Novembre 22, 2024

40 thoughts on “IL MANIACO (racconto di Sergio Sozi)

  1. Bravo, signor Sozi, a cui ancora devo ancora un grazie per la bella pagina sul Petrarca di qualche tempo fa.
    Il racconto ha ritmo incalzante ed acuta analisi introspettiva.
    Ad ogni pagina prorompe la sua solida cultura classica; la dimestichezza con vari dialetti attualizzano il racconto rendendolo accattivante dalle Alpi alla Sicilia, con in più il tocco esotico dei nomi slavi.

    Complimenti, mi sono divertita, ma lo rileggerò di nuovo più attentamente, vagliandone tutti gli aspetti, palesi e reconditi.

    Marisa Magnani

  2. Ho letto il racconto e l’ho trovato davvero molto interessante. Grazie a Sergio Sozi per avercelo offerto e a Massimo Maugeri per averlo pubblicato.

  3. Care Marisa ed Elektra,
    grazie per la stima e l’apprezzamento: nel mio modesto libro ci sono altri sei sogni di questo tipo. Sogni che sono riuscito a pubblicare nel 2007 solo dopo due anni di vagabondaggio della mia agente fra editori medi e piccoli. Quindi un vero grazie andrebbe espresso all’editore Casini, il quale e’ stato l’unico a credere in me. Adesso attendo le opinioni dei lettori, perche’ questi sono i soli, veri destinatari di ogni mio ”giochetto” narrativo. E spero che critichino anche con lame affilate!

    Sergio Sozi

  4. “mi sono innamorata di te perché non avevo niente da fare…”. Per lo stesso motivo, oggi ho letto il racconto di Sergio Sozi, e sono felice. Evito gialli,polizieschi, horror, perché le trame mi confondono e dopo un po’ penso solo ai fatti miei. Oggi invece, superate le righe del primo capitolo mi sono sentita avvinta da Euterpe Santanastasio e dai suoi “gemellini interiori”: il filantropo che seleziona, i dialoghi che propongono e l’astuzia che si prodiga. C’è il nostro vivere fuori rotta e il nostro ingombrante sapere che si traduce in commistioni confuse. Tutto raccontato con sapienza e ironia musiliana. Solo che ad essere stufo dei civili “e di far lavorare il cervello a quel ritmo” non è il generale Stumm ( o Santonastasio), ma i civili stessi, che ( anche se un po’ in colpa) sentono il bisogno di ordine.”Se lo spirito non è che ordinata esperienza, allora in un mondo ordinato non c’è affatto bisogno di lui”.
    E’ molto bello questo racconto, adatto anche ad una versione teatrale. Sono dialoghi filosofici che, fra le altre cose, fanno pensare e ricordano i ragionamenti di Don Chisciotte e la novella di Anselmo e Lotario: Il cervellotico principio.
    A presto. Nel senso che mi farò coinvolgere da altri giochetti.
    Miriam

  5. Non sono brava a “esporre” il mio pensiero come Miriam. Però anch’io ho trovato il racconto di Sergio Sozi molto interessante e originale. E con una “valenza” letteraria superiore alle cose che si leggono in giro di questi tempi.

  6. Cara Miriam Ravasio,
    eh si’: lo spirito serve, nel Mondo, proprio perche’ di ordine, nel mondo, non ce ne e’ mai a sufficienza. E questo ammettendo l’apriori musiliano che lo spirito sia l’ordinatore delle esperienze mondane. Ma se, invece, propongo io, lo spirito fosse qualcos’altro tipo ”la sostanza della vita stessa”? Ovvero: se lo spirito fosse, per l’uomo, la coscienza della vita cosmica, del tempo, dell’amore, infine di Dio?
    Insomma la bellezza incorporea. Lei, signora Ravasi, mi pare stia sfiorando il senso da me percepito per il mio proprio scrivere. Grazie: discorreremo ancora a lungo, voglio immaginare.

    Un saluto caro e un ringraziamento vanno alla sig.ra Rosa Fazzi, dalla quale tuttavia attendo un’opinione piu’ estesa.

