La barba lunga di Changez (il giovane protagonista del bellissimo romanzo del pakistano Mohsin Hamid, Il fondamentalista riluttante) è il segno corporeo di una ritrovata unità culturale e sentimentale, ché quanto più il “giannizzero” Changez (buoni studi a New York, folgorante carriera nel mondo della finanza, rapido “congelamento” delle proprie origini pakistane) avverte il crollo di un mondo (attraverso il crollo simbolico delle Twin Towers) tanto più sente come una rifioritura fisica. Tutti i suoi colleghi americani (trendy, cool, rampanti, ragazzi giusti al posto giusto) sentono, da quel crollo in poi, che Changez, il numero uno tra i nuovi assunti, getta a terra la maschera del supercapitalismo, e questo li irrita, li rende diffidenti, così come sono diffidenti, gli Stati Uniti d’America, con tutti coloro (e sono milioni) che manifestano, nei gesti, nelle parole, nel corpo, un’altra cultura, un’altra visione del mondo, ché gli States accettano solo le culture “altre” pittoresche, depotenziate culturalmente e politicamente: le culture depotenziate e innocue, cioè, che avallano il mito della Grande Madre, delle Grandi Opportunità, della Multietnicità. Il “giannizzero” Changez, nonostante la giovane età, sente il richiamo delle origini, della famiglia, della propria casa, e questo richiamo (nostalgico, culturale, corporeo) gli rende insopportabili le conseguenze belliche dell’attacco alle Twin Towers. Da quel momento in poi la sua barba cresce, il suo volto diventa sempre più tormentato e misterioso (diventa, cioè, ingovernabile e in consumabile: insopportabile, in definitiva). Tutto questo spinge Changez a estreme conseguenze, ovvero alla decisione di abbandonare il lavoro, gli Stati Uniti e di ritornare a Lahore. Tutto è complicato dalla dolorosa storia d’amore che lega (o non lega) Changez a Erica, una ragazza americana psicotica, convinta che l’ex fidanzato morto sia ancora vivo (o, in qualche modo, incarnato nell’immagine di Changez). In una delle sequenze più belle e sconvolgenti del romanzo, Changez riesce a far l’amore con lei solo inscenando una finzione struggente, ovvero fingendosi l’ex fidanzato morto di Erica. In questa sequenza c’è il segreto del romanzo, perché Changez si riduce a ombra (a qualcosa che esiste soltanto in seconda battuta, come emanazione di un altro corpo), mentre Erica rappresenta un destino collettivo (il destino americano) proprio nella misura in cui non riesce più a vedere la realtà, ma solo ciò che è stato, solo il morto passato. Il fondamentalista riluttante è raccontato come un dialogo in cui si sente una sola voce (la voce di Changez a Lahore, che casualmente incontra un americano e gli racconta la sua storia: la storia, se vogliamo, di una conversione, di una presa d’atto, di una salvifica depressione). Changez diventa, a mano a mano che si procede nella lettura, un uomo consapevole della forza spirituale e “barbarica” della sua terra; un uomo, cioè, che non si capacita che una grande terra, una grande cultura, una grande tradizione sia stata ridotta (nella considerazione dei più) a un manipolo di lestofanti e terroristi. Forse è un fondamentalista anche lui, ma lo è nella misura in cui difende la dignità e la forza (e l’integrità) della sua personale tradizione. Non si tratta, com’è evidente, di criticare l’attuale “stato dell’unione” (siccome lo fanno tutti, risulta retorico) ma di guardare con rispetto e con attenzione ai sentimenti e ai pensieri di un popolo che ha bisogno di riscoprirsi e di accettarsi in una robusta tradizione, e non di essere rinsavito a colpi di mortaio. Nella barba di Changez non si nasconde oscurantismo, ma solo discendimento e catabasi verso il baricentro di un’anima individuale e collettiva. Ascoltare le parole di Changez è più utile di mille proclami opportunistici dei guerrafondai dell’Est e dell’Ovest.
Andrea Di Consoli
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Mohsin Hamid
Il fondamentalista riluttante
Einaudi – 134 pagine – 14,00 euro
Traduzione di Norman Gobetti
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Andrea Di Consoli è nato a Zurigo nel 1976 da genitori lucani. Attualmente vive a Roma, dove lavora ai programmi radiotelevisivi della Rai. Collabora inoltre a «l’Unità e a varie riviste, inoltre scrive sul «Messaggero» e «Nuovi Argomenti». Ha pubblicato il saggio Le due Napoli di Domenico Rea (Unicopli 2002), la raccolta di poesie Discoteca (Palomar 2003) e i racconti di Lago negro (L’ancora del Mediterraneo 2005). Il romanzo Il padre degli animali (2007) ha vinto il premio Mondello ed è stato finalista al premio Viareggio-Repàci.
Intanto ringrazio Andrea Di Consoli per la recensione a questo libro.
Romanzo molto interessante questo di Mohsin Hamid. Mi piacerebbe che ne parlassimo. Magari qualcuno di voi l’ha già letto. Ma non importa, proverò a fornirvi ulteriori elementi qui di seguito.
La nota dell’ufficio stampa Einaudi al libro recita così:
“Ogni impero ha i suoi giannizzeri, e Changez è un giannizzero dell’Impero Americano. Giovane pakistano, ammesso a Princeton grazie ai suoi eccezionali risultati scolastici, dopo la laurea summa cum laude viene assunto da una prestigiosa società di consulenza newyorkese. Diventa cosi un brillante analista finanziario, sempre in viaggio ai quattro angoli del mondo per valutare i potenziali di sviluppo delle imprese in crisi. Impegnato a volare in business class tra Manila e il New Jersey, Lahore e Valparaiso, e a frequentare l’alta società di Manhattan al braccio della bella e misteriosa Erica, Changez non si rende conto di far parte delle truppe d’assalto di una vera e propria guerra economica globale, combattuta al servizio di un paese che non è il suo. Finché arriva l’Undici settembre a scuotere le sue certezze. “Vidi crollare prima una e poi l’altra delle torri gemelle del World Trade Center. E allora sorrisi”. E questo il primo sintomo di un’inarrestabile trasformazione. Il businessman in carriera, rasato a puntino e impeccabilmente fasciato nell’uniforme scura del manager, comincia a perdere colpi. La produttività cala e la barba cresce, quella barba che agli occhi dei suoi concittadini fa di ogni “arabo” un potenziale terrorista. E mentre gli Stati Uniti invadono l’Afghanistan, il Pakistan e l’India, giunge per Changez il momento di compiere un passo irreversibile… ”
Insomma, il libro parla di un tema a me caro: quello dell’11 settembre. Ne abbiamo parlato di recente anche qui, ricordate?
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/11/sei-anni-dall11-settembre
Di questo libro hanno detto:
– «Un libro geniale. Con incredibile misura e magistrale controllo, Hamid procede alla disamina dell’ultima manifestazione di diffidenza fra Oriente e Occidente».
Kiran Desai
– “Una scrittura stupenda – che gioia imbattersi in una prosa tanto intelligente, in una simile chiarezza di pensiero e di esposizione – e una struttura impeccabile. L’autore sa avvitare le spire della suspense senza che il lettore se ne renda conto, dando vita a una storia di enorme tensione”.
Philip Pullman
Piccola nota biografica su Mohsin Hamid
Mohsin Hamid è cresciuto a Lahore, ha frequentato la Princeton University e la Harvard Law School, lavorando poi per diversi anni come consulente aziendale a New York. Il suo primo romanzo, Nero Pakistan, tradotto in Italia da Piemme, ha vinto il Betty Trask Award, è stato finalista nel PEN/Hemingway Award ed è stato un Notable Book of the Year per il «New York Times». Suoi articoli e saggi sono apparsi su «Time», «The New York Times» e «The Guardian». Mohsin Hamid vive e lavora a Londra.
Chi volesse saperne di più può collegarsi al suo sito:
http://www.mohsinhamid.com/
Ultimi elementi per l’eventuale dibattito.
C’è la possibilità di leggere il primo capitolo del libro direttamente dal sito della Einaudi.
Qui: http://www.einaudi.it/einaudi/ita/news/can1/5-1069.jsp
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E poi alcune domande lanciate dalla lettrice M. Elena. Le faccio mie e le ripropongo a voi.
1. Cosa spinge i giovani musulmani della media e alta borghesia, anche se cresciuti in Occidente, a scegliere la lotta estrema contro il mondo capitalista?
–
2. È possibile un’integrazione o lo scontro di culture è inevitabile?
–
3. Dobbiamo ripensare criticamente i valori proposti dalla civiltà occidentale che si traducono in mancanza di rispetto della persona?
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Cosa ne pensate?
Vi aspetto.
Massimo
Giddens, ex-braccio destro (ops, sinistro!) di Blair, ha definito l’identità come un processo riflessivo. Ecco, secondo me questo basta a rispondere alle tre domande di Maugeri.
1- i giovani sono spinti per indole all’estremo. Il fascino delle radici
culturali forti e totalmente indipendenti dal contesto che li ha formati,
fa il resto. Nessuno sopporta di non appartenere a un gruppo; se il
gruppo dà l’opportunità di lottare, combattere, uccidere e fare follie,
tutto in nome di qualche alto ideale, allora buttarcisi diventa
irresistibile e sicuramente molto più attraente che conformarsi
all’ambiente che hai realmente respirato (leggi: Occidente).
2- non è possibile un’integrazione di realtà multiple e fluide né è
inevitabile uno scontro di enti in formazione, e mai identificabili.
L’identità è un processo riflessivo. Non è possibile fare previsioni
su ciò che sarà nel tutto, è possibile solo osservare istante per
istante l’ipermutevolezza del rapporto fra uguali, diversi, presunti
uguali, presunti diversi.
3- ripensare criticamente i valori occidentali è inevitabile ed automatico
giacché non esiste pensiero né sistema ideale definitivo e capace di
fondarsi una volta per tutte. E’ una presunzione umana,
forse necessaria, ma certamente non sufficiente.
P.S. : Ma che diavolo ho scritto?!
1. Cosa spinge i giovani musulmani della media e alta borghesia, anche se cresciuti in Occidente, a scegliere la lotta estrema contro il mondo capitalista?
UN SUBDOLO INDOTTRINAMENTO CAMUFFATO DA VALORI RELIGIOSI E TRADIZIONALI. I COSIDDETTI “VALORI OCCIDENTALI” NON RIESCONO A FERMARE IL FANATISMO PERCHE’ OGNI ESSERE UMANO, GIUNTO A UN PUNTO DELLA PROPRIA ESISTENZA, VUOLE RISCOPRIRE LE PROPRIE ORIGINI… E AL VARCO C’E’ SEMPRE UN MULLAH PRONTO A SGUAINARE LA NECESSITA’ DI UN JIHAD NEI CONFRONTI DI UN OCCIDENTALE SI’ LIBERALE E ACCOGLIENTE, MA PUR SEMPRE “INFEDELE”!
2. È possibile un’integrazione o lo scontro di culture è inevitabile?
LO SCONTRO GIA’ ESISTE E QUINDI NON PUO’ PIU’ ESSERE EVITATO… BISOGNA SOLO RICOMINCIARE DALLE ZONE MODERATE DI CONTATTO IN VISTA DI UN CAMMINO COMUNE.
3. Dobbiamo ripensare criticamente i valori proposti dalla civiltà occidentale che si traducono in mancanza di rispetto della persona?
