Dicembre 21, 2024

153 thoughts on “Fiera del libro di Torino 2008: tra polemiche e bellezza

  1. Lo ribadisco…
    mi piacerebbe che questo post venisse usato come contenitore dove:

    scrivere le impressioni personali sulla fiera

    – inserire articoli o stralci di articoli, ovviamente sulla fiera, pescati in rete (che potremmo commentare).

  2. Le domandine sono niente male vero?
    Qualcuna, per la verità, riprende temi che abbiamo in parte affrontato.
    Ve le ripropongo:
    .
    1. Ci salverà la bellezza ?

    2. Che cosa può rispondere oggi ai canoni della Bellezza, in letteratura come nelle arti, nella musica, nelle scienze?

    3. Che cosa si richiede a un’opera?

    4. Dove passano i confini del bello e del brutto?

    5. Come sono cambiati nei secoli i criteri estetici, e quali sono i loro rapporti con l’etica?

    6. E quali i rapporti della bellezza con gli oggetti industriali prodotti su larga scala?

    7. Se vedere è un atto creativo (come è stato detto) che cosa siamo capaci di «vedere», oggi?

    8. Quale potrebbe essere oggi il canone del romanzo?

  3. Il tema è impegnativo. Prismatico. La bellezza cos’è. Io tremo sempre quando sento la parola bellezza. Mi evoca antichi e nefasti desideri di perfezioni da raggiungere a ogni costo, anche l’abiezione. Per questo trovo importante il binomio: questo tema e l’invito di Israele come paese ospite. So che ha scatenato polemiche e boicottaggi che non condivido, e trovo assurde. Ma mi interessa questo “accumunare”. Lo trovo giusto. La mia opinione è che la bellezza, oggi, sia “decentrata”. Nel buddismo tibetano esiste il mandala. E’ una composizione che i monaci fanno con la sabbia, ci vuole moltissimo tempo. Al centro c’è il cuore, la parte fondamentale, attorno ci sono gli strati che diventano meno rilevanti, man mano.

    Oggi la bellezza è nelle parti esterne del mandala
    E’ nelle periferie e negli ipermercati e nelle storie che attorno e dentro nascono. Spero che questa mania- ossessione televisiva che la politica sta usando e cavalcando della sicurezza e degli sgomberi, di questa lotta al “degrado” che pare l’unico must, porti a una sempre crescente letteratura dove il degrado contemporaneo si fa portatore di storie che rovesciano, che grattano via la pellicola, la patina che io fiuto come pericolosa, e che imperversa nelle decisioni da “tolleranza zero” di certi sindaci.
    Questa erosione riporterà, con tanta fatica da parte di scrittori e scriventi, al centro del mandala

    Anche se poi, i monaci, il mandala lo distruggono subito. dopo tanto lavoro, con la mano che fa volare la sabbia colorata del magnifico mosaico impermanente da loro creato

  4. Da assiduo e residente, mi permetto di dare due consigli per la visita: passare la giornata intera richiede fisico e mente scattanti e lascia comunque frastornati per la quantità dell’offerta. Consiglio il mattino per chi vuole scoprire le gemme della piccola editoria (uno dei motivi a mio parere più validi del salone); il pomeriggio per assistere al maggior numero dei dibattiti e avere la possibilità di conoscere dal vivo gli autori. Personalmente mi reco al primo pomeriggio, ben nutrito e caffeinato presso le valide proposte esterne: Trattoria Fiat, miglior value for money (dieci euro) per un completo; Eataly, il polo del cibo, per piatti singoli molto buoni (prevedere 8 più bevanda) a tema (paste, carne, pesce, verdure); entrambi di fronte agli inizi del mastodonte. I bar/risto interni sono battagliati e più cari, e recarsi all’interno, nell’8 Gallery, secondo me è dispersivo. Buona visita.

  5. Massimo Madonna della carta stampata – otto domande! Ma dato che c’eri perchè non aggiungere, “come sta tuo cuggino?” “allora hai risolto quella cosa dell’INPS?”
    eh
    PPPP
    Però posso falciare un po di domande, essendo io allergica al concetto di canone. Utile sotto il profilo storiografico e sociologico, ma un bel po’ sotto il profilo estetico. Non leggo con le categorie di bello e brutto, non sempre, leggo per esempio con le categorie di complesso o meno complesso. Che non vuol dire espresso semplicemente o meno, ma capace di richiamare strati di significati o meno. L’occhio contemporaneo oltre all’apprezzamento estetico chiede la complessità, sa che l’estetica è una categoria culturalmente determenianta, e se è l’occhio di un lettore allenato, potrà apprezzare ugualmente Palanhiuk e Meneghello. Il suo occhio è approdato a un relativismo della produzione culturale. In questo credo che veda più lontano degli occhi che lo hanno preceduto.
    Però, credo anche che tolleri mal volentieri la semplificazione e il qualunquismo. La didascalia facile. La parabola con moraletta finale. In questo trovo estremamente interessante quanto scrisse WuMing e fu riportato proprio in questo blog giorni scorsi, che diceva cose analoghe.
    -Mi è piaciuto comunque molto, dall’inizio alla fine, il commento di Francesca Mazzuccato.

  6. Io purtroppo non ci sarò alla Fiera del Libro. Mi sarebbe piaciuto parecchio esserci, primo perché Torino è ancora la mia città (anche se sono in Romagna da ormai 15 anni), secondo perché partecipando al Premio Letterario il Camaleonte avevo 1/600 di probabilità di “vincere” e quindi di dovermi recare alla Fiera del Libro per la premiazione. Pazienza.

  7. Domanda tecnica:
    qualcuno mi sa dire se da qualche parte sul web c’è la possibilità di vedere riprese video degli eventi con gli scrittori?
    Magari esserci!

    Ottimo blog, Maugeri, davvero.

  8. Bel post anche questo, caro Massimo. Purtroppo non riesco a dedicarmi molto ai commenti, è un periodo molto intenso al lavoro. Se posso, tornerò più tardi. Intanto quoto in pieno l’opinione di Francesca Mazzuccato.
    Piccolo aforisma che credo la dica lunga sul tema:”La bellezza delle cose esiste nella mente che le contempla” (Hume)

  9. Non sarò personalmente a Torino, ci saranno le mie cose però.
    Più che la bellezza, mi chiederei cos’è il gusto. Avanzando con l’età vado sempre maggiormente consolidando la strisciante invidia o il manifesto orrore verso quelli che senza dubbi o titubanze dicono “è bello, è brutto” o “è giusto, è sbagliato”.
    Da parte mia trovo qualcosa di bello in tutto quello che leggo, e in tutto quello che leggo trovo qualcosa di non condivisibile. Per cui Torino mi piace per l’immensa varietà dell’offerta, e anche perché ha il merito indiscusso di mettere il libro in prima pagina.
    Una volta tanto.

  10. Domani vado a Torino, non ho libri in uscita né presentazioni, forse faremo qualcosa con Satisfiction ma in maniera decentrata. Se volete vi posto le mie impressioni domani ma temo che saranno più o meno le solite. S’incontrano amici, si scopre qualche buon libro e si rimane disorientati dal rumore e dal vociare dei visitatori.
    Quanto al tema, se ci salverà la bellezza, beh, a me, ora come ora non sembra che l’editoria punti su questo. E allora penso che o non le interessa la salvezza o non le interessa la bellezza.

  11. da Repubblica di oggi
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    TORINO – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano questa mattina ha visitato Fiera del Libro, che si inaugura oggi al Lingotto: “Si tratta di un contesto e di un clima che non possono essere turbati e deviati da contese politiche o da intrusioni pretestuose – ha dichiarato – i valori essenziali che la Fiera esprime è quella del confronto e del dialogo tra culture, posizioni di pensiero, esperienze creative”. Mentre sul piano politico – ha avvertito – “non c’è dialogo se si muove dal rifiuto della legittimità dello Stato di Israele, delle ragioni della sua nascita e del suo diritto a esistere nella pace e nella sicurezza”.

    Una presenza, quella di Napolitano, di particolare significato, viste le polemiche e le tensioni legati alla scelta di Israele come ospite d’onore della manifestazione. E proprio l’ambasciatore israeliano in Italia, Gideon Meir, ha espresso calorosamente la sua gratitudine per il capo dello Stato: “Un ringraziamento speciale – ha detto – di vero cuore, per la sua forte presa di posizione, quest’anno, quando nei mesi passati, ci sono stati tentativi e appelli al boicottaggio”.

    E anche questa mattina, non sono mancate le contestazioni. Un gruppo di simpatizzanti dell’associazione Free Palestine ha cercato di esporre uno striscione davanti al Lingotto, ma le forze dell’ordine lo hanno impedito per ragioni di sicurezza. Ci sono stati attimi di tensione verbale e poi una decina di manifestanti è stata spostata in una via laterale, in via Spotorno, dove è stato possibile mostrare lo striscione. su cui c’è scritto “No al colonialismo sionista, stato unico per arabi ed ebrei in palestina. Boicotta Israele, boicotta la fiera del libro 2008”. A fine mattinata, il presidio è stato sciolto.

    Nel frattempo, ad accogliere il capo dello Stato sono stati il ministro uscente alle Politiche giovanili Giovanna Melandri e le autorità locali: il sindaco Sergio Chiamparino e i presidenti di Provincia e Regione Antonio Saitta e Mercedes Bresso, insieme al presidente della Fiera Rolando Picchioni. All’arrivo di Napolitano, sono state sveltolate tre bandiere di Israele e una italiana: a farlo alcuni esponenti della comunità ebraica, tra cui il presidente di quella romana, Riccardo Pacifici.

    Nel gruppo c’erano, tra gli altri, Fiamma Nirenstein, neo deputata del Pdl, e Agostino Ghiglia, presidente provinciale di An. “E’ un momento di grande gioia – ha detto la Nirenstein – non dobbiamo lasciare che ombre di dissenso violento e insensato turbino una festa di libertà e cultura”.

    Il presidente della Repubblica dopo la cerimonia di inaugurazione ha fatto un breve giro tra gli stand della Fiera, e poi, poco dopo le 11,30, la lasciato il Lingotto, per ritornare a Roma.

    (8 maggio 2008)

  12. da LA STAMPA di oggi
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    Ho una sola guerra: la letteratura

    ….
    AVRAHAM B. YEHOSHUA
    Qualche settimana fa una folta rappresentanza di scrittori israeliani si è recata alla Fiera del Libro di Parigi della quale Israele era il paese ospite. Compiere un viaggio aereo con trentacinque colleghi israeliani e soggiornare tre giorni con loro in un albergo comporta il ricorso a notevoli e raffinate doti diplomatiche. Alla Fiera abbiamo lavorato duro: siamo passati tra i vari stand, abbiamo concesso interviste, abbiamo difeso un po’ Israele e lo abbiamo criticato un po’, abbiamo partecipato a convegni e a incontri con i lettori. La settimana scorsa ho preso parte al Pen festival di New York assieme ad altri centosettanta scrittori provenienti da paesi diversi. Anche lì ci sono stati impegni, appuntamenti, letture in pubblico, cocktail, seminari. Tra poche settimane mi recherò a Cracovia, al festival della cultura ebraica che si tiene in quella bella città polacca, e nemmeno lì mi saranno risparmiate interviste, incontri, conferenze. A giugno sarò a Milano per La Milanesiana e oggi sarò presente alla Fiera del Libro di Torino in veste di rappresentante di Israele, che ne è il paese ospite.

    La vita di un artista è diventata intensissima oggigiorno ma di questo non si può fare una colpa a nessuno se non a noi stessi. E non c’è differenza tra scrittori, drammaturghi, registi, attori o pittori. I festival letterari e cinematografici, le mostre internazionali, i numerosi seminari in cui si disserta dello stato del mondo e di cultura hanno sostituito negli ultimi anni (e meno male che è così) le guerre e gli scontri di frontiera. Tutti cercano il dialogo, e non solo quello culturale ma quello autentico, faccia a faccia. Il grande filosofo Emanuele Kant non lasciò mai la sua città natale, Könisberg, e scrisse tutte le sue opere in un unico luogo mentre noi siamo assaliti dalla frenesia del viaggio. I progrediti e sofisticati mezzi di comunicazione moderni – la posta elettronica, i cellulari, le video conferenze, le simulazioni virtuali, le spedizioni mediante corriere espresso – non hanno cancellato, come ci si poteva aspettare, il bisogno di un contatto umano. Al contrario, lo hanno accresciuto. Ecco per esempio che rappresentanti di società informatiche che potrebbero conversare in qualunque momento con chicchessia nel mondo percorrono distanze mostruose per incontrare per poche ore rappresentanti di altre ditte e mostrar loro un accessorio non più grande di un pisello, nemmeno fossero mercanti ambulanti del Medio Evo.

    Cosa ricava uno scrittore da tutto questo? Cosa lo induce a prendere parte a questo carosello mediatico (all’infuori di un naturale senso del dovere nei confronti della casa editrice che si è data da fare per pubblicare i suoi libri e si aspetta un aiuto nel promuoverli)? Dubito che molti provino piacere nel ripetere le stesse risposte a una sfilza di giornalisti che, l’uno dopo l’altro, fanno solitamente le stesse domande. Dubito che molti provino piacere a girare per fiere gigantesche, a passare davanti a stand stracolmi di libri nuovi e intriganti e a rendersi conto che i propri libri non sono che un granello minuscolo in tutta quella babilonia. Ogni scrittore, o artista, di certo avrebbe una risposta diversa a questa domanda. La mia, basata soprattutto sulla mia annosa esperienza italiana, si potrebbe riassumere in una frase che forse sorprenderà i lettori: ciò che mi spinge a partecipare a questo circo mediatico è il piacere del contatto con il pubblico anonimo dei lettori.

    Da quando fu pubblicata la traduzione del mio primo libro in Italia, più di vent’anni fa, sono stato invitato in molte città, da Venezia a Cagliari, e una delle cose meravigliose che ho scoperto è che tra i vari centri italiani esiste una competizione culturale e creativa che scaturisce da un lunga tradizione di indipendenza e di peculiarità storica.

    Ho vissuto in Francia quattro anni ma lassù tutto è concentrato a Parigi e io sentivo a malapena il bisogno di visitare altre città. In Italia, invece, scopro ovunque tesori culturali affascinanti. Poche settimane fa, per esempio, ho visitato Pavia senza neppure immaginare che quella dolce e meravigliosa città si trovasse a soli pochi chilometri da Milano.

    Ma ripeto, è il contatto col pubblico ad affascinarmi e a stupirmi, spesso proprio quel contatto superficiale di cui molti non tengono conto. Negli anni ho sviluppato una certa abilità nello scambiare qualche parola con i lettori che vengono a chiedermi un autografo. Domando loro cosa apprezzano del mio stile e cosa no, quale mio libro sia piaciuto di più e quale meno, se la copia che sto firmando è destinata a loro o a qualcun altro. Per un’ora o più mi rendo conto di come personaggi ben definiti, concepiti in un luogo e in un tempo lontani, siano riusciti a trasfondere la mia anima, la mia immaginazione, i miei pensieri in persone tanto distanti e diverse da me, a suscitare in loro un senso di identificazione. E allora ecco che risorge in me la fede nello spirito umano, nella fratellanza che quest’ultimo riesce a generare con tanta facilità e io, che vengo da una terra martoriata da guerre e conflitti e ultimamente mi lascio sopraffare dal pessimismo, riprendo coraggio.

    Ma Torino per me non è soltanto una città italiana. In un certo senso è casa mia. Non solo perché è la sede della casa editrice Einaudi, dove negli anni ho costruito profondi rapporti personali con molti dei suoi fedeli dipendenti – persone giovani come Andrea, Ernesto, Paola, Carla. Torino è anche la città in cui viene pubblicato il quotidiano che ospita i miei sporadici interventi, La Stampa, e malgrado io non conosca l’italiano e non sia in grado di leggere nemmeno una riga di quanto vi è scritto, lo sento comunque un po’ mio. E Torino è anche il luogo in cui è nata, più di quarant’anni fa, la prima automobile che io abbia mai posseduto, una Fiat 600 rossa, piccola ma veloce come un folletto, con la quale, in compagnia di mia moglie e della mia figlioletta, ho percorso l’Europa in lungo e largo negli anni della mia trascorsa gioventù.

  13. da IL CORRIERE DELLA SERA di oggi
    ………………………

    Caro Direttore, «cultura e boicottaggio sono due parole incompatibili fra di loro. L’essenza della cultura è il dialogo ». Così David Grossman, lo scorso febbraio, commentava le polemiche nate dopo l’invito a Israele di partecipare come ospite d’onore al Salone del Libro di Torino, aggiungendo: «La mia impressione è che si veda come illegittima non soltanto la presenza alla Fiera del Libro, ma la stessa esistenza di Israele». Non si può dire che gli avvenimenti degli ultimi giorni, con le critiche rivolte da un noto intellettuale del mondo arabo alla giustissima decisione del presidente Giorgio Napolitano di essere oggi al Lingotto e con le contestazioni culminate il 1˚maggio nelle bandiere israeliane bruciate in piazza, abbiano nel frattempo dato torto alle affermazioni di Grossman. Al contrario. Della prima è evidente l’intima verità: come possa un qualsiasi uomo di cultura che voglia davvero essere tale chiedere di far tacere altri uomini di cultura, negare ascolto alle loro parole è difficile capire.

    Tanto più quando si tratta di autori che sostengono l’unica possibilità che israeliani e palestinesi hanno di convivere pacificamente: il dialogo, il riconoscimento delle reciproche sofferenze e speranze, il diritto degli uni a vivere in casa propria senza paura e sicuri del proprio futuro, degli altri a vivere in un loro Stato indipendente. Ma qui entra in gioco la seconda affermazione di Grossman, la sua «impressione» che il vero bersaglio sia esattamente lo Stato di Israele, nel sessantesimo anniversario della sua fondazione. E’ proprio di questo che pare trattarsi. A preoccupare è un clima, sono posizioni, che nascono da un pregiudizio e che possono condurre a conseguenze pericolose. Il pregiudizio procede lungo un confine sottile, che separa le critiche ragionate e per questo legittime alle politiche dei governi israeliani, da quelle ideologiche, manichee: Israele ha sempre torto, la «colpa» è sempre sua, anche quando il coraggio di chiudere un accordo manca alla controparte o quando magari formazioni arabe fanno fuoco le une contro le altre.