    Sergio Sozi

  7. Sergio Sozi: chiamami Miriam.
    Sì discuteremo a lungo e magari incrociando colori e forme. Su questi temi sto lavorando da anni, su album e su grandi fogli.
    A presto, Miriam

  8. E’ proprio così, quante arrabbiature e quante ore trascorse davanti al computer per controllare se il tipografo rispettava i testi i miei testi originali. Spesso saltava il cursore e non ti dico cosa usciva fuori. Potrei scrivere un romanzo sulle vicissitudini vissute nell’antro del tipografo…con il corredo di tutte le zanzare allenate a vivacchiare tra inchiostri e acidi e carta umida…specie per il primo libro che finii di stampare nel luglio 2000 e quindi era la stagione giusta per uscire dalla tipografia non solo con gli occhi gonfi ma anche con le gambe punzecchiate all’inverosimile e per di più, mi ricordo che per stampare il mio secondo libro, non vidi una catasta di cartoni e cassette di legno e mi ci fiondai sopra. Finii il libro con tanto di ammaccature da tutte le parti e per questo non mi fecero neanche lo sconto…Poveri noi scrittori e come capisco quei grandi che hai citato…sono sempre più convinta che un autore dovrebbe avere una tipografia incorporta nel cervello….onde evitare giornate di strazio infinito….ma alla fine, uhe!uhe!, il libro è nato e tutto si dimentica…

  9. Cara Gabry Conti,
    proprio nel Duemila scrissi il mio primo libro, una raccoltina di versacci: idem con patate! Certe litigate col proto-factotum! Torniamo ai papiri e alle tavolette di cera dei Romani, su, e’ piu’ pratico e garantisce la firma dell’autore.
    Va be’, a parte gli scherzi: va bene lo Strega, e’ che io non sopporto Ammaniti, l’ho anche fatto tradurre (da mia moglie) qui in Slovenia ma non lo apprezzo. Dovevo farlo perche’ curavo un’antologia di racconti italiani 1989-2003 e dunque il ”dovere di cronaca” mi costringeva ad includere anche qualche (sottolineo: qualche) autore molto popolare in Italia. Pero’ ho fatto (e faro’ in seguito ancor meglio) conoscere per la prima volta in questo Paese anche gente brava come Vassalli, Lodoli, Marani, Pazzi, D. Del Giudice, e altri.

    Saluti Cari
    Sergio Sozi

  10. racconto letto. molto, molto interessante. grazie mille. curioso di leggere l’intera raccolta che penso di acquistare on line

  11. Credo che il bel racconto di Sergio Sozi,così innervato da una prosa letteraria e non giornalistica,costituisca un balsamico ricostituente per tutti gli amanti di una narrativa non destinata alle librerie site negli aeroporti.

  12. Cari Gianni C. e Max 67,

    per me scrivere e’ un godimento che si trasmette: volatile – e tenace! – come la gramigna e aeriforme quanto i gradi centigradi. Grazie!

    Sergio Sozi

    P.S.
    Vi ”regalo” anche una poesiola dedicata a Sandro Penna, contenente la mia modesta definizione di un aspetto importante della buona Letteratura:

    Scricciolo che fosti
    lumina il minimo
    verbo della disperazione.

  13. Caro Sergio,
    noto con piacere che questo racconto sta destando parecchio interesse. Ottimo. Non avevo dubbi, del resto.
    Una domanda: Euterpe Santonastasio è un personaggio seriale (e dunque lo “rivedremo”) o è destinato a “vivere” solo in questa raccolta?

  14. Caro Massimo,
    ho pubblicato solo un terzo dei miei racconti su Euterpe Santonastasio. Ne ho ancora quattordici che attendono di vedere la luce del sole. E, se questa prima raccolta avra’ un qualche buon risultato… conto di proseguire.

    Grazie Mille per l’apprezzamento!

