“Cosa se ne fa il mondo rotondo del corpo morto di un uomo che è nato sulla collina, e poi muore a Zurigo, circondato da scienziati giapponesi e da operai della Serbia, un uomo che come tanti ha cercato il bene migliore?”
“Cosa se fa il mondo rotondo dei nostri corpi di padri e figli che si sono addormentati così vicini da bersi il fiato per notti intere?”
Due domande. La prima è l’incipit del libro, la seconda la si trova pochi capoversi dopo.
Due frasi, due domande, estrapolate da Il padre degli animali, romanzo d’esordio di Andrea Di Consoli, già autore della raccolta poetica Discoteca (2003) e del libro di racconti Lago negro (2004).
Credo sia significativo che l’incipit di questo libro coincida con una domanda. Una domanda, in genere, è frutto di riflessione e, dunque, in questo caso, primo indizio di un’opera narrativa che già dall’inizio promette importanti livelli introspettivi. Promessa che verrà mantenuta fino in fondo.
Il padre degli animali, narra la storia di un rapporto particolare tra un padre e un figlio.
Il padre è un uomo che dopo lunghi anni di emigrazione ha deciso di ritornare ai propri luoghi, di abbandonare l’efficiente, ma forse algida, Svizzera (Zurigo) per riabbracciare un Sud – epicamente raffigurato in una valle e una collina senza tempo – problematico, conflittuale, persino paradossale, ma al tempo stesso genuino e autentico.
Il figlio osserva il padre. Lo osserva e lo ascolta. O almeno tenta di ascoltarlo, perché dalla voce del padre attende risposte capaci di placare il proprio senso di smarrimento e in grado di esorcizzare le proprie paure. La paura della malattia, la paura della morte. La paura di non sopravvivere al proprio senso di inadeguatezza.
Il padre dice al figlio: “Non devi mai avere paura delle malattie, perché il corpo degli uomini dura poco, pezzo dopo pezzo si consuma”. E prosegue dicendo: “È inutile avere paura, perché la vita è troppo breve per avere paura. Spingi in avanti tutta la vita, come i delfini quando vanno lontani nell’oceano, e vai sicuro, non farti mai toccare dalla paura.”
Il padre parla e il figlio ascolta. Il padre dice anche che: “Un vero uomo convive con il dolore”. Ma il figlio ha paura. Il figlio dice: “Papà, io ho paura dei serpenti”. E il padre risponde: “Non devi avere paura dei serpenti. Tu devi ucciderli, ma dopo che li hai uccisi devi avere pietà, perché sono indifesi. E anche seppellire, li devi, perché ogni creatura su questa terra deve essere seppellita.”
Il padre parla e tenta di indicare una strada al figlio, un percorso di vita, una strategia di sopravvivenza. Parla e a volte sbaglia, a volte si smarrisce.
Il figlio ascolta il padre, ma si dimentica – o forse non sa – che il padre è anche figlio e che anche lui, che ora è figlio, un giorno sarà padre. Non pensa, o forse si rifiuta di pensare, il figlio, che il padre è uomo e che in quanto tale è soggetto a errori e fallimenti.
Il rapporto padre/figlio, dunque, è il cuore del romanzo. Un rapporto di forza e debolezza, di amore e perplessità. Un rapporto destinato a essere imperfetto, eppure indispensabile.
Ma c’è dell’altro, in questo libro. C’è l’illusione del cambiamento di una società che, forse, è immutabile fino alle radici. C’è la speranza che sprofonda nel fallimento e un fallimento capace di generare speranza. E poi le storie: di zio Cotura, del barbiere-assessore, di don Eugenio, dello stesso Padre. E di Angela, unica figura femminile ad apparire in questo romanzo popolato da uomini.
Un romanzo poetico, dai toni biblici, che va controcorrente nella misura in cui segna il ritorno alla metafora e ai miti, forse eccessivamente – e indebitamente – allontanati dalla nostra letteratura, un po’ troppo adusa – negli ultimi tempi – a prestare orecchio, occhio e denaro a pornoromanticismi d’occasione e a storielle di stagione.
Vi propongo due brani – estrapolati dal romanzo – che, in minima parte, possono restituire la cifra lirica di questo libro. Due brani dove si alternano e s’intrecciano amore e dolore, vita e morte, speranza e disperazione.
“Svegliarsi la mattina e lavarsi la faccia con l’acqua fredda; affacciarsi sulla strada deserta, ed essere soli, ma mai così soli da non sperare nel bene migliore; credere, mentre si beve il primo caffè del giorno, che tutto sarà migliore, che verrà l’amore a scacciare i brutti pensieri che bloccano la vita; godere del mattino che porta un po’ di dimenticanza del dolore, come un mare che si presenta calmo all’alba, col respiro quieto; infilarsi in uno spiraglio che un giorno ti offre, anche se niente cambia, e percorrere questo spiraglio tutt’intero, senza voltarsi; essere uomini fino in fondo, con le ginocchia salde anche quando il pavimento sembra muoversi; e imparare a dimenticare, a non pensare, a non vedere, anche quando la mente vuole ricordare, pensare, vedere; ignorare la nozione di futuro, perché tutto il dolore nasce dai ricatti del futuro.”
