L’abbiamo detto altre volte. Costruire un best seller a tavolino è cosa assai difficile, praticamente impossibile. È più agevole ragionare in direzione opposta, con il “senno di poi”. Partire, cioè, da un caso di successo, magari inatteso, e interrogarsi sui motivi che tale successo, in un modo o nell’altro, l’hanno determinato.
In Francia, per esempio, c’è stato un libro che sul campo si è guadagnato il titolo di caso letterario del 2007 vendendo centinaia di migliaia di copie grazie a un impressionante passaparola. Il libro ha poi vinto il Premio dei Librai assegnato dalle librerie.
Il suddetto successo è stato sostanzialmente replicato anche qui in Italia.
Mi riferisco a L’eleganza del riccio di Muriel Barbery, tuttora in top ten, e che qualche settimana fa ha raggiunto la cima delle nostre classifiche dei libri più venduti segnando il più importante successo editoriale nella storia della casa editrice romana e/o (che al libro ha anche dedicato un apposito forum).
Vi propongo: un articolo di Daria Bignardi, la recensione della “nostra” Simona Lo Iacono (che mi darà una mano a moderare il post) e l’opinione di Giovanna Bentivoglio (editor e/o per la letteratura italiana).
A voi domando:
Cosa pensate del libro in questione? Vi ha sorpreso? Vi ha deluso? Vi aspettavate di più? Di meno? (Mi rivolgo, chiaramente, a chi ha letto il libro).
Quali sono le ragioni di tanto successo?
E poi… chiudersi a riccio, nascondersi, nascondere i propri sogni, le passioni, le aspirazioni, e coltivarle in segreto… è giusto o sbagliato? È bene o male?
Quali sono i pro e i contro?
Massimo Maugeri
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L’articolo di Daria Bignardi
L’eleganza del riccio di Muriel Barbery è in classifica da parecchio, in Francia è stato il successo dell’anno scorso e sta diventando un caso anche qui: mentre scrivo è al primo posto della narrativa straniera. L’ho letto a Natale e non mi ha deluso, era dai tempi di Quella sera dorata di Peter Cameron che non m’imbattevo in un romanzo tanto romantico. In Internet se ne discute con foga: chi lo trova un romanzetto pretenzioso pieno di difetti, chi un libro delizioso. Io sono d’accordo con entrambe le curve, anche se, dovendo votare col maggioritario, do il mio voto al partito del delizioso. Voglio dire che L’eleganza del riccio non è certo un grande romanzo contemporaneo come, che so, La versione di Barney di Mordecai Richler, ma è un libro piacevolissimo che induce sane riflessioni. Riflessioni e ricordi: di quando da ragazzi si viveva d’arte e d’amore, letteralmente, e si pensava che sarebbe stato così per sempre. Chi prima e chi dopo, quasi tutti a un certo punto abbiamo scoperto quanto i bei libri, il buon cinema, l’arte possano dare piacere.Noi l’abbiamo scoperto alle superiori, o giù di lì; la portiera Renée, il Riccio, l’ha intuito addirittura da bambina, poi però la sua vita è andata in un modo che non prevedeva scuole né teatri né biblioteche. Ma il germe di quel piacere Renée l’ha coltivato da sola, di nascosto. Il motivo per cui decide di nascondere a tutti le sue buone letture, camuffandosi da persona ignorante, è uno dei limiti del romanzo: non molto credibile e un po’ di maniera.
Ma se l’artificio letterario non è riuscitissimo, lo è invece il suo personaggio: tutti ci nascondiamo. O, almeno, tutti crediamo di farlo. I più sensibili e irrisolti di noi si sentono sempre in incognito, come Renée, e passano la vita a cercare di non farsi notare mentre coltivano in segreto passioni, speranze, sogni. Renée non spera, ma in segreto coltiva il Bello. Finge di cucinare piatti grevi che dà al suo gatto (che si chiama Lev come Tolstoj) mentre lei si nutre di piatti semplici ma raffinati, finge di guardare programmi stupidi in Tv ma in segreto studia l’anti-cinema di Ozu, legge solo classici e saggi, ascolta Mahler.
Tutto questo mentre lavora per gli inquilini ricchi di un palazzo parigino di rue de Grenelle, uno più stupido e superficiale dell’altro tranne Paloma, figlia dodicenne di un deputato, così lucida e disperata che ha deciso di uccidersi il giorno del suo compleanno. Sarebbe la coprotagonista del romanzo, ma, per quanto simpatica, scompare di fronte alla forza del personaggio del riccio Renée.Quando in rue de Grenelle 7 trasloca un ricco ma sensibile vedovo giapponese, la storia prende un ritmo cinematografico incalzante e, improvvisamente, la cultura giapponese diventa la personificazione del Bello assoluto. Non è difficile capire che sia così anche per l’autrice e lo diventa immediatamente anche per il lettore: come non averlo capito prima? È bello tornare ragazzi e credere al potere salvifico dell’arte e dell’amore: deve essere questo il motivo del successo dell’Eleganza del riccio di Muriel Barbery, insegnante di filosofia.