    Sergio Sozi

  15. Ah, dimenticavo:
    i quattordici racconti che stanno nel cassetto sono solo una minima parte, se riesco a far ubriacare Euterpe. Tutto dipende da lui.
    Sergio

  16. Complimenti per il libro, complimenti per il racconto che da il titolo alla raccolta. Ho notato una grande ricchezza linguistica coadiuvata da una capacità di sintesi nella narrazione; il modello Gaddiano si fa sentire. Ma c’è proprio una originalità, una vivacità ed un entusiasmo nello scrivere; e allo stesso tempo la capacità di condurre un discorso di ricerca esistenziale profonda. Euterpe Santonastasio ed il suo “maniaco” così dolce sono sulle orme, più che di Poirot o Maigret, di Socrate, Platone e Seneca.

  17. Caro Sergio,
    complimenti per il vespaio di commenti positivi che hai scatenato grazie al tuo racconto.
    Sarebbe difficile rendere ancor più ricco questo carnet di scritti e scrittori i quali evidentemente sanno bene quel che dicono e quel che fanno. Da parte mia, solo questo: è incontrovertibile il fatto che le tue pagine – che, sia chiaro, apprezzo moltissimo – non possano nè debbano essere collocate in una libreria da aeroporto (ammesso e non concesso che gli aeroporti siano frequentati solo da lettori dilettanti o occasionali), ma mi chiedo se una Letteratura così sottile e, come è stato più volte sottolineato, filosofica, ovvero alta, aulica, difficile, trovi il proprio motivo d’essere anche nell’autocompiacimento dato dalla consapevolezza della propria elitarietà, e se sia giusto altresì che su cento “comuni” lettori, presumibilmente solo una manciata (tre, quatto?) possano realmente avvicinarsi, comprendere e – ritengo – apprezzare i tuoi scritti.
    So che adesso sarò bastonata , ma a mia discolpa chiarisco di essere una cara amica del Sozi da lunga data (dunque se polemizzo, lo faccio con simpatia) e ovviamente di non praticare il mestiere letterario.

    Ilaria

  18. Cari Lorenzo Abbondanza, Max 67 ed Ilaria,

    1) A Lorenzo: effettivamente filosofeggio, seppur da dilettante: per l’appunto l’amor platonico sovrintende la mia modesterrima poetica!

    2) A Max 67: all’aeroporto io non ci metterei piede neanche con la mia ”longa manus” letteraria, tanto forte e’ il mio terrore di volare.

    3) Ad Ilaria: scrivo cose che hanno due piani di lettura: al ”piano terra” chiunque abbia fatto dei normali studi medio-superiori ci arriva ottimamente; al ”piano nobile” ci si arriva comunque ma solo grazie ad una ”assunzione mentale” calma e ponderosa. I miei sono, pertanto, due ”piani” che equivalgono a due ritmi di lettura, non due piani d’ordine classistico (plebe e aristocrazia delle Lettere). In ogni caso, mia moglie, che come tu sai bene e’ straniera, questo racconto lo ha letto tutto d’un fiato e lo ha compreso perfettamente subito.

    Grazie a tutti e tre!

    Vostro
    Sergio

  19. Caro Sergio,
    sono ancora in tempo? Ma…hai avuto tanti complimenti, molti aulici, dotti (perchè tu lo sei, e qualcuno non voleva far brutta figura), molti di riflesso (tutti hanno detto che è bello, mo’ lo dico anch’io…), i miei sono i complimenti di un naif, di un lettore-scrittore rustico, un parvenù della letteratura, uno che è stato ammesso tardi alla corte…e spesso, pubblicando qualcosa, gli viene chiesto di “spengere la luce quando esce(non spegnere)”.
    Quando ho letto il tuo commento per l’avversione allo “Strega” per Ammanniti mi sono intrigato, ho pensato: “O questo è scemo e si vuole fare propaganda, un presuntuoso; o questo è talmente “tosto” da aver delle cose da dire”. A Napoli si dice che se vuoi prendere il posto del guappo devi andare a prenderlo a schiaffi a casa sua. Ho stampato il racconto e l’ho letto varie volte, e ogni volta mi ripetevo: “Rick, figlio di puttana”…ti ricordi la frase che il collega nero ripeteva sempre al poliziotto Mel Gibson in “Arma letale”, compiacendosi del coraggio?
    Non è un bel racconto, è “Il racconto”, è la novità che le mummie della grande editoria non vogliono accettare, è la grande tradizione dei “Nick Carter”, dei Chandler:”Ehi, bambola calma, non picchio mai le donne dopo le undici di sera!” e, umoristicamente, di un Pennac del 2008, condensata nella tradizione che si rinnova. Da’ nuova vita, o vita (direttamente) all’umorismo, alla satira, a tutto quello che in letteratura è unto dal peccato originale, quello di far sorridere, quello che è considerato un sottogenere.
    Ti ringrazio per questo

