Cent’anni fa – per esattezza il 23 luglio 1908 – nasceva Elio Vittorini.
Dedichiamo uno spazio (e un dibattito) a questo grande intellettuale e scrittore siracusano.
Di seguito avrete la possibilità di leggere quattro interventi.
Il primo è firmato da Ernesto Ferrero ed è stato pubblicato su Tuttolibri del 26 luglio.
Gli altri sono stati realizzati, dietro mia richiesta, dagli amici scrittori siracusani che frequentano questo blog: Maria Lucia Riccioli, Salvo Zappulla, Simona Lo Iacono (Maria Lucia, Salvo e Simona mi daranno una mano per moderare e animare il post).
Vi pongo alcune domande, estrapolate dagli articoli che leggerete di seguito.
Le prime sono di Ferrero (pensate con riferimento a Vittorini):
Chi è, cosa deve fare uno scrittore? In che modo deve mettersi in relazione con la società? Cosa può fare per la collettività?
E poi (pescando dal pezzo della Riccioli)…
Cosa rimane di Elio Vittorini?
Quali sono stati i frutti della sua opera? Riusciamo a scorgerli ancora oggi? Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?
Insomma… Vittorini.
Un’occasione per ricordarlo. E per parlarne.
Massimo Maugeri
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Il centenario della nascita di Elio Vittorini
di Ernesto Ferrero (da Tuttolibri del 26 luglio 2008)
Non c’era davvero miglior modo di ricordare il centenario della nascita di Elio Vittorini (23 luglio 1908) che evitare la melassa buonista di simili occasioni e stare ai testi: come questo secondo e ultimo tomo che raccoglie i suoi articoli e interventi 1938-1965 (il primo copriva gli anni 1926-37, in cui ebbe tanta parte il soggiorno a Firenze e la furiosa attività traduttoria).
Sono oltre mille pagine, curate come meglio non si potrebbe da Raffaella Rodondi, degna allieva di Dante Isella. Dico subito che le sue note sono così approfondite ed esaustive che chi vuole occuparsi della cultura italiana del periodo dovrà passare di lì. Vi troverà una miniera di notizie e documenti.
Lo si frequenta poco, Vittorini, a parte Conversazione in Sicilia, che tiene ancora benissimo.
Da tempo è sparita dal nostro orizzonte la sua fervida progettualità utopistica a 360 gradi. Non parliamo poi della sua pretesa di concorrere attraverso la letteratura a una rigenerazione collettiva, addirittura alla nascita di un uomo nuovo. La tensione appassionata e sciamanica con
cui il Gran Siracusano insegue il moderno, inventandoselo anche quando non se ne vedono tracce, ripercorsa adesso risulta commovente.
Uscito da un arcaico mondo contadino, lo conosce troppo bene per abbandonarsi a idilli e nostalgie, che anzi non si stanca di deprecare. Gli interessa l’incontro-scontro con le metropoli, con l’industria, il nuovo mondo che dovrebbe nascere da una sorta di palingenesi collettiva. Ha la bulimia del futuro prossimo. Se le domande sono sempre le stesse (chi è, cosa deve fare uno
scrittore? In che modo deve mettersi in relazione con la società, cosa può fare per la collettività?), ricorrenti sono anche le risposte, pur nel variare di quell’«irta vegetazione di metafore» di cui parla Italo Calvino (ma forse più avvolgente che irta): scoprire qualcosa che ancora non si conosce, aggiungere qualcosa di nuovo all’umana coscienza, fuori dai lacci delle ideologie e dei concetti astratti. Certo non «suonare il piffero per la rivoluzione», come scrisse a Togliatti nel corso della famosa polemica su «Politecnico». Vittorini sognava una letteratura che sapesse interagire al livello più alto con tutte le attività umane, che ne fosse il lievito, lo stimolo permanente.
Era (dice ancora Calvino) totalmente immune dalla negatività esistenziale, dalle voluttà del nichilismo, dalle scissioni dell’Io che connotano il Novecento degli sconfitti contenti di esserlo. Anteponeva l’urgenza di un rinnovamento vero alla sua stessa creatività personale, esempio unico di disinteresse.
Nel volume c’è di tutto: saggi, articoli di varia occasione, recensioni, i risvolti per i «Gettoni» einaudiani (sempre imprevedibili, spesso a contropelo), schede di lettura, interviste autobiografiche (tenerissime), risposte a inchieste e dibattiti, elzeviri, corsivi, scritti sull’arte (Dosso Dossi ma anche Cassinari e Guttuso), dibatti sul fumetto (con Eco), abbozzi di storie letterarie, lucidi ripensamenti dei propri libri, ma si possono comunque identificare alcuni nuclei forti. Il gran lavoro sugli americani, anche in vista dell’antologia poi pubblicata da Bompiani (Saroyan, James Cain, Caldwell, Faulkner, Steinbeck, Wright, John Fante); gli interventi febbrili su Politecnico (1945-47), poi sul Menabò (1959-65), principalmente centrati sul solito dolente nodo dei rapporti tra cultura e politica e sull’impegno.
Non c’è campo in cui l’autodidatta non scateni le sue curiosità, creando collegamenti fulminei,
sorprendendo il lettore laddove meno se lo aspetta.
Parla schietto, trasferendo nello scritto la vivacità orale. Gran comunicatore, incantatore nato,
immune da rigidezze accademiche e specialistiche, mercuriale sempre. Così pronto ad ammettere i propri errori che anche un nemico non può che rassegnarsi ad amarlo. Dichiara
odi e amori con il candore degli innocenti. Dice (negli Anni 30) di detestare Voltaire e Balzac,
Kipling, Rilke e Kafka, D’Annunzio e Dostoevskij e idolatra Hemingway al di là del ragionevole,
ma è capace di mandare a Montale, dalle colonne di un periodico giovanile, un saluto di ringraziamento per le Occasioni appena uscite («il fatto più importante, oltreché il più felice, dei nostri ultimi mesi di storia umana»).
Perché nel cuore di Vittorini, felice perché sempre in movimento, lanciato verso il prossimo
ostacolo, non c’è la letteratura, c’è l’uomo. La letteratura è uno strumento da usare bene, come tanti altri. Per questo si sdegna perché nel primo governo repubblicano non è stata chiamata una sola donna, nemmeno come sottosegretario.
Ripete che il più umile dei problemi di una città ha un significato per la cultura in assoluto. Richiesto di autodefinirsi, si iscrive nella categoria dei «poeti civili», lui che non ha scritto un verso. E nel 1964 arriva a dire che la letteratura è ormai destituita d’importanza, si è fatta semplice mediatrice di cose scoperte da altri.
Che la nostra fantasia è vecchia, governata da una concezione del mondo che risale a Tolomeo. Negli ultimi anni, per coerenza, si butta a leggere di scienza, matematica, biologia,
astrofisica. Dice che bisogna continuare a scrivere senza la presunzione di credere che sia importante.
Come sarebbe bello che il calore delle indomite passioni di questo «indiano delle riserve» (come si definiva autoironicamente, ma senza indietreggiare di un pollice) arrivasse fino a noi, al nostro deserto di cenere governato dal marketing.
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Cosa rimane di Vittorini?
di Maria Lucia Riccioli
23 luglio 1908 – 23 luglio 2008.
Vittorini cent’anni dopo la sua nascita.
Cosa rimane di uno scrittore? Ce lo chiediamo spesso, in particolare quando si verificano ricorrenze come quelle dei cinquantenari o in questo caso dei centenari.
La figura e l’opera di Vittorini sono state fondamentali per la cultura italiana tra le due guerre e oltre. Ma quali ne sono stati i frutti? Riusciamo a scorgerli ancora oggi? Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Siracusa dedica da anni un premio letterario ad Elio Vittorini e quest’anno è stata curata la pubblicazione di un volumetto che raccoglie estratti dalle sue opere più note, dei disegni realizzati da Guttuso per un’edizione di “Conversazione in Sicilia” che però vide la luce solo nel 1986. Speriamo che si realizzi il sogno di Siracusa di fare di più – magari una casa museo, una biblioteca – per onorarlo degnamente.
La Sicilia è stata sempre mater poco materna con i suoi figli più illustri e con Vittorini non ha fatto eccezione. Il figlio del ferroviere, cognato di Salvatore Quasimodo, che vide la luce nell’isola di Ortigia, alla Mastrarua, poi Via Vittorio Veneto, dopo i primi studi, il formarsi di una precoce coscienza politica e le febbrili entusiastiche letture, ha fatto la sua fortuna “in continente”.
Cosa resta, dicevamo, di Vittorini? Le istanze della denuncia civile? L’ideale riscatto degli umiliati e offesi? Vittorini patì anche l’ottusità ideologica degli stessi compagni di partito (Togliatti e il suo becero “Vittorini se n’è gliuto e soli ci ha lasciato”), oltre alla sostanziale incomprensione e indifferenza dei conterranei.
La sprovincializzazione della nostra letteratura? Grazie all’antologia “Americana”, grazie ad uno stile che risente della lezione degli autori statunitensi. L’esperienza neoilluministica de “Il Politecnico” fu fondamentale, come la sua opera di “talent scout”.
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?
Certo rimane memorabile il lirismo dell’incipit di “Conversazione in Sicilia”:
Io ero, quell’inverno, in preda ad astratti furori. Non dirò quali, non di questo mi sono messo a raccontare. Ma bisogna dica che ch’erano astratti, non eroici, non vivi; furori, i qualche modo, per il genere umano perduto. Da molto tempo questo, ed ero a capo chino.vedevo manifesti di giornali squillanti e chinavo il capo; vedevo amici, per un’ora, due ore, e stavo con loro senza dire una parola, chinavo il capo; e avevo una ragazza o moglie che mi aspettava ma neanche con lei dicevo una parola, anche con lei chinavo il capo.
Pioveva intanto e passavano i giorni, i mesi, e io avevo le scarpe rotte, l’acqua che mi entrava nelle scarpe, e non vi era più altro che questo: pioggia, massacri sui manifesti dei giornali, e acqua nelle mie scarpe rotte, muti amici, la vita in me come un sordo sogno, e non speranza, quiete.
Rimangono la passione per i libri e la letteratura, scoperta e passione giovanile:
È una fortuna aver letto quando si era ragazzi. È doppia fortuna aver letto libri di vecchi tempi e vecchi paesi, libri di storia, libri di viaggi e le Mille e una notte in special modo. Uno può ricordare anche quello che ha letto come se lo avesse in qualche modo vissuto, e uno ha la storia degli uomini e tutto il mondo in sé, con la propria infanzia.
Vorrei che iniziassimo un dibattito innescato dalle mie domande e da quelle che ci verranno in mente. Sono onorata di scrivere su Vittorini per orgoglio di comune siracusanità e spero che i miei concittadini prima o poi si sveglino dall’apatica quiete della non speranza.