    Le conseguenze pericolose si annidano nel lato più oscuro di questo fenomeno, nel fatto che oltre alla critica a Israele spesso viene chiamato in causa l’intero popolo ebraico. Forse non apertamente, forse con un «non detto», che però nulla toglie ai rischi di un risorgente antisemitismo, di fenomeni di intolleranza e di discriminazione oggi più evidenti di ieri, purtroppo. A volte questi rischi si nascondono dietro le parole e i termini usati. Un anno fa il presidente Napolitano esortò a combattere «ogni rigurgito di antisemitismo anche quando esso si travesta da antisionismo », perché «antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano alla guida di Israele».

    Parole coraggiose e nette, che io sono convinto possano essere, per i democratici, la perfetta bussola da seguire. Lo dico con la convinzione di chi, da sindaco di Roma, non incontrò l’allora vice primo ministro iracheno Tariq Aziz, che s’era rifiutato di rispondere a un giornalista solo perché israeliano. E lo dico con la determinazione di chi non ritiene ci sia più posto, tra i riformisti, nell’identità del Pd, per alcuna forma di ostilità e di pregiudizio verso Israele, verso un Paese democratico, civile, ricco di cultura, con una società aperta, plurale e dinamica. Verso un popolo, per dirla sempre con Grossman, che ha diritto ad avere, oltre a una concreta sicurezza, quella «normalità politica universale » che significa riconoscergli laicamente ragioni e torti e che invece gli è sempre stata negata, sostituita dal «trattamento speciale» di cui ha parlato ieri su queste colonne Pierluigi Battista.

    Il cammino della pace è già abbastanza ricco di ostacoli senza che si aggiunga l’incoraggiamento che viene dato ai nemici della pace da chi dichiara giusto «boicottare» Israele. «So che debellare completamente l’antisemitismo — ha detto Yehoshua — è un obiettivo proibitivo. Ma non lo è combatterlo. L’Europa lo deve combattere con tutta la sua forza. Non per il bene degli ebrei ma per il proprio bene». Attenzione e determinazione non dovranno mai mancare. Anche quando protagoniste di gesti gravissimi come quelli degli ultimi giorni sono poche persone. La migliore risposta, ne sono certo, verrà già dalle prossime giornate torinesi, dalle migliaia di cittadini che affolleranno il Salone del Libro, per leggere e ascoltare le parole degli scrittori della terra d’Israele.

    Walter Veltroni
    08 maggio 2008

  14. ……….con un’azione a sorpresa i giovani dell’università e del liceo Gioberti hanno fatto sentire la propria voce al fianco di «Free Palestine», il gruppo che ha promosso il boicottaggio della Fiera quest’anno dedicata a Israele e organizzato un corteo per sabato:«La nostra protesta non è contro il popolo israeliano, ma a sostegno di quello palestinese» spiega un esponente dell’associazione, prima di elencare i nomi dei bambini palestinesi uccisi negli ultimi mesi, nel corso di operazioni militari messe in atto da Israele. «Gli organizzatori del boicottaggio sono accusati di antisemitismo – aggiunge Dana, una studentessa israeliana sostenitrice di «Free Palestine» – ma io che sono israeliana ed ebrea non mi sento offesa, anzi penso sia importante dare voce al dissenso nei confronti di un Paese che mette a tacere ogni critica».
    Luca Gallina

  15. 6 maggio 2008 Yehoshua anticipato alle 11
    L’incontro con Abraham B. Yehoshua di giovedì 8 maggio, originariamente previsto alle ore 12.30, è stato anticipato alle ore 11.00 nella Sala dei 500.
    Lo scrittore deve infatti rientrare a Roma per tempo per assistere in serata alla «prima» europea della sua opera lirica Viaggio alla fine del millennio.
    All’incontro in Fiera saranno con lui Alessandro Piperno ed Elena Loewenthal. Per assistere all’incontro è necessario ritirare in anticipo il biglietto GreenPoint all’ingresso del padiglione III.

    6 maggio 2008 Variazioni di programma
    Giovedì 8 maggio 2008
    L’incontro con Abraham B.Yehoshua è stato anticipato alle ore 11.00 nella Sala 500 del Centro Congressi Lingotto.

    Venerdì 9 maggio 2008
    L’incontro con Elif Shafak, previsto alle ore 17.30 all’Arena Piemonte, è annullato.
    Alle ore 18.00 in Sala Gialla Dario Fo dialogherà sul tema “Israele e la Fiera” con Khaled Fouad Allam e Francesca Paci.

    Sabato 10 maggio 2008
    L’incontro con Fausto Bertinotti, previsto alle ore 17.30 nella Sala 500, è annullato.

    Luca Gallina

  16. 8 – 12 maggio
    Fiera Internazionale del Libro Torino
    ll tema della XXI edizione della Fiera Internazionale del Libro 2008 è Ci salverà la bellezza. Il dilemma se l’è posto per primo Fëdor Dostoevskij sotto forma d’una drastica alternativa: il mondo o sarà salvato dalla bellezza o sarà dannato dalla bruttezza.
    http://www.fieralibro.it
    Non voglio credere che per bellezza, io personalmente, debba intendere la cultura in generale e per bruttezza la commistione tra politica e cultura; quando invece la cultura fra i popoli, dovrebbe essere intesa super partes, forse?
    Luca Gallina

  17. Qualche anno fa, Roberto Formigoni, propose il partito della bellezza, vi ricordate? In quell’occasione, qui in Lombardia (ma forse non solo) furono affissi manifesti, che, anche se con slogan diversi, proponevano lo stesso pensiero: la bellezza ci salverà. Quindi votiamola!
    Io provo un certo pudore a gestire il termine: bellezza. Mi muove pensieri intimi, profondi oppure totalmente stupidi e banalmente superficiali. E’ un po’ come parlare di dio, del bisogno religioso, mentre si guarda una partita, può sempre scapparci una bestemmia! Però, il contesto dei libri è un’altra cosa, può far miracoli. Ho dato uno sguardo ai temi delle “lezioni magistrali”: L’uomo di fronte agli spettacoli naturali, La difficoltà di pensare e vivere la bellezza oggi, e poi, L’arte moderna si configura come abuso di potere? Infine , La parola, la tagliola . Su questi ultimi temi sorgono subito degli interrogativi. Che abuso di potere esercita l’Arte moderna (contemporanea)? Il contesto in cui la domanda è posta ispira solo un pensiero, una risposta: quello della bruttezza. “L’arte moderna” è brutta, di brutto si circonda e si nutre. Nel “brutto” ritrae se stessa e la sua dissoluzione. Forse è così, e sarà interessante seguire il dibattito (che noi, nella camera accanto 3 abbiamo già anticipato). Ma, se dopo tanto riflettere sulla Natura e sull’Arte, sulla difficoltà del pensare e dell’agire, “condanniamo” la scrittura ad un tema che formulato peggio non si può, allora l’idea si piega, dopo la fiera si piegherà e verrà riposta; proprio come un manifesto di Formigoni. La parola, La tagliola? Ma quale tagliola? Le parole non tagliano più e non sono nemmeno pietre, a volte lasciano il segno. Ed è già, veramente tanto.
    Concludo riportando Tuena: “Quanto al tema, se ci salverà la bellezza, beh, a me, ora come ora non sembra che l’editoria punti su questo. E allora penso che o non le interessa la salvezza o non le interessa la bellezza.”

  18. The Frankfurt Book Fair 2008 will take place from 15 to 19 October. Guest of Honour will be “Turkey”. We provide you with all the information you need to participate in the world’s most important book fair.
    In Germania, quest’anno, l’ospite d’onore sarà la Turchia, nella più grande Fiera del Libro Internazionale d’Europa in Francoforte; e nel 2004 è stato scelto “Il mondo arabo”, ché ogni anno vengono presentate la letteratura e la cultura di un paese o regione del mondo: solo in Italia – Torino – e in Francia – Parigi – l’ospite d’onore è stato Israele.
    E il nostro Presidente della Repubblica, oggi 8 Maggio, ha giustamente ribadito il dovuto rispetto allo Stato sovrano di Israele: al salone Internazionale del libro di Torino, s’incontrano gli scrittori rappresentanti autorevoli di tutte le culture, senza prevaricare frontiere politiche ed ideologiche e di stato di diritto; allora perché fare riferimento alla ricorrenza del 60° anniversario del riconoscimento dello stato di Israele: perché? gli dobbiamo qualcosa, con rispetto parlando della questione Palestinese?
    Luca Gallina
    P.S. Al Salone del libro di Torino è previsto per caso uno stand per la solidarietà pro Tibet, forse?

  19. @ Luca:

    Israele è parte di noi, dell’Europa. Con la costituzione dello stato d’Israele l’Europa ha, almeno/o solo in parte, pagato la sua politica, l’immenso debito per una cultura che è parte stessa delle nostre radici. E continueremo a farlo, con tutto il rispetto per la questione palestinese.
    I governi israeliani sono un’altra cosa; ogni paese ha il suo, meritato o no.

  20. @Massi: la bellezza è uno sguardo che si posa sulle cose vedendole con gli occhi di Dio. Cogliendo in esse la possibilità di essere contemplate.
    Non appartiene solo a ciò che è gradevole d’aspetto, ma alla possibilità insita in esso, alla potenzialità nascosta di brillare.
    Ci sono libri che parlano di oggetti brutti e di persone brutte. Eppure attraverso lo sforzo letterario le rendono talmente vibranti di emozione e poesia da conferirgli bellezza.
    La scrittura è uno strumento di bellezza.
    E quindi penso che la scovi ovunque, la percepisca in tutto, la voglia vedere su tutti.
    Forse oggi lo sforzo è maggiore, ma tanto più necessario. Cercare la bellezza significa dare un’identità alle cose, vestirle. Collocarle tra il clamore e il silenzio, farle parlare come parlerebbero se ne avessero la possibilità.
    Cercare la bellezza o crearla è anche un atto umile. Perchè lo sguardo del mondo deve partire dal basso, da dove la luce si smorza.
    A maggior ragione oggi che siamo in grado di osservare tutto, e rischiamo di non vedere niente perchè non abbiamo ancora imparato ad affondare le mani nel mistero.
    Credo che il romanzo attuale abbia il dovere di farsi bellezza. Ma una bellezza trasfigurata, assurta a forma. Una bellezza che parla al cuore degli uomini quando sa coglierli nella loro finitezza e – ciò nonostante – raccontarli.

  21. Salvo Zappulla mi ha chiamato dalla fiera del libro di Torino. Ha già fatto molti incontri interessanti ed era entusiasta. Domani incontrerà molti scrittori e se potrà interverrà qui dall’albergo.
    Mi ha raccontato di un’atmosfera festosa, di cene affollate e di libri!

  22. Luca-Miriam,
    se vogliamo esseri obiettivi, dobbiamo riconoscere che anche i palestinesi sono stati danneggiati dall’Europa.
    Era giusto ridare una terra agli ebrei, ma era ingiusto lasciarli andare in Palestina abitata dai palestinesi, senza coinvolgerli nelle decisioni prese.
    Ne sorse una guerra per la conquista della regione, e da essa sorsero altre guerre fino ad oggi.
    Non fu di certo un metodo giusto quello praticato dalle Nazioni Unite e sostenuto anche dall’Europa.
    Sarebbe come dire, va e cerca d’arrangiarti, se necessario, anche con la forza.
    Giustamente, la cancelliera tedesca, signora Angela Merkel, ha affermato che la Germania ha commesso un torto, favorendo gli ebrei a spesa dei palestinesi. Per questo motivo, la Germania, e anche l’Europa, sostengono da anni con mezzi finanziari ingenti anche il popolo palestinese.
    Saluti
    Lorenzo

  23. @Lorenzo:
    apri un lungo discorso ( già discusso , qui, tempo fa, ma non ricordo il post) che condivido. Nel frattempo ti segnalo il blog delle amiche LauraetLory, che proprio oggi posta una interessante intervista.
    ciao
    miriam

  24. Per chi non ha potuto esserci oggi. Giornata assolata e caldo da giugno inoltrato; la presenza del Presidente ha fatto rinviare a molti l’ingresso, alle 12.30 non ci sono code; il piazzalone sahariano è punteggiato di frammenti di carta e mozziconi mentre intorno fervono i lavori per la metropolitana, ma l’interno pulito e ordinato rallegra la vista. Qualche scolaresca. Passa veloce, l’orecchio incollato al telefonino, Roberto Calasso: ha una giacca che sembra ci abbia dormito dentro; forse è arrivato in macchina senza l’aria condizionata. Qualche coda solo ai bar ma i libri sono lì, a disposizione: mi tuffo come Paperone nei dobloni con voluttà profonda. A una leggera riduzione della superficie degli stand delle case più grandi corrisponde quest’anno una maggiore presenza di altri. Enorme la quantità di titoli. Mentre noto che rispetto al 2007 è aumentata la quantità di libri per ragazzi, passa un topo Geronimo Stilton alto due metri, con abito verde e coda stile canguro, e mi viene il desiderio infantile di farmi fare una foto con lui, da mandare magari con gli auguri di Natale, ma mia moglie mi strattona ricordandomi la mia età. Tanti si sono gettati nel filone degli animaletti con serie quasi infinite di Topo Tip, Mukka Emma, Coniglio Flipsy ecc. Mi fanno pensare che i nostri bambini (per fortuna) sono molto diversi da quelli giapponesi. Mi sembra migliorata anche la qualità estetica in generale e diminuiti i prezzi: vedo ottimi classici rilegati a 12 euro e collane solo pochi anni fa proibitive ora abbordabili. L’offerta più conveniente? Un ben stampato e illustrato Atlante dell’Islam a due euro. E’ aumentata anche l’offerta di testi in lingua e la presenza editoriale straniera: francese, svizzera e inglese. Mia moglie pensa di fare una rapina a uno stand francese: c’è una collana tutto Simenon in parecchi volumi ma a 29,40 euro a volume. Sono diminuiti invece gli espositori ‘collaterali’ , di cartoncini, calendari foto e gadgets e gli scassa orecchie elettronici. In un angolo si vendono a 5 euro parecchie ‘tazzeletterarie’ in porcellana con versi stampati. Più in là, sta finendo una pila del libro di Bassini, La donna che parlava con i morti, che Massimo ci ha fatto conoscere. Sono le 17.30 quando arriva la Littizzetto in una sala gialla già esaurita da ore; parla su Il bello della cucina. Tanto vale vederla in TV senza far code, è identica. Ancora due ore di godimenti cartacei e vengo via per sfinimento. E il casino per gli israeliani? Non me ne sono accorto, anche se, dalle 12, ci sono stati ben 8 convegni sul tema. E qui cito, Tanto rumore per nulla. Ciao.

  25. Credo siano piuttosto strumentali le proteste e le polemiche antisraeliane, visto che al salone di Torino sono stati invitati molti scrittori che sono stati nei confronti della politica del loro paese. Dovrebbero essere rispettati, se non osannati, per la loro libertà di spirito e indipendenza di giudizio ed invece semplicemente si bruciano bandiere.
    Quanto al tema della bellezza cosa dire ? probabilemente la vera bellezza e la vera nobiltà della letteratura dovrebbe essere nella capacità di scovare storie laterali che possano rendere giustizia alla bellezza nascosta che è nella vita di molti.
    E’ vero che il nostro mondo facilità i contatti, ma è anche un sistema che è egemonizzato dalla cultura del successo e del presenzialismo.
    L’invisibilità è dapperttutto. La letteratura dovrebbe andare proprio a caccia di tale invisibilità e valorizzarla.

  26. @ Francesca
    Molto bello il tuo commento. Grazie.
    Particolarissima e condivisibile questa tua frase che evidenzio, di seguito, in corsivo.
    La mia opinione è che la bellezza, oggi, sia “decentrata”

  27. @ Zauberei
    Sì, ma prima o poi me lo dovrai dire come sta tuo guggggino.
    Dei tuoi problemi com l’Inps, invece, non me ne frega nulla.
    🙂
    Scherzi a parte… grazie per il tuo bel commento.
    Le domande, però,non sono mie. Le ho rubate dalla nota diramata dall’ufficio stampa della fiera.
    Sono tante, eh?
    Ma mica bisogna rispondere a tutte!

    Tu scrivi: “Non leggo con le categorie di bello e brutto, non sempre, leggo per esempio con le categorie di complesso o meno complesso”.

    Okay, ma è più bello “il complesso” o “il meno complesso”?
    😉

  28. Per Miriam, Laura e gli interessati:

    Esiste una possibilità di convivenza tra gli Arabi e gli Ebrei?
    Impressioni personali di un soggiorno immaginario in Israele.

