Fernando Aramburu, con il suo romanzo Patria (Guanda), tradotto da Bruno Arpaia, si aggiudica la quinta edizione del Premio Strega Europeo, nato nel 2014 in occasione del semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea per diffondere la conoscenza delle voci più originali e profonde della narrativa contemporanea.
Il romanzo racconta di due famiglie basche che abitano in un paesino dalle parti di San Sebastián. Due famiglie che hanno sempre vissuto all’insegna dell’amicizia e del reciproco sostegno… fino a quando la loro storia non si incrocia con quella dell’ETA e con un attentato terroristico che costerà la vita a uno dei due capofamiglia (il Txato, titolare di una ditta di trasporti, che non si è voluto piegare a messaggi intimidatori a scopo estorsivo ricevuti dall’organizzazione terroristica). Una morte che non crea solo dolore, ma anche divisioni e allontanamenti (per ulteriori dettagli sulla trama rinviamo alla scheda del libro inserita alla fine del post).
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Fernando Aramburu ha dichiarato di sentirsi onorato per il prestigioso conferimento del premio e ne ha approfittato per evidenziare il merito del suo traduttore italiano. Ha espresso un pensiero dedicato ai suoi concittadini, che per anni hanno subito dolore. Ha evidenziato il fatto che nel suo romanzo ha narrato – appunto – storie di sofferenza attraverso il racconto dell’esperienza di vita dei suoi personaggi. Si è anche soffermato sul senso della parola “Patria”, una parola forte e dai molteplici significati; riferita, in questo caso, ai Paesi Baschi, e che molti editori hanno deciso di lasciare come titolo del romanzo tradotto.
Di seguito, il video della premiazione:
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E a proposito di traduzione, riproponiamo un paio domande (con relative risposte) che abbiamo rivolto a Bruno Arpaia (co-vincitore del Premio Strega Europeo nel suo ruolo di traduttore) su questo fortunato libro da lui brillantemente tradotto…
– Bruno Arpaia, partendo dal presupposto che puoi godere di una “visuale privilegiata” nel tuo molteplice ruolo di lettore, scrittore, giornalista culturale e (ovviamente) traduttore dell’opera in questione… cos’è che più di ogni altra cosa hai apprezzato in “Patria” di Fernando Aramburu?
«Ne ho apprezzate moltissime, dall’architettura del libro, che manipola meravigliosamente il tempo, alla lingua, capace di spaziare su moltissimi registri e di adattarsi come un vestito ai diversi personaggi. Ed è proprio grazie a queste capacità che Aramburu è riuscito nella cosa, secondo me, più difficile: restituire in maniera perfetta l’ambiente, l’atmosfera dell’epoca nei Paesi Baschi, anche a chi, come me, li aveva frequentati in quegli anni; Aramburu ha saputo raccontare l’impatto della grande Storia e delle sue tragedie sulla vita delle persone comuni, la sensazione di respirare di continuo paura, sospetto, delazione, esaltazione ideologica, spirito gregario, ma anche disagio, ribellione individuale, senso di ingiustizia, pietas. E soprattutto l’ha fatto senza cedimenti «buonisti», ma con grande com-passione, schierandosi senza schierarsi, penetrando a fondo anche nella mente e nelle ragioni dei terroristi e del tessuto sociale che li sosteneva, guardando il male negli occhi, come dovrebbe fare qualunque bravo romanziere. Perché il Male è in ciascuno di noi, e spesso basta un contesto, qualche motivazione, di solito pretestuosa (come il nazionalismo), a cui aggrapparsi, per farlo venire a galla.»
– Quanto tempo hai impiegato a tradurlo? Hai avuto modo di confrontarti con l’autore su alcuni passaggi o non è stato necessario?
«Onestamente, non lo ricordo. L’anno scorso ho tradotto moltissimi libri e ho perso il conto. So soltanto che, per mia fortuna, sono un traduttore veloce; altrimenti, con quello che si viene pagati, il gioco non varrebbe la candela. Noi traduttori italiani siamo svantaggiatissimi rispetto ai nostri colleghi francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli… Quanto al confronto con l’autore, la mia “filosofia” è quella di cercare di rompere le scatole il meno possibile agli autori che traduco, se non in casi davvero eccezionali, anche quando si tratta di miei cari amici. Succede anche a me quando i miei romanzi vengono tradotti all’estero e i colleghi stranieri mi chiedono lumi. Non dico assolutamente che sia una seccatura, anzi: un libro è sempre come un figlio che vorresti mandare in giro per il mondo nelle migliori condizioni; ma certamente bisogna impiegare molto tempo a spiegare, precisare, limare, appurare se in quella lingua eccetera eccetera… Perciò no, non c’è stato motivo di disturbare Fernando e non l’ho mai interpellato mentre traducevo. Ho, invece, discusso a lungo con il direttore editoriale e le bravissime redattrici della casa editrice sull’uso di alcuni tempi verbali e alla fine abbiamo trovato una soluzione soddisfacente per tutti.»
