minoritario. Gli altri fanno le pernacchie come i cul di Dante – che facean trombetta.
Comunque ti ho accontentato… in parte.
Ho lasciato l’introduzione del tuo commento doppione.
SIGNORE E SIGNORI: POCO SOPRA, TROVERETE IL FINALE.
Ringraziamenti e cotillons a tutti (Un ennesimo grazie di cuore, oltre che al nostro augusto ospite e ai summenzionati Carlo Speranza, Eventounico, Elektra, Enrico, Salvo Zappulla, F. Di Domenico, Miriam, Gea, Barbara Gozzi, Papini Pedroni, anche ai cari Sandro Paolucci, Silvia Leonardi e Simona, ai quali non ho precedentemente risposto solo perche’ non ero in casa).
Sergio Sozi
P.S.
Pero’ mi aspettavo anche la presenza dei cari e raffinatissimi Luca Gallina, Gianfranco Franchi, Gordiano Lupi e Maria Lucia Riccioli. Va be’: se volete anfdate a leggere tutto sopra: stralcio di racconto all’inizio e ultimi capitoli qui, poco sopra.
DIO; SONO UNA GRANDE!
ci avevo quasi preso!
Fantastico, Sergio, molto divertente.
Lo rileggerò più tardi con calma, adesso è l’alba e non sono molto lucida.
Scappo a lavorare.
Buona giornata a tutti.
Comunque il teatrino della coppia comica Sergio e Massimo vale da solo tutto il post; tre urrà per gli ego (egi?) del Sozi.
😉
Caro Massimo,
l’intrepida vecchietta era un’accanita truffatrice. Si spacciava per veggente e visionaria dettando ad accaniti giocatori del lotto i numeri che diceva di ricevere in sogno da santa Lucia.
Cosa incredibile ma vera: aveva fatto ottenere qualche vincita milionaria e la sua fama si era sparsa.
Se non fosse che estorceva pensioni e stipendi a incauti vecchietti come lei (ma un po’ più indifesi) sarebbe stata un’ottima compagnia per una scrittrice!
Alla fine dell’udienza, vedendo che la condanna era irrevocabile, voleva suggerirmi i numeri della ruota di Napoli!
PS : Domenica sono stata trattenuta a Siracusa dal mio bimbo raffreddato!Ma ti aspetto a Siracusa per la presentazione del libro di Tea!
@Sergio: Non ho parole, Sergio, per dirti quanto mi piaccia Euterpe. E’ semplicemente perfetto. E la tua scrittura…esilarante e meravigliosa!
Ci ho messo un mesetto e mezzo a leggere il post e i commenti, in fila dal macellaio. Adesso non mi ricordo più cosa volevo dire.
Ah, sì. Sergio mi piaci.
In senso letterario. Of course.
Caro Sergio Sozi, ti ringrazio per l’invito alla presentazione del tuo nuovo inedito letterario:tre capitoli di un racconto surreale ed un finale interattivo partecipato dai tuoi amici di scrittura virtuale.Scusami per il ritardo,ma, non potevo mancare alla festa organizzata da Massimo Maugeri, sempre moderatamente,compiacente quando ci vede attorno a te.Entro in un ambiente elegante e austero che potrebbe somigliare al salone degli affreschi, del circolo della stampa di Milano: Enrico Gregori è l’animatore della festa in suo, pardon in tuo onore: vuole la scena tutta per sé.Del tuo racconto qualcuno degli amici di scrittura ne esaltano lo stile e l’originalità dei tuoi personaggi: un racconto somigliante a un tipo di letteratura antica e nel contempo contaminata dall’ansia dei tempi moderni per problemi reali di sopravvivenza , che non risparmia nessuna categoria sociale.La cultura non paga e la rapina in banca, interattiva con i Clienti, sono uno spot pubblicitario per la promozione del tuo libro,credo.Al di fuori della banca c’è la troupe del set televisivo; una folla di futuri lettori vi aspetta, di fuori,
per un lungo e meritato applauso da tributarvi:sono i risparmiatori Parmalat,Cirio,bond Argentini truffati dalla banca.
Riesco a riconoscerti tra gli ospiti presenti,nel salone degli affreschi,perché: non stai mai fermo e continui a congratularti con gli altri,dimenticandoti di essere Tu il festeggiato: è per questo che ti voglio bene,perché quando mi sono presentato,hai stretto la mia mano con tutte le tue due.Grazie Sergio Sozi!:”pesce fritto e baccalà”.
Luca Gallina
@ sergio:
finalmente, lasciandoti alle spalle il barocco puro, hai dimostrato quello che si poteva solo intuire. Ossia che tu fossi dotato di ironia e disincanto sufficienti a scrivere una storia a metà strada tra i reali accadimenti umani e una sorta di cinismo “cronachistico”.
La struttura del racconto, epilogo compreso, è geniale e sorprendente. L’unico appunto (flebile) che mi viene da fare è sull’uso della punteggiatura. Abbondano i “due punti”, secondo me, ed è una cosa che mi spezza un po’ il ritmo. Ma, ripeto, si tratta di un’osservazione capillare e trascurabile. Insomma è come dire a quella gnocca della Bellucci “sì, però, le unghie dei piedi sono un po’ disarmoniche”.
Nel complesso il tutto scorre dinamico e agevola decisamente la comprensione del testo. Io, infatti, ho capito tutto. Tranne…
ma perché alla fine sono arrivati dall’India i Sic a rubare il transit modello Mundi alla signorina Gloria?
🙂
@ sergio e massimo:
il primo che si azzarda a criticare i siparietti tra me e di domenico verrà insultato in maniera così offensiva da spingerlo all’esilio da questo blog.
il vostro è stato degno dei fratelli De Rege e ci lascia soltanto l’amletico dubbio su chi tra vuoi due sia il cretino. Insomma, un thriller degno di Gregori
🙂
Un finale inatteso e geniale; grazie Sergio per il regalo che ci hai fatto e che conferma appieno la qualità del tuo lavoro. E grazie anche a Massimo per il siparietto con te che, come già notato da Gea, valeva da solo tutto il post; potrebbe addirittura anche sembrare studiato prima come ulteriore sublime omaggio a Franco e Ciccio (e come hai fatto bene a sottolineare il loro eludere ogni volgarità: altro che quer monnezza der Gregori!).
Beh, ora devo scappare a prendere il treno e credo non riuscirò a intervenire su quello nuovo prima di venerdì.
Ad majora
@ carlo
“dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fiori”
(Fabrizio De André)
ps: ovemai il tuo treno dovesse partire verso l’empireo e raggiungere il barone di Munchausen a cavalcioni sulla sua palla di cannone, farò volentieri a meno della tua inutile presenza
🙂
Volevo dire: “…..altro che quer monnezza der Gregori, che si masturba pure sulle unghie dei piedi della Bellucci!”
Ciao, Enrì (smile).
(Il treno è in ritardo)
Sì, certo. Ora su questo blog tutti scrivono “smile”. E i diritti di utilizzo letteratitudiniano chi me li paga?
Massimo, in verità non mi ero alterata. Volevo solo metterti alla prova per verificare che ti saresti fatto in quattro per difendermi e sostenermi.
Prova miseramente fallita.
Ora sì che sono arrabbiata!
Grrrrr.
Naturalmente scherzavo, Massimuccio. Non ti fare venire l’ansia, dai. Ho trovato il tuo duetto con Sergio molto esilarante. Nettamente superiore a quello tra Enrì e Didò (con la partecipazione speciale di Carlos).
Bello il racconto, Sergio. E bello il finale.
E questo è tutto per te.
Smile
@ elektra:
meglio tacere dando l’impressione di essere stupidi, piuttosto che parlare e togliere ogni dubbio
🙂
Ad Enrico.
Ecco perché quando taci dai il meglio di te!
Smile
scontata e vendicativa
Dal ”Giornale dell’Umbria” del 28 marzo 2007.
Sergio Sozi – ”I miei gialli a tinte folli”
A colloquio con lo scrittore umbro che ha appena pubblicato ”Il maniaco e altri racconti” prossimamente in libreria
Di Ilaria Bellatalla
Senza dubbio la definizione di “giallo” è riduttiva anche solo per abbozzare una presentazione dei racconti compresi nella raccolta “Il maniaco e altri racconti” di Sergio Sozi, nelle librerie italiane a partire dal prossimo 31 Marzo.
