Siamo in prossimità dell’8 marzo e io, vi dico la verità, non so bene come comportarmi. Conosco donne che gradiscono moltissimo ricevere gli auguri (e se non lo fai ci restano male), altre che – se solo accenni a farlo – ti aggrediscono brutalmente sostenendo che il tributare una giornata alle donne è prerogativa tipicamente maschilista.
Ne vogliamo discutere?
Scrivete sulla festa della donna. Scrivete di donne. Di grandi donne. Delle loro opere. Delle loro vite.
Ricordiamole qui. Vi va?
Ieri ho pubblicato un post dedicato a un volume edito da Rizzoli intitolato: “Le donne che leggono sono pericolose”. È un titolo forte, caustico. Ma vero. Diciamo la verità. Nei secoli scorsi le donne sono state tenute (appositamente?) un po’ ai margini della cultura. Discutiamo anche di questo, se volete. Intanto ringrazio Miriam Ravasio per avermi inviato un articolo molto bello su due donne indubbiamente grandi: Frida Kahlo e Flannery O’Connor.
Ve lo propongo qui di seguito.
(Massimo Maugeri)
Flannery O’Connor
Non conoscevo Flannery O‘Connor, fino a poco tempo fa ne ignoravo l’esistenza. Conoscevo però, e più che altro per affinità ortopediche, Frida Kahlo. Due donne forti, Frida (1907- 1957) e Flannery (1925-1964), due signore fragili, quasi contemporanee, stesso continente, una messicana e l’altra della Georgia.
Diverse e simili, entrambe hanno vissuto in un corpo malato, conoscevano la convivenza con il dolore, la gestione quotidiana delle forze, entrambe avevano con il dolore un rapporto materno. Scrivevano, disegnavano, mettevano da parte le idee per i momenti di quiete, quando il dolore s’addormenta, fa il sonnellino, e come le mamme stavano ben attente a non svegliarlo bruscamente, a non innervosirlo. I racconti della signora Flannery sono come i retablo di Frida: cose piccole, che si possono pensare a pezzi, che si possono programmare, per contenere l’emozione che eccita e risveglia il male. Disegni e racconti, intensi, belli e sconvolgenti. Una allevava i pavoni e gioiva per le loro splendide ruote, l’altra con le piume colorate degli uccelli tropicali si acconciava in modo strabiliante.
Si dice che avessero una risata scrosciante, tragica, paradossale, entrambe amavano rappresentarsi ma il loro pubblico era diverso: una recitava per Dio, l’altra per l’Uomo.
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Frida Kahlo
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Di Frida ho letto la biografia scritta da Hyden Herrera, uscita nel 1991 e il Diario, autoritratto intimo, presentato da Carlos Fuentes, 1995; conoscevo il male, ne intuivo la portata, il suo rapporto con l’arte e con l’amore, e anche qui ne intuivo la sofferenza: Estoy sola!
Letture terribili, che affrontavo con circospezione e mi facevano soffrire. “Una bomba coi nastrini”, scriveva di lei André Breton, nastrini, che anche dopo la morte hanno continuato ad ingabbiare la sua anima, come il più rigido dei busti. Il suo dolore esibito come un fuoco d’artificio mi faceva male: soffrivo sinceramente per lei, per come si era svolta la sua vita, per l’incomprensione della sua grazia, per la sua solitudine. Mi atterriva lo scempio provocatorio di sé, il suo mascherato lamento, perpetrato poi un po’ da tutti, anche ora. Pata de palo, gamba di legno, era il soprannome che si era data e Dolore era il nome del suo fedelissimo cane.
Ehm…
Tutt’altro ho provato per Flannery O’Connor: “Non vedo l’ora che questa faccenda della televisione sia finita. Ho sempre davanti agli occhi l’immagine del mio cipiglio glaciale trasmesso in tutta la nazione a milioni di bambini che attendono impazienti l’arrivo di Batman”. Ed è subito forte il suo senso di responsabilità e d’appartenenza.
Ho letto solo i racconti e Sola a presidiare la fortezza; i romanzi, per una condivisione lenta del suo lavoro e della sua fatica, li leggerò più avanti e senza fretta.
