E’ un’ ispezione nel labirinto del tradimento quella attuata da Antonio Di Grado, resa attraverso lo sguardo dei letterati che tra Ottocento e Novecento ne hanno esaminato e poi interpretato le multiple valenze semantiche. L’atto del tradimento è inteso non solo come effetto di una delazione ma anche come conversione, apostasia, ricognizione, nei confronti “di una fede, di un patto, di un mandato o di una gerarchia di norme e di valori, di una identità nazionale o ideologica”. Giuda è un personaggio-simbolo, anzi, usando un termine caro a Debenedetti (tra l’altro chiamato in causa in questo testo), rappresenta il personaggio-uomo; risulta plasmabile, indefinito, moralmente plastico, dove per plasticità s’intende la capacità continua di adattamento ai vari contesti sociali, culturali, ideologici, religiosi. La letteratura riprende ed interpreta, col proprio linguaggio, l’episodio cardine che ha dato vita a quell’opposizione tra identità senza identificazione (propria dell’uomo) e determinatezza dell’infinito, percezione della sua illimitatezza (propria di un’entità). Giuda non è solo il discepolo che tradì per trenta denari Gesù o il fedele esecutore del disegno divino in cui interpretò la vittima sacrificale ma diviene uomo comune, con la sua fragile umanità, con i suoi ripensamenti, le sue contraddizioni e con il marchio del peccato.
La figura di Giuda viene scissa nel corso dei tempi e viene dall’autore identificata ora con l’Iscariota, ora con gli intellettuali che hanno rinnegato il loro credo ideologico (una buona parte degli esponenti della letteratura italiana tra le due guerre) e persino con gli scrittori ‘irregolari’, emarginati, in quanto traditori di norme e valori fissati da un canone da cui hanno preso le distanze, quelli che egli definisce gli “esclusi dalle provvidenziali risorse della totalità epica o romanzesca” e per i quali chiede una sorta di rivalsa: “E’ forse il caso allora –scrive- di riformulare la categoria stessa di ‘minore’, affinché essa non rimandi più a improponibili gerarchie di valori”. Tra essi sfilano scrittori come: Lanza (Giuseppe), Alvaro, Aniante, i ‘moralisti vociani’ Boine e Jahier, (dove il termine di ‘moralista’ è stato da molti usato come mera etichetta che “ha funzionato sempre e soltanto come una comoda scappatoia per archiviare la moralità…”), fautori, questi ultimi, di una nuova interpretazione della natura del peccato “ineluttabile e connaturato all’uomo, alla sua legittima volontà di operare nel mondo e di trasformarlo”.
Ma il tradimento richiede inevitabilmente altri soggetti oltre ai traditori: i traditi; tra questi Di Grado chiama in causa gli ebrei, vittime di un tradimento attuato dalla storia e da quello stesso Dio ‘assente’, silenzioso, sulla cui indifferenza ha persino dubitato Gesù nei momenti che hanno preceduto la sua morte. Vediamo così sfilare in rassegna una costellazione di autori che nel Novecento hanno trattato di Giuda: Leo Perutz, Paul Claudel, Borges, fino ad arrivare alla denuncia di André Gide del tradimento di tutte le chiese operato nei confronti delle fedi. Il riferimento al tradimento inteso come adulterio viene solo accennato per il riferimento ai due grandi romanzi di Flaubert e Tolstoj.
Ma è, in particolare, in una frase dello stesso autore che si può cogliere l’invito ad un nuovo atteggiamento ‘intellettuale’ nei confronti di quello ‘scacco’ nella storia dell’umanità, proteso a rilevare una redenzione e riconciliazione tra la figura di Giuda e quella di Cristo, tra il peccato e la predisposizione alla coerente perfezione, tra la condizione dell’uomo e la sua spiritualità: “grazie a quei trenta denari coniati nella sofferenza l’uomo-Giuda sarà liberato”. Una scrittura sofisticata, ricca di metafore ricercate, di lucidità e logicità sintattiche; corposa, eclettica e raffinatamente ‘eversiva’. Un libro gremito di riflessioni, eleganti provocazioni, inconfessabili idiosincrasie, che, insieme, si svelano come tracce indelebili dell’ ‘oscuro’ e ineluttabile rapporto tra letteratura, destino ed essenza dell’uomo.
Sabina Corsaro
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Si ringraziano l’autore del libro e la casa editrice per aver concesso la pubblicazione del brano che segue.
Aveva scritto Paolo che, se i Greci cercano la sapienza e i Giudei i miracoli, «noi predichiamo il Cristo crocifisso, follia per i Greci e scandalo per i Giudei». L’Evangelo è questo, è questo il nucleo, è questa la sintesi della rivelazione. Che perciò non è conoscenza filosofica, non è efficienza storica. È un Dio in croce, è un Dio sconfitto, è lo scandalo della debolezza e della morte, della carne piagata e degli olocausti, repliche infinite dell’incarnazione. È il Dio che s’accompagna ai reietti, alla feccia; è il Dio che intinge il boccone per Giuda e ne riceve amichevolmente il bacio.
Nel cosiddetto Vangelo di Giuda, Gesù ride spesso. Ride dell’ottusità degli apostoli, ride dell’indegnità delle chiese e dell’inferiorità del loro dio, ride della nostra ignoranza che ci rende inaccessibile il nome dell’Eterno. In quel vangelo come negli altri testi gnostici, la salvezza non è l’espiazione del peccato ma il raggiungimento della consapevolezza, che è un dono, è il frutto d’una elezione: come sarà per Lutero la fede che ci giustifica. Per i tanti cristianesimi possibili dei primi secoli, così come per quelli resi possibili più tardi dalla Riforma, il rapporto diretto con Dio, il dono della Sophia o della Grazia, il libero esame della Parola sono la via – plurale, sinuosa, errabonda – per la salvezza.
Ma gli gnostici non intesero il mistero dell’incarnazione e lo scandalo della Croce, né la centralità del corpo e l’annunzio della sua resurrezione, cui sostituirono il mito dell’anima autorizzando manie d’immortalità nonché la voga – malauguratamente ricorrente – delle New Age spiritualistiche. E i protestanti edificarono chiese, stabilirono gerarchie, finirono troppo spesso col riprodurre forme e norme della chiesa di Roma.
Nulla salus in ecclesia? Aveva ragione André Gide, a voler comporre un Christianisme contre le Christ, come a dire che l’Evangelo è tradito dalle chiese, la fede dalle “religioni”? Umana, troppo umana, inevitabilmente intrisa di peccato e di sopraffazione, di errore e di presunzione, ogni chiesa forse è tradimento: arresta
la Parola in movimento del Cristo, il suo dispiegarsi in cammino, il suo farsi incessantemente e mutevolmente carne; le dà alloggio mentre essa (Matteo 8, 20) «non ha dove posare il capo».