Come ogni giallo che si rispetti, in ciascun racconto è presentato un “caso” da risolvere per il detective di turno che, nel caso del “Maniaco”, assume le sembianze del Capitano Euterpe Santonastasio, uomo simpatico e arguto dell’estremo Sud (proviene infatti dalla calda e assolata Sicilia), trapiantato per ragioni lavorative nell’estremo Nord (nella fredda e ventosa città di Trieste). L’originalità dei racconti sta tuttavia nei casi da risolvere, non scanditi mai da una violenza brutale, a meno che non sia psicologica: il maniaco del titolo della raccolta, ad esempio, è alfabetico-repressivo, il cui reato cioè è unicamente quello di inviare missive, splendidamente redatte, contenenti saggi consigli sulla vita a persone i cui nominativi sono stati da lui estratti casualmente dall’elenco del telefono. La presenza del grottesco, dell’assurdo e del surreale, inoltre, contribuiscono a creare un’atmosfera rarefatta, in cui la fantasia compenetra la realtà, fino a diventare parte integrante della stessa, creando così una sorta di “realtà alternativa”, in cui il lettore, guidato dalle vicende e dai personaggi che danno vita ai racconti, si trova, diremmo, inaspettatamente ma piacevolmente coinvolto. Dunque è facile addentrarsi nei racconti, e ciò accade anche per via del trasporto emotivo causato dalla scelta della lingua da parte dell’autore, capace di dar vita a una varietà formale che coniuga elementi aulici, espedienti puramente letterari, figure retoriche di alto lignaggio a elementi meno o affatto nobili (letterariamente parlando), colloquiali, dialettali o perlomeno locali, in altre parole elementi peculiari, tipici del parlato.
Dell’autore del libro, Sergio Sozi, è doveroso – e piacevole – ricordare le origini familiari, radicate nella splendida Umbria, per esattezza nella ridente e antica cittadina di Spello, in provincia di Perugia. Pur essendo nato a Roma nel 1965, infatti, l’autore ha vissuto per molti anni proprio nel capoluogo umbro, per spostarsi poi a Trieste e in seguito a Lubiana, dove attualmente risiede. Giornalista e scrittore, Sozi vanta numerose collaborazioni con Avvenimenti, L’Unità, Il Giornale dell’Umbria, Trieste Arte e Cultura, Idealia. Tra le sue interviste, ricordiamo quelle a Sebastiano Vassali, Diego Marani e Claudio Magris. In Italia e in Slovenia ha avuto importanti segnalazioni e vinto numerosi premi letterari.
I racconti che dànno vita al libro hanno tutti la caratteristica comune di essere dei gialli. Come è nata l’idea del giallo per una serie tutto sommato ampia di narrazioni, relativamente brevi, come i tuoi racconti?
L’idea primigenia da cui si sviluppi qualsiasi cosa, come ogni suggestione ispirativa, offre a chi ne venga richiesto molti spunti per lavorarci sopra di fantasia. Infatti sovente gli scrittori imbastiscono per i loro interlocutori un vasto assortimento di ‘’big bang’’ creativi: da un sogno particolarmente impressionante a un episodio della vita reale, passando per ulteriori accattivanti espedienti (favole tradizionali dei nonni, letture dell’infanzia o dell’età adulta, esperienze trascendentali o allucinogene, ecc.). Io invece sarò un tantino sincero: non saprei, l’idea è uscita semplicemente dalla mia testa una sera del 2002 ed io l’ho sviluppata, curata, seguita… come il cactus che i miei genitori trovarono un giorno nel loro giardino di Spello: be’, visto che ormai sta qui, coltiviamolo.
Dal punto di vista strettamente tematico, i racconti del “Maniaco” sono gialli “sui generis”. Essi infatti non trattano vicende di sangue, violenza o morte, insomma non affrontano il solito campionario di delitti che fanno capo al giallo tradizionale, ma casi al limite dell’assurdo, che talvolta farebbero sorridere se la vicenda non fosse così coinvolgente da persuadere il lettore dell’importanza e del mistero che c’è dietro ad ogni caso. Come mai hai deciso di fare questa scelta?
Sono piuttosto radicale, quando opero delle pianificazioni artistiche di fondo. Ecco: poiché ho ormai raggiunto la saturazione con la cronaca nera (reale o dei libri: un tedio, una noia mortale ovunque! Gli scrittori uccideranno anche noi a voglia di accoppare i loro personaggi!), ho creduto bene di agire di conseguenza, andando controcorrente e pertanto imbastendo delle storie accattivanti ma prive di sangue. Tanto, il sangue oggi è inflazionato, rende poco, sfruttato da tutti questi vampiri. Sono inoltre convinto che la Letteratura possa stupire, sedurre, legare a sé la gente anche rinunciando a ‘’thanatos’’. Però il libro io volevo venderlo ugualmente anche al pubblico del giallo, e dunque… ecco il mio ‘’giallo non giallo’’. Un finto poliziesco che ha tutti gli elementi del genere per farsi acquistare ma subdolamente, sotto sotto, parla d’altro. Il mistero fra le righe resta.
Un’altra particolarità che accomuna i racconti è il protagonista, il capitano Euterpe Santonastasio, che con una simpatia tutta siciliana mescolata ad una lunga esperienza di vita triestina, risulta essere un personaggio dalle molte sfaccettature, che rifugge dalla banalità dello stereotipo (come potrebbe essere appunto un carabiniere) e dimostra di essere in grado di “reggere” bene il dipanarsi di ogni vicenda narrata, senza cadere mai nel “già visto”. A proposito di Euterpe Santonastasio, è facile immaginare che il suo nome non sia stato scelto per caso: dunque, dal punto di vista etimologico ma non solo, esso possiede un significato particolare?
Hai colto nel segno. Euterpe è una delle nove Muse greche figlie di Mnemosine (la Memoria), e il suo nome significa ‘’Colei che rallegra’’. È, nella mitologia, la protettrice delle flautiste e dei flautisti. Per me il nome del protagonista acquista il significato centrale (non l’unico ma il principale) dell’intera serie di narrazioni: portare gioia al lettore. Capiremo dunque, alla luce di questa mia affermazione, quanto ‘’eversivo’’ sia oggi scrivere senza far altro che supporre la cattiveria nell’uomo, di fatto sistematicamente smentendola. Siamo giunti a tanto: non ritenere l’umanità solo malvagia è rivoluzionario! Inoltre, la madre putativa di questo carabiniere Euterpe è la ‘’Memoria per eccellenza’’, come abbiamo detto; così posso presentare un’ulteriore metafora: Euterpe è ‘’libero’’ di essere raccontato mediante qualsiasi parola sia mai apparsa sulla faccia dell’Italia, sin da quando l’homo italicus iniziò a scrivere. La memoria italiana sta nel vocabolario, in Dante, in Petrarca, eccetera… Ed io, dunque, tramite il suo ‘’figlio moderno carabiniere’’, mi sento libero di attingere a piene mani a tutto quanto sia compreso nella Storia Letteraria italiana. Il lettore attento, grazie alla genealogia mitologica, ne è stato avvisato: sa quel che ‘’rischia’’!
Sarebbe azzardato o addirittura inopportuno, a prescindere dalle grandi differenze tematiche e stilistiche, tracciare un paragone tra il Capitano Santonastasio e il celebre Commissario Montalbano di Andrea Camilleri?
No. Sarebbe solamente ovvio. I due però hanno a che spartire ben poco: la sicilianità, l’essere scapoli, il carattere istintivo e un po’ strampalato, un qualche interesse per le letture impegnative. Le differenze sono invece tante, due mondi diversi: Euterpe è un anziano carabiniere, non un commissario di polizia quarantenne, beve troppo e penso si senta frutto di un verso di Palazzeschi (‘’…Saltimbanco dell’anima mia’’, magari), è visibilmente legato a delle tradizioni di retaggio piú che ottocentesco (è un italiano antico insomma), legge quasi esclusivamente i classici greci e latini, vive a Trieste (se ne è dovuto andare dalla sua Regione perché rischiava di far la fine di Dalla Chiesa), la sua moralità e i suoi conseguenti comportamenti professionali si riferiscono ad un campo religioso-etologico ibrido cattolico-pagano. Euterpe, a dirla tutta in breve, è il mio cavallo di Troia per asserire l’insuperabilità, in Italia, delle radici di pensiero che ci hanno formato: il cattolicesimo e il politeismo greco-romano. Questo carabiniere sembra il dipinto di un sogno ad occhi aperti, una finestra su Orazio o Omero, un fantasma pedantesco, ma in verità consiste nella mia opinione su quel che noi italiani siamo ‘’dentro’’ tuttora.
L’elemento surreale, assurdo, grottesco ha una presenza rilevante nei racconti e senza dubbio possiede una sua funzionalità. Puoi spiegare il motivo di fondo dietro questa scelta?
Felliniamente, qui si esagera, per scuotere il lettore e dargli delle immagini forti, dense, a volte significativamente ambigue, dunque passibili di letture pluripiano; e il fine di questa voluta, strumentale, forzatura in senso circense, come potrebbero confermare anche Bulgakov, Palazzeschi, Gadda, Bontempelli, risiede nel ‘’Rappresentare la realtà come se fosse sogno ed il sogno come se fosse realtà’’ (parole di Massimo Bontempelli). Infatti, dietro al primo significato di base che abbiamo prima illustrato (quello di scoprire la vera essenza storico-filosofica del nostro popolo), alligna un secondo senso, altrettanto se non maggiormente fondamentale: definire la realtà temporal-mondana come una continua apparizione all’uomo di un insieme di simboli e metafore, mascherati da eventi, che dovrebbero portarci a sentire la nostra vita come unita all’esistente (anche a quello minerale e vegetale), in vista di una seconda esistenza, il cui mistero potrebbe anche svelarsi un giorno in tutta la sua piacevolezza, purché l’uomo si sforzasse di avere fede in esso. Rappresentare la realtà ‘’a tinte folli’’, per me significa solo prospettare la mia speranza nella realtà ultramondana e nel suo possibile ottenimento finale grazie ad una qualsiasi fede religiosa tesa all’amore: l’ordine celeste dopo il nostro variopinto caos. Oltre a ciò, bisogna dire che le pennellate surreali, grottesche, assurde, donano ad ogni situazione un ‘’che’’ di irresistibilmente umoristico che porta me stesso in primis a ridere, come uno scemo, davanti alla carta bianca. Che ci vuoi fare… mi hanno fatto così!