    La sveglia squilla e mi toglie dal mondo dei miei sogni. Oggi, sarà una giornata come tutte le altre, penso, e, oppresso dallo sgomento, mi alzo, sbrigo le solite operazioni di pulizia e d’igiene e mi avvio al posto di lavoro.
    Ogni giorno ripeto questa procedura, come penso che sia in ogni angolo di questo mondo, solo che in questo pezzo di terra la realtà è molto diversa e soprattutto incontrollabile.
    Mi trovo in uno stato piccolissimo dove gli abitanti con intelligenza e tenacia, disposizione alla fatica e al sacrificio, impegno continuo di volerci riuscire in pochi decenni sono riusciti a trasformare in un paese prospero e moderno.
    Tutti amano questo paese, che il destino ha restituito loro dopo duemila anni di sventura e che ora vogliono conservare e difendere ad ogni costo.
    I vicini li invidiano. Alcuni di loro addirittura li odiano a tal punto da volerli distruggere per sempre.
    Già altri dittatori hanno cercato di farlo, usando i mezzi più crudeli e infami possibili, ma loro sono usciti ogni volta dalle crudeltà e sofferenze delle torture con la testa alta e con una maggiore volontà di risorgere e di reagire uniti per un futuro migliore.
    La forza della sopravvivenza ha assunto in loro un aspetto e carattere religioso, immedesimandosi nel Dio della speranza e salvezza finale.
    Dalla storia hanno imparato che possono fidarsi solo della loro intelligenza e volontà che moltiplica la loro forza di continuare e li induce a difendersi con ogni mezzo a loro disposizione.
    Forza genera controforza e crea solo colpevoli e vittime, sia tra gli aggressori che difensori.
    Come uscire da questo dilemma sul cui cammino rimangono i corpi inermi e deformati di troppi bambini e civili innocenti?
    Sono i civili veramente degli innocenti?. È, oggi, ignoranza, disinteresse, apatia non già di per sé una colpa?
    La colpa, a mio parere, è un pò di tutti, degli stati che fanno finta di non essere di competenza, di quelli che s’intromettono solo per acquistare più influenza nei rapporti economici del presente e del futuro, di quelli che forniscono le armi e sostengono così l’ingiustizia di una parte o dell’altra e infine del cittadino timoroso che reagisce con indifferenza e sottomissione.
    La popolazione ignorante si lascia attrarre da coloro che intervengono immediatamente e premeditatamente con cospicui aiuti di prima necessità, essa non si chiede chi ha ragione e non cerca la possibilità della soluzione del problema che così rimane irrisolto.
    La verità cristiana di porgere l’altra guancia non funziona in questo mondo dove altri dei hanno offuscato le menti e seminato l’odio. Non ha mai funzionato, all’infuori con i martiri della verità che hanno sempre preferito di sacrificarsi piuttosto di combattere contro un loro simile.
    Gli estremisti mussulmani vogliono la distruzione dello stato d’Israele, lo annunciano continuamente e lo dichiarano il fine delle loro azioni di forza, lo stato ebraico reagisce con estrema aggressività, nel credo che solo così possa sopravvivere.
    Il fenomeno del male dà ragione ad entrambe le ideologie, e quello del bene rimane una speranza per un futuro migliore che sembra sparire sempre di più.
    Il mondo intero sembra non trovare l’equilibrio necessario per risolvere il problema, una nuova guerra ancora più distruttiva delle precedenti sembra determinare la logica dei ragionamenti vigenti, ma dalla quale forse potrebbe finalmente essere sentita la necessità e compreso che l’unica possibilità di sopravvivere esiste solo nel colloquio e nel compromesso da effettuare in un clima del rispetto reciproco.
    I giorni trascorrono come sempre, solo la loro percezione ha assunto una nuova tonalità, quella della paura permanente d’essere vittima dei problemi non risolti.
    Lo schiamazzo e l’andirivieni nelle strade sembrano ridare la speranza di poter vivere, ma in ognuno di loro incombe l’incubo di vivere e di morire nello stesso attimo in cui una bomba esplode vicino.
    La vita diventa, ad un tratto, preziosa e desiderata, e si accaparrano a lei come morenti che riconoscono di avere sbagliato e desiderano rivivere il tempo degli errori fatti, per correggerli e vivere finalmente senza gli incubi e le atrocità della propria ignoranza, presuntuosità e paura.
    I giorni passano e il conflitto rimane, dappertutto le macerie e le vittime degli esseri senza fortuna e senza la possibilità di ammonire: basta, apriamo i nostri cuori ai sentimenti dell’amicizia, collaborazione, unione, sostenimento reciproco.
    Non possono più gridarlo a voce, ma i loro corpi straziati esprimono di più di ciò che le menti avvelenate non possono più suggerire.
    Saluti,
    Lorenzo

  29. Cara Miriam,
    non so perché… ma a pelle “il partito della bellezza” mi pare uno slogan vomitevole. E, in quanto tale, un fastidioso ossimoro.
    Forse è la parola “partito”. Così tanto usurata, dileggiata, pensata al negativo, che risulta sgradevole vederla accanto alla parola “bellezza”.
    Intrigante questa tua domanda.
    L’arte moderna si configura come abuso di potere?
    La ripropongo in grassetto.

  30. @ Simona
    Grazie per il tuo commento. Molto bello.
    Scrivi che la bellezza “non appartiene solo a ciò che è gradevole d’aspetto, ma alla possibilità insita in esso, alla potenzialità nascosta di brillare”.
    A volte c’è bellezza anche nella bruttezza, nel dolore, nella rinuncia. Vero.
    La letteratura, in fondo, ce lo insegna.

  31. L’arte moderna, se si ricollega al passato e vien fatta da personalita’ forti, puo’ essere il naturale sviluppo della Storia dell’Arte; se resta in mano a degli ”artisti” improvvisati e modaioli, che neanche sanno disegnare un viso umano, e’ una cosa a cui rinuncerei volentieri.

    A qualcuno che e’ stato a Torino andrebbe di parlarci piu’ approfonditamente di qualche bel libro o autore presente in Fiera? Le piccole case editrici cosa propongono di buono? E’ migliore l’offerta dei grandi editori o dei medio-piccoli? Le riviste letterarie italiane sono presenti?

    Salutoni dal vostro ”Sloveno”
    Sergio

  32. Ragazzi, un saluto dal Salone di Torino ve lo mando io. Cosa raccontarvi? Un’organizzazione perfetta, un’imponente servizio di sicurezza, ordine e pulizia. Efficienza e qualità. Libri per tutti i gusti. Per me è sempre un’esperienza straordinaria. Vi do una chicca: stamattina inavvertitamente e distrattamente sono passato sopra il tappeto rosso riservato al presidente Napolitano. Mi volevano linciare. Forse sono diventato il primo cittadino della Repubblica. Altra notizia clamorosa: il libro della nostra Simo sta andando letteralmente a ruba, ve lo dico con cognizione di causa in quanto sono io il responsabile dello stand Sicilia dove il prezioso volume viene messo in vendita. Dati alla mano “Il seme delle fave” di Simona Lo Iacono sta sbaragliando le classifiche di vendita e credo proprio che il successo sia da attribuire a Letteratitudine. Signori, abbiamo contribuito alla nascita di una nuova stella del firmamento letterario.
    Un abbraccio a tutti.

  33. Quello di prima ero io: Salvo Zappulla. Avevo dimenticato che stavo postando dall’albergo torinese.
    Un riabbraccio a tutti.
    Salvo zappulla

  34. Ringrazio Salvo Zappulla per i commenti “in diretta” da Torino.
    Sul fatto che Simona è una nuova stella del firmamento letterario non ho dubbi.
    Lei lo sa… gliel’ho detto.
    E ha appena iniziato a brillare!
    Vedrete.
    😉
    Buona giornata a tutti.
    Aspetto vostri nuovi commenti.

  35. Lì sopra sta scritto:
    “La Bellezza sfugge alla definizioni (Picasso respingeva con fastidio la sola domanda), ma quando ci sorprende la riconosciamo immediatamente, con emozione e gratitudine”

    Faccio rispettosamente notare che non riconosciamo la “Bellezza”,
    ma e piuttosto un qualchecosa consonate alla nostra sensibilità, un nota affine alla lunghezza d’onda su cui siamo accordati e che percepisce il nostro orecchio/intelletto per la sua formazione ed educazione.
    Non esiste la “Bellezza” in sè per sè,
    essa fu demolita nel primo decennio del’900 da Marcel Duchamp, da Joyce quindi da Cage etcetera.
    Ora ci educhiamo, o ci adeguiamo, più che altro a ciò che ci offre il mercato: l’offerta è molteplice per cui, se possiamo, scegliamo.

    MarioB.

  36. @Miriam
    Grazie! Il debito Italiano di riconoscenza nei confronti dello Stato d’Israele è stato saldato da tempo ed è già caduto in prescrizione, secondo me; e poi perchè considerare Israele parte dell’Europa, che è così distante, per le vicissitudini del passato? Nel rispetto della questione Palestinese?Sei in grado di spiegarmi se l’Italia si deve considerare filo Americana e Israeliana al contempo? Negli States è evidente la cultura operandi di insigni intellettuali e potenti della terra Israeliani o di fede ebraica ma con questo le Università U.S.A. sono frequentate anche da Palestinesi, forse più spigliati e meritevoli di alcuni loro colleghi di facoltà israeliani con cui vanno d’amore e d’accordo, e non ci pensano nemmeno di ritornare nel loro Paese per combattersi l’uno con l’altro; questo è il futuro già presente.Del resto questo lo riconosci anche tu che i giovani sono un’altra cosa: sia israeliani che palestinesi, così ho inteso, vero?
    Ciao, con empatia come sempre!
    @Lorenzo
    Ti leggo sempre, volentieri! qualchevolta i tuoi commenti mi risultano un pò puntigliosi, francamente, certo obiettivi, utili e super-partes lo sono sempre.
    Grazie,
    Luca Gallina

  37. La bellezza va vissuta, praticata,espressa in tutti i modi: ci si circonda di bellezza,ci si dispera se ci viene a mancare: nell’arte, nei gesti comuni di ogni giorno; come i moti della nostra anima e si scopre nel tempo che è effimera,in realtà;che cos’è la bellezza? se non una maschera variopinta che cela di volta in volta la bruttezza: dei nostri istinti e della nostra disarmonia: in alcuni particolari momenti della nostra vita.
    Ma non è sempre così: quando ci sentiamo amati , rispettati e gratificati dalla vita: solo allora vediamo la vera identità della bellezza assoluta: l’imperfezione delle forme e il limite dell’arte tutta che non riesce a cambiare la nostra natura umana: troppo fragile e mutevole per un’idea così grande di bellezza universale! Solo allora ci salverà la bellezza?
    Ciao a tutti, cari amici di scrittura!
    E per oggi ho finito; faccetta gialla!
    Luca Gallina
    P.S. Dolce Simo, complimenti per il tuo “Il seme delle fave” e l’uso improprio di tacchi a spillo, come è stato raccontato in un altro post, anche senza occhiali riesci a tradire la tua vera natura di scrittrice e poetessa della bellezza, imprestata al diritto Vostro Onore, se me lo consenti!

  38. da LA STAMPA di oggi
    ……………..
    9/5/2008 (7:53) – RETROSCENA
    Yehoshua: verrò con i palestinesi (Lo scrittore: invitateli a Torino nel 2009)
    ……………..

    di MARCO NEIROTTI
    (TORINO)
    Una grande voce che appartiene a tutti così come la cultura di un Paese appartiene a tutti», ha detto Ernesto Ferrero, dandogli la parola. E lo scrittore israeliano Abra- ham Yehoshua a chi dal pubblico gli domandava se boicottare la fiera era antisemitismo ha risposto: «Sono quarant’anni che mi batto per il riconoscimento della Palestina come Stato. Sono stato uno dei primi a firmare la petizione affinché il mio governo tratti con l’Olp e ora sostengo il dialogo con Hamas. Mi auguro che in futuro gli scrittori palestinesi vengano invitati alla Fiera del Libro. E io verrò a salutarli». Distensione totale, mano tesa, invito a qualcosa oltre il semplice dialogo.

    Per il presidente della Fiera, Rolando Picchioni, non soltanto un discorso condivisibile, ma una strada già tracciata e percorsa con convinzione: «Abbiamo già da tempo parlato con i rappresentanti delle autorità palestinesi. La nostra intenzione è che l’Egitto, il prossimo anno, sia a capo di una cordata di Paesi arabi rivieraschi. Ospiteremo l’altra faccia della luna, con il confronto con gli israeliani». Che non c’è stato quest’anno: «Poteva già esserci oggi, si poteva creare qui un confronto anche duro, ma libero e onesto». Ha giocato la coincidenza con i sessant’anni di fondazione dello Stato? «E ha giocato chi ha voluto soffiare sul fuoco. Machiavelli diceva: se non si riesce a essere impeccabilmente buoni, almeno si sia onestamente cattivi».

    Un elemento fortemente simbolico come quello dell’anniversario, dunque, ha soltanto ritardato l’incontro culturale fra le due facce di luna? Ernesto Ferrero ne è convinto ed è ottimista sul recupero del 2009: «Autori palestinesi erano già venuti negli anni scorsi. Li ha stoppati la ricorrenza, con ogni probabilità si aspettavano una celebrazione trionfalistica. Ma qui le cose erano diverse dalla Fiera di Parigi, dove ci fu il contatto diretto fra Sarkozy e Peres. Da noi il contatto era tra associazioni, autori, editori. Cultura e basta. Su quella realtà noi, se guardiamo a fondo, abbiamo una modesta infarinatura: qui si può imparare a conoscere attraverso il dialogo».

    Già in marzo il direttore della Fiera aveva parlato con le autorità palestinesi: «Abbiamo spiegato che non si vuole offendere nessuno e loro hanno capito la ricerca di un dialogo schietto e tranquillo. Alla prossima edizione porteremo gli autori palestinesi, Grossman e Oz hanno già confermato che ci saranno. Hanno detto: speriamo di venire a festeggiare con loro lo Stato palestinese. D’altra parte chi in Israele insiste perché si dialoghi con Hamas? Gli scrittori». Però Ferrero sa leggere anche i limiti di comunicazione, non da pigrizia o incapacità, ma proprio da Storia: «Noi ragioniamo in base a come vediamo le cose, consapevoli della buona fede, della non contrapposizione, della non celebrazione, dei non festeggiamenti di un ministro della guerra. Ma dobbiamo sforzarci di capire la difficoltà degli altri, divisi anche in due fazioni, a leggere i nostri intenti. Siamo già da inizio anno al lavoro perché, superato l’ostacolo, la diffidenza verso i 60 anni di Israele, il 2009 diventi in questa sede quello che auspica Yehoshua».

    «Ben vengano gli autori palestinesi», dice la giornalista Fiamma Nirenstein. «Io ci sarò a parlare con loro. Al contrario di loro. Il grande rifiuto dello Stato di Israele è cominciato quando è nato e dopo sessant’anni nulla è mutato. Per quel che vedo, la gente comincia ad apprezzare l’apertura di Israele. Se accettano un incontro qui sia il benvenuto». E lo scrittore Vittorio Dan Segre non soltanto condivide quella speranza, vede un sentiero obbligato: «Sarà un piccolo passo per un dialogo inevitabile. Ci si deve convincere che lì si arriva volenti o no». E se venisse una chiusura del tipo noi non c’eravamo quando c’erano loro, loro di Israele non vengano quando ci siamo noi? «Non corriamo per favore. Gli scrittori palestinesi sono seri, responsabili, pronti a capire una manifestazione del genere».

    E’ più severo con le polemiche dentro casa nostra, «che pure hanno fatto pubblicità a Israele e ai suoi amici. Ma annota: «Purtroppo c’è chi ritiene che essere noti nel bene e nel male è più importante che essere. Nel “De bello gallico” Cesare dice: gli dei accecano chi vogliono perdere».

  39. Caro Massimo
    Vi sono spiriti che non possono fare a meno della bellezza. Ne hanno un bisogno interiore al di là del bisogno fisiologico dato dai sensi.
    Lo spirito umano rimane deluso e frustrato se la Grazia non entra in lui e gli infonde l’amore come principio conoscitivo.

    Ciao

  40. Francesca, Luca, Massimo, Miriam, Simona, cf05103025
    Sulla bellezza si potrebbe scrivere molto.
    Cos’è, da pretenderla ad ogni costo, tanto da riuscire a vederla anche nella bruttezza, tanto riusciamo a illuderci e ingannarci.
    È bellezza solo ciò che ci fa gioire spontaneamente e che ci dona speranza in un momento di sgomento ed abbandono, o è solo ciò che, all’inizio pur con molta fatica ma alla fine con successo, riusciamo a scoprire nel nostro animo che ha finalmente imparato a vedere in tutto il male di questo mondo anche il bene che gli si oppone?
    Anche la bellezza è allora un concetto soggettivo, ognuno che la desidera se la crea infine a sua misura.
    Eppure, esiste un posto che non si lascia ingannare così facilmente, che sa distinguere tra il bello e il brutto; è il posto del nostro cuore che palpita senza sosta alla ricerca dell’amore, quello vero, che ci riconduce allo spirito che ci ha creati, e che stenta nel groviglio della vita a ritrovarlo e farlo suo.
    Sappiamo che la vita dona e pretende, guai a voler solo ricevere senza pagare con l’impegno nel quale poter crescere e risultare alla fine pari o anche solo degni di lei.
    La bellezza è allora una conquista, il frutto di una lotta che ricambia con l’accedere a una coscienza migliore e nella quale trovarsi appagati anche soffrendo ed essere vinti, distrutti dagli altri che nulla sanno di lei e agiscono seguendo uno stimolo primitivo e per questo basato sulla forza, distruzione e sottomissione di tutto ciò che incontrano sul loro cammino.
    Entrambi sono necessari, perché solo nella loro ambivalenza riusciamo a distinguere e infine fare una scelta; ognuno farà la sua e con essa fisserà il suo destino, e coloro che l’hanno trovata influenzeranno nel tempo che verrà gli altri “rimasti indietro”.
    Per lo meno speriamo.
    Saluti
    Lorenzo
    @ Luca, grazie per il complimento; mi sforzo a non essere vanitoso, ma infine mi compiaccio quando leggo che sono considerato un po’.
    La puntigliosità è un pregio o un difetto? Con i tempi che scorrono, mi sembra necessaria e credo che, assumendone il suo ritmo, sia appropriata. Grazie.

  41. Grazie a tutti coloro che ci sono e ci descrivono un pò quel che succede (Gianmmario, Salvo Zappulla, Francesco Di Giovanni, ….). Spero continuino ad aggiornarci.
    Massimo , le tue domande. Tante e complesse. Ad alcune in qualche modo avevo anche già risposto in precedenti post. Provo a ribadire qualche mia opinione limitandomi al nocciolo della questione: il bello e il brutto.
    Al di là dei mutevoli canoni estetici (vorrei dare una risposta che possa essere valida in ogni epoca, in ogni cultura, in ogni contesto) credo il bello sia laddove c’è intelligenza, il brutto secondo me equivale alla stupidità.
    C’entra anche il principio di necessità. Difficile trovare il bello in qualcosa di completamente inutile anche se assume delle forme apparentemente belle, piacevoli. Apparentemente appunto. In realtà adornano il vuoto; può esserci veramente bellezza in ciò?

  42. Rossella,
    mi preme di aggiungere il tuo nome sul mio post precedente e riguardante la bellezza, che anche tu hai trattato con profondità ed eleganza.
    Saluti
    Lorenzo

  43. NB: se si riuscisse a condividere il mio postulato suddetto, potrebbero discenderne le risposte anche ad altre domande:
    – Il potere salvifico del bello? Nella sua intelligenza, nella sua utilità, nel riconoscimento di dove stia l’ingegno umano.
    – I canoni odierni di bellezza nella letteratura, nella musica, nelle arti, nella scienza? Idem: intelligenza e utilità sono concetti indipendenti dai periodi storici.
    – Cosa si richiede ad un opera? l’intelligenza di chi la crea, il suo ingegno e utilità dell’opera stessa.
    E vale anche (e forse ancora di più) per gli oggetti industriali, per il romanzo (come per un apriscatole)…..
    E peraltro vale anche per le contestazioni alla manifestazione. Non che io non veda le ragioni dei palestinesi nel loro conflitto con Israele. Ma applicarle in questo contesto è secondo me stupido, fuori luogo, inutile.
    = brutto

  44. ………Ops, dimenticavo i miei complimenti a Simona. Da quel che ci dice Salvo sembra la regina del Salone (anche se poi è lui che sfrutta il tappeto rosso….), almeno tra gli esordienti.
    BSVO (Brava Simo Vostro Onore): che la fava sia con te.