“Un bisogno disperato degli altri, che rimane inappagato, può farti prendere un indirizzo creativo, sempre che non ti manchino gli altri requisiti”. Ed entrambe ne erano dotate. Narratrici del dolore, che per chi dipinge è forma visibile e sensibile, mentre per chi scrive è conoscenza.
Come aggiornamento sullo stato del suo male la signora Flannery sintetizza, “sono sempre più una costruzione ad archi rampanti”, poi riprendendo questa immagine, a proposito dei mali morali, spiega: “Ormai non si contano gli informi animali che arrancano alla volta di Betlemme per venire alla luce: io non ho fatto che rintracciare l’itinerario di alcuni, e quando li descrivono come racconti dell’orrore, mi diverte sempre vedere che il recensore coglie sempre l’orrore sbagliato”.
Unos cuantos piquetitos (Qualche piccola coltellata) è un piccolo quadro ad olio (1935, cm 29 x 35) che ritrae la pietà per un fatto di cronaca cruento e assurdo, come quelli che conosciamo, a cui siamo abituati.
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La pittura è materia, e quel piccolo e tremendissimo quadro è un atto che continua a ripetersi, tutte le volte che lo guardiamo, come se Frida avesse anticipato i tempi, materializzando la nostra epoca attuale che non ha più vergogna dell’orrore.
“Devo scrivere per scoprire cosa sto facendo, un po’ come la vecchietta, non so mai bene cosa penso finché non vedo cosa dico; dopodiché devo dirlo e ridirlo”. E in una lettera ad “A” aggiunge: “penso che soltanto la chiesa saprà rendere sopportabile il terribile mondo al quale stiamo approdando” e intervenendo in un dibattito su cosa manchi oggi alla letteratura, risponde decisa: il sacro.
La sua religiosità è determinazione, convinzione assoluta su cui lavorare, un’ideale per cui battersi, per cui scrivere e che trova anche una sua forte espressione simbolica nella buffa animazione con cui elargisce consigli ad una cresimanda, o nella sottomessa e dolce immersione a Lourdes.
Da un cespuglio di piume e di fiamme, emerge il volto rassegnato di Frida, reclinato verso sinistra, le sopracciglia folte intensificano lo sguardo, alle sue spalle due ali azzurre segnate di nero. Su tutto, una scritta rossa: Te vas? No. Sotto con un pennello nero: Alas rotas.
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Miriam Ravasio
Che bello!
Che dire?
Io Flannery O’Connor la adoro.
Sull’argomento donne/società, donne/cultura ci sarebbe molto da dire e da scrivere.
Spero di farlo stasera se avrò tempo.
Ciao.
P.s. io sono una di quelle che non gradisce gli auguri!
A me gli auguri fanno sempre piacere….vorrei riceverne tutti i giorni!
Detto questo, mi compiaccio con il bellissimo contributo di Miriam alla quale dico: Grazie!
Mi sono commossa con quel dettaglio che tanto dettaglio non è sulla frase: estoy sola…E guarda caso anch’io sul mio primo quadretto ricordo dipinto a tempera, e chiaramente erano fiori, sul retro della tela scrissi. alone, alone, alone un giorno di piena estate! Non mi chiedete il motivo, quando faccio qualcosa non sono io ma quello che l’ambiente mi crea nel profondo che è un profondo languente che cambia e si modifica anche istantaneamente.
Tuttavia, penso che non sono le donne che leggono ad essere pericolose ma le donne che languono, che si annoiano, che non si conoscono e che non parlano..quelle sono il vero pericolo sociale di tutti i tempi!