Una delle caratteristiche che maggiormente saltano all’occhio nel leggere i racconti è il tuo peculiare stile linguistico. Senza giri di parole, possiamo ben affermare che la tua scrittura, per la varietà e la “difficoltà” di espedienti linguistico-stilistici, non è destinata ad un pubblico di lettori aventi un misero bagaglio culturale, anzi, talora anche il lettore “colto” può far fatica a comprendere subito alcuni termini o alcune espressioni usate nel testo – il che, per inciso, è un bene perché spinge ad approfondire alcuni argomenti oppure a colmare eventuali lacune. Ciò detto, a che tipo di pubblico vuoi far riferimento?
Qui non sarò per nulla umile, né discorsivo. Come ogni scrittore che si rispetti, io scrivo e basta. Già questo atto ha in sé, ammesso che ce l’abbia, una sua destinazione d’uso… Che io non conosco e che non mi chiedo. Scrivo per chi non sia analfabeta.
Ricordiamo che, pur essendo nato a Roma, hai trascorso tuttavia gran parte dell’adolescenza e della giovinezza in Umbria, in particolare a Perugia, dove hai vissuto per molti anni. In seguito ti sei trasferito in Slovenia, e hai insegnato a Trieste. Nel “Maniaco e altri racconti” sono presenti molti elementi che fanno riferimento ai luoghi della tua esperienza di vita: possiamo dunque dire che per certi versi c’è anche una componente autobiografica?
Tocchiamo un ferro incandescente, vero? Spero che non ti paia evasiva, retorica, presuntuosa o pomposa, questa mia affermazione: come qualcuno di antico (Lucrezio, se non erro) diceva ‘’Homo sum, nihil umano a me alienum puto’’ (‘’Essendo io un uomo, niente che sia umano mi risulta estraneo’’), io devo dire di essere solamente italiano, non romano, perugino, spellano o triestino, tantomeno sloveno. Italianus sum, ergo… niente che appaia in Italia mi è estraneo. Ho ambientato un’altra serie – ancora inedita – di racconti in ognuna delle nostre venti Regioni politico-geografiche. Venti racconti per un’Italia sola, ma grande e unita.
Nei racconti fai uso di forme dialettali – o locali – che si mescolano a latinismi e a neologismi e che danno molta vivacità alla narrazione. Raccomanderesti ai “letterati di domani” – ma anche a quelli di oggi – di usare il dialetto in letteratura come forma di arricchimento linguistico-espressivo del testo e di non bandirlo “in toto” come spesso alcuni hanno fatto e continuano a fare?
Sicuramente sì! Soprattutto utilizzando i termini disusati che sono compresi nei repertori linguistici piú completi – visto che la nostra magnifica lingua è cresciuta dall’ 800 d.C. agli anni ’50 del secolo XX grazie agli apporti regionali e che oggi deve continuare a svilupparsi autonomamente e rigogliosamente, contrastando lo strapotere dell’inglese americano e di ogni, meno ‘’ammirato’’, idioma straniero. Anche i dizionari dei dialetti ben vengano, sempre ‘’cum mensura’’. Questo utilizzo, però, non intacchi minimamente la perfetta definizione grammatical-morfosintattica e fonologica dell’italiano letterario, la stabilità insomma dell’architettura tradizionale. Sono felice di iniziare a sentire gli italiani parlare bene in lingua, ma serve una maggior espansione dei sinonimi, serve piú fantasia nell’esprimersi tramite le mille (accademicamente accettate) forme sintattiche, anche poetiche, che l’italiano concede. Oggi servono, in Letteratura, una maggiore personalità, un eros e una vitalità piú presenti e un coraggio assertivo che ci porti fuori dalle grinfie di certi editors dalle idee piatte e ammorbanti (io sono stato fortunato: la mia caporedattrice è stata veramente gentile nel propormi le sue modifiche). Comunque il discorso sulla lingua sarebbe lunghissimo: altro che un colloquio – seppur bello come questo.
Ilaria Bellatalla
@ sergio:
grazie mille del post soprastante. adesso passo in segreteria di redazione per mettermi in ferie e per quando tornerò (aprile 2012, credo) l’avrò letto tutto
🙂
Grazie di nuovo a tutti.
A Carlo Enciclica: io sarei uno dei ”capidiavoli-guide” del tuo bel racconto? Mi ci vedo bene: ”Ragazzi, affrettarsi, che i posti per la gita d’istruzione commentata all’Antinferno sono quasi esauriti.”
A Luca Gallina: ”Riesco a riconoscerti tra gli ospiti presenti,nel salone degli affreschi,perché: non stai mai fermo e continui a congratularti con gli altri,dimenticandoti di essere Tu il festeggiato.” Il tuo e’ uno dei migliori complimenti che abbia mai ricevuto. Amore ricambiato: perche’, se non per amore, scrivere e’ ingiusto.
A Elektra-ragioniera/a: ”non ti curar di loro, ma…”
A Cicerone 1: grazie per aver pubblicato quell’intervista da parte del giornale col quale ho collaborato due anni – e sul quale ogni tanto ancora pubblico qualcosa. Il mio ”barocco puro”, come dice Enrico Gregori, forse a volte necessiterebbe di qualche nota supplementare. Chi voglia la puo’ trovare qua sopra, questa ”nota a pie’ di pagina”.
Sono comunque grato a tutti per la stima e l’affetto dimostratimi. Chi volesse invece saper cosa penso della prosa del Gregori, vada nel settimanale on-line http://www.libmagazine.eu di questa settimana.
Ci sentiamo qui
Vostro
Sergio
@ Enrico
A fine post posso fare un uso privato: mi si è bloccato il sistema di posta,
Enrico ho letto la mail sui dati persi ma non ti posso rispondere.
E Ulderico non risponde al telefono; sono l’unico al mondo ad avere un tecnico web con un nome medievale.
Ho letto sommariamente il siparietto; delicato, gradevole; un po’ “volemose bene”; Sozi è bravo, poi, le varie signore che glielo dicono spesso, lo costringono a pavoneggiarsi, lo intrappolano nel personaggio, probabilmente gli fanno del male, spesso se ne fa lui stesso: non può scrivere “biondoeburneo” se vuole che i suoi libri vengano distribuiti negli Auchan o nelle Ipercoop; non può costruire una storia cosi splendidamente surreale e farla inciampare in un finale sconcertante, un finale ideologico che sconfessa un umorismo nato apolitico. Non sono d’accordo neanche con Franco & Ciccio, una storia del genere, sceneggiata da Cerami sarebbe degna dei surrealisti milanesi, Felice Andreasi, Renato Pozzetto, Claudio Bisio:
@Sergio
ti invidio “Il Maniaco”, che può diventare un autentico romanzo con tanto di sequel, questo è un tranquillo divertissement.
Spero tu mi voglia bene lo stesso!
@ francesco:
insistendo dell’uso privato da fine post non rimane che augurarci che il tuo tecnico medievale giunga a te con alambicchi e pozioni magiche per poter ripristinare il sistema di posta
Questo invito mi ha ricordato un episodio al quale ho assistito molti anni fa, se non fosse capitato a me lo avrei preso per una barzelletta. Né in posta e neppure in banca bensì in comune dove dovevo rinnovare la carta d’identità.
Allora non c’erano ancora i numerini e si stava, pazientemente, in coda.
Due o tre posti davanti a me, nella fila, c’era una coppia abbastanza giovane, Dovevano aver sbagliato per la seconda o la terza volta la compilazione del modulo, allora il gentile impiegato li ha aiutati. Ha fatto le domande i rito ed è andato tutto bene fino a:
“Coniugato?”
“Sì”
“Con prole?”
“No, con Maria”
“Ma cosa ha capito? Ha figli?”
“Sì. Un prolo e una prola”
@Enrico:
Pilato!
@ francesco:
nel mentre che tu ti stai abbrutendo nell’onanismo sfrenato, io ho ritrovato tutti i tuoi dati
Caro Francesco Dido’: certo che ti voglio bene ugualmente, perche’ hai ragione: questo e’ un tranquillo divertissement. Ma a me non sembra poi tanto ”ideologico” questo ”finale di partita”: e’ un modo per concludere la storia, sia in modo inaspettatamente armonico e unanime, sia all’ombra di una Dike un tantino piu’ concreta nell’aiutare gli uomini a convivere fra loro con equita’.