E ancora avanza, quella Parola, senza tema di confondersi con la propria eco cangiante, di offrirsi instabile e alterata «come in uno specchio». Si accompagna anche con scrittori oziosi e di smodata immaginazione come ieri con pubblicani e prostitute. Invita i curiosi e i disperati che l’ascoltano a tradire fedi, patrie, chiese, idee, affetti e altri umanissimi vincoli. E ci parla d’un solo Dio: non una seconda e più autorevole divinità da contrapporre al collerico demiurgo dell’Antico Testamento; semmai, come affermavano gli gnostici valentiniani, un’idea più profonda oltre l’immagine popolare, umana, dispotica, maschile del Dio d’Israele. O, come scriveva Paul Tillich, un «Dio al di là di Dio». Un Dio Padre-Madre-Figlio: solo in questi termini, forse, è possibile concepire l’inesplicabile politeismo della Trinità; solo così, come Grazia e principio femminile, è possibile dare un senso all’enigmatica o pleonastica figura dello Spirito; solo così è possibile ricondurre all’unità – dell’autorità paterna ma pure dell’indulgenza della madre generatrice – la figura a tratti ribelle, quasi sempre amletica, comunque irriducibile, del Cristo.
E quella Parola in cammino misteriosamente aggrega la chiesa invisibile degli eletti, che attraversa tutte le fedi; e recluta, fuori da quelle, moltitudini di dubbiosi e miscredenti, perché Dio ha conosciuto nel Figlio la ribellione e la bestemmia; e forse non gradisce altra forma di preghiera che non sia la sorda colluttazione con l’Angelo:
E Iacob restò solo: ed un huomo lottò con lui fino all’apparir dell’alba.Ed esso, veggendo che non lo potea vincere, gli toccò la giuntura della coscia: e la giuntura della coscia di Iacob fu smossa, mentre quell’huomo lottava con lui.E quell’huomo gli disse, Lasciami andare: percioche già spunta l’alba. E Iacob gli disse, Io non ti lascerò andare, che tu non m’habbi benedetto.
Così, nella splendida lingua seicentesca di Giovanni Diodati, la lotta di Giacobbe con l’inviato di Dio (Genesi 32, 24-26), e dell’uomo con Dio stesso. Così lottano nella storia e nei libri, e nella coscienza d’ognuno, Gesù e Giuda; e alla fine, ogni volta, Gesù lo benedice.
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Letteratura e tradimento
di Antonio Di Grado
Claudiana – Torino, 2007
Euro 13,50
Sono molto lieto di presentarvi questo nuovo libro di Antonio Di Grado.
Antonio Di Grado è professore ordinario di Letteratura italiana nell’Università di Catania e direttore della Fondazione «Leonardo Sciascia». Ha pubblicato negli ultimi anni i volumi “La vita, le carte, i turbamenti di Federico De Roberto, gentiluomo”; “Quale in lui stesso alfine l’eternità lo muta”. “Per Sciascia, dieci anni dopo”; “La lotta con l’angelo. Gli scrittori e le fedi” e curato l’edizione Oscar Mondadori di “Paolo il caldo” di Brancati e quelle, entrambe per la Claudiana, di “Ragazzo. Il paese morale di Piero Jahier” e “Anno XVI dell’era fascista di Giorgio Spini”.
Ricordiamo anche “Finis Siciliae” e “Il mondo offeso di Francesco Lanza” per i tipi di Bonanno editore.
Spero di non aver dimenticato nulla.
Ringrazio Sabina Corsaro – persona che stimo tantissimo – per la bella recensione.
Sabina, mi piacerebbe che ti autopresentassi.
Per favorire il dibattito riporto di seguito il testo della quarta di copertina.
“Giuda è stato di volta in volta testimone, indiziato o accusatore nel processo intentato alla storia dalla letteratura, o convitato silente a un implacabile dibattimento intorno al tema cruciale del Tradimento: di una fede, un patto, un mandato, una gerarchia di norme e valori, un’identità nazionale o ideologica. Seguirne le orme può quindi contribuire ad arricchire il profilo del secolo appena trascorso e di una letteratura come lui votati al dubbio, allo sgomento, alla trasgressione, alla disfatta, all’apostasia e al compiacimento per gli stati più torbidi della coscienza e del comportamento sociale, ma pure alla loro lucida perlustrazione. L’autore si è così messo alla ricerca dell’Iscariota, della sua immagine mutevole e dei suoi numerosi replicanti in compagnia degli scrittori (nonché di qualche cineasta) che l’hanno direttamente evocato, ne hanno trattato il crimine o l’hanno scontato tradendo le idee dominanti o sentendosene traditi. Scrittori “irregolari”, negletti o maledetti come il loro protagonista, dannati all’indifferenza, all’incomprensione, all’oblio o al biasimo, di cui Giuda è stato guida e specchio, oggetto di riflessione e d’invenzione. “
Naturalmente chi ha già letto il libro è invitato a scrivere le proprie impressioni.
Poi potremmo dibattere sui seguenti punti:
– il tradimento
– Giuda, come figura-simbolo del tradimento
– Il rapporto tra letteratura e tradimento (sottotiotlo del libro).
La Corsaro chiude la sua recensione così:
“Un libro gremito di riflessioni, eleganti provocazioni, inconfessabili idiosincrasie, che, insieme, si svelano come tracce indelebili dell’ ‘oscuro’ e ineluttabile rapporto tra letteratura, destino ed essenza dell’uomo”.
Le prime domande al prof. Di Grado le pongo io:
1. Da dove nasce l’idea di questo libro? Quale “esigenza” ha spinto alla scrittura?
2. Il titolo è forte ed evocativo. Ovviamente il pensiero va al titolo del celebre romanzo di Thomas Hardy, “Jude l’oscuro”. C’è qualche connessione tra il suo libro e il romanzo di Hardy?
Concordo con te Erika. Il Jude di Hardy merita di essere letto ancora oggi.
Buonanotte.
SALVE! CHE BELLO DIBATTERE DI “MASSIMI SISTEMI”! UN SALUTO ALPROFESSORE DI GRADO, DOCENTE DI CHIARA FAMA CHE HO AVUTO MODO DI CONOSCERE E ASCOLTARE DI PERSONA. SE AVRà MODO DI LEGGERMI, UN SALUTO ANCHE A SUA FIGLIA VIOLA, FINALISTA INSIEME A ME DEL CONCORSO DI SCRITTURA INDETTO DALLA PORSCHE – STRANO A DIRSI, MA SPESSO TANTE AZIENDE PROMUOVONO INIZIATIVE CULTURALI NON DISPREZZABILI, COME QUESTO CONCORSO DI SCRITTURA DAL VIVO, ESTEMPORANEA.