Daria Bignardi
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La recensione di Simona Lo Iacono
Un condominio. Una portinaia. La vita che s’innesta su ritmi lenti, scrutati da una guardiola. E uno sfilare innanzi a essa distratto, veloce, già preso dal pensiero del dopo, delle scale che si abbarbicano su, o dell’ascensore lussuoso che svetterà fino all’attico di rue de Grenelle numero 7.
Da questo andirivieni che la sfiora soltanto, che a stento la lambisce come onda che rallenti sulla schiena di un pesce, la portinaia è separata da un cortile, da piante curate con concimi e spray, da pochi passi scalpiccianti su un marmo levigato, incerato di fresco.Eppure è come se in questo brevissimo spazio si dilatassero terre e continenti. Come se Renée – anni 54, vedova, pantofole ciabattanti nel sottoscala – per gli abitanti di rue de Grenelle non esistesse.Sarà perché è mattina di afa. E sudori svaporano dai seni delle signore imbellettate. Sarà perché nell’aria naviga l’odore acre di un profumo costoso e cani di razza ticchettano per i corridoi.Renée osserva dalla guardiola. Torna a lucidare gli ottoni delle maniglie. Di nuovo solleva lo sguardo. Alle sue spalle, l’ultimo libro letto pare occhieggiarla e sussurrarle un invito. Dopo, pensa, dopo.
E dopo, quando la guardiola serra gli usci, quando lo scuro prende ad assediare l’atrio, le vetrate, le porte su cui splendono le targhette degli interni, Renée esiste. Esiste nelle speculazioni filosofiche che le balenano in testa con raffinata spavalderia. Nella lettura di Tolstoj. Nell’assetata conoscenza della musica classica, dell’arte contemporanea, dei film d’autore.Allora è come se da un fodero consunto guizzasse fuori una lama d’argento. Come se dal guscio di un riccio venisse allo scoperto un corpo elegante. Come se la portinaia svaporasse dal grembiule che la cinge ai fianchi e intonasse un canto.Un canto ironico, colto, contemplativo. Quello che la sua autrice – Muriel Barbery (“L’eleganza del riccio” ed. e/o) – le affida impavidamente, rompendo gli schemi dell’apparenza. Quello che stranamente si incrocia – in ondeggiante riflesso – a un altro canto.
Paloma. Figlia di un ministro. Disincantata abitante del condominio. Contestatrice silenziosa delle amicizie che contano, della lingerie di lusso, dei cibi dell’aute cousine rosolati in essenze orientali. Paloma che scrive un diario. Che tesse riflessioni e poesie. Che programma di dar fuoco alle vacuità del suo mondo in un rogo infestante.
Paloma. Che ha 12 anni e che vuole morire.Una morte di cui riempie le pagine. Di cui organizza i particolari. Di cui recita la parte con distacco, fingendosene disinteressata. Attendendo – disperatamente attendendo – che qualcuno la salvi.
Ecco. E’ forse in questa inconsapevole attesa della salvezza che le due voci si somigliano. In questa sospensione senza dolore, senza speranze. Nell’immobilità che precede lo scroscio di un acquazzone, il saettare di un fulmine, il rombare di un tuono.Questa salvezza, Renèe e Paloma non sanno neanche di vagheggiarla. Di desiderarla. Di lambirla in notti stanche, cullate dal ronfare di un gatto o dal cicaleccio della tv. Non sanno che è prefigurazione di un viaggio. E che è anche paura di essere salvate.
Quando questa salvezza irromperà nelle loro vite – e avrà volto di uomo e di poeta – forse al lettore sembrerà tardi. Forse penserà che il destino riscuote troppi interessi e che Renée meritava più tempo. Penserà: non ora. Non ancora.
Ma non è beffa. Né malasorte. Tu, lector, ricorda che la rivincita sta nel far affiorare assonanze. Nel lasciare che il battito del cuore illanguidisca, che il respiro si riappropri di uno spazio, che qualcuno ci sradichi dalla guardiola. Dopo, sarà come andare – finalmente andare – a fiato pieno. Allungare il ricordo sul passato. Tornare a ripercorrerlo, il passato, a farne un polverio da sfarinare, ormai, tra le dita.