  45. A qualcuno che e’ stato a Torino andrebbe di parlarci piu’ approfonditamente di qualche bel libro o autore presente in Fiera? Le piccole case editrici cosa propongono di buono? E’ migliore l’offerta dei grandi editori o dei medio-piccoli? Le riviste letterarie italiane sono presenti?

  46. …e speriamo che Salvo Zappulla si faccia sentire anche stasera senza scriverci dalla cella di sicurezza delle Nuove di Torino – magari per essere entrato ”inavvertitamente” nell’auto blu di qualche Ministro in visita alla Fiera. Attento, Salvo: oggi i ministri non perdonano!

  47. C’entra anche il principio di necessità. Difficile trovare il bello in qualcosa di completamente inutile anche se assume delle forme apparentemente belle, piacevoli. Apparentemente appunto. In realtà adornano il vuoto; può esserci veramente bellezza in ciò?
    Postato Venerdì, 9 Maggio 2008 alle 2:23 pm da Carlo S.
    Carlo S.
    Prima di giudicare, se un qualcosa che è fuori di noi sia bello o no, si deve essere in chiaro con se stesso, cioè si deve scoprire la bellezza in sé.
    Ritengo che sola la bellezza interiore sia in grado di giudicare giustamente ciò che sta fuori e scartare l’inutile e dannoso.
    Il riconoscerla e raggiungerla è il vero problema, perché richiede spesso più, di quanto siamo disposti e capaci di sostenere.
    Solo così, però, riusciamo a diventare dei buoni selezionatori, senza recarci danno alcuno e senza cadere nelle tentazioni di parte.
    Anche l’osservato e giudicato si presenterebbero nella loro vera natura, elevandosi giustamente o cadendo nell’insignificante o addirittura danneggiante.
    In ogni caso, ognuno avrebbe il suo “bello e utile” su cui identificarsi sempre, senza dipendere condizionatamente dal giudizio degli altri e dolere qualora venga sfavorito o ignorato.
    Saluti
    Lorenzo

  48. Gia’, Lorenzo: ”Dulcis et utile”, dicevano i Romani. Come sempre a loro l’ultima parola (anche se detta duemila anni fa).
    Ciao caro
    Sergio

  49. Anzi, prenderei a prestito una famosa sentenza facendola mia: ”Tutto e’ utile, niente e’ indispensabile”.
    Da qui si va per altri liti ed altri mari.

  50. Allego qui una lettera di Egi Volterrani, direttore editoriale della casa editrice LE NUOVE MUSE, che presenta soltanto libri di autori stranieri prevalentemente provenienti da quei paesi che un tempo venivano definiti parte del Terzo Mondo.

    BOICOTTARE LA FIERA DEL LIBRO?

    Alla fine degli anni ‘50, per chi voleva andare in Israele, aggregato a un gruppo di Pionieri del Partito Comunista, si apriva un’avventura dello spirito: vedere nei kibbutz esempi di democrazia dal basso e di autogestione socialista.., anche se, sui volti dei giovani israeliani di quei kibbutz, quando incontravano i contadini/pastori arabi, si ritrovava probabilmente l’espressione paternalmente curiosa che avevano gli inglesi che, dopo la guerra, avevano comprato tenute in Chianti, quando venivano a visitare le cascinotte dei mezzadri toscani, e la stessa espressione che avrò forse avuto io, più tardi, visitando i villaggi bantu.

    Tuttavia, nelle discussioni che si facevano allora, anche tra quei giovani ebrei, erano già presenti atteggiamenti anticolonialisti, cioè contrari al colonialismo sionista e solidali verso i Palestinesi. Successivamente, quei fermenti sono stati soffocati man mano dalla politica governativa di Tel Aviv, incentivando l’immigrazione dall’Unione Sovietica e dei Falascià dall’Etiopia e praticando un’arrogante propaganda razzista. Adesso, è la nostra “propaganda” che ci fa dire che Israele è l’unica democrazia del Medio Oriente e non ci permette di chiamare con i nomi di genocidio e di apartheid la violenza armata contro la popolazione civile palestinese (che d’altra parte non è la famiglia dei santi, ma esaminiamo un birbone alla volta — i Palestinesi alla prossima).

    Non posso impedirmi di formulare un giudizio inequivocabile e sdegnato nei confronti della politica del governo di Israele. Su questo giudizio concordano i più limpidi intellettuali israeliani, da Aharon Shabtai a llan Pappé, da Yitzhak Laor a Daniel Barenboim, che non hanno accettato di essere presenti né al Salon du livre di Parigi, né alla Fiera di Torino. Non concordano certo sul giudizio nello stesso modo i “Laburisti di servizio”, come Amos Oz, David Grossman, Abraham Yehoshua,…
    La scelta di sostituire l’ospite già designato (era l’Egitto) con Israele, con la motivazione che l’Egitto è un paese islamista (per via dei Fratelli Musulmani) e una dittatura reazionaria, è stata certamente una brutta gaffe, soprattutto considerando l’evidente strumentalizzazione, non più propagandistica, bensì politica, messa in atto da Israele tramite il Ministero degli Esteri e la diplomazia ufficiale, in occasione del 60° anniversario dello “Stato Ebraico”. Molti stati arabi e islamici sono stati etnocratici e teocratici, in modo preoccupante e talvolta barbaro. Ma Israele è più di altrettanto uno stato etnocratico e teocratico, militarmente potente e sostenuto dalle potenze occidentali, in virtù di uno scambio equivoco di ruoli antiarabi.

    Chi ha avuto amici o famigliari morti nei lager nazisti, per motivi politici, razziali o di fede religiosa (e proprio per questo si ribella all’oppressione crudele sulla popolazione palestinese), si sente dolorosamente straziato, quando viene tacciato di negazionista della Shoah, di erede delle purghe di Stalin, eccetera. Difendere i diritti civili diventa automaticamente estremismo “di sinistra” e antisemitismo, quando Fini e Berlusconi dichiarano la loro incondizionata solidarietà alle repressioni militari messe in atto dal governo israeliano, e Fiamma Nirenstain, ebrea razzista virulenta e viscerale, si presenta candidata nelle fila di Alleanza Nazionale, partito erede degli alleati dei nazisti.

    Detto tutto ciò, sono contrario comunque al boicottaggio di una manifestazione culturale come la Fiera del libro, dove non credo esista censura e dove si potrà avere l’occasione di conoscere, insieme con bella letteratura e intelligente editoria, anche opinioni profondamente sgradevoli. Meglio sempre conoscere… E poi, boicottare la fiera è come indire lo sciopero dei trasporti pubblici nelle ore di trasferimento dei lavoratori. Molti operatori del libro hanno lavorato un anno per quell’occasione di contatti, promozione e mercato. Perché fare pagare a loro l’errore di altri?
    Egi Volterrani.

  51. La casa editrice
    LE NUOVE MUSE :
    http://www.lenuovemuse.it/
    che pubblica da poco più di un anno opere di notevoli scrittori stranieri, prevalentemente provenienti da quello che un tempo veniva definito “terzo mondo” quasi sconosciuti in Italia, (e di cui sono socio), è presente alla FIERA nel padiglione 1, spazio “Incubatore”, stand E 130.
    grazie
    Mario Bianco

  52. Al Buccimpero. Oggi son rientrato prima, accaldato, spintonato e rapinato, non dai libri, ovviamente, che ho scelto, ma dal parcheggio: ho dovuto obbligatoriamente usare l’auto per via di uno sciopero dei tram, ed è un errore, visto anche il percorso di guerra su strade sconvolte da scavi per la metropolitana. L’editore WCasini non c’è così come altri che mi interessavano (Mimesis di Milano ad es). Scriverò qualcosa dopo cena se non mi sarò squagliato prima. Ciao.

  53. Grazie, Gianmario,
    il mio editore si e’ degnato di dirmi che non ha lo stand solo ieri. Chi proprio voglia soffrire puo’ ordinare il mio libro presso la sua libreria di fiducia. Ma tu ora, giustamente, starai succhiando cedrate e limonate con aisberg fluttuanti entro dei bicchieri polari a tenuta stagna. Prosit, Gianmario! E stasera liba ad Apollo che forse i Torinesi tutti ne avrebbero bisogno, se no mi sa che farete la fine di Fetonte…
    Ciaobbello
    Il Buccimpero

  54. @cf05103025 :
    ti ringrazio di averci riportato l’intervento di Egi Volterrani, che invita alla solidarietà anche per i palestinesi.
    Come ho già introdotto in un’altra mia, sono proprio i palestinesi ad essere stati derubati di un territorio che abitavano da soli già da molti secoli.
    Sarebbe stato meglio coinvolgerli nei negoziati e aspettare che fosse stato raggiunto un compromesso tra le due parti in causa?.
    Sì e no. Qui bisogna considerare che gli ebrei rimasti superstiti dallo sterminio capirono che solo allora avrebbero avuto successo.
    Il mondo intero, una volta che il tempo avesse fatto dimenticare le loro sofferenze e ingiustizie subite, li avrebbe trascurati e sarebbero stati di nuovo senza un proprio stato.
    Fu quindi il tempo e il suo influsso sulle menti dei popoli che costrinse la maggioranza dei governi, coinvolti nella decisione, ad agire prontamente.
    Non dobbiamo dimenticare che molti ebrei si trovavano già sulle navi in direzione della Palestina e un prolungamento dei negoziati avrebbe causato la morte di molti di loro, se non di tutti, nessuno, o quasi, voleva tornare indietro.
    Concludendo, attualmente non si può fare altro che cercare di rappacificare i due popoli, aiutandoli finanziariamente e favorendo gli incontri tra di loro e il resto del mondo, dai quali possa nascere una nuova coscienza comune, pur nella loro diversità storica, religiosa e culturale, che va sempre rispettata.
    Loro tutti hanno già fin troppo sofferto sotto la quasi assoluta influenza delle loro rispettive religioni, che hanno creato sempre un abisso, invece di cercare un nesso comune nel quale potersi avvicinare ed intendere.
    Dato che entrambi i popoli non riescono a vivere insieme in un unico stato, con uguali diritti ed obblighi, anche per la diffidenza che risiede soprattutto nel confronto demografico disuguale e sfavorevole per gli ebrei, hanno i palestinesi il diritto di vivere in un proprio stato libero, indipendente e riconosciuto dagli ebrei e dagli altri popoli del mondo; ma per ottenerlo devono anche loro riconoscere e rispettare lo stato d’Israele.
    Concordo con Egi nell’affermare che una mostra del libro, qualunque e ovunque essa sia, sia un’ottima occasione di informarsi meglio sulla storia dei due popoli, onde potersi fare un’opinione giusta ed equilibrata.
    Ritengo anche fondamentale che vi possano partecipare gli intellettuali palestinesi e quelli del mondo arabo.
    Una mostra non è soltanto un luogo, dove poter presentare gli ultimi libri redatti, ma anche un’occasione di comunicare con tutti i partecipanti, per conoscersi meglio e cercare di superare ogni forma di pregiudizio e fraintendimento.
    Saluti.
    Lorenzo

  55. Egr. Massimo, ciao Lorenzo,
    hai posto delle domande ben precise riguardo alla bellezza e, fra le tante, vi è quella in cui chiedi se la bellezza ha il potere di salvarci. DOMANDONE A CUI E’ MOLTO DIFFICILE DARE RISPOSTE SINTETICHE anche perché coinvolge la sfera esistenziale dell’uomo ed i libri di storia.
    Comunque provo a rispondere.
    Intanto penso che prima della bellezza debba esserci una distinzione e, come ti ho accennato nel mio post precedente, iniziare a comprendere che vedere la Bellezza non è necessariamente un fatto legato all’estasi dei sensi e che l’esperienza sensoriale differisce da quella religiosa.
    Non possiamo quindi slegare il nostro ragionamento dalla bellezza cercata dall’anima in seno al discorso metafisico, sacro impulso interiore alla comunione che evade i confini della ragione e dove il brutto non esiste più.
    Nella mistica cristiana S. Teresa D’Avila ci parla della bellezza del cuore in virtù della calma interiore come esperienza religiosa, introducendoci così al concetto di grazia come principio conoscitivo. Imperscrutabile trascendenza.
    Se ci muoviamo in entrambi i sensi, la natura e lo spirito, immaginiamoci due frecce in direzioni opposte, anche il nostro intelletto e tutta la psicologia della filosofia sostenuta dai più grandi pensatori della storia, ci porteranno da una parte verso l’anima, verso forme e la natura che comprendeno tutta la vita vegetativa e che meraviglia la bellezza del creato!, ma dall’altra vireranno con forza verso il concetto di anima reale, comprendendo tutte quelle esigenze dello spirito che, attraverso la visione della bellezza e del suo creatore, punta al risveglio della coscienza.
    Ciao

  56. Dal Vs inviato, poco inviato e per nulla speciale, non una cronaca del venerdì (impossibile per me) che potete desumere dal booksweb e dai giornali, ma come al solito alcune considerazioni, utili o futili fate vobis. Se ieri mi sarei definito letteratitudinamente eccitato, oggi, come Salvo, mi sento più che altro frastornato. Sarà perché, predicando bene e razzolando male, sono entrato prima del pranzo accontentandomi di una piadina in loco (errore) sarà perché, esaurite le mie personali ricerche, mi sono abbandonato a un gironzolare nel flusso come una remora in un branco di pescecani (errore ancor più grave). Il pescecane a cui ero attaccato era un amico scrittore, più giovane, che non aveva ancor visto il salone, immaginate le conseguenze. Consiglio: se volete concludere qualcosa di positivo, siate decisi e determinati come Giulio Cesare. Solo agli inizi, prima che aumentasse la corrente dalle due in poi, ho potuto notare: numerosi francesi tra il pubblico; assenza di alcune case editrici di mio interesse (Fragmenta, Vallecchi, Casini, Mimesis); presenza di altre nuove per me interessanti (ad es la Stamperia del Valentino, Campana); laboratori di scrittura per grandi e piccini (‘potrete scrivere con penna d’oca e calamaio come cent’anni fa’). Inoltre la presenza di alcuni scrittori, che il Comune di Torino definisce, anziché anziani, ‘diversamente giovani’ (vi assicuro che è vero! A tanto arriva l’ipocrisia burocratica). Si aggiravano spauriti per l’assoluta mancanza di sedili: i pochi dell’anno scorso sono stati sostituiti da recinti di estintori e i poveracci guardavano con invidia i comodi divani di alcuni editori nei quali erano sprofondati autorità o giovani rampanti. Non capisco se gli organizzatori sono sadici o sciocchi: ora che ci si può sedere in quasi tutte le librerie in questa Super, verso sera, ci si sentiva come automobilisti che girano tre quarti d’ora per parcheggiare. Anche le sale conferenze erano piene e qualcuno arrivava a sottrarre la sedia al personale di guardia. Tornando ai libri, osservando l’invasione di narrativa straniera, mi sono posto la domanda che giro a Massimo: come mai non abbiamo ‘grandi venditori seriali’, romanzieri come Ken Follett, Wilbur Smith, Clive Cussler ecc. ecc. ma al più ‘compilatori politici’?.
    Qui termina Catilina che i prossimi giorni fuggirà in qualche luogo solitario.

  57. Sergio, dici che niente è inutile. Io ti potrei fare una lista che finirebbe fino a nonsodove. Potrei iniziare dall’orologio da 400mila Euro che non segna neanche le ore, ma solo se è giorno o notte (è la stupidità più inutile fatta oggetto) e potrei finire a un ragazzino di Verona che massacra un passante per passare una serata divertente con gli amici(le vite più inutili che si possa immaginare).
    Stupide cose, stupide persone. E inutili, vuote , insulse. Brutte.
    E tra questi due esempi (sono solo notizie di questi ultimi giorni) ci passa un pò di tutto: dalla moda delle labbra rigonfiate a canotto alla concept art con tutte le sue performance e installazioni.
    C’intelligenza in ciò? c’è qualche utilità?
    C’è una qualche bellezza, una qualche genialità, un briciolo di utilità nel bruciare le bandiere altrui ?
    E’ il brutto imperante.

  58. @ tutte le donne che scrivono su letteratitudine.
    La bellezza è o non è un fatto oggettivo? Un bell’uomo rimano o no un fatto oggettivo? E l’odore: è un fatto oggettivo?
    se si mettete due barre

  59. Carlo,
    io direi solamente il brutto, purtroppo non l’inutile, perche’ quell’orologio c’e’ qualche fesso che lo compra e via dicendo. Purtroppo – ripeto e sottolineo – purtroppo tutto ha una sua utilita’. L’unica cosa veramente inutile, dico per assurdo e anche un po’ sul serio, e’ la stupidita’ stessa… la quale, essendo una cosa astratta non ha nemmeno una sua esistenza vera e propria. Tutto ha un senso, anzi una serie di sensi, che, secondo me, io come uomo non posso cogliere ne’ capire.
    Ma parlo da persona un po’ astratta e ”teoricofila” quale sono, lo saprai, credo, perche’ ormai e’ da parecchiuccio che ci scriviamo qui.
    Ciao, caro
    Sergio

  60. Rossella, in attesa che le tue ”cosessuali” rispondano, parlero’ dei miei gusti (se non ti offendi); ecco: a me piacciono Sergio Rubini, Giorgio Albertazzi, David Bowie, Peter Murphy (ex cantante dei ”Bauhaus”, gruppo rock inglese dgli anni Ottanta), Bruno Ganz, Paolo Bellegrandi (e’ un mio vecchio amico e dunque ”mi piace” perche’ gli voglio bene), Marcello Mastroianni e Dante Alighieri.
    Sull’odore sono soggettivissimo: amo ogni particolare naturale di chi amo: odori e puzze, capelli, camminata, naso, tutto. Ma ho il sospetto che Eros mi prenda un po’ per il c***, qualche volta, facendomi scambiare per bello cio’ che amo.
    (Cosa ne dici? Sai, io sono sicuro che un Tedesco direbbe cose diverse… eeeh… l’oggettivita’ questa sconosciuta.).
    Ciao, cara
    Sergio

  61. P.S.
    Oggettivi sono invece i sentimenti le rare volte che li conosciamo allo stato puro: l’amore, l’odio, la fratellanza, il patriottismo, la paura, la solitudine, il dolore, eccetera. Pero’ spesso si mescolano e stemperano. Occasione rara, vederne il ritratto limpido e definito dentro di noi. Dipendera’ da Lui? Io credo di si’.