Sergio
P.S.
Se io mi pavoneggio, Maugeri e Gregori che fanno? Gli mancano solo i vestiti – rispettivamente – di Anfitrione e Eumolpo, per entrare a pieno titolo nella storia della Letteratura di tutti i tempi (Absit iniuria verbis)!!
Tecla,
la tua storiella sembra una barzelletta, dici il vero: proponila a Frate Indovino – quello del calendario, dico, non il fratello di Calcante!
Bentornata – da tanto che non ti sentivo qua in giro.
Del mio racconto cosa ne pensi? (Se vuoi, i primi tre capitoli sono all’inizio del ”post”, il quarto assieme al finale poco prima di questo commento).
Abbraccioni!
Sergio
Dido’:
insisto su Franco e Ciccio (o al limite Ciccio-Villaggio)!
Buonanotte, caro
S.
Solo una cosa mi spiace davvero: dov’e’ finito il forte Gianfranco Franchi? Mi aspettavo di leggerne l’opinione!
Gianfranco! Vieni, per favore!
Sergio
@ sergio:
io mi pavoneggio? non credo…..
come scrisse Carmelo Bene “sono apparso alla Madonna”
🙂
Ah si’, Enrico? Be’, anch’io sono apparso… ma molti vorrebbero che scomparissi!
E Gennaro Iozzia, Rosa Fazzi, Outworks, Gianfranco Franchi, Maria Lucia Riccioli, Laura Costantini (e relativa coautrice), dove sono finiti? Ehila’! Vi aspetto qui a massacrarmi!
Vostro
Sergio
A Simona: carine le vecchiette in Sicilia! Meglio restare sempreverdi.
… Poi ci sarebbe ancora una persona che mi piacerebbe sentire: Elisabetta Sgarbi.
Sergio, ho l’impressione che chi desiderava commentare l’ha già fatto.
Io, dal canto mio, ho notificato il post a tutti gli iscritti alla newsletter.
Giusto, Massimo. Non intendo stare a supplicare nessuno di leggermi, ne’ l’ho fatto. Erano solo degli inviti amichevoli a persone che finora ho potuto leggere e stimare in questo blog.
Inoltre, io qui in Slovenia faccio per gli altri (italiani, sottolineo, che io ce l’ho una Patria) faccio dicevo quel che nessuno fa per me, lo sai? Te lo dico per la prima volta. Ecco: un po’ come te, ma trattato a cavoli in faccia. Faccio tradurre PER LA PRIMA VOLTA ASSOLUTA (niente di loro esisteva prima in lingua slovena) gente come La Spina, Marani, Vassalli, Lodoli, Vinci, Camilleri, De Luca, Benni, Ballestra, Daniele Del Giudice. E sai qual’e’ il risultato?
Senti che e’ interessante. Tutti gli altri non li ho mai sentiti, ma:
Marani (l’ho fatto venire anche qui in Slovenia con TUTTO spesato piu’ cachet a parte, per tre giorni) dice che non puo’ parlare del mio libro (gliel’ho inviato gratis, mentre io i suoi li ho comprati di tasca mia) nell’inserto in cui scrive da anni perche’ lui fa quel che il giornale gli chiede e stop.
De Luca aveva a che ridire sulla traduzione slovena (oddio: l’illustre adesso sa anche lo sloveno).
Daniele Del Giudice mi scrive solo per avere una copia del libro – senza sapere che la cosa spetta all’editore sloveno; poverino: di sicuro trenta euro non ce li ha per ordinare una copia a Lubiana.
Benni mi nega un’intervista con la scusa che era fuori Italia.
Lodoli ha ricevuto il mio libro ”Il maniaco” ma ha un tono non propriamente simpatico al cellulare: scusi ho cose urgenti, non posso ascoltarla (intendansi: macchicavolo e’ ‘sto Sozi che rompe!?).
NON POSSONO, loro.
Io invece DEVO POTERE proporli qui, loro, i Dantini della Letteratura contemporanea.
E sai perche’ una persona a me assai (assai sul serio) vicina non mi propone per la traduzione (e lo potrebbe fare a chiusocchi) e preferisce che io vada a lavare i vetri alle finestre, piuttosto preferendo, lei stessa, tradurre delle altre ciofeche italiane?
Perche’ ha un certo nome nell’ambiente letterario sloveno, quindi NON PUO’ proporre un autore che scrive per un microscopico editore.
Seri all’eccesso da un lato e… lasciamo stare la definizione, dall’altro. E io sto in mezzo. Imbufalito anzichenno’.
Scusami per lo sfogo.
Sergio
Dimenticavo: inoltre qui avere un legame personale con qualcuno dal cognome importante NON APRE LE PORTE MA LE CHIUDE. Impariamo.
Caro Sergio,
ti capisco benissimo e capisco il tuo sfogo. E hai tutta la mia solidarietà.
Io però penso questo. Se c’è una cosa che pensi di poter fare (o voler fare) per gli altri – perché la ritieni giusta, utile, costruttiva, ecc. – è bene farla e basta. Senza aspettarsi nulla in cambio.
Ti faccio un esempio.
Io ti ho dato una mano a promuovere il tuo libro e a far conoscere Sergio Sozi (che peraltro era già noto). E ho anche aperto una rubrica a tuo nome all’interno di questo blog.
Ti ho mai chiesto qualcosa in cambio? Ti ho mai chiesto, per esempio, di fare qualcosa per “Identità distorte”?
Certo. Solo che io NON POSSO fare altri lavori. Io DEVO darmi da fare nel mio campo, se no ho solo le peggiori alternative.
E poi mi sembrerebbe molto cristiano fare qualcosa per chi fa qualcosa per te. Cosi’ dovrebbe funzionare un ambiente di persone con qualcosa di simile all’onore e alla riconoscenza nell’anima.
Io infatti, se potessi fare qualcosa per te e per Letteratitudine – alla quale devo un’immensa gratitudine – lo farei senza pensarci. Col cuore e con il sangue.
Sergio
Ma non devi fare nulla, sta’ tranquillo.
Punta a trovare la serenità. Concentrati sulla tua famiglia e sulla tua scrittura (con questo ordine di importanza). E armati di pazienza.
Vedrai che i risultati arriveranno.
In fondo in questo post hai riscosso tanto successo.
E non è già questo un risultato degno di nota?
🙂
Insomma, mi sto accorgendo che la gente e’ sempre pro domo sua. Piu’ la onori piu’ ti ignora. Io sono diverso. Tu sei diverso. E appena avro’ letto il tuo libro (non c’entra niente ma te lo dico) vedrai quel che faro’ – con tutta l’onesta’ e la completa serieta’ che mi e’ concessa da Dio.
Il racconto e’ piaciuto e ne sono grato a tutti. Tutti appunti sappiano che Sergio Sozi guarda solo ed esclusivamente al merito e vuole esser guardato con gli stessi parametri.
Il mio libro potrai usarlo per “pareggiare” i piedi di un tavolo.
Oppure al momento del bisogno… per fini igienici. È carta di ottima qualità.
Non ti preoccupare, Sergio. Pensa a Euterpe. Mi ha detto che se non ci pensi tu a lui… è come se cessasse di esistere.
😉
@ sergio:
con tanta simpatia…..adesso falla finita oppure ti costringo a una cena con me e vito ferro
… be’… e’ stata una brutta serata. Per me. Scusatemi. Veramente. Ma sappiate che non rinnego mai un’affermazione fatta seriamente: come mi sento io stesso trascurato dai ”tromboni”, faro’ si’ di non trascurare chi valga sul serio come scrittore. Sempre.
Bacioni
Sergio
Ciao Enri’. Scusami anche tu… e te lo dico non per ”paura” di una cena con te e Ferro. Ma perche’ a volte mi sento tremare la terra sotto ai piedi. Solo, fuori Italia, capendo tre parole di sloveno, eccetera. Solo. A cento chilometri da Lubiana non posso andare a lavorare (Trieste), anche perche’ ho dimenticato di rifare la domanda per l’iscrizione alla graduatoria degli insegnanti precari e dunque sono fuori per qualche anno almeno. Almeno. Mannaggia, ragazzi. Me la vedo…
Sergio, ai nostri livelli con la scrittura non si può campare. Io ti capisco, sai? Ma hai il dovere nei confronti tuoi e della tua famiglia di trovarti un lavoro alternativo e andare avanti. Con dignità. Qualunque sia il lavoro.
Ed è quello che stai facendo.
@ sergio:
ma de che te devo scusa’! vattene a letto e sogna moccia e la tamaro che scrivono un libro a 4 mani
Gia’. Ma soffro di agorafobia e vertigini e parlo poco lo sloveno – l’inglese e il francese si’, ma… non da linguista. Ma ora basta. Buonanotte.
Inoltre se guido per piu’ di mezz’ora mi iniziano le crisi di panico. Non posso farlo. Vado in treno, appunto, e a piedi pochissimo.
Va be’
Meglio sognare la Tamaro che canta la Traviata con Moccia al pianoforte, no?