Simona Lo Iacono
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L’opinione di Giovanna Bentivoglio
Il romanzo di Barbery è sicuramente un caso letterario interessante da analizzare e a parer mio verte sulla straordinaria coincidenza di una mutazione nel comune sentire di una società, quella francese, che ha comportato la rottura di luoghi comuni con la conseguente insofferenza per quello che era ritenuto il politicamente corretto corrente, e il “tempismo” dell’autrice nel coglierne e rappresentare in un romanzo la mutata sensibilità. La scrittrice ne ha avvertito i segnali e li ha trasposti in una storia abitata da uno spirito sarcastico pungente, da un’ansia di riscatto per coloro che – per una ragione o per l’altra – restano emarginati o schiacciati e dall’insofferenza per una certa casta dominante ma in rovinoso declino politico sociale (quella della cosiddetta “gauche caviar”). Il grande successo registrato anche in Italia è a mio avviso il sintomo che, al di là del valore letterario specifico del romanzo (che pure c’è), esso corrisponda a una stessa mutazione nella sensibilità comune, una stessa insofferenza nei riguardi di una rappresentanza politica e culturale che ha durevolmente detenuto il primato dell’egemonia culturale ed etica e che, come si è visto, non corrisponde più a un sistema di valori e a una identità sentita e condivisa.
Giovanna Bentivoglio
Intanto ringrazio pubblicamente Daria Bignardi per avermi passato l’ottimo pezzo (già pubblicato su “Vanity Fair”), Simona Lo Iacono per aver predisposto una recensione in esclusiva per Letteratitudine e Giovanna Bentivoglio per avermi cortesemente comunicato la sua opinione sul “caso riccio”.
Molto di voi avranno sicuramente letto il libro in questione.
Per cui vi ripropongo le seguenti domande:
Cosa pensate? Vi ha sorpreso? Vi ha deluso? Vi aspettavate di più? Di meno?
A tutti domando…
Quali sono le ragioni di tanto successo?
E poi…
Chiudersi a riccio, nascondersi, nascondere i propri sogni, le passioni, le aspirazioni, e coltivarle in segreto… è giusto o sbagliato?
È bene o male?
Quali sono i pro e i contro?
Insomma, mi pare che ci siano tutti gli elementi per un dibattito interessante.
A voi la parola.
La “nostra” Simona Lo Iacono, come ho già anticipato, mi darà una mano a condurre e moderare il post.
La ringrazio fin d’ora.
Dimenticavo…
Sarei molto lieto se potesse intervenire gli amici della redazione e della direzione editoriale della E/O.
Grazie, Massi.
Io credo che uno degli elementi del successo del libro sia – come ha sottolineato la Bignadi – il tema del nascondimento.
Il fatto che chiunque può riconoscersi nel personaggio perchè tutti – in diversa misura – ci nascondiamo. Per molti motivi.
Per essere accetati. Per paura del confronto. Per stanchezza, anche. Per l’ incapacità di sopportare le conseguenze di uno scambio.
Ma l’espediente narrativo che a mio avviso conquista il lettore è un altro.
E cioè il fatto che questo nascondimento ( che aiuta il risuonare della voce narrante in se stessa dandoci l’idea di “entrare” nella sua testa) è lo strumento per sviluppare una delicatissima autoironia.
Renèe è un personaggio che attrae non tanto e non soltanto per la differenza tra involucro esterno ed interno. Tra sciatteria del fuori e bellezza del dentro. Ma perchè è questo contrasto che genera uno sguardo disincantato su se stessa e sugli altri.
Si direbbe che proprio il punto d’osservazione di questa voce narrante consenta giochi di interpretazione della realtà assolutamente inusuali per la loro argutezza e leggerezza.
Sono riflessioni filosofiche, letterarie, umane…ma in tutte aleggia un sorriso sornione e – in fondo – orgoglioso della propria diversità.
“Guardatemi” sembra dire mentre finge di interessarsi alle piante dell’androne “… spolvero queste foglie , ma in realtà recito tra me e me Anna Karenina”…
Quindi credo che il gioco di rimandi tra “mondi” (quello che ci abita e quello che abitano gli altri) sia molto più complesso di quanto non appaia.
E si adatta molto bene – a mio avviso – anche alla natura dello scrittore in particolare. Che – senza che nessuno all’esterno possa percepirlo – cova una dimensione dello sguardo assolutamente diversa da quanto gli altri si aspettano..