  62. A proposito di bellezza, è talmente opinabile il concetto che nel 1978 un “certo Franco Piperno” scriveva:

    “Coniugare la terribile bellezza di quel 12 marzo 1977 (una manifestazione di 50 mila autonomi, ndr) a Roma con la geometrica potenza sviluppata in via Fani…”

    La “bellezza”, per alcuni, è devastazione del pensiero.

  63. Sergio (da teoricofilo a teoricofilo), su quell’orologio: spiegami tu la sua utilità; ma soprattutto tengo a precisare: non è l’inutilità la categoria prima della bruttezza, ma la stupidità, la qual cosa ha poi a che fare anche (anche) con l’inutilità. Dimmi cosa può esserci di più stupido di quell’orologio (a parte chi se lo compra, la cui stupidità è ovviamente sesquipedale). Che è assolutamente inutile, come e forse più dell’ameba dissenteriae o della zanazara anofele. E la sua utilità non può essere nel fatto che c’è il cretino che se lo compra. Quello è solo lo scopo per cui qualcuno lo fabbrica, e tutto ciò fa parte (o è il nocciolo) di un sistema che nel suo insieme è una cattedrale della stupidità e dell’inutilità.
    Ma ti prego di non confonderlo con la sua utilità, che ha a che fare con l’utilizzo: il sapere se è giorno e notte; con l’orologio che non segna neanche le ore. Il trionfo dell’inutilità e dell’idiozia (cioè del brutto).
    Ciao amico mio.

  64. da LA STAMPA di oggi

    …..
    10/5/2008 (6:58) – FIERA DEL LIBRO
    Torino, è il giorno della protesta: alla Fiera la marcia contro Israele
    …..

    Città blindata e serrande abbassate per il corteo a favore della Palestina. Attese in piazza circa 7mila persone. Berlusconi: sono lo 0,00% dell’Italia
    …..
    di MARCO NEIROTTI
    …..

    TORINO – Porta Nuova è sempre la solita. La Stazione monumentale, il viavai del lavoro e quello degli affari più o meno limpidi, delle mani leste, di fronte i portici di via Nizza con la loro umanità varia. Da qui al Lingotto ci sono più o meno otto chilometri. Ma non lo si respira, è lontano. Ieri pomeriggio e sera, nella routine di qui, non passavano le polemiche sullo Stato di Israele alla Fiera del Libro. Incamminarsi verso l’antica fabbrica è anticipare un viaggio nella Torino un po’ infastidita e un po’ ironica, un po’ preoccupata e un po’ sabaudamente distaccata per il corteo di oggi.

    Non partiranno da Porta Nuova i settemila (secondo i commercianti, ma più probabilmente tre o quattromila). Partiranno da corso Marconi. C’è già qui la prima ironia: ci si incammina dai due palazzi simbolo della «testa» della Fiat, i due centri di comando ora deserti, destinati secondo i progetti, alla Regione, alla Sanità. Ora sono una memoria e la destinazione – ideale perché chiusa dalle forze dell’ordine – è il Lingotto, l’archeologia industriale, la fabbrica con la pista di prova sul tetto, ora centro di fiere e sede del cervello Fiat, con l’ufficio del vecchio senatore Agnelli tornato a pulsare.

    Quella della vigilia è una passeggiata tra torinesi che considerano le manifestazioni una scadenza da pagare che incrina un po’ la serenità. Anzi, liquidano il corteo come una brutta escrescenza che ogni tanto spunta e s’infiamma. Certo, le apprensioni ci sono. Basta andare al bar davanti ai due edifici abbandonati di corso Marconi: «Va detto che partendo da qui, da un gran cantiere, hanno un’armeria a disposizione, lì trovano di tutto, spranghe e ogni oggetto utile». Reazione: «Chiudiamo un po’ prima e apriamo quando se ne sono andati».

    Appena partiti, i manifestanti svolteranno a destra, via Madama Cristina. E’ la lunga strada commerciale, con le fermate dei mezzi pubblici in mezzo alla carreggiata. Alimentari, acconciature, tabacchi, supermercati, un teatro. E poi quelli che sarebbero gli obiettivi sensibili. Alle spalle della partenza c’è la sinagoga, ancora ieri protetta da una sola pattuglia. Avanti per il percorso: banche, un’agenzia di viaggi, ma oggi chiuse comunque, al di là del corteo. Le oreficerie: «Abbasseremo le saracinesche per qualche ora. Ogni tanto capita».

    Più avanti, via Genova, quella che sta tra il Lingotto e il fiume e porta verso la cintura, è la stessa cosa. Ma qui le blindature di negozi, vetrine, portoni si allargheranno a raggera. Perché qui è dove si rischia la bravata di sfondare i blocchi e raggiungere questo palazzo, questo simbolo operaio ora simbolo di cultura che dovrebbe essere pace. Qui si teme uno scontro che generi la dispersione tra le vie di gente «disordinata e senza un perché». Il presidente dei commercianti di via Madama Cristina, Claudio Albera, getta acqua sulle fiamme della paura: «Non è la prima volta che vediamo sfilate di questo tipo, a volte violente e sfuggenti. Non capisco come non abbiano voluto studiare un itinerario alternativo, scegliendo invece una via di commercio proprio il sabato pomeriggio».

    In panetteria sembrano informatissimi: «Chiuderemo, certamente.. Lei capirà, arrivano settemila persone armate di spranghe». Dicono che saranno meno, signora. «Non si può mai dire. Ma l’assurdo è che quelli se non riescono a fare quello che gli pare si sfogano con noi». I residenti di via Genova pensano a dove andare a piazzare le auto. Pur continuando a dire che sono «pustole impazzite», più coloriti di Silvio Berlusconi che invece parla di «frange assurde, irrilevanti, che fanno trambusto ma rappresentano lo 0,00 del popolo italiano, che è il più vicino a Israele».

    Chi di un corteo fa le spese maggiori è proprio la Fiera, che fino a ieri aveva registrato un calo di presenze del due per cento. E tutto ciò è surreale. Là dentro c’è un clima tranquillo, da famiglie, scuole, coppiette, dibattiti, panini, bibite, libri e libri e libri. Il Lingotto, che sarà lambito dalla protesta, come Porta Nuova, dove arriveranno i contestatori di fuori. Estranei e sereni nei loro universi.

  65. da LA STAMPA
    ….
    9/5/2008 (7:59)
    E il marketing creò l’élite: Cioè il lettore

    Il libro sta benissimo, sta invece male la diffusione culturale.

    Il direttore della Mondadori spiega la “non democrazia” culturale

    GIAN ARTURO FERRARI
    La democrazia non ha di per sé nulla a che fare con la cultura. Ma con la diffusione della cultura sì, e molto. Per questo aspetto infatti si riaffaccia la quantità, i tanti, la gente comune. E dietro di essa la nozione di consumo, l’orda dei consumatori, la democrazia dei consumi, l’impero irresistibile, come l’ha definito Victor De Grazia. Appare insomma ragionevole che un ordinamento democratico, una democrazia compiuta, presuppongano o si diano come obiettivo una diffusione egualitaria e tendenzialmente universale della cultura e dunque una generalizzazione dei consumi culturali.

    Ora è chiaro che la cultura non si identifica con i libri. E si può anche concedere che i libri non siano lo scheletro della cultura, la sua spina dorsale. Ma per certo i libri sono il più sensibile e veridico termometro della temperatura culturale di un paese e dunque misurando la loro diffusione si può ottenere un responso abbastanza chiaro sul tasso di democraticità di quella cultura. Qual è dunque il referto sulla democraticità della cultura italiana oggi? Torniamo su cose dette altre volte, ma vorremmo farlo con maggiore sintesi, concentrando quello che sappiamo in tre punti.

    Primo. Oggi in Italia ha dimestichezza con i libri circa un terzo della popolazione adulta: un po’ più di un terzo legge, un po’ meno compera, ma lì siamo. E’ una percentuale nettamente e drammaticamente inferiore a quella di tutti i paesi sviluppati. Secondo. Questo trenta e rotti per cento non è omogeneo, ma è una media tra estremi enormemente lontani. Le principali differenze sono determinate dalla geografia – il Nord è il doppio del Sud -, dal livello di istruzione – l’alto è il triplo del basso – e soprattutto dal livello socioeconomico – il superiore è il quintuplo di quello inferiore. Dunque un fortissimo squilibrio. Hanno dimestichezza con i libri i settentrionali colti e agiati, il resto poco o niente. Terzo. Nel tempo il perimetro esterno della cittadella dei libri è rimasto sostanzialmente invariato, mentre gli squilibri si sono accentuati e si vengono tuttora accentuando. Esiguità, squilibrio, stagnazione sono i tratti fondamentali della non democrazia culturale italiana.

    Ma il paradosso italiano consiste nel fatto che mentre il paese culturale langue e la democrazia culturale si allontana sempre più, il mondo dei libri sta benissimo. La comunità dei lettori si riconosce sempre più come comunità, ama ritrovarsi e riconoscersi e festeggiare in letizia i propri libri, i propri autori, le proprie sincere passioni. La comunità dei produttori, dagli autori agli editori ai retailer, aldilà delle ufficiali lamentazioni, è più prospera di quanto sia mai stata nella sua storia. Sono venute meno, o hanno perso fascino, le ideologie elitarie, sia pedagogiche sia estetizzanti che per lungo tratto hanno dominato il mondo dei libri. Anche i più cupi seguaci di Adorno si sono convinti che la letteratura di evasione può essere un onesto svago e non una maschera della più fosca reazione. Soprattutto si è felicemente scoperto che l’elitarismo è lo strumento principe di un buon marketing, giacché nulla è così di massa come il desiderio di far parte di una élite. La sindrome Fahrenheit, cioè l’idea che i libri si stanno estinguendo, divorati forse dalla plebea televisione, ha perduto molto della sua angosciosa efficacia di fronte alla sfilza di libri che nella scia di Harry Potter si sono avviati a varcare la soglia del milione di copie.

    L’Eden dei libri rende ancor più penosa, per contrasto, la situazione del paese. E la diseguaglianza marcata dai libri, la non democrazia culturale, emerge d’improvviso come un relitto arcaico, la memoria di un mondo diviso tra signori e poveretti, tra il signorile otium della lettura e la durezza del faticare. Come se quel lavoro su cui la repubblica democratica si fonda fosse ancora e solo pura cessione energetica o pura abilità manuale e non invece un’attività ad assoluta prevalenza intellettuale.

  66. è che fa tristezza che per questa Fiera ci girano i Carabinieri in continuo pure nel posteggio espositori, dicasi pure la GdFinanza,
    ed è ‘na nota triste assai

    MarioB.

  67. da IL MATTINO di oggi
    10/05/2008

    «Italia, paese in decadenza»

    Paola Del Vecchio

    «Brutta e povera Italia, dove i politici hanno deciso di diventare zoticoni, dove esercitano una demagogia superiore, che consiste nel dire al popolo quello che il popolo vuole ascoltare, con un linguaggio da taverna invece che del foro. Povera e brutta Italia, al primo passo verso un fascismo reale». È il più importante scrittore spagnolo contemporaneo, Javier Marias, a parlare così di una terra che ama, la terra di Primo Levi e Giorgio Bassani. Oggi alla Fiera del Libro di Torino riceverà il Premio Alassio Internazionale. L’autore di Domani nella battaglia pensa a me e di Un cuore così bianco non può fare a meno di constatare: «Non mi spiego bene cosa stia accadendo nel vostro Paese. Trovo la situazione non preoccupante, ma allarmante». Al Salone difenderà una tesi che ha appena argomentato nelle 40 pagine del suo discorso di investitura come membro della Reale Accademia Spagnola: «Lo scrittore è l’unico che ha la facoltà di raccontare integralmente i fatti, a differenza di cronisti, storiografi, biografi, memorialisti o testimoni, che sono destinati a fallire». Lo può spiegare, Marias? «Io sostengo che lo scrittore è il solo capace di raccontare i fatti per intero e senza contraddizioni, rettifica o emendamenti. Chiunque vi si dedichi sarà sempre suscettibile di essere corretto, integrato o smentito, perché la trascrizione di avvenimenti è condannata ad essere provvisoria. O, peggio, a non essere fedele. Penso alla maledizione degli storiografi, che credono di poter stabilire la versione definitiva di un episodio storico. Il romanziere invece non è soggetto a smentita». Lei dice che si può solo raccontare ciò che non è mai accaduto. La realtà può essere narrata solo letterariamente? «La nostra è una visione sempre parziale, anche delle cose delle quali siamo testimoni diretti. Anche la più concisa e obiettiva deposizione in un processo di un testimone oculare ricorre alla parola, che è uno strumento impreciso, metaforico e meramente sostitutivo, inservibile allo scopo. Senza volerlo, deforma, frammenta e converte in una successione ciò che era simultaneo. Per questo è impossibile narrare ciò che è accaduto. Si può solo raccontare quello che non è mai successo». Francisco Rico ha detto che lei ha iniziato con una confessione di umiltà per finire con una manifestazione di arroganza. «In un certo senso sì, non capivo bene come mai avessero ammesso in un’istituzione tanto prestigiosa romanzieri come me, dato che il nostro è un lavoro puerile, come lo definiva Stevenson. Li ho invitati poi a riflettere sul fatto che la gente conosce perfettamente personaggi mai esistiti come Don Chisciotte o di Sherlock Holmes, al punto che, pur senza aver letto Cervantes o Conan Doyle, è capace di riconoscerli in una scultura o in un’immagine; mentre ignora ciò che accade al vicino di casa, o figure storiche che hanno lasciato un segno nel mondo. Il paradosso è che, perché un personaggio reale resti nella memoria della gente, è necessario che un letterato gli dia una dimensione immaginaria». Un anno fa, dopo la pubblicazione di «Veleno e ombra e addio», il terzo volume del romanzo «Il tuo volto domani», lei ha detto di volersi congedare dal genere. «Dopo un libro come quello, 1600 pagine e otto anni di lavoro, si produce uno svuotamento. C’è bisogno di tempo per ritrovare la capacità di invenzione. Suppongo che prima o poi mi torni la voglia di lavorare di nuovo a un romanzo, ma oggi ancora non immagino mondi di finzione diversi da quello in cui sono rimasto immerso tanto a lungo. Penso piuttosto a un libro di racconti». Intanto continua a scrivere i suoi articoli settimanali. «Faranno di me un criminale» è l’ultima raccolta uscita in Italia da Passigli. Qual è la differenza fra il Marias narratore e l’opinionista? «Scrivo gli articoli anche come cittadino, dunque mi sento molto più responsabile, mentre il romanzo è un territorio senza leggi né etica, almeno in principio. I miei ultimi romanzi sono tutti narrati in prima persona, ma molte delle cose che afferma il protagonista non mi sentirei di condividerle. Invece conviene che io sia d’accordo con quello che scrivo nei miei articoli…». Lei segue da vicino le vicende italiane, come giudica il ritorno del governo Berlusconi? «Un grave segnale di decadenza, spero non irreversibile. Nel mio commento sul settimanale del Pais definisco la situazione allarmante. Si comincia ad esercitare un tipo di demagogia che consiste nel dire al popolo non solo quello che lui vuole ascoltare, ma usando anche parole in maniera brutale, con un linguaggio da taverna. È come dire alle persone: sono in tutto e per tutto uguale a te. Ma i politici non possono farlo, essi hanno il dovere di assumersi più responsabilità di un qualsiasi cittadino. È quanto invece sta accadendo con Berlusconi e Bossi. In democrazia non è importante solo l’ideologia, ma anche le forme».

  68. in diretta:
    Sotto le mie finestre, Borgo San Salvario, Torino passò un’ora fa ben nutrito, grosso corteo pro Palestina diretto alla Fiera del libro,
    seguito da esimio plotone di pula,
    speriamo bene…..

    Io già ci stetti già tre volte alla Fiera, i questi giorni, scopo lavoro,
    e non vidi quasi un tubo, essendo indaffarato con pacchi ed aggeggi vari.

    Rimanga inter nos,
    (tanto qui non ci vengon in pochi),
    io alla Fiera mi sento enormemente a disagio, c’è ‘na marea di gente,
    ‘sto rumore di sottofondo che mi scassa…

    Mario Bianco

  69. AH SOZI occhio a Eros!
    Il tragitto ascendente di Eros racchiude in sè il germe della delusione ultima…gli fu concesso di vedere la terra promessa ma non di premerne il suolo.
    Comunque abbi fede anche a me piace David Bowie.
    Ciao

  70. Gia’, Lorenzo: ”Dulcis et utile”, dicevano i Romani. Come sempre a loro l’ultima parola (anche se detta duemila anni fa).
    Ciao caro
    Sergio

    Postato Venerdì, 9 Maggio 2008 alle 6:12 pm da Sergio Sozi
    @ Sergio
    I romani comandavano e per farlo non potevano essere spirituali, ma materialisti al massimo. Erano altri tempi, sebbene anche oggi riscontriamo abbastanza tracce di prepotenza e cinismo per il proprio tornaconto. Duemila anni, cosa sono per un Creato che esiste da molto, e ancor più tempo. Un confronto darebbe sempre ragione agli ottimisti di ogni associazione umanitaria esistente.
    ciao, Lorenzo

  71. @Rossella, ciao,
    ad ogni domanda cerchiamo una risposta che, non essendo mai definitiva e concludente ad essa, dà luogo ad una nuova domanda, e così via.
    Questo perché il sistema che sostiene la nostra vita è talmente intricato e complesso, da non essere mai in grado di arrivare ad una risposta chiarificante, o almeno appagante.
    Possiamo solo dare spiegazioni relative, e sempre soggettive, secondo il nostro stato di percezione nel momento di esprimerle.
    Lo stato percettivo dipende da diversi fattori dominanti nell’uno o nella’altro. Per esempio, l’incolto si affiderà alle sue esperienze fatte e alle poche cognizioni assimilate, sempre che voglia e sia capace di essere sincero, il colto complicherà la questione, perché sarà indotto a selezionare tra le molte cognizioni fatte proprie e le sue esperienze, che anche loro saranno più differenti e difficile da selezionare che nell’essere incolto, e il tutto per raggiungere un buon fine.
    Che cosa dovrebbe essere, ora, il buon fine? Alcuni identificheranno in esso la rappacificazione del proprio animo, cioè il raggiungimento di uno stato psichico d’equilibrio, indipendentemente dal suo carattere materialista o spirituale; per altri, e qui conto gli esseri nei quali domina la spiritualità, cioè un legame forte con il metafisico, cercheranno nel miglior dei casi un equilibrio tra il materiale e il metafisico.
    Nei due raggruppamenti esistono molte variazioni, secondo dell’intensità del fine sentito e voluto realizzare e delle proprie caratteristiche ed inclinazioni.
    Da questo svariato panorama deduco che esistono tante forme e criteri della bellezza, quanti sono i bisogni da appagare.
    La mia bellezza è quella desiderata e cercata dal mio spirito, senza perdere però il contatto con il reale, così che potrei trovare bello anche un oggetto reale nel quale possa trovare un senso utile per migliorare la mia spiritualità. Questo perché sono cosciente di vivere in questo mondo imperfetto, che accetto così com’è, facendone lo scopo dei miei sforzi, tesi a migliorarlo. I miei sforzi hanno dunque un fondamento spirituale che determina la mia coscienza e sostiene i miei impegni, che assumo come una necessità e quindi dovere.
    Da questo stato d’equilibrio, non mi sento tormentato dallo spirito nei casi di fallimento e debolezza. Entrambi sono prodotti di questa dimensione e nessuno ne rimane esente.
    Una spiritualità forte, quindi, ma non dominante, che lascia spazio ai piaceri reali che la vita offre. Nessun pericolo di cadere in una psicosi, depressioni o esaltazioni che per me sono prodotti di uno spirito in una mente debole e schizofrenica.
    Credo, che la mia definizione della bellezza che determina il mio rapporto con essa, si copri, almeno in parte, con quella data da Francesca Mazzucato; è un rapporto che aiuta a sopportare e superare i propri difetti e svantaggi di ogni forma e sorte, così frequenti in questa vita, ed è quindi liberatoria.
    Ciao, Lorenzo

  72. Desideravo ringraziarvi tutti per i nuovi commenti e i nuovi contributi. Purtroppo ho problemi di connessione (che spero di risolvere).
    Ne approfitto, dunque, per augurarvi buona domenica.
    Chi può continui a scrivere e a segnalare.
    Grazie mille.