ECCOCI FINALMENTE GIUNTI AL CUORE DEL PROBLEMA: IO NON APPOGGIO, OVVIAMENTE, I “TAGLIAGOLE” AFGANI E IRACHENI, MA L’OCCIDENTE DEVE COMPIERE UN MACROSCOPICO ESAME DI COSCIENZA SE VUOLE SPEGNERE LO SCONTRO DI CUI SOPRA… PER FARE QUESTO NON BASTA ADOTTARE BAMBINI AFGANI O COSTRUIRE QUALCHE OSPEDALE IN IRAQ… BISOGNA RIVEDERE TUTTA LA POLITICA ECONOMICA INTERNAZIONALE E RENDERLA PIU’ GIUSTA… PER FARE QUESTO BISOGNA STACCARSI DALL’INFLUENZA PLANETARIA AMERICANA E DALLA LOBBY DI BUSH E COMPANY… CIOE’ STO PARLANDO DI UTOPIE PERCHE’ NOI ITALIANI SIAMO E SAREMO SEMPRE UNA COLONIA MENTALE E CULTURALE A SERVIZIO DEGLI USA… ANCHE I SEDICENTI GOVERNI DI SINISTRA FANNO IL GIOCO ECONOMICO MONDIALE DEL WTO E DEGLI USA… PERCHE’ TUTTI VOGLIAMO LA BENZINA NELL’AUTO, I TERMOSIFONI D’INVERNO E LA VITA COMODA…
I FANATICI KAMIKAZE POSSONO ESSERE ANCHE FERMATI DA UN’OPERAZIONE DI POLIZIA, MA IL SUBSTRATO CHE GENERA IL KAMIKAZE RICHIEDE UNA PROFONDA ANALISI E UNA GROSSA UMILTA’ CHE NOI OCCIDENTALI ATTUALMENTE NON ABBIAMO.
Sono d’accordo con i commenti precedenti, purtroppo.
Duri ma realistici. Non dobbiamo però immaginare un’apocalisse del fondamentalismo. Sono sempre convinta che lo scontro e l’incontro riguardino sempre le PERSONE. Individui. E se lavoriamo per un’integrazione autentica e non di facciata, se educhiamo alla pace, se scriviamo anche PER e non CONTRO… Vi prego, siate speranzosi… E incoraggiatemi ad esserlo. Ho bisogno di credere che un mondo migliore è possibile.
Oggi è il giorno di TUTTI I SANTI! Dobbiamo veramente esserlo un po’ tutti, santi, per affrontare il tema proposto da Massimo e Andrea Di Consoli. Serve una certa illuminazione e un’astrazione dalle nostre condizioni/convinzioni. Concordo con le risposte di Giulio, che come il mago Prospero, dimostra una certa “saggezza” e conoscenza dell’essere. I giovani sono carne da macello, facile preda dei richiami, degli “ismi” e delle mode. I giovani sono la parte inquieta della vita; poi quando si sopravvive al disastro, per riflettere,c’è tutto il tempo che resta. L’attentato alle Torri è l’atto storico del nuovo millennio: potente, incredibile, straordinario più della devastazione stessa. Più del numero dei morti. Così spettacolare da nascondere il dolore. Una celebrazione della potenza. Un evento biblico, come il diluvio.
Proprio per queste ragioni non mi sembra strano che siano proprio i musulmani benestanti, i primi ad abbracciare la causa. A cambiare e riconvertire la propria vita in un mezzo di morte. Annoiati dalla comodità occidentale, che non ti nega niente ( se hai i mezzi per acquistare quello che vuoi). Non temo queste persone, mi preoccupano di più i migranti umili, spaesati, lontani, per i motivi più diversi, dai loro paesi. Felicemente distanti, alcuni, sono ora soggetti a conversioni “forzate”; le loro donne hanno ripreso i veli. Anche qui, dove abito io. E i controllori familiari non sono i mariti, ma gli stessi figli, i giovani maschi che vivono le nostre stesse difficoltà sociali ed economiche. Rispetto a noi, loro “hanno” una via d’uscita: la possibilità di aderire ad una forte identità. A questo stato di cose, l’Occidente (noi, l’Europa) non sa rispondere. Claudichiamo incerti, disperdendo intelligenze e azioni in direzioni già percorse e purtroppo infruttuose. Tempofa, in un paese vicino al mio, il sindaco del comune ha concesso la Sala Consiliare ai musulmani della zona, per la celebrazione del Ramadam, quando in un paese confinante c’erano già, attive e funzionanti, ben due moschee! Perché è stata richiesta? Perché è stata concessa? Ogni sera, il gruppo dei fedeli, rimuoveva i simboli del luogo (ritratto del Presidente, crocefisso, stemma del Comune e della Provincia ), toglieva le sedie, spostava i banchi e dopo aver steso i tappeti, pregavano. Non era più giusto dare loro una palestra? O un qualsiasi altro locale, la sala civica, per esempio? Perché la sala del Consiglio Comunale? che per loro, per quei giovani ragazzi, muratori e operai nelle fabbriche e nei cantieri della Brianza, quel luogo rappresentava l’espressione istituzionale più alta e significativa? Il sindaco e l’intera giunta hanno parlano di atto dovuto, a favore dell’integrazione e per dimostrare la loro più completa disponibilità. Al contrario, io penso, che sia stato un errore grave. In un vivere civile e democratico servono regole e i simboli che le rappresentano, per il “nostro” e il “loro” stesso bene. Cosa diremo alle ragazze in fuga dai loro paesi, dalle loro tradizioni (perché da certi paesi si fugge anche per questo), alla ricerca di un diverso modo di vivere? Giustificheremo la nostra indifferenza, perché in nome della democrazia riconosciamo alle famiglie “diversamente etniche” il diritto di esercitare le loro usanze? (velo, infibulazione, matrimonio…)
Dobbiamo rivedere la nostra cultura. Dobbiamo saper guardare in avanti e adeguare i principi irrinunciabili di Libertà, Uguaglianza e Fraternità, alla novità del presente. Uno scontro fra civiltà diventa un incontro se al confronto ci sono due identità consapevoli. La nostra democrazia ha in sé ancora molto fascino, che va valorizzato ed esposto. Conquistare! Conquistare (con intelligenza e amore) e non concedersi alla prima occasione, dopo una pizza!
Mi associo a quanto espresso da Michele Nigro, aggiungendo una personale convinzione-speranza a proposito del nostro Paese: noi italiani abbiamo la strada in salita, si’, per il perseguimento (a mio avviso indispensabile) di una netta e altisonante riaffermazione della nostra indipendenza culturale ed economica dagli USA, ma abbiamo tutte le ”carte” storiche, filosofiche, politiche ed economiche in regola per non rassegnarci al triste status quo di sciocca sudditanza. Un pachistano avrebbe piu’ difficolta’, insomma, a sentirsi pachistano senza dover per forza sentirsi contemporaneamente contrapposto con il mondo Occidentale. Noi italiani, invece, abbiamo migliaia di anni di storia occidentale alle spalle. Perche’ l’Occidente, dopotutto, lo abbiamo creato noi con le nostre mani. Gli statunitensi hanno studiato quel che noi e i latini abbiamo teorizzato e realizzato nel corso delle ere e poi ne hanno fatto una copia-carta carbone… venuta malino.
Sozi
Sono d’accordo anche con Miriam e mi scandalizzo per folli storie come quella della concessione della Sala Comunale di cui ha parlato. I nostri valori, in Italia, sono sacri come i valori altrui: pertanto, a ognuno i suoi spazi… e se invece si va a convivere negli stessi spazi istituzionali: guai (legali) a chi si permetta di disonorare i nostri convincimenti religiosi e politico-istituzionali. Dietro a noi Italiani dormono i loro giusti sonni migliaia di giuristi e statisti romani, medievali e moderni… non vorremo farli buttar giu’ dal letto da chi manco li conosce?
Sozi
Nella bella presentazione di Di Consoli non mi e’ chiaro un particolare. Lui dice del protagonista di questo romanzo – che io non ho letto – che
”Changez diventa, a mano a mano che si procede nella lettura, un uomo consapevole della forza spirituale e “barbarica” della sua terra; un uomo, cioè, che non si capacita che una grande terra, una grande cultura, una grande tradizione sia stata ridotta (nella considerazione dei più) a un manipolo di lestofanti e terroristi. Forse è un fondamentalista anche lui, ma lo è nella misura in cui difende la dignità e la forza (e l’integrità) della sua personale tradizione.”
Bene, ecco il mio dubbio: poiche’ Changez prima ha riso del crollo delle Torri Gemelle, non sara’ che, piuttosto che volere rispetto per la propria plurimillenaria cultura, egli provi piuttosto odio cieco e primitivo per la cultura d’accoglienza?
Sozi
Osservazione lessicale.
Di Consoli scrive “Nella barba di Changez non si nasconde oscurantismo, ma solo discendimento e catabasi”
> discendimento e catabasi: la differenza qual è, o quale dovrebbe essere?
Il “baricentro dell’anima individuale e collettiva” è già Ade?
Eh, gia’: pletorico in pieno. Giusto, Franco.
S.
Grazie per i vostri commenti, tutti belli e interessanti. Vi incito a continuare e a dialogare tra voi.
Voi come vedete il futuro rispetto alle problematiche evidenziate nel post e dal libro?
@ Gianfranco:
ti ringrazio per il tuo intervento; però, Franco, più che le osservazioni lessicali mi interessa il tuo parere sulla questione.
Sono sicuro che hai tanto da dire in proposito.
Ave ottimo Sergio!
*
Massimo: sì, la discussione è delicata e andrebbe ben stratificata.
Credo che Vollmann avrebbe molto da raccontarci, in questo caso. Penso al suo “Afghanistan Picture Show”, che volentieri ti riproporrei da queste parti, come sintesi delle prime relazioni tra USA e Pakistan negli anni Ottanta. E’ pieno di informazioni poco divulgate, e decisamente interessanti.
E racconta approcci islamici ormai dimenticati, come questo:
““Nel sacro Corano dice: ‘Non uccidere i popoli’, ma chi è i popoli? Popoli sono popoli quando seguono i Libri Sacri. Libri Sacri è quattro: Corano, Bibbia, (indecifrabile) e Torah è i libri. Questi è popoli. Chi non piace i Libri, loro NO popolo. I ruus è selvaggi. (…)”
e accenna dell’esodo dei profughi. Guarda quante notizie interessanti:
“Pochi profughi erano riusciti a raggiungere gli USA o la Germania Ovest, dove avevano mantenuto un adeguato tenore di vita; gli altri erano tra Iran e Pakistan (circa tre milioni), disposti spesso a tornare indietro per combattere contro l’invasore comunista. Vollmann li descrive come generosi e solidali tra loro a dispetto delle oggettive difficoltà di vita; accenna ai giovani come a suoi simili, senza denari, educati ed estranei agli alcolici. ”
Il libro venne pubblicato solo nel 1992. In differita. Direi che potrebbe essere un buon punto di partenza per orientarsi nelle relazioni tra le amministrazioni americane e quelle afgane e pakistane. Per una vera mappatura…
Per ora, questo;)
un abbraccio
Questo post è eccezionale!
Intanto desidero complimentarmi con Andrea Di Consoli per la bellissima recensione e con Massimo Maugeri per la brillantezza con cui ha saputo lanciare questo dibattito.
Tutti i commenti che ho letto finora sono di ottima levatura.
Bravi tutti.
Stefy
Sempre per riflettere…
“A Peshawar i mujaheddin erano suddivisi in sei fazioni, in contrasto per antagonismi tribali e ambizioni ideologiche differenti: il primo gruppo ospitava i maestri, i “mullah”, fondamentalisti; il secondo i socialdemocratici, liberal-progressisti, più vicini alle nostre sensibilità. Sappiamo bene chi ha saputo prevalere, e con quali drammatiche conseguenze, nel tempo. Una nota, a p. 128, ci aiuta a scoprire dell’altro: “Alcuni ospiti dei campi, tuttavia, facevano una distinzione tra mujahid (santo guerriero di quella che veniva percepita in primo luogo come una guerra santa) e mujahier (profugo a causa della persecuzione contro la religione)” (p. 128).”