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Vittorini editore e il suo rapporto con il cinema
di Salvo Zappulla
Vittorini è stato uno degli intellettuali più poliedrici del ventesimo secolo, autodidatta, letterato per vocazione, aveva una visione pessimistica della vita, una costante tristezza che esprimeva attraverso la scrittura. E’ stato sempre dalla parte degli ultimi, i lavoratori, gli oppressi. Loro sapevano che di lui potevano fidarsi, e lo amavano. Si definiva un solariano e questo termine ne racchiude altri che intendono antifascista, europeista, antitradizionalista. In poche parole: illuminista. Se consideriamo che egli dichiarava con forza le proprie idee, in un momento storico in cui un sistema autarchico consigliava una certa “prudenza”, ci possiamo rendere conto della grandezza di quest’uomo. E’ nota la sua collaborazione con la Einaudi per la quale curò la collana I gettoni che servì a lanciare autori come Calvino, Fenoglio, Romano, Rigoni Stern, Ottieri, Testori, Bonaviri ed altri. Altrettanto famoso – una macchia sulla sua coscienza di intellettuale – fu il suo rifiuto al romanzo di Tomasi di Lampedusa. Va precisato però che il romanzo subì prima un rifiuto da parte della Mondadori alla quale Tomasi di Lampedusa aveva inviato quattro capitoli tramite il cugino Lucio Piccolo. Il testo letto dai redattori (Ricci, Antonielli e Romanò) pur non ricevendo un giudizio del tutto negativo, non fu ritenuto idoneo alla pubblicazione. Vittorini in quel caso si limitò a dare il suo parere conclusivo senza leggere il dattiloscritto personalmente. Successivamente egli ricevette ancora parte del dattiloscritto affinché il romanzo venisse pubblicato su I gettoni, ma lo ritenne lontano per la sua idea della collana in quanto Il Gattopardo, emblema dell’inettitudine sociale e politica della nobiltà siciliana, era un tema ritenuto da lui piuttosto stantìo. Come sappiamo il romanzo verrà pubblicato da Feltrinelli nel 1958 a cura di Giorgio Bassani. Forse il suo rapporto con il cinema è il meno conosciuto rispetto alle molteplici attività di intellettuale. Alla fine degli anni Trenta non esisteva in Italia una vera e propria critica cinematografica e Solaria fu una delle prime riviste a dare ampio spazio a questo settore. Gli anni fiorentini (1930-1938) sono quelli in cui Elio Vittorini si avvicina alla critica cinematografica, anche se costituisce sempre un’attività marginale rispetto alla sua corposa produzione letteraria. Sono anni di difficoltà economica per la famiglia Vittorini, ed egli si presta persino a interpretare una parte nel film Romeo e Giulietta di Castellani. L’attività dello scrittore è frenetica ma l’impegno dedicato al cinema è autentico ed estremamente competente. Egli afferma: “L’essenza artistica del cinematografo è nel movimento”. E ad esso occorre, se necessario, sacrificare le bellezze accessorie. Quando si riferisce al movimento, di successioni, di immagini, di ritmo, si riferisce al montaggio così come è inteso dai grandi maestri dell’avanguardia russa. Aveva una grande passione per Charlie Chaplin, la cui arte – a suo parere – apparteneva alla storia. Era tale la stima per il grande comico, che nel numero 10 del Politecnico gli dedica un articolo, anche se non firmato, ma la cui impronta stilistica è inconfondibilmente sua. Vittorini attribuiva al cinema un ruolo fondamentale per l’educazione del popolo italiano e già, sempre nel Politecnico, secondo numero, pubblica un breve articolo dal titolo ”Il cinematografo dell’avvenire”, a cui fa seguito nel numero successivo un altro scritto a firma di Carlo Luzzari. Il cinema come specchio dei tempi e dei problemi sociali. Tutta l’attività di Vittorini si sviluppa all’insegna dell’impegno civile e ideologico, un neorealismo che non va inteso nel suo senso più ristretto ma che lascia spazio alla poesia, al lirismo, permeato da grande valenza etica. Sicuramente ha lasciato un segno tangibile sulla storia degli uomini.
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Vittorini e l’Isola
di Simona Lo Iacono
Si dice che l’uomo sia una scaglia di terra. Che sia nato da fango misto a saliva. Si dice che è questo a suggerirgli i passi. Che è la forma di quella terra a dar corpo al suo corpo. Parola alla sua parola. Sguardo al suo sguardo.
Si dice.
Ma non si dice soltanto.
Si sente.
Si sente se è grumo di montagna, goccia di lago, o sale di mare.
Si sente se è uomo di isola o di continente.
Ecco. Elio Vittorini fu uomo di isola. E lo fu due volte.
Perché non fu solo siciliano. Ma Siracusano. E di quella parte di Siracusa che è isola dell’isola: Ortigia.
Il nome pare venga da “quaglia”, perché Ortigia è un isolotto arpionato alla città e che dall’alto richiama la fisionomia di questo uccello.
Ma io che ci abito, io che ne respiro l’accroccato divincolarsi tra strade dai nomi ebrei, arabi, greci, io che saluto lo scudo della dea Atena che svetta dal Duomo sol che apra le mie finestre – io so che Ortigia non è nome di quaglia.
E che – anzi – non è neanche nome.
Piuttosto modalità dell’essere. Del vivere.
Del morire.
Tanto che non se ne può prescindere per comprendere l’opera di Vittorini. Né si può ignorare il suo essere contemporaneamente dentro la Sicilia e fuori di essa, quasi su un battello pencolante, che con uno sboffo di corrente potrebbe mollare gli ormeggi.
Doppia isola, dunque. E doppia solitudine. Doppio errare.
Doppio esilio.
Perché l’isolano è esule. E’ straniero.
Ma l’isolano che dall’isola passa ad un’altra isola è quasi un pellegrino di mare. Un eterno viandante. Un Ulisse meno precario che deve fare i conti con una stabilità sempre da rincorrere.
A tal punto scava in noi, la forma della terra.
A tal punto un duplice rimando ci costringe ad allungare lo sguardo – avanti e ancora avanti – a tal punto ci impone di sognare due volte.
E poi, allontanarsi due volte. Tornare due volte. Intascarsi non una, ma due manciate di nostalgia.
Credo che in questa somma di ostacoli sia da cercare anche il senso del viaggio. Della navigata che in “Conversazione in Sicilia” non solca solo lo stretto di Messina, non Scilla e Cariddi, non una fetta di mare.
Ma un portale. Un ingresso in una dimensione e poi in un’altra. Un varco tagliato da uno Stige.
Quando questo confine viene oltrepassato la memoria di ciò che ci precede vacilla. Perché rientrando in Sicilia e poi ancora in Ortigia, il passo si abitua all’ondeggio del mare.
Lo vedi che ti assale ovunque, se vai avanti, se guardi indietro, se torni a casa.
Ovunque, ovunque. L’acqua a frastagliarti addosso come un dolore. Di non poter che essere questo. Questo oscillare e questo complicato rientro che non si accontenta di compiersi come per gli altri.
Che per te si raddoppierà sempre.
A tal punto scava in noi, la forma della terra.
Sono molto lieto di aver aperto questo dibattito sulla figura di Elio Vittorini.
Vi invito a leggere i pezzi e a dire la vostra.
Che libri avete letto di Vittorini?
Che idea vi siete fatti?
E a chi non conosce Vittorini, che libri – di questo autore – consigliereste?
E poi, queste domande:
Chi è, cosa deve fare uno scrittore?
In che modo deve mettersi in relazione con la società?
Cosa può fare per la collettività?
E queste altre:
Cosa rimane di Elio Vittorini?
Quali sono stati i frutti della sua opera?
Riusciamo a scorgerli ancora oggi?
Vittorini è ancora un autore fecondo e vitale, a parte il suo ruolo di “editor” e organizzatore di cultura?
Il suo stile? L’ermetismo, il simbolismo allegorico? Sono ancora proponibili?
Dimenticavo.
Un ringraziamento a Maria Leone per il bel ritratto.
@Simonuccia. Sei sicura che il grande Elio sia nato a Ortigia? A me risulta che fosse originario di Sortino (fonti attendibilissime).
Eh no, caro Salvo, Elio Vittorini era ortigiano r”o Scogghiu, dello scoglio, come noi chiamiamo l’isola di Ortigia. Essere “dello Scoglio” era ed è un motivo di vanto per i Siracusani.
Vittorini nacque in via Vittorio Veneto, allora la Mastrarua, e sulla facciata sgangherata di quella che fu la casa dei nonni c’è una lapide che lo ricorda…
Te lo faccio dire proprio da lui.
“Siracusa è una città di marinai e di contadini costruita su un isolotto che un lungo ponte congiunge alla Sicilia. Io vi sono nato il 23 luglio 1908 in una casa da cui ho visto naufragare, quando avevo sette anni, un piroscafo carico di cinesi”.
Come Santa Lucia, Vittorini sarausanu jè…
🙂
Ne approfitto per salutare Salvo e Maria Lucia, che sono già intervenuti.
Chiedo a Maria Lucia, Salvo e Simona di darmi una mano a moderare e animare il post.
Ma certo! Ciao Massi! Chiuso per ferie l’Hotel Maugeri?
🙂
Torniamo seri.
Chi è, cosa deve fare uno scrittore?
In che modo deve mettersi in relazione con la società?
Cosa può fare per la collettività?
Rispondo in un modo che può sembrare fuori tema ma non lo è.
Ieri notte, alle 21.45, per un improvviso arresto cardiaco è morto Aleksàndr Solgenitsin.
Lo scrittore russo, dissidente perseguitato dal regime di Stalin, è l’autore di “Arcipelago Gulag”, “Divisione cancro” e “Una giornata di Ivan Denisovic”.
Nacque l’11 dicembre 1918, si laureò in matematica nel 1941, si arruolò come volontario nell’Armata Rossa. Per le sue critiche allo stalinismo fu arrestato, condotto alla famigerata prigione moscovita della Lubjanka, condannato a otto anni di campo di concentramento e al confino a vita.
Ricevette il Premio Nobel nel 1970, fu espulso dalla Russia nel 1974, anche se più tardi si riconciliò con la madrepatria.
A sedici anni ho letto “Arcipelago Gulag” che ha lasciato in me un senso di disprezzo contro la malvagità delle dittature, contro la loro miope e crudele determinazione al male, frutto in fondo di vuoto, stupidità, miseria spirituale.
Riporto le parole di Antonio D’Orrico, critico letterario:
L’importanza (ma la parola è inadeguata) di Solgenitsin, non per la storia della letteratura, ma per quella del mondo, è immensa. Spesso si dice, e con qualche ragione, che è stato Karol Wojtyla a far cadere il Muro di Berlino. Con molte ragioni in più va detto che è stato lo scrittore russo ad abbattere quasi da solo il socialismo reale e, addirittura, la filosofia da cui traeva ispirazione. Un’impresa titanica.
E ancora:
Vi sarete chiesti in qualche momento della vostra vita a che serva la letteratura. Ecco, la letteratura in alcune occasioni può servire a questo, ad abbattere un regime, a piegare un impero. E non è un’esagerazione. Basta pensare alla vita di Solgenitsin, prima ancora che leggere la sua opera; basta guardare i suoi libri, messi su un tavolo come i modelli per una natura morta, per capire quello che semplicemente è successo. Solgenitsin è una forza (come si dice in fisica, ma anche nei film di fantascienza di Lucas). Ricordate il ragazzo di Tienanmen davanti al carro armato? Solgenitsin è stato un po’ come lui, con l’aggiunta che il carro armato l’ha smontato a mani nude (ci sono mani più nude di quelle di uno scrittore?). Però Solgenitsin non è conosciuto quanto dovrebbe essere conosciuto (in Italia specialmente).
Che la terra gli sia lieve.
Dopo torno,
aspettatemi
🙂 🙂 🙂
Ti aspettiamo!!! Come si fa la faccina con gli occhiali?
🙂
Grazie, cara Maria Lucia.
Hai fatto benissimo a parlare di Aleksàndr Solgenitsin.
Mi piacerebbe che lo ricordassimo nella camera accanto 5.
Ringrazio gli amici della redazione di Kataweb per aver dato ampio risalto a questo post:
http://www.kataweb.it/blog/
–
Mi aspetto un’ampia partecipazione.
Fatevi avanti, su!
🙂
Salvo ha scritto del rapporto Vittorini-cinema.
Io ho visto “Il garofano rosso” con un giovanissimo Miguel Bosè al Museo del Cinema di Via Alagona a Siracusa, un gioiello nel cuore di Ortigia che custodisce pellicole, antichi proiettori, libri, locandine…
Non sapevo che Elio avesse recitato…
Cari siciliani,
un saluto affettuoso a voi e alla vostra bellissima terra.
Gestendo voi questo post da brivido (parlare di Vittorini mi pone difficoltà serissime) vi chiedo: quel pettegolezzo antico che ascrive ad Elio Vittorini l’autentica stesura de “La Pelle” di Malaparte, potrebbe avere una parte di verità?
Ne sapete qualcosa?
Io, da napoletano critico ho grande passione per quell’opera (così come per “Il mare non…” della Ortese).
Buon lavoro
Io credo che un intellettuale, una persona che ragiona con il proprio intelletto, deve essere sempre coerente con le cose che scrive e le idee che professa. Vita e arte devono camminare di pari passo. A che serve un grande scrittore, o un grande artista in genere, che scende a compromessi con il potere? “Uomini, uminicchi e quaquaraqua”. La celeberrima frase di Sciascia è valida ancora oggi. Vittorini si proponeva di modificare la società, di migliorarla attraverso la sua opera; era un idealista, un poeta. Il suo capolavoro”Conversazioni in Sicilia” è infarcito di slanci lirici, di immagini metaforiche e simboliche altamente educative. Ecco uno scrittore si deve proporre, affinchè il suo lavoro abbia un senso, di educare il suo popolo, non solo con l’arte ma anche con l’esempio.
