Continua la nostra navigazione tra i pro e i contro di Internet…
Dopo aver discusso – negli anni e nei mesi scorsi – del colosso Google, di rivoluzione Internet, della responsabilità legale della scrittura in rete, del tema scottante della pedofilia on line, degli aspetti positivi e negativi di Facebook, vorrei concentrare la mia e la vostra attenzione su altre problematiche connesse alle nostre vite “sempre più on line”, cogliendo gli stimoli forniti da due libri molto interessanti.
Il primo, è un libro pubblicato da Einaudi e intitolato “Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere” di Federico Tonioni (ricercatore universitario per il settore scientifico-disciplinare di psichiatria che afferisce all’Istituto di Psichiatria e Psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e in qualità di dirigente medico presso il Day Hospital di Psichiatria e Tossicodipendenze del Policlinico Gemelli). Si tratta di un testo che si pone come obiettivo principale quello di fornire risposte sul tema della “dipendenza da Internet” (vera e propria patologia).
Per darvi un’idea più precisa sui contenuti del libro, vi riporto la scheda:
Federico Tonioni in questo volume spiega e svela con estrema chiarezza le patologie che, soprattutto nel mondo degli adolescenti, sono legate alla straordinaria diffusione di internet. Il libro è cosí uno strumento prezioso per aiutare i genitori che, appartenendo a generazioni «pre-digitali», spesso non sono abituati all’uso del computer e alla navigazione in rete, e si scoprono impreparati alla comprensione dei disturbi che internet può arrecare ai loro figli. Allo stesso modo viene trattata la dimensione on-line del gioco d’azzardo e dei siti per adulti, patologie compulsive che coinvolgono persone di ogni età. Quando internet diventa una droga rappresenta cosí una guida chiara ed efficace sui rischi della dipendenza da internet.
Scrive l’autore: «Mi occupo di dipendenze patologiche da diversi anni e nel corso del mio lavoro ho avuto modo di ascoltare e condividere storie sofferte, rivelazioni sconcertanti, idee deliranti; ma qualche ringraziamento autentico e spontaneo ha reso improvvisamente leggero il peso delle responsabilità che sono chiamato a sostenere. Ho imparato che chi manifesta una dipendenza patologica non vuole soffrire per forza ma vuole soffrire di meno, e che la droga per il tossicodipendente, come la cioccolata per la bulimica o il video poker per il giocatore d’azzardo, non sono desideri ma bisogni, che a volte travalicano la forza di volontà e la logica del pensiero».
Il secondo, è un libro pubblicato da Piano B edizioni e intitolato “Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione” di Lee Siegel (saggista e critico culturale per il “New York Times”, “Harpers”, “The New Republic” e “New Yorker). Si tratta di un volume uscito negli States all’incirca tre anni fa, dove l’autore (forse “condizionato” anche da ragioni personali, come vedremo) assume una posizione molto critica – quasi “ostile” – nei confronti della rete e dei suoi effetti.
La versione italiana è tradotta da Alessandra Goti e contiene una lunga e succosa prefazione firmata da Luca De Biase.
Riporto, di seguito, la scheda:
Incalzante, lucido, provocatorio, Homo Interneticus prova a mettere in discussione il mezzo tecnologico più esaltato e venduto degli ultimi dieci anni: Internet. La retorica di democrazia e libertà che circonda la Rete viene sfidata nelle sue questioni fondamentali: che tipo di interessi nasconde la Rete? Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale? Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line? Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?
Homo Interneticus non è un manifesto contro Internet, ma un’analisi tagliente su come la quotidianità della Rete ha cambiato il ritmo delle nostre vite e il modo in cui percepiamo noi stessi e gli altri. Per Siegel, il lato oscuro della Rete sta rivoluzionando radicalmente la nostra società: il dissolvimento del confine fra pubblico e privato, la trasformazione da cittadino a utente e da utente a prosumer, la mercificazione di privacy e tempo libero, la libertà di consumare confusa con la libertà di scegliere, la riduzione della propria vita a bene da esporre, promuovere, impacchettare e vendere.
Prosumerismo, blogofascismo, il passaggio da cultura popolare a cultura della popolarità, la riduzione della conoscenza a informazione e dell’informazione a chiacchiera, l’autoespressione confusa con l’arte. I molti temi toccati dalle duecento pagine di Homo Interneticus riescono a porre questioni, temi e domande che attendono ancora di essere discusse. Al di là dell’entusiasmo incondizionato che circonda apriori tutto ciò che è Internet e web 2.0, Siegel prova a centrare l’attenzione sui reali interessi che circondano l’enorme massa di nuovi clienti da informare, consigliare e a cui vendere oggetti o stili di vita. Ricco di punti di vista originali e pieni di genio, Homo Interneticus ci obbliga a riflettere sulla nostra cultura e sull’influenza del web in un modo completamente nuovo.
Vorrei discutere con voi delle tematiche affrontate dai due libri (che, per certi versi, si intrecciano). Proverò a coinvolgere nel dibattito anche i citati Federico Tonioni e Luca De Biase.
Per favorire la discussione vi propongo alcune domande estrapolate (o ispirate) dalle schede dei due libri. Come sempre, vi invito a fornire le “vostre” risposte.
1. Vi è mai venuto il dubbio di essere affetti da una sorta di dipendenza da Internet?
2. Conoscete qualcuno che risente di una vera e propria dipendenza dalla rete?
3. A vostro avviso internet può, in un modo o nell’altro, danneggiare il cervello?
4. Come comportarsi con i figli che passano troppe ore davanti al computer? È necessario fissare limiti di tempo? Bisogna staccare la spina del pc? È opportuno controllare i siti visitati? E, in definitiva, è meglio lasciare la disponibilità del computer o toglierlo con la forza?
5. Che tipo di interessi nasconde la Rete?
6. Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale?
7. Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line?
8. Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?
Queste, le domande. Provate a rispondere!
Nel corso del dibattito pubblicherò l’introduzione di Federico Tonioni (con riferimento al libro pubblicato da Einaudi), la prefazione di Luca De Biase e l’introduzione di Lee Siegel (con riferimento al libro pubblicato da Piano B Edizioni).
Molta carne al fuoco, dunque. Una discussione che ci terrà impegnati, spero, per diversi giorni.
Come sempre, la vostra partecipazione è indispensabile.
Ci conto!
Grazie in anticipo.
Massimo Maugeri
Cari amici, vi do il benvenuto a questo nuovo stimolante dibattito che (spero!) ci terrà impegnati per un bel po’ di giorni…
Si tratta di un proposta di discussione che segue il percorso tracciato da precedenti post sulle tematiche relative a “Google”, alla “rivoluzione Internet”, alla “responsabilità legale della scrittura in rete”, al tema scottante della “pedofilia on line”, agli “aspetti positivi e negativi di Facebook”.
In questo caso, come anticipato in premessa, vorrei concentrare la mia e la vostra attenzione su altre problematiche connesse alle nostre vite “sempre più on line”, cogliendo gli stimoli forniti da due libri molto interessanti.
Il primo libro (dettagli sul post) è pubblicato da Einaudi e intitolato “Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere” di Federico Tonioni.
Si tratta di un testo che si pone come obiettivo principale quello di fornire risposte sul tema della “dipendenza da Internet” (vera e propria patologia).
Il secondo libro (anche in questo caso, maggiori dettagli sul post) è pubblicato da Piano B edizioni e intitolato “Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione” di Lee Siegel.
Si tratta di un volume uscito negli States all’incirca tre anni fa, dove l’autore (forse “condizionato” anche da ragioni personali, come vedremo) assume una posizione molto critica – quasi “ostile” – nei confronti della rete e dei suoi effetti.
Proverò a coinvolgere nella discussione sia Federico Tonioni che Luca De Biase (quest’ultimo ha firmato la prefazione al libro di Siegel).
Come sempre, per favorire la discussione, vi propongo alcune domande estrapolate (o ispirate) dalle schede dei due libri.
E come sempre, vi invito a fornire le “vostre” risposte…
1. Vi è mai venuto il dubbio di essere affetti da una sorta di dipendenza da Internet?
2. Conoscete qualcuno che risente di una vera e propria dipendenza dalla rete?
3. A vostro avviso internet può, in un modo o nell’altro, danneggiare il cervello?
4. Come comportarsi con i figli che passano troppe ore davanti al computer? È necessario fissare limiti di tempo? Bisogna staccare la spina del pc? È opportuno controllare i siti visitati? E, in definitiva, è meglio lasciare la disponibilità del computer o toglierlo con la forza?
5. Che tipo di interessi nasconde la Rete?
6. Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale?
7. Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line?
8. Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?
Provate a fornire le “vostre” risposte, dunque.
La vostra partecipazione, come sempre, è necessaria per lo sviluppo della discussione (oltre che graditissima).
Nel corso del dibattito pubblicherò l’introduzione di Federico Tonioni (con riferimento al libro pubblicato da Einaudi), la prefazione di Luca De Biase e l’introduzione di Lee Siegel (con riferimento al libro pubblicato da Piano B Edizioni).
La “carne al fuoco” è tanta, ma – come già detto – la discussione ci terrà impegnati, spero, per diversi giorni.
Dunque, procedete con calma…:-)
Intanto comincio col pubblicare – qui tra i commenti – l’introduzione di Federico Tonioni al volume della Einaudi “Quando internet diventa una droga. Ciò che i genitori devono sapere”…
QUANDO INTERNET DIVENTA UNA DROGA: Introduzione di Federico Tonioni (parte prima)
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Gli adolescenti di oggi manifestano la tendenza a trascorrere la maggior parte del tempo disponibile davanti al computer.
Se questo per tanti genitori rimane un mistero, per alcuni è diventato un problema. La loro preoccupazione, a volte giustificata, e il sentimento di impotenza che ne deriva sono diventati da qualche tempo oggetto delle mie riflessioni e, all’interno di un ambulatorio pubblico che ho ideato con i miei collaboratori, mi dedico all’ascolto e alla cura di chi sente di aver sviluppato con il computer un rapporto poco sano.
Mi occupo di dipendenze patologiche da diversi anni e nel corso del mio lavoro ho avuto modo di ascoltare e condividere storie sofferte, rivelazioni sconcertanti, idee deliranti ma qualche ringraziamento cosí autentico e spontaneo ha reso improvvisamente leggero il peso delle responsabilità che sono chiamato a sostenere. Ho imparato tanto e per fortuna sono ancora ignorante. Ho imparato che chi manifesta una dipendenza patologica non vuole soffrire per forza ma vuole soffrire di meno, e che la droga per il tossicodipendente come la cioccolata per la bulimica o il videopoker per il giocatore d’azzardo non sono desideri ma bisogni, che a volte travalicano la forza di volontà e la logica del pensiero. Sviluppare nel corso degli anni una dipendenza patologica significa cercare di sopravvivere a una minaccia piú grande, che lo stesso “dipendente” avverte senza esserne del tutto consapevole. Se le cose funzionano e il contesto affettivo dove si cresce è sano, la dipendenza non diventa una malattia ma rimane una tendenza naturale della nostra mente che diminuisce con il passare degli anni senza peraltro sparire mai. In fondo il timore di aver bisogno degli altri e quindi in qualche modo di dipendere da loro si muove sotto traccia e accompagna le nostre giornate. A volte basta una telefonata che ritarda, cosí come l’interruzione forzata di un comportamento a cui siamo abituati, per scoprirci un po’ dipendenti da certe persone o da qualche abitudine. Ammetterlo non è cosa facile perché accorgersi della propria dipendenza rimanda a un sentimento di fragilità e di potenziale sofferenza.
Non ci bastiamo da soli.
Succede anche agli adolescenti anzi soprattutto a loro. Nonostante non amino sentirsi dipendenti, si aggregano in coppie o gruppi per condividere le stesse necessità. Per fare questo usano la rete.
QUANDO INTERNET DIVENTA UNA DROGA: Introduzione di Federico Tonioni (parte seconda)
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La rete è internet, o meglio internet è una rete, una rete di contatti, che ha reso il computer un formidabile strumento interattivo con il quale è possibile comunicare con gli altri, come non si era mai fatto prima. Non solo. Attraverso internet è possibile giocare, anche d’azzardo, ascoltare musica, vedere film, arricchirsi trovando o inventando un lavoro, apprendere e informarsi, conoscere persone, diventare famosi e in certi casi mettersi nei guai. Tutte le attività che siamo abituati a svolgere nella vita di tutti i giorni possono essere svolte su internet, con maggiore facilità e notevole risparmio di tempo e di spazio. Si tratta di un mondo parallelo al nostro che può essere funzionale ai nostri desideri, cosí come costituire un’alternativa alla realtà a cui siamo abituati. Internet ogni giorno diventa un pochino piú grande, cresce e si rinnova senza sosta. Chiunque lo può migliorare.
Nel suo amplificarsi non sembra seguire una tendenza precisa se non quella di porsi, per sua stessa natura, al di fuori di certi livelli di controllo. Di fronte a esso rimaniamo assorti come quando sogniamo a occhi aperti, ma non stiamo fantasticando come capita nella vita di tutti i giorni, anzi direi che il computer impone un’attenzione costante. Ci attrae senza guardarci facendoci perdere la cognizione del tempo sempre piú con l’aumentare dell’interazione. In internet si naviga anche senza un punto di riferimento definito, senza uno scopo preciso. La sensazione è che possa sorprenderci da un momento all’altro perché non ha confini e nessuno lo possiede del tutto.
È inevitabile che sottragga tempo alle relazioni vissute in famiglia. Per questo motivo una permanenza eccessiva è fonte di preoccupazione per tante mamme e per tanti papà che colgono in questo comportamento non una risorsa ma un segnale che indica la difficoltà del loro figlio ad avere relazioni in un mondo rea le. Dopo essersi dilungato in rete l’adolescente non riesce con semplicità a reinserirsi nella quotidianità familiare.
Ho ascoltato la mamma di una giovane ragazza pronta a rompere il computer di sua figlia pur di tornare la sera a vedere un film “tutti insieme”, o un papà che ha regalato a suo figlio, appena adolescente, una motocicletta in cambio della promessa, ovviamente non mantenuta, di diminuire il tempo trascorso su internet.
I genitori sono disorientati, non sanno come comportarsi, a poco servono restrizioni, punizioni o ricatti. Gli adolescenti non sono inclini ad accettare compromessi e un atteggiamento di controllo nei loro confronti, o peggio a loro insaputa, può allontanarli ulteriormente dalla nostra comprensione.
Se entriamo nella camera di nostro figlio, magari dopo aver bussato, e gli chiediamo con curiosità e senza sospetto che cosa stia pensando o facendo, avremo da lui una risposta che soddisferà completamente o in parte le nostre aspettative. Quello che non ci dice, dal suo punto di vista, ha diritto a non dircelo. Se però non riusciamo a rispettare questo diritto e invece di bussare lo spiamo dal buco della serratura, pur vedendo la stessa scena, daremo a questa una valenza diversa. Il fatto stesso di spiarlo racchiude in sé l’idea che stia facendo qualcosa di sbagliato e dimostra che a volte il punto di osservazione può condizionare ciò che vediamo, o meglio come lo interpretiamo. E certe volte le nostre interpretazioni possono allontanarci dalla realtà, facendocela vedere come non è.
QUANDO INTERNET DIVENTA UNA DROGA: Introduzione di Federico Tonioni (parte terza)
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Ho ascoltato un papà che aveva contattato, sotto mentite spoglie, la figlia su Facebook per conoscere e capire “veramente” chi fossero i suoi amici. Alla fine anziché capirlo “veramente” era angosciato e pieno di dubbi. Spesso il controllo nuoce di piú a chi lo attiva che a chi lo subisce inconsapevolmente. Questo non vuol dire che dobbiamo trascurare i nostri figli non prestando loro le dovute attenzioni, ma senza dubbio il fatto di controllarli a loro insaputa non serve a conoscerli meglio, ma a perdere intimità nei loro confronti.
Internet ha creato il paradosso di darci in tempo rea le informazioni da ogni parte del mondo e allo stesso modo di generarci un sentimento di estraneità rispetto alla vita autenticamente vissuta.
Non capita sempre ma è evidente che il mondo della rete ha moltiplicato i contatti tra ragazzi della stessa età e ha quasi fratturato la comunicazione con la generazione precedente, quella dei genitori.
Tutti siamo stati adolescenti e in quel periodo il parere di un amico a volte superava il consiglio di un familiare. Tutti abbiamo sofferto o trasgredito le regole. Tutti ci siamo sentiti incompresi.