Tutto questo per anticiparti un concetto-cardine: prima di parlare di musulmani borghesi, semplificando, serve una chiara lettura del loro dna etnico, etico e politico. Servono distinzioni, ma è materia da specialisti, io sono ancora in fase di primitiva documentazione (e chissà quanto durerà).
E mi unisco a Sergio, sulla questione americana. In toto, come al solito. Sapete come la penso.
‘notte! Pardon per qualche inevitabile refuso;)
@ Stefania:
grazie per i complimenti.
–
@ Gianfranco:
grazie per i preziosi contributi. Quando ho scritto “Sono sicuro che hai tanto da dire in proposito” sapevo di non sbagliarmi.
😉
Ave a te, ottimo massimo Franco! Ne sai una piu’ di Orazio (ah ah! Risata goliardico-affettuosa… campaniliana direi).
E un ”Benvenuta fra noi” a Stefania, della quale speriamo di meritare gli elogi.
S.
di teste calde è pieno il mondo. Credo che il problema insorga quando vengono convogliate tutte insieme verso un fine comune usamdo un potente catalizzatore qual’è la religione. In nome degli dei si compiono le peggiori atrocità, e se il terreno di coltura è nutrito da miseria, sopraffazione e disperazione il virus si espande, infettando anche al di là dei confini originari. Finchè l’occidente continuerà ad usare le stesse armi (il linguaggio potrà essere differente, questione di sfumature, ma la sopraffazione, l’eliminazione fisica dei nemici, l’assoluta certezza di avere ragione non ce le facciamo insegnare da nessuno), finchè l’alternativa al velo saranno le veline, finchè non sarà invalso nell’opinione comune il concetto che l’etica non è monopolio di nessuna religione, ma un patrimonio laico condivisibile e condiviso, temo che sarà estremamente difficile l’integrazione.
Ora che abbiamo concluso come l’integrazione sarà difficile, cosa facciamo? io ho avuto tutto dalla vita, non mi manca niente e quel che mi manca, mi manca per causa mia. Ciononostante, non mi sento affatto cattivo a sperare che il flusso di genti verso l’Italia prenda a diminuire prima possibile. Perché -secondo me- il problema è innanzitutto demografico. Di rapporto fra le risorse e il numero di consumatori delle stesse, di rapporto fra quest’ultimi e la loro capacità di rinnovarle. O crediamo forse che chi arriva da paesi ben più disgraziati del nostro sia disposto per tutte le generazioni a venire, a lavorare come cameriere, macellaio, parcheggiatore, o al massimo barista? presto ci saranno avvocati, medici, architetti e quant’altro. Ciò significherà una variazione sempre più profonda e sempre più sconvolgente della nostra attuale cultura. Prendiamone atto, e poi discutiamo. In alcuni libri di Sociologia, primo fra tutti quello di Beck sul cosmpolitismo, si gioca in continuazione con frasi del genere: “gli inglesi si comportano come se esistesse ancora l’Inghilterra”. Ecco, allora anche noi, italiani ancora in formazione con la nostra tarda Unità, ci comportiamo come se esistesse ancora l’Italia.
Post molto interessante. Ottima la recensione, attualissimo il dibattito.
Nonostante tutto sono ottimista, lo sono per natura. Credo che con la buona volontà di tutti e superando le immancabili difficoltà riusciremo a vivere sotto lo stesso tetto. Non sarà facile e non vedo alternative.
Quali sarebbero le alternative, secondo voi?
Giulio Prosperi, riferendosi agli immigrati africani e mediorientali dice: “presto ci saranno avvocati, medici, architetti e quant’altro”.
Mi domando, perchè non dovrebbero esserci avvocati, medici, architetti e quant’altro tra gli immigrati?
Naturalmente mi aspetto delle risposte.
Grazie e complimenti per questo bel blog.
Scusate, un’ultima domanda. Come reagireste se vostra figlia o sorella si innamorasse di un fondamentalista islamico? Di quelli che impone il velo e roba del genere?
Come converrebbe comportarsi in questi casi?
Cominciamo a porcele queste domande…
per Renoir.
Non ho detto che non dovrebbero esserci. Io preferirei di no perché quando ci saranno io dovrò stressarmi e rivedere tutti i miei riferimenti cognitivi; ma ci saranno comunque. Ed agendo su un piano più delicato della società, varieranno più velocemente e più profondamente la nostra cultura. Cambierà tutto, cambieremo anche noi. Ma pare che nessuno se ne renda conto. La tendenza è sempre al caos, non all’ordine integrativo, o al viviamo bene insieme felici. Negli USA l’immigrazione è sempre stata gestita in modo violento, settario, segregazionista. E noi, civilissimi europei, non abbiamo mancato di aborrire tale approccio. Bene. Vediamo adesso come noi gestiamo il problema. Ieri uno stupro da parte di un ROM e già hanno smantellato a forza un intero campo di gente che non c’entrava un cazzo. Io non ho un cuore abbastanza grande per piangerne perché puzzavano, vivevano nella merda, e non conoscevano la mia lingua. Ma ho un cuore per dire ciò che sento. E non credo di essere l’unico.
A puro titolo di cronaca va detto che la parola kamikaze non è prevista nel vocabolario dei fondamentalisti. questa parola la usiamo noi occidentali mutuandola dai piloti suicidi giapponesi. nei paesi islamici coloro che si immolano in attentati suicidi vengono chiamati shaeddin. Il loro percorso addestrativo molto spesso non ha nulla a che fare con la fede religiosa. L’attentato vero e proprio, nel novanta per cento dei casi, si realizza dopo una lunga serie di procedure che i servizi segreti occidentali hanno studiato molto bene e che, pertanto, tentano di sconfiggere alla radice. In sostanza, se è facile conoscere il numero di attentati suicidi che vengono messi a segno, non è possibile conoscere il numero di aspiranti shaeddin che vengono intercettati dai vari servizi segreti e messi nell’impossibilità di agire. Di più non posso dire, sennò mi fanno un culo così 🙂
dovrei leggere il libro prima….
così sui due piedi risponderei che alcuni giovani mussulmani scelgono la lotta contro il mondo capitalista perchè sono alla ricerca della identità che hanno dovuto perdere per essere inseriti nella nuova società.
quindi è inevitabile rivedere la nostra posizione e dar maggiore attenzione alle loro esigenze, anche perchè forse avremo da migliorare anche noi occidentali, che con questo nome abbiamo già commesso atrocità che ci hanno arricchito abbastanza. l’integrazione è necessaria più che mai sopratutto ora che scappano tutti dal medioriente (vedi guerre), questo non significa perdere la nostra cultura ma sicuramente arricchirla. so di far parte di una minoranza a pensarla così… anche tra i soliti benpensanti cattolici-borghesi risulto essere un’eccezione, infatti il loro timore è che i mussulmani vogliano sottometterci, con la violenza visto che si tratta di un popolo “primitivo”, in un silenzio assente dove maometto comanderà sulle nostre teste.
Io questo timore non l’avverto. forse ragiono da infantile e con un radicato buonismo nel cuore, ma sono convinta che la società deve evolversi e lo farà nella maniera migliore possibile se non altro per il mantenimento della specie! poi ho avuto la fortuna di conoscere mussulmani, ho amiche sposate con queste persone e finora si sono sempre rivelate persone rispettabilissime, a meno che non siano tutti degli alienati o con disturbi di doppia personalità. i loro figli saranno frutto di integrazione.
ciao Chiara!
a proposito dello stupro da parte del ROM io dico tolleranza zero. è assurdo che dei deliquenti possano girare a piede libero per l’europa ad ammazzare la gente. ci bastano i nostri.
è facile essere tollerante quando certe disgrazie capitano agli altri.
altro che tolleranza! pugno di ferro!
a costo di essere odiato dico pure che dovremmo fare nostro l’urlo di rabbia e di orgoglio di oriana fallaci
Imagine there’s no heaven
It’s easy if you try
No hell below us
Above us only sky
Imagine all the people
Living for today…
Imagine there’s no countries
It isn’t hard to do
Nothing to kill or die for
And no religion too
Imagine all the people
Living life in peace…
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will be as one
Imagine no possessions
I wonder if you can
No need for greed or hunger
A brotherhood of man
Imagine all the people
Sharing all the world…
You may say I’m a dreamer
But I’m not the only one
I hope someday you’ll join us
And the world will live as one
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traduzione
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Immagina non ci sia il Paradiso
prova, è facile
Nessun inferno sotto i piedi
Sopra di noi solo il Cielo
Immagina che la gente
viva al presente…
Immagina non ci siano paesi
non è difficile
Niente per cui uccidere e morire
e nessuna religione
Immagina che tutti
vivano la loro vita in pace…
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno
Immagina un mondo senza possessi
mi chiedo se ci riesci
senza necessità di avidità o fame
La fratellanza tra gli uomini
Immagina tutta le gente
condividere il mondo intero…
Puoi dire che sono un sognatore
ma non sono il solo
Spero che ti unirai anche tu un giorno
e che il mondo diventi uno
Giulio Prosperi ha posto la questione in modo esatto. Sottoscrivo il suo intervento, parola per parola. Sottovalutare la dimensione del problema non può che creare altri problemi. Il nostro grande male è quello di ricondurre ogni questione ad un’impostazione statica (ripetitiva, noiosa e sterile) della nostra divisione politica; dovremmo andare oltre e guardare alle cose con più distacco e intelligenza. Lo Stivale è esposto ad un mare che ormai conta migliaia di morti, ed è un flusso continuo e inarrestabile. L’Italia, in sede Europea dovrebbe avere una politica chiara, al di sopra delle nostre strumentali divisioni. Il nostro paese è piccolo, con un alta densità d’abitazione e con risorse limitate. Abbiamo il fiato corto ed economicamente, un’unica grande possibilità: trasformare il nostro paese in un isola d’arte per un turismo internazionale di massa, ma qualificato. E’ l’unica nostra, vera, grande risorsa. Un progetto a cui dovremmo mettere mano da subito, investendo in strutture, risanamenti ambientali e in programmi di formazione. In una politica di salvaguardia e rilancio del patrimonio, anche l’immigrazione può trovare un suo spazio, ma con precise regole per delle finalità determinate. Per questo, salvaguardare l’identità culturale, storica e tradizionale del paese, diventa un dovere primario.
@ Renoir: per caso non s’innamora più nessuno, meno che meno di un cretino che vuole nasconderti sotto un lenzuolo. Ci si può però convertire… e poi abbracciare tutte le cause (sic!). Comunque farei di tutto ( dalle buone alle cattive) per impedirlo; per prima cosa ricorrerei all’informazione ( l’ obbligherei a leggere libri, saggi e articoli sul tema); poi mi rivolgerei ad un agenzia matrimoniale per individuare un certo numero di fidanzati possibili e organizzerei un piano strategico d’assedio; la porterei con me in certi paesi per visitarli a fondo; la chiuderei in casa, come Prezzemolina; assolderei un pugile per gonfiare di botte il fondamentalista; infine, come cosa ultima , la butteri fuori di casa e piangerei per il resto dei miei giorni. Ho esagerato? SMILE (ciao, Elektra)
Per Veleno.
Non credo sia quello il modo giusto per risolvere il problema. La Fallaci è stata una grande intellettuale, ottima giornalista e brava scrittrice. Ma se dovessimo prendere alla lettera le sue esortazioni rispetto al problema di cui stiamo discutendo temo che sia la fine.
Io sono convinto che i fondamentalisti inclini alla violenza e favorevoli agli attentati siano una minoranza. Evitiamo di generalizzare. Gli anatemi non servono. Non sono mai serviti.
per Enrico
In che senso ti fanno un culo così?! tu che c’entri? Sei dello Shin Bet?