  73. Carlo,
    volevo solamente dire che nel mondo non esiste niente di casuale, ne’ di stupido o di inutile. Tutto ha un senso. Non so quale ma lo intuisco e lo credo. E questo salvando la nostra (mia e tua) percezione di stupidita’ e inutilita’ e bruttezza insite in certe cose come quelle che hai citato tu, e che io metto nel numero.
    Cio’ non toglie che cio’ che accade deve per forza accadere, anche se il libero arbitrio ci da’ l’illusione di poterlo scegliere. Non so se ci siamo capiti, spero di si’.

    Ciao, bello
    Sergio

  74. Lorenzo,
    io ci andrei piano sul giudicare i nostri antenati… un popolo che abbia una ventina di dei per ogni singola famiglia non sara’ mica solo materialista e imperialista, vero?
    Ciao, caro
    Sergio

  75. Anonimo,
    Eros per come lo intendo io – ossia in senso lato come molti classicisti anche lo vedono – non e’ per nulla sessuale ma ”patetico”. Mi saro’ spiegato bene, stavolta? L’ ”eros pedagogico”, dice mio suocero, che e’ latinista. Io lo intendo ugualmente.
    Ciao
    Sergio

  76. @ è già molto bello che tu sia così pacato.
    Ma è un’errore, tanto superficiale quanto diffuso, quello di scambiare, in sede psicologica come in quella storica, il misticismo naturale con quello cristiano, avvalendosi delle innegabili assonanze tra l’uno e l’altro.
    Il misticismo pagano ha rassomiglianze con la mistica cristiana, tali e numerose da rendere quasi impercettibile la diversità, che pure, è di radicale opposizione.
    Tutta la storia del misticismo pagano è la storia di Eros e della sua delusione che sfiorò nel suo viaggio, la porta dell’assoluto appena socchiusa, che non seppe nè poteva entrare. Arrivò fino all’estasi, stato in cu l’anima si sente, o crede di sentirsi, in presenza di Dio, ma non superò quest’ultima tappa per giungere al punto in cui con l’inabbissarsi della contemplazione, la volontà umana si confonde con la volontà divina.
    Insomma, per dirla breve, tante volte credere che attraverso i sensi si raggiunge la sacra bellezza non è la legge e spesso i sensi si avvalgono di apparenti autorizzazioni del misticismo. Bisogna vedere di che misticismo si tratta.
    Anche la Grazia è amore, ma amore di Dio per l’uomo.
    Ma non vedo un grande divario fra i nostri modi di pensare.
    Per concludere Bergson riteneva che il compito di ristabilire l’equilibrio tra la crescita eccessiva del corpo e lo stato d’indigenza dell’anima sarebbe spettato alle scienze morali: Risposta perfetta al valore etico della bellezza richiesto da Massimo Maugeri.

  77. Oggi, cioè ieri, vabbeh, insomma, sabato, mi sono fatto una fullimmersion alla Fiera.
    tra l’altro ho assistito al dibattito sul bello copme canone nel romanzo, con Scurati, Cortellessa et coetera.
    Hanno detto cose molto interessanti, che ora, data l’ora, non gliela faccio a riportare…
    ma,
    se Massimo ci tiene,
    vedrò di mettere giù un commento articolato con il succo degli interventi di codesti Grandissimi Intellettuali sul canone del romanzo…;-))
    Intanto vado a dormire e metabolizzare tali altissimi concetti.
    Paolo Cacciolati

  78. da LA STAMPA
    10/5/2008 (17:17)
    Il web 2.0 alla Fiera del Libro, tra editoria e modelli di business
    —-

    TORINO
    Il web 2.0 e i nuovi modelli di business ad esso correlati sono stati gli argomenti principali della conferenza tenutasi nello stand “Spazio incubatore” all’interno della Fiera del libro di Torino 2008. Esponenti dell’imprenditoria e del mondo della ricerca si sono confrontati su temi riguardanti la relazione e la contrapposizione tra editoria e user generated contents. Esperti del settore hanno indicato le nuove strade percorribili per poter sfruttare anche economicamente questo profondo cambiamento nell’ambito della comunicazione.

    Laura Morgagni, ricercatrice di Torino Wireless(fondazione senza scopo di lucro nata per gestire la governance e l’indirizzamento del Distretto ICT piemontese), ha rilevato una grande vivacità nel contesto italiano dei contenuti audio-video generati dagli utenti: «Nel nostro paese vi sono all’incirca 57 milioni di blog, di cui 3 milioni nati solo nell’ultimo mese, in grado di generare ben 900mila post al giorno». Questo fenomeno, secondo la Morgagni, non può non attirare l’interesse delle aziende e del mercato.

    Dello stesso avviso è stata Eleonora Pantò, esponente di Csp Innovazione, che ha messo in evidenza come la partecipazione, la fiducia e la reputazione degli attori di Internet svolgano un ruolo di primo piano nel rapporto che s’instaura tra la rete e il consumatore. Anche la chiarezza è un aspetto fondamentale della comunicazione in rete, come testimonia la proliferazione di nuove forme di classificazione dei contenuti dal basso (la cosiddetta folksonomia) ed il «riciclo» di messaggi e servizi in Internet grazie a tecnologie quali Rss e Mash up.

    Amil Abirashid ha invece spostato la discussione sulla naturalezza con cui le nuove generazioni sono in grado di usufruire di queste straordinarie potenzialità tecnologiche: «La Generazione Y, quella teorizzata da Tapscott nella sua opera Wikinomics, non può fare a meno dell’interazione. Ecco perché ormai media come la tv generalista subiscono, e subiranno sempre più in futuro, un forte ridimensionamento in termini di audience».

    La seconda parte della conferenza si è incentrata sulle nuove modalità del mercato percorribili in questo nuovo contesto. Daniele Alberti, manager della web tv Glomera, ha sottolineato la grande elasticità che caratterizza i modelli economici che sfruttano le potenzialità della Rete: «Su Internet esiste la possibilità di creare un’infinità di modelli di business non assoluti, ma integrabili l’uno con l’altro».

    Francesco Ardito, top manager di Vieweb.it, si è ricollegato a quanto detto dal suo amico Abirashid per confermare la centralità delle nuove tecnologie di comunicazione (quali la videoconferenza, la messaggistica istantanea on line e il podcasting) nel lavoro e nel tempo libero. A proposito della nascita di nuovi e originali modelli di business, ha raccontato l’aneddoto piuttosto significativo di un’anziana statunitense, col talento della creazione di cappotti per cani, che, grazie alla diffusione attraverso E-bay dei propri prodotti, è riuscita ad ampliare il suo business su scala industriale.

    Seguendo il ragionamento di Alberti, Maurizio Attisani ha messo in luce come l’esperienza statunitense sia fondamentale per le aziende italiane che vogliono muovere i primi passi del mercato dall’Ict. IntelligenceFocus, azienda di cui egli è responsabile, ha elaborato un’innovativa applicazione di monitoraggio e di filtro dei contenuti web. La serietà della sua proposta ha attirato l’interesse della nota azienda americana di giocattoli Hasbro, che attualmente utilizza questo software nel forum del proprio sito web.

    Alla conferenza è seguito un breve ma acceso dibattito generato da alcuni interventi degli uditori, a dimostrazione del fatto che le tematiche economiche e sociali legate alla diffusione del web 2.0 sono oggi di grande interesse anche per il non specialista del settore. L’incontro è stato solo una delle tante occasioni che il Salone del Libro di Torino ha offerto al visitatore per approfondire tematiche di vasto interesse in campo editoriale e culturale.

  79. Lorenzo, scrivi:”…da questo svariato panorama deduco che esistono tante forme e criteri della bellezza, quanti sono i bisogni da appagare”.
    E poi spieghi quale è il tuo. Questo però porta ad un sistema di valutazione della bellezza totalmente soggettivo. In pratica non porterebbe a nulla. Pura anarchia?
    A meno che non si cerchi di distinguere tra i bisogni reali e quelli artificiali. Ma quelli che possono essere comuni per identificare una cultura, in senso lato una civiltà.
    E’ proprio nell’identificazione dei bisogni la chiave di lettura necessaria per trovare un punto di incontro, e forse anche di convergenza tra etica ed estetica.
    Nel mondo odierno (ma forse anche ieri, seppure in forma minore) i bisogni artificiali imperano, sulla base delle necessità dell’economia e del mercato, veri motori dello sviluppo. E la gente (stupidamente) abbocca e crede utile e necessario ciò che assolutamente inutile. La civiltà nella quale nuotiamo oggi è alla continua ricerca di creare bisogni artificiali perchè trova il modo di campare soddisfacendoli. E cerca di far passare per bello ciò che è orrendo, mostruosamente inutile e idiota.

  80. E non credo nella stucchevole dicotomia corpo/anima, materiale/spirituale, troppo usata, spesso abusata.
    I bisogni (reali) riguardano il corpo quanto la mente, perchè l’uomo è fatto di entrambi. L’arte, la bellezza debbono soddisfare entrambi.

  81. @Sergio, Carlo S.
    la grande numerosità di dei dimostra la difficoltà dell’uomo di capire qualcosa del grande intricato che è la vita.
    Oggi, noi crediamo in un Dio, creatore del tutto, e domani, in che cosa crederanno gli uomini, dato che noi non ci saremo più?
    Non mi meraviglierebbe, se gli dei spariranno dall’orizzonte cognitivo umano, per essere sostituiti dalle nuove formule fisiche e matematiche, delle quali noi non abbiamo ancora una pallida idea.

    Sul tuo scambio d’opinioni con Carlo S., mi permetto d’intervenire, anche perché sono della tua stessa opinione, e alla quale aggiungo che il libero arbitrio è lo stimolo di vivere, nel senso di voler, e a volte poter, imparare dagli errori, riscontrati come tali.
    A mio parere, il sistema del Creato sta sopra il nostro e determina nel suo insieme ciò che deve ora e dovrà accadere dopo, come se anche lui avesse dei compiti da assumere e risolvere.
    Senza il libero arbitrio, vivremmo in uno stato d’incoscienza, e saremmo quindi incapaci di pensare per deliberare e mutare un qualcosa per il nostro meglio, o anche peggio.
    Nel senso dell’illusione, vedo la nostra mancanza di chiarezza verso un Creato che ci appare ancora troppo misterioso e sconosciuto.
    Saluti e ciao ad entrambi.
    Lorenzo

  82. @ Rossella
    pacati si diventa, ma non sempre, dopo aver combattuto per vedere un po’ di luce nel labirinto delineato dalla nostra ignoranza iniziale.
    Seppure rimaniamo ancora ignoranti, acquistiamo il senso di esserci avvicinati un po` di più verso l’uscita, voluta e desiderata prima intuitivamente e poi determinatamente.
    So bene che il misticismo pagano e cristiano hanno dei punti di concordanza, soprattutto con riguardo allo stato psichico che, una volta raggiunto, dona un appagamento spirituale di serenità e leggerezza d’animo, non uguale ma simile alla reazione della droga.
    Appagamento dei sensi, che pretendono e secondo le proprie caratteristiche donano, anche con l’inganno, che a volte si accetta pur di sentirsi felici.
    L’opposizione da te indicata risiede nei principi. Quelli cristiani vedono l’uomo come punto centrale di riferimento, e che per questo lo mettono vicino a Dio, posizione da raggiungere attraverso l’impegno serio di voler superare, da distinguere con il riuscirci, delle proprie inclinazioni dannose verso gli altri esseri, a cominciare con il prossimo.
    Leggendo il libro di Eugen Drewermann, trattante la vita di Giordano Bruno, ho trovato conferma sulla necessità di vivere per riconoscersi nel proprio intimo, e una volta trovato rimanergli fedele fino al sacrificio finale, qualora come nel caso di Giordano Bruno che preferì morire, ne diventi la conclusione, piuttosto che rinnegarsi e diventare uno strumento del potere altrui.
    La morte assume così il simbolo della libertà umana e personale al confronto con il giogo terrestre che non tollera mutamenti reazionari.
    Giordano Bruno ha, a mio parere, vinto e rotto le sue catene del destino terreno elevandosi a una dimensione fuori di essa.
    A parte l’aspetto metafisico del fenomeno, non ancora spiegabile con l’attuale livello della nostra ragione e conoscenze varie, a me interessa il senso liberatorio raggiunto dal personaggio in discorso, senso che riuscì a non perdere e che quindi assunse, in senso incondizionato e non rinnegabile, come verità propria.
    Ritengo infine, che anche questo sia un aspetto imponente della bellezza, espressa in senso etico e morale, e proposta qui da Massimo.
    Saluti e ciao,
    Lorenzo

  83. Per Salvo Zappulla e gli altri letteratitudiniani “fieristi”: che invidia! Vorrei essere là pure io!!!
    Massi: già che ci sei potevi chiederci la formula dell’acido solfidrico, le malattie della vite e la data della battaglia di Hastings…
    🙂 😉

    Che cosa può rispondere oggi ai canoni della Bellezza, in letteratura come nelle arti, nella musica, nelle scienze?
    Oggi chi persegue la Bellezza è chi persegue Giustizia, Verità, Amore, Compassione… non chi impicca bambini per fare arte, chi supplizia gli ascoltatori con suoni angoscianti, chi gioca a dadi con la vita in nome della libera ricerca… chi scrive e dipinge vomito e merda perché trasgredire è il cerchio chiuso della sua concezione di vita, non una vera rottura di regole e principi imposti in nome di un ordine diverso, più giusto e bello.
    Che cosa si richiede a un’opera?
    Emozione. Svelamento. Comprensione. Apertura di nuovi orizzonti.
    Dove passano i confini del bello e del brutto?
    Vedi 1. Massiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!
    Come sono cambiati nei secoli i criteri estetici, e quali sono i loro rapporti con l’etica?
    Ma non ne avevamo parlato per via di Eco?
    E quali i rapporti della bellezza con gli oggetti industriali prodotti su larga scala?
    Bello è anche è soprattutto ciò che non è concepito e utilizzato utilitaristicamente ma contemplato disinteressatamente e goduto, fruito con accrescimento in noi di ciò che non è puramente materiale.
    La bellezza è lo splendore del vero, diceva Platone: è un anelito alla speciale «verità» umana e poetica dell’arte, che può risultare anche scomoda e difficile, perché implica sempre la tensione insoddisfatta della ricerca. Ma se vedere è un atto creativo, come è stato detto, che cosa siamo capaci di «vedere», oggi?
    Oggi siamo homines videntes, che vedono vedono vedono migliaia milioni di immagini tette dentifrici televisori stupri incendi genocidi… Pubblicità.
    Ma che cosa realmente guardiamo? Cosa contempliamo? Ascoltate “Povera patria” di Battiato… una poesia.

    Quale potrebbe essere oggi il canone del romanzo?
    Il romanzo risponde a domande e a una domanda diversa nel corso di secoli, epoche, succedersi di ideologie e mode e gusti e teorie della letteratura e del mondo.
    La forza del romanzo è di non essere una forma chiusa ma aperta, flessibile, un contenitore buono per tutte le stagioni, una forma liquida e instabile pronta a solidificarsi in immagini sensazioni ritratti per poi frantumarsi e ricimporsi in nuovi equilibri, in nuovi esperimenti di bellezza e verità.

    Massi, questo post deve durare fino a Torino 2013.

  84. Nel mentre che qui piovevano fave dappertutto, io e Gea abbiano tenuta alta la bandiera di Lettaratitudine atteggiandoci a intellettuali da battaglia, ossia poche seghe e idee chiare. Visite mirate, appuntamenti quasi prestabiliti un incontro con l’autore, Loredana Lipperini (bravissima), e girovagare con curiosità.
    La Fiera (come molti hanno sottolineato) ha una logistica indovinata. C’è spazio, c’è visibilità per tutti e c’è anche il massimo possibile del comfort per un evento di questo tipo.
    Tra cose imperdibili, la conoscenza live con il collega Remo Bassini. Gran bella persona lui, e chi lo accompagnava. Una cena piacevolissma con dopo-cena culuturale tra libri e quadri.
    Questo è più o meno tutto, da parte mia. Perché ho lasciato a Gea (se vorrà) di essere più esaustiva anche perché sopportarmi è stato da parte sua al limite del calvario.