Tutti siamo stati incoscienti.
Oggi, diventati genitori, al posto di quella comunicazione difficile troviamo zone di incomunicabilità, di silenzio, cosí come al posto di un sano conflitto sentiamo un vuoto, o meglio un’assenza.
Entrare in relazione con un adolescente significa rendersi conto di quanto è diventato distante, tanto che a volte, sconfortati, rinunciamo senza essere riusciti a catturare la sua attenzione.
Quando lo vediamo passare ore davanti al computer sembra impermeabile al resto del mondo e se glielo facciamo notare, dopo averci guardato con aria perplessa, ci rassicura, spiegandoci che “non c’è niente di male”. Se però gli impediamo di connettersi, preoccupati per il tempo sottratto allo studio, reagisce con aggressività.
Come psichiatra mi sono chiesto se questa aggressività rappresenti una riluttanza a svolgere i propri doveri scolastici o peggio sia un sintomo legato allo sviluppo di una dipendenza.
Certo è che la consapevolezza di essere diventati internet-dipendenti si verifica raramente. Cosí come raramente assistiamo alla comparsa di sintomi astinenziali, perché tanta è la facilità e quindi la frequenza con le quali è possibile connettersi in rete.
Basta un telefono cellulare o il computer di un amico per non viverne la mancanza.
È piú comune notare segni di cambiamento silenziosi nel modo di vivere e di pensare che inducono i giovani a diminuire le relazioni personali vissute fuori di casa e a incrementare invece quelle mediate dal computer. Per essere chiari le relazioni web mediate diventano patologiche soltanto se non sono piú in funzione della realtà ma tendono a sostituirla. Il resto fa parte inevitabilmente di un’evoluzione nel modo di stare al mondo evidente nei piú giovani, nati e cresciuti nell’era digitale. Questo genera in noi piú diffidenza che curiosità, perché la vita ci ha insegnato a dubitare di ciò che non conosciamo e l’ignoto è di solito fonte di allarme.
QUANDO INTERNET DIVENTA UNA DROGA: Introduzione di Federico Tonioni (parte quarta)
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Conosciamo i pericoli di internet e ne sentiamo parlare sempre piú spesso da stampa e tv, mezzi della comunicazione convenzionale a cui siamo piú abituati e di cui in fondo ancora tendiamo a fidarci. Sappiamo bene che in rete si possono fare incontri spiacevoli e qualche volta pericolosi, cosí come vedere immagini che mai avremmo proposto ai nostri figli.
Il nostro è un libro semplice, senza i termini tecnici e i ragionamenti contorti degli psichiatri, è un piccolo manuale dedicato alle mamme e ai papà che vogliono incuriosirsi alla vita dei propri figli senza invadere quegli spazi necessari a loro per crescere. Chi lo ha scritto si è messo nei panni di quelle mamme e di quei papà, avendo vissuto, da prospettive diverse, lo stesso disagio di fronte a un adolescente.
Sono descritti internet e quello che c’è dentro, distinguendo quattro diverse variabili: i giochi di ruolo che inducono a estendere la nostra identità completandola con aspetti che sentiamo mancare nella vita di tutti i giorni; i social network che sono degli spazi virtuali dove è possibile incontrarsi senza conoscersi real mente; il gioco d’azzardo on-line che può essere praticato in qualsiasi momento della giornata senza che nessuno se ne accorga; i siti per adulti che possono alla lunga mistificare la percezione rea le della sessualità se frequentati precocemente.
È un insieme di riflessioni su come può cambiare il modo di pensare, di ricordare e di essere creativi nei giovani d’oggi e di quanto queste importanti funzioni della mente possano diventare matrice di nuovi disturbi, ben sapendo che i dettagli che separano un uso corretto del computer da un abuso sono spesso sfumati. Su cosa fare per prevenire e intervenire qualora si verifichi un eccesso di questo tipo e soprattutto come aiutare i nostri figli a crescere bene nell’era della multimedialità.
Occorre essere umili, senza fare la guerra a internet, tenendo ben presente che è proprio grazie a internet che i bambini del terzo mondo possono avvicinare la propria esistenza a quella dei nostri figli. Informatizzare vuol dire informare chi non lo è mai stato. Portare il computer in luoghi dove giunge a malapena la corrente elettrica può mutare gli equilibri politici e sociali del mondo, incrementando scambi e integrazioni culturali.
Per il ruolo avuto nel promuovere confronto e solidarietà, internet è stato candidato al premio Nobel per la pace nell’anno 2010. Lo ha proposto Nicholas Negroponte, fondatore e direttore del Media Laboratory del Massachusetts Institute of Technology (un laboratorio interdisciplinare innovativo, dedicato allo studio e allo sviluppo di nuove interfacce uomo-macchina), che lo ha definito non «una rete di computer ma un intreccio di persone»1. Le comunità digitali che stanno crescendo sembrano destinate a superare confini, censure e manipolazioni.
Io, come voi, appartengo a una generazione che non è nata nel mondo globale, che conosce anche un “prima” del computer ed è cresciuta al di fuori di certi input nei quali sono invece immersi i nostri figli che rappresentano «una nuova civiltà», dice Nicholas Negroponte, descrivendo «una divisione assoluta tra chi è digitale e chi non lo è, quelli che io chiamo i senza tetto digitali sono molto intelligenti, molto bravi, di solito sono persone benestanti di quarant’anni o piú, ma hanno un
problema: sono giunti su questo pianeta troppo presto. Queste persone imparano dai loro figli».
Il senso di quello che abbiamo scritto ha la pretesa di essere un primo passo verso questa direzione, al di là di allarmismi inutili e ingiustificati, dobbiamo avvicinarci ai nostri figli senza pregiudizi, mettendo in discussione le convinzioni che abbiamo acquisito, per cambiare modelli che non funzionano piú e favorire la nascita di nuovi pensieri.
Ecco fatto!
Naturalmente vi invito a leggere l’introduzione di Tonioni al suo libro. E poi, se vi va, a dire la vostra (magari prendendo spunto dalle domande del post).
Domani sera pubblicherò la prefazione di Luca De Biase (al libro di Siegel)
Ne approfitto per augurare a tutti una buona serata e una serena notte…
La mia scrittura da un certo punto in poi e’ ri-nata grazie a internet. E internet tuttora rappresenta un luogo e un canale di comunicazione straordinario. Mi capita di avvertire strane vibrazioni e la tendenza a ritornare troppo spesso in rete, e quando accade scatta il salvavita: non tollero l’idea della dipendenza, quando succede che qualcosa la provochi il mio istinto mi salva. Così per internet: avverto segnali premonitori, i prodromi della dipendenza e fuggo per un po’, tolgo di mezzo gesti nn necessari. Anche perché scrivere e’ gesto indipendente, non può avere addosso l’influenza degli occhi che leggono. Alludo alla scrittura narrativa e saggistica e alla comunicazione scientifica. Internet in assoluto e’ meraviglioso, raggiunge persone che diversamente non avrebbero accesso (per scelta o necessita’) alla comunicazione. Ha la capacita’ di rendere vicino e semplice un concetto critico e altrimenti astratto. E’ ovvio che il linguaggio vada adattato, o meglio evolva con naturalezza verso le generazioni prossime e la loro struttura intellettiva e intellettuale. Internet ha limiti, tutti li abbiamo. Ha pericoli gravissimi che possono nascere, per esempio, dall’assenza di un filtro (controllo). Alludo ai pericoli per i ragazzi, ma anche alle false informazioni che hanno conseguenze sulle scelte di chi cerca risposte mediche. E’ rapido, efficace, rende vero anche ciò che non ha basi reali. Demone o dono divino? Semplice strumento, potente e plasmabile. Sono le mani di chi lo usa a dargli una forma e un senso. Le nostre mani.
E sulle dipendenze. Esistono e possono riguardare anche internet. Potenzialmente ogni piacere può diventare dipendenza, o scatenare dipendenza. Le dipendenze vere possono avere una prevenzione (non so dire quanto efficace) nell’informazione adeguata, e la cura e’ specialistica. Cioè professionale. Dipendenza da sostanze stupefacenti, da fumo di sigaretta, da cibo, da comportamenti come il gioco d’azzardo. Dipendenza da internet. L’abuso non e’ necessariamente dipendenza, esiste un confine. E
A personalita di base cntribuisce o meno. Ogni dipendenza poi ha caratteristiche peculiari, per questo e’ utile che esista la ricerca in proposito.
Rispondo per il momento solo alla domanda numero 5 e mi riservo di leggere tutto il materiale proposto da Massimo, cosa che non ho ancora fatto: “Che tipo di interessi nasconde la Rete?”
Sicuramente viene anche utilizzata per monitorare la popolazione, e sempre di più. Nasconde i soliti interessi, economici politici e fiscali, repressivi, a seconda di dove si proietta. E’ lo specchio di quello che siamo noi esseri umani, nient’altro. Ma è anche un mostro dalle mille teste e, come tale, è impossibile da parte di chi comanda, monitorare tutto.
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Però: da una parte ci sono i Raoul Chiesa, ex hacker arrestato, ora buon hacker, ora a capo di una società di consulenza, in contatto con enti e associazioni internazionali della sicurezza e gran capo contro il cybercrime, il quale sta dimostrando che il web non può stare solo in mano a organizzazioni militari.
*
Dall’altra ci sono persone come, per esempio, gli Anonymous, i quali sono dei “criminali” moderni che, pur non rubando o uccidendo, sono braccati e considerati cellule impazzite particolarmente dannose alla società. Dove, però, mi pare, risiedano almeno per il momento le uniche intelligenze in grado di contrastare le forze militari e governative, nonchè le multinazionali. Vedi caso Assange di cui si è saputo qualcosa solo grazie a loro perchè i mass media non hanno praticamente informato. Anzi, hanno informato solo sul processo; su quello che stava a monte se ne sono ben guardati. Queste sono le cose che oggi non si possono dire.
Infatti, conosco gente, anche giovane, che non sa nemmeno chi sia. Per me, nelle solite stupide graduatorie che mi è capitato di leggere ultimamente e in cui si indicavano gli eventi strepitosi dell’anno, andrebbe messo al primo posto. Invece, non era nemmeno all’ultimo.
A questo proposito, sono convinta che la prossima vera guerra verrà combattuta all’interno dei bit. Anzi, c’è già.
Quanto a come internet sia manipolata dall’alto racconto nel mio piccolo che, qualche giorno fa, per esempio, mi ha contattata per lavoro una persona che lavora all’interno di un organo governativo nazionale. Sono andata su internet per vedere quale competenza rivestisse all’interno del sistema e non c’era assolutamente niente!! nemmeno un post fatto per sbaglio, che so, una linkata del curriculum. Zero.
Siccome la posizione che questa persona riveste si riflette in ambito culturale, mi pare proprio impossibile che non ci sia nemmeno una traccia di lei all’interno della rete.
O questi illustri anonimi, golem di altri illustri, viaggiano a pseudonimi tutto il tempo, oppure non sanno usare internet; il che mi pare doppiamente impossibile.
Questo mi fa dedurre che, chi può, può anche non lasciare orma e predisporre una tabula rasa di eventuali non volute o incidentali presenze sul web.
Al contrario, per esempio, del libero blog di Massimo Maugeri dove, nell’ipotetico evento di uno stato totalitario italiano, metà del blog e dei suoi partecipanti verrebbero messi in catene. Se non altro perchè sono esseri pensanti. Ma le mie stime di espulsione sono basse. Appunto, era un’ipotesi.
Dibattito interessantissimo. Complimenti e grazie! Mi riservo di rispondere alle domande dopo aver letto il materiale, come dice Antonella.
Complimenti e grazie erano rivolti a Massimo per il suo impegno in rete.
Ora mi vado a guardare anche i link degli altri post in tema segnalati all’inizio di questo post.
mi piace l’approccio usato, cioè valutare pro e contro. questo pare particolarmente giusto per internet, che essendo uno strumento dipendenza come viene usato
Vi segnalo questo articolo su Repubblica, è in tema con il post http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/09/19/news/social_network_che_numeri_sempre_pi_utenti_e_guadagni-21913976/
Ciao Massimo. Ormai intervengo su questo blog a spizzichi e bocconi, ma solo per via della mancanza di tempo, non per altro. Però questo post è interessante. E i due libri proposti sono interessanti.
Curioserò tra il materiale che metterai a disposizione qui per pregustare i due volumi in attesa di acquistarli, perché l’argomento, appunto, mi interessa.
Ora mi arrischio a rispondere a qualche domanda.
1. Vi è mai venuto il dubbio di essere affetti da una sorta di dipendenza da Internet?
Credo che sia un problema che non mi riguardi, anche perché non sono un grandissimo fruitore di internet. Per intenderci non sono uno di quelli che si connettono ogni giorno. Non sento l’esigenza di farlo.
2. Conoscete qualcuno che risente di una vera e propria dipendenza dalla rete?
La figlia di una mia amica ha avuto problemi del genere. Ad un certo punto ha preferito non uscire più da casa, nemmeno il sabato sera, per via delle sue frequentazioni on line ( credo su facebook ).
3. A vostro avviso internet può, in un modo o nell’altro, danneggiare il cervello?
Mah, non saprei. In generale direi che stare troppo tempo davanti ad un video bene non faccia. Questo vale per internet ma anche per la Tv.
4. Come comportarsi con i figli che passano troppe ore davanti al computer? È necessario fissare limiti di tempo? Bisogna staccare la spina del pc? È opportuno controllare i siti visitati? E, in definitiva, è meglio lasciare la disponibilità del computer o toglierlo con la forza?
I divieti, gli impedimenti, gli atti di forza non giovano mai con i ragazzi. Questo secondo me.
Credo che la strategia migliore sia di far aumentare loro la consapevolezza dei contro dello strumento. Dei rischi, insomma.
5. Che tipo di interessi nasconde la Rete?
Su questa domanda si potrebbero scrivere saggi, immagino. Gli interessi sono tanti e diversi. Sono positivi e sono negativi.
Come è stato detto, la Rete è uno strumento. Chi lo usa può utilizzarlo per far del bene o per far del male.
6. Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale?
La sta influenzando abbastanza. Molto, anzi. Su questo punto non so cosa pensa Siegel, ma io la vedo in maniera piuttosto positiva. E lo sostengo pur non essendo un grandissimo frequentatore del web.
7. Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line?
Come non lo so. Di sicura è qualcosa che bisogna imparare a fare. Chi volta le spalle alle nuove tecnologie in maniera assoluta è fuori del mondo.
8. Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?
Questa domanda presa dalla scheda di Siegel contiene però un pregiudizio. Dà per scontato che il rapporto con l’high-tech sia una “affollata solitudine”.
Non sempre è così.
Saluti a tutti!
Caro Massi,
il tema ha implicazioni giuridiche recentissime, soprattutto per quanto riguarda la tutela dei minori.
Di recente infatti la Commissione europea ha sollecitato la presentazione di proposte di azioni da finanziare nell’ambito del programma comunitario pluriennale per la protezione dei bambini che usano internet ed altre tecnologie di comunicazione istituito con decisione n. 1351/2008/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.
Ti riporto i vari punti del bando:
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Azione 1 e azione 2: SENSIBILIZZAZIONE DEL PUBBLICO E LOTTA CONTRO I CONTENUTI ILLECITI E I COMPORTAMENTI DANNOSI IN LINEA
Codice: 1.1. RETE INTEGRATA: CENTRI INTERNET PIÙ SICURO
Il programma promuove la costituzione di Centri «Internet più sicuro» in tutta Europa col compito di coordinare le attività e agevolare la collaborazione di un insieme di soggetti interessati allo scopo di garantire l’adozione di misure e facilitare il trasferimento di conoscenze.
Tutti i centri «Internet più sicuro» svolgeranno un’attività di sensibilizzazione rivolta a genitori, assistenti, insegnanti e minori in stretta cooperazione con tutti gli attori direttamente interessati a livello europeo, regionale e locale, affrontando i problemi connessi a contenuti considerati non adatti ai minori di età.
Azione 3: LOTTA CONTRO I CONTENUTI ILLECITI E I COMPORTAMENTI DANNOSI IN LINEA
Codice: 2.5. RETI TEMATICHE: AGEVOLARE LA COLLABORAZIONE TRA LE AUTORITÀ DI POLIZIA E GIUDIZIARIE A LIVELLO EUROPEO E INTERNAZIONALE
Si sollecita la presentazione di proposte per la creazione di una rete tematica destinata a promuovere lo scambio internazionale sistematico e diffuso di buone pratiche tra le autorità di polizia e giudiziarie nell’ambito della lotta alla produzione e distribuzione in linea, in Europa e su scala internazionale, di materiale sugli abusi sessuali perpetrati sui minori.