    p.s. vai avanti tu, che mi vien da ridere

  20. Caro Massimo,
    OLMI voleva provocare una
    certa categoria di persone.
    OLMI sa che i libri accompagnano la nostra vita.
    Senza libri non c’è memoria
    storica del passato – presente
    né dibattito sul futuro.
    I nuovi mezzi di comunicazione
    aiutano a completare, ma non
    riusciranno mai a sostituire i libri

    cari saluti—-

  21. Cari sig.ri Francesco Di Domenico e Caterina,

    Per il primo:

    far ridere qualcuno (di gioia, di felicita’, come un bambino che era bambino, appunto, ”Quando il bambino era bambino”, come dice Wim Wenders nella pellicola ”Il cielo sopra Berlino”) e’ la mia aspirazione massima, esistenziale, terragna, aerea, posta nella mia storia individuale e in quella del mio sangue… un sangue melodrammaticamente pazzo, ossia gioioso.
    Un sincero Grazie per le Sue osservazioni e… della grande editoria io me ne infischio. Faccio il mio lavoro. E se piace a ragion veduta, salgo sugli astri e bacio le comete.

    Per la seconda:

    il libro e’ un bambino indifeso che segue la mano dei genitori e dei parenti tutti, senza poter scegliere. Se andra’ alla tomba, dunque, sara’ solo perche’ scrittori, lettori e critici (i ”parenti serpenti del cosiddetto Nuovo Millennio) ce lo porteranno. Ma io, mi creda, non saro’ fra costoro. Io portero’ alla tomba solo i patrigni e le matrigne, esprimendomi, nel mio piccolo, criticamente.

    Cordialmente

    Sergio Sozi

  22. Caro Sergio,
    sono lieto che il tuo racconto abbia raccolto commenti così lusinghieri.
    Credo che Euterpe Santonastasio reclami ulteriori spazi nel mondo delle lettere. Chissà, magari – nel futuro – si potrebbe pensare di farlo vivere in un romanzo! 😉

  23. Caro Massimo,

    Euterpe Santonastasio in un romanzo? Ne dubito. Il romanzo rappresenta il mio ”Muro di Berlino” personale ed io non ho la forza della disperazione nelle ossa, come i tedeschi dell’Est di un tempo, per poterne oltrepassare l’acuminata cima. Io resto giu’, li’ dove allignano i modesti narratori di breve respiro… sperando che il respiro, appunto, sia breve ma… ripetuto!

    Saluti Cari e mai fievoli Ringraziamenti per l’ospitalita’

    Sergio Sozi

    P.S.
    Oltretutto ho interrogato Euterpe, ieri, a proposito di raccontarmi qualche sua storia un tantino piu’ lunga e… sai come m’ha risposto, lo screanzato? (Era lucido, una volta tanto) Mi ha risposto cosi’:

    ”Io dico quel che c’e’ da dire, mica allungo il brodo col prezzemolo, se mi basta il soffritto!”

  24. Caro Sergio,
    ti ringrazio per la pronta risposta alla mia osservazione. A questo punto posso aggiungere semplicemente che ogni testo letterario che si rispetti dovrebbe possedere più di un livello di lettura (e di comprensione), e questa caratteristica non dovrebbe inficiare la piacevolezza di affrontarlo per chiunque abbia interesse e buona volontà.
    Trovo invece fin troppo facile e scontata la ribattuta alla tua seconda riflessione. So bene che tua moglie è straniera, ma so anche che conosce la lingua e la letteratura italiana alla perfezione, tanto da lavorare in qualità di traduttrice in sloveno di opere di grandi scrittori italiani.