Io sono un ventisettenne, lattante putrefatto, giacché siamo in un blog letterario. E tu?!
Grazie per la risposta Miriam Ravasio,
sei stata molto chiara.
Purtroppo non sono d’accordo quando dici che ‘per caso non s’innamora più nessuno, meno che meno di un cretino che vuole nasconderti sotto un lenzuolo’.
Hai mai letto NEVE di Pamuk?
Ti faccio un’altra domanda. E se il musulmano non fosse un fondamentalista, ma un normale credente osservante delle regole della propria religione?
Secondo me, con la calma e la perseveranza si potrebbero ottenere degli ottimi risultati, allo scopo di ”pacificare” l’Italia:
– Fare leggi semplici e applicarle con chiunque sia presente sul suolo nazionale – italiano o straniero.
– Far funzionare VERAMENTE gli uffici di collocamento statali per diminuire la sacca di poverta’ disponibile al fondamentalismo e al crimine organizzato o ”micro”.
– Introdurre un SERIO sussidio di disoccupazione.
– Rispettare le nostre leggi (questo lo dico agli italiani come me), perche’ se le rispettassimo noi, gli stranieri si adatterebbero per amore o per forza.
– Attuare una politica di regolamentazione e contenimento degli affitti per case ad uso abitativo: basta con il liberismo-feudalesimo che porta via la meta’ dello stipendio alla povera gente.
– Migliorare ed aumentare il controllo territoriale da parte delle Forze dell’Ordine.
Ecco. Cosi’ vedreste meno gente delinquere, fondamentalisti o scippatori, spacciatori o balordi che siano.
Sergio
Nessun mistero, caro giulio (lattante putrefatto). io ho circa il doppio dei tuoi anni e mi ritrovo a essere il repsonsabile della cronaca nera de “Il Messaggero”. Per cui mi ritrovo ad avere informazioni anche riservate che, sebbene non pubblicabili, servono comunque ad avere il quadro delle situazioni. Ovviamente, come sai, le fonti vanno protette e quindi a un certo punto è giusto tacere
renoir, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire e peggior cieco di chi non vuol vedere. il problema di noi europei è che è troppo scomodo osservare la realtà, guardare in faccia la verità.
Io condivido i post di Miriam Ravasio e Veleno…! Uno dei problemi maggiori dal mio punto di vista è che questa convivenza è principalmente a senso unico.
Fino a che punto può spingersi la tolleranza prima di diventare debolezza? Quando esco per strada e incontro le donne islamiche coperte dai loro veli non è certo condivisione e rispetto quello che brilla negli occhi di alcune di loro mentre guardano il mio ipod e i miei capelli orgogliosamente sciolti. Perchè se vado in alcune zone del loro paese per poter essere sicura di tornare devo lasciare la croce che porto al collo a casa?
Nonostante questo sono anche d’accordo sul fatto che non tutti gli islamici sono potenzialmente fondamentalisti, ma proprio per questa ragione e proprio per testimoniare che non è così i non fondamentalisti dovrebbero per primi farsi sentire…!!
Detto questo… vado a comprarmi il libro perchè mi avete intrigato!!!
I discorsi di veleno mi fanno un po’ paura e mi dissocio.
Gwen, tu hai pure ragione. Ma cosa si dovrebbe fare a tuo avviso? Che soluzione vedi?
Secondo me è riduttivo dire “questo non va bene” e chiuderla lì.
sottoscrivo in pieno il post di sergio sozi, e mi permetto di aggiungere che entrare nell’ottica dello scontro di civiltà contrappone un fondamentalismo ad un altro, e mi spaventa molto la violenza neanche tanto repressa di chi invoca rabbia e orgoglio. Se mia figlia si innamorasse di un fondamentalista islamico sarei preoccupata e angosciata, esattamente come se si innamorasse di un naziskin o di un brigatista o di un cristiano estremo. E soprattutto mi chiederei in che punto del percorso e perchè ha sentito il bisogno di buttare all’aria tutti i valori che ha respirato da sempre… :o))
Brava Gea!!!
Applausi.
non religiosi, s’intende. Parlo della famosa etica laica, del rispetto reciproco, della gioia di essere donna non sottoposta a nessuno, della cultura, delle letture, della condivisione…
Ringrazio il padrone di casa per la segnalazione, per la recensione, per il post e lo spunto che da esso deriva.
Il tema è complesso e non si può affrontare con le misere categorie del nostro pensare. L’economia, la filosofia, la religione non ci aiutano. La storia in minima parte.
Uscire da noi stessi per andare verso l’altro ed accoglierlo nella casa di tutti che è posta nello spazio indefinito della comprensione, significa intraprendere un viaggio.
Tutto ciò che siamo , il mondo al quale apparteniamo, le nostre sicurezze, i nostri punti di riferimento, tutto lasciamo alle nostre spalle. Non c’è altro modo.
Bisogna imparare ad essere emigranti del cuore e della ragione.
Andiamo a fare fortuna con l’esperienza dell’altro in cambio di noi stessi. E’ uno scambio equo perchè pone entrambi all’interno di quella casa comune. Il rischio, reale e drammatico, è nella stessa sua edificazione. Sulla porta potremmo scrivere “qui alberga amore”, ma sarebbe solo un inutile vezzo.
L’importante è aver compiuto quel viaggio. Potremo tornare da soli in compagnia. Più ricchi e più uguali.
La diversità e la sua celebrazione sono, a mio parere, mangime per bocche di stolti, nutrimento per anime vacue, se la divisione rimane.
Ancora peggiore è il sospetto, ovunque esso sia indirizzato, verso l’ “oltre oceano” o semplicemente verso l’ “oltre da noi”, poichè amplifica lo spazio vuoto nel nostro cuore.
Ma siete così sicuri che le tutte donne islamiche che portano il velo lo facciano contro la propria volontà? Come fate a sostenere una tesi del genere? Le avete conosciute? Avete parlato con loro? Conoscete le loro tradizioni? La loro storia? Siete entrati nelle loro teste?
Renoir, perché non hai posto la domanda anche all’incontrario?
Lo faccio io.
Cosa fareste se vostro FIGLIO si innamorasse di una donna islamica che desidera con tutta se stessa indossare il velo e seguire i dettami della propria religione?
Scommetto che le vostre ansie sarebbero meno forti che nel caso opposto.
rispondo a ragion veduta, avendo sia un figlio che una figlia, e in età a rischio di cazzate. No, non lo sarebbero. E i problemi che mi porrei sarebbero gli stessi. Certo che molte donne scelgono il velo, come molte donne sono convinte che se una viene violentata se l’è cercata, e se il marito le picchia è normale e sotto sotto giusto, che per il bene dei figli non ci si deve separare neanche da un mostro, che le lavatrici come le fanno loro nessun uomo mai… e allora? :o)
@ Renoir: sarebbe un’altra cosa. Mi dispiacerebbe un po’… ma…pazienza.
Vi ringrazio molto per i vostri commenti. Mi dimostrate che l’argomento trattato da questo post ci “tocca” un po’ tutti.
Consentitemi di salutare qualcuno in particolare:
– Gea e Gwen: grazie per essere tornate. Davvero 🙂
–
– Il ritorno di Eventounico è un vero “evento unico”. Bentornato, brother!
–
– Un saluto anche a Renoir e Veleno: due nuovi nick che si aggiungono. Grazie amche a voi
Caro Massimo Maugeri, che “post”,”post”, intenso,profondo è questo: gli interventi sono tutti pertinenti ma, a un “cittadino comune” come me,non lo nascondo, mi evoca una citazione di Giovanni Paolo II:”Non dovete avere paura, dovete avere coraggio”.Ho apprezzato tra gli intervenuti Giulio Prosperi, perché rappresenta la generazione che si confronterà meglio con le tematiche esposte; anche Lui,però, ha dichiarato le sue perplessità riguardo l’integrazione di nuovi soggetti stranieri con Noi a parità d’istruzione e competenze professionali: in Italia non c’è posto per Tutti, ma nemmeno gli Italiani sono soddisfatti.
La paura la sto provando personalmente,vivendo il nostro tempo, le atrocità sono sotto i nostri occhi ed è inutile negarlo. La storia ci insegna: “corsi e ricorsi storici”.La guerra di religione, l’abbiamo capito è un falso problema, è niente di fronte agli interessi economici preminenti delle grandi Potenze: l’Italia si può solo alleare con il più forte e garante di vera democrazia nel mondo; nel caso esistesse.Il coraggio: la nostra identità di cittadino Italiano,in questa fattispecie, che considera come priorità i diritti civili di uno Stato,il nostro, che ha le leggi adeguate per affrontare il problema dell’emigrazione e si riconosce laico. La questione della discriminazione della sola religione o della razza non attiene,in buona sostanza, alla nostra Storia. Non dimentichiamo che il futuro è l’ecumenismo,secondo me, e non dobbiamo subire,pertanto, una falsa propaganda a favore o contro l’integralismo islamico.Combattere per difendere i diritti civili,quindi, e non alimentare la guerra di religione.
Grazie Massimo,grazie a Miriam Ravasio,Sergio Sozi ha accennato che le leggi ci sono e si possono integrare,Giulio Prosperi mi auguro che si possa confrontare in questo blog, con un coetaneo “borghese fondamentalista”,Mohsin Hamid.Bravi tutti!
Luca Gallina
Caro Luca, grazie a te.
Ribadisco ancora una volta che la forza di questo blog siete voi . Voi che ci scrivete con passione.
Luca dice: “La guerra di religione, l’abbiamo capito è un falso problema, è niente di fronte agli interessi economici preminenti delle grandi Potenze”.
E tocca un argomento già affrontato in questo blog.
In tal senso, giacché la questione è assai complessa ritengo che possa essere conveniente usare con cautela la parola “verità”.
Da un certo punto di vista, del resto, credo che un po’ di verità ci sia in tutti i vostri commenti.
Ma la verità è sfuggente e – soprattutto oggi – rischia di essere “pilotata”, appunto, dai grossi media in un senso o in altro.
Vi indico un vecchio post (che si integra bene con questo) dedicato a “La fine della verità” di Monica Maggioni. Segue il link:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/02/11/la-fine-della-verita-di-monica-maggioni-recensione-e-intervista/
E poi – più recente – c’è quest’altro post dedicato all’11 settembre:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/09/11/sei-anni-dall11-settembre/
per Enrico
la citazione era da Proust (lattante putrefatto). Ma lui non si occupava
di cronaca nera.
(off topic, ma neanche tanto) ma sono l’unica a cui è venuta l’angoscia leggendo della messa al bando della musica nelle maratone? migliorando le prestazioni è equiparata al doping. Non possiedo un ipod e non corro, ma la musica ha sempre fatto parte della mia vita. Stiamo andando verso la stigmatizzazione morale di qualunque cosa o comportamento dia gioia. Se effettivamente ha un effetto positivo perchè non incoraggiarla al posto dei cocktail legali di vitamine integratori e farmaci vari? A quando la proibizione di ridere? Sul leggere già quasi ci siamo… :o)))
(off topic)
Hai ragione, Gea. La musica è gioia. Maratone o non maratone, già andiamo tutti di corsa; se ci levano anche la musica!
–
Mentre ci sono mi verrebbe quasi da dire una banalità del tipo: se si ascoltasse più musica ci sarebbe meno fondamentalismo in giro… di ogni tipo. Ma visto che non sono banale eviterò di dirlo.
‘Notte.
X Prosperi.