  85. Si sta svolgendo un bel dibattito. Condivido la perplessità di Zauberei sull’affrontare la valanga di domande riproposteci da Madonna Maugeri: non essendo in grado di dare giudizi su cugggini e zzie che non conosco, mi soffermo solo sulla bellezza. Parlando seriamente: a Francesca e Rossella che sentono venire le vertigini e tremare i polsi pensando alla ricerca della bellezza (come tanti del resto) ma soprattutto a Zauberei che, fautrice della complessità/diversità, logicamente storce il naso di fronte al richiamo a canoni o criteri imposti dico: se concepiamo la bellezza come qualcosa da costruire dobbiamo dire, con Lorenzo, che ci sono tanti tipi di bellezza quanti sono i bisogni. Direi invece che la bellezza è qualcosa che si dà da se, ci appare e ci coinvolge. Che sia un bel viso (notizia letta l’altro giorno sul giornale: dei ricercatori hanno scoperto che bellezza fisica è uguale a simmetria; scoperta dell’acqua calda, dico io, l’aveva già detto Aristotele, nella Poetica se non sbaglio, e anche Cicerone). Che sia un paesaggio, non certo simmetrico: in entrambi i casi ci colpisce, si rivela, e ben lo sa l’artista, che la scopre con il suo lavoro. E’ qualcosa che si manifesta, come diceva Platone, ripreso poi da Hegel come canone romantico. Dio sempre geometrizza (Platone, Repubblica, X) e, quando noi riscontriamo anche solo un barlume di questa possente azione, possiamo così parlare di bellezza in senso universale. E fa bene qui Lorenzo a citare Giordano Bruno. Ciao.

  86. @Mary Lucy, mi si è aperto il tuo intervento solo dopo aver lanciato il mio, è curioso che abbiamo citato Platone in contemporanea. Ciao.

  87. @gea, enrico
    Ah, ecco dove eravate. Un pò di invidia. Cena con Remo Bassini tra libri e quadri. Mi sarebbe piaciuto molto esserci. Spero qualcuno di voi racconti, a noi poveri assenti, please.

  88. Io credo che non sia questa la sede per una disquisizione filosofico-estetica sulla bellezza,e infatti si e’ finiti fuori tema come al solito.Il punto e’ cercare di individuare quella bellezza di cui parlava Dostoev,e di capire di conseguenza come potrebbe mai salvare questo mondo alla deriva.Cercare di vivere nella bellezza e’ cercare di destare e trattenere dentro di noi uno stato di grazia,di armonia,di pace interiore,un plusvalore dell’anima.immanente alla realta’,ma percepibile solo a una mente disposta a coglierla.questa estasi puo’ essere generata in noi da un quadro,da uno spettacolo naturale,da uno sguardo,da un gesto,da una storia.
    In un libro di storie Zen,lessi una volta che un monaco che viveva in assoluta poverta’,un giorno era uscito per trovare qualcosa da mangiare nei campi.tornando si trovo’ in casa un ladro.Invece di aggredirlo,comincio’ a profondersi in scuse mortificate,e lo prego’ almeno di sedersi con lui a dividere quel poco cibo che era riuscito a trovare.
    Non e’ questa una storia di assoluta bellezza?.
    Nel film American beauty,dove il protagonista si imbatteva in tutti i peggiori vizi americani,ma estendibili a ogni societa’ evoluta,a un certo punto la trama si interrompeva, e si vedeva sempre la stessa scena di un volteggiare di foglie e cartacce, disperse dal vento in una strada deserta,e una voce fuori campo diceva:’C’e’ cosi’ tanta bellezza nel mondo,che quando la vedo apparire cosi’…tutta insieme..il cuore si gonfia ,e scoppia,come un palloncino di gomma…’
    Non era un grottesco enigma,una stroncatura scenica in quel contesto di degrado morale,era invitarti a guardare per trovare la bellezza, ad esempio nel protagonista che nonostante le vicende incresciose,non perdeva la sua identita’ morale e la sua positivita’.
    Non credo mi riesca una concettualizzazione teorica definita e circoscritta,ma spero di aver reso l’idea.intanto provate a farlo questo esercizio di ricerca della bellezza.ciao.

  89. Ho promesso un commento sull’incontro alla Fiera dedicato al Bello del romanzo e i nuovi canoni letterari, con la creme de la creme della critica nazionale, Berardinelli, Ficara, La Porta, Cortellessa, presenziante Scurati in veste di scrittore ostaggio felice del consesso.

    Premetto che oggi ho letto su La Stampa una cronaca dell’incontro a cura di Mario Baudino, che invero mi è parsa ottima sotto il profilo della sintesi giornalistica ma del tutto supina sulle posizioni e sulle pose da marchesato delle lettere assunte dai suddetti critici.
    L’intero incontro, come è stato riconosciuto dagli stessi partecipanti, è stata un’occasione sprecata in quanto era stato costruito per diventare un dibattito a più voci, mentre si è ridotto a una sfilata di prove di narcisismo intellettuale, dove la voluttà di autoglorificazione dei partecipanti ha portato a sforare i tempi programmati per gli interventi di ciascheduno, di modo che dopo un’ora e passa c’erano gli organizzatori a pressare per concludere (che Don Ciotti, Caselli e le mafie già scalpitavano), senza lasciar un minimo spazio al dibattito, né tantomeno alle domande del pubblico.

    La mia impressione di tutto ciò, come già avrete capito, è di aver assistito a una prova collettiva di autoincensamento da parte dei critici, con Scurati prono nella funzione di vittima della sindrome di Stoccolma.
    Ma insomma, che hanno detto? mi chiederete.

    Berardinelli esordisce candidamente che lui non era preparato sul tema dell’incontro avendolo saputo solo un paio d’ore prima (??ma vah!!!) e che comunque non si sente proprio di parlare del bello nel romanzo, da lì in poi è una tirata sulla funzione del critico, che il critico è lui stesso uno scrittore, dove i personaggi dei suoi scritti sono gli autori, e poi giù a promuovere l’ultima sua fatica per Scheiwiller, con un annuario sugli scrittori italiani, dieci pagine per ognuno, perché, dice, in dieci pagine per un critico è più difficile mentire (ne consegue che ammette normalmente di mentire quando scrivere una normale recensione).
    In uno slancio di didascalismo enciclopedico elenca cinque misure per misurare il bello nel romanzo:
    1)Un canone dei classici
    2)Il canone del meglio che è stato fatto nelle due generazioni precedenti
    3)L’esperienza diretta dal mondo da parte del critico
    4)L’utilizzo di una lingua “falsa” troppo semplice o troppo complessa, la non credibilità della lingua dei personaggi.
    5)L’incoerenza del libro con la propria struttura e il proprio linguaggio.
    Dopo di che conclude che il bello non è definibile, meglio e più facile definire il brutto.

    Cortellessa parte con Croce e la sua avversione per la letteratura contemporanea, afferma che si può canonizzare non la contemporaneità, ma per la contemporaneità, passando per Bachtin che dice che il genere romanzo è auto inclusivo di se stesso ed è tale solo quando contraddice la norma, mentre oggi gli editori compiono esattamente un’operazione di segno inverso, perché pubblicano solo romanzi che cercano di conformarsi a tale norma.
    Cita anche l’ultimo libro di Siti, Il contagio, come uno dei pochi esempi di narrativa attuale controcorrente, ma solo per la parte del libro non di fiction, ma di diario-elucubro-autofiction. Alla fine conclude che la letteratura, e quindi il romanzo, deve avere la capacità di dire no, ripete questo concetto, dire no, dire no, dire no come un valore, dire no al presente, e passa la palla a Ficara mentre riecheggiano ancora in sala i suoi no acuti e nasali.

    Ficara che esordisce che la stroncatura non è mai un esercizio contro, ma a favore della letteratura, e lui comunque non vorrebbe essere nei panni del romanziere, perché il passo narrativo è un passo avanti e tre indietro, poi se la prende con i narratori che fanno finta di non essere italiani, imitano gli stranieri usando un linguaggio che definisce un “idioletto planetario”, una sorta di inglese da aeroporto, avendo perso il contatto con la tradizione letteraria italiana e quindi abbasso tutti gli sperimentalismi o pseudo tali, riprendendo la definizione di Montale per cui la neoavanguardia è un imborghesimento di tutte le avanguardie.

    La Porta carica la dose del sadismo critico ammettendo che a parlar bene ci si sente sempre retorici mentre è più spettacolare una stroncatura. La bellezza è stata sostituita dallo stile, oggi i narratori cercano lo stile, ma lo stile soppianta tutto il resto, anche la tensione morale e l’etica. Cita anche due esempi della prevaricazione dello stile sul bello, oggi: l’ultimo libro di Wu Ming e Hitler di Genna.
    Anche La Porta aborre i libri di fiction pure, molto meglio i libri al confine tra i generi e cita Onofri, La Capria, Affinati, ma anche Piersanti e Veronesi, perché sono “comunicativi ma non concilianti con il presente e la società” (sic).

    Da buon ultimo Scurati apre riconoscendo :”non vorrei esser nei miei panni”.
    Poi è tutto un panegirico sul fatto che i giorni del presente sono i giorni della cronaca, oggi viviamo i tempi della cronaca e il canone letterario scompare, il tempo della cronaca è il tempo del successo, come fondamento di se stesso, e se una cosa non ha successo non è accaduta. Sostanzialmente vivere nel tempo della cronaca significa accettare di vivere giorno per giorno, abbandonando i sogni.
    Dopo una sparata contro la c.d. real-tv come esempio di cronachismo mediatico, conclude anche lui che occorre dire no ai giorni del presente, a favore delle grandi architetture del romanzo di tradizione ottocentesca.

    Fine dell’incontro, con i relatori che si piangono addosso per aver sforato e non aver consentito di innescare il dibattito a cui agognavano frementi.

    Cosa c’entri tutto ciò con il canone del bello nel romanzo, lo diranno la prossima volta.

  90. @ Lorenzo ridiamo e scusa se svolazzerò da un fiore all’altro come fossi un ape.
    Ci siamo prodigati nel cercare il valore della bellezza e quanto può essere utile all’uomo ed alla sua libertà, qualcuno si è estasiato, qualcun’altro, formattando l’evoluzione della storia, ha camminato dentro le vie del pensiero, qualcun’altro dentro quelle del cuore, c’è chi ha avuto la fortuna di arrivare a quello a cui aspirava e ne ha trovato appagamento.
    C’è che quando vedo la Brambilla coi capelli rossi piastrati di fresco, o i lifting di divi e personaggi famosi, o certe patinate pubblicità di veline e letterini chiappe-sode, il concetto di estetica vincente mi riporta all’unione con la banconota, quel gusto raro di contare pollice-indice le mazzette vari tagli.
    Dell’anima che importa! e di Malebranche (filosofo post cartesiano) che si è occupato di comprendere la confusione all’origine della predilezione dei falsi beni corporei e del fatto che la stessa anima ha dovuto impare ad unirsi a loro o a distaccarsene, al di là di questo, rimarco, oggi viviamo in un mondo usa e getta.
    Ma siamo proprio sicuri che Wharol abbia denunciato questo postulato industriale con la sua Marylin? Il fatto è che la poverina si è suicidata.
    Concediamoci una via di mezzo fra un bel quadro rinascimentale e la pop, con questa definizione sull’arte che mi auguro possa essere gradita a tutti per la facile comprensione:
    “La realtà del contenuto e quindi il suo valore sul piano dell’arte dipendono dalla verità della forma.
    La bellezza è l’unione indissolubile stabilita dall’artista fra quello che esprime e come lo esprime”.
    No ragazzi, non chiedetemi chi l’ha scritta perchè è un appunto volante
    Ciao
    Rossella

  91. Come promesso, breve resoconto della mia giornata a Torino. Molto breve perché alla fine s’è ridotta a incontrare con piacere amici che non vedevo da tempo, a distribuire copie di Satisfiction, a lasciarmi stordire dagli sciami di classi ginnasiali che si aggiravano per gli stand. Non ho seguito nessun dibattito, mi sarebbe piaciuto quello cui accenna cacciolati, ma ero già tornato a Milano.
    Un paio di cose buone sono accadute, progetti di libri e di collane, magari se prendono piede ne darò notizia anche qui.
    Nel frattempo sto leggendo un gran libro – Gli scomparsi – di Daniel Mendelsohn (Neri Pozza). 720 pagine, ma ne vale la pena.
    Saluti a tutti
    Filippo Tuena

  92. cosa sia ”la bellezza” io non lo so. verrebbe anche a me da citare ”american beauty”, aggiungendo il finale della frase: ”e ho imparato a non tentare di trattenerla”. la ricetta zen per la serenità.
    è comunque soggettivo il concetto, secondo me. e legato ad un contesto storico e culturale che varia nello spazio e nel tempo.
    per esempio io ho trovato bellissimo vedere tanta gente girare tra i libri, toccarli, annusarli, accarezzarli. non conta se alcuni a mio parere fossero cazzate, è bello comunque che qualcuno li ami e si sobbarchi una sfaticata per poterci essere.
    è bello che ci sia ancora gente come loredana lipperini, che, dati alla mano, sottolinea quanto ancora ci sia da fare per ottenere pari dignità tra uomini e donne, e quanto sia faticoso per entrambi i sessi crescere all’interno di ruoli di genere prefissati e ingessati.
    è bello poter trascorrere una serata tra amici scambiando opinioni aneddoti e chiacchiere varie in un’atmosfera rilassata, con la tranquillità che viene dalla coscienza di riuscire a comunicare veramente.
    è stato bello conoscere finalmente di persona remo, dopo tante mail e telefonate, sua moglie francesca dal sorriso contagioso e mario bianco (ciao mario), deliziosa figura di pittore scrittore, artista a tutto tondo, nel cui studio abbiamo passato un breve dopocena.
    è stato bello andare alla ricerca di vito ferro, e trovarlo alla fine travestito da standista.
    è stato un filino meno bello sopportare il brontolio continuo di un romano de roma in trasferta, al quale non andava bene niente e che continuava a cercare lite con gli autoctoni, a tentare di attraversare col rosso, e, massima sfacciataggine, a sostenere che i tassisti romani sono meravigliosi puntuali affidabili.
    d’altra parte, direte voi, che t’aspettavi? in effetti..
    🙂

  93. Eccomi qui, bella gente!
    🙂
    Un saluto a tutti e un ringraziamento speciale a tutti i “fieristi” che hanno lasciato le loro testimonianze: Filippo Tuena, Mario B., Gianmario, Enrico, Gea.
    Un megaringraziamento a Paolo Cacciolati.
    Caspita, Paolo, grazie mille.
    Il tuo è un articolo superdettagliato.
    Davvero ottimo e interessante. Complimenti!

  94. @ Maria Lucia e Gianmario
    Come avevo già scritto a Zauberei, preciso ancora una volta, a mia parziale discolpa, che le domande che vi ho propinato sono state “prelevate” dalla nota di presentazione della Fiera fatta circolare dall’ufficio stampa.
    Però sto meditando di predisporre un post con 100 domande…
    A me piacciono i record.
    Non mi tentate.
    🙂

  95. da LA STAMPA
    11/5/2008 – IL POPOLO DEI BIBLIOFILI NON TRADISCE LA FIERA
    Il libro resta d’oro

    Gli editori: la gente forse è un pò calata ma le vendite sono cresciute
    di GIOVANNA FAVRO

    TORINO – Il popolo dei bibliofili non ha tradito la Fiera. Qualche malumore c’è, ma gli editori testimoniano in coro che lo zoccolo duro – i lettori forti che da anni affollano Librolandia – non s’è curato di allarmi e strade chiuse, ma ha seguito il richiamo del Lingotto: tra gli stand ieri c’era meno gente, con un calo stimato da Rolando Picchioni sul 10%, ma chi era in Fiera pare aver comprato molto, facendo salire gli incassi, in qualche caso, anche oltre il 2007. Il grosso degli editori si schiera comunque con la Fiera: «Molto rumore per nulla».

    Giuseppe Laterza confessa che le polemiche «mi hanno fatto molta tristezza. E’ parsa prevalente una logica poverissima, di misera contrapposizione da stadio. Se si riduce il pensiero al manicheismo si immiserisce la cultura: alla Fiera devono emergere le tante identità, invece vedo un assurdo tifo e persone avvolte nelle bandiere. Per fortuna la polarizzazione del dibattito non ha impedito ai lettori di venire: c’è molta gente curiosa di ascoltare i dibattiti». Giudica corretto l’invito a Israele, e una «riduzione della capacità critica il non intendere che si possa essere israeliani critici con il governo».

    Una posizione condivisa dai colleghi. Marco Tropea ad esempio spiega che «non sarei mancato a Torino per niente al mondo. Non amo il governo israeliano, ma la Fiera ha fatto bene ad ospitare quella cultura». Ha appena pubblicato un libro su Israele, e per lui «è questo il modo giusto di esprimersi, più che andare in strada o bruciare le bandiere».

    Per Carmine Donzelli «la Fiera sta nel mondo, nessuno può evitare certe tensioni. S’è esagerato, ma non mi piacerebbe una Fiera sterilizzata, nella bambagia, lontana dai temi, e anche dalle polemiche, che agitano la società. Per etica e qualità civile, sarebbe stato impossibile avere un atteggiamento discriminatorio verso un popolo e una letteratura, quella israeliana, per quanto la contrapposizione di aree nazionali non giovi alla cultura». Il calo di pubblico? «C’è meno gente, ma dal piccolo osservatorio delle mie casse registro un aumento rispetto al 2007. Forse sono venuti i più motivati, anche se noi editori non veniamo qui per vendere qualche libro, ma perché Torino è un termometro importante della cultura italiana». Infatti, per Alberto Castelvecchi «le imprese editoriali debbono essere grate alla Fiera, per il lavoro che svolge da vent’anni». Si giudica «amico di Israele» e critica i media, che «hanno fabbricato un caso inesistente. Arrivando a Torino credevo di incontrare la guerriglia, invece è come gli altri anni». Il suo bilancio è positivo, e Sandro Ferri, l’editore di e/o, parla di «vendite più alte del 2007. S’è fatto tanto rumore per il dissenso di quattro gatti e per delle polemiche stupide. Se un alieno venisse in Italia lo troverebbe un paese perfetto, essendo l’unico guaio per i media l’invito agli autori israeliani».

