Puntata di Letteratitudine Cinema con un intervento di Alessandra Montesanto: critica cinematografica, docente e saggista.
In questa puntata ci occupiamo del ruolo del Cinema nell’ambito del Giorno della Memoria (con la segnalazione di alcuni film)
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L’attualità della Memoria
“Quel che ora penso veramente è che il male non è mai ‘radicale’ e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare il mondo intero, perchè si espande sulla superficie come un fungo. Esso ‘sfida’, come ho detto, il pensiero perchè il pensiero cerca la profondità, di andare alle radici e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perchè non trova nulla. Questa è la sua ‘banalità’. Solo il bene è profondo e radicale”: queste sono alcune parole di Anna Harendt tratte dal suo celebre testo intitolato “La banalità del male”. Per costruire un pensiero critico e tracciare il solco tra ciò che giusto e ciò che non lo è, tra ciò che è umano e ciò che più non lo è, risultano fondamentali i linguaggi della Cultura e dell’Arte. Anche il Cinema, spesso, può far riflettere su importanti temi di attualità e sul Passato – più o meno recente – per reimparare quale sia la strada dell’etica e della verità.
Il 27 gennaio si celebra la Giornata internazionale della Memoria, riferita, in particolare, all’Olocausto. Per l’occasione, con questo articolo, si desidera suggerire la visione di alcuni film (alcuni noti, altri meno) utili per un pubblico generico e, soprattutto, per scopi formativo-didattici; la Memoria non è la ripetizione, vuota di senso, di frasi o parole, ma è un ritorno profondo e sentito verso passi che sono stati già compiuti – e che, purtroppo in molti casi hanno portato a situazioni drammatiche – per non rifarli.
Si vuole iniziare questo breve excursus con un film del 2010, La chiave di Sara, di Gilles Paquet-Brenner che recupera un fatto storico dimenticato: il rastrellamento del Vélodrome d’Hiver tramite la storia di una famiglia ebrea deportata, gli Starzinsky, in un continuo alternarsi di flashback e di flasfhforward. La sceneggiatura è interessante in quanto, senza giudicare, il regista dipinge il ritratto di una Francia in mano ai tedeschi e in totale devozione a Hitler, e una popolazione in cerca solo di salvezza, con coloro che sono stati complici del nazifascismo, coloro che sono rimasti indifferenti (la maggior parte) e coloro (mai abbastanza) che hanno cercato di aiutare.
Altrettanto di spessore è la pellicola Il figlio di Saul, opera prima del regista ungherese Làszlo Nemes, che si apre con un lungo piano-sequenza sul volto del protagonista, Saul Ausländer , a cui è stato dato l’infausto compito di accompagnare i nuovi deportati allo sterminio. Saul fa parte di quegli ebrei che, in cambio di condizioni di vita migliori nel campo, si occupano della pulizia dei forni crematori e delle camere a gas. A rischio della propria vita, il protagonista deciderà di dare una degna sepoltura a un ragazzo che avrebbe potuto essere suo figlio. Questa è un’opera cinematografica importante per il contentuo, ma anche per lo stile e le tecniche di ripresa (adatta agli studenti delle scuole superiori): i corpi delle vittime sono, per i tedeschi, paragonabili ai pezzi di ricambio di vetture, i campi sono organizzati proprio come un’azienda automobilistica, le SS fanno parte di un ingranaggio perfettamente oliato; la camera a mano segue i personaggi che si muovono in uno spazio claustrofobico in cui prevalgono, a corredare alcune immagini, rumori confusi di sottofondo per sottolinerare lo stato di semi-incoscienza dei detenuti e per creare ulteriore angoscia nel pubblico. Superpremiato al festival di Cannes, nel 2015, Il figlio di Saul coinvolge lo spettatore in prima persona (anche per le numerose inquadrature in soggettiva del narratore interno), impedendogli di trovare alibi per “non aver capito”, “non aver saputo”.
Dal 2017 torniamo indietro, al 1939, quando Antonina Zabinski, attraversa il suo esteso zoo situato al centro di Varsavia: è la protagonista de La signora dello zoo di Varsavia, moglie di Jan Zabinski che già dieci anni prima è stato costretto ad accogliere truppe tedesche e a sottostare alle follie pseudoscientifiche dell’allora responsabile dello zoo, Lutz Heck, noto nazista. Toccati da vicino dall’eccidio ebraico e coinvolti nella resistenza armata anni prima, a ridosso dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale i due coniugi decidono di allevare dei maiali per sfamare i soldati tedeschi: si tratta, in realtà, di uno escamotage per nascondere i partigiani. La caratteristica principale di questo film è data dalla suspance continua, che viene affrontata grazie al forte senso di solidarietà dei personaggi, solidarietà che, in molti casi nella Storia, è stata più forte della violenza cieca e brutale. La scena della ragazzina con gli abiti strappati (perchè ha appena subito uno stupro) non lascia indifferenti e, ancora una volta, non permettere di chiudere gli occhi davanti al male.
Ma si possono affrontare temi così delicati e forti anche tramite l’ironia. Lo ha fatto magistralmente il regista rumeno Radu Mihaileanu con il suo Train de vie, del ’98. Un film datato, ma che è sempre bene ricordare e rivedere proprio per la sua originalità: racconta, infatti, di un intero villaggio ebreo i cui abitanti vogliono fuggire dal nazismo e lo faranno su un treno che apparirà come un vero e proprio convoglio di deportati, con falsi tedeschi di scorta. Un elemento tipico della commedia – lo scambio di ruoli – diventa un modo intelligente per riflettere sul rapporto tra realtà e finzione, su quanto sia facile indossare maschere sociali (in questo caso per la sopravvivenza), sul coraggio di tentare davvero il “tutto per tutto”. L’humor yiddish, la figura di Shlomo – il matto – e un finale spiazzante, rendono Train de vie un capolavoro.
Per gli alunni delle scuole medie vogliamo consigliare la visione di una pellicola di qualche anno fa, uscita nel 2013, che ha avuto un buon successo grazie anche al fatto di essere la trasposizione di un romanzo dal titolo “La bambina che salvava i libri”, bestseller di Markus Zukas.
La protagonista di entrambe le opere è una ragazzina, Liesel, che con i suoi genitori adottivi, dà rifugio ad un giovane ebreo, nascondendolo nella cantina di casa. Il regista, Brian Percival, asciuga il testo dei tratti fantastici del libro per conferire un maggiore e significativo afflato poetico alla storia (da notare, ad esempio, la scena centrale in cui Liesel salva un libro da un rogo nazista). Proprio questo è il nucleo del film e del romanzo: l’importanza della lettura, della conoscenza e di un pensiero critico per crescere come esseri umani, per nutrire la coscienza.
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Credo che sia molto importante, oggi, lavorare con le ragazze e i ragazzi e, per questo, propongo, per le scuole, laboratori anche in Dad di Cinematografia, sul linguaggio filmico e sui temi che, di volta in volta, si vorranno affrontare.
Alessandra Montesanto: (lale.monte@gmail.com – peridirittiumani.com)
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