Il fatto e` complicato. vero che il probelma dell`integrazione viene vissuto in modo settario e violento negli states, ma il volemose bene e la disorganizzazione, quando non proprio l`assoluta incapacita` di gestire il problema non credo serva a dissiinescare il razzismo, quando invece, paradossalmente, a crearlo.
l`islam, tornando al tema della discussione, ha effettivamente perso alcuni treni per lo sviluppo e la modernita`. Si potra` anche discutere se tutto quanto nell`occidente sia positivo, e non lo e`, ma il livello organizzativo e funzionale delle altre culture, sembra creare piu` che risolvere i loro problemi.
In fondo la gente parte da quei paesi non solo per astratto bisogno di evasione, ma perche` vive in realta` dove ci sono problemi immediati e vitali ( lavoro, sicurezza, liberta`) che non si riesce a risolvere.
Ciao Outworks, grazie per il commento.
Immagino che molti dei frequentatori abituali del blog siano in giro approfittando del ponte lungo.
In ogni caso questo post rimarrà in primo piano fino a lunedì.
Per quanto concerne il discorso relativo al velo islamico mi permetto di offrire un ulteriore spunto.
Prendiamo il caso della Turchia , un paese islamico dove vige il principio della laicità dello Stato.
Ora, in Turchia l’uso del “velo” in alcuni luoghi pubblici – come per esempio le università – è stato addirittura vietato. Ebbene, diverse studentesse universitarie, ma anche donne di cultura e intellettuali, hanno veementemente protestato contro la suddetta normativa reclamando il diritto di indossare il velo anche nei luoghi “vietati”.
Qualcuno di voi ha cita il romanzo di Pamuk “Neve”. Concordo sul fatto che lì tale apparente paradosso è spiegato molto bene.
Come “interpretate” questa situazione, partendo dal presupposto che – ripeto, paradossalmente – tali proteste hanno coinvolto anche donne culturalmente più “evolute”?
Aggiugno che con l’ascesa al potere di Erdogan la “situazione turca” è lievemente mutata.
Di seguito, a mo’ di approfondimento, vi riporto un articolo pubblicato sul quotidiano “Il Giornale” del 20 settembre 2007.
Poi mi farebbe piacere conoscere le vostre opinioni anche su questo punto.
Turchia, svolta islamica: “È ora che il velo entri nelle università”
di Marta Ottaviani – giovedì 20 settembre 2007
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Ankara – L’unica cosa certa è che ieri la parola «laicità» non l’ha nominata nemmeno una volta. Per il resto si può solo aspettare e sperare in un atto di buon senso. Ma, a leggere quello che Recep Tayyip Erdogan ha dichiarato al Financial Times, sembra chiaro che il partito islamico moderato al potere in Turchia sia più che determinato a rendere libero l’utilizzo del velo anche dove adesso è vietato, cioè nelle università.
La polemica è alta e alcune istituzioni laiche della Repubblica hanno fatto sapere che sono pronte a dare battaglia. Forse anche per questo ieri pomeriggio il premier è comparso a grande sorpresa davanti alle telecamere. La motivazione ufficiale era quella di parlare dei lavori sulla revisione della Carta costituzionale, quella ufficiosa tranquillizzare gli animi. E per farlo Erdogan ha usato la più astuta delle armi: l’ingresso del Paese in Unione europea.
«Quella a cui stiamo lavorando – ha spiegato il premier in diretta – non è la costituzione dell’Akp, ma la nuova legge madre di tutto lo Stato turco e sarà una legge in grado di regolare uno stato moderno e democratico». Erdogan ha anche aggiunto che sulla bozza si confronteranno anche esponenti del mondo accademico e della società civile. Visto così il discorso del premier rientrerebbe nella più ovvia delle routine politiche. Ma ieri mattina tutti i quotidiani locali aprivano con una notizie che di ordinario aveva ben poco.
L’altra notte gli alti dirigenti del partito di maggioranza, Erdogan incluso, sono stati per otto ore a dibattere su uno dei punti più spinosi della nuova Costituzione: abolire il divieto di indossare il velo islamico. Secondo anticipazioni riportate dai quotidiani Hurriyet e Zaman, la formula pensata dal primo ministro sarebbe la seguente: sì al velo islamico se motivato da una libera scelta negli atenei, purché sia quello della tradizione turca, composto da una cuffia sovrastata da un foulard. Resta quindi escluso il chador e altri tipi di copertura che non si limitino alla testa. Alle indiscrezioni sulla riunione sono seguite le dichiarazioni di Erdogan al Financial Times di ieri, rimbalzate su tutti i media turchi: «Il divieto sull’utilizzo del turban deve finire. Le ragazze devono essere libere di poter andare all’università come credono. Nei Paesi occidentali non ci sono problemi su questo aspetto, ma in Turchia sì, e credo sia compito della politica risolverli».
Motivazioni sufficienti per fare gridare i rettori delle università turche all’allarme e minacciare il governo di ricorrere alla Corte europea per i diritti umani se non desisteranno dai loro propositi. L’opposizione è preoccupata per la tenuta della laicità nel Paese, i militari per il momento tacciono. Ed Erdogan è intervenuto in televisione per tentare di sviare il discorso. Durante il suo intervento il velo islamico non lo ha mai citato. Ma a fine conferenza, messo alle strette dai giornalisti, ha dovuto affrontare l’argomento. E tutta la diplomazia usata fino a quel momento è andata a rotoli. Dopo aver invitato i rettori delle università a occuparsi del loro lavoro, il primo ministro ha detto: «Non abbiamo ancora deciso nulla. I lavori sono ancora in corso, prima di criticarci potrebbero almeno aspettare che siano finiti».
Insomma, Erdogan chiede tempo e fiducia. In compenso il neoeletto presidente della Repubblica la sua scelta sembra già averla fatta. Due giorni fa si trovava a Cipro Nord in visita ufficiale con la moglie velata Hayrunissa. Ai giornalisti che gli chiedevano sulle future presenze pubbliche della first lady, Gül ha risposto: «Sarà sempre al mio fianco, non credo ci sia bisogno di aggiungere altro».
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Fonte: Il Giornale del 20 settembre 2007
Il vero limite, a mio giudizio, di tutta la diatriba islam-laici nello stesso mondo islamico e` la mancanza di misura nelle oscillazioni del pendolo.
Mi spiego : una sera sentivo magdi allam dal vivo che diceva come negli anni `60 l`egitto fosse una vera oasi per i laici. Erano banditi tutti i comportamenti che anche lontanamente richiamavano una osservanza del Corano. La ragione di questa cosa era pero` dovuta al fatto che vi era una altra forma di assolutismo, il nazionalismo arabo di stampo nasseriano, che comprimeva l`espressione anche piu` banale di religiosita`.
Come reazione a questo atteggiamento vi e` stata negli ultimi decenni una rinascita repentina di movimenti islamici anche molto estremisti.
La Turchia e` in una situazione simile : ataturk ha scelto il metodo piu` spiccio per riuscire a portare il proprio paese in una dimensione piu` moderna e slegata da dinamiche religiose. Adesso il pendolo tornera` indietro, e purtroppo credo che andra` anche piu` avanti rispetto a quanto abbiamo visto sino ad ora.
Sino a quando la dinamica sociale sara` quella di mettere un compressore sopra l`altro e` chiaro che la situazione rimarra` fluida e anche portata verso estremismi alterni.
Io, onestamente, le donne che vogliono indossare il velo non le capisco proprio. Forse ha ragione Outworks, i divieti creano spesso l’effetto contrario.
Magdi Allam, che cita Outworks, mi pare un’autorità in materia. Ha scritto diversi libri.
Una volta qualcuno disse: ”Libera Chiesa in libero Stato”. Oggi dobbiamo dire: ”Libere Fedi in libero Stato”, pero’ dei limiti, o le Fedi se li danno da sole o tocca allo Stato darli. Per forza di cose, se no si va all’anarchia.
Nel caso italiano, tutto cio’ che non contrasta col nostro sistema giuridico complessivo e’ da ritenersi permesso. Aggiornare l’ordinamento e’ dunque cosa da fare, si’, ma ”cum grano salis”. Ovvero con delicatezza e ponderatamente.
Sergio
La voglia di velo è molto simile alla voglia di guerra dei giovani “benpensanti” ai tempi del primo grande macello, ma anche del secondo (ricorda mia mamma). Molte volte, mio nonno mi raccontato dei “ricchi studenti” che uscivano dal collegio dei salesiani , dove lui lavorava come cuoco, diretti in centro città al grido di Guerra e Azione, Vogliamo la Guerra! E’ l’intemperanza giovanile, a cui faceva riferimento Prosperi, che incontra sulla strada un preciso disegno politico.
INTERPRETO
Voglio il velo perché rifiuto questo stupido mondo, per questo rinuncio a cose che per me non hanno più importanza; mi castro per una rinascita giusta, per un vivere più equo, per un riscatto del mondo arabo. Scelgo di vivere le cose migliori, scelgo l’intimità della mia casa, del mio amore. Scelgo di essere donna sottomessa, protetta, rispettata nel rifugio sicuro di un uomo casto, puro e spiritualmente integro. Rifiuto la mercificazione, lo sfruttamento, la volgarità di una società chiassosa, insicura, riscoprendo le mie origini…poi i giorni che verranno ci consegneranno un mondo diverso e i nostri figli, per questo, ci ameranno di più, oppure no? Non sarà così? La mia rinuncia contro il futuro, la modernizzazione. La libertà di guidare, di lavorare, di prendere il sole, di sposarmi con chi amo; mi castro felice e sicura, la mia scelta definitiva e irrevocabile, più di un voto, più di una clausura, per me, le mie figlie e nipoti. Sono sicura, la mia scelta è giusta, mi appartiene, mi darà una discendenza, etnicamente forte e riconoscibile. Lo faccio! Guanti neri, veli neri, via gli occhi, la bocca, le mani; al riparo. Da domani rivendicherò questo diritto. Posso farlo, posso appendere cartelli, inviare e-mail, scrivere ai giornali, pubblicare un libro. Potrei pensare anche ad uno spettacolo con musica, immagini, testimonianze, belle parole, pensieri tradotti in tutte le lingue. Presenzierò, mi attiverò per rivendicare tutto questo, cercherò delle amiche, giorni febbrili e notti d’entusiasmo. Nessuno può negarmelo, è un mio diritto. Al lavoro! … Sono sicura. Sicura?
(Milano) Lunedì 2 aprile 2007, ore 18.00, si è svolta la conferenza dal titolo “La questione del velo tra libertà e rispetto”, organizzata dall’Associazione Libertà eguale Milano, presso lo Spazio dell’Unione femminile nazionale in Corso di porta nuova 32.
La ministra Pollastrini ed insigni studiose e studiosi hanno discusso delle implicazioni e degli interrogativi che l’uso del velo islamico pongono ad ognuno di noi, influenzando necessariamente le forme della convivenza civile e il funzionamento delle istituzioni pubbliche e delle principali agenzie di integrazione e socializzazione, a cominciare dalla scuola.
Riporto gli interventi più significativi della giornata.
La Prof.ssa Elisabetta Galeotti, dell’Università del Piemonte orientale, che ha aperto il dibattito, si è interrogata sul perché nel 1989, in Francia sia esploso il primo caso di intolleranza europea sull’utilizzo del velo a scuola: tutte voi ricorderanno quando alcune ragazze musulmane si presentarono a scuola con il velo islamico (hidjab) e la direzione scolastica del loro liceo decise di sospenderle dalle lezioni.
Da quell’anno in poi centinaia e centinaia furono le espulsioni di studentesse, fino all’approvazione della Legge, entrata in vigore questo settembre, che all’art 1 recita: ”E’ vietato nelle scuole indossare simboli o indumenti che ostentino l’appartenenza religiosa”.
La legge riguarda anche simboli religiosi come il turbante dei sikh, la kippah ebraica e la croce cristiana (se di grossa dimensione), ma non è difficile supporre che il bersaglio principale di questa legge sia il velo islamico (e l’immigrazione nordafricana). La norma non si applica nelle scuole private / cattoliche (che in Francia sono molto più che in Italia) e nei territori oltre confine. Il tutto in nome della laicità della scuola pubblica francese.