Buonanotte
E di nuovo scusatemi. Come dire…
…ecco: dico che mi rimetto i vestiti e fingo di non esistere. Almeno il mio occhio esterno (il terzo occhio che, mi dice mia madre, mi ha sempre assistito e salvato) potra’ vedere un Sergio dormiente sulle rive di un fiume come Dante, che in un ”vasel” vorrebbe vedersi a ridere e scherzare con i suoi piu’ cari amici. Sulla barchetta di un sogno d’eternita’. A casa sua. Una casa interna al suo corpo e al suo animo. Una casa eterna.
Sergio
(ho appena unito tre immagini: la riva, il fiume, la barca e la casa. Cosa vorra’ dire? Che vorrei che la mia casa fosse dovunque dovessi andare durante la vitaccia? Forse anzi che desidererei rimanere a casa sognando, in un eterno sonno, di esser dappertutto. Mah.)
quattro immagini
Caro Sergio Sozi, Voglio manifestarti la mia stima e solidarietà umana come tutti i tuoi due fidati amici di scrittura, rispettivamente, Massimo Maugeri,Enrico Gregori,se me lo consenti,che vorranno considerare l'”indignazione” un sentimento gridato non solo, per altisonanti istanze civili.A tal proposito,desidero raccontarti un aneddoto che riguarda un illustre premio Nobel italiano, preferisco non fare il nome pubblicamente,che si è trovato in seria difficoltà, per un certo periodo della sua vita, di produrre il reddito necessario al mantenimento della propria famiglia; dovendo Lui stesso accettare che sua moglie, che lavorava, provvedesse al mantenimento di entrambi; i miei genitori hanno vissuto nell’appartemento affianco, in una casa signorile, in Milano:”la discussione quotidiana verteva da parte della moglie di rinfacciare al poeta,letterato futuro premio Nobel italiano, di non andare a lavorare nel senso tradizionale e poter mantenere, così,la propria famiglia”,questo mi è stato riferito dai miei genitori che li frequentavano da buoni vicini discreti.Caro Sergio Sozi,
questo post, consideralo la mia riconoscenza nei tuoi confronti, perchè Ti sbatti quotidianamente in questo blog-gratis e, volendo stare al gioco raffinato degli intellettuali partecipanti, ritengo giusto che Tu sia egocentrico come i Tuoi più cari amici!Perchè, secondo me, quello che Tu ci esponi non Ti deve essere rinfacciato come un tuo sfogo personale,non credo proprio, bensì come la capacità di Tutti Noi di ascolatare un buon amico di scrittura degno di stima.
Con affetto,
Luca Gallina
P.S. Caro Massimo Maugeri, il mio post vuole solo significare che Tu sei riuscito a creare una bella compagnia di amici di scrittura e che condividere o confrontarsi con le idee,come Tu sai bene, produce vera e sentita “Umanità” consapevole.Ciao Massimo Maugeri,grazie,vorrei leggere il Tuo libro, dove posso comprarlo a Milano?
scusate se scrivo con pseudonimo, ma preferisco così.
mi rivolgo a luca: “questo post, consideralo la mia riconoscenza nei tuoi confronti, perchè Ti sbatti quotidianamente in questo blog-gratis”.
ora, siccome anch’io scrivo e siccome questo è uno dei siti letterari più seguiti anche a me piacerebbe avere uno spazio/rubrica come quello di sozi, che ha un’ottima funzione promozionale e pubblicitaria. non dico che per averlo sarei disposto a pagare, ma quasi. però, evidentemente, non c’è spazio per tutti.
non voglio essere polemico con te, massimo maugeri, che avrai capito certamente chi sono. lungi da me, perché tu sei persona onesta e corretta.
ma mi faceva piacere mettere i puntini sulle i.
Sergio… Fammi leggere con attenzione… Sto affilando i coltelli!!!
🙂
Mi sento fra amici. Dunque:
1) Grazie a Luca.
2) Grazie a Maria Lucia: con me sii spietata come Ulisse coi Proci!
Abbracci a tutti voi
Sergio
A ”jerk”. Lo so, questo e’ un privilegio. Spero di meritarmelo lavorando per me e per la comunita’ senza credermi Dante, visto che sono un nano. Un nano utile, pero’, vorrei tanto!
Ciao
Sergio
Sergio, mi fai soffrire quando leggo queste tue amarissime parole! Vorrei consolarti dicendoti del filosofo Spinoza, che economicamente se la passava malissimo, e che per guadagnarsi qualche soldo “tagliava” le lenti, era solito dire e ribadire che un pensatore che non sappia fare anche un altro mestiere, è come minimo un furfante. Io, nei mie momenti tesissimi (anche quelli attuali non sono facili) avevo appeso quella frase sulla porta della mia stanza… e concentrandomi ho inventato e imparato mille mestieri. Tieni presente che ho anche sempre dovuto combattere con l’equilibrio incerto delle mie gambe. Non c’è niente di male a fare un lavoraccio! Tu, poi, puoi camminare liberio, senza limitazioni e impedimenti.
Ti abbraccio, Miriam
Sergio, non te la prendere. Sarà pur magra consolazione, ma io campo di un lavoro che al momento è fortemente a rischio. Per cui scrivere è una grande valvola di sfogo. Mai pensato che potesse darmi da vivere (ammesso di valere qualcosa). In quanto al nome ed al cognome anche, ebbene nessuno dei due è famoso o altisonante. Anzi. Potrebbe essere citato da Eco quale icona dell’uomo comune. Sergio tu dai un grande contributo qua dentro e sei apprezzato. Sei burbero certo, ma superato il primo impatto sei una persona molto ricca dentro. Godi di ciò, amico mio. Che oggi ci siamo, domani chissà.
Io come vedi faccio il vaso, qualcuno ci mette dentro dei fiori di campo, qualcun altro delle rose. Il più delle volte rimane vuoto.
Ti abbraccio
p.s.
Comunque mi sono divertito con il tuo racconto (plautino).
a Jerk:”non voglio essere polemico con te, massimo maugeri, che avrai capito certamente chi sono. lungi da me, perché tu sei persona onesta e corretta.
ma mi faceva piacere mettere i puntini sulle i.”.Certamente, peccato che i puntini sulle i,non centrino niente,forse, è meglio meritarselo lo spazio su questo blog: e non vantare pretese!mi farebbe piacere conoscere il parere al riguardo: di quanto la cultura non paghi sempre e comunque: direttamente a giulio prosperi:giovane intellettuale,promettente scrittore e impaziente di farsi conoscere anche lui;in questo mondo letterario senza meritocrazia.Potrebbe valere, anche,un gradito intervento al riguardo da parte di Vito Ferro:largo ai giovani!
A Sergio:
per un attimo nella tua risposta a Jerk ho pensato che tu citassi Dante, per riferirti al Conte Ugolino che saprebbe cosa fare in certe situazioni.
E ti confermo che attorno a Te hai dei veri amici, che ti sostengono moralmente,questo non vale per Jerk.Io sono d’accordo con Massimo Maugeri,Enrico Gregori,Miriam Ravasio: sulle priorità suggerite a te da Massimo e nel dover credere nelle tue capacità,anche riguardo la Tua alternativa di lavoro,espresse da Enrico e Miriam.Non dovendo,aggiungo io,giustificare mai la tua dignità e onestà intellettuale ad alcuno e mi riferisco a Jerk, alias ……….io l’ho riconosciuto!
Luca Gallina
Nessun uomo e’ solo un vaso. Siamo tutti dei vasi ricolmi di feconda terra. Poi, dipende da ognuno di noi se farvi fiorire rose e ortensie o se darla in pasto ai vermi. Le arti sono quei semi che noi ospitiamo, qui a Letteratitudine. Ciascun vaso-uomo li coltiva come meglio puo’. Io… boh. Non sono bravo nel valutarmi, pero’ lo faccio per ”mestiere”: come valuto gli altri valuto me stesso, senza altro pregiudizio se non quello della Storia letteraria d’Italia. In confronto alla bellezza della quale sono perfettamente conscio di essere del tutto epigonale. Faccio quel che posso, ecco. Anche perche’ la vicinanza degli italiani per me e’ vitale, nel posto in cui vivo da quasi otto anni. In pratica io vivo con voi solo tramite questo ”computatore”. Uno dei pochi casi casi in cui la tecnologia mi aggrada!
Grazie a tutti – in special modo al fin troppo umile Eventounico e alla cara Miriam!
Vostro
Sergio
Non mi piacciono le polemiche ad personam. Credo sia meglio cambiare argomento. Siamo qui per parlare di Letteratura, dopotutto, vero?
Inoltre io voglio bene a tutti e non ce l’ho mai con nessuno: sono un po’ severo con i prodotti letterari altrui oltre che con i miei (prima di tutto), ma, quando si parla di uomini in carne ed ossa, il discorso cambia: non spacco capelli in quattro, non ho risentimenti, non accumulo odio o intenti vendicativi. Faccio solo il mio mestiere. Tutto qua.
Un tenero e fraterno saluto a Luca, Miriam, Jerk, Evento, e a Maria Lucia (che fra poco secondo me mi disossa!! Ah! Ah!).