IL MIO SCRITTO DELLA FINALE RIGUARDAVA GUARDA CASO PROPRIO GIUDA, UNA FIGURA CHE MI HA SEMPRE ATTRATTA E RESPINTA A UN TEMPO. HO LETTO “IL VANGELO SECONDO GESù” DI SARAMAGO, ANCHE QUESTA UN’ESPERIENZA SCONVOLGENTE E PROVOCATORIA.
GIUDA, DICIAMOCELO CHIARO, è L’UOMO DI TUTTI I TEMPI E SOPRATTUTTO DI OGGI. NON C’è VALORE, IDEA, PARTITO, TEORIA, POPOLO, CANONE MORALEGIURIDICOESTETICOETICO CHE NON SIANO STATI PORTATI ALLE ESTREME CONSEGUENZE E POI TRADITI.
RIFLETTIAMO UN MOMENTO SULLA PAROLA TRADIMENTO. DERIVA DAL LATINO “TRADERE”, CIOè CONSEGNARE. GESù è STATO CONSEGNATO. ANCHE TRADIZIONE VIENE DA TRADERE. MI VIENE DA PENSARE: E SE PROPRIO FARE TRADIZIONE, CIOè VOLERE CONSEGNARE GESù ALLA STORIA COME UN PRODOTTO FATTO E FINITO, VOLERLO INGABBIARE NELLE NOSTRE IDEE PRECONCETTE E LIMITATE DA TRENTA DENARI, RENDERLO COMMERCIALIZZABILE, VENDIBILE, COMPRENSIBILE, SCONTATO, SE FOSSE PEROPRIO QUESTO IL VERO PECCATO, IL VERO TRADIMENTO?
PER ESTENSIONE: IL MOMENTO IN CUI UN’IDEA SI CRISTALLIZZA è LO STESSO IN CUI INIZIA A MORIRE. UN LIBRO FINITO è UN LEONE MORTO, COME DICEVA HEMINGWAY, PERCHé LA LOTTA CON L’ANGELO è FINITA…
E SE FOSSE IL TRADIMENTO L’UNICA VERA NOSTRA FORMA DI CONOSCENZA, DI PROGRESSO, LA NECESSARIA ANCHE SE DOLOROSA ANTITESI SENZA LA QUALE NON C’è SINTESI?
è UN RAGIONAMENTO COMUNQUE PERICOLOSO, PERCHé COERENZA E FEDELTà A UN’IDEA, A UN AMICO, A UNA FEDE, A UN PARTITO SONO VALORI POSITIVI CHE PURTROPPO OGGI VENGONO CONSIDERATI, NELLA SOCIETà COSì FLUIDA CHE CI TROVIAMO AD AFFRONTARE, PIUTTOSTO DEI DISVALORI.
TROPPA CARNE AL FUOCO?
SE VI VA INVIO IL RACCONTO E MI DITE CHE NE PENSATE.
MI HANNO DETTO CHE SE Dò VOCE A GIUDA, DEVO RIFLETTERE SU UN FATTO: A CHI LA TOLGO PER DARLA A LUI?
Porrei a mia volta qualche interrogativo al prof. Di Grado:
la direi ”scoperta del vero Dio” compiuta dal Nuovo Testamento nei confronti del Vecchio – scoperta che Lei ottimamente rappresenta nel brano sovrariportato contrapponendo il Dio dispotico e maschile dell’Antico con la Trinita’ del Nuovo – potrebbe aspirare ad un ecumenismo reale che oltrepassi, sintetizzi e (addirittura!) accorpi le altre fedi religiose non cristiane presenti nel Mondo attuale?
Insomma: se per noi europei cristiani fosse accettabile questa idea del ”Dio oltre Dio” che e’ anche oltre ogni chiesa, cio’ potrebbe esserlo anche per i non cristiani convinti, ovvero per i fedeli convinti dei vari buddismi, dell’islam, eccetera? O magari le tesi di fondo di questo Suo trattato teologico-letterario si adatteranno solamente al Vecchio Mondo?
Inoltre: siamo proprio sicuri che una ”nuova” fede cristiana di siffatta conformazione – cioe’ tutta personale, individuale, intima, randagia e incoercibile per mezzo della realta’ secolare – non rappresenti un’utopia in senso stretto: luogo dell’anima esistente solo per la solitudine di ogni uomo?
Dopotutto la realta’ temporale – e dunque per forza di cose la realta’ associativa delle ”molecole umane” – e’ anch’essa una prova fondamentale per la fede Cattolica e rappresenta lo stimolo principale acche’ la Chiesa di Roma sappia mantener fede al Suo mandato.
La ringrazio anticipatamente e Le presento le mie sentite congratulazioni per il suo ultimo lavoro critico
Cordiali Saluti
Sergio Sozi
P.S.
Ricordiamoci che ”utopia” vuol dire, secondo l’etimo e il suo ideatore Tommaso Moro, ”non luogo”. Etimologicamente vero quanto sicuro che invece, come ho appena scritto io in riferimento a quanto stiamo trattando, l’utopia sarebbe pertinente all’immaginazione del singolo uomo.
S.S.
Che bella recensione! Brava Sabina Corsaro.
Il libro mi sembra “intrigante”, oltre che colto. Mi pare che si colga l’occasione di descrivere la figura di Giuda (figura emblematica, è vero) per parlare del tradimento e analizzare le contaminazioni tra tradimento e letteratura.
Ho capito bene?
Smile
Ultimo romanzo di Hardy (1895), fu male accettato dalla critica vittoriana per la denuncia sociale in esso presente: Jude l’Oscuro racconta la storia di un disgraziato a limiti della società che non riesce ad appartenere ad alcun ceto e, per questo motivo, non si sente “abitante né tra gli uomini né tra i fantasmi”, essendo fantasma agli occhi degli uomini: è “oscuro” perché non viene né visto né sentito da essi. Le convenzioni vittoriane vengono derise e criticate aspramente, anche se, in linea con la sua filosofia, Hardy non trova comunque soluzione per Jude, vittima impotente.