    Ti saluto con affetto, Ilaria

  25. Cara Ilaria,

    ”mi hai fatto tana”, come si diceva una volta. Ragionamento impeccabile, il tuo. Infatti Veronika ha tradotto e traduce gente come Vassalli, Calvino, Marani, Magris, Maraini, De Luca, Pazzi, Tabucchi, ecc. Pero’ va anche detto che il livello attuale della narrativa italiana sta un po’ troppo seguendo lo stereotipo della ”mediocritas”stereotipata a cura degli editor. E superare lo scoglio degli editor e’ cosa da… forzuti delle Lettere!

    Con Affetto

    Sergio Sozi

  26. Scusatemi, lettori di Letteratitudine. Sno un nuovo adepto, ma devo, purtroppo notare che
    questo racconto, ”Il maniaco” e’ una cosa mediocre!! Paragoni con Gadda, Bontempelli e Landolfi, Palazzeschi. E perche’ non Leopardi, al punto in cui siamo. Basta parlarne… anzi, diro’: per fortuna nessuno ne parla ulteriormente. Le metafore sono incomplete, il linguaggio e’ ricercato all’eccesso e spezzato nel ritmo, la supponenza dell’autore simile a quella, dopotutto elementare, di un parvenu’ delle Italiche Lettere. Poi, niente lascia pensare ad un intento comunicativo: se Sozi parla per se stesso, lasciamolo nella sua stanzuccia, e’ vero? A stendere il memoriale di un comunicatore fallito, magari.

    Scusatemi per la sincerita’ (parziale sincerita’: avrei molto da aggiungerne, purtroppo).

    F. M. Buattini

  27. Egregio signor Buattini,
    naturalmente ognuno ha il diritto di criticare in libertà (purché non si trascenda nell’offesa personale… non mi stancherò mai di ripeterlo). Le confesso che i paragoni con Gadda, Bontempelli, Landolfi e Palazzeschi avevano fatto storcere il naso anche a me (peraltro il naso mi è rimasto ancora un po’ storto).
    Certo, la definizione “memoriale di un comunicatore fallito” mi pare un po’ forte. Ma la usi pure se crede. E’ un giudizio critico un po’ duro, ma non un’offesa personale. Mi permetto solo di invitarla a rileggere il racconto. Magari una rilettura potrebbe “addolcire” le sue valutazioni (così come avviene per il secondo ascolto di una canzone un po’ meno orecchiabile che tenta di discostarsi dagli standard sanremesi).
    Comunque, visto che si dichiara “adepto”: benvenuto a Letteratitudine.

  28. Spett. Maugeri,

    la sola cosa che, in tutta sincerita’, mi irrita dell’atteggiamento critico di questi tempi, e’ l’incondizionata adesione riservata ad alcuni autori. Come alternativa c’e’ la ridicolizzazione e la messa al bando come ”ciofeca”.
    Mi pare che le vie di mezzo tra santita’ e Inferi siano, invece, tante. Basta analizzare con maggior profondita’ i testi – possibilmente senza sentirsi in dovere di esibire dei paragoni spesso improbabili, fuori luogo o esagerati.
    Uno scrittore e’ prima di tutto se stesso: valutiamolo dunque come ”unicum”. E lasciamo i morti in pace.
    Poi Sozi non e’ cosi’ male, dopotutto. Qualche pregio ce l’ha: vuol dire molte cose tutte insieme e sa creare una buona suspence. Le sue strutture narrative reggono. Pertanto mi scuso per il mio essermi infervorato all’eccesso. Solo che sono stanco, oltre che delle ”assunzioni in Cielo” e delle ”dannazioni” critiche, anche delle mezze parole: nell’arte bisogna esser spietati.