Per quanto riguarda la festa della donna, non è che mi faccia sentire meglio, e poi non ho simpatia per la mimosa, amo altri fiori, come le fresie, i mughetti, le rose, gli anemoni….quindi, per il simbolo non ci stiamo…dalla festa dell’8 marzo vorrei un miracolo: un sms con altoparlante che si senta in tutta la mia città, e che canti una canzone che me la ricordi: “Quanto sei bella Roma a Primavera e a primasera…” e un altro sms con audio a sirene spiegate che sia un “Grazie” per tutte le donne che almeno una volta nella vita si sono sentite delle mamme vere….e non soltanto per dati anagrafici e biologici! E un controcoro da parte di tutti per questa scelta del Papa di nominare Mons.Bagnasco sostituto del card. Ruini, alla presidenza della Cei. Non ho la fortuna di conoscerlo, ma ho seguito tutte le omelie dei troppi funerali di vittime di nostri militari nelle varie missioni di pace nel mondo….e mi hanno lasciato un segno nella piena condivisione dei sentimenti nei confronti delle vittime e dei loro familiari…
Ritengo che nessuna donna possa permettersi di scrivere senza coniugare l’emozione per ogni tipo di sentimento che nasca dalla gioia o dalla sofferenza! Il pianeta ambiente è composito….e non una tisanetta dall’arome unico.
Donna, mia, una fortuna la possediamo: quella di non poterci annoiare mai! Auguri a tutte e abbiate sempre in tasca tonnellate di pazienza!
Sono d’accordo con Gabry. Io li gradisco gli auguri. Anche se non mi accoderò alla comitiva di amiche (sole donne) che andranno in giro a far festa. Mi sembra ridicolo.
Miriam mi ha fatto venire voglia di rileggere i racconti di Flannery O’Connor.
Ben vengano stimoli come questi!
Ho sempre celebrato l’ottomarzo, e da bambina ero l’unica. Ero la sola ad arrivare in classe con un piccolo mazzo di mimosa, ma io ero la figlia di due comunisti… che anni, terribili e fantastici e per fortuna lontani. Oggi, trascorro la giornata in casa, non vado nemmeno a far la spesa, evito con cura il mimosificio e lo scambio d’auguri con donne, che (scusate la brutalità) prenderei volentieri a schiaffoni. L’otto marzo resto in casa e, se libera da impegni e scadenze, leggo. Dedicando la festa ad un testo celebrativo; quest’anno il libro scelto è L’amore, quello vero di Antonella Cilento e mi scuso con l’autrice per non averla mai letta prima.
Buona “festa” e buona lettura a tutte, Miriam
la parola da me inserita – controcoro – non voleva dire qualcosa di contrario ma come dire a due cori se uno vuole far sentire anche le voci di un altro coro, deve farlo a voce ancor più alta….lo so, si potrebbe fraintendere, ma io spero sempre che se scrivo in un qualche spazio, di persone che siano nella condizione di fraintendere non ce ne siano e se ce ne dovessero essere, fossero anche comunque ben disposte..a capire!
La mia cagna Jinny in questo momento ha le mestruazioni.
Sento un profondo rispetto per lei in questo momento.
Sapete? Può generare la vita.
Non è come metterci una goccia di sperma: è diverso.
E’ che una decina di progetti potrebbero brulicarle dal nulla nel ventre e poi correre a scoprire le cose e gli odori e tutto il resto.
Non è come metterci una goccia di sperma.
No no auguri no anche io non gradisco mi tediano….bello il contributo di miriam ed efficaci le sue parole ed il quadro della khalo stupendo.
della connery non ho letto nulla colmerò subito questa lacuna in un momento in cui aspettavo proprio qualche suggerimento. Grazie alina donna sempre non solo domani
Renato di Lorenzo: ?
che cosa vuoi dire
Scrivere di donne, di grandi donne, delle loro opere, della loro vita?
Le grandi donne sono quelle invisibili.
Le loro opere sono nella loro silenziosa fatica quotidiana.
La loro vita è dentro di loro.
Un pensiero a tutte quelle donne che sono vittime di abusi nella speranza che trovino il coraggio di urlare il loro dolore.