Codice: 2.6. APPROFONDIMENTO DELL’ANALISI DEL MATERIALE ILLECITO RINVENUTO NELLE RETI PEER-TO-PEER (SCAMBIO DIRETTO DI FILE) DA PARTE DELLE AUTORITÀ DI POLIZIA E GIUDIZIARIE
Si sollecita la presentazione di proposte riguardanti un progetto mirato, che potrebbe aiutare le autorità di polizia e giudiziarie a perfezionare l’analisi di materiale riguardante abusi sessuali perpetrati sui minori attraverso lo sviluppo o il rafforzamento ulteriore di strumenti tecnologici rispondenti alle specifiche esigenze delle forze di polizia, che permettano di individuare e di analizzare in modo più sofisticato il materiale rinvenuto nelle reti peer-to-peer.
Azione 4: CREAZIONE DI UNA BASE DI CONOSCENZE
Codice: 4.1. PROGETTO PER IL POTENZIAMENTO DELLE CONOSCENZE: DIPENDENZA DA INTERNET
Si invita a presentare proposte per un progetto relativo al potenziamento delle conoscenze sulla dipendenza dei minori da Internet.
Codice: 4.2. RETI TEMATICHE: PROMOZIONE E COORDINAMENTO DI UNA RICERCA SULL’USO DEI NUOVI MEDIA DA PARTE DEI MINORI
Si invita a presentare proposte relative a una rete tematica che raggruppi sociologi ed esperti nel campo della sicurezza dei minori online a livello UE allo scopo di promuovere e coordinare la ricerca negli Stati membri sul modo in cui i nuovi media vengono utilizzati, in particolare dai minori.
la dipendenza da internet è una delle nuove malattie. ma come si fa ad accorgersi di soffrirne oppure no? finché si rimane on line non si avverte alcuna forma di “astinenza”.
forse periodicamente dovremmo staccare un po’ tutti per verificare l’eistenza di eventuali forme di astinenza.
per quanto riguarda me, comunque, ho percepito il problema opposto. quello cioè di stare troppo al pc ed in rete per motivi di lavoro, percepire la voglia di staccare, di fuggire, e non poterlo fare.
a volte, in effetti, non dipende da noi la possibilità di dire stop!
per quanto riguarda il libro di Siegel aspetto di leggere la prefazione di De Biase che è un giornalista che stimo e che leggo sulle pegine del Sole 24 ore.
che leggo sulle pagine [non sulle “pegine”]
Il fenomeno Internet è piuttosto nuovo. C’è chi dice che stare troppo davanti al video fa male, che l’uomo non è fatto per stare al pc. Solo che è già la quasi normalità. Siamo connessi, e saremo sempre più connessi con le nuove tecnologie. Sarà così naturale, è così naturale, da sembrare normale.
1- Ogni tanto il dubbio affiora, lo giustifico a me stessa come unico modo per stare in
contatto con persone straordinarie e scambiare cultura e pensiero.
2- So che può accadere, ma tra le mie conoscenze trovo un certo equilibrio.
3- Non credo, anzi penso che apporti nozioni e notizie. È probabile che ci sia un surplus di informazione a scapito dell’approfondimento interdisciplinare. Ma non lo demonizzerei, almeno non per la fascia di interessi culturali e divugativi.
4- Con i figli il discorso cambia: non si può lasciare loro la completa libertà di navigare, ci sono troppe insidie, di questo i genitori devono tener conto e sorvegliare, è bene verificare i siti visitati e, dove è possibile, precludere l’accesso a quelli che si ritengono pericolosi. Pedofilia, distorta valutazione del sesso, superficialità di notizie, sono sempre in agguato. Comunque sarà sempre il dialogo e la capacità di ottenere fiducia dai propri figli a tenerli lontani dai pericoli di un mezzo che rende tutto a portata di… clic.
5- Gli interessi in rete sono infiniti, alcuni sfacciatamente evidenti, altri subdoli, di alcuni si è a conoscenza di altri forse si ignora la portata. Credo che la Rete sia il mezzo più potente mai avuto a disposizione dai governi per avere sotto controllo il pensiero e le tendenze politiche di un popolo. Ma anche mezzo, per quest’ultimo, di contrastarne malefatte e tendenze dittatoriali, se non altro diffondendo ragionevoli dubbi su coesioni poco chiare.
6- Come ogni scoperta e relativo progresso dell’umanità, credo che oggi si possano fare soltanto delle congetture, non sappiamo ancora dove porterà, possiamo intanto constatare che sta trasformando in maniera irreversibile il modo di relazionarsi. Ipotizzo un futuro inquietante per il nostro pensiero attuale, certo completamente diverso (forse ci saranno anche mutazioni cerebrali) cui seguiranno molti cambiamenti comportamentali e sociali.
7- In quattro anni di navigazione ho potuto constatare un maggiore adattamento alla “netiquette”, una consapevolezza dei danni che potrebbero derivare da tensioni e aspettative, ma anche un miglior uso delle piattaforme da cui sono supportati molti blog, fenomeno del tutto nuovo di comunicazione, creativo, assolutamente rivoluzionario in campo tecnologico, scientifico, letterario, ecc…
8-Io sono ottimista, malgrado la tendenza a isolarsi fisicamente, credo che ne scaturirà un mondo in cui si scopriranno molte verità, in termini quantistici, di quella che consideriamo “realtà”. Credo che questi siano i soltanto i primi passi dell’umanità verso la riunificazione del sé, verso la conoscenza del proprio consistere di particelle di luce in vibrazione, di essere progetto-pensiero co-creativo. Abbiamo forse intrapreso il viaggio verso la spiritualità della materia… qui mi fermo, ci sarebbe troppo da aggiungere.
Buona giornata a tutti, a Massimo un abbraccio.
cb
Per me Internet e’ un’ancora di salvataggio. Sul web curo le mie paure, i miei dubbi, la mia solitudine. Senza Internet sarei sola. Completamente sola. Una solitudine solida, reale.
Sono assolutamente dipendente da internet e sono felice di esserlo.
Internet è un fenomeno di trasformazione culturale, ma parliamo di risultati e di quel mix di elementi positivi- negativi che ogni rivoluzione tecnologica inevitabilmente porta con il suo avvento. A questo punto la prima distinzione è fra fisico e virtuale: internet cammina sulla seconda: mi sono trovata in uno stato di disagio interiore quando “fisicamente” davanti a persone che avevo conosciuto in rete, ma questa è soltanto la mia impressione personale, al contrario ho sentito di gente che, grazie ad internet, ha avuto la “concreta” possibilità di relazione e contatto . . .
Sicuramente internet azzera il tempo e lo spazio nella ricerca in genere, se per motivi di studio cerco i quadri di un pittore, in un fiat trovo il museo d’oltreoceano e relative note biografiche, di critica, robba che se dovessi prendere l’aereo e andare in loco, studiare tomi sul soggetto nelle biblioteche, valutando il tutto, passerei gran parte della mia esistenza nel perseguimento di queste mete; ma è altrettanto evidente che la visita “fisica” o la presa diretta di certi capolavori nei musei internazionali è ben altro strumento di conoscenza, come gli splendidi libri letti nella loro interezza ed organicità.
Di qui a scendere. Abito sulla costa orientale siciliana, in una casa un po’ isolata all’interno di un limoneto, nella mia area intellettuale oltre a libri e giornali (che di solito non si leggono in compagnia), ho quotidianamente bisogno di entrare nella sinapsi della rete, in orari ben precisi della giornata, come se il mio cervello fosse stato precedentemente tarato alla convention. Insomma “on line” di percorsi virtuali si possono fare acquisti, ascoltare canzoni, vedere video, trovare lavoro, fare amicizie (anche con personaggi famosi altrimenti irraggiungibili), tutti comodamente seduti a casa propria, persino il divo e la diva non si sentono più soli, omologati nel salotto virtuale del pianeta, l’abbattimento delle barriere è giunto fino a noi, oppure, appare nell’interstizio dell’anima una domanda intelligente, la nuova comunicazione è un mezzo per mettere altre barriere o addirittura aumentare quelle esistenti della non-comunicazione? Tonioni ne spiega le patologie cliniche, Siegel ci trasmette l’idea della regressione fino a uomo della caverna . . .
Conclusione personale, internet è un gran bazar, trovi ciò che vuoi in poco tempo ed anche a poco prezzo, puoi persino proporre la tua merce in uno dei tanti canali per la vendita del proprio prodotto. L’importante è che non rimanga virtuale, immaginario, insomma il social network ha finalità ben precise, le nostre, in questo momento, dovrebbero essere quelle dello scambio . . .ciao Rossella
a proposito, come stai Massimo? e Simona? ciao Simona! molti degli anziani letteratudiani mi auguro ricompaiano nel salotto, Sergio Sozi, Gaetano Subhaga, Maria Lucia, altri, chissà se il cav. Emilio dirà la sua sull’argomento! dalla vostra cara Rossella
Carissimo Massimo, come sempre un tema caldo e interessante. Ai primi tre quesiti insieme:1. Vi è mai venuto il dubbio di essere affetti da una sorta di dipendenza da Internet?
2. Conoscete qualcuno che risente di una vera e propria dipendenza dalla rete?
3. A vostro avviso internet può, in un modo o nell’altro, danneggiare il cervello?
No, personalmente non parlerei di vera dipendenza ma di certo ho attraversato qualche periodo in cui la presenza dell’uso della rete è diventata più insistente, immediatamente ho cercato di riempire il tempo con altri interessi e ristabilire un giusto equilibrio di tempo ed energie .
Sicuramente esiste qualcuno che ha sofferto o soffre di dipendenza da internet, del resto è stata classificata negli Stati Uniti come una vera e propria patologia fra le New Addictions – Nuove Dipendenze- tutte quelle nuove forme di dipendenza in cui non è implicato l’intervento di alcuna sostanza chimica. Come ad esempio anche lo shopping compulsivo,o la dipendenza dal lavoro, è logico quindi che come tutte le dipendenze che distolgono la persona da una relazione sociale con gli altri equilibrata e sana potrebbe danneggiare il cervello- ad esempio per il sovraccarico cognitivo, la grandissima produzione e ricerca di dati disponibile in rete. Anche se gli studi psico-sociali in questo campo sono ancora molto aperti a dibattiti e critiche.
4. Come comportarsi con i figli che passano troppe ore davanti al computer? È necessario fissare limiti di tempo? Bisogna staccare la spina del pc? È opportuno controllare i siti visitati? E, in definitiva, è meglio lasciare la disponibilità del computer o toglierlo con la forza?
Difficile dare una regola di comportamento generalizzata ai genitori, personalmente credo che bisogna valutare caso per caso. Se un ragazzo utilizza la rete per diversi scopi, relazionarsi, studiare, scaricare musica, insomma se è il suo strumento per svolgere più attività non ci vedo nulla di preoccupante, non dimentichiamo che i nostri figli sono nativi digitali, a differenza di quelli che oggi hanno dai 40 ai 50- i genitori possibili- e che hanno vissuto un prima e un dopo internet. Cambiare ciò non è possibile, va accettato, conosciuto e non temuto. Se il rapporto con la rete va ad inficiare quella che dovrebbe essere una vita normale, fatta anche di relazioni vis a vis, di sport, di lettura, di divertimento, allora sì che diventa necessario intervenire. Sta al buon senso e alla capacità di vigilare di ogni genitore, adulto che sia, di verificare che un uso eccessivo e onnipresente di internet non possa danneggiare una personalità in crescita.
Per mia esperienza di madre di ragazzi di 16 e 14, posso dire sinceramente che non ho mai utilizzato le maniere forti, tipo staccare la spina o proibire, pur riconoscendo che talvolta i tempi di dedizione alla rete sono esagerati. Ho cercato di capire meglio le motivazioni, di entrare nel mezzo con loro, senza spiare ma partecipando, entrare nelle dinamiche comunicazionali dei ragazzi- sono amica dei miei figli su FB e degli amici dei miei figli- mantenendo un certa discrezione di comportamento. Sui limiti di tempo direi che sarebbe importante fargli rendere conto del tempo trascorso perché è questo il vero problema ma detto fra noi: anche noi adulti non ne siamo immuni! Darsi una regola non è facile, insegniamo questo, a mettere una sveglia accanto al pc, a fare un programma per la giornata e a stimo0larli a riempire anche con altro, come dicevo più sopra.
Per le domande da 5 in poi risponderò più tardi, hanno implicazioni profonde, meglio a stomaco pieno! 😉
Rossella, eccomi!
Pant…
Tanto per stare in argomento, vi scrivo dal pc della scuola (sono libera, tranquilli, non ci sono pargoli in pericolo! :-)).
A volte, quando mi appassiono alla navigazione o alla ricerca, mi sembra di essere Internet addicted, ma riesco a stare lontana dal pc anche per giorni o settimane.
Il problema è quando si VIVE in rete. Come se fossimo dei Sims in carne ossa e bit.
La parola chiave è misura. Est modus in rebus, dicevano gli antichi. Il nostro equilibrio dipende dalle dosi di reale e virtuale che ingurgitiamo.
Sono capitati casi di alunni stralunati sui banchi perché trascorrevano la notte divisi tra Facebook e Msn… l’importante è vigilare ed eventualmente disintossicare, far comprendere ai ragazzi che la vita in Rete non è da demonizzare, ma che quella reale conta di più.
Approfitto per salutare Maria Lucia ma anche per chiedere se ci sono mamme di adolescenti in ascolto e se la pensano diversamente da me, insomma mi piacerebbe sapere come vivono le altre mamme questo triangolo genitore-figlio-rete.
Non dimentichiamo che internet è anche una grossa opportunità per persone con handicap fisici di poter comunicare con l’esterno, fermo restando la necessità, qualora fosse possibile, di un contatto umano.Penso anche a comunità di anziani che potrebbero usare la rete per sentirsi più partecipi e attivi, perché no, meno soli.
un caro saluto
Avrei una domanda per Federico Tonioni.
Secondo lei il rischio di dipendenza da internet e’ più forte nei ragazzi o nelle ragazze? Esiste cioè una discriminante di genere per questo tipo di disturbo?
Dibattito interessantissimo. Oggi proverò ad acquistare entrambi i libri proposti.
Ciao
Vorrei approfittarne anch’io per porre una domanda al prof. Tonioni. Una depressione in corso può essere causa scatenante della dipendenza da internet? In generale, il depresso rischia di più?
Raccolgo l’invito di Massimo e provo a fornire le mie risposte alle domande.
.
1. Vi è mai venuto il dubbio di essere affetti da una sorta di dipendenza da Internet?
Non particolarmente, anche perché mi capita di trascorrere diversi giorni senza connettermi e non accuso nessun tipo di ansia o di disturbi del genere.
2. Conoscete qualcuno che risente di una vera e propria dipendenza dalla rete?
Non personalmente, ma questo è un problema di cui si sente parlare e che dunque è avvertito nella società.
3. A vostro avviso internet può, in un modo o nell’altro, danneggiare il cervello?
Non lo. La parola danneggiare mi sembra eccessiva. Credo che possa essere più dannifico parlare molto al cellulare.
4. Come comportarsi con i figli che passano troppe ore davanti al computer? È necessario fissare limiti di tempo? Bisogna staccare la spina del pc? È opportuno controllare i siti visitati? E, in definitiva, è meglio lasciare la disponibilità del computer o toglierlo con la forza?
Sono d’accordo con chi ha sostenuto che usare le classiche maniere forti non serve. Siamo più o meno tutti interconnessi, si tratta semmai di far capire che gli eccessi (come ogni eccesso) sono da evitare.
Forse da questo punto di vista anche la scuola, oltre che le famiglie, potrebbe esercitare una funzione importante.
5. Che tipo di interessi nasconde la Rete?
Credo che la Rete nasconda gli stessi tipi di interesse che nasconde il mondo. Nè di più né di meno.
6. Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale?
Credo che le stia influenzando un po’ al di sopra delle aspettative. Solo che controllare la Rete è un po’ più complicato che controllare la Televisione. Non so se rendo l’idea.
7. Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line?