    Cordiali Saluti

    F.M. Buattini

  29. Mi sostituisco ai nostri amici Ciceroni perché mi è capitato di leggere questa bella recensione al libro di Sergio Sozi: “Il Maniaco”.
    La inserisco qui di seguito. Tu ne eri al corrente, Sergio, o ti ho fatto una sorpresa?
    ——
    La scrittura di Sozi e l’enigma della molteplicità
    (di Marco Gatto)
    Una raccolta di racconti edita da Valter Casini rivela tutta la ricchezza
    del plurilinguismo, con tocchi finemente gaddiani, da giallo filosofico
    —————

    Scorrendo brevemente il catalogo delle opere di narrativa che affollano le nostre librerie, è facile accorgersi che la nozione basilare secondo cui la scrittura è prima di tutto consapevolezza e sacrificio pare ormai dimenticata. Con sacrificio vuole intendersi qui un dato di fatto che può apparire abbastanza scontato: il lavoro di lima, l’inesauribile ricerca di una forma compiuta, la necessità di investire il linguaggio di forza euristica e di mescolarlo ai voli dell’immaginazione. Oggi l’epoca della leggerezza ha invaso pure la supposta qualità della scrittura, ci ritroviamo nelle mani opere o quasi-opere che della parola non fanno oggetto di riflessione, ma strumento per tessere vacuità e vuote superfici narrative.

    Per queste ragioni è raro incontrare, nel proprio cammino di lettore del panorama letterario contemporaneo, una raccolta come quella di Sergio Sozi, Il maniaco e altri racconti (Valter Casini Editore, pp. 140, € 16,00). Basti subito dire che il riferimento del nostro autore è, senza alcun dubbio, sia da un punto di vista stilistico, che contenutistico, e saremmo tentati di aggiungere pur filosofico, il gran lombardo della letteratura italiana, Carlo Emilio Gadda. E già questo basta per proporre un ordine sparso di considerazioni. Da una parte, la scelta di un modello, come ci ha insegnato Borges, equivale alla costruzione di un padre, all’elezione di una linea da seguire; dall’altra, però, l’invenzione narrativa è tale che il rovesciamento della prospettiva, per così dire, paterna, ha una possibilità retrograda: quella, ovvero, di saper rileggere, alla luce della sua contingenza, un’intera prospettiva storica. Per cui, dal libro di Sozi potremmo estrapolare più prove di quanto la “funzione Gadda” abbia agito nel corso di questi anni. Non senza affermare che la molteplicità gnoseologica di quella pratica narrativa potrebbe essere alla base di un atteggiamento di resistenza nei confronti della leggera e vacua letteratura commerciale o, per meglio dire, postmoderna.

    La detection e la verità linguistica

    Al centro dei racconti di Sozi – il brano che dà il titolo alla raccolta è da segnalare come prezioso gioiello narrativo – sta la figura di Euterpe Santonastasio, capitano della Compagnia Trieste II, che si ritrova alle prese con assurdi casi polizieschi, che, vale sottolinearlo, hanno al centro le carte, la scrittura, l’enigma narrativo. Il nostro autore vuole senz’altro aggiungere al tema già gaddiano della detection un’ulteriore peculiarità: la ricerca della verità è prima di tutto ricerca di un senso, che spesso appare ultimo e invalicabile; come, allo stesso modo, difficile e terribilmente lontano appare lo sforzo di ricercare la verità attraverso la scrittura. Così le lettere sentimentali di un ignoto autore, un vero e proprio maniaco della scrittura, diventano lo strumento attraverso cui il nostro capitano – un Ingravallo atipico – si interroga per giungere a soluzioni che spesso scarnificano il processo di ricerca e nello stesso tempo lo esaltano, avendo come risultato la chiarezza e la semplicità, il termine o l’interrogativo (si legga il finale del primo racconto).

    Sozi ci accompagna in questo viaggio nel molteplice e nel plurale attraverso una scrittura che quella eterogeneità vuole riflettere. L’utilizzo del plurilinguismo (siciliano, triestino, romano, lessico alto, basso) non è certo di maniera: serve al nostro autore a rappresentare un groviglio che, oltre ad essere oggettivo nell’indagine e nel reale, è tutto interiore: la scrittura è un rovello metafisico, come lo è il pensiero che insegue i problemi del reale, un magma espressivo che non lascia tregua alla facilità, un elogio della difficoltà. Anche per questo il lettore è scosso dall’impossibilità di rimanere inerme e superficiale di fronte a questo tipo di scrittura. Un antidoto, questo, alla letteratura priva di ogni valenza gnoseologica. Basti leggere l’ultimo racconto, Elettricità, per essere rapiti dal vortice della scrittura, che in Sozi è spesso ironica, mai banale. Aspettiamo di leggere i prossimi lavori, favorevolmente colpiti da questo bel libro che abbiamo presentato.