Secondo Galeotti il caso ci impone sicuramente di revisionare la teoria tradizionale della tolleranza e di riflettere sul fatto che in democrazia liberale tutti sono liberi di esprimere le proprie convinzioni religiose e morali, nella misura in cui nessun diritto è violato e nessun danno a terzi o a cose è prodotto.
Si è chiesta, in maniera provocatoria, come mai un foularino possa sconvolgere; in fondo nel mondo mediterraneo questa è una tradizione antica e che noi donne abbiamo abbandonato qualche decennio fa. Come non ricordarsi le nostre nonne, specie nel sud, coperte interamente da neri foulard o sciarpe di lana per entrare in chiesa?
Tutti i cittadini sono liberi di esprimere le loro convinzioni personali, ma fuori dalla sfera pubblica, quella sfera cui apparteniamo indipendentemente dai nostri credi, affiliazioni e realtà. Se noi adottiamo questa interpretazione si richiede che nella sfera pubblica si protesti sul fatto che qualcuna appaia con simbolo evidente della propria sfera religiosa, ma qualcosa non quadra, sembra che di simboli della croce se ne espongano in ogni dove eppure non vengono così perseguitati, come il velo islamico. La croce è riconosciuta come simbolo universale, tuttavia, la cristianità pretende che questa universalità venga riconosciuta anche da chi non appartiene a questa cultura.
In realtà il problema che sta dietro all’intolleranza del velo in Occidente è che spesso è simbolo di subordinazione femminile e non è quindi possibile che uno stato laico sottoscriva questa subordinazione. La verità, secondo Galeotti, è che Italia la concezione di laicità della sfera pubblica è anestetizzata da qualsivoglia concezione politica. Negli Usa c’è una diversa concezione della neutralità dello Stato, secondo cui i cittadini non sono coloro che si devono spogliare delle proprie appartenenze per entrare come nudi, ma devono essere le istituzioni cieche alla differenze di genere, colore, nazionalità. Se accettiamo la neutralità stato di questo tipo, il problema del velo a scuola perde la dimensione di diatriba politica creatasi dopo l’11 settembre.
Inoltre, se fosse stato scelto il principio di non discriminazione, di uguaglianza e di rispetto della fede musulmana verso coloro che avessero scelto di portare il velo, esso non avrebbe avuto un valore così significativo.
Per il prof. Ricciardi dell’Università degli Studi di Milano il caso del velo, usanza diffusa in tutta la zona del mediterraneo, è un ottimo esempio per riflettere cosa sia il pluralismo dei valori e come venga applicato. Spesso viene data un lettura piuttosto superficiale del principio, per cui ognuno ha i suoi valori e ciascuno fa come gli pare. All’interno di modi di vivere e pratiche sociali esistono comportamenti dotati di valore e di espressione di una certa autonomia, anche se si tratta di cose cui non riusciamo ad attribuire valore.
“Ora il velo può essere espressione di una scelta di valore?” si è chiesto. Il presupposto per una scelta è che sia compiuta in piena libertà e scevra da condizionamenti religiosi. “Ma quanto questa scelta dipende dai condizionamenti religiosi?” si chiede.
A questo proposito ha ricordato un diario di viaggio di una nobildonna inglese del settecento, moglie di un ambasciatore britannico alla corte ottomana, recatasi in un paese di religione islamica, si vide costretta a portare costumi appropriati alla corte ottomana.
Nelle sue lettere racconta di amicizie con donne turche e fa un’accurata descrizione del modo in cui le donne vivono e vestono e cita la tradizione del velo, che vede non solo come subordinazione della donna nella cultura ottomana, ma riesce a trovarvi un significato deduttivo, che passa attraverso tutti i loro codici di abbigliamento; inoltre era un fondamentale elemento di protezione in una società profondamente maschilista e aggressiva verso le donne. Questa persona riesce a cogliere che questa usanza che non condivide, che accetta perché costretta e che non vede l’ora di togliersi di dosso ciò, sia l’espressione di valore genuino, seppur criticabile, da chi adotta quella pratica.
L’esperienza di questa donne di alcuni secoli fa è sicuramente un insegnamento importante, è un immedesimarsi, un calarsi nei panni dell’altro, del diverso, esercizio che manca in maniera maggiore nella nostra dimensione pubblica, nella quale si assiste a reazioni schematiche nei confronti delle sfide che ci vengono da culture che non conosciamo bene.
Bisogna allora chiedersi che cosa via sia davvero dentro queste reazioni e cosa celino questi simboli culturali per noi occidentali, premessa indispensabile per affrontare queste questioni sul piano politico e istituzionale.
Marilena Adamo, capogruppo all’Ulivo del consiglio comunale di Milano, impegnata a dibattere di ronde padane in Comune, ritiene che la politica sta diventando il luogo dove vi è uno scontro simbolico e sul simbolico si giocano delle efferatezze tremende.
Si pensi al caso di Via Ventura, che riporta nel dibattito politico milanese la necessità di una scuola per stranieri a Milano, dopo la chiusura della struttura di via Quaranta, in particolare di una scuola straniera privata che fa riferimento all’ordinamento egiziano.
E’ intervenuto un ministro a certificare la validità programmi egiziani per poter dar corso al progetto.
In merito al velo, ricorda che la nonna lo utilizzava per andare in chiesa ed era davvero spesso, usanza che oggi crea smarrimento e rifiuto.
Ha posto sul tavolo del dibattito la questione della reciprocità. In Egitto vi sono 4 scuole italiane solo al Cairo. Occorre un salto e un cambiamento. Si assiste a un enorme processo di identificazione identitaria di tipo religioso/culturale, nel confronto tra ragazze che non portano velo e poi decidono di portarlo. Il velo è un simbolo di identificazione di una cultura, che ci impone di affrontare con coraggio la diversità, anche se fa paura.
Daniela Benelli, assessore alla cultura di Milano, ha messo in guardia dal rischio di prendere un solo aspetto di usi e costumi di popoli, come discriminante fondamentale di culture e di differenze, che anziché farle incontrare le distanzia. La differenza in questo caso infatti non viene valutata come ricchezza.
Nelle nostre metropoli vi è paura e senso di insicurezza, di fronte alla multietnicità che le caratterizza, che dice potrebbe essere affrontata creando spazi pubblici di incontro di persone di culture differenti. La provincia si sta impegnando in tal senso nel progetto della Casa delle culture, ove verranno accettate regole di convivenza che lasciano spazio alle diverse culture di esprimersi e alla persone di vedere riconosciute le loro prerogative e i loro diritti.
Elisa Rebessi, studentessa universitaria, voce finalmente di contrasto rispetto alle precedenti, ha portato l’esempio di un’amica musulmana che indossa il velo alla quale vengono poste restrizioni che, né ai suoi amici maschi della stessa cultura, né a lei nella sua sono mai state poste.
Si è chiesta se sia possibile accettare la restrizione della libertà individuale di una donna, perché prevista da una cultura, in uno stato liberaldemocratico, che ha tra i suoi principi quello del rispetto dell’uguaglianza tra uomini e donne.
“Quando davvero ho rispetto per chi è portatore di culture e valori diversi dai miei?” si è domandanta. “Il diritto all’integrità e all’identità non può prescindere dal rispetto di libertà individuali di donne e uomini, posto che il velo ha una pluralità di significati, non sempre frutto di costrizione, ma è spesso un segno di sottomissione.”
Al problema della reciprocità Galeotti ha risposto che, essendo in una democrazia liberale, abbiamo oneri da cui non possiamo sottrarci, ove è necessario rispettare determinati principi, connessi ad esempio ai diritti umani, dice infatti che se in Iraq usa la pena di morte non è detto che qui vada usata, quindi assolutamente non bisogna calare gli standard.
Quanto al rispetto dei diritti di minoranza ritiene che le differenze non debbano essere proibite, vietate e conculcate, inibendo la libera scelta dell’individuo.
La questione del velo è importante su due livelli: quello di decisione pubblica e dell’intervento sociale dal basso, circa la proibizione del velo e quello del velo visto come sottomissione, così come l’ostia può essere vista come un simbolo di cannibalismo. Quindi il simbolo è una cosa, le cose reali sono un’altra. Non ci sono ragioni sufficienti e accettabili per vietare il velo nel privato e nei luoghi pubblici.
Si è chiesta tuttavia se dietro questo velo vi sia una cultura di oppressione femminile, oppressione che tuttavia si ritrova anche in Romania nelle famiglie cattoliche.
Occorre secondo lei, quindi, affrontare il tema della differenza non attraverso le coercizioni.
Bianca Beccalli, filosofa politica, ha trovato interessante il crescere di argomenti di discussione con caratteristica del dilemma, e, in quanto filosofa, si sente chiamata in causa a interloquire con questi dilemmi.
La differenza e la minoranza richiamano il concetto di gruppo e spesso di gruppo svantaggiato, che chiede quindi la titolarità di diritti speciali e privilegiati.
I Francesi odiano i diritti di gruppo che sembrano offendere la generale identità repubblicana, il laicismo, la loro profonda fede nella ragione, che è una sorta di fondamentalismo rovesciato della società laica.
Le donne oggi sono le principali protagoniste della tensione tra libertà individuali e diritti di gruppo.
Si chiede se il multiculturalismo non sia un danno per le donne, in quanto portatore anche di diritti e tradizioni soppressive, frutto di un dispotismo patriarcale.
Il secondo aspetto è che la questione del velo rappresenta un nuovo livello della presenza pubblica musulmana, che ha come protagonisti i figli e i nipoti che vogliono portare modernità e cittadinanza nelle loro vite e gruppi, ma pur con i loro segni addosso.
Sono scenari che sicuramente richiedono un esame e nuove risposte nelle regole sociali e politiche.
Suheir Katkhouda, donna musulmana milanese invitata insieme ad altre quattro coperta dal tradizionale velo, ha visto con favore questo dibattito, primo di tanti incontri che si auspica possano avvenire nella nostra città.
Si ritiene a tutti gli effetti una cittadina italiana e come tutte le donne musulmane italiane ritiene importante poter avere per sé e per i propri figli un lavoro ed una vita migliore rispetto a quella che ha lasciato. Violenze, poligamia e infibulazioni sono questioni minori anche perché poco praticate in Italia dice, smentendo i servizi giornalistici di questi giorni.
Vuole, come tutte le donne musulmane libertà per tutti e per le donne, pari opportunità con le altre donne e un aiuto dello stato per favorirne l’integrazione e quindi anche perché vi sia rispetto per la tradizione del velo.
Ha chiuso l’incontro la ministra Pollastrini che ha riconosciuto che in quella sede si è trattata una delle grandi questioni della modernità, “che non può pensare di cavarsela girando la testa dall’altra parte, invocando e usando riferimenti a valori liberali, in modo rituale e passivo, rinunciando a dover esprimere responsabilità da dover costruire con dialogo, per dare all’Europa dei punti di riferimento e delle regole e principi condivisi da tutti”.
La politica deve avviare un dibattito culturale e deve darsi un traguardo creando regole e principi condivisi dalla convivenza e quindi decidere cosa far fare alle differenze, portate qui dal processo di globalizzazione. Occorre progredire.
Ha identificato il rischio della politica attuale che è quello di voler trovare la risposta all’insicurezza, identificando la politica con la religione e la religione con la politica. E’ tuttavia un momento diverso da vent’anni fa. Occorre procedere come chi intende riformare un paese, avere un traguardo, è necessaria una ridefinizione dei valori della convivenza e della differenza e quindi vanno rideclinati i principi liberali, salvo farne deperire il senso.