Per la felicità dei fioristi, vi confesso che, pur essendo consapevole della commercializzazione di questa ricorrenza, la serpe verde dell’invidia mi stringe il cuore quando vedo qualunque altra donna
con un pallino di mimosa addosso. E dire che quei rametti che a sera si afflosciano, sono così poco gloriosi. E poi il giallino non è certo il mio colore preferito.E che dire dell’odore: non è dei più gradevoli. Ma l’albero di mimosa l’avete mai visto in tutto il suo splendore ?
andando in Liguria a primavera, tra i fiori di pesco ed i prugni ? E’ lo spettacolo della rinascita, la voglia di rincominciare, quella che non ci deve mai lasciare un giorno dopo l’altro, un passo dopo l’altro. Auguri a tutte le donne e a tutti i loro compagni per una vicendevole comprensione.
P.S. Il mondo ci rallegra con una varietà infinita di fiori dai colori, dai profumi più o meno intensi. Scegliete ciò che più assomiglia alla donna che pensate.
Sono molte le grandi Donne, italiane e straniere, che nel corso della storia si sono distinte in vari settori: letteratura, scienza, opere
umanitarie e politica. Oggi vorrei rendere omaggio a RITA LEVI MONTALCINI,
premio Nobel per la medicina. Fu costretta a lasciare l’università a causa delle leggi razziali. Lavorò in un laboratorio di fortuna avendo come unico assistente il suo stesso maestro anch’egli espulso dall’università. Dopo la guerra fu invitata in USA dove continuò i suoi studi sul sistema nervoso, in particolare la ricerca dei fattori (genetici o ambientali) che potevano influenzare lo sviluppo. Durante questo periodo identificò una sostanza proteica in grado di stimolare la crescita delle fibre nervose. Tornata in Italia ha diretto il laboratorio di biologìa cellulare del CNR dove ha proseguito le ricerche sul NGF. Oltre per i possibili risvolti farmacologici la scoperta del NGF ha un’importanza fondamentale in quanto ha aperto la strada alla ricerca (e alla scoperta) di altri fattori di crescita attivi su cellule di altro tipo.
Le donne italiane sono fiere di LEI.
Vorrei ricordare una donna scrittrice, ma lei s’infervorerebbe a morte se fosse censita in una lista di auguri in questa giornata, quindi porto un pensiero a tutte le donne che questa mattina si sono svegliate senza un sorriso, quindi porto un pensiero a tutte alle donne che questa mattina si sono svegliate con un sorriso; augurandomi che le une incontrino le altre.
IN PRINCIPIO FU LA DONNA
di Adriano Petta
(dal romanzo “La sinfonia maledetta”)
Quando la specie umana ebbe inizio tre milioni di anni fa, la prima creatura fu donna. E d’allora in poi, ogni volta che scocca la scintilla d’una nuova vita – e per quasi tre mesi dal concepimento – secondo il programma scritto nel DNA, è una donna che deve nascere. Ma spesso avviene un incidente di percorso. E nasce un uomo (che continuerò a chiamare proprio con l’appellativo datogli da uno degli scienziati inglesi autori della scoperta).
Cinquemila anni fa c’era un mondo senza armi né eserciti: un mondo in pace in cui arti, tecnologie, esperienza religiosa e medicina erano patrimonio della donna, incarnazione dello spirito del mondo: la Grande Madre Terra. Millenni fa le donne partorivano nei templi.
Ma i faraoni egiziani crearono il primo esercito di aggressione. Ci fu l’avvento delle società guerriere: i maschi presero a cavalcare la storia, a fare guerre. E nel V secolo a.C. i Greci emanarono una legge: le donne erano inferiori agli uomini ed era loro proibito studiare e praticare farmacologia e medicina, pena la morte. Greci e Romani introdussero l’uso di esporre i neonati: quando nasceva una bambina, la madre doveva “esporla” ai piedi del letto del padre… il quale spesso decideva che il numero delle donne nella sua famiglia stava diventando preoccupante, destabilizzante… e allora dava l’ordine. La madre doveva subito immergere la bambina in una vasca piena d’acqua e annegarla, oppure soffocarla e gettarla nella spazzatura. Per questo il numero delle donne nell’antica Roma e nell’antica Grecia fu sempre molto minore di quello degli uomini.