CHE COMBINAZIONE !! STO LEGGENDO PROPRIO ORA L’ELEGANZA DEL RICCIO, MI HA INCURIOSITO POICHE’ E’ STATO IL CASO LETTERARIO DELL’ANNO SCORSO IN FRANCIA !!
lo trovo anch’io delizioso soprattutto se si pensa che e’ scritto da una giovane scrittrice !!! e mi chiedo: come fa a sapere gia’ tutte queste cose, sulla cultura, sulla musica e di vita !! sembra scritto da una anziana signora con tanta esperienza dietro le spalle !!!
per ora mi sta piacendo moltissimo…….specialmente nei: Pensiero profondo n. ……… – mi sento di dire…complimenti muriel !!!!!!!!!!
un saluto a tutti anna di mauro
Per questo libro ho fatto una cosa che faccio raramente: non ho aspettato un paio d’anni dal bombardamento mediatico prima d’acquistarlo. In genere faccio così ché non mi fido della pubblicità, attendo di vedere se sopravvive. Stavolta però la trama mi pareva così bella che non ho resistito. Andrò controcorrente, credo. Ma quale delusione! Immensa. Che noia! Una storia così bella, un’idea così bella e uno svolgimento così… Insomma, non mi è piaciuto. Personaggi piatti e poco credibili, inutili ‘incisi culturali’ spiattellati a viva forza nella storia, movimento zero, affezione ai personaggi zero. La portinaia e l’orribile ragazzina parlano allo stesso modo: l’inizio d’ogni capitolo mi metteva in crisi, chi è chi? Mi sono annoiata, ecco. Ma forse mi aspettavo troppo?
Mah!, io l’ho letto e, forse sarò minoritaria, ma non l’ho trovato così delizioso come viene osannato. E’ un romanzo pretenzioso, anzi!, i due personaggi che dominano le pagine sono pretenziose. Mi chiedo: a chi giova che una portinaia rimanga, nell’ideale collettivo, un soggetto insipido, ignorante e sciatto? Ovvero: quale svantaggio avrebbero gli abitanti di un palazzo nel sapere che la propria portinaia ama la musica classica e i libri e il cinema d’autore al posto di guardare e sentire programmi di una tv spazzatura? E, ancora: non è così stupefacente che un’adolescente abbia pensieri e desideri come quelli di Paloma, ma tali diventano quando si assurge a intellingentona che tutto sa e tutto capisce a tal punto da annoverare gli altri, tutti gli altri, in una schiera dal Q.I. basso. In questa ragazzina è presente un così alto concentrato di considerazione di sé che, agli occhi di un lettore medio, crea fastidio la consapevolezza di questa “naturale” posa – che tanto naturale non è!- e che porta ad annoverare e accomunare i due personaggi, Paloma e Renée, ad uno solo con uno stesso linguaggio e avente medesimi pensieri.
Non so le motivazioni reali del successo letterario, prima in Francia e adesso in Italia: se merito del romanzo in sé (merito che non ho saputo cogliere, ahimè!); o costruzione a tavolino di un best seller; o, semplicemente, volubilità del lettore che, a tutti i costi, vuole far parte della massa per essere massa. Non so, ma ho letto di meglio negli ultimi tempi: anche Marcela Serrano è un caso letterario, ma ha tutti i numeri per esserlo!
Buona giornata!
che poi, di portinaie così sciatte e odiose (almeno quanto gli inquilini) fortunatamente non ce ne sono più molte. Lo dico in onore alle portinaie che da questo libro escono massacrate dato che Reneè è ‘un caso’ incredibile, insospettabile etc.
…E’ vero…portinaie odiose ce ne sono poche in giro, per fortuna…però da un punto di vista “letterario” la figura della portinaia è quasi un topos , proprio perchè suggerisce una posizione e un luogo da cui guardare la vita.
Per esempio c’è un’autrice che stimo moltissimo per la sua capacità unica di mescolare leggerezza a profondità, che ha scritto un libro per bambini ,”La portinaia Apollonia” (tuttolibri, premio andersen 2005) , che gioca proprio sulla figura di queste guardiane delle nostre case.
Lia Levi.
Ecco, in quel libro la portinaia è simbolo di un’apparenza ribaltata dalla storia, di una luce nascosta che viene fatta brillare dalla mano di un bambino.
Perchè proprio nel momento in cui il bambino è in pericolo, la sua iniziale durezza viene sciolta dal pressare della pietà….Così nasconde il piccolo dalla persecuzione nazista e lo salva.
E’ un’altra storia che ruota intorno al ruolo “letterario” di questo mestiere, e alle possibilità di nascondimento dietro una guardiola…
Intorno al suo stare come “in esilio” rispetto al mondo degli altri.
Forse è questa la chiave del suo successo.
Non avendo ancora letto il libro in oggetto, mi scuso anticipatamente ma vorrei solo integrare il dibattito in corso su Letteratitudine con una semplice domanda, attinente all’editoria nostrana:
come mai in Italia solo le opere tradotte da altre lingue riescono a smuovere qualche cospicua riflessione, che coinvolga non solo gli addetti ai lavori ma un po’ tutta la nostra societa’?