Noto una maggiore consapevolezza rispetto a qualche anno fa. Segno che in un modo o nell’altro si impara…
8. Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?
Dipende. E’ soggettivo. Ognuno reagisce in maniera diversa. Secondo me è sbagliato generalizzare.
–
Saluti a tutti ed a tutte.
Salve,
è la prima volta che intervengo in questo blog nonostante sia da un pò di tempo ormai che seguo i post. E’ che l’argomento mi interessa molto, c’ho scritto pure un piccolo articolo:
http://stroszek85.altervista.org/articoli-pseudosaggi-pamphlet/il-popolo-di-internet-il-popolo-alienato-il-popolo-degli-illusi/
(metto il link perchè non ho voglia di riscrivere cose che ho già scritto da un’altra parte)
Credo il libro di Siegel non tarderà a comparire sulla mia libreria (ringrazio per la “dritta” :))
Molte comunità di suore di clausura utilizzano Internet per promuovere i prodotti del convento e per fare assistenza spirituale.
Veramente ogni barriera sembra annullata…
Internet può molto per le disabilità.
Non è il vino che ubriaca, ricordiamocelo.
Alla fin fine siamo sempre noi, sia che si tratti di incidere una lastra di marmo che di pittare miniature che di ticchettare sui tasti.
Però leggevo che la nostra memoria sta cambiando: lo sostengono dei neurologi. Dato che ormai sappiamo che Internet è la memoria del mondo, non memorizziamo più dei dati che pensiamo di poter trovare smanettando. Anche il funzionamento del nostro cervello quindi cambia.
Cari amici, grazie mille a tutti per l’interesse mostrato per questa mia proposta di discussione e per i numerosi commenti pervenuti.
Ne approfitto per salutare e ringraziare Maria Giovanna Luini, Antonella Beccari, Leo, Anna, Mauro F.
E grazie mille anche a: Marco Vinci, Simona Lo Iacono (ciao, socia!), Annamaria, Giovanni, Cristina Bove…
Cari saluti e ringraziamenti anche a SIlvia, Rossella Grasso, Francesca Giulia Marone, Maria Lucia Riccioli, Renato, Arianna Vega, Roberta Genovese, Amelia Corsi, stroszek85…
Insomma, grazie mille a tutti per la partecipazione.
Spero che Federico Tonioni abbia la possibilità di rispondere alle domande pervenute.
Intanto, com promesso, inserisco la prefazione di Luca De Biase del volume “Homo Interneticus. Restare umani nell’era dell’ossessione” di Lee Siegel .
Potete leggerla di seguito…
HOMO INTERNETICUS Prefazione di Luca De Biase (parte prima)
–
Il caso di Amina Araff ha fatto il giro del mondo. Il suo nome era diventato famoso grazie al blog A Gay Girl in Damascus.
Per anni aveva raccontato la vita quotidiana di una ragazza che non era accettata dalla cultura siriana. Ma la notorietà di Amina è esplosa quando si era sparsa la notizia del suo arresto.
Ne ha parlato mezzo mondo, nel contesto della grande sollevazione anti-autoritaria che attraversava il Medio Oriente. La storia, commovente, ha spinto molte persone all’azione per tentare di salvarla. Ma la notizia più stupefacente doveva ancora arrivare. Un blogger, Andy Carvin, è stato il primo a sospettare
qualcosa. Il «Washington Post» ha fatto un’inchiesta. E ha scoperto che Amina, semplicemente, non esisteva: la ragazza e il suo blog erano frutto della fantasia di Tom MacMaster, un militante pacifista che conosce l’arabo e ha viaggiato molto in Medio Oriente.
Sulla scorta di quell’episodio, il «Washington Post» ha scoperto che una donna si era innamorata di Amina e aveva intrattenuto una relazione online con lei, al punto che avrebbe dovuto incontrarla in Italia nel luglio del 2011. Sakira Hussein, che insegna all’Asia Institute della University of Melbourne, ha
aggiunto un particolare, sul suo blog: Paula Brookes che dirige il sito Lez Get Real e che, senza conoscere ovviamente Amina, aveva contribuito a renderla famosa, si chiama in realtà Bill, un operaio edile di 58 anni.
L’autore del libro che avete per le mani, Lee Siegel, mentre andiamo in stampa, non ha commentato la vicenda. O almeno non se ne trova traccia su internet. Eppure il tema che ha scelto di trattare nel suo libro è molto affine a questi episodi. Forse ha taciuto per non rinfocolare una vecchia storia che lo coinvolge.
Lee Siegel, in effetti, non è uno che si tiri indietro dalle polemiche. Anche se qualche volta si batte letterariamente, anche lui, nascondendo la sua vera identità. È stato colto in fallo quando si è difeso da anonimi critici del suo blog pubblicando un commento firmato con il nome italiano “sprezzatura” nel
quale si autoelogiava in termini piuttosto entusiastici. Ma la sua vera identità fu scoperta. E questo gli costò una sospensione di circa otto mesi del suo lavoro a «The New Republic». Si tratta di un avvenimento del 2006 ma evidentemente gli pesa ancora visto che ne parla anche in “Against the machine”, il libro qui tradotto, ma pubblicato in versione originale nel 2008: sostiene che si era trattato anche di un modo per dimostrare che non ci si può fidare del sistema dei blog quando si discute di questioni serie. Non tutti hanno dato molto peso a questa sua autodifesa. Ma è un fatto che le storie false, come le storie vere, abbondano in rete.
HOMO INTERNETICUS Prefazione di Luca De Biase (parte seconda)
–
Già. Tutta la questione sollevata da Siegel ruota intorno alle conseguenze sull’esperienza umana della crisi dell’autenticità e della qualità analogica della cultura, che l’autore collega alla diffusione degli strumenti digitali nella vita quotidiana. La sua argomentazione è leggera, polemica, divertente. E forse
colorata più dallo spirito polemico che dall’attenzione alla ricostruzione storica. Ma indubbiamente il suo tema è importante.
Il rapporto tra l’uomo e la macchina resta, per molti, irrisolto dai tempi di Frankenstein. Oggi però la tecnologia è riuscita a darsi un volto che fa meno paura, nonostante gli intellettuali sensibili come Siegel non cessino di esserne turbati.
I fatti, bisogna dirlo, continuano a porre problemi. Come nel caso di Suzette.
Suzette ha vinto il Loebner Prize 2010. Dialogando con lei, uno dei giudici ha davvero pensato di trovarsi di fronte a un essere umano. Invece era un computer progettato da Bruce Wilcox.
Nel 2009, il premio per la “macchina più umana” era stato vinto da David Levy, famoso tra l’altro per una bizzarra polemica con la psicologa Sherry Turkle: Levy disse che in futuro gli umani si innamoreranno dei robot; Turkle si oppose sostenendo che resterà sempre qualcosa di non autentico nell’amore tra esseri umani e macchine. Forse avevano ragione entrambi.
Perché il confine tra naturale e artificiale è sempre meno chiaro.
E di certo, per gli umani, è culturale. Per Kevin Kelly, grande saggio del mondo digitale, la logica della tecnologia si impone alla storia degli umani come se avesse una sua volontà. E per un magnifico economista come Brian Arthur, autore de “La natura della tecnologia”, la dinamica dello sviluppo tecnologico è molto simile all’evoluzione della vita: il problema è distinguere tra la tecnologia che libera le capacità dell’umanità e quella che la limita. È una preoccupazione di Lee Siegel: la macchina per
Siegel sta prendendo il controllo delle persone e ne avvelena i pensieri. Lo sospetta il sociologo Zigmunt Bauman che osserva come il telefonino abbia la capacità di imporsi all’attenzione delle persone tanto da distrarle persino da una conversazione tra amici e parenti riuniti fisicamente a tavola, in nome di relazioni a distanza mediate dalla macchina.
Gli umani hanno di sicuro l’impressione di poter mantenere la situazione sotto controllo. In fondo, sono loro a costruire le macchine: il che è vero. Ma come non vedere che quando le macchine sono costruite la loro logica funzionale si fa valere?
Le macchine che gestiscono i mercati finanziari sembrano ben poco controllabili da parte dei singoli operatori umani. Porsi il problema è forse necessario per difendere o rafforzare la dimensione umana.
Il premio Loebner, del resto, si basa sul test di Turing, studiato per rispondere a una domanda cruciale: «I computer pensano?». Nel test, il giudice conversa, attraverso un video e una tastiera, con un umano e con un computer che tentano, entrambi, di mostrarsi umani. Se il computer riesce a convincere il giudice di essere umano, secondo l’ideatore, è possibile ipotizzare che sia in grado di pensare. Ma è altrettanto istruttivo osservare che, nel test, un umano può anche essere scambiato per un computer: tanto che la persona che convince più giudici di essere umano vince a sua volta il premio di “umano più umano”. Brian Christian, poeta di 27 anni, ha vinto quel premio: e ha appena pubblicato un libro su quell’esperienza.
Per prepararsi al test, Christian chiese consiglio ai maggiori esperti su come comportarsi per apparire umano. Gli risposero: «Sii te stesso». Christian si chiese come fare. Si accorse che gli scienziati hanno a disposizione molti manuali che spiegano come programmare le macchine per farle sembrare umane,
ma non esiste un manuale che insegni agli umani come apparire umani.
Forse un aiuto viene dal “Libro bianco sull’innovazione sociale”, curato in Italia da Alex Giordano e Adam Arvidsson (www.societing.org). Il segreto è porsi un problema giusto. Perché l’innovazione che conta non è una qualunque novità: è una novità che libera ed espande le possibilità degli umani di imparare a essere se stessi. Questo è forse il tema più sottile e importante.
HOMO INTERNETICUS Prefazione di Luca De Biase (parte terza)
–
Siegel, però, non si offre a un’argomentazione articolata. È concentrato sulla denuncia di un atteggiamento a suo parere troppo unilaterale diffuso tra i sostenitori della rivoluzione internettiana.
Il suo contributo è prima di tutto un sintomo: forse siamo giunti a un’epoca in cui la società ha bisogno di vedere internet con più distacco per poterne comprendere meglio le implicazioni concrete e per digerire culturalmente la grande novità portata da internet nel mondo degli ultimi quindici anni.
La critica di Siegel spazia in ogni angolo del rapporto tra la fatica analogica di apprendere o informarsi e la comodità ambiguamente superficiale dello scambio di conoscenze nel contesto digitale. Si sente che Siegel è soprattutto condotto da una questione di gusto culturale: vale di più un pensiero autenticamente
umano di quanto non valga il gesto automatico di compiere una ricerca su Google. Certo, niente di dovrebbe condurre a credere che la tecnologia non possa essere ricondotta a una condizione culturale più profonda di quella che appare a Siegel. Ma la sua reazione – viscerale, estetica, razionalistica – alla rete in fondo è il sintomo di un disorientamento generalizzato che una certa parte della società che riflette prova di fronte a un fenomeno composto da una quantità di novità davvero difficile da seguire e sintetizzare.
La reazione disorientata o disgustata può essere comprensibile se ci si concentra sulla vasta presenza in rete di pessimi sentimenti, manifestazioni di odio e dichiarazioni false, come del resto segnalano in molti anche al seguito di importanti intellettuali come Umberto Eco. Ma in effetti sarebbe piuttosto
assurdo non controbattere sottolineando come la rete non abbia solo aperto la strada ai vandali della cultura: ha aperto per grandi quantità di persone la strada per consultare i paper scientifici, le versioni digitali dei principali organi di stampa, i documenti ufficiali, i libri classici, le informazioni della pubblica amministrazione; ha consentito a milioni di persone impegnate, generose e competenti, di offrire alla rete il loro contributo alla conoscenza comune. Ha attivato una dinamica innovativa che sta cambiando intere industrie basate sulla conoscenza. Fare vedere solo una parte della realtà è sempre
– sempre! – sbagliato. Quindi vale la pena di notare che qua e là – quasi sottovoce, peraltro – anche Siegel ammette la qualità costruttiva delle possibilità offerte dalla rete.
Ma la sua critica si concentra sugli esempi relativamente peggiori che lo aiutano a sottolineare retoricamente le incoerenze contenute nelle frasi più entusiastiche dei sostenitori della rete. Quasi sempre estratte dal contesto. Perché?
HOMO INTERNETICUS Prefazione di Luca De Biase (parte quarta)
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Forse il centro della questione è che Siegel si scandalizza troppo della volgarità per poter riuscire ad ammettere allo stesso tavolo gli intellettuali più sofisticati e i falsari più banali. Il suo gioco retorico è quello di considerare internet e tutti i suoi contenuti come un unicum: con questo approccio riesce ad
abbassare il giudizio sull’insieme. Varrebbe la pena di osservare che internet non è un unico medium che si possa giudicare nella sua interezza, ma un universo popolato dalle azioni e dai pensieri di alcuni miliardi di persone, considerando gli accessi fissi e mobili. Di conseguenza non può che esserci molto di
tutto. Ma il punto di Siegel è utile ad aiutare una società intenta, appunto, a digerire la grande trasformazione contemporanea: non ci si può più fermare a trovare qualcosa su internet, occorre imparare a distinguere. Howard Rheingold, uno dei pionieri intellettuali della rete, ha lanciato recentemente un suo semplice servizio intitolato “crap detection” proprio per aiutare la gente a separare le informazioni qualitativamente valide che si trovano in rete da quelle che non vale la pena di prendere in considerazione. Ma quell’idea ha una storia partita certamente prima della rete: Ernest Hemingway scriveva nel 1954 che ogni persona dovrebbe dotata di un crap detector, cioè di un rilevatore automatico di sciocchezze. Il social network digitale non è molto diverso, da questo punto di vista, dalla rete sociale analogica. C’è di tutto. E a ciascuno spetta imparare a fare i conti con questa realtà. È vero che in rete c’è il peggio. Ma c’è anche il meglio. Mentre in altri mezzi di comunicazione c’è molto meno da scegliere. Significa che aumentano le responsabilità di chi se le vuole assumere: gli intellettuali, i leader, lo stesso pubblico. Che non è più un gregge. Un pubblico fatto di persone che possono davvero decidere se prendere la strada della libertà di pensiero oppure giocare con il peggio di sé.
Ma a questo proposito c’è una discussione – ripresa da Siegel – che vale la pena di chiosare. Quella che a partire dalla facilità di accesso ai contenuti per tutti dichiara che la rete è di per sé democratica e capace di generare democrazia. Siegel semplicemente si arrabbia con questa idea, giudicandola superficiale e incoerente. Altri la discutono attingendo alla loro stessa biografia.
Il giovane attivista bielorusso, Evgeny Morozov credeva nelle opportunità offerte da internet per la democrazia e combatteva la sua battaglia ideale sostenendo blog e social network come strumenti di miglioramento della libertà di espressione. Ma si accorse presto che i governi autoritari possono rispondere non solo introducendo varie tecnologie di censura, cui gli attivisti tentano di rispondere con software che difendono la libertà di comunicazione, ma anche usando la stessa internet per fare propaganda, per disturbare i blogger con interventi diffamatori, aggressivi e fuori contesto, per individuare i dissidenti e per connettere ogni dissidente scoperto alla sua rete sociale e ai suoi referenti internazionali.
Per questa esperienza, Morozov è stato tentato di abbandonare la sua lotta per la democrazia. Poi ha trovato un’idea migliore. Ha scritto un libro che serve piuttosto ad abbandonare il cyber-utopismo e l’internet-centrismo. Per trovare la strada giusta che conduce a usare internet come uno strumento e
non un fine. E quella strada parte dalla consapevolezza che ogni azione in favore della democrazia nei paesi autoritari parte dalla conoscenza del contesto e delle esigenze specifiche della popolazione locale.
Il libro di Morozov, “Net delusion”, è un libro d’amore per la democrazia che non dimentica le ragioni della storia e della geo-politica. Solo gli illusi possono essere delusi. E solo chi è davvero interessato al risultato di alimentare e diffondere la democrazia può comprendere come superare la delusione e ripartire con ancora maggiore energia.
HOMO INTERNETICUS Prefazione di Luca De Biase (parte quinta)
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Il fatto è che il cyber-utopismo, come del resto l’ideologia internet-centrica, sono sistemi di pensiero densi di motivazioni costruttive, ma se presi alla lettera si rivelano illusori come ogni semplificazione idealista. E sono stati usati come leva della straordinaria diffusione di internet nei primi tempi dell’esplosione del suo utilizzo in Occidente.