“Tutti i morti della valle e della collina non sono veramente morti: stanno, di notte, all’imbocco del bosco, e stanno nel cuore delle persone vive. Quando i morti sono disperati per la loro stessa morte, si girano, stringono i pugni, e a quel punto le persone che ancora sono in vita sentono le fitte al petto e alla spalla. Nessuno muore mai veramente, perché nessuno avrebbe voluto morire per davvero: per questo i morti sono anime dolci da chiamare, anime da consolare, anche se hanno l’occhio secco di paglia. Nessuno però deve storcere il muso quando c’è l’amore, quando c’è la salute, quando c’è appetito, perché sennò i morti spengono la testa con un respiro, spingono le persone lì dove si vede l’ultimo precipizio. I morti chiedono ai vivi di vivere pienamente la maestà del giorno. I morti, certe volte, vorrebbero raddrizzare una testa che cade. I morti, poi, sono pieni di rimorsi, perché l’amore muore, l’amore è colpa: l’amore, quando si muore, è un tormento infinito, eterno.”
Massimo Maugeri
INTERVISTA AD ANDREA DI CONSOLI
Il padre degli animali è un titolo forte, evocativo. Evoca l’immagine di un padre che ha un rapporto – appunto – filiale con gli animali, un padre che – al tempo stesso – deve però gestire un rapporto spesso conflittuale con il figlio. A cosa è dovuta la scelta di questo titolo?
Il titolo allude al fatto che il padre del libro, a un certo punto, decide di chiamarsi fuori dalla storia dei “commerci umani”, trovando negli animali una sorta di pace, ma anche un profondo insegnamento, perché gli animali accettano il destino senza troppi crucci, cioè senza troppa angoscia.
– Secondo te la figura paterna che emerge dal libro è un po’ mitizzata? E quale dovrebbe essere a tuo giudizio il ruolo del padre nella realtà contemporanea? Il padre dev’essere amico o solo padre? E la figura paterna può essere inficiata dalla cosiddetta equiparazione dei sessi?
E’ una domanda enorme, però voglio provare a rispondere. I padri, dal mio punto di vista, sono figure enormi, appunto mitiche. I padri condannano e salvano come avessero un potere divino. A mio avviso i padri dovrebbero sempre lasciare nei figli delle cicatrici di amore e di dolore. Tutto questo rende la vita più forte, più colossale. Oggi molti padri non hanno né il coraggio di sbagliare né il coraggio di indicare rotte. In una parola: molti padri contemporanei sono stupidamente democratici. Odio la “democrazia” sentimentale e affettiva. Quando si parla di amore, di amore vero, si arriva sempre, inevitabilmente, alla vischiosità, alla morbosità, al legame disperato e brutale. Solo i padri forti, che sanno farsi odiare, sono davvero amabili.
– È piuttosto evidente che questo libro ha un taglio autobiografico. Ma fino a che punto Il padre degli animali può definirsi romanzo autobiografico? Fino a che punto Andrea Di Consoli è il figlio che appare nel libro? O è un po’ anche il padre?
C’è molto di autobiografico ne “Il padre degli animali”, anche se tutto è “gonfiato” in senso mitico. Però sono più il figlio che il padre. Io ho le sperdutezze e le paure del figlio.
– Un giorno tuo figlio leggerà questo libro ed è possibile che cercherà risposte nella lettura. Ci hai mai pensato?
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Ci ho pensato moltissimo. Non so cosa penserà, un giorno, leggendo questo libro. Vorrei solo che lui capisse la mia forza e la mia debolezza come due estremi del mio amore violento per la vita.
– La malattia, la paura della morte, emergono con forza dalle tue pagine. La malattia considerata come una sorta di tremenda spada di Damocle, come qualcosa di perennemente incombente, una sorta di cappa capace di compromettere l’esistenza (per certi versi viene in mente Everyman, il più recente romanzo di Roth). È così?
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La malattia e la morte sono le mie costanti ossessioni. Sono, tecnicamente, un ipocondriaco ossessivo, che vive ogni giorno come fosse l’ultimo. Certe volte cammino per strada e mi dico: fra tre mesi non potrò più esserci, sarò chiuso in una bara. Amo troppo tutto questo (il mondo, le persone, i sentimenti) per poter accettare che da un giorno all’altro possa finire tutto. Non capisco il senso del dolore, della sofferenza e della morte. Vivo la prospettiva della fine come una vera malattia. Sono, infatti, un ansioso ossessivo, cioè una persona che vive con disagio il nulla incombente.
– Leggendo il libro si percepisce, di tanto in tanto, una sorta di impronta biblica. È una percezione errata?
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No, è una percezione esatta. Amo l’Antico Testamento come pochi altri libri, e l’Antico Testamento entra di prepotenza nelle pagine del mio romanzo.
– Il padre degli animali è anche un romanzo fortemente lirico. Molto letterario. Poetico, potremmo dire. In tal senso si distingue dai prodotti ricorrenti dell’odierna industria editoriale. Qual è la tua posizione da questo punto di vista? Auspichi un ritorno più netto dei miti e della metafora in letteratura?
Il linguaggio letterario, dal mio punto di vista, è una treno che tu guidi avendone perso il controllo. La letteratura è perdere il controllo del linguaggio. E’ la minaccia del deragliamento. Bisogna essere molto coraggiosi per fare letteratura. La vera letteratura fa sempre male (ti fa sempre male). Tutto il resto è buona letteratura, cioè un rischio calcolato.
NOTE BIOGRAFICHE
Andrea Di Consoli è nato a Zurigo nel 1976 da genitori lucani. Attualmente vive a Roma, dove lavora ai programmi radiotelevisivi della Rai. Collabora inoltre a «l’Unità», a «La Sicilia» e a varie riviste, inoltre scrive sul «Messaggero» e «Nuovi Argomenti». Ha pubblicato il saggio Le due Napoli di Domenico Rea (Unicopli 2002), la raccolta di poesie Discoteca (Palomar 2003) e i racconti di Lago negro (L’ancora del Mediterraneo 2005).
IL PADRE DEGLI ANIMALI di Andrea Di Consoli
Rizzoli, 2007
pag. 192, euro 16,50