Con l’avvento del cristianesimo, alla donna è stato definitivamente impedito l’accesso alla religione, alla scuola, all’arte, alla scienza. Quando nella biblioteca d’Alessandria d’Egitto riuscì a studiare e insegnare una delle più grandi figure del genere umano, Ipazia – filosofa, matematica, astronoma –, dietro istigazione di San Cirillo da una turba di monaci-assassini le vennero cavati gli occhi quand’era ancora viva, il suo corpo scarnificato, fatto a pezzi e poi gettato a bruciare in un inceneritore per la spazzatura. Era l’otto marzo dell’anno 415 d.C. Vennero distrutte tutte le sue opere filosofiche e scientifiche. Era una creatura bella come il sole. Il suo compagno di studi nonché padre della Chiesa Sant’Agostino, definiva il corpo della donna una immondizia.
Lungo la breve storia umana, l’uomo-incidente di percorso è riuscito, poi, a scardinare e lacerare l’equilibrio e l’armonia del pianeta: nulla ha potuto la donna, sottomessa alla forza bruta dell’uomo. Spesso, per sopravvivere, è stata costretta a prostituire il proprio corpo; se ha tentato di opporsi al mondo delle regole dell’uomo, è stata scacciata, lapidata, bruciata viva come strega. Quando la fortuna le ha arriso, è stata beffeggiata col millenario appellativo che tronca ogni discorso razionale: puttana… mentre il suo compagno di viaggio – solo per sete di potere e di dominio – prostituiva la propria mente, l’anima. L’uomo ha depredato e ucciso non solo per sopravvivere, ma per il piacere di dominare tutte le creature. E questo pianeta – ove la vita pulsa da cinque miliardi di anni – oggi è agonizzante grazie alla sua follia suicida. Questo nefasto incidente di percorso, proprio grazie alla sua irrefrenabile sete di potere e di dominio, ha inventato la macchina… ma questa invenzione non sembra costituire una premessa di libertà: con queste macchine i maschi continuano a vivisezionare il mondo, rendendoci tutti schiavi della tecnologia, di fronte alla quale siamo tutti prostrati. Per fortuna le donne mantengono vivo il legame con la tradizione e la fisicità: il parto, il mestruo, la cura fatta di gesti quotidiani, la preparazione del cibo, l’igiene corporeo… L’incidente di percorso ha affinato la macchina per completare la sua opera di distruzione e di dominio su tutte le specie viventi di questo pianeta. La donna accenna a servirsene per liberarsi dalla forza bruta… ma, contemporaneamente, la macchina – la rivoluzione industriale – sta favorendo il trionfo del sistema suicida più perverso: quello capitalistico, preferito, accettato e idolatrato dai feroci ipocriti popoli che osano addirittura fregiarsi dell’appellativo di cristiani.
Alle pochissime donne che oggi vengono concessi alti incarichi di governo, viene richiesta la spietatezza e la ferocia degli uomini: vengono esaminate, selezionate e promosse solo quelle che posseggono queste caratteristiche. Le donne che vogliono accedere a posti di comando, sono costrette a rispettare le regole dell’uomo, ad essere più spietate e disumane dell’incidente di percorso.
L’uomo spalanca la porta degli eserciti affinché la donna sia complice nelle guerre di aggressione e di sterminio… ma fa di tutto affinché essa non metta piede nel mondo della scienza. Laurence Summers, il Magnifico Rettore di Harvard (la più prestigiosa università laica statunitense e del mondo), ex ministro del Tesoro di Bill Clinton, afferma che le donne non possono accedere alle più alte cariche matematiche e scientifiche in quanto, rispetto all’uomo, sono «inferiori per natura»… lo stesso convincimento che 2350 anni fa avevano Platone e Aristotele.
L’UNESCO, dietro la richiesta di 190 stati membri, ha dovuto creare il progetto internazionale «IPAZIA» che intende favorire piani scientifici al femminile nati dall’unione delle donne di tutte le nazionalità, perché se si vuole che la Scienza sia davvero al servizio dei reali bisogni dell’Umanità è necessaria l’urgente realizzazione di un miglior equilibrio nella partecipazione di entrambi i sessi alla scienza e al suo progresso. Attualmente nell’ambito della scienza solo il 5% delle donne è ai vertici.