Come ho cercato di scrivere in “Edeologia, Critica del fondamentalismo digitale” (2003), l’approccio ideologico si presta a ogni strumentalizzazione da parte dei poteri politici ed economici. Ma ha avuto una motivazione forte nei suoi primi tempi. Proprio per le caratteristiche del settore cui si riferiva.
Una tecnologia di rete non ha alcun valore fino a che non è usata da nessuno. Proprio per il fatto che serve a connettere, se nessuno la usa, nessuno trova alcun interesse a usarla. E dunque che cosa può spingere qualcuno a usare una tecnologia che non ha alcun valore? Ci vuole un motivo che convinca
molte persone ad adottare quella tecnologia simultaneamente.
Questo coordinamento può derivare da un ordine dall’alto, come in un’azienda, oppure da un pensiero comune che si diffonde e convince. Un’ideologia può servire a questo scopo.
Un’ideologia generosa, gentile, coraggiosa come il cyber-utopismo ha trovato molti sostenitori. Una teoria pragmaticamente tecnica come l’internet-centrismo ha dato ai tecnici un potere culturale che non avevano mai avuto e trascinato altri pseudo-tecnici a sostenerla. Questo ha effettivamente contribuito
alla diffusione di internet.
Le conseguenze non sono mancate. Da un lato, una volta che le persone connesse sono state sufficientemente numerose, il valore di internet si è effettivamente dimostrato anche nella concretezza dell’esperienza quotidiana. Dall’altro lato, sono restate dinamiche ideologiche particolarmente importanti che sono state strumentalizzate.
La prima manifestazione della pericolosa strumentalizzazione di queste dinamiche si è avuta nel corso della bolla del 1998-2000: l’ideologia internet-centrica, tradotta in termini aziendali, ha convinto milioni di risparmiatori dell’idea che la sola esistenza di internet in un progetto di business lo avrebbe portato
velocemente al successo di mercato; questo ha accompagnato l’azione speculativa condotta dalle grandi banche d’affari e dal resto dell’ecosistema finanziario e mediatico, sostenendone almeno in parte la capacità di attrazione. La bolla ha distrutto risparmi, aziende e posti di lavoro. Ma ha a sua volta accelerato la notorietà della rete e la diffusione delle connessioni.
Dopo lo scoppio della bolla, gli investimenti in internet si sono per qualche anno bloccati, ma milioni di persone hanno continuato a riconoscere nella rete un valore d’uso immenso e il numero degli utenti non ha cessato di moltiplicarsi. L’ideologia aveva dato il suo contributo, la speculazione lo aveva strumentalizzato, le persone restavano forse deluse dalla finanza e dall’ideologia, ma in generale valutavano positivamente la connessione e il suo valore.
L’ideologia non è certo scomparsa. E i rischi connessi neppure.
Morozov vede la tentazione di ripercorrere questa storia nei paesi non occidentali, dove la democrazia e il mercato non esistono o sono molto diversi: meglio tener presente il dato costruttivo di un’ideologia, ma anche il pericolo di una delusione.
HOMO INTERNETICUS Prefazione di Luca De Biase (parte sesta)
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Forse, sia in Occidente che altrove, si sta avviando un’evoluzione dell’interpretazione di internet in chiave non ideologica ma storica e attenta ai diversi contesti sociali e politici.
L’ideologia non sparisce, ma si diluisce in molti altri percorsi interpretativi.
Sta dunque finendo l’epoca in cui una visione ideologica della trasformazione sociale ed economica attivata dalla rete poteva essere scusabile. Siegel lo testimonia. Oggi un approccio ideologico all’interpretazione della rete ha una funzione storica molto meno rilevante di una visione critica e, se possibile, costruttiva. La visione critica non manca a Siegel che oppone all’ideologia dei sostenitori della rete un pregiudizio detrattore.
E non spende tempo e attenzione per avviare almeno un discorso costruttivo. Ma non si può chiedere troppo a Siegel.
Il suo compito è scrivere magnificamente di idee e osservazioni che non perde troppo tempo a controllare. Come si è visto, l’autocritica non è il suo forte.
Il contributo di Siegel è implicito e va letto nel contesto del dibattito più ampio in materia. Se in generale è assurdo pensare che la sola diffusione di internet possa avere effetti ben precisi – e ideologicamente positivi – sull’economia o sulla politica, non si può neppure dare per scontato che la tecnologia sia totalmente neutrale e non abbia conseguenze di per sé.
Nei diversi contesti storici, nelle diverse condizioni sociali, nei vari momenti dell’economia e nelle più differenti condizioni della politica, così come di fronte alle diversificate caratterizzazioni psicologiche e cognitive, la tecnologia non può essere interpretata come un generatore automatico di conseguenze
ingegneristicamente prevedibili, ma forse non è neppure un asettico strumento il cui unico effetto è quello che gli conferisce lo scopo e la capacità di chi lo usa. La domanda, troppo generale ma appassionante, è questa: quali sono le conseguenze di internet?
La risposta dipende dal contesto storico. Tanto per fare un esempio: in un paese totalmente dominato dalla televisione vissuta in solitudine dal proprio divano, internet è uno strumento e uno stimolo a recuperare relazioni; in un paese nel quale ci si incontra continuamente nei luoghi fisici della socializzazione, internet è una barriera alle relazioni. In un paese intrinsecamente democratico è uno strumento che arricchisce il dibattito, in un paese autoritario è ambiguamente utile sia ai dissidenti che agli addetti alla repressione. In un contesto povero di ogni mezzo può darsi che internet acceleri, per esempio, il commercio, ma in un contesto avanzato accelera tutto, compresa la ricerca e la generazione di nuova conoscenza. Non si può dire che sia uno strumento che favorisca l’eguaglianza, né che sia un automatico generatore di libertà, o di qualità delle relazioni: dipende dal contesto. Ma ha conseguenze tutte sue? Valide ovunque?
Di certo, è un intermediario tecnico tra le persone. In questo senso può essere interpretato come un elemento che cambia le condizioni delle relazioni: per lo psicologo Enrico Pozzi questo significa che favorisce la proiezione dei propri fantasmi sulla relazione con gli altri, per Sherry Turkle è una sfida all’autenticità delle relazioni, per BJ Fogg è un medium persuasivo e chi lo sa usare può indurre comportamenti precisi gli utenti.
Per molti favorisce le relazioni autoreferenziali dal punto di vista culturale e sociale: ne parla persino il fondatore del web, Tim Berners-Lee. Ma tutto questo può anche essere digerito dall’evoluzione culturale.
Può essere considerato lo strumento di un’accelerazione del coordinamento tra le persone e i loro cervelli, come un elemento in più dell’intelligenza collettiva, come direbbe Thomas Malone, dell’Mit. Può essere anche uno strumento che accelera l’efficienza del mercato, come ha sostenuto Bill Gates,
cofondatore della Microsoft. E di certo alimenta la quantità di informazione che circola. L’autore Nicholas Carr sospetta che ci renda stupidi, perché disabitua il cervello a pensare in modo ordinato e lineare. John Brockman, grande animatore di Edge, uno dei più importanti centri di elaborazione culturale della rete, ha lanciato la sua domanda su come la rete stia cambiando il modo in cui pensiamo: ha raccolto centinaia di riflessioni. Una sintesi? Difficile, ma di certo si può dire che gli effetti dell’internet sul cervello, la cultura, l’educazione non possono che essere diversi nei diversi contesti, presenti e futuri.
E un approccio di ricerca senza pregiudizi, in materia, è il più adatto alla realtà storica dei fatti.
Alla fine, la risposta è pragmatica: se c’è qualcosa di specifico nella rete è la sua capacità di indurre un atteggiamento attivo nei confronti dei problemi e delle soluzioni. Chi vede un progetto o un prodotto o un servizio, con il software e la rete lo può realizzare. Non è detto che abbia successo, ci mancherebbe. Ma ha meno inibizioni e vincoli che con altre tecnologie e in altre condizioni. E questo la rete lo dichiara nella sua essenza costitutiva. È come se la rete dicesse a tutti coloro che imparano a conoscerla: «Vedi un problema? Proponi la soluzione». Non siamo più solo consumatori di rete, ma costruttori di rete. E questo cambia le cose.
Buona serata e buona lettura a tutti.
Domani sera inserirò l’introduzione del libro di Siegel firmata dallo stesso autore.
Ringrazio Massimo Maugeri per l’ospitalità e tutti i partecipanti al forum per l’interessa mostrato.
Rispondo alle domande.
Renato chiede: “Secondo lei il rischio di dipendenza da internet e’ più forte nei ragazzi o nelle ragazze? Esiste cioè una discriminante di genere per questo tipo di disturbo?”
La mia personale esperienza clinica evidenzia una netta maggioranza di pazienti maschi. Come per altre dipendenze patologiche però non credo esista una discriminante di genere ma piuttosto una minore consapevolezza dovuta a mio parere al rapporto più fisiologico che lega la mente femminile ai vissuti di dipendenza. Approfitto per ricordare che la dipendenza non è sinonimo di malattia. Esistono dipendenze sane, che attestano la nostra capacità di creare e vivere legami e dipendenze patologiche, che inducono comportamenti compulsivi.
Roberta Genovese chiede: “Una depressione in corso può essere causa scatenante della dipendenza da internet? In generale, il depresso rischia di più?”
Dipende dalle circostanze. A volte una persona molto depressa realizza attraverso chat e social network l’unica relazione possibile e questo rende le relazioni web-mediate quasi una forma iniziale di riabilitazione. Ovviamente questo è vero se il fine ultimo è la ripresa delle relazioni “dal vivo”. Altre volte uno stato depressivo può rappresentare l’esito finale di un percorso progressivo di ritiro sociale, alla base del quale possono esserci disarmonie presistenti. La Rete in questo caso rischia di diventare un tentativo di soluzione destinato a peggiorare le cose, esattamente come succede con l’uso di sostanze. Mai generalizzare, piuttosto inquadrare le persone nella propria storia personale e rispettare i loro tempi di cambiamento. Ogni forma di dipendenza quando si configura come patologica, è sempre un tentativo di soluzione rispetto ad angosce più profonde. Chiunque si occupa di dipendenze patologiche non dovrebbe dimenticarlo.
Saluto tutti e rimango a vostra disposizione per altre eventuali domande.
Ringrazio il dr. Tonioni per la cortese risposta. Sono molto interessato dal suo libro, che comprerò domani. Ancora grazie.
per il momento ho letto solo le belle risposte qui sopra di Tonioni e l’ottima prefazione di De Biase.
domani rileggo tutto dall’inizio, commenti compresi e dico la mai.
dimenticavo, per quanto banale: complimenti per il post attuale e stimolante.
ciao
Grazie dr. Tonioni per le sue risposte, soprattutto la distinzione fra dipendenze sane e patologiche. A tal proposito mi sono venute in mente le parole di una psicologa, la dipendenza non è mai univoca, esiste sempre un interdipendenza fra gli elementi, come a dire che l’uno non può fare a meno dell’altro sia in termini individuali che collettivi . . . insomma la sinapsi della rete rientra forse in quel mega sistema che controlla l’uomo-massa e che crea desideri ancor prima di prodotti reali?
Molto bella la prefazione di De Biasi. Sono d’accordo con quanto lui sostiene
Domanda 2 e 4: dipendenza rete / come comportarsi con i figli (a poco a poco arrivo a tutto). Letto: tutta l’introduzione di Massimo e quella di Federico Antonioni, non letta ancora la prefazione di Luca De Biase.
*
Sul rapporto eventualmente conflittuale tra figli-genitori – e nell’ambito informatico – personalmente ho risolto la cosa partendo dallo stesso sacro presupposto che avevo utilizzato in altri settori dell’educazione; e cioè che i figli, in primis, sono individui in potenzialità, e come tali vanno trattati. Ne consegue che il tipo di educazione utilizzato e che continuo a utilizzare non sia volontà di disciplina, ma proporre strumenti per autodisciplina.
Per esempio, quando andava alle scuole inferiori gli insegnanti si lamentavano che non avesse un metodo di studio (gli insegnanti si lamentano sempre della mancanza di metodo di studio), e però mi accorgevo che, nei fatti, a questa lamentela non seguiva la minima capacità del corpo insegnante di proporre un metodo di studio allo studente, nella maggioranza dei casi. Cioè, l’insegnante si limitava a denunciare il fatto invitando lo studente a cambiare ma senza essere minimamente in grado di proporre un’alternativa che cambiasse le cose. Perchè, in realtà, nemmeno l’insegnante aveva un metodo di studio valido da proporre. Ripeteva quello che le avevano detto fin dalla più tenera età, ma non sapeva sostituire a questo “assunto” una gestione empirica che lo invalidasse.
Per ovviare a questo fatto che creava molte perplessità al piccolo il quale, da essere intelligente, capiva l’assunto dell’insegnante ma, allo stesso tempo, mi chiedeva come cambiare perchè a scuola non glielo dicevano, ho cominciato in prima persona a imparare sistemi di apprendimento avanzati prima che si instaurasse un complesso, una “tara”, che non aveva motivo di esistere. Ma era invece una bolla creata da un processo inveterato di ignoranza.
Una volta appresi gli strumenti glieli ho passati, con semplicità. Non gli ho detto “To’, prendi questi libri e studiateli. Così imparerai un metodo!”. Prima gli strumenti li ho provati su di me. E funzionavano. Anche perchè, nel frattempo, il processo a circuito chiuso sulla mancanza di metodo di studio, gli stava creando arretrati di competenze. Che dovevano essere colmate in fretta, prima che si iniziassero a creare dannose forme di disistima e potenzialità bruciate sul nascere.
Partendo dal presupposto – non mi sto allontando dal tema – che un figlio prima di tutto è un essere umano e dopo un figlio, non mi sono mai sognata di dire a mio figlio che detenevo le chiavi di ogni sapienza e quando non ho saputo rispondere ho detto “Non lo so”, invitandolo a trovare insieme la soluzione.
Premesso che non gli ho mai proibito di utilizzare consolle di gioco e premesso che non gli ho mai fornito orari di gioco (gli “orari di fabbrica o di ufficio” vanno bene (?) solamente se si adotta il sistema della disciplina) non mi sono mai trovata a dovergli proibire di utilizzarle. Anche perchè già in età precoce era successo un fatto che racconto brevemente e che spiegherà in quale contesto informatico viviamo.
In seguito a una marachella (era molto piccolo), quel giorno avevo deciso per la prima volta di dargli un castigo, e cioè l’avevo confinato nella sua stanza per tutto il pomeriggio con l’obbligo di non scendere per alcun motivo al piano di sotto dove stavo io. Finito il castigo e avuto il permesso di scendere, mi disse sorridendo “Mamma, questo castigo mi è piaciuto molto. Quando me ne dai un altro?”
Gli ho risposto che non gli avrei mai più dato un castigo “Il tuo castigo sarà che non avrai più castigo!” E così fu. E’ cresciuto senza “castighi”.
Quando si è trovato a dover mangiarsi le mani per un’omissione o uno sbaglio, gli ho sempre chiesto come pensava di risolvere la cosa. Questo non significa che lo si debba abbandonare a se stesso. Anzi, l’autodisciplina comporta un maggior lavoro per il genitore perchè il genitore deve continuamente informarsi, sperimentare lui stesso, dialogare e coinvolgere, rimettersi a imparare. Collaborare.
A sua volta questo comporta che anche il figlio debba fare tutto questo. E comporta anche che, ogni tanto, il figlio debba fare il genitore e il genitore il figlio. E qui finalmente sono arrivata al dunque.
Il giorno in cui mi sono trovata a dover utilizzare un computer – computer che lui aveva già utilizzato in altre sedi, e con il naturale esito che avviene in questa generazione dove i bottoni e le tastiere sono un normale strumento di interazione anche di gruppo (vedi doppie triple consolle per giochi di ruolo, che tra l’altro sono quelli che preferisco 🙂 – non ho avuto problemi a scendere dal piedestallo del genitore per imparare. E lui mi ha aiutato.
In seguito le competenze informatiche di entrambi si sono diversificate per diversità di interessi e ora, quando occorre, lui chiede a me e io chiedo a lui, a seconda delle necessità.
Il problema del ragazzo attaccato in modo compulsivo alla tastiera presuppone un vuoto a monte. Di amore, di educazione, di ignoranza dell’adulto che in forza del suo essere adulto ignora che si possa imparare dal piccolo. Proibire o avere un qualsiasi giudizio di sorta sul tema tastiera nei confronti di un ragazzetto che è perfettamente consapevole dell’ignoranza generazionale dell’adulto (40/50 anni mi sembra abbia detto Federico Antonioni), gli provoca un sorriso di malizioso compatimento. E poi, ai noiosi nessuno dà retta, come a scuola.