Mi spieghero’. Salvatore Niffoi, per esempio, e’ stato il ”caso letterario” del 2006, ma solo perche’ dopotutto proveniente da un’ ”isola” che e’ tale anche culturalmente – la Sardegna. Era, insomma, l’ennesimo scrittore ”esotico di casa nostra” (absit iniura verbis). Le polemiche e le discussioni hanno dunque riguardato il campo socio-etnologico – fu la stessa cosa decenni prima per Ledda. Ma per un altro grande successo italiano, come mettiamo Veronesi e il suo ”Caos calmo”, niente di simile e’ avvenuto: un libro molto apprezzato e stop. Dunque il succo della mia domanda di sopra risiede in questo ”aut… aut”:
o gli editori italiani non sanno scegliere delle opere italiane capaci di coinvolgere veramente la gente, o gli italiani scrivono in modo mediocre, piatto, poco incisivo e con poca fantasia.
Cosi’, per sentirci vivi, dobbiamo andare all’estero: l’eterna nostra condanna ad emigrare pur restando in Patria.
Salutoni
Sergio Sozi
L’eleganza del riccio è uno dei libri che ho acquistato e che debbo ancora leggere. Sopra di lui c’è un cospicuo mucchietto di volumi.
E’ interessante la domanda: chiudersi a riccio, nascondersi, nascondere i propri sogni, le passioni, le aspirazioni, e coltivarle in segreto… è giusto o sbagliato? È bene o male? Quali sono i pro e i contro?
Sì, belle domande.
Io penso che se chiudersi a riccio serva a ritrovare un po’ se stessi, o anche a ritrovarsi un po’ da soli con se stessi in senso positivo, allora, in tal caso, il riccio è positivo.
Io, a volte, sono una tipa piuttosto arricciata.
Arriccio spesso il naso e mi piace crogiolarmi nella solitudine della mia stanza a immaginarmi come mi piacerebbe essere e non sarò mai.
Di solito dura poco, ma è piacevole.
Sorrisi arricciati.
Smile
Caro Massimo, Simona e gli amici di Letteratitudine, condivido con Simona l’idea del “nascondimento” e prendo al volo l’occasione per lasciare un mio piccolo contributo. La letteratura ha da sempre attraversato ed eletto il tema dell’identità e del suo conflitto intimo con l’apparenza esterna: senza di esso, non avremmo avuto probabilmente Pirandello, Dostoevskij, Shakespeare e i maggiori classici degli ultimi secoli. Come scrive l’ottima Simona, forse, sta proprio in questo il segreto del successo del romanzo – questo dissonare, questo suonare “contro” di interno ed esterno, di essere ed apparire, che poi è un tema di assai più ampio spettro: ne coinvolge altri cento, come la fragilità dell’essenza umana, il problema del nostro ruolo nel mondo e del rapporto (quasi sempre conflittuale) con gli altri, la ricerca del significato ultimo dell’esistenza, il dramma della maschera che indossiamo davanti al contesto. Credo che a volte un libro risponda a domande intime, personali, invisibili o lungamente sottaciute, che l’autore neppure immagina di aver tirato in gioco, ma che poi ci accorgiamo essere risolutive del vuoto imperante, dell’esigenza collettiva di risposte, di quella zona del cuore su cui nessuno sino ad oggi aveva ancora puntato il dito, toccando la ferita, toccandoci. Siamo questo, e la letteratura è il modo migliore che abbiamo per raccontarlo. Per dare un nome ai bisogni e alle emozioni. Credo sia questo il segreto di tutti i successi letterari di ogni tempo e dell’opera d’arte in genere. Fermo restando che poi, intervengono chiaramente fattori irrazionali, inspiegabili, che nessuno di noi avrà mai la certezza di aver compreso o decifrato a pieno. Affidiamoci pertanto a questa magia misteriosa, non definiamola né classifichiamola in alcun modo. Evitiamo di togliere i veli alle cose. In fin dei conti, cosa ci dà esserci avvicinati a quel “quid” unico e indefinibile? Non è forse meglio godere del fascino della scrittura e dell’opera nel suo mistero complessivo? Un saluto a tutti e grazie Massimo.
Giudizio : identico a quello di Cinzia e Maria, anzi, secondo me sono state generose
Ragione del successo : dovuto all’effetto “gregge”
Chiudersi a riccio è bene o male ? : è la mia prima, seconda e terza natura.
Scusatemi se sono stato troppo prolisso e logorroico.
Ciao
🙂
Non l’ho letto e non lo leggerò. A pelle non mi ispira, quindi evito. Ciò che mi piace molto, invece, sono le recensioni di Daria Bignardi e Simona Loiacono. Aiutano, stimolano e coinvolgono. Parole semplici ed efficaci, come si conviene se si vuol essere comprensibili.