    Marco Gatto

    (www.bottegascriptamanent.it, anno I, n. 2, ottobre 2007)
    Fonte: http://www.bottegascriptamanent.it/?modulo=Articolo&id=66

  30. Sapevo della bella recensione del profondo e arguto Marco Gatto (che e’ oltretutto un bravo poeta, ricordiamo!), ma non pensavo che sarebbe finita qui. Te ne sono pertanto molto grato, anche se forse sarebbe il caso che finalmente qualcuno scrivesse un commento al mio ”Maniaco” un po’ meno ligia allo stereotipo che si sta avvalorando in questi mesi: ”Sozi uguale Gadda del 2000”.
    Se qualcuno dei frequentatori di Letteratitudine volesse provare a farlo – senza nulla togliere a Marco Gatto – ne sarei felicissimo. Si accettano stroncature ma si auspicano punti di vista ”extragaddiani”.
    Provateci! Avanti! Picchiate duro sul ”Maniaco”! (Non me la prendero’: promessa di ”scaut”)
    Sergio Sozi

  31. Inizio io:
    Sozi va letto due volte per esser capito e possibilmente in stato di ebrezza. Altrimenti sembra neogreco traslitterato dal fantasma ubriaco di Prezzolini.

  32. Carissimi,
    è una delle prime volte che visito questo blog. Intanto, complimenti: diventano sempre più invisibili i luoghi dove poter discutere di letteratura.
    Mi intrometto nella discussione sul libro di Sozi, sollecitato anche dall’immissione nella mischia della mia recensione. Riferirsi a Gadda non vuol dire, a mio parere, evidenziare un rapporto di filiazione: qui il riferimento è piuttosto alla “funzione Gadda” – quella plurilinguistica, per intenderci – che il compianto Contini ha poi retrodatato, collegandola non solo all’antimonolinguismo di autori come Maggi, Basile, Ruzzante, ma a tutta una certe linea espressivista di marca europea. Penso che questa importante tendenza agisca, vuoi inconsapevolmente, vuoi con coscienza, nel particolare approccio di Sozi alla scrittura. E non solo per l’uso del dialetto, quanto per il risultato teorico a cui giunge una simile pratica, ben evidenziato ancora da Gadda: una scrittura che, a partire dalla molteplicità del reale, apre squarci di dialogismo all’interno del linguaggio, lo avvicina all’eterogeneità della realtà. Lungi dal fare paragoni o dal creare rapporti di filiazione, ripeto! E’ bene, a mio parere, comprendere la genealogia di ogni pratica letteraria contemporanea: e ciò lo si può fare solo attraverso la storicizzazione e il riferimento a chi davvero ha cambiato il nostro modo di fare letteratura. La presenza dei racconti di Sozi, in tal modo, può essere anche una prova di verifica delle cattedriali teoriche che abbiamo costruito per capire il passato. E credo certamente che molto altro possa essere detto su Sozi, anche di extragaddiano. A presto, cari saluti a tutti,
    Marco Gatto

  33. Adempio volentieri alla promessa fatta qualche giorno fa. Ho letto il racconto di Sozi. E’ colto e profondo. Ma, peraltro, anche ironico e surreale. Sorpresa delle sorprese dalla penna di chi descrive se medesimo (più o meno) “malmostoso umbro”. Insomma, sembra che in Sozi convivano il dottor Jeckyll e mister Hide. Io, ovviamente, preferisco il secondo 🙂