Pro-vocare interesse, invece, attira la loro attenzione. E’ lo sconcerto che gli fa allungare l’occhio e l’orecchio, è lo spiazzarli sulle loro basi assolutistiche da adolescenti che gli fa dire “Trà, parliamo”. La potenza e l’energia delle loro semplici verità entrano in commistione con l’esperienza del genitore e non c’è più bisogno di orari a tempo per l’uso della tastiera. Va da sè che si autogestiscano in modo appropriato e rinuncino, per esempio, a un gioco interattivo in rete che – lo hanno visto da soli – porta alcuni loro compagni di classe a inebetirsi e a non dormire tutta la notte perchè di là, c’è un giapponese che anche lui non sta dormendo da 12 ore (dodici ore sulla tastiera!), per finire una sessione importante. Va da sè che abbiano bisogno di “vita reale” e non sentano come una rinuncia le dodici ore sulla tastiera in simbiosi con un altro continente in tempo reale.
Cioè, si autolimitano, secondo quello che conviene ai loro impegni e a esigenze non fittizie, ma reali.
Sul ragazzo già compulsivo, cambia tutto il discorso. Lì c’è da correggere e rieducare (autorieducare), non il ragazzo, ma la famiglia. Perchè se i genitori si autorieducano, ne consegue che anche il ragazzo si adegui. La scintilla della curiosità fa miracoli.
Ma sul discorso della famiglia occorrerebbe altro che un post. E questo è già troppo lungo.
E’ importante che ci siano lavori di clinici che contrastino un po’ l’agiografia internettesca che circola in Italia, io credo proprio a causa dell’ancora non capillare diffusione, per cui internet è ancora un bene superidealizzato. Io personalmente ho difficoltà (sono psicologa) – anche se ne riconosco l’efficacia da un punto di vista di mercato, e forse di dialogo tra specialisti – a considerare la dipendenza patologica un sintomo a se che meriti un’etichetta a se, e non l’epifenomeno di cose più articolate collegate alla storia della personalità di chi ne è affetto. Temo sempre conseguenze gravi per certi pazienti quando in centri specializzati su questo sintomo i clinici si focalizzino troppo su questo aspetto, trascurandone altri altrettanto importanti, provocando così un inesorabile peggioramento dei pazienti. In certi assetti prepsicotici per esempio, ho constatato nella mia esperienza clinica, che internet può assumere la funzione di una difesa da un mondo interno percepito come pericoloso – e in certo senso lo è per davvero, e non nella misura delle situazioni mediamente problematiche, ma nella misura delle situazioni molto gravi. Però ci si può sbagliare e partire con un processo di riabilitazione e svariate tecniche di tipo cognitivo comportamentista che lasciano il paziente da solo con questa situazione e finisce con il peggiorare – non so se mi spiego, no probabilmente mi spiego male perchè sono di corsa.
Comunque leggerò il libro, che mi interessa molto. Intanto posto qui un mio vecchio intervento che è stato ripubblicato da diverse parti, dove si parla anche del vostro servizio, metto la versione editata da Ibridamenti che quella sul mio blog ci ha l’esordio troppo tarallucci e vino e un po’ me vergogno:)
http://www.ibridamenti.com/ur-sex-ibridal-gender/2010/12/modem-e-tabu/
(ciao massimo ciao a tutti:)
Mi scuso con Federico Tonioni, probabilmente il documento di testo mi ha corretto automaticamente il cognome e così ho riportato Antonioni. O forse ho fatto tutto io.
Professore, che cosa ne pensa di questo lapsus calami?
Buona serata. Intervengo per la prima volta su questo bel blog attratto dal tema. Un tema che credo ci coinvolga tutti, dato che ormai internet è entrato in tutte le case. Del resto con riferimento a coloro che non sanno usare internet ed il computer si parla di nuovo analfabetismo.
Tento di rispondere le domande in post separati seguendo il metodo usato dagli altri partecipanti.
1. Vi è mai venuto il dubbio di essere affetti da una sorta di dipendenza da Internet?
Mi è successo nei giorni successivi alla mia iscrizione su Facebook, non riuscivo a non stare on line. Mi sembrava di avere tutto il mondo a portata di mano. Ero mosso da una specie di delirio di onnipotenza, non so spiegarlo meglio. E’ capitato anche a qualcuno di voi?
Poi però mi sono ridimensionato.
2. Conoscete qualcuno che risente di una vera e propria dipendenza dalla rete?
Non so. Non è che se ne parli granché, ma credo sia un disturbo molto diffuso
3. A vostro avviso internet può, in un modo o nell’altro, danneggiare il cervello?
Dannneggiare no. Forse, nel tempo, può modificare le nostre abitudini intellettuali, ma modificare il cervello no. Secondo me…
4. Come comportarsi con i figli che passano troppe ore davanti al computer? È necessario fissare limiti di tempo? Bisogna staccare la spina del pc? È opportuno controllare i siti visitati? E, in definitiva, è meglio lasciare la disponibilità del computer o toglierlo con la forza?
Forse un po’ di disciplina, senza essere eccessivi, non farebbe male. Ma questo vale non solo per Internet. Vale anche per il giocare a pallone o vedere la TV.
5. Che tipo di interessi nasconde la Rete?
I Grandi Poteri si sono accorti dell’importanza del mezzo, dunque ci si stanno buttando dentro a testa bassa. Ma non sono in grado di dipingere scenari futuri.
6. Come e quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale?
Molto. Ed il processo è solo all’inizio. E’ un bene o un male? Secondo me è più un bene, anche se non si può generalizzare.
7. Come stiamo imparando a relazionarci agli altri on line?
Con la pratica, prendendo sempre più dimestichezza con il mezzo, imparando nuovi linguaggi e nuovi approcci.
8. Qual è il costo psicologico, emotivo e sociale della nostra affollata solitudine high-tech?
Per chi eccede il costo può essere alto. Troppo Internet può causare un effetto straniamento.
Ma anche troppa cioccolata può far venire il mal di pancia e l’allergia.
Spettabile e cara sig. ra Rossella
lei mi ha tirato in ballo e – per di più – mi denominò “cavaliere”!
Come resistere a siffatto richiamo?
Invero non resisterò!
Devo dirle che l’argomento mi è ostico, non praticando affatto i meandri cibernetici fatta eccezione per il salotto raffinatissimo del caro dottor Maugeri, per il quale più e più volte dovetti ricorrere all’aiuto di mio figlio onde inviare messaggi. Ma poi imparai, e adesso li invio quasi come un naufrago che imbottiglia un foglio polveroso e lo lancia in mare.
Perchè questo, fin dall’inizio, mi parve lo sconfinato oceano di internet.
Non nego che una qualche seduzione l’avvertii pur alla mia età, ormai adusa a qualsivoglia stupore.
Più d’ogni altra mi catturava la possibilità di conoscenza, cosi’ farraginosa ai tempi miei, e una certa emozione ansiosa nel rinvenire ciò che assai accanitamente cercavo da anni.
Mi dissi. ma questo è un archivio, una babele, una biblioteca eterna e sovrapposta!
Eppure notai anche un eccesso nel mio divorare notizie. E una stratificazione che non resisteva al tempo. Ingabbiavo ma non ritenevo memorie, scivolavo anzi verso una strana e ombrosa palude. Un offuscamento, mi parve. Ma oggi lo definirei indigestione.
Troppo avevo preteso dalla mia mente, troppa fiducia nei mie ricordi. A fronte invece dell’infinito rimando dei cavi, del loro potente e feroce armarsi di ogni ben di Dio, mi trovavo solo, uomo, e vecchio.
Mi dissi che era troppo per me.
Così oggi declino qualsivoglia seduzione di questa sirena che evoca miraggi.
Me ne sto qui, nel salotto buono di casa, e mi affaccio di tanto in tanto in questo, ancor migliore del mio. Qui trovo ancora una dimensione che mi sa di casa e cose, di poltrone e sofà, di visite tra parenti, e buone maniere.
Non so dunque in che modo porre argine alle dipendenze…
Io ho una ricetta tutta mia che pratico con successo: equilibrio, una buona passeggiata, mondo virtuale e mondo vero a piccole dosi, chè entrambi, all’età mia, sono spavaldi e rapaci.
Per il resto, Miss. Rossella, i mie omaggi.
E al dottor Maugeri, il mio solito e affettuoso saluto.
Vostro, cavalier Emilio
I commenti del prof. Emilio sono come sempre da leggere e conservare. Grazie 🙂
Egr. Cavalier Emilio .; la invito a ballare insieme a me questo valzer, indosserò il coturno ed un abito lungo, non se ne curi, lo fanno in tanti – uomini e donne – per avere maggiore imponenza sulla scena all’esterno, pur essendo già cresciuti dentro. Nel frattempo il Grande Totò che fu “principe” non per discendenza di famiglia, ma per aver acquistato il titolo da un aristocratico napoletano che nell’immediato dopoguerra cadde in miseria e che il nobilissimo cuore di Antonio De Curtis salvò.
La omaggio con la mitica lettera di Totò e Peppino alla malafemmina la gusti su you tube, I miss you
Sto leggendo Homo interneticus e trovo che le preoccupazioni e le lagnanze di Lee Siegel riguardo il web siano tutt’altro che peregrine.
(per Rossella G.)
Per certi aspetti è così, ma solo se ci riferiamo alla dipendenza come concetto assoluto. Se invece consideriamo la natura del legame che ci fa reciprocamente dipendere da qualcuno o da qualcosa, scopriremmo che esistono legami e relazioni che fanno crescere ed altri che provocano dolore mentale (a volte anche fisico) e arrestano crescita ed evoluzione, fino a strutturare una realtà conchiusa dove non c’è spazio vero per gli altri e per i cambiamenti in generale. il mondo dei dipendenti patologici si ripete incessantemente sempre uguale e questo lo rende più simile ad una sopravvivenza che ad una vita autenticamente vissuta. Le relazioni con gli altri più sono basate sulla reciprocità e più sono creative. Al contrario più sono basate sul controllo dell’altro (consapevole o inconsapevole che sia) e più hanno i connotati di una dipendenza patologica.
(per Zauberei)
Sono assolutamente d’accordo con te nel considerare il sintomo di dipendenza patologica un epifenomeno di un disturbo strutturale più profondo. Per quanto mi riguarda aver fondato un ambulatorio su una tematica specifica, all’interno di un Day Hospital che storicamente si occupa di dipendenze patologiche, fa parte del mio lavoro istituzionale e rappresenta solo la scusa o il pretesto per poter prendermi cura della persona nella sua complessità. Le relazioni con i nostri pazienti sono tutte a tempo indeterminato. Curare il sintomo è sempre e solo l’inizio, esattamente come fare una diagnosi. Penso comunque che i pazienti debbono essere inizialmente curati là dove vogliono essere “incontrati”. Mi spiego meglio. Se viene da me un ragazzo che usa eroina condividerò con lui un’esperienza affettiva prima attraverso la disintossicazione del corpo e poi con estrema cautela attraverso la presa in carico della sua affettività, nel rispetto dei suoi tempi e del suo diritto a ricadere. Come sai, accogliere le difese di un paziente è diverso che attaccare le sue resistenze.
(per Antonella Beccari)
Il lapsus, come l’atto mancato o il contenuto di un sogno possono essere interpretati solo in un setting terapeutico attraverso l’interpretazione di cose che il paziente fa e dice durante la seduta. In questo senso non ho idea di chi sia o rappresenti per te “Antonioni” e di che cosa ti abbia spinto a chiamarmi così. Speriamo bene…, sono fiducioso.
Non credo di essere fuori tema se vi indico questo link
http://www.wuz.it/articolo-libri/5092/mappa-dei-blog-letterari.html
Felice di essere una letteratitudiniana!
@ Federico Tonioni
Grazie professore… mah, il contesto, lei mi insegna, è quello informatico. Io sto davanti a una tastiera e mi immagino lei e chi dibatte, lei sta davanti a una tastiera e si immagina un pubblico che dibatte, probabilmente.
Non che “si dibatte” (mi scusi, ma non so mai resistere ai giochi di parole; chi ha già letto come scrivo sa che sono un po’ “eccentrica”; sa, ho le mie patologie come tutti. Qui ci metterei uno smile che sorride ma mi trattengo).
Dicevo: non c’è uno scambio in tempo reale. Lei, io, tutti, adesso, in realtà non abbiamo un riscontro paraverbale che ci aiuti nel visualizzare mentalmente chi ci sta di fronte. Riscontro paraverbale che, un’altra volta lei mi insegna, è importantissimo nella valutazione e nell’interazione con il prossimo.
Addirittura, per esempio, sembrerebbe che la valutazione di un’insegnante e/o un insegnante sulla prova orale di un alunno che le/gli sta di fronte, sia data su di un numero largamente superiore al 50 percentuale in base all’atteggiamento paraverbale del ragazzo, e non sulla sua reale competenza. Questo significa che se il ragazzo in prova mostra segni di nervosismo o timidezza o piccoli blocchi motivi, avrà un voto largamente inferiore a quello che ha studiato meno o non ha studiato, ma che però mostra un atteggiamento più rilassato e meno “festinazione”.
*
Quanto ad Antonioni le prime cose che mi vengono in mente sono la radice greca del verbo “anteo” da cui proviene il mio nome e per il quale preferisco invece l’etimologia incerta che parla di “piccolo fiore”; mi viene anche in mente l’Antonioni regista di Zabriskie Point (forse perchè se ne è parlato ultimamente in altro luogo virtuale qui in questa sede), e…..
lei, dopo la sua ultima frase “Speriamo bene…, sono fiducioso” ha sorriso, o ha avuto un moto di perplessità? Oppure di “paura”? Forse fare il regista la mette in ansia?
Cioè, qual’era il suo atteggiamento paraverbale, in quel momento?
Vede che è difficile comunicare attraverso una tastiera? Ho avuto bisogno di chiederle qual’era.
Credo che uno degli imperativi dell’homo informaticus e della mulier informatica (notare come non esista l’opposto di homo ma solo quello di vir; infatti si dice “homo nata fuerat”, era nata creatura mortale) sia evitare di presupporre e magari non prendere nulla in modo personale.
Fatto che invece accade nella quasi totalità dei casi attraverso la comunicazione in internet, soprattutto nei social networks, dove la gente, gli individui, si raccontano e spesso si malintendono. In una sede come questa è meno facile che accada perchè c’è un argomento ben preciso che delimita, si cerca di scrivere in un modo che sia “oggettivo”, ci si scambiano informazioni, si cercano e si danno idee, c’è un coinvolgimento al di là della sfera emotiva, dove certamente anche la sfera emotiva gioca il suo ruolo ma in un modo meno o non determinato alla costruzione di amicizie o di relazioni che abbiano un proseguimento nella “vita reale”.
La diversità delle competenze in gioco ricicla il cervello e lo mette in grado di pulsare verso territori, inesplorati o poco esplorati, aprendo nuovi ventagli di possibilità ai quali, nella solitudine intellettuale, non si era pensato o dei quali non se ne ventilava l’esistenza. Diventa un processo creativo.
Addirittura, spesso proprio la mancanza di un eventuale proseguimento nella vita reale induce a scavare al meglio delle proprie possibilità perchè non si deve superare l’impatto fisico, cioè non occorre spendere energia per piacere, nascondere, evitare, posticipare, disertare, insomma tutte quelle piccole sindromi e anomalie che in una discussione o in un appuntamento non virtuale risultano essere difficoltose e controproducenti al fine di esprimere il meglio di sè.
Questo per rispondere alle domande 6, 7, 8.
Naturalmente ci sono anche altri fattori positivi: e cioè, una discussione virtuale permette di comunicare a grande distanza e svelare le realtà più diverse, senza intraprendere un viaggio. Quindi la solitudine high-tech è un tipo di solitudine diversa da come eravamo soliti chiamarla fino a pochi anni fa. In questo momento, per il fatto che sono davanti a una tastiera da sola, non posso dire di sentirmi sola nel senso che, se manderò questo mio post alla sede che mi sono proposta, cioè qui, avrò un riscontro collettivo. (Speriamo… ) Certo, è posticipato. Ma c’è. Sto comunicando. E sto, soprattutto, comunicando con una collettività che, se non ci fosse internet, non avrei mai conosciuto, perchè io abito in Lombardia, Maugeri in Sicilia, e via di seguito.