“Al buio” quello della portinaia mi pare un personaggio alla Simenon. E il maestro francese mi basta e mi avanza.
Quanto alla domanda di Massimo, che dire? Essere espansivi o meno, essere trasparenti o meno, fa parte della natura privata. Non credo possa esserci una “classifica” di comportamenti. Siamo, spesso, ciò che sentiamo di essere. Credo, comunque, che anche i più inclini all’espansione debbano conservare una “camera segreta” della quale solo loro hanno le chiavi. Per entraci in solitudine.
E’ la stanza del “noi con noi stessi”, dove agli altri è vietato l’ingresso.
La credibilità dei personaggi. E’ così importante? O è più importante il fascino che possono emanare?. E’ forse credibile un ragazzino che decide di passare la vita sugli alberi e trascorre la sua vita senza mai scendere da un ramo? Eppure “il barone rampante” è riconosciuto come uno dei capolavori della letteratura del dopoguerra. Noi stessi abbiamo votato la “Trilogia” come “libro del secolo” solo pochi mesi fa.
In soldoni: me ne fotto della “credibilità” della portinaia Renèe; basta che sia un personaggio capace di suscitare atmosfere, emozioni, simpatia o antipatia, qualcosa che in qualche modo mi tocchi e possibilmente me lo renda immemorabile. Io credo che Renèe lo sia. E questo, solo questo, io chiedo a un personaggio.
(NB: e se è per questo non sono credibili una miriade di personaggi che pure popolano il nostro immaginario, da James Bond a Harry Potter, da SandoKan all’agrimensore K., a prescindere anche dal loro effettivo valore “letterario”.)
Quanto alle ragioni del successo: condivido quanto scrive la Bentivoglio: “il “tempismo” dell’autrice nel coglierne e rappresentare in un romanzo la mutata sensibilità”.
Sono i cambiamenti della società e conseguentemente della sensibilità comune quelli che non tutti sono in grado di cogliere. Chi vi riesce apre nuove strade, nuove possibilità: risponde in qualche modo a un’esigenza, a una necessità (e qui potrei tornare, volendo, alla mia teoria del bello come “necessario”. Ma ne ho già parlato in passato e non voglio tediarvi.)
Ciò che è veramente autentico si installa negli squarci della nostra immaginazione e lì agisce, restituendoci quell’imponderabile di un libro che ci desta ammirazione, ci fa pensare, fantasticare… anch’io avevo adocchiato questo libro, adesso mi è venuta proprio voglia di leggerlo, per vedere com’è.
Ringrazio Massimo, i suoi collaboratori che hanno scritto il post e chi ha lasciato i propri commenti per aver espresso ciascuno le sue idee. E’ così che si fa letteratura, ripeto che sono molto soddisfatta di questo posto dove incontrarvi. Dove incontrarvi tutti.
Quanto al “nascondere” non credo sia un bene nè un male (in se). Sono le circostanze a suggerire se mostrare o nascondere. E l’indole della persona (o il personaggio). Un personaggio che nasconde è certamente più affascinante di quello che mostra in pieno tutto il suo essere.
O almeno, i personaggi che più ho amato appartengono a questa specie.
@Enrico: grazie! E condivido la necessità di una stanza segreta dove reclamare (con se stessi ) la necessità di essere. Di interrogarsi. Di dirsi (o tacersi) verità.
In una parola: di essere liberi.
@Carlo: Sì, anch’io penso che la credibilità – sebbene necessaria – non esaurisca l’incanto del personaggio.
Anche perchè spesso è l’imperfezione a suggerire ed evocare emozioni. A rimandare l’idea.
E anche il nascondersi assurge a metafora. A simbolo. Come dicevo: il portinaio (come altri “mestieri” celebri in letteratura…il marinaio, il sacerdote, il medico…) sotto alcuni profili è sintomatico di un modo d’essere. E’ come una di quelle figure del mito che celano dietro la propria forma un’interpretazione della vita.
E il nascondimento – come bene diceva Luigi – è forse la prima espressione della nostra fragilità.
Rivelarsi o non rivelarsi non è solo una scelta individuale. Spesso si scontra con ciò che ci circonda e col grado di amore e accettazione che percepiamo dall’esterno. Nel libro della Barbery, ad esempio, sembra un comportamento indotto…che non ha a che vedere tanto con inclinazioni caratteriali (non solo) quanto con la relazione che si instaura col mondo.
@A Elisabetta ed Elektra…quando avrete letto, fateci sapere!
@ simona
“…quanto con la relazione che si instaura col mondo”. E mi dici poco?