Il corpo docente dell’università di Harvard, dopo una spaccatura furibonda, è riuscito a cacciare il Magnifico Rettore Laurence Sommers eleggendo al suo posto, dopo 371 anni, una donna, Drew Gilpin Faust.
È così che vorrei che si celebrasse questo 8 marzo: la donna che intima all’incidente di percorso di scendere dal cavallo, di scrollarsi di dosso dèmoni, dèi sportivi, cieli piccini e meccanismi barbarici, la donna che monta in sella cavalcando la storia del mondo per riportare il genere umano sul sentiero dell’evoluzione. Quanto ai maschi, che ritrovino il contatto con la terra, che il loro piede affondi nel fango e nella sabbia, che tendano la mano alle bambine e ai bambini del mondo, che apprendano ad asciugare il loro nasino moccioloso quando cadono sui loro primi passi incerti… solo così i maschi potranno recuperare il tempo perso sui fucili, solo con la cura del più debole e il lavoro di dedizione quotidiana alla vita propria e altrui, potranno permettere al loro cervello di affinarsi e ramificarsi, solo così potranno raggiungere le donne nel processo evolutivo.
È così che vorrei che si celebrasse questo 8 marzo… per tentare di riaccendere la brezza della speranza su questo pianeta dove ancora oggi si continua a stuprare la donna fra le mura domestiche, a mutilarle i genitali, a sgozzarla, a lapidarla, ad acidificarla.
A perseguitarla per il solo fatto di essere donna.
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Ho terminato il libro di Edith Wharton “L’età dell’innocenza”. Anche questa volta mi sono accorta che il fulcro della trama, il perchè di tutto il libro sta nell’ultima pagina. Ho avuto la netta sensazione, la conferma che chi scrive romanzi si serve dei personaggi e della trama esattamente come nella realtà tutti noi ci serviamo della nostra vita per riempirci di sentimenti che portano poi alla rivelazione di uniche e finali emozioni.
Ho imparato a chiamarle emozioni parassite. Sono quei battiti di cuore che ti portano fuori dal tempo e dalla realtà del momento. Sono quei ricordi che non andrebbero mai sciupati e mai pretesi di essere rivissuti. Sono quegli istanti durante i quali si diventa registi e scrittori di noi stessi.
Queste sono alcune riflessioni esplose dentro di me subito dopo aver terminato il libro della Wharton.
Solo due giorni fa, una conoscente mi aveva giusto chiesto il parere e la trama di questo libro e mi sono ritrovata a fare un sunto che avrebbe potuto essere tranquillamente quello di un romanzo Harmony. Mentre snocciolavo la storia mi rendevo conto che visto così la Wharton non aveva fatto altro che scrivere un romanzo rosa dove un lettore magari un po’ più attento di un altro ci avrebbe anche trovata qualche indicazione sulla cultura della borghesia americana dell’800, ma niente di più. Sono rimasta un po’ delusa dalle mie parole. Prendevo nota che stavo leggendo un “romanzetto” eppure percepivo che c’era di più da capirci ma ancora non ne avevo colto il senso fino a quando è arrivata l’ultima pagina, le ultime frasi e lì finalmente ho capito che leggere questo libro non è stato inutile. Anche questa lettura, anche questo richiamo ha avuto un suo perchè. Ho focalizzato l’importanza di apprezzare e beneficiare del dolore dei ricordi e dei rimpianti.
Il protagonista porta con sé per tutta una vita il rimpianto di un amore mai vissuto, accettando il costo del dovere ed impegno preso con le proprie scelte. Trenta anni vissuti in perfetta coerenza con la propria morale, educazione e pensiero. Trenta anni pieni di una unica e grande emozione parassita: il ricordo di un amore, di un grande ed indimenticabile amore.
Ad un certo punto della propria vita ha la possibilità di rifarsi, di poter riagganciare questa passione, di recuperare il tempo perduto ma ancora una volta rinuncia per paura o forse saggezza. Prende coscienza che portandolo alla realtà, questo amore coccolato nel proprio intimo per così tanti anni potrebbe sgretolarsi come spesso succede con i preziosi reperti archeologici. Meglio quindi salvare la bellezza e preziosità di un tesoro così importante e continuare a viverlo come emozione parassita.