Fonte: http://it.wikipedia.org/wiki/Thomas_Hardy
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In Jude l’oscuro (Jude the obscure, 1896) l’intimo conflitto del protagonista tra energie fisiche e intellettuali ha un preciso collegamento con i problemi dell’alienazione sociale e economica. E’, di nuovo, la sinistra potente storia di una parabola distruttiva. Il “Jude” (Giuda) del titolo è il nome del protagonista, Jude Fawley, muratore in un villaggio del Wessex (una immaginaria contea inglese: Hardy parla in realtà del natio Dorset). Fuggito dal paese natale per il fallimento del matrimonio con Arabella, si trasferisce a Christminster (Oxford), meta per lunghi anni dei suoi sogni intellettuali. Jude stringe un ambiguo rapporto con Sue Bridehead, sua cugina, che ha un vivo e spregiudicato intelletto. Sue lavora presso l’antico maestro di Jude, Phillotson, e decide di sposare l’anziano precettore: lo abbandona poco dopo, va a vivere con Jude ma senza sposarlo. Ha un oscuro presagio. La coppia prende in casa il bimbo nato dal matrimonio di Jude con Arabella, soprannominato «piccolo padre del tempo» per l’espressione grave del viso, e mette poi al mondo due figli. Il primo figlio impicca fratello e sorella, e poi si suicida. Sconvolta, Sue torna dal vecchio maestro di scuola, e si avvicina alla religione. Jude riaccoglie con sé Arabella, ma poco dopo muore.
Fonte:http://www.girodivite.it/antenati/xixsec/_hardy.htm
@ Maria Luisa Riccioli, Se Giuda è la figura che ci rappresenta, l’Uomo è morto proprio come Dio.
Tu, scrivi che “GIUDA, DICIAMOCELO CHIARO, è L’UOMO DI TUTTI I TEMPI E SOPRATTUTTO DI OGGI. NON C’è VALORE, IDEA, PARTITO, TEORIA, POPOLO, CANONE MORALEGIURIDICOESTETICOETICO CHE NON SIANO STATI PORTATI ALLE ESTREME CONSEGUENZE E POI TRADITI”, ne sei convinta? Eppure, nonostante le difficoltà, le delusioni, le distruzioni, gli abbandoni, l’Uomo si coltiva dentro la speranza, che genera ricerca. Giuda non è il traditore, ma è l’Uomo chiuso all’infinito, all’idea dell’Infinito. E’ la figura che dispera, che si abbandona, che si chiude al mistero stesso della vita. Forse, ricordando Saramago, a tradire Gesù è stato il Dio dispostico, egoistae avaro del Vecchio Testamento. Il Dio tiranno, che conta le mogli e le pecore, i metri di stoffa e gli asini; quello che con il suo potente seme popola… il mondo. Giuda, non ha tradito, non ha creduto ad una nuova possibilità, e sostanzialmente non ha creduto in sé stesso.
A dopo
L’autorevolezza e la competenza del professor Di Grado mi sembrano ineccepibili. Non ho strumenti culturali per addentrarmi nella materia da lui trattata ma vorrei fare una considerazione basata esclusivamente sul mio gusto da lettore.
Ho sempre avuto una sorta di idiosincrasia verso i libri legati a mode e/o a tendenze. Ce ne sono anche di validissmi, forse, ma quella loro aria effimera mi rende spesso molto distante dall’opera.
Il libro del professore, invece, mi sembra “eterno”. Le tematiche, le suggestioni, i significati (condivisibili o meno) trascendono da quello che può essere un “costume di passaggio”, anzi diciamo “transeunte” (così faccio bella figura con Sozi) :-).
Certamente, direi, (e Di Grado non me ne voglia) un libro poco “popolare”, ma senza dubbio coraggioso per il tema scelto e per il modo in cui esso viene trattato. In bocca al lupo, prof!
Cara Miriam,
se proprio si deve scegliere, preferirei vedere Gesu’ come tradito da un uomo (Giuda) piuttosto che da Dio stesso.
Sergio
Carissimo Sergio, ma è proprio la zavorra dell’Antico Testamento (testo strardinario, il libro dei libri, ma testo) a confendere la figura di Cristo, il logo della ragione e il suo lungo percorso ( e anche mi sembra, l’agire della Chiesa). Però io sono come Enrico Gregori, non ho abbastanza strumenti per addentrarmi in questa materia e forse scrivo solo bestiate. Seguirò con attenzione il resto del dibattito…
Miriam
Giusto, Miriam. A mia volta aspetto le risposte del prof. Di Grado.
Salutoni
Sergio
Cara Miriam, avere degli strumenti culturali adeguati può indubbiamente essere di aiuto specialmente in una materia così complessa come quella affrontata dal professor Di Grado. Io, però, non vorrei rinunciare all’arte intesa come impatto emotivo, sebbene difficilmente comprensibile.
Non so (giuro) disegnare nemmeno una scheletrica casetta o un pupazzetto stilizzato. Io e il disegno siamo incompatibili. Anzi, inaccostabili.
Ma per questo motivo non dovrei stupirmi di fronte alla Gioconda? Non so come Leonardo l’abbia fattia con quali pennelli, con quali colori. Per quanto ne so potrebbe aver adoperato anche le spremute della frutta. Però…la madonna!!!!!
Vi ringrazio per i vostri commenti.
Quanto prima interverranno nel dibattito sia Antonio Di Grado che Sabina Corsaro.
Nel frattempo scrivete pure ulteriori considerazioni, se credete.
Dimenticavo di segnalarvi che Antonio Di Grado ha scritto la presentazione a una nuova edizione de “I Viceré” di Federico De Roberto (edizioni E/O, 2007).
L’occasione è l’uscita del film di Roberto Faenza, prodotto da Elda Ferri per Jean Vigo Italia in collaborazione con Rai Cinema. L’uscita nelle sale cinematografiche è prevista per il 9 novembre.
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Il prof. Di Grado e Sabina interverranno domani.
Ma se voi avete qualcos’altro da dire sull’argomento… scrivete.
Mi sembra un libro molto interessante, Giulia
difficile parlare di un libro non letto e di cui so solo oggi l’esistenza, interessante però l’argomento. Siamo sempre al solito discorso: di quanto tempo dovremmo disporre e quante vite dovremmo vivere per leggere tutto ciò che val la pena leggere.
Che poi se il discorso sul tradimento lo colleghiamo al famoso Vangelo apocrifo di Giuda nel quale vi è una rivalutazione del traditore di Gesù in base al fatto che il tradimento era necessario e decisivo (senza tradimento niente crocifissione e quindi niente cristianesimo), allora dobbiamo anche noi convenire che il traditore è in qualche modo una figura tragica, costretto ad avere un ruolo negativo ma necessario all’evolversi di una vicenda.
Massimo,
la nuova edizione e/o 2007 de ”I Vicere”’ e’ un’edizione critica? Spero di si’. E spero che quel magnifico libro oltrepassi la fama marcescente e ludica di un film – per quanto bello possa essere.
Sergio
Sergio, ti posso dire – oltre a quanto già scritto – che “I Viceré” delle edizioni E/O, oltre alla presentazione di Antonio Di Grado, conterranno un’introduzione di Roberto Faenza, che è il regista del film (e un ottimo regista).
Chiederò maggiori informazioni alla E/O e allo stesso prof. Di Grado.