Sergio
@ Jerk:
Caro Jerk, scusami ma in verità ho qualche difficoltà a identificarti. Ma non importa. Se sei disposto a pagare sono disposto ad aprirti tutte le rubriche che vuoi. Vanno bene i bonifici in conto corrente; ma accettiamo vaglia postali, assegni e quant’altro.
Anzi, sai che ti dico? Tolgo le rubriche agli altri e le intesto solo a te.
Chissenefrega! Per i soldi questo è altro.
😉
Scherzi a parte, Jerk. Io vorrei dare spazio a tutti. Davvero. Per questo motivo ho aperto i due spazi liberi che conoscete.
Lo ripeto ancora una volta.
a) Avete dei libri da presentare o recensire? Vostri, o di vostri amici, o di sconosciuti? Scrivete pure nello spazio “Presentazione di libri ed eventi” (colonna di destra del blog). Lo spazio è totalmente a vostra disposizione.
b) Avete voglia di dar sfogo alla vostra creatività? Poesie, racconti, o quant’altro?
Utilizzate pure “Iperspazio creativo” (sempre colonna di destra del blog).
Questi due spazi sono a disposizione di tutti.
Usateli.
Più di questo, davvero… non so che fare.
grazie a tutti per i vostri commenti.
–
@ Luca Gallina:
caro Luca, grazie. “Identità distorte”, ormai, è difficilmente reperibile. La prima tiratura è stata venduta e al momento non ci sono i presupposti per pensare a una seconda. Qualche copia sarà pure rimasta in giro invenduta, ma non saprei dirti dove. Se ti interessa davvero puoi provare a richiedere una copia direttamente alla casa editrice “Prova d’autore” (sperando che ne abbiano ancora in dotazione): provadautore@iol.it
Altrimenti non preoccuparti. Enrico o Miriam o qualcun altro saranno lieti di leggerti il testo per telefono.
😉
Sergio, schiena dritta ora! Okay?
Mi raccomando! Non voglio vederti con la gobba.
Di intellettuali con la gobba conosco solo Andreotti.
😉
@ massimo:
e Leopardi?
Enrico, Leopardi non è vivente.
E poi, qui a Letteratitudine l’unico che scrive “A Silvia” (magari per prenderci il caffè) sei tu. 🙂
P.s. inflazione di faccette, oggi
@ massimo:
e tu il caffè prendilo con elektra. ma attento all’arsenico
🙂
Semmai posso prendere “tè (non un caffè) prima di morire”.
Un pazzo ci ha fatto anche un libro!
🙂
…Adesso vado a leggere la recensione ”leopardiana” di Gregori e poi commento nell’aposito spazio. Intanto so che la Riccioli sta leggendo me qui ed e’ pronta a farmi la festa. Chi fara’ prima?
Amletico dubbio.
S.
Massimo: si’, schiena dritta, cosi’ le legnate arrivano meglio e da’ piu’ gusto darmele.
Sergio (tornato) Spiritosus
Caro Massimo, già da tempo avrei voluto farvi leggere qualcosa di mio… ma non visualizzo lo spazio a destra del blog dove tu dici che possiamo presentare eventi, libri oppure scrivere qualcosa di nostro. Come posso fare?
🙂
@ Sergio: trema… sto leggendo!!!
Anonimo: si’, va bene cosi’: sono letterariamente masochistico!
Baciamano
Sergio
Ero l’altro giorno in un negozio di materiale elettronico, e avevo preso il biglietto “eliminacode”. Avevo il n° 62.
Dopo un po’, facendo un gesto che nessuno, in genere, fa, ho posato sul bancone il biglietto in questione, con sopra una vecchia batteria, che avevo portato per averne una nuova uguale. Mi sono messo a passeggiare per il negozio: il numero era ancora lontano.
Vedo a un tratto che un tizio solleva furtivamente la piccola batteria, per leggere che numero avevo. Lui si era accorto poco prima, che l’avevo lasciato io, il bigliettino. Passa un altro po’ di tempo, ed entra un altro tizio, di mezza età. Si dispone proprio accanto alla mia vecchia batteria con sotto il tagliando, e vedo che parlotta con il primo cliente. Dopo un po’ viene chiamato il numero di questo primo cliente, e rimane accanto al mio biglietto, controllato a distanza da me, il secondo tizio.
Passa ancora qualche minuto, hp un presentimento, mi avvicino al mio biglietto, lo prendo e lo leggo: sorpresa, aveva cambiato numero! Adesso recava scritto 71. Rimango interdetto, mentre l’altro, accanto a me guardava e non diceva niente. Poi azzardo “Scusi, ma lei che numero ha?” E quello, candidamente, mi fa vedere il mio talloncino. Io dico, sottovoce e con sarcasmo “Mi compiaccio…”. Mi prendo il talloncino, gli do il suo, mentre lui bofonchia “Credevo che il cliente fosse andato via, abbandonando la batteria, e mi sono così preso il suo tagliando”. Io ripeto “Mi compiaccio…”. Poi, di fronte alle sue reiterate affermazioni, faccio ripetutamente e lentamente di sì con la testa, e mi allontano con la batteria e il talloncino.
Poco dopo tocca a me.
Nota: se le cose erano andate come lui diceva, si sarebbe limitato a prendere il mio tagliando, e non a sostituirlo con il suo…….
Spesso faccio queste “prove”, per vedere come reagisce il pubblico “furbo”, sempre alla ricerca spasmodica di fregare il prossimo, e di accorciare i tempi di attesa.
Anche questo è un primitivo test di psicologia.
… Caro Vito: perche’ un giorno non fa l’esperimento con il Suo portafogli?
Saluti Cari e grazie per il simpatico aneddoto.
Sozi
P.S.
Le e’ piaciuto il mio racconto? Se vuole, sta qui a Sua disposizione per critiche e libere opinioni: primi tre capitoli all’inizio e quarto capitolo piu’ epilogo poco sopra questo commento.
Caro Sergio,
solo ora leggo il tuo sfogo amaro, e mi dispiace, perchè vedo bene che la genialità di Euterpe è frutto di un creatore generoso, che sa sorridere a dispetto delle delusioni della vita.
Credo però che il bilancio di questo post sia assolutamente positivo e incoraggiante avendo riunito intorno a te le persone che ti seguono con più affetto e divertimento, scrutando i tuoi passi con enorme simpatia umana e solidarietà.
Sento di dirti che ti sono vicina e che Euterpe è un figlio fortunato.
… eh, Simona cara: ho una formazione familiare strana, io, per esser un italiano (umbro-laziale): una formazione del tutto rigida nei confronti delle arti e della moralita’ (ossia dei VERI sentimenti), ma morbida verso le vicissitudini umane altrui. Infatti io saprei firmar cambiali per aiutare a vivere di Letteratura uno scrittore che mi piacesse veramente e manderei all’esilio a vita un pessimo ”artefice”. Invece, davanti all’umanita’ in quanto tale, io, reputandola nel fondo buona e bella, sarei portato a baciarla e tenerla fra le mie braccia per conservarla tale. Bella e buona.
Un fondo di stupidita’, Simona, come vedi, e’ dentro la mia scrittura. Modeste entrambe, ma non tanto, chissa’ perche’, da non meritare una bella affettuosa carezza da parte tua e di tutti gli altri con i quali vige un rapporto di onorevole e feconda amicizia. O meglio di amore amichevole.
Ti ringrazio
Tuo
Sergio
Gia’: Luca Gallina mi ha appena ricordato che Giulio Prosperi non si fa sentire da un pezzo. Giulio!!! Mi manchi! Iu missmi, cambec om, plis! (You miss me, come back home, please!)
Sergio Sozi
Sergio caro,
continua a tenere tra le braccia l’umanità tutta intera con le sue fragilità e a considerarla bella e buona.
Non è stupidità, è stare dentro le cose. Viverle come stelle. Essere stella, se mi permetti , Sergio.
…e le carogne continuarono tranquillamente a proliferare grazie alla moltitudine di “Simone” in circolazione. Però, tanto di cappello ai tuoi sentimenti così “siderei”.
A Enri’: le carogne vanno abbracciate in galera. Pero’ abbracciate anche li’.
S.
A Simona, pensando all’uomo:
AL POVERO ASTRO
O stella che perdi
ognor della luce
vedi dove il piede
lasso mi conduce:
Venus, Mars, Luna?
No, tra le radici
le talpe e la bruna
terra che gli amici
vivi e morti sanno
baciar con affanno!
Sergio
(tra i senari c’e’ un quinario che m’e’ sfuggito, porca mis… vabbe’.)
NOTA CORTESE PER IL MAUGGER CORTESE PALADINO:
Perdonami, ariosteo anfitrione e sodal dal cuore leonino, ma devo dirti che in questo ruggente blog non si puo’ scrivere una poesia od altro di richiedente spazi e righe bianche perche’ NON POSSIAMO SALTARE DELLE RIGHE. E cio’ contrasterebbe un po’ con certe modalita’ tecniche della Letteraria espression.