Potrebbe apparentemente sembrare un modo negativo, pessimistico, vigliacco di affrontare la vita ma analizzando bene questa mia riflessione credo invece che sia perchè si ha sempre bisogno di un sogno, di qualcosa da desiderare e ricordare. A volte è godurioso rifugiarsi nelle emozioni parassite. E’ una fuga dalla realtà, ma chi non fugge qualche volta?
“…quando uno aveva vissuto facendo il proprio dovere c’era un guaio: che non riusciva più a vivere diversamente…”. Troppi conflitti interiori sopraggiungono quando dopo una vita di “doverosa santità” si sente l’impulso egoistico di farsi una propria morale, una propria dottrina. Sono sofferenze immani, intime che qualsiasi decisione si prenda si è costretti a vivere fino a quando ci si adagia a crogiolarsi nelle proprie emozioni parassite.
Romanzo ambientato nella società dell’alta borghesia a New York, metà/fine 1800. Tutto imperniato nel bon ton, stile, pura ipocrisia.
“…erano questi gli avvenimenti che davano maggiormente il senso della strada percorsa dal mondo. La gente oggi aveva troppo da fare, era troppo occupata con le riforme, i “movimenti”, le manie, i feticci e centomila sciocchezze per preoccuparsi molto delle origini dei propri vicini. E che cosa poteva contare il passato di una persona, nell’immenso caleidoscopio in cui tutti gli atomi sociali giravano vorticosamente sullo stesso piano?…” Illusione, pia illusione o semplice ipocrisia individuale. Questo stralcio del romanzo mi ha rammentato quanto razzismo esiste in America e in tutto il mondo. 7,1007,2007 … la società è veramente progredita?
Tiziana
“Allarme Ue: per le donne
stipendi più bassi degli uomini”
di MARIA NOVELLA DE LUCA
Prima o poi si rinuncia. Ai figli. O alla carriera. Succede in Italia. In Europa. Lui e lei uguali, ai nastri di partenza. Stessa laurea, stesso master, stessa grinta. Poi lei resta incinta. È una festa, una gioia, però tutto cambia. Perché la maternità, oggi come ieri, non sembra andare d’accordo con il mondo del lavoro. È il dato più forte, allarmante, lanciato dalla Ue: le donne guadagnano il 20% in meno degli uomini, e dopo la nascita del primo figlio le loro possibilità di carriera si abbassano drasticamente. Il ministero inglese delle Pari Opportunità con una ricerca commissionata da Tony Blair è arrivato addirittura a quantificare questo svantaggio: nella “graduatoria” dell’avanzamento professionale una donna che lavora con un figlio al di sotto degli 11 anni, ha 45 punti di svantaggio in più rispetto ad un uomo… E in un lunga inchiesta che “Le Monde” ha dedicato all’esistenza o meno di una “via femminile” al potere, citando naturalmente l’effetto Segolene Royal, la sociologa Dominique Méda per dimostrare quanto la carriera penalizzi la maternità ha fatto il conteggio sui figli dei politici. Il risultato, analizzando ad esempio il governo Zapatero, è che gli otto ministri spagnoli in carica “totalizzano in tutto 24 bambini, mentre le otto ministre solamente cinque”. La sproporzione è evidente, e rende, bene, l’altra faccia della demografia in negativo.
È questo su tutti il dato che sembra colpire di più, nella giornata della donna anno 2007 in cui i bilanci sono sempre più transnazionali, uniscono cioè l’Italia alla Germania, l’Inghilterra alla Spagna, il Belgio alla Grecia, e ciò che accomuna le donne europee è che fare un figlio, o magari due è diventato un ostacolo, spesso insormontabile, al fare carriera, o al semplice mantenimento del posto di lavoro. Spiega Giovanna Altieri, direttore del centro studi Ires-Cgil, che al tema ha dedicato un lungo articolo dal titolo: “Sempre di più al lavoro, sempre meno pagate”. “Spesso accade che dopo una gravidanza i contratti non vengano rinnovati o che alla lavoratrice diventata mamma si faccia capire che il suo posto, quello conquistato a fatica con la laurea e magari il master, non sia più tanto adatto a chi ha un bambino da accudire.