Perché utilizzi l’aggettivo marcescente? Ci sono ottimi film che durano nel tempo senza marcire.
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P.S. Ringrazio tutti per i nuovi commenti.
Si’: i piu’ longevi durano da cent’anni, perche’ il cinema prima non esisteva. E cent’anni in confronto alla storia della scrittura sono un granello di sabbia davanti all’Oceano Indiano.
Vedremo se qualche film verra’ ancora ”letto” fra cinquecento anni, come l’Orlando Furioso, per esempio.
Buonanotte, caro
Sergio
E prima della scrittura c’erano le narrazioni orali. Come la mettiamo?
Ma stiamo andando fuori argomento. ‘Notte a te.
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Aspetto gli interventi di Sabina Corsaro e del prof. Di Grado.
E nuovi commenti sull’argomento di questo post.
Non credo che Giuda si sia dannato per avere tradito Gesù. O se stesso. Piuttosto, per non aver creduto alla possibilità di essere perdonato.
Il vero tradimento non è l’errore umano, la falla in cui tutti possiamo cadere. E’ disperare nella salvezza, recidere le ragioni stesse della speranza.
Pietro, che pure rinnega Gesù per ben tre volte, compie un identico e più grave tradimento. Eppure a lui vengono consegnate le chiavi del Paradiso.
E’ perchè supera la debolezza con la forza del cambiamento. Con l’audacia della fede che osa sperare anche la redenzione pur dopo un simile atto.
Il nostro è un Dio folle e innamorato dell’uomo. Come ogni innamorato non guarda al tradimento, al voltafaccia, alla nostra miseria. Guarda solo alla nostra capacità di credergli nonostante lo scoraggiamento delle cadute.E, infatti, come dice il professore Di Grado, Gesù continua a benedie il suo discepolo perduto.
A volte LUI ci ha già perdonati. Siamo noi a non perdonarci, proprio come Giuda.
Grazie per il tuo commento Simona. Bello e condivisibile.
Grazie, caro Massimo, per la stima espressa nei miei confronti, stima che ricambio in pieno, poiché oltre ad essere un bravo e sempre più riconosciuto scrittore, nelle varie iniziative culturali e in alcune ‘cause pro-cultura’ in cui ho chiesto il tuo sostegno (insieme a studenti universitari o ad esponenti della cultura in genere) sei stato presente.
Prima di tutto parlo un po’ di me e poi interverrò sugli interessanti interventi fatti…
Cosa dire? E’ imbarazzante auto-presentarsi, a me piace più essere conosciuta attraverso ciò che scrivo ed è stranamente la scrittura di altri o su altri (artisti o arte in genere) a darmi la possibilità di aprire il mio mondo interiore, di renderlo fruibile. Preferisco lasciar esibire gli altri per poi esternare le mie impressioni su ciò che altri hanno creato, ideato o inventato…(sarà per questo che adoro l’arte della critica?)
Mi sono laureata in lettere moderne tre anni fa e attualmente sto per concludere il dottorato in storia della cultura e della società in età moderna, portando avanti un progetto di ricerca impostato sull’immagine della Sicilia tra storia e letteratura (con richiami anche alla pittura).
Sono una ‘lettrice’ e un’amante dell’arte, in particolare delle arti figurative e della letteratura; le mie prime letture sono state quelle di Stendhal, Gogol, Dickens, Merimée (durante l’adolescenza in casa mia era arrivata una collana di classici stranieri di fine ‘800 per via di un concorso al quale mia sorella aveva partecipato…, quindi una pura casualità per i miei acerbi anni) e le prime opere da cui sono stata catturata sono stati i dipinti di Renoir e degli impressionisti in genere. Poi ho scelto Proust, per la tesi di laurea, un lavoro tra la letteratura e l’estetica…tra l’idolatria di Ruskin e l’’ateismo’ estetico di Proust, tra la lettura come conversazione e la lettura come ricerca dentro lo spirito…
In questi anni ho organizzato, (anche insieme a dei docenti e critici di storia dell’arte), mostre di artisti e ho scritto delle recensioni. I giovani artisti (dove quel ‘giovane’ non sta per scarsa esperienza), in particolare, hanno bisogno di essere sostenuti nei loro ‘primi passi’ e di avere delle occasioni per emergere e per esprimere il loro talento; mi fa quindi molto piacere sapere poi che alcuni di loro riescono a farsi conoscere di più, a partecipare a iniziative sempre più prestigiose.
La scrittura, intesa nelle sue varie forme (articoli, recensioni, saggi, lavori di ricerca), e la cultura (incontri letterari, mostre, dibattiti ad essa inerenti) rappresentano per me una cosa importante e costituiscono una passione che vorrei divenisse un giorno una vera e propria professione; la cultura è inevitabilmente legata alla scrittura e quest’ultima mi dà il senso della profonda e completa comunicazione, col mondo e con me stessa.
Ringrazio molto Erika Di Giorgio, Elektra e Maria Lucia Riccioli… In realtà il testo di cui parla Erika, Jude l’oscuro di Hardy, è un riferimento esplicito e ben preciso nel libro, un richiamo quindi legittimo, ma preferirei ne parlasse l’autore stesso…
vorrei invece soffermarmi sull’aspetto principale ed immediato che rileva Antonio Di Grado (che ringrazio per il bel libro che ci ha regalato e per lo spaccato che dà della letteratura in rapporto alle contraddizioni interamente e naturalmente umane): il rapporto tra letteratura e tradimento.
In che modo la letteratura tradisce o è tradita? Da chi? E a chi è rivolto il tradimento?
Io credo che la letteratura, intesa in rapporto al suo correlativo dialettico (la lettura) sia sempre un tradimento: io lettore interpreto attraverso la mia visuale, il mio bagaglio culturale, ciò che quel libro, secondo me, vuole comunicare, e il mio modo di interpretare ed ‘estrarre il miele dalla gola del leone’ (come dice Debenedetti) potrà in certi casi ‘tradire’ l’intenzione dell’autore. Allora in un certo senso persino il critico diviene un Giuda, che ‘consegna’ ad altri il segreto contenuto in un libro e che quindi consegna l’arte, denudandone la verità (cosa che fece Giuda con Gesù, poiché Giuda consegna la verità della vera natura di Gesù).
Mi è poi piaciuta molto la riflessione di Maria Lucia Riccioli: “E se fosse il tradimento l’unica vera nostra forma di conoscenza, di progresso, la necessità anche se dolorosa antitesi senza la quale non c’è sintesi?”, prospettiva che condivido se è vero che la conoscenza non può compiersi senza rinunce o abbandoni: di vecchie idee, credenze, pregiudizi o superstizioni… Credo che proprio a questo livello si possa parlare di tradimento in senso ampio ed esaustivo: l’umanità intera tradisce se stessa nel momento in cui avanza in scienza e progresso. Gli antichi giustificavano le calamità naturali attraverso il ricorso alle credenze degli dei o a quelle dei padri della terra, poi col tempo le scoperte hanno dato altre spiegazioni meno mitologiche, ma l’uomo ha dovuto mettere da parte quelle credenze per conoscere la realtà, le sue cause, i suoi effetti…e per adattarsi a quello stesso progresso.