  34. Ci sono autori che anziché indirizzare la propria scrittura sui percorsi definiti da mode, tendenze ed esigenze di mercato preferiscono impegnarsi per trovare una personale strada narrativa che possa essere, dunque, ben identificabile. Ritengo che Sergio Sozi rientri nella suddetta categoria.
    Nato a Roma il 3 marzo del 1965, Sozi ha trascorso buona parte della sua vita in Umbria per poi trasferirsi in Slovenia, dove attualmente risiede. Dal 1989 si occupa di letteratura, giornalismo culturale, insegnamento e traduzioni. Ha esordito come poeta con la raccolta ”Oggetti volanti” (Perugia, 2000. L’omonima silloge venne segnalata dal Premio Sandro Penna nel 1999 – presidente prof. Walter Pedullà).
    In questi giorni Sergio Sozi torna in libreria con la raccolta “Il maniaco e altri racconti” dove figura come protagonista il capitano Euterpe Santonastasio, sessantenne siciliano, dipendente della Compagnia Trieste II, in attesa della pensione. I casi in cui Santonastasio si trova coinvolto, però, non sono casi ordinari. Tutt’altro. Non tragga in inganno il titolo del primo racconto: “Il maniaco”, dove non troverete serial killer, né atti di stupro, né violenze fisiche.
    Ma al di là dei contenuti e delle trame dei racconti occorre sottolineare che la scrittura di Sozi è il frutto di un riuscito mix tra narrativa realistica e letteratura grottesca (se non dell’assurdo), dal quale è facilmente ravvisabile una tendenza alla sperimentazione linguistica e all’uso di neologismi. Una scrittura ricercata e coraggiosa, lirica e umoristica, attraverso la quale lo scrittore si mette in gioco nel tentativo di proporre, come già accennato in premessa, un proprio marchio letterario. L’ascendenza gaddiana, quella che trae origine proprio dal noto pasticciaccio, è qui facilmente riconoscibile; ma Sozi è bravo a gestirla in maniera oculata e personalizzata evitando di cadere in una delle più diffuse trappole letterarie che, di fatto, riducono l’autore a semplice epigono.
    =
    Fonte: Letteratitudine
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/05/16/il-maniaco-e-altri-racconti-di-sergio-sozi/

  35. Caro Marco,
    …ovviamente non intendevo sminuire in alcun modo la Sua bellissima e rischiarante analisi del mio modesto libro. E’ che, a questo punto, vorrei evitare di esser troppo inserito in un contesto che – per quanto illustre e nobilitante – mi risulta un po’ stretto, se – sempre SE – frainteso dall’opinione pubblica. Pertanto vorrei ora inscrivere le Sue precisazioni nell’ambito che intendevo io circoscrivere: quello riguardante il lettore semplice, il quale legge l’accostamento a Gadda un po’ dappertutto e potrebbe crederci eccessivamente, pertanto semplificando i rimandi letterari che, modestamente, fungono da retroterra al mio agire scrittorio-narrativo. Le differenziazioni col grande Lombardo sono molte e di altro retaggio… forse, propongo: Achille Campanile (per l’umorismo), Massimo Bontempelli (l’ambientazione magico-realistica)… e inoltre, magari: la generale atmosfera che rende i racconti di per se’ una ”citazione in funzione antinomico-critica” dello psicologismo novecentesco; la derisione delle mode globalistiche… eccetera.
    Ma cio’ non toglie ”un atomo” alla Sua recensione: approfondita, vera e illuminante.
    Saluti Cari
    Sozi

  36. Ad Enrico:
    io ricerco la bellezza, il sogno, la poesia, non la cultura. O, meglio: ricerco la cultura solo perche’ esclusivamente con essa ed IN essa si POSSONO FARE delle belle cose – o almeno provarci.
    Saluti Affettuosi
    Sergio

  37. ….e quindi se quello che viene fuori, poi, è cultura perchè te la prendi?
    per me sei paranoico. sai che differenza c’è, infatti, tra lo schizofrenico e il paranoico?
    per lo schizofrenico 2+2 fa 1634786254,33
    per il paranoico fa 4…..ma gli rode tanto il culo!
    🙂

  38. Caro Sozi,
    ci mancherebbe, ho ben compreso l’intento del suo messaggio. E condivido le sue parole in pieno. Ancora auguri per il suo Maniaco, e a presto,
    Marco Gatto

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