Oggi la dignità, l’autonomia e la libertà delle donne sono oggetto di scontro, così come è in primo piano il corpo delle donne, nel dibattito politico contemporaneo.
La laicità va rivisitata, non vi deve essere nessun relativismo etico rispetto alla copertura totale delle donne.
In ogni caso due sono i punti fondamentali su cui riflettere in merito all’indossare o meno il velo: quanto lo si fa per scelta? Quanto lo si fa per libertà? A volte può essere simbolo di trasgressione. Deve essere molto chiaro che indossare il velo deve partire da una questione di identità e da libertà di indossarlo, ma non è sempre così!
Sono temi forti quelli che la società contemporanea ci pone e non è detto che tutti, nemmeno chi scrive siano preparati ad affrontarli, anche se ritengo la questione del corpo delle donne molto importante e che difficilmente un individuo è libero di scegliere un certo comportamento, senza subire necessariamente i condizionamenti sociali delle proprie tradizioni religiose e politiche e per me il velo lo è. Intravedo un rischio….: tornare indietro rispetto alle conquiste femminili. Assisteremo a incontri o a scontri di donne di etnie diverse? Io di una cosa sono sicura: amo il vento tra i capelli e il velo potrebbe impedirmi questa sensazione di libertà!
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(Delt@ Anno V°, N. 77 – 82 DEL 5 – 10 Aprile 2007) Valeria C.
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Fonte: http://www.deltanews.it
vi ringrazio tutti per i vostri post, ma le ho idee confuse come prima.
Grazie per il contributo, Cicerone 2.
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Giulio, proverò a confonderti ancor di più le idee con il successivo commento (che rivolgo a tutti come ulteriore “spunto”).
Tempo fa qualcuno disse o scrisse una frase che suona più o meno così:
gli islamici conquisteranno l’Europa non con le bombe o gli attacchi kamikaze, ma con i ventri delle loro mogli.
Cosa ne pensate?
la tragedia è che potrebbe averla detta sia bin laden che borghezio… la mia unica personale speranza, piccolina peraltro, sta nelle donne. che se anche possono alle volte scegliere il velo credo lo facciano più per difendere la loro identità culturale che per schiacciare quella altrui.
Ritengo che sia essenziale non entrare nel pericolosissimo loop del rispondere a violenza con violenza, a intolleranza con intolleranza, e cercare di ricordare che di solito chi ti invita a fare figli per la patria di solito te li vuole mandare al macello.
c’ é un ‘di solito di troppo’… tenete quello che preferite. :o)
Io credo che esista un ”motto” applicando il quale noi italiani saremmo ”a prova di bomba” da qualsiasi timore di esser (nuovamente nel corso della Storia di’Italia) colonizzati da altri popoli (dopo l’ultimo padrone americano chi verra’?). Eccolo:
”Conosci te stesso”
Sergio
“gli islamici conquisteranno l’Europa non con le bombe o gli attacchi kamikaze, ma con i ventri delle loro mogli.”
Purtroppo temo che in questa frase ci sia un fondo di verità.
Che nei prossimi decenni, in Europa, l’Islam riesca a pareggiare il Cristianesimo?
Un rammarico e` quello che l`Italia sembrava immersa, finalmente, in un periodo di laicizzazione diffusa, che finalmente avrebbe potuto far uscire il paese da pregiudizi e vecchiume millenario.
Ed invece la paura e l`identita` smarrita stanno trovando sponda nel fanatismo islamico. Un regalo per i vertici della Chiesa che non si sono naturalmente pregare.
Ed eccoci qui a parlare ancora di Cristianesimo ed Islam……
Non mi sento dominato oggi nè a rischio di conquista domani.
Caro Massimo, più saranno coloro che non la pensano come me e maggiori saranno le opportunità di confronto.
Certo che dobbiamo parlare ancora di Cristianesimo ed Islam! Non nell’ottica dello scontro, ma in quella del confronto sì. Perché questo è uno dei problemi. Loro nel bene e nel male un’identità ce l’hanno, noi (dico noi europei) no. Abbiamo il brodino tiepido del “siamo tutti uguali”, che continuiamo a rimestare.
Il “relativismo” segnerà la nostra fine. Il relativismo estremo, poi, è anch’esso una forma di integralismo.
Troviamo un’identità europea, se ci riusciamo. Ancoriamola alle nostre radici cristiane e poi lavoriamo per un confronto con chi è diverso da noi.
è un po’ fuori argomento, ma cosa pensate di tutto il casino che sta succedendo a seguito dell’assassinio della donna romana da parte di un rumeno? esiste davvero una questione rumena?
questo è un altro argomento molto interessante.
scusate l’intrusione
Gli islamici conquisteranno l’Europa e finiranno conquistati! Se noi riusciremo a restare tali: europei, Occidentali fra l’est e l’ovest.
Soprattutto noi italiani, navigati e naviganti, mangiapreti e baciapile, nordisti e sudisti: chi potrà resistere alla nostra leggerezza? Al nostro caos inconcludente, pasticcione, eppure, a suo modo valoroso? Un unico codice, che da Sondrio a Palermo ci omologhi in un comportamento? C’era riuscito il PCI, a creare una militanza riconoscibile in tutto lo stivale, ma l’intervento avveniva sulle generazioni sopravvissute alla guerra e allenate fin da piccole ad ubbidire: il duce ha sempre ragione. Ad un’idea se n’era contrapposta un’altra. Ora, che tutto è stato sperimentato e il centralismo democratico si è disperso in rivoli, la situazione è un’altra e in casi estremi sapremo trovare unità d’intenti e di principi. Come Veltroni, che dopo il tragico omicidio della signora Reggiani, si è improvvisamente reso conto di ciò che al Nord si diceva da mesi: i Rom indesiderati dalla stessa Romania non possono venire tutti in Italia! Si faranno dei distinguo, il solito sterminio di parole, ma una soluzione si troverà. Come si trova a scuola, in classe, con i piccoli che arrivano dai paesi più diversi. Una volta imparata la lingua, ma bastano anche poche strategiche parole, il coinvolgimento nei programmi avviene in modo naturale,un parto. E quello che hai di fronte è un bambino che si comporta esattamente nello stesso identico modo dei suoi compagni, bene e male. Che ami quando sta attento e che bastoneresti quando ti sfugge e disturba, o fa l’asino assieme agli altri. A preoccuparsi sono i genitori, che non lo riconosco più, che non sanno più tenere perché è insofferente e si ribella.
Si ritorna sempre alla scuola, perché è il luogo della FORMAZIONE degli uomini e delle donne di domani. Dobbiamo potenziare e difendere la nostra scuola di base e i suoi programmi, evitando, nel modo più assoluto, di rincorrere culture che non sono nostre. I bambini e i ragazzi devono apprendere le regole democratiche dei paesi in cui sono nati (e cioè qui!); poi, nelle biblioteche, fuori dall’orario scolastico ben vengano (anzi facciamoci promotori) di incontri e confronti: storia, arte, musica, teatro, religione!
Ciao.
sarà il mio essere triestina, quindi immersa da sempre nella multiculturalità, ma non riesco a pensare all’europa come figlia esclusiva del cristianesimo. Le basi filosofiche partono dai presocratici e passano imprescindibilmente per l’ebraismo. Io mi sento profondamente europea pur non essendo cristiana, e anche mediterranea, e balcanica, e nordica, e quant’altro.
Non siamo tutti uguali. siamo tutti differenti. E dobbiamo imparare ad accettarci a vicenda per quello che siamo, ognuno con una sua storia, accomunati dal rispetto reciproco (vero, non pieno di ma) e dall’osservanza delle leggi dello stato, che non può far altro che essere laico e al di sopra delle parti.
Pienamente d’accordo con Miriam: brava! Hai detto una verita’!
A Gea:
Lei puo’ sentirsi quel che vuole, per carita’, pero’ mi sembra difficile negare un’identita’ italiana di fondo ormai ottimamente definita (come anche un’identita’ francese, slovena e via dicendo). Le Nazioni esistono, soprattutto culturalmente e solo alcune piccole parti di esse sono confinarie, quindi minoritarie.
Con Affetto
Sergio Sozi
ON TOPIC
Io che so’ parecchio acculturato vi cito a botta ‘nazioni e nazionalismi’ di quel marxistaccio bavoso di Hobsbawm. Poi potrei stupirvi con effetti verbali, ma con i vostri occhi attenti ne scorgereste la vuotezza.
OFF TOPIC
per Gea
Sei triestina? ma che bello! io son stato a Trieste un paio di anni fa, ho avuto una specie di sindrome di stendhal, ho cominciato a credere nella metempsicosi e a parlare simultaneamente sloveno, tedesco, polacco e persino un po’ di ungherese. Era tutto in simultanea, capito. Quindi nessun madrelingua aveva titolo a correggermi. Molto astuto io! Insomma, ho capito di esser già vissuto come aristocratico cosmopolita nella Trieste del Settecento. Poi però son ritornato nel selvaticissimo borgo.
Vi ringrazio per i vostri nuovi commenti.
Ovviamente vi esorto a continuare e vi anticipo che entro domani sera avremo modo di discutere di un argomento molto interessante… “perché scrivere.”
Un post attualissimo e interessante. Spero di avere il tempo di leggere tutti i commenti. Un saluto a Miriam che mi ha citata con uno smile a caratteri cubitali.
Smile
libro interessante, penso proprio che lo comprerò. grazie
Complimenti per lo sviluppo del dibattito. Non saprei cosa aggiungere 🙂
Massì, Rosa! qualcuno aggiunga qualcosa su Trieste!
son qui.
per Sergio Sozi. Mai detto di non sentirmi italiana…parte della mia famiglia era ‘regnicola’ e nel ’15 è andata profuga a Roma appunto per questo.
Anzi. Quello che intendevo è che non mi sento meno europea non essendo cristiana, e la mia, la nostra, europea appunto, cultura, è un ibrido di tante cose differenti. E lo ritengo un fatto bellissimo. Non metto in mezzo la mia situazione che mi rendo conto è un po’ particolare (tra montagne del bellunese e pirati dalmati, tra Grecia e Armenia, con un pizzico di Slovenia ed ebraismo a condire ) né quella della mia vecchia sonnolenta amatissima orrida città. Credo che la grandezza del nostro continente in toto stia negli ingredienti variegati dell’ irish stew che è diventata nei millenni della sua storia, inglobando e facendo propri elementi diversi. Altro che stati uniti… Abbiamo incominciato noi. Romani docent. E il futuro potrà essere bellissimo oppure spaventoso, dipenderà da tutti.
Siamo diversissimi appunto. Gli italiani dagli inglesi dai tedeschi e dai francesi, ma anche i lombardi dai calabresi, i piemontesi dai napoletani, i genovesi dai triestini. Essere fedeli alla propria cultura è giusto, ma barricarcisi dentro ringhiando non credo sia carino (né peraltro molto utile). E poi attenzione ai parametri e ai confini: io non ho praticamente niente in comune col mio vicino di pianerottolo… :o)
per Giulio Prosperi: una cosa simile a me è capitata più di una volta a Londra. Mi sono ritrovata contemporaneamente tra Dickens e Virginia Woolf, con un serio problema su cosa mettermi…. 😉
Succo: un po’ più di fiducia in noi stessi, gente. E nella forza della Cultura. Quella maiuscola.
P.s. quella del pirata è vera, giuro. 🙂
per Gea.