Si’: pero’ si puo’ avanzare nelle conoscenze anche senza tradire una fede.
Sozi
Massimo:
la parola e la scrittura sono i cardini dell’espressione umana, ai quali possiamo affiancare la musica e le arti visive. Il cinema ancora non sappiamo. Ecco il ”quid” che differenzia una pellicola dal resto della storia.
Sergio
Alla sig.ra Simona:
il Suo e’ il commento migliore di tutti, qui. Lo faccio mio. Grazie.
Sozi
A Simona, mi associo a sergio Sozi : il suo è il commento migliore di tutti. Grazie.
Miriam
Cara Sabina,
grazie per essere intervenuta e per aver raccontato un po’ di te. È una cosa a cui tengo molto, questa. La possibilità di incontrare gli altri e farsi conoscere. Anche in un contesto apparentemente algido come quello di un blog.
E ti ringrazio anche per il successivo commento: molto profondo e ben scritto. Rilanci efficacemente il dibattito sul tema “letteratura e tradimento”.
Attendo commenti degli altri amici proprio su questo punto.
Questo è solo un messaggio di scuse: perché sommerso da lauree, esami, lezioni, riunioni, conferenze (come vedete, non c’è solo un affascinante compagno di strada come l’Iscariota, nella routine d’un docente!) non ho ancora trovato il tempo di rispondere e di ringraziare (questo, però, posso farlo subito: grazie a Massimo, alla bravissima Sabina e agli intervenuti). Spero di farcela per metà settimana, confidando nella vostra comprensione.
@ Simona: un bacio e brava: il tuo commento di donna di fede e scrittrice è meraviglioso…
@ Sabina Corsaro: brava e grazie…
@ Miriam: il mio intervento non era certo volto a giustificare e meno che mai a condividere l’etteggiamento di Giuda, semmai a far notare che Giuda è una modalità dell’esistenza che l’uomo si porta appresso da sempre. La storia è un susseguirsi di tradimenti ai danni di tutto ciò che è bello, buono, valido, giusto. Tradimenti politici, culturali, fraintendimenti estetici, calpestamento dei valori, sopraffazione, calunnia e quant’altro sono sotto gli occhi di tutti.
Giuda e Gesù: non è facile credere in un Dio fragile, debole, mortale, bimbo, che si fa crocifiggere in una sperduta provincia dell’impero come l’ultimo degli schiavi. Non è facile credere nell’amore, nel perdono. Non è facile sperare contra spem. Certo Giuda esercita un fascino oscuro, ma è a Maria e Giovanni che vanno le mie preferenze. Loro lì a soffrire ai piedi della croce, immagini dell’amore e della fedeltà… gli altri apostoli a nascondersi spaventati. Poi la resurrezione, la gioia, il disperdersi nel mondo per annunciare la buona notizia: l’uomo non è un essere disperato, non è in balia del caos e della morte perché Dio lo ha amato al punto da sacrificare per la sua salvezza il Suo amatissimo figlio. Gesù non è stato tradito dal Padre, perché erano e sono una cosa sola e chi conosce Gesù può intravedere il Padre, al quale ha ubbidito bevendo fino in fondo l’amarissimo calice che era libero di non bere. Si è fatto obbediente, fino alla morte, e alla morte di croce…
Poi ho azzardato un’interpretazione di Giuda dal punto di vista della conoscenza: tradurre, cioè consegnare agli altri la conoscenza, è pur sempre tradire, veicolare non è mai un’operazione neutra…
Infine: il Vecchio Testamento. Vero è che il Dio dell’Antico Testamento appare terribile, geloso, vendicativo, ma Gesù è venuto a completare, a perfezionare, non ad abolire la Legge e i Profeti. Rileggiamo la Bibbia e scopriremo tesori di sapienza, di poesia, di etica, di fede.
@ Maria Lucia:
ti ringrazio per questo tuo nuovo intervento. Bello!
Prof. Di Grado, non si preoccupi. Intervenga quando sarà possibile.
Noi saremo qui ad attenderla.
Trovo molto interessanti e stimolanti i vostri commenti…Il tema su Giuda, sul tradimento comporta, come vediamo, un ventaglio di prospettive: dalla fede all’arte, in particolare alla letteratura ed è ancora a qeusta a dedicare un’ulteriore analisi (che non ho potuto approfondire perché in una recensione devi sacrificare a volte, anche senza rendertene conto, alcune cose e ti accorgi solo dopo di aver omesso delle considerazioni importanti). E’ il caso del tradimento inteso dall’autore anche come ‘rifiuto’ (più o meno conscio) della propria identità, di quell’identità senza specificità a cui ho accennato. Inevitabile è parlare di Debenedetti anche questa volta, poiché in tutta la sua carriera di critico non ha fatto che approfondire gli studi sugli autori da lui preferiti: Proust, Svevo, Saba. Ebbene, c’è un filo rosso che lega tutti e tre gli artisti ed è rappresentato proprio da quell’identità ebraica rifiutata, identità intesa da Otto Weininger, in Sesso e Carattere (testo letto e esaminato dallo stesso Debenedetti), come ‘passività’, flessibilità, plasticità, tipici delle donne e degli ebrei. Non si devono fraintendere le parole di Weininger, non va preso per razzista o maschilista, del resto lo stesso Debenedetti non ne dà un’interpretazione negativa, perché sono gli stessi caratteri che emergono nei personaggi-chiave dei romanzi di Proust, di Svevo ed entrambi rifiutano quell’identità, celandosi dietro pseudonimi o personaggi fittizi: Svevo lo fa attraverso l’uso dello pseudonimo e Proust dietro il suo personaggio-uomo che è Swann più che Marcel. Credo che questo punto sia sottolineato da Di Grado e poi accompagnato dalle bellissime e commoventi parole prese dal testo dello stesso Debenedetti, Otto ebrei, sul sentirsi ebrei (cosa differente dall’ ’essere ebrei’ ) e che poi si collegano a quell’ “inafferrabile, congenita coscienza del pericolo di esser uomo” (presente anche in Saba) di cui fa esperienza lo stesso Giuda. Anche Debenedetti partecipa di questo rifiuto all’identificazione, Solmi ci informa del fatto che il grande critico si firmava con lo pseudonimo di Swann sulla “Gazzetta del Popolo”.