E’ quello che io intendevo genericamente e sinteticamente parlando di “circostanze”. Ma è quello che trasforma un personaggio che potrebbe (potrebbe) essere “poco credibile” in perfettamente funzionale alla storia e, da questo punto di vista, pienamente credibile.
Come il “Barone rampante” del resto.
@ Cinzia , Maria Catena, Gluck…sì, il romanzo, come diceva la Bignardi, ha un po’ spaccato l’opinione dei lettori a metà.
Però io credo che quando un libro, nel bene o nel male, colpisce l’immaginario collettivo, spinge a farsi leggere o alimenta “un caso”, sia perchè in qualche modo corrisponde – anche irrazionalmente – a una necessità del momento, a un desiderio di specchiarsi in esso.
Condivido quanto detto da Luigi. La letteratura è anche espressione inconsapevole dei nostri stati interiori. Dei nostri desideri. Delle nostre mancanze.
E forse è un mistero.
Lo stesso mistero che credo non possa essere mai del tutto spiegato se non con la stessa volatilità e imprendibilità dell’animo umano. Delle sue ferite. Dei suoi bisogni.
Il libro – come il suo successo – è forse anche un’alchimia segreta che vive a vari livelli di coscienza e consapevolezza….Chissà che spiegarne con troppo zelo la formula non equivalga a rovinarne (un pochino) la magia….
Rispondo a Sergio: magari gli italiani leggono poco gli italiani? e soprattutto leggono solo ‘le grandi case’? Riguardo a Caos calmo… non vedevo l’ora di finirlo, prima che mi finisse lui! (della serie: abbattimi ché soffro!).
la credibilità: no, ma che c’entra, ovvio che non è fondamentale… ma solo quando è chiaro che non lo è!Un ragazzo che viva su un albero lo accetto sin dall’inizio, una portiera che diventi speciale perché legge no! Non è incredibile che legga è incredibile se ne faccia un caso! roba da ‘800, insomma. E poi, aggiungo che alla fine questo libro, che aveva attratto anche me con prospettive interessanti, lascia una strana idea filosofica… La portinaia fa parte di un’élite culturale, come il ricco straricco e dedito allo sperpero, giapponese, che ancora una volta si oppone a chi di cultura non sa. Quindi? abbiamo fatto diventare la portinaia una snob, insieme all’orribile saccente ragazzina, insomma abbiamo ribaltato tutto per offrire il medesimo panorama in cambio. Ma a che serve?E se ci metti che quando muore non si prova proprio un atomo di pietà: la portinaia l’abbiamo sistemata!
Anch’io rifuggo dai libri troppo’chiacchierati’ e questo libro non mi ha attirata. Mi piace scegliere da sola, così so chi incolpare ;).
In quanto al chiudersi a’riccio’, a volte fa bene ma solo nel senso di avere propri territori che non si lasciano esplorare a tante persone.
Molto brava come sempre, Simona. Interessante anche l’opinione di Giovanna Bentivoglio. Credo abbia detto bene a proposito del ‘tempismo’ di chi scrive. A volte il successo di un libro dipende anche da questo, e al diavolo se è scritto davvero così bene.
Da rifletterci su.
e chi risponde a Sozi? 😉
Ecco già una risposta. Abbiamo scritto insieme e la leggo solo ora.
Mi sembra buona. Chi offre di più?
@Carlo…sì. Sono d’accordo! E anzi aggiungo…che le imperfezioni sulla credibilità a volte si giustificano proprio nel complesso dell’opera, delle motivazioni interiori da cui scaturisce.
Dal modo, in una parola, attraverso cui la narrazione è frutto di un sincero scavo. Di un’ardente necessità di dire da parte dell’autore.
Insomma. Non è l’assoluta perfezione formale a sancire il successo di un personaggio. Ma quanto (anche attraverso qualche inesattezza..o forse grazie ad essa) esso ci comunichi. Quanto ci emozioni. Quanto entri tra le nostre pieghe e i nostri stessi afratti facendocelo sentire vicino, simile, caro. O anche solo pietosamente accostabile alle nostre instabilità…
@ Sergio…forse non è solo perchè si legge poco la narrativa italiana. Ma perchè (psicologicamente) ci si aspetta di essere interpretati meglio da quella straniera.
Accostarsi a un libro è – a mio avviso – un atto strano…un misto di attese, momenti, voglia di corrispondenza, necessità di essere capiti o , a volte, di trovare risposte…
In tutte queste componenti credo si debba cercare la soluzione al problema che sollevi…
@ Morena Fanti : grazie cara…il tempismo…bella osservazione!