(…)
Il resto dell’articolo su http://www.repubblica.it
http://www.repubblica.it/2007/03/sezioni/cronaca/donne-lavoro/donne-lavoro/donne-lavoro.html
(8 marzo 2007)
Maggie. Si, l’albero di mimosa è magnifico e il tuo messaggio è come il rametto di mimosa che mio padre portava a me e alla mamma quando tornava dalla fabbrica; pieno d’amore. Grazie e buonagiornata, miriam
E chi ce la fa a regalare un mazzetto di mimose ad una donna.La paura che mi prende ha lo stesso peso della voglia che ho di regalarne uno alla prima che passa.Così l’effetto si annulla.
Ma mi ripudia l’idea di festeggiare un genere,come si fa?
Si festeggiano gli esseri umani morti e gli animali che stanno per fare la stessa fine, ma un genere sessuale mi sembra un eccesso di scrupolo.
Ciò nonostante,devo ammetterlo, sarà la coincidenza con l’approssimarsi della primavera,l’ esplosione di profumi di colori e di forme( tutte femminili),ma ogni anno in questo giorno, le donne, anche quelle adornate o guarnite di mimosa,e per dir questo faccio appello a tutto il mio erotismo e alla mia sensualità, mi sembrano più Belle.
Che a nessuno venga in mente di minimizzare il mio concetto di bellezza.
Un sincero saluto a tutti i generi anche a quello del mio amico Massimo domatore di questo blog,
Davide
Anche se non interessata agli ormai tiepidi auto festeggiamenti che l’8 marzo comporta per molte donne, mi è gradito approfittare della data specifica per ricordare le tante personalità femminili che, negli ambiti più disparati e in condizioni sovente avverse, hanno lasciato impronta indelebile di sè.
Un debito riconoscimento alle altrettanto positive donne che affrontano la loro difficile quotidianità con abnegazione e coraggio.
Marisa Magnani
Facciamo così!
Consentitemi di fare gli auguri (e li faccio di cuore) a tutte le donne che gradiscono riceverli.
Le altre le saluto affettuosamente (ma niente auguri!).
Ne approfitto anche per salutare il mio amico Davide La Rocca che abita a Milano da (ormai) diversi anni (Davide, ma a Giulia gli auguri li hai fatti o no?).
Prima o poi vi parlerò di Davide dato che tra i pittori giovani è uno dei “più grandi” e noti in tutta Europa.
Beh, è sempre carino ricevere gli auguri per la festa della donna. Gli uomini hanni dimenticato un po’ di sana cavalleria che a noi donne fa sempre piacere e se si ricordano di qualcosa che ci riguarda non ci trovo nulla da offendersi. Il femminismo esasperato ha fatto il suo tempo. Oggi è tempo di persone, non di donne o uomini. Diritti della persona, lotta a qualunque forma di discriminazione… questo è l’obiettivo di questo tempo. Non ha senso cercare ancora spunti di lotta tra i sessi. Io indirei la giornata dei diritti della persona, indipendentemente da tutto! é in ogni caso giusto ricordare la morte di tutte quelle donne che hanno lottato per i diritti delle donne e degli operai in genere… Quindi, viva ancora l’8 marzo!
a proposito: non ha più semso parlare di letteratura femminile: l’autore è tale perché ha auctoritas, è valido, indipendentementeda qualsiasi altra considerazione. io amo le Bronte, Jane Austen e una miriade di scrittrici grandi perché tali non perché donne!
Maria Lucia: condivido tutto.Parole sante, parole giuste. E poi…il femminismo esasperato ha fatto proprio il suo tempo. E i suoi danni.
Più che parlare di femmine e femminismo mi piacerebbe tornare allo spirito iniziale del post, cioè citare una grande della letteratura (vivente) che in italia trovo che sia ingiustamente poco conosciuta: Alice Munro.
Il suo “Nemico amico amante” (per dirne uno) è tra i miei libri preferiti di sempre.