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Il vincitore è stato annunciato al Salone Internazionale del Libro di Torino alla presenza dei cinque candidati. Sono intervenuti Beatrice Covassi, Capo della Rappresentanza in Italia della Commissione europea, Maria Ida Gaeta, direttore della Casa delle Letterature di Roma e del Festival Internazionale Letterature, Natale Antonio Rossi, presidente della FUIS (Federazione Unitaria Italiana Scrittori), Giovanni Solimine e Stefano Petrocchi, presidente e direttore della Fondazione Bellonci.
Il riconoscimento, del valore di 3.000 euro è stato consegnato da Beatrice Covassi, madrina della manifestazione.
Un altro riconoscimento di 1.500 euro, offerto dalla FUIS, è stato attribuito al traduttore del libro premiato.
Il libro di Fernando Aramburu è stato votato da una giuria composta da scrittori vincitori e finalisti del Premio Strega – Alessandro Barbero, Laura Bosio, Rossana Campo, Antonella Cilento, Maria Rosa Cutrufelli, Antonio Debenedetti, Paolo Di Paolo, Ernesto Ferrero, Mario Fortunato, Paolo Giordano, Nicola Lagioia, Rosetta Loy, Melania G. Mazzucco, Edoardo Nesi, Lorenzo Pavolini, Romana Petri, Antonio Scurati, Elena Stancanelli, Domenico Starnone – e dai responsabili delle istituzioni che collaborano all’organizzazione del premio.
Hanno concorso a ottenere il premio cinque romanzi recentemente tradotti in Italia, provenienti da aree linguistiche e culturali diverse, che hanno vinto nei Paesi europei in cui sono stati pubblicati un importante premio nazionale.
Questi i libri candidati alla quinta edizione:
- Fernando Aramburu, Patria (Guanda), tradotto da Bruno Arpaia Premio Nacional de Narrativa 2017, Spagna
- Olivier Guez, La scomparsa di Josef Mengele (Neri Pozza), tradotto da Margherita Botto Prix Renaudot 2017, Francia
- Lisa McInerney, Peccati gloriosi (Bompiani), tradotto da Marco Drago Baileys Women’s Prize 2016, Irlanda
- Auður Ava Ólafsdóttir, Hotel Silence (Einaudi), tradotto da Stefano Rosatti Icelandic Literature Prize 2016, Islanda
- Lize Spit, Si scioglie (E/O), tradotto da David Santoro Nederlandse Boekhandelsprijs 2017, Belgio
I vincitori delle scorse edizioni:
2017 Jenny Erpenbeck, Voci del verbo andare (Sellerio), tradotto da Ada Vigliani
2016 Annie Ernaux, Gli anni (L’orma), tradotto da Lorenzo Flabbi
2015 Katja Petrovskaja, Forse Esther (Adelphi), tradotto da Ada Vigliani
2014 Marcos Giralt Torrente, Il tempo della vita (Elliot), tradotto da Pierpaolo Marchetti
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Di seguito, la presentazione di “Patria” al Salone del Libro: Fernando Aramburu in conversazione con Paolo Di Paolo
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La scheda del libro
Con la forza della letteratura, Fernando Aramburu ha saputo raccontare una comunità lacerata, e allo stesso tempo scrivere una storia di gente comune, di affetti, di amicizie, di sentimenti feriti: un romanzo da accostare ai grandi modelli narrativi che hanno fatto dell’universo famiglia il fulcro morale, il centro vitale della loro trama.
Due famiglie legate a doppio filo, quelle di Joxian e del Txato, cresciuti entrambi nello stesso paesino alle porte di San Sebastián, vicini di casa, inseparabili nelle serate all’osteria e nelle domeniche in bicicletta. E anche le loro mogli, Miren e Bittori, erano legate da una solida amicizia, così come i loro figli, compagni di giochi e di studi tra gli anni Settanta e Ottanta. Ma poi un evento tragico ha scavato un cratere nelle loro vite, spezzate per sempre in un prima e un dopo: il Txato, con la sua impresa di trasporti, è stato preso di mira dall’ETA, e dopo una serie di messaggi intimidatori a cui ha testardamente rifiutato di piegarsi, è caduto vittima di un attentato… Bittori se n’è andata, non riuscendo più a vivere nel posto in cui le hanno ammazzato il marito, il posto in cui la sua presenza non è più gradita, perché le vittime danno fastidio. Anche a quelli che un tempo si proclamavano amici. Anche a quei vicini di casa che sono forse i genitori, il fratello, la sorella di un assassino. Passano gli anni, ma Bittori non rinuncia a pretendere la verità e a farsi chiedere perdono, a cercare la via verso una riconciliazione necessaria non solo per lei, ma per tutte le persone coinvolte.
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Fernando Aramburu, nato a San Sebastián nel 1959, ha studiato Filologia ispanica all’Università di Saragozza e negli anni Novanta si è trasferito in Germania per insegnare spagnolo. Dal 2009 ha abbandonato la docenza per dedicarsi alla scrittura e alle collaborazioni giornalistiche. Ha pubblicato romanzi e raccolte di racconti, che sono stati tradotti in diverse lingue e hanno ottenuto numerosi riconoscimenti. Patria, uscito in Spagna nel settembre 2016, ha avuto un successo eccezionale e un vastissimo consenso, conquistando – fra gli altri – il Premio de la Crítica 2017.
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