@Didò. Non chiedere troppo al mio esile sapere, io ho ripetuto cinque volte la quinta elementare, poi mi sono fermato
ELIO VITTORINI è uno tra i più rappresentativi scrittori italiani contemporanei.
Di lui ho letto: “CONVERSAZIONE IN SICILIA”, un romanzo lirico con un senso del favoloso che ha avuto eco negli anni del dopoguerra. Dopo aver partecipato attivamente alla Resistenza e aver scritto una serie di romanzi e di racconti, svolse un’incisiva e impegnativa attività politico-letteraria. Con la pubblicazione delle riviste “Il Politecnico” e il “Menabò” con Italo Calvino, influì in maniera determinante sugli indirizzi e sul rinnovamento della cultura italiana, sostenendo famose polemiche sulla libertà dell’intellettuale e sui rapporti col potere politico.
Maria Luisa Papini Pedroni
Massi,
alla tua prima – bellissima – domanda :”Chi è, cosa deve fare uno scrittore” , farò rispondere direttamente l’interessato (Elio Vittorini, da una lezione sulla poetica):
“….Io gli scrittori li distinguo così: quelli che leggendoli mi fanno pensare “ecco, è proprio vero”, e che cioè mi danno la conferma di ‘come’ so che è in genere sia la vita. E quelli che mi fanno pensare “perdio, non avevo mai supposto che potesse essere così”, che cioè mi rivelano un nuovo particolare …”
Ecco, era ai secondi che Elio Vittorini si sentiva più vicino.
A quelli che aggiungono uno sguardo. A quelli che ti suggeriscono un modo nuovo di percepire la vita. O che della vita ti stillano gocce più amare, o più dolci, o più acerbe.
Lo scrittore credo sia quell’uomo che va in cerca di cose banali, per guardarle in modo diverso. O di lingua impura, per annodarla alla bellezza.O di giorni qualunque. Per farne giorni di poesia.
E’ questo lo scrittore. Niente più che un uomo con molti appunti nelle tasche. Con molti ritorni e molti arrivi alle spalle.
Non è un caso che il padre di Vittorini fosse ferroviere e che le rotaie rimandino uno sferragliare che somiglia al ritmo della metrica.
O alla voce narrante di molte storie.
Bene. Ringrazio tutti per i vostri commenti…
Simona, ci porta qui Vittorini in persona!!!
Brava, Simo. Grazie mille.
Mi permetto di evidenziare questa tua frase che mi pare vera e originale.
E’ questo lo scrittore. Niente più che un uomo con molti appunti nelle tasche. Con molti ritorni e molti arrivi alle spalle.
Didò,
conosco scrittori che farebbero la pelle ad altri scrittori.
Fare la pelle, sì… ma scriverla?
Mi risulta difficile immaginare Vittorini che scrive “La pelle” di Malaparte.
Saluto Maria Luisa Papini.
Ringrazio ancora Simo, Mari e Salvo.
E a tutti auguro buonanotte.
(Qui fa caldo… molto).
@Simona
mi hai di nuovo ammaliato con la tua recensione riportata qui sopra, che riecheggia nei miei orecchi come una musica poetica, dolce e raffinata.
Cari saluti
Lorenzo
Oh meno male, dopo lo scrittore-giornalista Paolo Di Stefano, esponente di una minoranza linguistica tirolese, finalmente Maugeri ci propone un letterato ligure, celebre per aver composto la maggior parte delle sue opere sotto la luce della lanterna.
Massimo, se i frequentatori di Letteraitudine si devono vestire da pupi e suonare Ciuri Ciuri con il marranzano dillo chiaro e tondo, non è un problema.
Nel merito. Ho letto Uomini e no e mi ha rotto le palle. Seppi, poi, che quando lavorava alla Bompiani, Elio Vittorini bocciò “Il gattopardo”. Per me calò il sipario su di lui. Un pensiero ai suoi cento anni, ma punto e a capo.
Innanzitutto ringrazio Massimo per il suo “benvenuta” di ieri. Ci siamo conosciuti alla libreria Megastorie, ma certamente tu non puoi ricordarti, dato che quella sera ti furono presentate decine di persone.
Qual è il ruolo dello scrittore chiedi, ma io andrei oltre, al ruolo dell’artista in generale.
Portare avanti l’individualità, intesa come centralità dell’individuo contro ogni tipo di omologazione, questo credo sia quello che da sempre, ma oggi in particolare l’artista si proponga.
L’affermazione della unicità dell’essere espresso in immagini suoni o parole. La sperimentazione di sentieri mai percorsi o ripercorsi come se non lo fossero mai stati.
La tanto abusata globalizzazione va vissuta come possibilità di fruizione generale dell’arte e della bellezza e non come appiattimento.
Ritorno a parlare del nostro stage all’Atelier sul mare (nostro inteso come mio, di Luce, di Simona e di Luigi Larosa, Francesco Costa e tanti altri) dove, come certo saprete, ogni camera è stata progettata da un artista ed è diversa da tutte le altre e non potrebbe che essere così.
Unicità come valore.
@gregori. Con chi te la vuoi prendere se mentre in Sicilia nascevano fior di scrittori – Pirandello, Verga, Sciascia, D’arrigo, vittorini – in grado di scrivere la storia della letteratura italiana, a Roma quattro rimbambiti si preoccupavano solo di frequentare i salotti delle nobildonne
Gregori,
Come è già stato messo in evidenza Vittorini rifiutò “Il Gattopardo” quando dirigeva la collana “Gettoni” per Einaudi, non per Bompiani.
Giusto celebrare Elio Vittorini in una ricorrenza importante come quella del centenario dalla nascita. Anche perché mi pare che oggi di intellettuali del suo calibro non ce ne siano in giro tanti.
Uomini e no è un gran libro. A volte i grandi libri sono quelli che riescono a dare fastidio, a rompere le palle.
Bellissimi gli interventi su Vittorini. Complimenti a tutti. Avete raccontato un autore in modo interessante e completo. Bravo anche Massimo che li ha coinvolti.
Non ho letto ‘Conversazione in sicilia’ ma l’incipit riportato da Maria Lucia Riccioli è superbo. Cercherò il libro.
Bellissima l’associazione di Simona con la terra e con Ortigia. Io credo che l’isola, la Sicilia, abbia influenzato tanto gli scrittori, e non solo scrittori ma tanti altri artisti che hanno respirato quell’aria e quell’atmosfera. Influenzato molto bene (è tanto che spero di farmi invitare colà per provare l’influenza benefica dell’isola su di me. vediamo se stavolta mi riesce) 😉
Insisto su Uomini e no, primo grande romanzo sulla Resistenza pubblicato subito dopo la fine della seconda guerra mondiale
http://www.italialibri.net/opere/uominieno.html
Vittorini è tra gli scrittori più rivoluzionari e rappresentativi della Sicilia dello scorso secolo. Non posso aggiungere nulla alle bellissime parole di Maria Lucia, Salvo e Simona. L’ho scoperto e amato i primi anni del liceo quando, inconsapevole e attratta dal titolo, ho letto “Uomini e no”. Mi sembrato troppo, allora, per una quattordicenne. L’ho riletto anni dopo, ho letto Conversazioni in Sicilia poi, e l’ho consacrato tra i miei preferiti.
@ tutti
tra due giorni parto e occupo un picolo spazio di questo bellissimo salotto per salutarvi e augurarvi, per chi non le avesse ancora fatte, delle magnifiche ferie, rilassanti e -se vorrete- di ottime letture!
Non avevo letto con attenzione l’intero post. Se era già stato messo in evidenza che Vittorini rifiutò “Il Gattopardo”, allora ho fatto una ripetizione per di più “corretta” da un errore, ossia confondere la Bompiani con la Einaudi. Ma il fatto resta, a prescindere dalla casa editrice nella quale lavorava.
Quanto a “Uomini e no” non ho detto che il romanzo sia brutto, ma che (a me) ruppe le palle. Ciò, ovviamente, non è un criterio di valutazione oggettivo, ci mancherebbe.
Ho conosciuto decine di persone (noti scrittori compresi) che si sono meravigliati del fatto che io abbia potuto leggere più volte I promessi sposi, I Malavoglia, la Divina Commedia o il Don Chisciotte. Tutti libri che, a loro, ruppero le palle ma che, sempre a me ovviamente, non sembrano inferiori a “Uomini e no”.
Ognuno ha il suo tasso di sopportazione. Credo che, data la brevità della vita e l’inevitabilità di alcune rotture di palle obbligatorie, aggiungervi anche quella della lettura di un libro sia tafazzismo cronico.
@ Salvo:
Che l’Ottocento e il Novecento siano stati impreziositi da autori siciliani non c’è dubbio.
Comunque, tra i romani contemporanei di Vittorini che perdevano tempo con le nobildonne, c’erano per esempio Alberto (Pincherle) Moravia, Tommaso Landolfi e Carlo Cassola.
Molti ricordano Vittorini per il celebre rifiuto del Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. Dimenticando però, che proprio con i Gettini Einaudi, Vittorini fu un grande scopritore di talenti, tra cui: Beppe Fenoglio, Carlo Cassola, Italo Calvino, Lalla Romano, Mario Rigoni Stern, Ottiero Ottieri
Carlo Cassola che, appunto, fu scoperto da Vittorini con i Gettoni (errata corrige del precedente commento, dove avevo scritto Gettini).
Ai siracusani. Credete che la vostra città abbia fatto molto o poco per Vittorini? Ci sono manifestazioni in corso per il centenario?
@Morena…
se è tanto che cerchi di essere invitata in Sicilia, non puoi che accettare il mio invito!
Tra l’altro abito in Ortigia, come ho detto nella recensione, proprio a due passi dalla casa natale di Vittorini, Via Vittorio Veneto, da tutti gli ortigiani chiamata “Mastrarua”, cioè “Strada maestra”, snodo principale dell’isolotto e sede dei palazzi nobiliari più importanti.
La Mastrarua e la via che la taglia (la via Maestranza, dove abito) costituiscono le arterie di contenimento del quartirere ebraico (la giudecca), dove Elio Vittorini giocò da bambino, mescolandosi ai vicoli dai nomi di speziali, mercanti, acquaioli, perchè gli ebrei avevano l’abitudine (essendo per lo più abilissimi uomini d’affari) di dedicare le proprie vie ai mestieri che vi si praticavano.
C’è ancora una bottega – proprio alle spalle di casa mia – dove Vittorini viene ricordato. E’ una stanza carica di alimentari e pani aperti a metà con olio, origano e basilico, in cui ci si intrattiene come in un salotto e si discute per ore (politica, fatti di cronaca, musica, persino libri). Durante i campionati di calcio è impraticabile perchè il proprietario – tifoso sfegatato della Juve e incallito pescatore, oltre che amante dei libri di storia patria- si fa venire la febbre se la sua squadra perde.
Qui ho sentito descrivere Vittorini come un signore distinto e fascinosissimo, occhi cespugliosi e ambrati, baffetti impeccabili, bastone da passeggio e paglietta ben calcata sulla testa.
Al liceo classico Tommaso Gargallo , invece (sempre incuneato tra le strade di Ortigia), il suo nome aleggiava tra le bocche di noi studenti come uno tra i più importanti…un alunno illustre che aveva frequentato quella scuola e che traspariva da qualche foto color fumo di seppia , da cui sorrideva senza tempo e senza nostalgia.
Un ragazzo come tanti assiepato tra compagni irrigiditi in giacca e cravatta, ritto al centro del chiostro e distratto solo dall’obiettivo.
Le nostre foto di gruppo, nel medesimo chiostro (il liceo è ricavato da un vecchio convento di carmelitane) e nella medesima classe che lui occupò, ci ritraggono più indisciplinati e disordinati. Le labbra di noi ragazze già modellate dai lucidalabbra e quelle dei ragazzi a stento contenute su risatine maliziose.
Ma gli occhi sono gli stessi di quella “prima A” del mezzo secolo che ci aveva preceduti : il futuro davanti. La vita davanti. Quella sospensione che ancora ci lambiva e prometteva. Le pupile lucide sul riflesso delle nostre speranze.Amori. Progetti. Sogni, sogni, sogni…
Carlo Cassola, prima di approdare a “Gettoni” aveva pubblicato romanzi, racconti, interventi e quant’altro per almeno 15 anni. La sua notorietà era già decisamente solida grazie anche al fatto (davvero insolito) che lo scrittore era molto stimato dal regime fascista.
@ Simona
leggere il tuo commento è già sentirsi in Ortigia.
Grazie dell’atmosfera che ci hai regalato.
