Nei prossimi giorni inizierò la lettura di Everyman il più recente romanzo di Philip Roth pubblicato da Einaudi e distribuito nelle librerie proprio in questi giorni.
*
Philip Roth
*
Roth è uno degli eterni (si fa per dire, naturalmente) candidati al Nobel per la letteratura.
Vi ragguaglierò senz’altro sugli esiti della mia lettura. Intanto vi propongo le impressioni del nostro amico scrittore Luciano Comida che ha già letto il libro e ne è rimasto entusiasta.
*
SE LA PAROLA "CAPOLAVORO" HA UN SENSO
Everyman è il nuovo romanzo (il ventisettesimo di una grandissima carriera) dell’americano Philip Roth: copertina completamente nera, 123 pagine che afferrano il lettore alla gola in una morsa che fa male.
Comincia con il funerale del protagonista, che muore anziano per un arresto cardiaco. E poi il libro va a ritroso, raccontando la sua vita, i suoi amori, i suoi difficili rapporti con i figli, ma soprattutto la presenza sempre più invasiva della malattia e del pensiero della fine. Arrivato a settantatre anni, Roth mette in scena uno dei tabù della narrativa e del cinema: lo sgretolamento del corpo davanti all’incalzare dell’età, la completa nudità di ogni essere umano davanti alle malattie e al dolore. E dato che è uno dei più grandi romanzieri contemporanei, lo fa con una storia appassionante, magnificamente scritta, densa e capace di coinvolgere qualsiasi tipo di lettore. Il protagonista è un uomo del ventesimo Secolo, ebreo, non credente, contraddittorio, capace di tenere dolcezze ma anche di stupidi egoismi. Se i "capolavori" sono opere che raccontano personaggi tipici in situazioni tipiche, la cui descrizione diventa universale attraverso la maestria artistica dell’autore, Everyman è un capolavoro.
Luciano Comida
*
Se c’è qualcuno tra voi che ha già letto il libro e vuole condividere qui le sue impressioni… be’, che si faccia avanti!
La metafora della vita vera, con le contraddizioni dell’uomo. Le contraddizioni di tutti. Bello.
Ringrazio Comida, Maria Giovanna e Vincenzo Mantovani. Ho letto qualcosa su questo libro e mai mi sono sentita così convinta di averlo tra le mani. Una copertina completamente nera, può dire molto. E’ come una lingua che pur non avendo l’osso rompe l’osso.Ma, prima ancora di sfogliarlo mi chiedo perchè mai gli uomini abbiano voglia di sentirsi dire quello che in definitiva già sanno e che si identifica con il patrimonio introspettivo del cammino di un essere umano. Forse gli scrittori autentici servono proprio a questo. Far emergere i significati del vissuto di ognuno di noi, comparandoli alla fine di un percorso vitale. La comparazione scaturisce dalla lettura stessa, non sempre è richiesta esplicitamente dall’autore…ma appartiene allo scopo dell’autore. Un libro utile è tale quando porta a pensare e forse lo spettro della Morte è la copertina per eccellenza: ecco perchè in definitiva la sofferenza apre tante porte e riesce a vedere la luce anche oltre il buio di una porta oscura.All’apice della parabola esistenziale, la forza di gravità prorompe su tutte le cose e ti aiuta a fare una completa e definitiva opera di discernimento. E’ permesso parlare di un libro ancor prima di averlo letto? E’ forse questa la misteriosa forza che unisce l’intero patrimonio umano e ci allontana dall’indifferenza? Lo leggerò.
splendido.
Ciao, ma ci conosciamo? molto interessante il tuo blog, tornerò con calma
Mamma mia, mi avete fatto venire una voglia pazza di questo libro. Lo vado a comprare anche se Roth non l’ho mai letto.
Se non mi dovesse piacere chiederò il rimborso a Massimo Maugeri e a Luciano Comida. Fifty fifty…
Mi sento di condividere in pieno l’opinione di Luciano Comida.
Ho letto il libro. Senz’altro bello. Solo che, dopo aver gustato “Pastorale americana” credo sia impossibile, almeno per me, riconoscere in altri romanzi il Capolavoro.
Domanda a Marvin: uno scrittore può sfornare più di un capolavoro? Io penso di sì. E allora ecco che Philip Roth ne ha creati…quanti?…due?….tre?…Sicuramente Pastorale Americana, ma io direi pure Everyman e il Lamento di Portnoy. E Il Teatro di Sabbath? Dove lo mettiamo?
Insomma, gira e volta, è un grande.
Luciano,in linea di massima ho sempre pensato che più che di grandi scrittori sarebben meglio parlare di grandi libri. Se uno scrittore riesce a scrivere un grande libro allora è un grande scrittore. Su Roth non c’è alcun dubbio. E comunque Pastorale americana è ormai un pezzo importante della storia della letteratura statunitense.
Interessante, questo tema del rapporto tra grandi scrittori e grandi libri.