Mettiamola così: Einstein era talmente geniale da essere così rincoglionito da andare al lavoro in pigiama. E forse è per questo che non ho capito la tua controbattuta su Woolf (brutta che era, mamma mia) e Dickens. E comunque qui c’è un freddo che manco a Trieste
con la bora pre-bombardamento NATO sul Kosovo.
allora, pianino e con parole semplici: tu sei andato in stendhal e hai avuto il dono delle lingue. Io, da brava schizofrenica, ho vissuto un salto temporale full immersion in due epoche molto diverse e piuttosto lontane, mandando in crisi il mio costumista interiore. Per non parlare dello sceneggiatore, in grossa difficoltà coi dialoghi. 🙂 :-))
qui non fa freddissimo, ma se vuoi maggiori dettagli sul clima e l’atmosfera cittadina contattami a lapostadigea@gmail.com , visto che non riesco a beccare il tuo link (problema tecnico o manifesta imperizia?)
Non mi pare il caso di ammorbare gli astanti con un dialogo tra una demente e un rincoglionito, maniacale per di più.
e no sta tocarme Virginia, disgrazià…
Scusa Massimo, giuro che non lo faccio più.
Grazie di tutto, e soprattutto della pazienza.
un abbraccio a tutti, e soprattutto a Sergio Sozi, con l’orgoglio di una cultura condivisa.
Grazie, Gea, per le illuminanti precisazioni. Penso che – fatte salve le utili e molteplici differenze fra calabresi e piemontesi, ecc. – esista anche una comune piattaforma culturale di tipo nazionale. E questo non significa, a mio avviso, automaticamente che ci si chiuda nella propria identita’ nazionale. Significa, semplicemente, che un’identita’ nazionale esiste. Poi, ognuno la affronta coi propri occhi, ci si confronta e vede le differenze tra la propria individualita’ e codesta piattaforma comune. In soldoni: a mio avviso il senso di appartenenza ad una comunita’ non e’ un atto difensivo da un – reale o ipotetico – nemico esterno, e’ semplicemente quello che e’. Gli ottusi rendono l’italianita’ una dimostrazione di superiorita’, le persone aperte e sensibili si sentono anche contemporaneamente appartenenti alla ”tribu’ umana”, senza nulla togliere alla propria naturale italianita’.
Sergio
A Gea:
grazie! Ricambio l’abbraccio con affetto!
Sergio
Mi introduco un pò in ritardo in questo argomento importante, mi piacerebbe essere più presente ma in questo momento non mi è possibile. D’accordo con Miriam sul discorso dell’atteggiamneto nei confronti dei bambini di altre culture, un trattamento equo tout court.
Volevo invece soffermarmi sulle allarmanti parole che ha scritto Anonimo in riferimento ale donne che per scelta portano il velo.
La battaglia delle donne per le donne trova il suo più grande ostacolo nella diversità culturale che si fonda su ideologie religiose diverse: le donne mussulmane non possono nemmeno pensare di ribellarsi, abbiamo ben note le vicende degli effetti dell’acido muriatico, e spesso vivono le restrizioni loro imposte come condizione divina, assegnata loro da un dio che, nella verità dei fatti, non rispetta la loro persona.
Differenze culturali sfociano lì dove avviene una convivenza tra popoli lontani per modi di vivere. Per quanto possa essere legittimo l’interesse di un popolo a conservare i tratti della propria cultura, qualsiasi civiltà ospitante che si consideri emancipata non può restare impassibile davanti all’ostentazione di una cecità culturale; l’uomo è chiamato al rispetto di tutte le religioni ma a condizione che in ognuna di esse sia garantito e preservato il diritto, per ciascun individuo, ad un’esistenza dignitosa.
Nel valutare il problema della donna afgana, o algerina, non si può prescindere dall’ideologia religiosa di appartenenza: esiste, difatti, un’interazione tra la ‘parola’ islamica e la condizione subordinata delle donne che la osservano. Qualcuno, è vero, potrebbe rivendicare la libertà di scelta delle interessate sostenendo che spetta solo a loro decidere se ribellarsi o meno a quel che è stabilito dal Decalogo.
Ebbene, il lume della cultura,tuttavia, chiama ad una riflessione: una donna può scegliere liberamente di vivere nel buio? Se la donna araba (non tutte per fortuna) non vive come restrizione insopportabile un’esistenza fatta di regole oppressive, di rigidi modelli di comportamento, non è certo per una lucida accettazione. Qualunque essere umano nato libero sa che si può parlare di scelta quando gli è stata data la possibilità di decidere tra vari modi di vivere; la donna mussulmana, da sempre, ne conosce solo uno e non certo per scelta… a prescindere dalla qualità o validità di una scelta (che sia quella di apparire nude o di far emergere le proprie capacità intellettive) un principio inoppugnabile, agli occhi di qualsiasi civiltà, resta quello di ‘essere’ e fino a quando persisteranno i condizionamenti di false ideologie, non si potrà gettar via quel ‘velo’ che ‘avvilisce’ la dignità di ciascuna donna.
Uffa, io non sono un rincoglionito. Io sono come il principe Myskin, tanto bello, innocuo, ed eroicamente sconfitto dai flutti malefici della vita pragmatica. Sono un idiota. E sono fiero di essere italiano, ma solo quando sono all’estero nord ultralpino. Lì mi sento emarginato e malguardato, peraltro un po’ mediterraneo. Ed allora polemizzo interiormente con questi barbaroi persino incapaci di fare il cappuccino! poi, di ritorno in Italia, fra cinismi morbidi ed istituzioni marcescibili, riprendo a vergognarmi di esser italiano. Credo sia per questo che mi ha stregato la tua Trieste, sa poco di Italia, ma è italiana e parecchio mitteleuropea.
P.S. : Per manifesta imperizia avevo mancato un ‘dot’ nello scrivere il link della mia mail.
Dopo tanti, condivisi, interventi aggiungo il mio solo per fornire qualche dato, di riflessione. Ad eventounico dico che la storia non “ci aiuta in minima parte” ma deve essere la nostra maestra: decine di miliardi di persone hanno già incontrato (e risolto) i nostri problemi, non si può pensare che fossero più fessi di noi. Il problema dei nomadi, ad esempio: gli egiziani li chiamavano ‘i popoli delle sabbie’ e li detestavano perché non volevano diventare stanziali e integrarsi. A un certo punto li espulsero in massa dal loro territorio. L’egiziana è stata la civiltà durata più a lungo nella storia, tremila anni, grazie alla condivisione di tutti delle stesse tradizioni (regole). Salto l’epoca romana per non farla lunga. Lo scontro recente con il vicino oriente non è nato con le crociate, ma prima, con le invasioni dei Saraceni, di cui nessuno parla più. Si ricordano invece molto bene della storia i nostri terroristi (che ci chiamano crociati) e che hanno scelto fin dall’inizio simboli ben precisi per colpirci. Solo due esempi: nessuno ha rilevato che il primo attentato fu fatto a Tolosa (trovarono il cadavere di un marocchino con nove paia di mutande); Il I dicembre 1095 il Conte di Tolosa iniziò a convergere con le sue truppe verso Clermont Ferrand in risposta all’appello di Papa Urbano II. Nascita delle crociate. 11 settembre, le due torri rappresentano, con il loro aspetto di due enormi pietre nere, la sfida del satana americano: Maometto muore nell’undicesimo anno dall’Egira (622-632). Numeri arabi e tradizione islamica. Anche a Madrid era l’undici. 2 Lo scontro, di culture, è inevitabile. Si tratta di decidere se tornare ai primordi, tribali, o scegliere di mettere la donna sullo stesso piano (come gli egiziani) e continuare a usare terme, bagni, acquedotti, teatri, palestre, biblioteche, tutto ciò che hanno esportato i romani come società del benessere per tutti (anche se imposto) e le cui maggiori rovine si trovano appunto nei paesi arabi (che ne utilizzano le cisterne ancora oggi). 3 Purtroppo, oggi, esportiamo anche guerre inutili e immondizie culturali, provenienti come riflusso, mal digerito, dagli States e anche corruzione e decadenza di valori, tutta nostra: ciò risponde alla prima domanda del nostro egregio nocchiere che dalla coffa della sua caravella scorge sempre nuove terre di riflessione.
Grazie per i vostri nuovi commenti. Davvero molto interessanti
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@ Gea:
non devi scusarti, cara. Grazie per essere tornata a commentare.
@ Sabina:
molto interessante questo tuo ultimo commento. Tuttavia temo che la questione della donna islamica, oggi, in rapporto alla società e alla religione sia un po’ più complessa e variegata di come potrebbe apparire. Credo che il tema meriti un approfondimento, per cui scriverò un post specifico invitando donne islamiche a partecipare al dibattito.
@ Gianmario:
Bentornato!
Grazie per il tuo intervento. Molto interessanti i riferimenti storici che hai inserito nel commento.
Il titolo di “egregio nocchiere” credo sia immeritato. Ma ti ringrazio anche per questo.
per Gianmario.
Se il Cardini, od altro medievista di mismo scranno, come Galasso, ti legge, gli viene un coccolone accademico. Tu in pratica hai detto che, sin dalla notte dei tempi, noi cristiani, ci siam solo difesi, e che le crociate son state veramente invocate da Urbano II. Pensa che ‘sti professori tutti diplomatica e paleografia, discutono la faccenda a tempo illimitato e non provvisorio, come indemoniati calmi. Una soluzione così d’impatto, con punto senso del dubbio, provocherebbe loro un ammanco di vis polemica, e financo di vis pulsoria, morirebbero cioè di infarto al cuore. Poracci loro, questi intellettuali antichi!
Dibattito di fuoco. Molto (molto) interessante.
Aggiungo una piccolissima considerazione. E’ una mia impressione che “fondamentalismo islamico” sia quasi diventato una parola unica? Non vi sembra poco corretto nei confronti degli islamici moderati, che sono la maggior parte?
Anche ‘moderati’ è un termine tipicamente occidentale. Nell’Egitto di inizio Novecento, già col WAFD di ispirazione liberale, nacquero formazioni cosìddette moderate. Furono poi travolte dalle formazioni di ispirazione fondamentalista come i fratelli musulmani di al-banna ed altri, e meraviglia delle meraviglie, particolarmente grazie al fatto che queste si presentavano come l’alternativa di successo dopo le umiliazioni subite dai partiti filoccidentali nella querelle per l’indipendenza nazionale.
Per Giulio Prosperi. I fatti storici, e non quelli ideologici, sono inconfutabili, così come il fatto che, a fianco di egregi accademici, ce ne sono altrettanti che non insegnano le materie, ma le ideologie, le loro. Per questo, già Giordano Bruno volle definirsi Academico di nulla academia; inoltre, prima della firma sulle sue opere metteva il detto di Salomone: Quid est quod est? Ipsum quod fuit. Quid est quod fuit? Ipsum quod est. Nihil sub sole novum. La storia, infatti, si ripete. Poi possiamo discutere fino alla nausea di chi sono le ragioni: può darsi che i primi rompiballe siamo stati noi, homini sapiens, a spese dei poveri Neanderthal, che sono spariti. Ma adesso si tratta di scegliere, se vogliamo leggere quello che ci piace, o imparare a memoria il Corano e buonanotte. Personalmente preferisco rinunciare a qualche Urì e mantenere le libertà conquistate tanto duramente dai miei antenati. Ciao.
Vestito di sacco e cospargendomi il capo di cenere, chiedo venia (anche allo spirito di Bruno) per lo svarione di latino: errata homini , corrige homo.
Ciao ho appena finito di leggere il fondamentalista riluttante ( e consigliato a tutti gli amici…) .Frugando nel web alla ricerca di altri pareri ed interpretazioni mi sono imbattuta nella tua recensione…ciao ale tocci
Buon pomeriggio, complimenti per questo post, io sono un neofita, che si è trovato a leggere il tomo in questione, per via di mia figlia, devo dire che non mi è piaciuto, risultato indigesto tipo I FRATELLI KARAZOV, lo scontro di cultura religiosa mi pare inevitabile. PURTROPPO
Grazie per il commento, Luca. A presto!