Salirei subito sull’aereo. Sono anche molto tentata (vista l’ora) da quel pane aperto a metà e condito con olio, origano e basilico.
Italo Calvino nutriva senza dubbio ammirazione per Vittorini. Ammirazione che poi portò a una solida amicizia tra i due. Mi sembra che Calvino collaborò a una rivista diretta da Vittorini (Il Politecnico mi pare). Ma da qui a dire che Vittorini scoprì Calvino ce ne corre.
Peraltro, almeno io, non ho detto che Vittorini fosse uno scribacchino, ma solo che “Uomini e no” mi ruppe le palle. E che non me lo rese gradevole il rifiuto de Il Gattopardo.
Se poi, in seguito o contemporaneamente, abbia scoperto Calvino, Fenoglio, la penicillina e una miracolosa pomata per le vene varicose, non me lo rende più gradevole. Ferma restando la sua grande statura di letterato.
@ Simona: da qualche tempo la mia piccola quota di sangue siculo (nonna materna di Naso, provincia di Messina) ribolle e cerca di spingermi a tornare in Trinacria dalla quale manco dal 1985, anno dell’ultima vacanza in quel di Capo d’Orlando (quello dove si martellano le targhe dedicate a Garibaldi, per intenderci). Leggere le tue parole su Siracusa mi ha suggestionata al punto che partirei oggi stesso. Non so, ma qualsiasi cosa leggo sulla Sicilia, ultimamente, me la fa vedere come una terra tutta da (ri)scoprire e da vivere, cogliendo spunti che durante infanzia e adolescenza non ho saputo cogliere. Ci sono sensazioni nel tuo modo di descrivere l’Ortigia che vanno al di la’ dell’omaggio a Vittorini.
E tornando al tema del post: ho letto “Uomini e no” e mi e’ piaciuto molto anche se il tempo ne ha stemperato il ricordo e forse e’ arrivato il momento di riprenderlo, rileggerlo, riassaporarlo. Lo faro’.
Rispondere poi alla domanda su chi e’ e cosa deve fare uno scrittore… e’ difficilissimo. Riprendo la suggestione fornita dal precedente post su Firmino. Uno scrittore e’ uno che osserva il mondo, ne coglie spunti e poi li elabora, dando loro un senso. Non e’ detto che questo senso sia quello giusto o che sia assolutamente originale. Ma e’ un senso e tra gli scrittori, riprendendo quanto detto da Vittorini, preferisco quelli che, dopo letti, mi fanno dire: si, e’ proprio cosi’.
Laura
@ Gregori: hai sbagliato a digitare il link del tuo blog.
@Enrico,
è bellissimo ricordare i rapporti tra Calvino e Vittorini!
Calvino, per esempio, rimproverò a Vittorini di UOMINI E NO di aver permeato il romanzo di poco distacco, di avergli dato toni romantici, autoreferenziali.
E “NEL SENTIERO DEI NIDI DI RAGNO” prese consapevolmene una strada diversa, oggettivando l’azione, facendo parlare le sequenze narrative, realizzando quella fusione tra paesaggio e personaggio che è una tra le più lucide compenetrazioni di realtà e sguardi che la letteratura possa concepire.
Eppure, questo scambio di visuali e reciproci rimandi, fu costruttivo.
Calvino si confrontò con Vittorini e gli diede in lettura le sue opere. Fu consapevole che il proprio antifascismo non era nato – come per Vittorini – dall’esperienza viva e aperta della storia- ma da un’impostazione familiare ed educativa che lo rendeva più distante dal testo e meno coinvolto emotivamente.
Leggerei queste due figure come due grandiose tessere di un mosaico, diverse per colore e forza, incasellate l’una accanto all’altra, l’una dopo l’altra, fiato su fiato. Contaminazione su contaminazione.
@ laura:
ti ringrazio. ma (come ho accennato qui e là), sono sorti alcuni discguidi sul mio pc da quando un “tecnico esperto” ha proceduto a una sorta di revisione. Visti i risultati mi sono già ripromesso di revisionare sua sorella, ma il fatto è che la signorina è parecchio gettonata. Il mio turno arriverà.
@ Laura e a tutti:…vabbè, facciamo così, il prossimo incontro si tiene qui a Siracusa, a casa mia. Pranzo siculo(caponata, pesce di scoglio, involtini di melenzane, pasta alla norma, cassate, cannoli di ricotta e moscato), tuffo a mare (sotto casa), pennichella(la controra è sacra), visita guidata alla casa di Elio Vittorini, alla giudecca, alla mitica bottega del sig. Salvo Di Noto (che sciorinerà tutte le ascendenze di Vittorini per l’occasione), serata sotto vento di scirocco alla marina. Io e Mara Lucia cantiamo, Salvo paga, Massimo suona, gli ospiti applaudono.
Gregori ha ragione. La parola “scoperto” è eccessiva. Diciamo che Vittorini ha contribuito a dare grande visibilità agli autori che ho citato.
A proposito di Cassola e Calvino.
Ecco cosa Calvino scrisse causticamente per rispondere ad alcuni interventi di poetica pubblicati da Cassola sul «Corriere della Sera»:
«La poetica dell’ineffabilità dell’esistenza è e resterà legata a esperienze individuali rare, a particolari congiunture storiche. Cassola dice che ha trionfato: non si rende conto che questo trionfo è una sconfitta? Cosa può voler dire questo trionfo, oggi? Romanzi sbiaditi come l’acqua della rigovernatura dei piatti, in cui nuota l’unto dei sentimenti ricucinati».
@ Simona: guarda che io ho gia’ prenotato il volo :-))))
un ricordo personale, per me.
mio padre diceva sempre che per lui l’ ”americana” di vittorini era stata una svolta.
la lesse quattordicenne, imbottito di dottrina fascista.
l’unico dubbio lo aveva avuto il giorno della dichiarazione di guerra, quando, avendo sentito il discorso di mussolini in un locale pubblico dove era con la zia, costei, fascista sfegatata, alla fine gli aveva dato due lire per alzarsi in piedi e gridare ”viva il duce”.
lui l’aveva fatto. poi si era guardato intorno, e aveva visto volti impietriti e sguardi attoniti.
e avrebbe desiderato sprofondare.
beh, l’anno dopo, credo, uscì ”americana”. e gli aprì orizzonti nuovi, e gli diede nuove consapevolezze.
per me vittorini, al di là di ”conversazione in sicilia” e ”uomini e no” , che peraltro all’epoca mi piacquero parecchio, rimarrà sempre questo.
“E poi, queste domande:
Chi è, cosa deve fare uno scrittore?
In che modo deve mettersi in relazione con la società?
Cosa può fare per la collettività?”
A proposito, vorrei capire se Vittorini, al pari di Sciascia già menzionato, abbia offerto interpretazioni sulle mentalità mafiose e se sia impegnato pubblicamente contro una certa schiavitù dei suoi conterranei.
Qualcuno ne sa qualcosa?
Saluti.
L’impegno di Vittorini contro la mafia non può essere minimamente paragonato a quello di Sciascia.
Però bisogna considerare il periodo storico.
Vittorini nasce nel 1908. Il Vittorini scrittore e intellettuale comincia la sua attività nel secondo dopoguerra. La mafia come argomento letterario, usato anche per risvegliare le coscienze arriva dopo. Con Sciascia, fondamentalmente.
Il giorno della civetta è pubblicato nel 1961.
Vittorini muore nel 1966.
Caro Real
Il primo vero impegno sociale e letterario contro la mafia si deve a Sciascia. Il Giorno della civetta ( 1961) fu un vero spartiacque che denunciò per la prima volta persino l’esistenza della mafia, dai più liquidata come una fantasia popolare.
A questa visione, purtroppo, contribuì anche la letteratura, piuttosto arenata in una visione mitologica e romantica del fenomeno, che assimilava la figura del mafioso a quella di un brigante fascinoso e radicato nel sentimento popolare.
Per trovare significative tracce di Cosa Nostra nelle opere letterarie bisogna risalire alla commedia I mafiusi di la Vicaria (1863) di Giuseppe Rizzotto e Gaspare Mosca. Ma si dovrà arrivare alle inchieste parlamentari di Franchetti e Sonnino o quelle giudiziarie di prefetti come Filippo Gualtierio per comprendere che la mafia esiste, e che è un insidioso miscuglio di sangue e potere.
La letteratura, invece, come ti ho detto, era poco consapevole delle implicazioni future.
Un esempio è dato da Luigi Natoli che nella settecentesca associazione dei Beati Paoli, che diede il nome al suo romanzo più famoso,non vide un fenomeno riducibile alle successive consorterie mafiose.
Una lettura al cui fascino non resterà estraneo neanche il Capuana dell’Isola del sole.
Tuttavia senza Vittorini non ci sarebbe stata la coscienza critica di Sciascia.
Attraverso le sue opere Vittorini propose “progetti per una nuova civiltà alternativa e diversa dalla realtà visibile”. Nel gennaio 1946 pubblicò, ne “Il Politecnico”, la presentazione del primo numero di Les temps modernes, una rivista diretta da Jean-Paul Sartre, in cui elaborò il concetto di ‘engagement’ cioè l’impegno sociale e civile degli artisti, per frapporsi alle ingiustizie sociali.
Con Vittorini insomma, venne alla luce in Sicilia la letteratura d’impegno.
–
Comunque per un’ ampia ricognizione sul tema della presenza in letteratura dell’essere e del sentire mafioso puoi consultare “Letteratura e mafia” di Sciascia (1964)
Non ho più riletto Vittorini da molti anni. Quel che posso esprimere qui dunque è la semplice gratitudine nei suoi confronti, perchè è stato uno degli autori che ha ampliato il mio amore per la letteratura, all’inizio del mio percorso da lettore “adulto”.
Ricordi ed emozioni (ed evito di addentrarmi negli errori di Vittorini, a mio parere esageratamente sottolineati, e quasi inevitabili): egli ha pubblicato per la prima volta due degli autori italiani che maggiormente amo: Bonaviri e Rigoni Stern. Mi ha aperto, insieme a Pavese, un mondo vitalissimo, con la traduzione dei migliori autori statunitensi della metà del Novecento, quando ancora gli scrittori italiani si seppellivano sotto strati di orpelli letterari. Vittorini mi ha spinto, senza mezzi termini, fin da ragazzino, nello spavento della guerra, con “Uomini e no”, mi ha profondamente emozionato, quando avevo vent’anni, con il suo diario di viaggio “Sardegna come un’infanzia”, mi ha fatto conoscere una pagina magnifica di reportage giornalistico antelitteram, con la traduzione dell’opera di Daniel De Foe, “La peste di Londra”, letto tanti anni fa – una delle sue traduzioni forse tra le più ignorate.
Grato a Vittorini dunque, e anche a Massimo e ai compagni di viaggio di Letteratitudine per questa fertile discussione.
D’accordo infine con Massimo nel ritenere che (faccio riferimento a un suo recente articolo giornalistico), con l’ipotetica inesistenza degli autori siciliani, la letteratura italiana perderebbe gran parte della sua vitalità (il settanta per cento? giusto per essere moderati, ma azzarderei anche di più).
Un caro saluto a tutti i letteratitudiniani… se le mie parole o quelle di Simo e Salvo saranno riuscite a guadagnare un altro lettore ad Elio, il nostro lavoro sarà servito a qualcosa…
A Real: l’impegno di Vittorini è più contro le condizioni che rendono gli uomini umiliati e offesi che contro la mafia. Il suo antifascismo invece e la sua adesione agli ideali della Resistenza, nonostante una giovanile ubriacatura per le idee del fascio, non possono essere messe in discussione. Elio superò le differenze di ceto, addirittura di idee politiche, per vedere nell’altro, nell’uomo nuovo, liberato, reso a se stesso, un essere umano.
A tutti: le mitiche pr aretusee vi accoglieranno con gioia!
A Didò: Malaparte e Vittorini? Non ne so molto, ma non credo sia vera quella leggenda letterar-metropolitana…
Mavie: brava. Unicità contro appiattimento. Questo è arte. Lo sguardo che ci è proprio.
Siracusa non si è mai spellata più di tanto le mani per rendere omaggio ai suoi figli illustri…
Per il centenario, il 16 giugno è stata organizzata una serata. E’ stato stampato un volumetto edito da Arnaldo Lombardi Editore, distribuito anche con il quotidiano “La Sicilia”, come già i precedenti su Platone a Siracusa e August von Platen. Corrado Piccione ha illustrato la figura del padre di Vittorini, Sebastiano, che ha ispirato varie figure dell’opera del figlio. Ferroviere, attore, storico del teatro. Un personaggio.