Cara Sabina, grazie per questo ulteriore approfondimento. Molto interessante e… dotto. Brava!
Brava bravisimaaaaaaaaaaaa.
ps: non ho capito una ma..a, ma non voglio fare brutta figura 🙂
Enrico, poi ti spedisco per mail una “traduzione” idonea ai capi della nera del Messaggero. 😉
Egr. prof. Di Grado,
spero che quando potra’ intervenire, rispondera’ anche alle mie perplessita’ di cui sopra.
Ringraziando anticipatamente
Sergio Sozi
Ad Enrico De Gregori:
spero che si riferisca al mio ultimo intervento, altrimenti comincio a preoccuparmi per il mio modo di scrivere ;P
Caro Massimo, se sono stata complessa e ‘oscura’ rimedio!
@Maria Riccioli: grazie per il tuo intervento/risposta. Ho letto tutto con molta attenzione, ma lo rileggerò, ancora. Io arrivo da una lunga strada e tutto, per me, è nuovo…mi sto formulando i pensieri e le tue parole sono occasione di conoscenza e riflessione. Leggere la Bibbia è un’esperienza forte e infinita: ci vuole una vita per comprenderene anche solo una parte. Perché quel testo, è l’Antico Mondo, quello di una vita facilmente comprensibile, legata ai bisogni primari dell’uomo; istinti, passioni, desideri, domande. Domande infinite ma non più naturali; oggi chi si avvicina allo spirito religioso lo fa con il metro della ragione. Almeno questo è quello che provo, quando leggo o rileggo alcune parti. Diversa è invece la mia attenzione quando rifletto sulle varie interpretazioni, che quel testo offre. Intervengo su questi temi da perfetta ignorante, animata dal desiderio di comprendere l’immensità dell’essere.
Grazie, ciao, Miriam
A Sabina De Corsaro (le restituisco il “De” che lei a donato a me):
la mia era una paradossale ironia per sottolineare lo spessore del suo intervento che (non si meravigli) ho perfettamente compreso e apprezzato. Che vuol farci, sono un cattivo ragazzo che si sbatte da anni sui marciapiedi tra mille schifezze. Quando mi imbatto in qualcosa di aulico mi si obnubila il sensorio. 🙂
@ Massimo: grazie…
@ Miriam: grazie! Se le mie parole possono servirti nel tuo percorso di (ri)scoperta di certi temi, posso solo gioirne!
Dovremmo fare con la Bibbia quello che fece Manganelli con “La Divina Commedia”: leggere tutto d’un fiato da Genesi ad Apocalisse (che simmetria, che perfezione: ALFA E OMEGA) e cercare di capire, abbandonarsi al flusso della narrazione, tornare “primitivi”, non ostinarsi ad incapsulare tutto nelle nostre categorie razionali che ci hanno castrato proprio le facoltà più spirituali… Anche se io non ho una concezione molto vichiana della Bibbia, che è capace, specie nei libri sapienzali, tipo proprio Sapienza e Proverbi o Siracide, di penetrare, sviscerare, sottilizzare con un acume psicologico e intellettuale non indifferenti. O leggiamo Giobbe, disperata umanissima parabola del giusto che si vede bersagliato dai mali…
Io ho letto TUTTA la Bibbia – per incoscienza, per fame di storie, per… – a nove anni, quando me la regalarono per la Prima Comunione. Ho avuto modo di leggerla e ristudiarla dopo, ma quella lettura fresca, ingenua, vergine ancora, mi è rimasta impressa.
Enrico Gregori mi scuso per il ‘De’ inesistente 😀 … avevo capito che era un tono ironico il suo ma avevo il timore di non essere stata brava nello spiegare quel concetto debenedettiano che, oltretutto, è di critica recente e poco piacevole forse da ascoltare.
E rivolgendomi a Sergio Sozi, a Miriam e a chi ha evidenziato il lato religioso del tradimento dico che in rapporto alla fede, secondo il mio punto di vista, il caso Giuda è molto più complesso e difficile di quello in rapporto al risvolto prettamente letterario, perché nella Letteratura non si hanno uniche verità, (o per lo meno non c’è il credere unicamente ad una di esse) ma si riconosce la presenza di processi storico-culturali che hanno dato vita a correnti, movimenti, periodi letterari o culturali, riconoscendo a ciascuno di essi, con più semplicità, la sua ragion d’essere.
In particolare mi riferisco a Sergio Sozi:
all’ osservazione “Si’: pero’ si puo’ avanzare nelle conoscenze anche senza tradire una fede”, rispondo che è legittima e la condivido nel suo principio più elevato ma in rapporto alla storia dell’uomo, agli eventi che l’hanno caratterizzata la fede, a volte, ha apportato dei grandi limiti alla scienza così come alla cultura. Ma vorrei precisare che non è della fede personale a cui mi riferisco, quella dio gni individuo ma della fede costituzionalizzata e istituzionalizzata.
Il progresso chiede l’abbandono di reticenze per compiersi e la laicità è l’atteggiamento intellettuale e umano più onesto in rapporto alla cultura e all’evoluzione di essa e dell’umanità.
Giuda per un cattolico sarà il traditore che è venuto meno al suo compito di fedele seguace ed è condannato; per il protestante potrà invece essere visto come il doppio do Gesù Cristo, in quanto lato oscuro r necessario di egli, per l’ateo o il mussulmano Giuda sarà un povero uomo al quale Gesù si è accompagnato, così come oggi, se venisse giù si accompagnerebbe agli accattoni, alle prostitute, non per redimerli ma per confortarli.
Scusate i terribili errori di battitura!!
Va benissimo Sabina. Per me è tutto chiaro. E comunque non avrei titolo per dire che lei non è brava
Sabina, grazie per questo prezioso contributo (e per l’altro tuo intervento sul post dedicato alla “Storia della bruttezza”).
La tua presenza in questo blog la considero come un importantissimo valore aggiunto.
Peraltro – mi rivolgo a tutti – Sabina la incontro spesso perché vive a Catania. E aggiungo che, oltre a essere brava e dotta, è pure una bella ragazza.
😉
Ciao e grazie ancora.
Essendo io cattolico, comprendo le affermazioni di Sabina, pur quasi mai condividendole: ”(…)in rapporto alla storia dell’uomo, agli eventi che l’hanno caratterizzata la fede, a volte, ha apportato dei grandi limiti alla scienza così come alla cultura” dice Sabina Corsaro poi ancora: ”Il progresso chiede l’abbandono di reticenze per compiersi e la laicità è l’atteggiamento intellettuale e umano più onesto in rapporto alla cultura e all’evoluzione di essa e dell’umanità.”