Sarebbe possibile sensibilizzare qualche tecnico?
Sergio-Sacripante
@Sergio,
la poesia è magnifica, grazie…Sei davvero una stella.
@Enrico, non riesci mai a farmi arrabbiare. Neanche quando te la prendi con me. Sei troppo acuto e senza maschere. Mi piaci.
@ simona:
non volevo farti arrabbiare. spessissimo non voglio far arrabbiare proprio nessuno, ma essendo visceralmente una testa di c…. suscito risentimenti in maniera naturale. A te, in realtà, ho fatto un complimento. Forse ci vuole più coraggio a essere come te piuttosto che dei banditi. Detto questo il “mi piaci” mi sembra troppo. Passano gli anni ma continuo a essere quello che le mamme “non uscirai mica con quello li???!!!??”.
🙂
E’ un “mi piaci” letterario, Enrì!
E poi si capiva benissimo che non volevi farmi arrabbiare.
A proposito: ma cosa combinavi per non piacere alle mamme?..Anzi…non dirmelo….
Farò come Elektra:smile!
bella la poesia Sergiei Ilic
Lo scrittore Attilio Del Giudice mi prega di farvi avere la sottostante testimonianza, per la quale sono molto grato all’autore di ”La vita incagliata”. Grazie, Attilio! Attendiamo il tuo nuovo libro (che sarebbe, se non erro, il quinto per degli editori nazionali, vero?).
”Ho conosciuto Sergio Sozi 10 anni fa in occasione della presentazione a Perugia di un mio romanzo. In quell’epoca Sozi dirigeva un trimestrale culturale che si chiamava I Polissenidi, era il coagulo intellettuale della più vivace gioventù perugina e non solo perugina. In un numero della rivista pubblicò un mio racconto, in tal modo si sancì una reciproca fiducia. Poi, come accade nel coacervo delle esistenze, per molto tempo, ci perdemmo di vista, fino a pochi mesi fa, quando uscì Il Maniaco, da lui pubblicato con l’editore romano Casini. Un libro, audacemente ma decisamente controcorrente, un libro strepitoso con una pluralità di registri e metalinguaggi, di forme classiche e barocche, di vere invenzioni linguistiche metaforiche e cariche di connotazioni.
Il racconto “Eh…Quando c’era lui”,di cui Letteratitudine ha riportato un ampio stralcio, conserva lo stile di Sozi, la sua indipendenza dalle mode ed ha il prezioso profilo della comicità. La comicità letteraria (letteraria, non televisiva) è scrittura difficile, complessa ed ha, come è noto, ascendenze altissime, che incombono e scoraggiano l’approccio. Sozi non teme il confronto, sa di avere le carte in regola e vi si cimenta non senza un po’ di giovanile baldanza. Ma, anche nel comico più conclamato (il racconto è dedicato, non a caso, a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, ed è lecito pensare ai due comici nell’episodio pirandelliano: La giara, nel film Caos dei fratelli Taviani), traspare la cognizione, non dico gaddiana del dolore, ma sicuramente di una certa amarezza per il declino della letteratura italiana contemporanea, troppo, secondo Sozi, modellata sui successi americani, troppo furba nei compiacimenti della violenza e del sangue, troppo lontana dalla nostra tradizione narrativa, con eccessi di realismo, che sembrano inseguire ossessivamente la cronaca nera, ecc.
Il pensiero di Sozi non è sempre condivisibile, ma non credo che sia questo importante, è importante, invece, che la dimensione concettuale diventi sentimento (o risentimento e indignazione, furore perfino) ed assuma eleganti forme di scrittura letteraria.
Attilio Del Giudice”
Sergio Sozi
…ma… che tremendo sentore di vuoto, anzi di vera e propria CEIOSI! Ah, ecco: manca Enrico Gregori! Si sara’ immalinconito per il perdurare dell’assenza dei suoi sodali in birichinate Vito Ferro e Dido’.
Povero Enrico. Poverino.
Ci scommetto mezzo ********* che sta approfittando del ”sabato italiano” per ripassare il breviario e fare digiuno penitenziale. Stavvedere che ci ritorna serio!
@ sergio:
spiacente di deluderti, ma il mio stato atarassico è dovuto dall’aver finalmente iniziato ad affrontare il tuo libro. ti prometto (anzi ti minaccio) una recensione in qualche parte del blog (previa autorizzazione di maugeri)
…ecco… appunto dicevo ”il breviario”.
A tutti:
ssssshhhhh! Gregori sta leggendo! Non interrompiamo questo suo nuovo e sorprendente cammino esistenziale con il nostro mondano chiacchiericcio.
@ sergio:
ma no figurati, si può leggere il tuo libro anche facendo altro. non è una lettura così profonda da necessitare raccoglimento. o meglio, le uniche cose da raccogliere sono i cogl…
🙂
Ah, puoi fare anche altro? Allora approfittane per raccogliere anche i miei, che ormai, a suon di letture, sono diventati il ponte sullo Stretto di Messina.
Grazie
@ sergio:
mi sembri euterpe!
Euterpe mi copia spesso. Solo quando si ubriaca. Io copio lui quando sono lucido. Lo copio su carta bianca, a volte a righine blu.
sergio mandami, se vuoi via mail (eventounico@katamail.com), le coordinate del tuo libro per acquistarlo. Quello di Enrico l’ho già ordinato e spero mi arrivi in fretta.
Poi, se ti accontenti, posso cimentarmi in uno dei miei pessimi commenti.
Evento, ti ho appena scritto. Grazie, caro!
@ evento:
caffè pagato se passi dalle parti del messaggero
🙂
@ chiunque abbia voglia di leggere queste righe:
il mondo di Sergio Sozi e del suo “Maniaco e altri racconti” io lo sfioro ma non lo frequento. Però, giuro, lo contemplo e lo ammiro.
Vedo (o immagino di vedere) un Sozi quasi apolide, geograficamente e intimamente. Lui, romano, umbro, sloveno, siciliano. Spazia, si perde e si ritrova andando a braccetto con quel capiatano dei carabinieri (Euterpe Santonastasio) che a volte ricorda il Vittorio De Sica di “Pane, amore e fantasia” e a volte un ispettore Callaghan meno sanguinario.
Fosse Sozi il “maniaco” di cui trattasi? Chissenefrega. Non è indispensabile (ri)conoscere Sergio o chiedersi dove accidenti sia tra le righe dei suoi racconti.
Non se ne adombri ma, almeno a me, nel libro risulta poco del Sozi che qui ci scassa il c.., ops, volevo dire, ci intrattiene coi suoi dotti interventi.
Nel “maniaco” la cultura è messa a servizio di una narrativa che spazia dallo scongelamento di un branzino al confronto col fine letterato Spitella.
Un guazzabuglio “tipico” del cervello di Sergio al quale spesso stringerei la mano e altrettanto spesso sferrerei un calcio in culo.
Potrei dire che il suo libro debba essere “necessariamente” letto.
Se gradite che da una riga all’altra si passi da Fogazzaro ad Asimov, “Il maniaco e altri racconti” è il libro che fa per voi.
Stavolta parlo sul serio, Enrico: grazie di cuore! Soprattutto per il calcio in cu…
Tuo
Sergio
P.S.
”Il mandarino elettronico” l’ho visto due volte. Terribile ed innovativo capolavoro del cinema moderno.
@ sergio:
sinteticamente ho detto ciò che penso e ciò che mi è arrivato. Ognuno (giustamente) legge nei libri ciò che vuole. Al di là dei successi, comunque, sono convinto che i libri di Sozi, Leonardi, Costantini, Di Domenico, Scibona, Leonardi, Maugeri, Gozzi, Gregori e di tutti gli altri scrittori-partecipanti a questo blog, siano molto meglio di tante cacate che certa intellighenzia spaccia per capolavori. Forse siamo bravi, di certo siamo coraggiosi. Insomma, meglio un Sozi oggi che un Moccia domani
🙂
…ehm… confrontati con Moccia, anche i geroglifici vanno bene…
Sono Sergio non ”anonimo”!
Le cose importanti della scrittura narrativa breve, secondo me, sono essenzialmente poche, ma da rispettare obbligatoriamente:
1) Le storie devono aver capo, corpo e coda; spesso manca la coda, oggi, ed e’ sintomo di incompiutezza del messaggio;
2) Lo stile deve essere inconfondibile;
3) Grammatica e sintassi devono esser rispettate o, laddove non lo siano, cio’ deve essere riconoscibile come voluto dall’autore, non frutto di sua ignoranza delle regole.
4) Un significato particolare deve distinguere tutte le opere letterarie narrative brevi dagli alti tipi di scrittura – giornalistico, memorialistico, epistolare, diaristico, eccetera.
Spero dunque di essere almeno uno che questo lo sappia fare: le storie di Euterpe Santonastasio hanno sempre un finale.