Certo non molto.
Non sono lontani i tempi descritti da Alfredo Mezio, coetaneo e sodale di Vittorini, il Tarquinio de “Il garofano rosso”.
“Siracusa non era un vivaio di intellettuali”.
Si spera nella “Casa Vittorini” con annessa biblioteca…
A Didò: Minimum Fax ha pubblicato “Ortese segreta” – ritratto intimo di Anna Maria Ortese, di Adelia Battista. La prefazione è di Lia Levi.
Pessimo scrittore e ancora più pessimo uomo. Sinceramente lo ricordo solo per il fatto d’aver rifiutato quel CAPOLAVORO che è “Il gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Vittorini, giusto uno scrittorino borioso e insignificante, che ha fatto più del male che del bene alla Letteratura. Gli riconosco un solo merito: quello d’aver tradotto alcuni must della grande Letteratura mondiale, quali William Faulkner e David Herbert Lawrence, e perché no, anche il più popolare E.A. Poe. Non lo considero neanche uno scrittore minore o popolare.
Ottimo scrittore e ancora più ottimo uomo. Sinceramente lo ricordo per tante cose, e non per il fatto d’aver rifiutato quel CAPOLAVORO che è “Il gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Vittorini, uno scrittore attento e fondamentale, che ha fatto indubbiamente del bene alla Letteratura. Tra gli altri meriti gli riconosco quello d’aver tradotto alcuni must della grande Letteratura mondiale, quali William Faulkner e David Herbert Lawrence, e perché no, anche il più popolare E.A. Poe. Non lo considero un grande scrittore.
Di più.
Un grandissimo.
Giuseppe, ha già risposto Lina per me. Certo, i gusti letterari, le mode scrittorie cambiano, le preferenze personali non sono certo in discussione, però non si può bollare Vittorini per il “gran rifiuto” di Tomasi di Lampedusa. Forse il romanzo avrebbe davvero stonato nella collana dei Gettoni di Enaudi, con il suo pessimismo siciliano, la nobiltà decadente, tutti temi che ad Elio forse sembrarono poco attuali nonostante lo stile sublime.
Vittorini è un esempio di intellettuale impegnato sul serio, libero e audace, pronto a rivedere giudizi e posizioni.
Tornerò sull’argomento. Bene, vedo che il dibattito si accende…
Enrico, forse dovresti leggere non i romanzi di Vittorini, lontani credo dal tuo stile, ma le prose sparse, gli articoli, i saggi di critica…
Ehm… “popolare” Edgar Allan Poe?!?!
Nel senso della Ortese, credo. Lei si lamentava che il lettore comune conoscesse solo un certo Poe e non tutta la sua opera, complessa e non riducibile al genere horror o thriller.
Cara Maria Lucia, ho girato un bel pò di librerie ma “Ortese Segreta “non l’ho proprio trovato, verrò al corso impreparata oppure me ne farai una sintesi all’aeroporto.
Io lo sto leggendo grazie a Silvana Scrofani che me l’ha prestato…
poi ti riassumiamo…
Ciao Mavie!
Grazie mille per i numerosi commenti.
Che bel dibattito!!!
—
Replicherò ad alcuni (partendo dal basso).
Ehm… ha citofonato il ragazzo delle pizze.
Replicherò più tardi.
Pizza mangiata, ma non ancora digerita.
Allora…
Partndo dal basso, mi ricolleggo al commento di Giuseppe Iannozzi.
—
Caro Giuseppe, non ti piace Vittorini.
E va bene, mica deve piacere per forza… ci mancherebbe.
Tutto sommato credo di poter sintetizzare il tuo commento così:
– non ti piace Vittorini
– non gli perdoni il rifiuto de “Il Gattopardo”
– gli riconosci però il merito di aver tradotto (e introdotto) gli autori americani (mica poco, però).
A proposito di Edgar Allan Poe…
In periodo fascista la lettura degli autori stranieri non è che fosse particolarmente favorita. Quei pochi che facevano riferimento a Poe – con integralismo linguistico – lo chiamavano Edgardo Alano.
Edgardo Alano Poe.
Proprio così… Edgardo Alano.
E non è che scrivesse da cani.
Come si fa a barattare Vittorini con quattro pizze? Maugeri vergognati! Ottimo dibattito. Io sono appena rientrato da un matrimonio. Lì si che si sbafava. Interverrò ancora più tardi.
Per ricollegrami al discorso…
Gea scrive: “mio padre diceva sempre che per lui l’ ”americana” di vittorini era stata una svolta.”
—
Gea e suo padre hanno più che ragione.
Anche per me l’antologia “Americana” ha avutoun ruolo fondamentale.
Peraltro ricordo che uscì una prima edizione nel 1941. Ma la censura fascista contestò le note critiche (opera dello stesso Vittorini) e sequestrò l’antologia. “Americana”, però, fu rimessa in vendita l’anno successivo da Bompiani… con l’eliminazione di quasi tutte le note critiche.
Ancora più grave, Salvo.
Le pizze erano due.
Ancora su “Americana”.
I brani inseriti nell’antologia furono scelti dallo stesso Vittorini e gli autori inclusi (tutti narratori americani) erano allora quasi del tutto sconosciuti in Italia. L’opera offre un’ampia scelta di brani di autori del calibro di: Poe, Hawthorne, Melville, James, London, Hemingway, Steinbeck.
Voglio dire…
Un saluto e un ringraziamento a Gaetano Failla.
Immagino che nel tuo commento delle 2:48 pm ti riferissi al mio articolo pubblicato su “Il Mattino” del 29 luglio, giusto?
Real chiedeva:
“vorrei capire se Vittorini, al pari di Sciascia già menzionato, abbia offerto interpretazioni sulle mentalità mafiose e se sia impegnato pubblicamente contro una certa schiavitù dei suoi conterranei.”
Direi che hanno ottimamente risposto Lina, Simo e Mari.
Per cui non aggiungo nulla.
Bellissimo il commento “ortigiano” di Simona delle h. 11:28 am.
(Simo, mai pensato di scrivere un saggio su Ortigia? Se un giorno dovessi pubblicare qualcosa del genere… be’, ti prometto che sarò il tuo primo acquirente).:-))
Intanto, prima che lo dimentichi, consentitemi di augurare buon viaggio e buone vacanze all’ottima Silvia Leonardi.
—
E intanto ne approfitto per salutare (e ringraziare) tutti coloro che non ho citato.
@ Enrico
Ti prometto che al più presto inviterò una comitiva di scrittori tirolesi.
Hanno scritto un romanzo con allegato un cd musicale.
Dicono che vogliono essere alternativi e di classe. Dicono che saranno i “Tiro Mancino” della scrittura.
Si chiamano i “Tiro Lesi”.
—
Intanto ti anticipo che il prossimo post sarà dedicato al nuovo romanzo di Roberto Alajmo. Come sai Alajmo è di Palermo. E sai pure che Palermo è più a nord, rispetto a Siracusa e a Catania.
Indi, non lamentarti.
Scherzi a parte…
In un altro commento Enrico ha citato Alberto Moravia (autore romano che amo più di lui, se non ricordo male).
Il centenario della nascita di Moravia è stato celebrato l’anno scorso.
Letteratitudine l’ha ricordato qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/11/25/ricordando-alberto-moravia/
(Giusto per non dimenticare)
Prima di chiudere torno ancora sull’antologia “Americana”.
(Domani, magari, parleremo delle riviste).
Ecco cosa Cesare Pavese, collaboratore dell’antologia “Americana, scrisse al curatore Vittorini (il riferimento è all’edizione del 1942).
—
Milano, 27 maggio 1942
–
Caro Vittorini,
ti sono debitore di questa lettera perché penso ti faccia sapere che siamo tutti solidali con te […] e tutto il pregio e il senso dell’Americana dipende dalle tue note. In dieci anni dacché sfoglio quella letteratura non ne avevo ancora trovato una sintesi così giusta e illuminante. Voglio dirti questo, perché certamente quando le tue note correranno il mondo in Piccola storia della cultura poetica americana, salterà su chi rileverà che esse sono estrose sì ma fantastiche. Ora, va gridato che appunto perché fanno racconto, romanzo se vuoi, invenzione, per questo sono illuminanti. Lascio stare la giustezza dei singoli giudizi, risultato di altrettante intime monografie informatissime, e voglio parlare del gioco tematico della tua esposizione, del dramma di corruzione purezza ferocia e innocenza che hai instaurato in quella storia. Non è un caso né un arbitrio che tu la cominci con gli astratti furori, giacché la sua conclusione è, non detta, la Conversazione in Sicilia. In questo senso è una gran cosa: che tu vi hai portato la tensione e gli strilli di scoperta della tua propria storia poetica, e siccome questa tua storia non è stata una caccia alle nuvole ma un attrito con la letterat.[ura] mondiale (quella letterat.[ura] mondiale che è implicita, in universalità, in quella americana – ho capito bene?), risulta che tutto il secolo e mezzo americ.[ano] vi è ridotto all’evidenza essenziale di un mito da noi tutti vissuto e che tu ci racconti.
C’è naturalmente qualche minuzia su cui dissento (la Lettera Scarlatta più forte dei Karamazov; la Nuova Leggenda che troppo fa pendant alla prima; qualche generalità su Whitman e Anderson ecc.) ma non contano. Resta il fatto che in 50 pagine hai scritto un gran libro. Non devi insuperbirti, ma per te esso ha il senso e il valore che doveva avere per Dante il De Vulgari. Una storia letteraria vista da un poeta come storia della propria poetica.
Non ho fatto tempo a leggere le traduzioni perché ho mandato il libro al legatore. Mi sono piaciute le illustrazioni.
Arrivederci, caro Vittorini.
Cesare Pavese
Ed ecco come Elio Vittorini risponde a Pavese
—
Milano, 25 giugno 1942
–
Mio caro Pavese,
scusami il lungo silenzio, ma io non potevo rispondere a una lettera come la tua. Troppo forte e bella, troppo obbligante. E ancora in questo momento non rispondo, né ti ringrazio, ti dico solo che posso accettarla come un prezioso gesto di amicizia. Naturalmente mi sono attaccato alle riserve per poter avere verso di te motivi di normale gratitudine. Queste sono giustissime; tutte esatte; e ne terrò conto per una revisione del lavoro, quando mi sarà permesso di pubblicarlo. Dovevi aggiungere che le illustrazioni avrei potuto sceglierle meglio col meraviglioso materiale che si aveva in circolazione alcuni anni fa. E le didascalie per le medesime non le trovi sforzate in modo da generare equivoci? Io mi sono lungamente disperato al riguardo.
Spero di poter venire un’altra volta a Torino abbastanza presto per passare un’altra bella giornata con voialtri.
Tuo aff.mo
Vittorini
Saluti a Pintor e Einaudi.
Vorrei spendere due parole su Vittorini uomo. Uomo vero, di quelli che difficilmente piegano la testa. Ricordiamoci che l’Italia in quel periodo viveva sotto il tallone di piombo degli squadroni fascisti e Vittorini appena quattordicenne si era legato ai gruppi anarchici locali, non intendendo sottomettersi al fascismo. Già questo la dice lunga sul suo spessore di uomo impegnato. Fu anche perseguitato dalla polizia. Consideriamo pure il fatto che era autodidatta, veniva da studi tecnici imposti dal padre, lontani dalle sue vocazioni. Nonostante questo esercitava grande carisma sui compagni, uomo di poche parole ma dai concetti profondi; lo adoravano per la sua semplicità, lo sentivano sincero, animato da fervore autentico e patriottico. Tutto questo si trasmetteva sui suoi romanzi, i quali possono piacere o meno, ma sono impregnati del sudore della sua gente, del popolo, degli oppressi. Sono crudi e non sanno di artificio letterario. Se poi si considera ancora che abitava a due passi dalla nostra Simona, sentiva il profumo dei suoi manicaretti senza mai riuscire a beccare uno straccio di invito a cena il poveretto, penso che meriti tutta la nostra comprensione…
@ Mavie Parisi (risposta a tuo commento 5 Agosto 2008 alle 8:47 am)
Mi scrivi: “Ci siamo conosciuti alla libreria Megastorie, ma certamente tu non puoi ricordarti, dato che quella sera ti furono presentate decine di persone”.