    Per Agrippino Gulizia, responsabile dello stand di Rcs, «c’è da sorprendersi che c’è qualcuno tra i padiglioni, dopo sei mesi di terrorismo psicologico. Tanti si sono spaventati e non sono venuti. Noi abbiamo titoli forti e andiamo bene comunque, ma immagino le difficoltà dei piccoli editori». Per Marco Tarò, direttore generale del Gruppo Mauri Spagnol (comprende pure Garzanti, Longanesi, Guanda) «i conti si faranno alla fine», ma anche lui parla di «polemica troppo cavalcata, forse anche dalla Fiera. La cosa che più mi spiace è che sono mancate molte scolaresche, comprensibilmente spaventate. Un peccato: puntiamo molto sui lettori di domani».

  96. Grazie a te, Massimo, ho cercato di fornire alcuni dettagli dalla mia prospettiva parzialissima e personalissima,
    il fatto è che non ho una grande frequentazione dei critici ma inizioad averne le tasche piene degli atteggimenti a mio parere snobistici con cui si presentano a incontri e convegni…
    Mi piacerebbe conoscere il tuo pensiero in merito.

    Un caro saluto
    Paolo

  97. Grazie a te, Paolo. Davvero.
    Il tuo intervento è stato molto interessante.
    In estrema sintesi ti dico quello che penso.
    Credo che il critico debba fare il critico esercitando il proprio diritto di dire e di non dire e il proprio gusto. Anche rischiando di sbagliare e di prendere lucciole per lanterne. L’importante è che sia sempre in buona fede.
    Alla fine sia il critico che l’autore saranno giudicati dalla storia della letteratura.
    Ci sono critici passati alla storia per la loro “miopia”.
    Dunque, ritengo che ancora oggi il ruolo della critica sia importante.
    Una cosa che mi piace poco di certa critica odierna sai cos’è? L’eccesso di narcisismo autoreferenziale e l’autoesaltazione.
    Ecco.

  98. Caro Paolo Cacciolati,
    se non ho capito male, quella che hai visto tu era la solita rassegna di gente che probabilmente veniva pagata per stare li’ a dire qualcosa di improvvisato. Scandaloso che nessuno di quei signori si sia preparato adeguatamente per restare in tema. In Italia succede questo e altro, ma solo nelle arti, vero? Perche’ un medico mica si puo’ svegliare tre minuti prima ed emettere una diagnosi a caso… La solita parata di buffoni d’elite, eh si’… Di quelli che possono prender fischi per fiaschi perche’ tanto il contratto buono con editori, tv e altro non glielo toglie nessuno. Bellezza un corno. La loro. Moralmente parlando.

  99. Caro Sergio,
    grossomodo la penso come te e come Massimo, quando parla di “eccesso di narcisismo autoreferenziale e autoesaltazione” dei critici.

    Quello che però mi preme far notare è che in questi incontri pubblici (e quindi rivolti a un largo pubblico che non è solo fatto di addetti al lavoro ma pure di semplici appassionati) i suddetti faticano assai a farsi capire, a esprimersi in termini comprensibili alla platea (peraltro formata da gente preparata). Così divagano, escono puntualmente fuori dal seminato e dal tema in oggetto, fanno passare il tempo, di modo da poter passare il microfono al vicino….Il tutto suona un pò come una presa in giro, legittimando peraltro un’latra domanda: ma ci sono o ci fanno?

    Non per girare il coltello nella piaga, ma ieri ho assistito, nel carcere di Saluzzo, a un incontro con Carlo Lucarelli, sempre promosso dalla Fiera del Libro, e vi posso assicurare che lo scrittore bolognese ha tenuto tutt’altro atteggiamento, ha parlato in modo chiaro ma dettagliato del suo modo di scrivere e del suo modo di intendere il romanzo, peraltro rispondendo con precisione a svariate domande sul suo lavoro, poste anche dai detenuti, con umiltà, senza la prosopopea dei suddetti critici.
    Sono riuscito a scambiare con lui due parole e confermo l’impressione di schiettezza e di disponibilità.

    Con ciò non voglio dire che la categoria degli scirttori sia per forza meglio di quella dei critici, per esempio, sempre in Fiera, ho visto un noto scrittore milanese dare uno spettacolo pietoso, in uno stand, occhio vitreo, faccia giallastra e gonfia, con mano tremolante, alle undici del mattino, attaccatto a succhiare birra da una bottiglietta, ah questi artisti maledetti…;-)))

    Paolo

  100. Per Paolo Cacciolati.
    Ci sono critici e critici e scrittori e scrittori.
    Scurati, per esempio, non è uno scrittore? Eppure dal tuo esempio mi pare che mantenga atteggiamenti diversi a quelli esternati da Lucarelli. Sbaglio?

  101. @Rossella
    penetrare l’infinito
    esplosione d’energia
    perdersi per ritrovarsi
    Anche questo è un atto creativo che produce bellezza: la vita stessa!
    “La bellezza è l’unione indissolubile stabilita dall’artista fra quello che esprime e come lo esprime”, questo tu dici: e tra il buco nero di Burri e il taglio della tela di Fontana che cosa rende indissolubile il contenuto e la forma?
    Ciao con empatia, ti leggo sempre volentieri
    Luca Gallina

  102. @Rossella
    le api sono intelligenti e utili, e non lo sarebbero se non adibissero a queste funzioni, programmate da un piano superiore, ancor più intelligente ed utile.
    Per il resto concordo con te nell’accontentarsi del valore di mezzo, senza perdere però lo stimolo di cercare ancora ed oltre.
    Questa io definisco la realtà del momento nel quale si vuole definirla, e non più.
    Ciao Lorenzo

    @Maria Gemma
    concordo con la tua, sono io il colpevole della fuoriuscita dal tema proposto.
    Eppure credo che centri sempre, perché ogni tema è sempre complesso come lo è la vita, e solo allargandolo si offre un quadro d’esame più completo.
    Ridurre un tema al postulato posto dalla domanda significa limitarsi a misurare, etichettare fino a perdere il senso vero di uno scritto di cui si tratta.
    Per quanto riguarda ancora la bellezza, poi finisco, l’importante è cercarla, e ognuno alla sua maniera, perché ognuno vive in una propria fase della vita, differente da quella di ogni altro, ma ognuno può influenzare un chiunque incontri anche per caso.
    Alla fine le strade dovrebbero ricongiungersi e ciò segnerebbe il punto dove la bellezza non è più una necessità per distinguersi, sia nel donare come nel ricevere.
    La vita ci offre ogni possibilità di scoprirla, alla ricerca di un qualcosa che ci renda importanti e riconosciuti, o umili fino all’estremità, dove si trasforma in un valore inestimabile e sempre vincente, e per chi non risultasse così, ci sono altri surrogati per viverla, seppur brevemente, nell’estasi dell’abbandono totale e insensato.
    Tutto è bellezza e bruttezza nello stesso tempo e misura, a ognuno la scelta. Ringraziamo la diversità, perché è lei che ci sprona a scoprire il nostro modo di essere e cercare di migliorarlo imparando.
    Ciao, Lorenzo

    @Gianmario
    spontaneità e costruzione non si escludono, essi si completano nel processo delle cognizioni dal quale ogni essere ragionevole non può escludersi.
    Diciamo che la spontaneità è la scintilla della vita ed è frutto di uno status quo acquisito per nascita o meglio ereditato.
    La ragione è l’organo che controlla ogni nostro pensiero e decisione, ogni nostra azione affinché la scintilla della spontaneità non ci allontani troppo dal fine proposto, raggiungibile solo con l’aiuto della ragione.
    Entrambe dovrebbero completarsi, se non vogliamo perdere l’orientamento in un mondo troppo complicato e pericoloso per noi.
    Concordo con te sul fatto che la bellezza possa assumere un valore temporaneo e spontaneo, ma non basta per i compiti che dovremmo assumerci.
    La bellezza intesa così ha valore per il momento del riscontro, perché appaga un bisogno psichico, aspettante da tempo nel momento del suo sfogo improvviso e inaspettato, tanto da farcela apparire immensa e superba.
    Ciao, Lorenzo

  103. Io non so come si possa ancora usare nel 2008,
    come fa questa signora Giovanna Favro, su La Stampa, la locuzione “zoccolo duro”.
    E’ ‘n’espressione così infangata di mota varia che mi ributta; non so se il primo a donarcela vuoi ammanircela fosse il sig. Occhetto Achille, certo ch’è brutta forte, ma tanto, roba da muli, da bardotti, da somari.
    Ma, cazzo, lasciamola tra i rimasugli, per cortesia!
    Non poteva usare “forte gruppo” o “nucleo sodo” o consistente e tanti altri accoppiamenti, no, “zoccolo duro”.
    Viva la scrittura co’ la testa nel sacco!

    MarioB.

  104. @ mario bianco:

    Lo zoccolo duro: lo coniarono i giornalisti, forse Pansa, all’indomani della “cosa” di Occhetto, quando Cossutta non aderì…poi si estese.
    Però rispetto alle alternative che proponi, continua a piacermi di più “zoccolo duro”. Zoccolo di mulo, o zoccolo della parete; quella striscia che sta lì a difendere, dallo scorrere del tempo e dello straccio, la tenuta della tinta.
    “nucleo sodo” sempra una minacciosa via di mezzo fra un uovo e la fissione nucleare.
    “forte gruppo” fa troppo boy scouts!
    PS. Tu non sei il Mario Bianco di milano che nel venirmi a trovare, a letto e ingessata, si ruppe una gamba, proprio sulle scale di casa mia, e fu ingessato a sua volta ?
    🙂

  105. va bene tenace coerenza invece di zoccoli, zoccole e donne di malaffare?
    @ a miriam
    il mario bianco qui sopra è un intelligente, colto e raffinato poeta-scrittore di Torino che ho avuto l’onore di conoscere qualche giorno fa. ti consiglierei, peraltro, di non spargere comunque la voce o non ti verrà a trovare nessuno mai più
    🙂

  106. lo so. Avevo già visitato il tuo sito, apprezzando, fra le altre cose, anche lo sfondo in carta da pacco . Carta che io uso per i miei giganteschi disegni; anni fa, solo quella marrone (su cui lavoravo con inchiostri scuri,) oggi, invece quella bianca, che dalla parte ruvida si presta molto bene alla grafite e ai gessi. Ciao

    @ carlo:
    prima di chiamare il pronto soccorso, ci scolammo la bottiglia, che nel botto, miracolosamente, si salvò. Ma la sua fu solo una ingessatura “sperimentale” di pochi giorni; una “piacevole” avventura.

  107. e preciso che quanto a scolare, miriam ha pochi rivali. nella cena alla quale partecipò si battè come una leonessa contro me e carlo che, insomma, abbiamo decisamente una bella tenuta all’alcol. grande miriam!
    @ mario:
    affascinante quel quadro dal quale non ti separerai mai. affascinante anche il fatto che non vuoi separartene.

  108. @Cacciolati, grazie per il resoconto, purtroppo il narcisismo è difetto molto comune, potrei farti il nome di un noto scrittore che, conosciuto da vicino è peggio di una bella attrice.
    @ Maria Gemma, sei sicura che disquisire filosoficamente di bellezza sia fuori tema? Tu stessa fai della filosofia nel tuo intervento. Innumerevole è la schiera di coloro che oggi, con narcisismo, si autoproclamano artisti affermando di costruire il bello: perché allora stiamo affogando nel brutto e spesso ci sorbiamo come arte solo ‘trovate’ per voler essere originali a tutti i costi? Come potrebbe la bellezza salvare questo mondo alla deriva (altra domanda filosofica che poni seguendo Massimo)? L’unica risposta secondo me possibile è: aumentando il numero di coloro, anche modesti sconosciuti, che sono in grado di riconoscere la bellezza, ‘guardando all’idea’ (Platone. Ma possono anche non essere necessariamente artisti, come coloro che, trovandola al loro interno, la comunicano agli altri con la persona, come il Dalai Lama).

  109. Avrei un’altra curiosita’: sono ancora presenti alla Fiera i classici veri (Tasso, Ariosto, Dante, Petrarca, eccetera)? Ci sono delle edizioni interessanti?
    Buonocore chi vorra’ rispondere
    Sergio

  110. X ENRICO
    hai ragione,ma vedi,devi considerare che un cevello cosi’ complesso e notevole come il mio abbia bisogno spesso di uno stand by,sia per riguardo a prtocollo di Kyoto che mi impone uno sviluppo di onde cerebrali ecosostenibile,sia perche’ reagisce in base alle qualita’intellettive dell’interlocutore, e,sarà un caso,ma quando avverte la tua presenza,si accende immediatamente la spia”risparmio energetico”.Questo non esclude che anche io ti voglio bene,anche se su questo il dispendio di energia e’immenso quanto inutile.:-)
    x GIANMARIO
    Ti assicuro che odio la filosofia,si trattava di semlici ragionamenti e deduzioni logiche.ogni sistema flosofico,per quanto complesso e’ sempre inadeguato a cogliere la complessità della realtà fenomenologica.Pensa che anche io volevo citare il Dalai Lama,mi hai preceduto.Volevo far notare di lui il suo sorriso inossidabile.L’ultima volta che l’ho visto intervistato al tg,parlava della tragica situazione in tibet,e continuava a sorridere seraficamente.Uno spettatore supeficiale avrebbe pensato a pura idiozia,ma chi vede la bellezza,non puo’ che attribuirlo alla sua grande serenita’ e forza d’animo,alla umiltà,alla delicatezza verso chi ascolta,quasi uno scusarsi del turbamento indotto dalle sue parole.
    Il sorriso e’ un’arma psicologica e pacifica che spunta quella dell’avversario il 99 % dei casi.Lo insegnano anche nei corsi di training.provare per credere.

  111. @ Enrico: che bello! Tu e Remo Bassini vi siete incontrati!!! Io e Simona abbiamo avuto l’immenso piacere di averlo a Siracusa con Francesca.
    Affabulatore fascinatore, sguardo che ti legge dentro, l’umiltà del cronista che si sporca le suole per raccontare storie… speravo proprio che poteste vedervi di persona!
    Carlo, Miriam & la compagnia del 25 aprile 2008… a quando la rimpatriata?
    Gianmario… se nelle patrie scuole circolasse più Platone e meno sperimentalismo vacuo tutto andrebbe meglio. I classici hanno detto quasi tutto quasi meglio di come lo potremo mai dire noi…
    Massi, ti lancio una (modesta) proposta per un nuovo post: Le mille e una notte (per rispondere a mille domande)…
    🙂

  112. @ mara lucia:
    sì, io e remo ci siamo visti. almeno finchè siamo rimasti sobri. poi siamo usciti per strada a braccetto perché ognuno di noi due credeva di vedere nell’altro manuela arcuri

  113. Maria Gemma,
    io preferisco i sorrisi spontanei, non quelli insegnati dal ”training”. I sorrisi non si imparano. E non hanno niente a che fare con le armi, neanche come metafora.

  114. sergio.io parlavo di esercitarsi o di sforzarsi a sorridere.Lo so che per te e’ un’impresa titanica:basta leggerti per capirlo.:-)

  115. Non ho bisogno di sforzarmi: se lo sento lo faccio e basta. Se non lo sento sto serio.
    Ciao, cara
    Sergio

  116. Chi si crede bravo e’ un illuso. Io invece mi comporto solo come mi sento dentro e come credo: in maniera morale, cioe’ senza prendere per i fondelli la gente. E senza temerla, ovviamente, soprattutto quando non l’abbia mai vista. Pane al pane e vino al vino, si dice dalle mie parti.

  117. e Sozi di cos’e’ l’incarnazione?Lui mi chiama cara e io non posso dirli bravo?Qui non si puo’ piu’ scambiarsi un complimento!
    Invece a te ENRICO faccio i complimenti per l’ultimo racconto che ho letto ieri su splinder.Potrebbe diventare un fumetto alla Dylan dog,veramente originale,la fiera ti ha ispirato al di la’ della solita vena.Insomma hai superato te stesso.Spero che per cio’ che ho detto tu non mi denunci,visto che aria tira!

  118. ”Lo spreco”

    Quel giorno decise di uscire allo scoperto, Gioacchino, e questo perche’ aveva – si era reso conto un attimo prima – disperso miriadi di ipocrisie facciali fino a giungere li’, su quella italica battigia tormentata dal maestrale, a pregare un dio pagano. C’erano stati fino ad allora troppi sorrisi buttati al vento, con abbracci e strette di mano altrettanto imparati e baroccamente ripetuti, a braccetto con accordi sottaciuti da sorrisi protocollari. Gioacchino chiamava gli dei, e da tempo imprecisabile quando lo vidi e salutai. Ero di passaggio sulla sponda del Trasimeno, sfumacchiante e accigliato come sempre. Mi sorrise. Amaro e indefinibile come quando un bimbo si pulisce il culetto davanti al papa’, o meglio con, anche, una vergogna che diviene l’immediatezza di chi non ha nulla da nascondere di brutto o indigesto, di sporco, ehssi’. Niente di sporco, Gioacchino, che morendo mi dice: ”Mi ha raggiunto Nemesi… e non puo’ aspettare oltre, scusa. Sai, devo sbrigarmi a pulirmi il culo dalle stronzate che ho imparato durante mille anni di confusa idiozia.”
    ”Ma che dici, fesso.”
    ”Dico, Sergio, che impariamo piu’ tempo a saperci comportare che a sapere perche’ impariamo a saperci comportare. E io ho stretto un patto, da bardascio, da bambino insomma, con Euterpe, perche’ mi aiuti a morire con la mia naturalezza intonsa. Capisci, Se’? Io voglio crepare col culo sporco, senza aver fatto il bagno da dodici mesi e con la barba dei saggi greci. Purche’ nessuno mi insegni a sorridere, ch’e’ una sventura.”
    ”Come… Spiegati.”
    ”Una sventura quanto chiacchierare a vuoto e vivere in tempi vuoti col vuoto dentro. Che cazzo c’e’ da ridere, scusa la parola eccessiva, me lo dici, quando vedi gente (gli ignoranti la chiamano ”barocca”) come Cervantes, che descrive il nostro mondo quattrocent’anni prima e viene presa per matta come i suoi personaggi, mentre veri dementi moderni quali gli illustri giornalisti e narratori della tivvu’, i colendi insegnanti di treininghe e santoni, gli scoppiatiditesta e superficiali, magari Coelho no, a dettar legge?”
    ”Non…” stavo rispondendo, quando all’improvviso l’aligero dio me lo strappo’ dalle mani. Hermes, Arpia, Venus?
    Non saprei. Pero’ almeno si era accorto, Gioacchino, che ridere troppo da fessi fa male a se stessi… Dunque ”Una risata vi seppellira”’? No. La falsita’.

  119. ciao a tutti!è possibile disporre in qualche modo delle conferenze tenutesi alla fiera ed incentrate sul tema della bellezza?

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