Perche’ questo, Sabina? La religione Cattolica e’ umanissima e laicissima, se vista nel Vangelo, ed umanissima e laicissima anche se vista nelle posizioni della Chiesa di Roma – non sempre, d’accordo, un papa ha rappresentato degnamente il Vangelo, ma in genere si’. Insomma, ogni religione e’ discutibile e migliorabile, esecrabile quando i suoi seguaci ne confondono le direttive e sbagliano in terra, tradendo il loro Testo Sacro.
Inoltre, l’evoluzione e’ a cuore anche a noi cattolici, solo che poniamo dei limiti al pensiero scientifico solo quando esso contrasti con certi fondamenti che crediamo naturali, ovvero divini: l’eutanasia e’ giusta, a mio avviso, solo come ultima ratio, al di la’ di ogni ”ragionevole dubbio”; l’aborto va praticato solo in casi estremi (violenza carnale o simili), non per mero egoismo o per fuggire dalle proprie responsabilita’; gli esperimenti sulle cellule staminali vanno mantenuti entro una ragionevole coscienza della nostra appartenenza all’ordine naturale, non esclusi ”a priori”.
Riassumendo: il cattolico non esclude a priori certi rimedi, solo cerca di applicarli dopo averne ragionato a lungo e con profondita’.
In ogni caso, chiunque tradisca resta per tutti – atei, ebrei, mussulmani o nichilisti, comunisti, eccetera – una persona cattiva, o quantomeno priva di amore per il tradito. E questo e’ un fatto innegabile, a meno che il tradito non sia un suicida o un Dio – ma quanti Dei o suicidi i traditori in genere hanno mai incontrato? Giuda e’ stato il solo, mi sembra.
Saluti Cari
Sergio Sozi
Il ritardo della mia risposta mi obbligherebbe a tener conto di moltissime, troppe sollecitazioni: quanto a me, preferirei metterle in appendice al mio libro come suoi possibili sviluppi e arricchimenti.
In breve. Perché ho scritto? Perché affascinato – da letterato impunito qual sono – dal personaggio-Giuda, l’unico nei vangeli all’altezza di quello di Gesù; perché attratto dal tema del tradimento e dalla straordinaria gamma delle sue valenze, dall’abiezione compiaciuta fino al sacrificio tormentato di fedi e ideologie e alla ricerca sempre insoddisfatta di verità [i]altre[/i] (ha ragione, in realtà, Maria Lucia: il vero tradimento è la cristallizzazione delle opinioni e delle appartenenze); infine perché Giuda mi ha fatto scoprire scrittori come lui dannati, cioè obliati o censurati – in primo luogo Giuseppe Lanza del Vasto, Mario Brelich, Giuseppe Berto –, nei cui scritti l’Iscariota compare non a caso come protagonista, compagno di strada, controfigura.
Non ho certo esaurito – tutt’altro – l’enorme ricchezza d’una materia che arriva fino a Jorge Luis Borges e oltre partendo dai Cristianesimi dei primi secoli (adotto il plurale perché credo nella pluralità delle interpretazioni e nel “libero esame”, qual era quello praticato da quelle prime comunità e, successivamente, nel secolo della Riforma). Ma confido che i miei sondaggi servano quanto meno a problematizzare i temi di cui ho detto e a farci riscoprire l’insostituibile funzione della letteratura (che, come ho scritto parafrasando l’apostolo Paolo, «soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, comprende ogni cosa»), anche in rapporto alle fedi individuali e collettive.
Quanto a queste, rispondo a Sergio Sozi: per quanto io aderisca a una chiesa protestante, sono incline a una visione “sociniana” (da Fausto Sozzini o Socini, eretico tanto per i cattolici che per i protestanti) d’una chiesa che abbracci tutte le fedi e anzi tutte le tensioni intellettuali e morali, e tutti i modi di lottare con l’Angelo, fino alla disperata bestemmia dell’ateo; e di un Dio silenzioso ma dispensatore di Grazia e di perdono. E perciò non posso che concludere (per ora) con le bellissime parole di Simona: «Lui ci ha già perdonati. Siamo noi a non perdonarci, proprio come Giuda».
Grazie per l’intervento, prof. Di Grado.
Anche secondo me il commento di Simona è molto bello.
Rispondo alle sue osservazioni Sergio:
per quanto concerne il discorso sull’aborto, sull’eutanasia il mio punto di vista coincide perfettamente col suo, sin nei dettagli ma per il discorso del referendum sulle cellule staminali non condivido la severità dei precetti ecclesiastici che hanno imposto ai fedeli e cittadini di non andare nemmeno a votare.
Per altre questioni, senza voler andare lontano (penso che sia stato abusato l’esempio di Galilei e ciò che è legato a secoli passati, divenendo ‘obsoleto’ , persino scontato) faccio invece riferimento a qualcosa di più attuale e a noi quindi più vicino. Penso alla letteratura in particolar modo (oggetto e termine di confronto nei dibattiti di questo bel blog) e a quante volte la fede istituzionalizzata sia intervenuta con l’effetto -censura. Porto un esempio concreto: l’anno 1965. Anno in cui è stato abolito dal Vaticano l’indice dei libri proibiti. Ma sul serio in Italia si è dovuti arrivare a quella data per rendere libera la cultura? Il libero pensiero è stato ufficialmente riconosciuto un po’ tardi a mio avviso, non concorda anche lei, Sergio su questo? Si può allora ben comprendere come mai civiltà come l’Inghilterra, la Germania (non quella hitleriana ovviamente) e la Francia (togliendo il caso Flaubert) abbiano avuto uno sviluppo culturale (in ambito filosofico, ad esempio, e sperimentale) più precoce e continuo del nostro. In tal senso per me la fede istituzionalizzata tradisce l’evoluzione umana.
La letteratura ci spiega un altro tradimento: quello che subisce l’uomo dai suoi ideali: Foscolo, Stendhal in primo luogo ci parlano di questo. Ritornando a Giuda l’oscuro di Antonio Di Grado, sono invece gli intellettuali del dopoguerra a tradire la loro ideologia ma perché si sono a loro volta sentiti traditi da quegli ideali a cui avevano creduto o che avevano riempito di attese e di illusorie valenze.
Buongiorno.
SOno un docente di diritto penale della Facoltà di Scienze POlitiche dell’Università di Firenze.
Avrei bisogno di contattare Sabina Corsaro, in relazione alla sua intervista al maestro Lucio Ranucci. Sperando che Sabina Corsaro possa a sua volta darmi un recapito del maestro (ho visto che l’ha intervistato via email…). Vorrei mettere in copertina di un volume sul “diritto dei crimini internazionali” la riproduzione di un’opera di Ranucci, che “calza” alla perfezione, e devo avere il suo consenso.
Spero possiate aiutarmi.
Un saluto e – tra parentesi – complimenti per il bellissimo blog.
ANtonio Vallini