—
Cara Mavie,
in effetti non ricordo benissimo (però ricordo la serata alla Megastorie). Spero di incontrarti di nuovo molto presto, così potrò memorizzarti a livello visivo.
Grazie per essere qui!
Bene. Per stasera chiudo qui.
Vi saluto e vi auguro buonanotte.
Vi lascio nelle mani di Salvo (che è on line e saluto), di Maria Lucia e di Simona.
E di tutti coloro che potranno intervenire.
@ massimo:
2 pizze, e con vittorini fanno 3.
Tiromancino Tiro Lesi:
ma che medicine stai prendendo nella convalescenza?
ovviamente sono qui in trepida attesa per il post su Alajmo. E’ vero, con Palermo siamo decisamente verso Nord. Ma non dimenticarti che qui hai ospitato anche un post su “Allo specchio” di Slivia Leonardi la quale è di Messina. Praticamente Scandinavia
🙂
@Massi..
bellissimo il carteggio che proponi!
Credo siano bellissime anche queste parole scritte da Vittorini a Togliatti su “Il Politecnico” nel 1947:
«Rivoluzionario è lo scrittore che riesce a porre attraverso la sua opera esigenze rivoluzionarie diverse da quelle che la politica pone; esigenze interne, segrete, recondite dell’uomo ch’egli soltanto sa scorgere nell’uomo…»
@ Massimo
Sì, Massimo, mi riferivo al tuo articolo sugli autori siciliani pubblicato su “Il Mattino” del 29 luglio. Ciao ciao.
–
Vittorini e “Americana”: un autore che generalmente si dimentica di quell’antologia è William Saroyan, un grande scrittore di origine armena, in questi ultimi anni, per fortuna, un po’ resuscitato dalle edizioni Marcos y Marcos.
–
Borges amava citare come esempi di stile eccelso E. A. Poe, R. L. Stevenson, H. James e pochi altri. E sono del tutto d’accordo con lui.
“se le mie parole o quelle di Simo e Salvo saranno riuscite a guadagnare un altro lettore ad Elio”
Be’, a me è venuta voglia di prenderlo in mano (è vero, come ha già scritto qualcuno: quell’incipit là in alto colpisce).
Lo leggerò non solo per i begli articoli che aprono la discussione, ma proprio (anche) per la discussione che ne è seguita e, tra i mi piace e i non mi piace, fa semplicemente venire voglia di saperne di più.
Sono in movimento e ho poco tempo per le riflessioni, dico solo questo.
Quando consideriamo questi autori, il Novecento italiano, non dimentichiamoci mai il contesto e soprattutto il ruolo di orientamento , confronto e formazione che ebbero le riviste letterarie (fino al 38). Ripreso poi, nell’immediato dopoguerra, dalle case editrici, particolarmente dall’Enaudi. Su cui non sarebbe male, forse, aprire un dibattito: l’egemonia culturale, tra influenze e contaminazioni. E a proposito delle suggestioni ricordo che John Steinbeck, scrisse Uomini e topi nel 1937.
Mi rimetto in movimento, ma chiedo agli amici salvo, Maria Lucia , Simona e Massimo di fare un salto nella Camera accanto.
Ciao
Confesso: Vittorini non l’ho mai letto, non mi ha mai attratto particolarmente. Ma non credo possa essere lapidariamente giudicato per non avere riconosciuto la grandezza del Gattopardo. Chi è senza peccato scagli la prima pietra.
Ma mi interesserebbe sapere se in seguito si fosse ravveduto o se invece fosse rimasto testardamente attaccato alla sua prima idea:
errare humanum est, sed perseverare diabolicus!
@Gaetano
Saroyan è stato l’autore che mi ha aperto un mondo all’età di 11 anni. E’ leggendo la “commedia Umana” che ho capito che i libri potevano parlare di altre cose che non di eroi ed avventure: o che gli eroi e le avventure possono essere diversi, e nascondersi nei fatti della vita di chiunque. Una vera lettura “di formazione” per me.
@ Didò,
in realtà i “pettegolezzi” su Vittorini e Malaparte nascono dal fatto che dal 1927 proprio grazie all’amicizia con Curzio Malaparte, Vittorini comincia a collaborare con «La Stampa». Fu un grande sodalizio, tanto che quando , nell’estate del ’28 , nascerà il suo primo figlio (dall’unione con la sorella di Quasimodo) verrà chiamato, in omaggio a Curzio Malaparte, Giusto Curzio.
Ma in realtà i “pettegolezzi” su Vittorini sono moltissimi e gli si attrbuiscono molte “gesta” mai avvenute ( e alimentate un po’ dal suo carattere ribelle, basti pensare che durante l’adolescenza si allontanava frequentemente dalla famiglia per viaggiare qua e là usufruendo dei biglietti ferroviari del padre!)
Altri due “pettegolezzi” su Vittorini, ma ORTIGIANI (fonte : la bottega del Sig. Di Noto, alla Giudecca).
1)nel 1923 la classe di ragioneria di Vittorini si trasferì al liceo classico.L’archivio conserva le foto e i compiti in classe. Per qualche mese i ragazzi vissero gomito a gomito, e Vittorini sperimentò il confronto con studi più affini alla sua natura.
Gli ortigiani hanno la pretesa di pensare che fu quel contatto a innestare in lui la vocazione letteraria (in realtà maturata seguendo il padre ferroviere nei suoi viaggi e a contatto con un “mondo in movimento”).
E’ invece vero che nell’occasione Vittorini venne a contatto con un gruppo di anarchci siracusani che accentuarono alcuni aspetti “ribelli” del suo temperamento.
–
2)Vittorini lasciò presto la famiglia ( e la scuola) per intraprendere la propria strada artistica. In bottega alla giudecca GIURANO che non si diresse a Gorizia ma che rimase qui, facendo credere a tutti di essere partito ( e che questa fu l’ocasione per conoscere la sorella di Quasimodo, in realtà conosciuta anni dopo).
Leggende isolane, insomma… (la buonanima del padre del Sig. Salvo Di Noto, proprietario della bottega, diceva anche di portargli il latte tutte le mattine).
@Salvo:
Diciamo che – grazie a Dio – non sono così vecchia da aver potuto attirare Vittorini con l’odore dei miei manicaretti, anche se abitava a due passi da qui….Ma volendo immaginare una contemporaneità letteraria (e credendo profondamente che gli artisti e gli amanti dell’arte abbattono le barriere temporali e vivono in un “oggi” comunicante) , …devo dirti che “il nostro” non avrebbe dovuto penare molto per ottenere un mio invito a cena.
@Massi…non posso raccogliere tutti gli aneddoti “ortigiani” (che pure darebbero vita a centinaia di romanzi) perchè la loro unicità sta nel sentirli raccontare dalla bocca dei vari frequentatori della bottega e del sig. Salvo Di Noto.
Intanto perchè non sono racconti, ma rappresentazioni teatrali (spesso precedute e accompagnate da applausi, gestualità da accademia, pause sapientissime). E poi perchè hanno la curiosa caratteristica di cambiare ogni giorno e di evolversi fantasiosamente.
Uno stesso fatto gironzola per mesi di bocca in bocca e si trasforma con rapidità fulminate.
Io ho creduto morto per vari giorni un vicino di casa (ex attore delle rappresentazioni classiche e virtuosissimo tenore) perchè non lo sentivo più cantare e in bottega mi avevano raccontato che di notte era venuta l’ambulanza a prelevarlo. Si era poi spento – il poverino – completamente solo in ospedale (abbiamo anche fatto una colletta per i fiori).
Quando me lo sono visto davanti per strada, per poco non mi veniva un colpo. Mi pareva il suo fantasma e aveva avuto solo l’influenza.
Nell’ intera opera narrativa di Vittorini si contraddistinguono alcune tematiche quali “il viaggio” e “il mondo offeso”. Molta incidenza ebbe anche la figura del padre (il padre di Elio era un uomo colto e di nobili ideali). In uno dei suoi romanzi Vittorini scrive: “penso che sia bene per un uomo voler essere un dio creatore a un certo punto della sua vita”. Si comprende da ciò quale importanza attribuiva alla paternità. E lui conobbe la sofferenza atroce di veder morire di cancro il suo primogenito. La figura del padre farà capolino in molti suoi romanzi e racconti. Ne “Il garofano rosso”, “La mia guerra”, “Erica e i suoi fratelli”, ma non sempre ne emerge una figura positiva, tutt’altro. D’altronde la capacità di uno scrittore sta anche nel saper trattare la materia letteraria indipendente dalla sua storia personale.
@indipendentemente
@ Carlo
Anch’io ho letto “La commedia umana” a 11 anni!!! Era un libro da studiare durante la mia scuola media (ne conservo ancora una copia trovata molti anni dopo in una bancarella). Da allora non ho più abbandonato la lettura di Saroyan. E pochi anni fa ho scoperto, parlandone con una amica armena, che si pronuncia Saroyàn, e io che l’avevo pronunciato per decenni Saròyan (quanti errori si fanno in gioventù…).
Sorrisi e saluti,
Gaetano
E’ bello leggere questi vostri commenti su Vittorini (Simona, le tue memorie ortigiane sono magnifiche), ne viene fuori un uomo molto amato, molto mitizzato anche, molto romantico nei suoi furori e nelle sue nostalgie.
Mi è capitato di leggere altro di lui – non ultima la biografia scritta dal figlio Mitia – e la figura che ne viene fuori è molto diversa: una persona inquieta, che vuole disfarsi in fretta e con determinazione della sua sicilianità (apporta un cambiamento nell’originario cognome: da “Vittorino” a “Vittorini”; e cambia pure il nome della moglie Rosina – Quasimodo – in “Delfina”), un giovane che vuole emanciparsi da “quel mondo isolano soffocante e umiliante per chiunque rifiutasse di conformarsi” (Un padre e un figlio, Demetrio Vittorini, Baldini & Castoldi 2002). Un uomo che per mantenere sé e la famiglia s’intossica di piombo lavorando tutte le notti come correttore di bozze per la Nazione e intanto studia l’inglese sperando così di poter diventare un giorno traduttore; uno scrittore che – nella famosa polemica con Togliatti – dirà di sé: “Io sono esattamente il contrario di quello che in Italia si intende per “uomo di cultura”: Io non ho studi universitari. Non ho nemmeno studi liceali. Potrei quasi dire che non ho affatto studi. Non so il greco. Non so il latino. Entrambi i miei nonni erano operai, e mio padre, ferroviere, ebbe i mezzi per farmi appena frequentare le scuole che un tempo si chiamavano tecniche. Quello che io so o credo di sapere l’ho imparato nel modo vizioso in cui si impara da solo. Le lingue straniere, per esempio, le so come un sordomuto: posso leggere o scrivere in esse, tradurle da esse, ma non posso parlarle né capire chi le parla”.
Un uomo, insomma, che cerca nella fuga lo strumento per appagare la fame che lo tormenta: quello di essere al centro di un mondo in cui gli ideali si possono attuare, in cui scrivere diventa confronto e partecipazione attiva a una realtà che costruisce giorno per giorno uno dei profili della Storia.
Mi piace precisare e la fonte é fededegna:un libretto regalatomi dalla sorella Iole Vittorini( un pomeriggio culturale a casa mia il 18-11-1992)dal titolo” Mio fratello Elio”.Ed. G&G Stampa 1989.
pag.13…si trovava a S. Agata di Militello( la madre Lucia Sgandurra)quando rimase incinta di Elio, che nacque a Siracusa per volontà di mio padre.Quattro mesi prima dell’evento ella si trasferì nella sua casa paterna perché vi fosse assistita. Ritornò al suo mare siracusano….n.b.Casa Sgandurra era al n. 154 oggi 140 di Via Vittorio Veneto(Mastrarua)
pag.27…con mio padre Elio aveva un rapporto conflittuale. Erano pari per intelligenza, ma la differenza di età costituiva una barriera di autoritarismo…
pag.37…gli(al padre)contestava ormai apertamente di obbligarlo a frequentare una scuola tanto odiata.” Devo,forse, fare il salumiere?. La disprezzava(Istituto Tecnico per ragionieri) perché non studiava abbastanza l’italiano.Spesso andava a trovare i suoi amici(al Liceo Ginnasio) per scrivere loro i temi di cui avevano bisogno e che ritiravano dalla finestra dei bagni con un cordoncino….
pag.38..si faceva un gran parlare attorno alla repulsione di Elio per la Ragioneria e alla testardaggine di mio padre che voleva fare del figlio un impiegato statale. Nel 1923, in seguito alla Riforma Gentile, gli studenti siracusani occuparono il LiceoGinnasio, coinvolgendo anche i colleghi di altri istituti.Elio partecipò all’occupazione e s’infiltrò all’interno del liceo. Fu individuato e accusato….convocato per accusare i conplici, ma Elio non fece i nomi….Elio perse l’anno.
pag.39…Elio studiò tutta l’estate per recuperare l’anno sc., sostenne l’esame ad ottobre e fu ammesso alla terza classe(Ragioneria) ma senza frequenza.
pag.40 ..si decise di mandarlo a Benevento, in casa della zia Maria…Benevento fu fatale per i suoi studi di Ragioneria,perché decise di abbandonare.