(Grazie Massimo!)
E’ vero che, d’altro canto, ogni cosa nasconde in sè l’altra faccia della luna, la parte oscura. Ma allora siamo sempre lì; o interiorizziamo entrambe e le facciamo collaborare, parte chiara e parte oscura. O diventiamo dissociati.
Questo, però, è esattamente quello che succede anche nella vita reale. Quindi non capisco dove sia il problema.
Il problema, alla fine, è sempre vivere e morire. Perchè i problemi fanno la vita, e soprattutto fanno la vita superarli. Escogitare, creare, pensare, capire. Fare e non/fare.
Le potenzialità di internet sono immense quanto è immensa la potenzialità umana e può diventare uno strumento divino o diabolico. Per questo avevo detto che internet è lo specchio dell’umanità.
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Sulle domande 1, 2 e 3:
Professor Tonioni, sono d’accordo quando dice che bisogna agganciare il paziente in sede (stava rispondendo a Zauberei); anzi, le dirò che se fossi lei, ma io non sono lei, per quanto riguarda il ragazzino dipendente e compulsivo con internet, per esempio, la prenderei proprio in parola, e lo aggancerei direttamente sul portale o nei luoghi dove sta vivendo la sua realtà virtuale. Calarsi nei suoi posti e cominciare da lì per andare a ricostruire tutto il dramma che ci sta dietro, o a monte. Se con pseudonimo o no, sta a lei: io però la infilerei proprio come una proposta diretta al giovane paziente, che si sentirebbe più libero di raccontarsi, più dentro e protetto dal sistema comunicativo/non comunicativo che lo ha cresciuto. Inoltre in un territorio in cui sa che può muoversi con sicurezza e in libertà, familiare.
Che a lei, appartenente a un’altra generazione, invece non è familiare; ma che potrebbe essere luogo d’interazione (il virtuale), oltre che sfida personale e il feedback della sua teoria di avvicinamento in sede.
In questo caso, unico presupposto: la ragazzina anoressica, il giovane tossico, la mammina innamorata di un avatar, devono essere compulsivi verso internet. E anche il dirigente d’azienda che vive attaccato a un blackberry scambiando scherzose frasi d’amore con l’amante mentre è a cena con altrettanti colleghi, sempre boriosi sempre noiosi. I quali stanno facendo altrettanto per cui la cena d’affari diventa un inno alla compulsività informatico-sessuale. E viene da lei con l’intenzione o il dubbio se interrompere il suo matrimonio. (Tanto per dire).
D’altronde, con internet, anche le competenze psicoterapeutiche potrebbero spostarsi in rete direttamente e letteralmente, in alcuni casi. E per un certo tempo.
Sì, le avevo detto che sono fantasiosa…
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In ogni caso, l’atto compulsivo significa non essere presenti a quello che si sta facendo e si sta pensando. Se reimparassimo a camminare coscienti dell’atto di camminare, non ci sarebbe l’atto compulsivo.
Sui sistemi per tornare a “imparare a camminare” ognuno dovrebbe avere i suoi. Chi non è in grado di crearseli può essere aiutato a ri-trovarli ma, alla fine, deve volere usarli. Se non vuole usarli, significa che il suo percorso appartiene a un altro mondo. Che forse è un mondo che il senso comune non può percepire.
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Tanti saluti di ben-ritrovati a tutti!
Ringrazio ancora una volta Federico Tonioni per la sua preziosa partecipazione!
E grazie naturalmente a tutti voi che state rendendo “viva” questa discussione con i vostri contributi.
Ne approfitto per salutare e ringraziare Renato, Giacomo Tessani, Antonio Falloni…
Grazie mille anche alla nostra simpaticissima psicologa Zauberei.;-)
Cara Francesca, grazie mille per il link da Wuz… :-))
E ancora grazie al sempre splendido prof. Emilio, a Leo, ad Alberto Mangiagli.
E grazie ad Antonella Beccari per il suo nuovo intervento.
Come anticipato nei precedenti commenti, mi accingo a inserire l’introduzione di di Lee Siegel al suo libro (nei commenti a seguire)…
INTRODUZIONE DI LEE SIEGEL (parte prima)
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Questo libro parla di come Internet sta ridefinendo le nostre opinioni su noi stessi, sugli altri e sul mondo che ci circonda. Parla del modo in cui Internet stesso è cresciuto grazie ai cambiamenti della società e della cultura. È un libro che volevo scrivere da anni; le sue origini – ancor prima dell’esistenza della Rete – si basano sulla convinzione che ha sempre guidato la mia vita di scrittore, e in particolare quella di critico culturale: le cose non devono essere come sono.
Pensate all’automobile, che proprio come Internet è una delle invenzioni più meravigliose del genere umano. Fino ai primi anni Ottanta, cinquantamila persone morivano ogni anno in incidenti stradali: il cambio era difficile da usare, i materiali impiegati all’interno delle auto ostacolavano la visuale e in caso
d’incidente non c’erano misure di sicurezza che impedissero l’impatto del passeggero contro il parabrezza. Ma le persone ancora non protestavano. La retorica che circondava l’automobile la rendeva impenetrabile a ogni scetticismo. Le macchine non solo erano meravigliosamente “comode”, come veniva detto alle persone, ma erano un miracolo della trasformazione sociale e individuale.
La pubblicità identificava il potere dell’auto e la mobilità con la promessa dello stile di vita americano; la velocità faceva sembrare ogni critica antiquata e reazionaria; ogni nuovo modello di auto era la rappresentazione visiva di un particolare anno della nostra vita e stabiliva l’importanza sociale del suo possessore.
Le macchine si muovevano così velocemente e gli stili cambiavano altrettanto rapidamente da creare l’illusione di un movimento eterno, come il susseguirsi delle stagioni.
Questa illusione dette ai costruttori di automobili un pretesto per la loro negligenza. Consapevoli dei costi, si opposero a rendere le auto più sicure nascondendosi dietro la scusa che non si poteva far niente al riguardo: la compensazione in vite umane era inevitabile, inesorabile. Era il prezzo del progresso.
Poi le macchine potenziarono l’individuo a un livello senza precedenti. I costi sempre più accessibili sembrarono essere la prova definitiva e la realizzazione della democrazia: se un gran numero di persone moriva negli incidenti era perché un gran numero di persone assaporava la libertà, la scelta e l’accessibilità forniti dalle nuove auto che ruggivano sulle strade. Criticare l’auto significava criticare la democrazia.
Le cose stavano così.
Fino al 1965. Anno in cui Ralph Nader pubblicò “Unsafe at Any Speed”, il suo saggio-rivelazione sulla negligenza criminale dei produttori di automobili. Il pubblico rimase inorridito: a quanto pareva i dirigenti delle industrie automobilistiche erano sempre stati a conoscenza dei problemi esistenti. Nonostante fossero stati esortati a fare modifiche che avrebbero potuto salvare decine di migliaia di vite, i manager privilegiarono il taglio dei costi, la protezione degli azionisti e del proprio lavoro.
L’opinione pubblica non solo rimase inorridita, ma ne fu scioccata. Ciò che era stato accettato come una condizione inevitabile si dimostrò essere totalmente arbitraria; le cose avrebbero dovuto essere molto diverse. Gradualmente, grazie all’opinione pubblica, l’idea diffusa per cui l’auto doveva essere inevitabilmente pericolosa cedette il passo a una nuova condizione in cui l’industria automobilistica prese coscienza del problema della sicurezza. Il numero di morti negli indicenti stradali si dimezzò.
Le cose cambiarono.
INTRODUZIONE DI LEE SIEGEL (parte seconda)
–
Ovviamente non sto paragonando Internet a una sfrecciante trappola mortale. Ma anche Internet, come l’automobile, ha il suo lato distruttivo; entrambe le tecnologie sono venute al mondo dietro le quinte del trionfalismo e ritraendosi di fronte a qualsiasi visione critica. Come l’auto, la Rete è stata propagandata come un miracolo della trasformazione sociale e individuale, quando, in fondo, è una meraviglia della comodità – una meraviglia che ha provocato uno sconvolgimento sociale e individuale. Come per l’auto, anche il modo estremamente arbitrario in cui Internet si è evoluto è stato definito come inevitabile e inesorabile. Allo stesso modo le critiche sulle anomalie della Rete, sui suoi rischi e pericoli, sono state messe a tacere, ignorate o stigmatizzate come i due grandi tabù americani: negatività e paura del cambiamento. Ancora, come per l’auto, la retorica della libertà, della democrazia, della scelta e dell’accessibilità ha nascosto l’avidità e l’egoismo dietro ciò che gran parte del web è oggi diventato.
Certo bisognerebbe essere stupidi per discutere sull’utilità di Internet. Google, Amazon e Nexis mi hanno fatto risparmiare mesi di ricerca per scrivere questo libro. Internet ha da poco permesso a me e alla mia famiglia di trovare un appartamento in un quarto del tempo che avremmo impiegato una volta. Senza qualche sito attendibile di medicina io e mia moglie avremmo passato chissà quante altre notti preoccupandoci della salute di nostro figlio nelle sue prime settimane di vita. E senza email avrei impiegato molto più tempo a incontrare mia moglie e a diventare uno scrittore: a volte sono timido ed esitante nel parlare. La posta elettronica mi ha permesso di dedicarmi ai miei affetti e al mio lavoro nel modo in cui, da scrittore, mi sento più a mio agio.
Nessuno può negare la capacità della Rete di rendere la vita più semplice, rilassante e gradevole. Ma siamo onesti: avrei messo radici in biblioteca e fatto il giro dei negozi di libri usati, ma alla fine avrei scritto questo libro anche senza Internet.
Io e mia moglie avremmo trovato lo stesso un appartamento.
Qualche visita in più dal dottore ci avrebbe risparmiato l’ansia per nostro figlio. L’amore e il lavoro non mi sarebbero sfuggiti neanche se avessi dovuto contare sul parlato piuttosto che sullo scritto. Senza Internet tutte queste cose sarebbero comunque successe o si sarebbero risolte da sole. La Rete fa però una grande differenza: risolve tutto più velocemente ed efficacemente.
Più comodamente.
La comodità è una parte essenziale di ciò che ci promettono le moderne proposte commerciali; ma non si è mai letto un epitaffio con su scritto: «Qui giace il sig. Tal dei tali, che ha condotto una vita comoda, e che ha reso comoda la vita degli altri». Sempre nel nome della praticità, Internet è stato definito rivoluzionario come l’invenzione della stampa. Ma la Rete è qualcosa di completamente diverso. La diffusione della conoscenza attraverso i libri non ha niente a che fare con la possibilità di acquistare libri online; la trasmissione della conoscenza non ha niente a che vedere con la rapida diffusione di informazioni sempre disponibili online. E il “dare voce a ognuno”, come la Rete si vanta di aver fatto, non è poi così diverso dal permettere alle voci più creative, più intelligenti e originali di farsi sentire. Ma può anche essere un modo per impedire che le voci più creative, intelligenti e originali vengano ascoltate.
INTRODUZIONE DI LEE SIEGEL (parte terza)
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Le talvolta isteriche dichiarazioni degli ultimi anni secondo le quali Internet rappresenterebbe un’epocale rivoluzione nei rapporti sociali e personali seguono la stessa rotta. Continuano a descrivere tale “rivoluzione” nei termini commerciali di rafforzamento e sviluppo del consumatore. Nel nome della convenienza e della comodità. Ma una rivoluzione in questi termini (per quanto la comodità sia oggi preziosa) come può definirsi rivoluzione? Certo, Internet ha davvero provocato una rivoluzione, solo che i suoi profeti non vogliono mai dire di che tipo si tratti.
Internet, come innovazione tecnica, è la risposta al nostro stile di vita dominato da attività frenetiche, disconnesse e frammentate.
Un secolo di innovazioni tecnologiche ha riempito le nostre giornate caotiche con esperienze disparate e quasi simultanee; essere online, oggi, ci permette di organizzare queste esperienze, quasi di fonderle. (E cos’è la “compartimentalizzazione” se non un modo per tenere più “finestre” aperte contemporaneamente?) Allo stesso modo, la natura sociale e psicologica della Rete è la risposta a un secolo di cambiamenti sociali e psicologici in cui l’individuo si è gradualmente elevato sopra la società. Realizzare i nostri desideri è diventato più importante che valutare le nostre relazioni con le altre persone.
Siamo nell’era di Freud, dell’io esistenziale, terapeutico, confessionale e ammaestrato, nell’età della memoria, dalla «generazione io» e della cultura del narcisismo: la vita è diventata sempre più “mentalizzata”, più interiore, più indirizzata alla soddisfazione del desiderio personale. Il crollo della famiglia e l’aumento di persone che vivono da sole sono soltanto alcuni aspetti di questa tendenza; tragicamente lo sono anche l’aumentare degli atti di violenza – anche degli omicidi di massa – che avvengono nei luoghi pubblici. Viviamo più nelle nostre menti di quanto una qualsiasi società abbia mai fatto prima, e per alcuni l’unica realtà esistente è ormai quella che sta dentro le loro teste.
Questa non è una condanna al modo in cui viviamo; la comunità permeata da ideologie perniciose e tribalismi distruttivi ha portato sicuramente più sofferenza di quanto abbia mai fatto l’individualismo radicale. Ma resta molto da dire sulla relazione che c’è tra le nostre vite isolate e separate e il loro maggior “accesso” a un’ampia gamma di piaceri e protezioni; e comunque, a prescindere dagli sviluppi che prenderà la nostra vita, è certo che la Rete offra la prima struttura di coesione sociale e psicologica per questa condizione relativamente nuova: Internet è il primo “ambiente sociale” della storia a soddisfare le esigenze di individui isolati, separati e asociali.
La Rete è un’innovazione tecnologica inevitabile, poiché risponde a una serie di condizioni che sono andate creandosi nel corso di questi ultimi decenni; ma la sua natura, una volta creata, non era e non è inesorabile. La tecnologia è neutrale, priva di valori, per sua natura né buona né cattiva. Sono i valori
a rendere la tecnologia un aiuto o un ostacolo alla vita umana.
Online compriamo, giochiamo, lavoriamo, amiamo, cerchiamo informazioni, comunichiamo con altre persone e con il mondo intero. Passiamo sempre più tempo da soli, eppure le persone non parlano degli effetti di questa nuova e sorprendente condizione.
Di tanto in tanto scattano allarmi in rete per furti di identità, stati di dipendenza o pedofilia. Pericoli reali, ma che rappresentano solo i rischi più estremi ed evidenti del mondo di Internet. Pericoli che alla fine saranno repressi dalla legge, dai tribunali e dalle commissioni. E di solito tali preoccupazioni sono considerate come manifestazioni isteriche, proprio come isterico sembrava il timore riguardo l’alto tasso di mortalità per gli incidenti stradali. Si dice che se un gran numero di persone cade preda di Internet è perché sempre più persone stanno assaporando la libertà, la scelta e l’accessibilità forniti dalle nuove macchine che ci lanciano nell’infinito cyberspazio; si dice che questa sia l’inevitabile natura di Internet.
La Rete esalta questi modelli di comportamento patologico, ma non li crea. Quello che però non può essere risolto dalle leggi, dai tribunali e dalle commissioni sono i modelli di comportamento da essa generati, i problemi creati dalla routine quotidiana della Rete. Le domande fondamentali sulle nuove
consuetudini di Internet sono state raramente poste. Al contrario, il grande pubblico – insieme agli investitori – si schiera con i tecnoentusiasti e fa a gara a tesserne le lodi. Chi non si unisce al coro viene definito antiquato e reazionario: critica Internet e sarai accusato di criticare la democrazia. La trionfale
e narcisistica retorica che circonda la Rete l’ha resa impenetrabile a ogni contestazione.
INTRODUZIONE DI LEE SIEGEL (parte quarta)
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La cosa più strana, sebbene lo scetticismo sia un ingrediente essenziale del giornalismo, è che gli editori di giornali e riviste sono più esitanti di chiunque altro nel muovere critiche rilevanti al web. Questo, malgrado il fatto che il giornalismo mainstream sia il bersaglio preferito dei tecnoentusiasti: la pressione
finanziaria sugli editori di quotidiani e riviste, e il loro timore di essere sostituiti dai nuovi mezzi, ha paralizzato il loro istinto critico.