Sergio
Dimenticavo di precisare una cosa, ancora al caro Enrico:
ho deciso, da ormai molti anni, di differenziare visibilmente le scritture che abitualmente pratico: narrativa breve e media; critica; poesia; varia (corsivi, elzeviristica, interventi polemistici, di costume e di cronaca culturale). Se, dunque, Sergio e’ solo uno e monolitico, la sua scrittura deve variare per esser compresa dai (spesso diversi) lettori dei vari tipi di scritture. Non posso e non voglio pertanto scrivere su Letteratitudine un intervento come quando scrivo un racconto, una recensione o una poesia.
Sergio
@ sergio:
certo, l’importanza è comunque una coerenza di fondo. e tu sei sempre molto coerente nel rompere le pal…no, dicevo, nel trasmettere emozioni
🙂
…ho iniziato a romperle all’eta’ di cinque anni. Se non e’ coerenza questa! Demoniaca coerenza, no?!
Insomma, ti sei divertito a leggere il Maniaco?
S.
@ sergio:
il divertimeno è stato non nel classico senso dell’umorismo. ma del resto il tuo non è un libro comico. se intendi che io ho letto qualcosa che mi trasportasse in una dimensione assolutamente pseudo-reale e strana, allora sì. è molto originale e per me l’originalità conte moltissimo
Gregori la nostra breve amicizia non ha più ragione di esistere: ” Al di là dei successi, comunque, sono convinto che i libri di Sozi, Leonardi, Costantini, Di Domenico, Scibona, Leonardi, Maugeri, Gozzi, Gregori e di tutti gli altri”.
Peccato.
🙂
Evento: Ubi maior, minor cessat. Rassegnamoci a vendere i mandarini d’importazione illegale al mercatino rionale.
S.
@ Maria Lucia
Cara Maria Lucia,
il posto dove poter pubblicare racconti, poesie o altro è “Iperspazio creativo” e si trova qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2006/11/02/iperspazio-creativo/
(vedi anche colonna di destra del blog)
Toh, il Maugger e’ tornato a casa. Che eri finito in qualche castello incantato?
Sergio, tanto lo so che miri a portare il numero dei commenti di questo post dedicato al tuo Euterpe a quota 1000.
E fai bene! Sono con te.
Con affetto…
😉
Maldicentissimo Messer Maugger: non te tiro er guanto de sfida solo perche’ tramite computatore te darebbe una disonorevole emicrania. In ogni caso, ebben, siffatte affermazioni vanno lavate nel sangue. Ci vediamo asingolar tenzone domattina sotto al tesso di Tasso. Sai dov’e’, no?
S.
…ehm volevo dire il tAsso di Tasso. Ma se semo capiti. Vieni accompagnato dai tuoi tirapiedi e porta con te il libro da lanciarmi contro. UNO SOLO, DICO! Non si bari!
E sia!
Che Gregori scelga le armi (o i libri). Che Didò funga da testimone.
E che una delle donne si offra per raccogliere i resti di chi passerà a miglior vita.
Coraggio, che siamo a quota 294!
😉
Scherzo, Sergio!
🙂
E siamo a 295…
@ evento:
rivendico anche io il diritto (a volte) di non capire una sega. Ma che hai voluto dire????
@ sergio e massimo:
anche e soprattutto per la prematura scomparsa di Vito Ferro non c’è alcun dubbio che ormai siete i fratelli Derege di questo blog. Se non avrete successo come scrittori non vi mancherà comunque un ingaggio a qualche sagra del caciocavallo
🙂
Carogna! (296… ma che sto facendo: ti tengo bordone?! Vabbe’, tanto domattina sotto al tasso ti faccio stramazzare bocconi con un tomo solo e manco troppo pesante.).
Io porterò con me “Guerra e pace”, edizione integrale e illustrata con copertina rigida e spigoli appuntiti. E un pezzo di caciocavallo che andrà a Enrico.
Sul tuo cadavere letterario, Sergio, leggerò in tua memoria il “Mi dispiace, non sono un personaggio” di Antonella Cilento (andatevelo a leggere, ma – a differenza di qui – intervenite con serietà).
298!
(e fatti bene i conti…)
@ sergio e massimo:
secondo me se vi tirate in faccia i vostri rispettivi libri non ne esce vivo nessuno dei due
🙂
Se invece usassimo il tuo, Enrico, perirebbero tutti coloro che si trovano a passare da quelle parti nel raggio di cento chilometri.
🙂
Quota 300! (dài, ne mancano solo 700).
…accetto il conto alla rovescia del Maugger solo perche’ sono appena intervenuto – seriamente – sul mio epitaffio-commemorazione-orazione funebre (la bellissima cosa appena scritta da Antonella Cilento).
S.
E guarda, Maugger, che io faccio baldorie con te e Enrico qui perche’ senno’ non saprei dove beccarti, mica per incrementare le presenze sul mio ”post”. E anche perche’ so che domattina tu sarai nel Regno dei Piu’ sotto un’edizione gigantografata del Gargantua e Pantagruele – il miglior libro che abbia mai letto in sostituzione del tuo ”Identita’ contorte” che ancora non fa cenno di arrivare: una ”nemesi postale”? Eh! eh!
Enrico, diritto sacrosanto ed io come vedi mi adopero perché tu possa goderne appieno. Certo spiegato ora è come se il cameriere che imita il rumore di un aereo con le braccia larghe tra i tavoli dicesse “sparecchio”…Stavo solo commentando la mia citazione tra “tutti gli altri” ed in verità aiutavo sergio con il contatore.
Comunque quel caffè spetta a me. Pensa se tutti i lettori soddisfatti ne offrissero uno agli autori. Qualcuno rimarrebbe calmissimo secondo te ? (se non schiacci ora…) 🙂
Evento: io sono calmissimo. Perche’, appunto… no. Non spiego. Non faro’ la fine del tuo cameriere!
Con affetto
Sergio
Sergio ce l’avevo con il baldo-massimo che getta i sassi e ci lascia a cercarli nello stagno senza mai scomporsi troppo. Beato lui.
Beh… anche tu a volte sei un po’ criptico, ammettiamolo. Pero’ intendevo solo scherzare autoironicamente sul tuo caffe’ offerto dai lettori soddisfatti. In sostanza, dicendo che sono calmissimo, sostenevo il fatto che io, di lettori soddisfatti, non ne ho!
S.
credo che se portassimo gli ultimi quindici interventi ad un centro di igiene mentale numerose teorie sui disturbi della mente verrebbero rivoluzionate. ti prego sergio, tira fuori qualche poeta nepalese che conosci solo tu e discutiamone
🙂
Enrico, prontofatto. E’ la traduzione medievale di traduttore sconosciuto, in quartina di tipo petrarchesco (schema ABBA), di originali versi redatti da un ”Ignoto cambogiano” del sec. IX d.C.:
”Solo et pensoso i piu’ deserti campi
vo mesurando a passi tardi et lenti,
et gli occhi porto per fuggire intenti
ove vestigio human l’arena stampi”.
Ti garbano?
Sergio
@ sergio
come diciamo a Roma: “vacce a prova’ su li tranvetti”.
Fino a Petrarca ci arrivo. Ritenta
🙂
…Porc… ma proprio quello ti dovevi ricordare?
Vediamo allora se ti piace anche quest’altro, Tao Ch’ien, cinese del IV-V sec. d.C.:
”Le nuvole insistenti corrono corrono,
la pioggia regolare gocciola gocciola.
Nelle Otto Direzioni e’ lo stesso crepuscolo;
e la pianura e’ una sola grande fiumana.
Vino, vino ho qui in serbo!
Ozioso bevo alla finestra d’Oriente.
Con grande nostalgia penso agli amici,
ma non vedo apparir barca ne’ cocchio.”
Sergio
…O quest’altro, Akamir Dimitrovic, cossovaro morto giovanissimo nel 1918 sul fronte italo-austriaco. Un lirico ineguagliabile per ispirazione e densita’ espressiva.
La lirica parla delle sue sensazioni mentre, ebbro, ricorda da solo nella povera latrina vicino al filo spinato della trincea le notti amorose passate in patria con la sua bella, anni prima:
”O me felice! O notte tutta luce per me! E anche tu,
dolce letto, reso beato dalle gioie mie!
Quanto discorrere tra noi, nel chiarore della lucerna,
e che battaglie, poi, a lume spento!
Ora lottava contro me col seno nudo,
ora velandosi un poco con la tunica, raffrenava gli assalti.”
Tosto, eh?
Sergio
Allora, Enri’? Trovata la ”truffa”?
@ sergio:
ignoro, ma la poesia non è esattamente il mio genere
Va be’: il primo e’ proprio il cinese Tao Ch’ien, tutto autentico, versi e autore; il secondo poeta invece e’ inventato di sana pianta: trattasi di alcuni versi di un’elegia di Properzio!
S.
grazie. mi sento meglio
🙂
Un verso alla mattina
meglio fa della cibalgina!
Un versaccio poi di notte
ci da’ un carico di botte!
Enrico, ma non eri tu, quello che qualche mese fa si ergeva in duelli a suon di altisonanti rime da bettola su Letteratitudine – anzi nella Libera Monarchia di Letteratitudine? Eri o non eri tu, Pasquinenrico?