Per concludere :
1)Elio nacque a Siracusa e frequentò a Siracusa i primi due anni della Ragioneria.
2)non importa l’interprete(io,tu, chiunque altro)ma l’interpretandum,ossia la storia che”rivendica una parola sul mondo” e la Parola del Nostro rispecchia l’Uomo “offeso” sin dal primo apparire nel mondo( che sia siciliano o no).Il Suo viaggio a ritroso( Siracusa, luogo-non luogo), fomentato dal bagliore del focolare acceso, esprime l’energia dello scrittore che usa le sue armi per denunciare quanto il suo sguardo profondo osserva.(In interiore veritas).Basta per farne un grande Scrittore. Lucia Arsì
Lo posso raccontare un aneddoto? Simona mi autorizzi? Sì, mi autorizzi. Pare che Vittorini da giovane andasse spesso a pranzare in una bettola nel cuore di Ortigia, “No, ‘mbrignuni” (dal lercio), era una bettola di infinitissimo ordine ma le sue scarse finanze non gli consentivano di meglio. Pare anche che cercasse sempre di rimediare il pranzo senza dissanguare le sue già disastrate tasche e faceva sfoggio di tutta la sua eloquenza per convincere l’oste: “Maestro, cosa mi viene con un centesimo?”.
“Un uovo scaduto”.
“E con mezzo?”
“La gallina che ha fatto l’uovo”.
“Come? La gallina? Tutta intera?”.
“No, solo il…”
(Dio che vergogna, non riesco a proseguire…Però è vera, me l’ha raccontata un lontano cugino del sig. Di Noto)
@ Salvo,
ciao.
🙂
@Lucia Arsì: mia cara, che bello quell’interpretandum…la storia che rivendica una parola sul mondo. E che bella frammentazione di esperienze e pagine che proponi!
E sai cosa penso? Che è la stessa storia a fare gli interpreti. A suggerire gli sguardi. A creare – soprattutto – gli ultimi sguardi, quelli sulla precarietà. Sul cuore dell’uomo. Sulla sua fragilità offesa.
La storia di Vittorini – e persino la costrizione a seguire studi non aderenti al suo essere, a scrutare gli amici del ginnasio con malinconia e senso di perdita – ne fanno già un offeso.
Perchè la prima violenza sull’uomo è quella di chi non lo riconosce.
Ma è questo stesso non essere riconosciuti a consentire di trapassare l’altro con pietà. Con condivisone per lo stesso destino. Con commozione per la medesima condizione di esule.
E credo che a questa mancanza di riconoscimento si debba anche qualche pagina sofferta di Vittorini sul padre pure amatissimo e pure fondamentale per la nascita della sua vocazione letteraria.
Amore e dovere. Costrizione e libertà (perchè l’arte è libertà). Una visione modernissima della scissione e del non poter essere.
O del dover essere solo scrivendo.
@Tea, mia carissima, sapessi quanti spunti “mitologici” gironzolano qui sulla figura di Vittorini! Ne potrei raccontare tanti (da prendere con le dovute distanze), per il solo gusto di trasmettere la consapevolezza che abbiamo bisogno di miti. Abbiamo bisogno di eroi.
E che inventarseli un po’ ogni giorno (o estrapolararli da uno scampolo di realtà), dar loro molte bocche, molti cuori, molte mani (tante quante sono quelle dei narratori) serve forse a elaborare un luogo immaginario in cui tutti vorremmo vivere. E in cui afferrare un alito di fantasia tra le pieghe del vero offre sollievo.
@Salvo, secondo me tu alla bottega della giudecca saresti acclamato!Bravissimo!
E’ vero, Simona, abbiamo bisogno di eroi, di figli, fratelli, padri, compaesani – figlie, sorelle, madri, compaesane – che riescono ad andare un poco più in là di noi e a realizzare (anche per noi) l’Impresa alla quale aspiriamo. E questo ci fa contenti.
Bravi… questi scambi di “curtigghi” siracusani sono deliziosi!
CURTIGGHI in tirolese vuol dire pettegolezzi, storie da cortile…
Bello lo scambio Vittorini- Pavese…
Brava Annalisa!
🙂
@ MARIA LUCIA RICCIOLI
No, affatto. Chi si firma Lina ha solo scimmiottato il mio commento senza uno straccio di argomento, la qual cosa mi ha fatto un po’ sorridere, perché solitamente sono io ad adottare ‘sta tecnica nei confronti dei miei detrattori. Ma questo è già un altro discorso che non merita di essere approfondito.
@ MASSIMO
Caro Massimo,
tanti altri hanno introdotto e tradotto autori americani e con risultati, a mio avviso, superiori rispetto a Vittorini. Penso ad esempio a Cesare Pavese, più tardi all’americanista Fernanda Pivano cui noi tutti in un modo o nell’altro dobbiamo esserle riconoscenti, perché grazie alle sue traduzioni, grazie al suo impegno, grazie alla sua cultura scevra di pregiudizi, grazie a tante qualità di intellettuale e di persona, ecc. ecc., oggi possiamo godere di decine e decine di scrittori, i quali forse, senza di lei, in Italia non sarebbero mai sbarcati. Vittorini ha tradotto perché costretto, non per altro: difatti le sue traduzioni sono tutt’altro che storiche, sono buone, ma niente di più. E come ti dicevo poc’anzi ci sono stati altri, assai più in gamba di Vittorini sia come traduttori sia come letterati e uomini, che hanno introdotto e tradotto scrittori americani, in alcuni casi portandoci traduzioni che sono dei Capolavori di per sé.
Per me Elio Vittorini rimane un piccolo uomo e un ancora più piccolo scrittore, uno che non considero meritevole neanche d’essere annoverato tra gli scrittori minori.
E’ stato solo una delle tantissime ruote del mercato editoriale, una ruota che è venuta in contatto con Malaparte e Quasimodo, ad esempio. Ma una puleggia rimane una puleggia per sua natura e non diventa il “meccanismo”, mai e in nessun caso. Se Vittorini ha scoperto (si fa per dire!) Beppe Fenoglio, Carlo Cassola, Italo Calvino, Lalla Romano, Mario Rigoni Stern, Ottiero Ottieri, è solo perché fu una ruota fra tante altre ruote. Se al suo posto, alla direzione dei Gettoni Einaudi si fosse trovato un altro, sicuro è per me che avrebbe scoperto comunque questi autori, che, per inciso, sono assai ma assai più grandi, sotto qualsiasi profilo, di Elio Vittorini.
A chi mi chiede chi fu Elio Vittorini, io rispondo che è stato colui che nella sua ignoranza ha saputo ricusare senza pensarci su “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, romanzo che è poi diventato, giustamente, famoso, anche in America. Lo scorno profondo di non aver saputo riconoscere la grandezza di Giuseppe Tomasi di Lampedusa è l’unico epitaffio che ho per uno come Vittorini.
E scusa se è poco. 😉
Ciao
Le armi dei traduttori, dei filologi, degli editor, degli agenti editoriali, degli editori oggi sono sicuramente più “scafate” rispetto ai tempi di Vittorini. Il suo ruolo fu importante, per l’epoca. Era come un portatore d’acqua nel deserto. Come l’acquaiolo nei vicoli di una città del Seicento. Oggi rideremmo di un acquaiolo, forti di blister, containers e desalinizzatori.
Le sue traduzioni saranno datate – niente risente del tempo quanto una traduzione. I classici sono eterni ma hanno bisogno di traghettatori, di mezzi di trasporto che diventano obsoleti immediatamente – , gli strumenti critici non perfezionati, ma alla base c’è una passione forte per la letteratura, per la funzione civile, direi morale del libro. Vorrei che rileggessi qualcosa di Elio. Non perché voglia convincerti, me ne guarderei bene. Le idee personali sono sacre. Ma Vittorini credo abbia ancora qualcosa di vitale da dirci. Anche se su “Il Gattopardo” ha toppato!
@Iannozzi. L’altro giorno parlando con una mia amica scrittrice, una tra le più brave che abbiamo in Sicilia – pubblica per Mondadori- mi ha detto: “A me Paulo Coelho fa cagare. (testualmente) Non sarà la sua espressione il massimo della femminilità ma rende benissimo l’idea. Per inciso, Coelho non piace neanche a me, lo trovo troppo mieloso. Sono libero di esprimere la mia opinione, così anche la mia amica. Resta il fatto che Coelho vende milioni di copie in tutto il mondo e io no. E neanche la mia amica. Le opinioni rimangono opinioni e i fatti sono fatti. Lei è liberissimo di pensarla come crede su Vittorini. Affermare che non appartenga nemmeno al genere minore, a mio parere è esagerato. E poi perchè definirlo un piccolo uomo? Solo per il fatto di aver rifiutato “Il gattopardo?”. Non è il primo caso nella storia della letteratura e il manoscritto era stato giudicato negativamente in precedenza da ben tre Lettori della Mondadori. Lei dice ancora: “Chiunque al suo posto, alla direzione dei gettoni, avrebbe fatto lo stesso lavoro”. Io non credo che la Einaudi avrebbe affidato la direzione dei gettoni a chiunque. I fatti: nel 1929 comincia la collaborazione con Solaria; nel 1938 la Bompiani lo assume come consulente; nel 1945 fonda il Politecnico. Nel 1959 dirige con Calvino Il Menabò. A parte i romanzi pubblicati e il suo impegno civile, le fughe in montagna ecc. Non mi pare fosse un uomo di così piccola statura.
Cara Maria Lucia, penso solo che Vittorini tradusse e lo fece bene, ma non in maniera eccelsa, per cui le sue traduzioni rimangono poco al di sopra della media. Le traduzioni di Pavese, ad esempio, rimangono più che mai attuali e perfette. Che dire della bellissima traduzione di Moby Dick ad opera di Pavese? Ci ha restituito un Hermann Melville unico: quella sua traduzione è Opera dentro l’Opera di Melville. Tradurre bene è un’Arte, con la A maiuscola e per tradurre ci vuole non solo grandissima capacità tecnica, ma soprattutto una innata sensibilità che nessuno può insegnare.
Con “Il Gattopardo” ha toppato alla grande. Un errore per me imperdonabile, dettato forse dalla cecità, dal pregiudizio soprattutto: non essersi voluto rendere conto della grandezza di G. Tomasi di Lampedusa è stato per Vittorini la sua condanna. Possiamo dire così?
“Il Gattopardo” oggi è anche in America un must. E’ un must della Letteratura mondiale, a cui tanti si sono ispirati, per il cinema, per il teatro, per la televisione, per la musica, ecc. ecc. Un must che è sempre fonte di rinnovata ispirazione.
Forse colpa mia, ma in Vittorini non trovo niente di attuale, né per stile né per contenuti. Mi è piatto. Non mi emoziona. Invece Leonardo Sciascia, a ogni lettura, mi lascia senza fiato, per la sua grande attualità e modernità: lui sì che aveva classe da vendere, classe innata. Ed era quasi contemporaneo di Vittorini, pochi anni li separavano. Sciascia era del 21, Vittorini dell’8. Credo che Vittorini sia molto sopravvalutato.
Comunque… 🙂
Buona serata a Tutte/i
Ringrazio tutti per i nuovi, bellissimi commenti.
@ Salvo zappulla
Anche a me Coelho fa proprio cagare, ma di brutto. Non m’interessa quanti milioni di copie vende: la quantità non è la qualità. La qualità resiste nel tempo e al tempo; la quantità no. La letteratura è piena di scrittori che in vita hanno venduto tantissimo, ma poi dimenticati una volta morti perché privi di qualità. Coelho farà la stessa fine. Posso sbagliarmi, non dico di no, ma è un autore di quelli che vanno di moda e le mode passano: la Storia non ha spazio per le mode passeggere e frivole. Coelho è frivolo, in maniera imbarazzante. Mia opinione personale.