Questa paralisi ha sicuramente contribuito all’affaire che mi è capitato un anno e mezzo fa. Lavoravo per la rivista «The New Republic» quando lessi alcuni commenti anonimi nella sezione Talkback del blog culturale in cui ero stato invitato a scrivere: «Mr. Siegal [sic] entrava nelle chiese di molte persone [sic], pisciava nelle urne, scoreggiava e poi metteva il cazzo sopra l’altare »; «Siegel è un mongoloide ritardato»; «Siegel voleva scoparsi un bambino». Non capivo perché un’importante rivista potesse
permettere commenti del genere, per di più in forma anonima.
Comprensibilmente intimidita dall’insistenza dei «nuovi» me dia di assicurare un «dibattito aperto a tutti», «New Republic» aveva deciso di non inasprire le regole di utilizzo della sezione Talkback, che in ogni caso proibivano «post diffamatori, calunniosi, inutilmente ostili… post osceni, offensivi, molesti,
minatori, fuori tema, incomprensibili, o inappropriati». Erano regole buone e giuste, che incoraggiavano e regolamentavano le discussioni. Fatto sta che mia madre stava leggendo quella roba! E la cosa peggiore è che quello che appare sul web resta sul web. Per sempre.
Così, dopo aver protestato inutilmente con gli editori per questa situazione ridicola (e dopo aver polemizzato sul mio blog contro ciò che definii «anonimato teppista» e gli atteggiamenti diffamatori su Internet – cosa che ovviamente non servì a niente), decisi che siccome ero caduto attraverso lo specchio dentro a un bel paesaggio surreale, mi sarei anche potuto divertire un po’ e scendere nel fango, per dare agli anonimi teppisti un vero assaggio di anonimato da teppisti. Mi chiamai Sprezzatura (termine coniato durante il Rinascimento italiano che definisce una scaltra disinvoltura), presi le difese dello spregevole signor Siegel, e attaccai i suoi aggressori incontinenti nel loro stesso stile. Pensai ingenuamente di fargliela pagare.
Scoperto il mio scherzetto, fui temporaneamente sospeso da un’inorridita «New Republic», condannato dalla blogosfera come un esempio della capacità di Internet di diffondere falsità dietro un anonimato teppista (!) denunciato dai media mainstream, e poi, alla vecchia maniera americana, ricompensato
con un’intervista al «New York Times Magazine» e con l’opportunità – che sognavo da tempo – di scrivere un libro sulla cultura del web. Sulla scia dello scandalo iniziarono ad apparire articoli sulla questione dell’anonimato in Internet su varie riviste: «Guardian», «Salon», «New York Times» e anche sulla stessa «New Republic». Fino a quel momento, la consuetudine degli attacchi anonimi nella blogosfera era stata sfidata raramente.
Poi, gradualmente, gli articoli hanno smesso di comparire e la Rete ha ripreso a essere indiscussa e incontrollata.
INTRODUZIONE DI LEE SIEGEL (parte quinta)
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Questo libro non parla della mia esilarante disavventura nel mondo online. Più guardo nel profondo di Internet (in cui, dopotutto, ho guadagnato come critico d’arte per Slate.com e come critico televisivo settimanale e poi blogger culturale per il «New Republic Online») più mi sembra che sollevi questioni
sociali e culturali. Quello che era in gioco non era una semplice questione di “media”, ma ciò che stavamo diventando in questo nuovo contesto tecnologico. Era tanto un’indagine su ciò che influenza il web quanto una riflessione sulle influenze che il web esercita su di noi. Goethe ha detto che la condizione umana non cambia mai, ma che attraverso la storia i diversi aspetti dell’essere umano si ripresentano o recedono. La tecnologia è un catalizzatore che dà vita ad alcune caratteristiche dell’uomo
mentre ne sopprime altre.
Tutte le tecnologie di massa del mondo moderno hanno provocato appassionate e animate discussioni sul tipo di valori che incoraggiano e inculcano. Fiumi di articoli polemici, saggi e libri, conferenze e dibattiti pubblici hanno avuto l’effetto di migliorare la qualità di radio, televisione e film, così come le
pressioni e gli incentivi commerciali ne hanno intensificato i difetti. Internet è penetrato nelle nostre vite più profondamente di ogni altro mezzo di comunicazione; ha superato di gran lunga anche la televisione per la sua intimità e immediatezza.
Merita di essere sfidato dalle stesse questioni fondamentali che furono sollevate per gli altri mass-media rivoluzionari: questo libro prova a porre queste domande.
Che tipo di interessi nasconde Internet? Quali valori lo determinano? Che tipo di persone lo dominano? Quanto sta influenzando la cultura e la vita sociale? E in che modo la cultura sta influenzando Internet? Come stiamo imparando a relazionarci agli altri online? Ma soprattutto, qual è il costo psicologico,
emotivo e sociale della nostra solitudine high-tech? Viene davvero dato potere alle nuove voci, o in realtà si coprono le voci dissenzienti nel nome della libertà di espressione? La democrazia viene rispettata? O i suoi valori sono stati falsati dall’abuso di princìpi democratici?
Internet è oggi un elemento costitutivo della nostra civiltà.
Possiamo restare passivi e permettergli di ostacolare le nostre vite, o possiamo guidarlo verso la realizzazione della sua umana promessa. La scelta è nostra.
Le cose non devono essere come sono.
A tutti voi, una serena notte.
(E una buona lettura)
Grazie prof. Tonioni: E’ uno studioso molto preciso ed attento, un “addetto ai lavori” che non improvvisa e non commette violazioni. Si, perchè cristiani o non cristiani, oltre l’uomo, c’è IL FIGLIO DELL’UOMO, bisognoso di Sacro rispetto.
Forse per alleggerire la profondità del tema, per trasmettere qualcosa di mio, vorrei accennare alla vita di Vincent Van Gogh, di cui ultimamente ho letto l’intera biografia: non tutti sanno che era un profondo conoscitore della letteratura inglese e francese, un fine osservatore dei fenomeni della natura e della figura umana, ma anche di se stesso, al punto che da solo decideva di entrare ed uscire dagli istituti psichiatrici per timore di arrecare danno al prossimo; spesso parlava anche di questo con il fratello Theo, l’unico, in verità, ad averlo amato veramente. E’ stato comunque il suicidio del grande illustratore ad avermi intenerito in maniera indelebile, la sua frase finale che, in questo contesto, non vuole teatralità: “mi sparo un colpo alla testa poichè non sopporto più i colpi al petto”.
Al di là dei problemi contingenti che ogni società propone nel periodo storico preso in esame, l’essere umano ha un aspetto individuale ed uno collettivo, ma, ancor più importante uno immanente ed uno trascendente, un pò come quando lei Prof. risponde “prendersi cura del paziente nella sua complessità”.
Anche io ho apprezzato molto le risposte del prof. Tonioni.
Grazie!
Grazie mille a Rossella e a Alberto Mangiagli.
Mi accingo a pubblicare un nuovo post, ma spero che qui la discussione possa continuare.
Ancora una volta grazie a tutti per la collaborazione!
(prof. Federico Tonioni)
Ho riflettuto a lungo sulle parole del suo messaggio. Purtroppo è vero, nella mia vita ho incontrato uomini che hanno esercitato su di me un controllo continuo e che sono stati la causa di tremendi dolori, anche fisici, dal momento che il corpo esprime nella materia l’anima ed il suo errare nelle forme. E’ stata una “coazione a ripetersi” che la psicologia mi ha aiutato a vedere da vicino, per rafforzare la mia vera personalità.
Mi riferisco ad una pseudo-protezione esercitata attraverso il potere del proprio ruolo, con tutti i mezzi a loro consentiti (anche subdoli) da parte di familiari, amici, colleghi , la paradossale finzione di voler visionare la mia vita a fin di bene o ancora meglio quant’altro bisognava scartare per inconsce paure mai riconosciute come tali: la maschera di buonismo indossata non per aiutarmi ad evolvere su un piano personale e dunque sociale (mi riferisco anche a situazioni di mobbing lavorativi subite nel passato), ma per controllare il pericolo di luci troppo accecanti che potrebbero essere puntate sulle verità di personaggi che hanno costruito, spesso artificialmente, la propria immagine di successo. La paura di veder crollare il proprio “professionismo” , le proprie “qualifiche” di relazione umana e reciprocità con uno strumento reale che si chiama la logica, resa evidente dalla coscienza che, da sempre, porta ai risultati evidenti: ecco dottore, non c’è niente di più doloroso che aver compreso il sadico, il malvagio che alberga nei falsi “primi uomini” o prime donne che dir si voglia, lo sterminatore senza pietà di tanti dr. Jackill e mr. Hide, senza andare troppo lontano, ce ne sono a centinaia all’interno delle famiglie, nei luoghi di lavoro, nei salotti di amici perbene, laddove determinismo e competizione hanno solidificato gli ego. La nuova tecnologia li aiuta solo a nascondersi, ma il mondo virtuale spesso forse aiuta a celare anche la debolezza di coloro che non riescono a tirare fuori la propria forza interiore nell’impatto “dal vivo”, quella benedetta forza reagente mix di corpo-ragione- sentimento, la sola che consente di spezzare insane dipendenze! la saluto e la ringrazio ancora, Rossella G.
Grazie a te, Rossella cara.
Recensione su “Il Secolo d’Italia”
http://www.pianobedizioni.com/FOTO/rassegna_stampa/homo-secolo-italia-17-09-2011.jpg
Recensione su Class
http://www.pianobedizioni.com/FOTO/rassegna_stampa/Siegel-Class-Filosofia-agosto-2011.jpg
Recensione su Tiscali spettacoli
http://spettacoli.tiscali.it/rubriche/libri/Franchi/1703/articoli/-Homo-Interneticus-Restare-umani-nel-web-Secondo-Lee-Siegel-Piano-B-2011.html
Recensione su Il Corriere della Sera
http://www.pianobedizioni.com/FOTO/rassegna_stampa/Siegel-Corriere-della-sera-31-luglio-2011.jpg
Recensione su GQ
http://www.gqitalia.it/show/lifestyle/2011/7/homo-interneticus-restare-umani-nell-era-dell-ossessione-digitale-si-puo
Su Freccia
http://www.pianobedizioni.com/FOTO/rassegna_stampa/freccia%20interneticus%20luglio.JPG
Vorrei sottoporre all’attenzione, quanto scrive wikipedia oggi sul suo portale.
Non occorre precisare quanto sia in tema con gli argomenti presentati. E non voglio assolutamente commentare perchè tutto si commenta da sè.
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Cara lettrice, caro lettore,
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in queste ore Wikipedia in lingua italiana rischia di non poter più continuare a fornire quel servizio che nel corso degli anni ti è stato utile e che adesso, come al solito, stavi cercando. La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c’è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero.
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Il Disegno di legge – Norme in materia di intercettazioni telefoniche etc., p. 24, alla lettera a) del comma 29 recita:
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«Per i siti informatici, ivi compresi i giornali quotidiani e periodici diffusi per via telematica, le dichiarazioni o le rettifiche sono pubblicate, entro quarantotto ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono.»
Negli ultimi 10 anni, Wikipedia è entrata a far parte delle abitudini di milioni di utenti della Rete in cerca di un sapere neutrale, gratuito e soprattutto libero. Una nuova e immensa enciclopedia multilingue e gratuita.
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Oggi, purtroppo, i pilastri di questo progetto — neutralità, libertà e verificabilità dei suoi contenuti — rischiano di essere fortemente compromessi dal comma 29 del cosiddetto DDL intercettazioni.
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Tale proposta di riforma legislativa, che il Parlamento italiano sta discutendo in questi giorni, prevede, tra le altre cose, anche l’obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine.
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Purtroppo, la valutazione della “lesività” di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all’opinione del soggetto che si presume danneggiato.
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Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiedere l’introduzione di una “rettifica”, volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti.
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In questi anni, gli utenti di Wikipedia (ricordiamo ancora una volta che Wikipedia non ha una redazione) sono sempre stati disponibili a discutere e nel caso a correggere, ove verificato in base a fonti terze, ogni contenuto ritenuto lesivo del buon nome di chicchessia; tutto ciò senza che venissero mai meno le prerogative di neutralità e indipendenza del Progetto. Nei rarissimi casi in cui non è stato possibile trovare una soluzione, l’intera pagina è stata rimossa.
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L’obbligo di pubblicare fra i nostri contenuti le smentite previste dal comma 29, senza poter addirittura entrare nel merito delle stesse e a prescindere da qualsiasi verifica, costituisce per Wikipedia una inaccettabile limitazione della propria libertà e indipendenza: tale limitazione snatura i principi alla base dell’Enciclopedia libera e ne paralizza la modalità orizzontale di accesso e contributo, ponendo di fatto fine alla sua esistenza come l’abbiamo conosciuta fino a oggi.
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Sia ben chiaro: nessuno di noi vuole mettere in discussione le tutele poste a salvaguardia della reputazione, dell’onore e dell’immagine di ognuno. Si ricorda, tuttavia, che ogni cittadino italiano è già tutelato in tal senso dall’articolo 595 del codice penale, che punisce il reato di diffamazione.
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Con questo comunicato, vogliamo mettere in guardia i lettori dai rischi che discendono dal lasciare all’arbitrio dei singoli la tutela della propria immagine e del proprio decoro invadendo la sfera di legittimi interessi altrui. In tali condizioni, gli utenti della Rete sarebbero indotti a smettere di occuparsi di determinati argomenti o personaggi, anche solo per “non avere problemi”.
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Vogliamo poter continuare a mantenere un’enciclopedia libera e aperta a tutti. La nostra voce è anche la tua voce: Wikipedia è già neutrale, perché neutralizzarla?
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Gli utenti di Wikipedia
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Viene anche messo in evidenza il seguente articolo:
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Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo
Articolo 27
«Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benefici.
Ogni individuo ha diritto alla protezione degli interessi morali e materiali derivanti da ogni produzione scientifica, letteraria e artistica di cui egli sia autore.»
E adesso un commento personale, invece.
Se entra in vigore la cosa automaticamnte entra in vigore anche il fatto che io mi ritenga lesa, e gli sfondo la voce.
Grazie mille per l’importantissima segnalazione, cara Antonella!
Al riguardo riporto il breve aggiornamento fatto dagli utenti attivi di wikipedia nella giornata di oggi.
Ricordo che, dall’altro ieri sera, gli “utenti attivi”, cioè chi scrive, appunto per richiamare l’attenzione sul comma, avevano deciso, dopo una lunga discussione interna e per votazione favorevole oppure no, di oscurare l’intero sistema (principalmente ci si chiedeva se oscurare solo delle voci chiave oppure tutto ma ci si rendeva conto che, oscurare solo una parte, non avrebbe messo in grado l’intera utenza di accorgersi di quanto stava succedendo).
(E’ di poco tempo fa, anche se il fatto non rientra nel contesto del discorso informatico, il rischio di chiusura dell’Accademia della Crusca (!) che, se non fosse stato cambiato l’iniziale progetto di legge, avrebbe portato all’estinzione di un’istituzione secolare).
Dunque il proverbiale e machiavellico “a mali estremi estremi rimedi” pare che anche nel caso di wikipedia abbia dato qualche frutto.
Wikipedia fa comodo a tutti perchè, solo per ricavare una semplice data e luogo di nascita di un pittore, o una formula chimica, o una bibliografia, basta digitare ciò che si ricerca. La stessa semplice ricerca, senza wikipedia, si trasforma in un iter lungo e tortuoso per arrivare a mettere insieme le stesse informazioni; perchè nessuno o quasi mette informazioni gratuite a disposizione di chiunque.
Oggi l’informazione costa e, se non costa, richia di essere di parte.
***
“Aggiornamento: l’oscuramento di Wikipedia ha suscitato una grande attenzione da parte di media, enti, associazioni e cittadini. Alcune personalità politiche hanno manifestato l’intenzione di presentare emendamenti che porrebbero Wikipedia al riparo dagli obblighi e modalità previsti dal comma 29 del decreto proposto. Il DDL in discussione si trova qui (approvato dalla Camera l’11 giugno 2009, modificato dal Senato il 10 giugno 2010).
*
Le voci rimarranno nascoste almeno fino alla discussione alla Camera dei Deputati, prevista per la mattinata del 6 ottobre 2011.
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Il diritto di usare la Rete come fonte e luogo di conoscenza è e resta la nostra priorità.”
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ciao Massimo, grazie a te e buona giornata!
le mie congratulazioni per il tuo bel viaggio!