Come dicevo a Maria Lucia l’aver rifiutato “Il Gattopardo” è stato un errore pesante, molto pesante: di cecità, di pregiudizio. Credo poi che Vittorini sia molto sopravvalutato. Leonardo Sciascia fu un altro grande: lui mi lascia senza fiato sempre. Per assurdo autori a lui contemporanei, che hanno anche lavorato a contatto con il Vittorini, sono molto ma molto più grandi in ogni senso, umano letterario e politico.
Di nuovo, buona serata a Tutte/i
@ Giuseppe
Non ti piace Vittorini e hai tutto il diritto di manifestare la tua opinione (come hai fatto… forse in maniera un po’ forte). Maria Lucia e Salvo hanno ribadito la loro posizione.
Io direi che va bene così.
Nel senso, che anche se non siamo d’accordo possiamo benissimo rispettare le nostre opinioni, anche se discordanti.
—
Per quanto riguarda le traduzioni concordo con te sull’eccelso lavoro svolto da Pavese su “Mody Dick”. E Fernanda Pivano ci ha regalato Hemingway (ottima Nanda).
A mio avviso, Vittorini, fu grande – più che per le traduzioni – per esser stato il primo a introdurre gli autori americani in piena seconda guerra mondiale (e scontrandosi con il regime fascista, che lo osteggiò moltissimo).
Abbiamo già detto che Pavese collaborò con Vittorini per quanto concerne l’antologia “Americana”. Nei commenti sopra puoi leggere lo scambio tra i due (dal quale emerge la grande stima che Pavese nutriva per Vittorini).
Tu, comunque, Giuseppe manterrai immutata la tua opinione. E gli altri la loro.
Io dico: va bene così.
Un ringraziamento speciale a Lucia Arsì e a Tea Ranno per i loro contributi.
Grazie mille.
Elio Vittorini
Pur non conoscendolo la sua immagine mi fa pensare all’emigrante italiano negli USA.
Il suo volto tipico di siciliano, marcato dai baffi e capelli neri, e contraddistinto da uno sguardo estraneo alla ben conosciuta nobiltà del tempo, e quindi di persona semplice e lavorativa, risveglia in me un grande senso di ammirazione e rispetto.
Dai commenti letti, ne desumo che non era una grandezza alla quale guardare con timore e rispetto di riverenza. Era allora un essere comune, e quindi a me simpatico, con una volontà ferrea di impadronirsi della sua vita per scoprirla e migliorarla, per sé e anche per gli altri con i quali egli aveva da fare.
Non lo fece ad ogni costo, fatto che avrebbe comportato la conclusione di compromessi anche disonorevoli; lo fece quindi per convinzione propria per la quale visse e sopportò discriminazioni da parte dei suoi contraenti di ogni gruppo che sempre s’incontra sul proprio percorso quando si vuole rimanere integri ed onesti.
Ringrazio Maria Lucia Riccioli, Simona Lo Iacono e Salvo Zappulla, per le loro belle e profonde recensioni che lo mettono nel giusto rilievo di un uomo che ha recato onore alla sua terra e città nativa.
Sono proprio questi uomini che, da un’origine modesta di mezzi, riescono con la propria volontà forte e tenacia a modificare il proprio destino ed influenzare quello di molte altre persone del suo tempo e anche dopo.
Penso che l’Italia avrebbe proprio bisogno di questo personaggio, per uscire dallo stato di letargia d’identificazione nella quale permane da decenni.
Fa bene onorarlo, fa bene capire che per essere riconosciuti non sono necessari titoli di merito, che poi nel corso degli anni perdono il loro valore quando i loro possessori non sono più quelli che li avevano acquisiti.
Un qualunque titolo di merito vale solo per il momento della sua giustificazione e va quindi meritato sempre di nuovo.
Saluti.
Lorenzo
Be’… qui il dibattito continua, se volete.
(Saluto e ringrazio Lorenzo per il precedente commento).
@Simona e a tutti,
vi leggo con sapido piacere, come sempre e, non avendo letto che stralci delle sue opere sull’Unità, quando ragazzino camminavo con il giornale piegato sulla terza pagina per fare colpo sulle giovani comuniste, posso solo confermare, a pelle, l’opinione di Gregori sulle palle.
…
Vedo assonanze didattiche tra l’ingegner Vittorini e il geometra Zappulla: dopo il mitico “Viaggio all’inferno” (peraltro delizioso, grande Salvo), il “nostro” potrebbe scrivere “Un percorso sulle betoniere con Vittorini”?
…
Lo so, dice il saggio cinese (che palle pure ‘sti cinesi):”Quando non si ha niente da dire è meglio stare zitti”, ma come faccio a dichiararvi il mio amore?
Nessuno ha risposto alla mia domanda: ma Vittorini non si è mai ricreduto sul suo giudizio sul Gattopardo? Se n’è andato da questo mondo ancora convinto della sua idea, o alla fine si accorse della cazzata fatta? A me solo questo lo renderebbe umanamente più simpatico. C’è nessuno che lo sa?
Ciao Carlo… sinceramente non lo so. Ma nel mondo della verità – per chi ci crede – magari Vittorini, Sciascia, Tomasi di Lampedusa, Pirandello, Verga e gli altri tirolesi banchettano a granite di mandorla e pistacchi e se ne ridono di beghe editoriali…
A Lorenzo: grazie.
A Giuseppe: neanche a me Coelho fa impazzire ma se vende tanto magari ha colto l’attimo giusto, l’air du temps, i bisogni profondi di chi lo legge… Vittorini è stato un intellettuale coraggioso e coerente, i suoi meriti sono notevoli. Non sta a noi giudicare sulla grandezza dell’uomo Vittorini. A noi sono il compito di leggere, discernere, discettare come stiamo facendo. I poeti, gli intellettuali, sono stelle che lanciano nel cosmo dei secoli il loro messaggio che sta a noi recepire e ritrasmettere. La luce di alcuni si offusca, la luce di altri diventa più luminosa. Altre stelle seppure giganti muoiono e di altre non sapremo neanche che sono esistite. Ma magari ci nutriamo della loro polvere senza saperlo. Vittorini è una stella del firmamento letterario italiano, stella che uno può scegliere di seguire o meno…
Mary Lucy siderea nuncia…
Didò: grazie per il tuo affetto spiritoso… ricambiato!
🙂
@Didò. dopo queste dichiarazioni sono fermamente convinto che dio sia un tuo troncamento (questa battuta di Carlo passerà alla storia)
@Carlo. Ti do una chicca. Pare che il nostro Elio, pur essendo un comunista sfegatato, in punto di morte volle sgravarsi la coscienza. Chiamo il prete al suo capezzale e confessò la verità: rifiutò il romanzo perché Lucio Piccolo e Tomasi di Lampedusa gli stavano sulle balle, in quanto nobilotti. E lui detestava l’aristocrazia. Il prete legato da vincolo confessionale non ha potuto rendere ufficiale la notizia, io l’ho saputo in privato dalla nipote di una monaca che se la faceva con lo stesso prete
@ Salvo
Ho sentito parlare anch’io della Monaca di Ponza e delle sue storie. Ma non è che godesse di molta credibilità.
@ Carlo
In merito alla domanda che poni… be’, ho sentito opinioni discordanti.
Io mi sono fatto un’idea (che è personale e che, dunque, non vale come notizia).
Io credo che Vittorini sia rimasto fedele alla sua idea originaria. E cioè che “Il Gattopardo” non era idoneo per gli obiettivi specifici che si poneva la collana Einaudi da lui diretta (I gettoni, appunto).
Ma credo anche che non abbia avuto difficoltà a riconoscere i meriti oggettivi del libro e il successo che ne è conseguito.
Vorrei dire che Elio Vittorini in punto di morte volle che un sacerdote lo confessasse. Il prete però, non so se per la fede politica dello scrittore, non volle farlo, ma diede una risposta intelligente e illuminante: Elio Vittorini aveva vissuto da cristiano pur non essendo praticante, quindi sarebbe morto da cristiano, al di là del fiscalismo religioso.
Vittorini rispettava il cristianesimo e la figura di Gesù, per gli ideali umanitari e d’amore che non poteva non ammirare.
Nella nostra città non è stato fatto nulla per ricordare Vittorini a parte l’istituzionale Premio Vittorini della PROVINCIA REGIONALE DI SIRACUSA. NOI DELLA REDAZIONE DI IN OUT abbiamo ricordato il centenario di Vittorini CON UNO SPECIALE nel numero di luglio 2008 della rivista Inout che segnalo a tutti gli interessati e gratuitamente scaricabile dall’indirizzo http://www.rivistainout.it.
VITTORINI CONTINUA A STUPIRE, VI SEGNALO, A CHI E’ INTERESSATO, IL MIO LIBRO VITTORINI E I BALLOONS, BONANNO EDITORE, IN CUI SVELO LA PASSIONE DELLO SCRITTORE PER I FUMETTI E L’INSERIMENTO DI STRIP GIA’ NEL POLITECNICO (1945!)
Bellissimo argomento questo proposto da te, caro Massimo:
intriganti ed incisive le recensioni di Salvo e Maria Lucia, suggestiva quella di Simona.
Io, devo dire la verità, non conosco Vittorini in modo approfondito, non perché non mi piaccia ma per il semplice fatto (pragmatico) che il tempo (tiranno) deve farci necesasriamente attuare delle priorità (a volte per gusti ma a volte anche per necessità (ricerche finalizzate ad un periodo diverso etc.).
Senza dubbio Elio Vittorini è uno dei più grandi esponenti della Letteratura del ‘900: ho letto ‘Uomini e no’,
A tal proposito vorrei dire a Enrico Gregori:
si è liberi di considerare ‘palloso’ un testo, anche se si tratta di un grande e importante testo, il fatto è però che nel tuo (dò del tu e lo accetto) caso io non trovo più dei parametri obiettivi e consistenti se nella gran quantità dei grandi intellettuali trattati parli solo di noia: vedi Barthes tra tutti ma anche altri. Detto ciò, probabilmente mi ricrederò.
Ho letto Conversazioni in Sicilia e conosco la sua attività diintellettuale aperto all”altro’, durante gli anni difficili del nostro Paese. Se fosse nato un po’ prima avrebbe di certo portato avanti la lotta letteraria della De Stael, interessato com’è stato ad accogliere la letterature straniera, quella soprattutto rappresentata dai grandi scrittori americani.
Importante ricordare tra i suoi libri proprio quello che esprimeva questa prospettiva multiculturale, aperta ai vari contesti: Le città del mondo, che uscì dopo la sua morte (nel 1969) e poi il suo impegno: Il Politecnico, il Menabò (come altri hanno accennato) dimostrano quanto sia stato attivo.
Per ciò che riguarda l’impegno dello scrittore, credo che in altri contesti io bbai detto la mia su ciò:
io credo che l’Arte (in tutte le sue forme) debba contenere i due elementi cardini che caratterizzano l’esistenza umana:
il linguaggio spirituale-estetico (dove per spirituale intendo il linguaggio intellettuale-interiore)
l’elemento sociale, inevitabilmente legato alla sua correlativa finalità. Ovvero l’arte non può essere solipsistica, non è altro rispetto al mondo: è di natura sovrumana ma non può essere tenuta distaccata. L’ho detto altre volte e ne sono ancora convinta: Sartre in “Che cos’è la letteratura?” affronta questo importantissimo argomento, attribuendo alla letteratura (e quindi all’intellettuale) una funzione sociale.
Ricordiamoci che furono proprio gli intellettuali ad avvertire per primi i pericoli del regime che si stava definendo, a percepirne la minaccia incombente. Per cui sono proprio i letterati a dover ‘illuminare’ le coscienze, lo fece dopo Pasolini e lo fanno oggi altri scrittori.
La difficoltà è semmai quella di far coincidere l’impegno civile alla qualità e allo spessore puramente artistico, tutti possono essere giornalisti, uomini impegnati ma non tutti possono essere Scrittori impegnati.
CIAO massimo,
mi permetto di segnalare sperando di far cosa gradita post del Khayyam’s Blog sullo scrittore siciliano e sull’opera di Vittorini:
http://khayyamsblog.blogspot.com/2009/04/limpegno-per-una-nuova-cultura-elio.html
Saluti, Antonella
p.s. ci piacerebbe anche proporti uno scambio link. Ci fai sapere,