Bello.Scorrevole.L’ho letto quasi d’un fiato.Peccato che la fine mi abbia lasciato a bocca aperta.Mi ha però fatto riflettere sull’istante della morte: è davvero così che ci si comporta in quel momento?Lo rileggerei e lo consiglierei a tutti!Ne valeva la pena di spendere 15.30€!
Per quanto riguarda chiudersi a riccio è sbagliato anke se ti dà tranquillità solo apparente, prchè dentro rodi…….
a me non è piaciuto molto.
Trovo interessante il personaggio della portinaia, e l’idea che sottende il libro, e che secondo me è la vera ragione del successo:l’idea di avere un mondo interiore che gli altri non conoscono, un giardino segreto.
Ciononostante, il personaggio della ragazzina non mi è piaciuto per nulla, e fino a quando il giapponese non com pare, la trama non si muove.Quindi fino ametà il romanzo è costituito da monologhi alquanto pretenziosi.
Una delusione.
Nella letteratura francese cis ono autori geniali e fantasiosi che meriterebbero il successo del ‘riccio’, tipo Alexandre hardin, o il meraviglioso anglo-svizzero De Botton.
Ho appena acquistato “L’eleganza del riccio” stimolato dall’ottima presentazione di Simona (Simo, però se non mi piace mi rimborsi la grana), anche se sono un po’ diffidente nei confronti dei libri troppo strombazzati. Stasera lo leggo perché ci tengo a dire la mia. D’altra parte come si fa a resistere alla curiosità, se a proporre un romanzo è una madrina così autorevole?
A proposito, mi è capitato di leggere, su un altro sito molto qualificato, un articolo della Lo Iacono. Addirittura il direttore le ha concesso l’editoriale. Urca!!! E chi la ferma più? Un treno in corsa, un Jet a propulsione nucleare.
A Sozi rispondo che gli editori scelgono male, questa è la mia personale opinione. Gli italiani leggerebbero, se ci fossero più libri “trascinanti”; certo, non leggerebbero tanto come altri paesi, però la produzione editoriale italiana è deludente, libri scialbi, in cui il lettore non si rispecchia. La cinquina del premio strega, ad esempio, chi l’ha letta tutta quanta? Al massimo abbiamo letto uno due libri (ammetto che io non ne ho ancora letto nessuno)… è uscita da pochissimo la cinquina del premio campiello: anche lì mi sembra la solita aria fritta. Non dico questo per screditare gli scrittori italiani, perché ce ne sono di molto in gamba (ad esempio mi piace come scrive Maria Di Lorenzo, mi piace Rodolfo Doni, mi piace la Maraini, mi ha entusiasmato Remo nel post precedente, l’intervista della Mazzucco mi ha fatto venir voglia di leggere Un giorno perfetto), però la vetrina generale della narrativa italiana è una vetrina asfittica, in larga parte per il fatto che l’editore – come ha detto Remo – vuole il “prodotto” editoriale, non il romanzo come “soggetto” editoriale.
E poi c’è un problema, a monte, di mancanza di concorrenza del mercato editoriale italiano: la distribuzione vera e propria è in mano a poche grandi catene, i piccoli editori cosa volete che facciano? Per forza che c’è uno stuolo di editori a pagamento… E il fenomeno delle librerie indipendenti (così forte in america) qui da noi è pressochè limitato alle piccole città, dove si può parlare direttamente con il libraio a cui si porta il libro perchè lo venda.
Infine una malignità: non è che gli editori guadagnano di più dalla narrativa straniera? Se pubblico in Italia prendo il 5% di diritti d’autore, se pubblico all’estero l’8%, ergo… ditemi se sbaglio.
Mah, non è scritto male ma è così improbabile la figura della portinaia che sembra quasi una favola per adulti.
Il ritratto della ragazzina lo trovo più reale e molto più interessante, sinceramente per la prima volta, lo sto leggendo a giorni alterni, mentre mi godo altre letture di ben altra qualità.
Di certo non mi spiego affatto il successo di questo libro e se non fosse che è stato acquistato da un mio familiare, l’avrei già reso alla biblioteca dove prendo sempre in prestito le mie letture.
Complimenti invece a te per il sito
Va be’ andatevelo a leggere, è una chicca (www.libmagazine.eu), scusa Massimo se svio l’attenzione e pubblicizzo la concorrenza.
letto.
odiato.
la portinaia e la ragazzina sono orribilmente snob, la scrittura è pesante e se ne esce stremati.
nascondersi è umano, soprattutto se svelandosi si darebbe la stura ad un’alluvione di commenti spesso malevoli.
ma adoperare il proprio nascondiglio per giudicare gli altri, sentirsi superiori senza mai essersi messi veramente in gioco, questo no. questa è viltà.
uno spazio intimo e inviolato è essenziale, comunque. io e io soli con me.
e quando avremo imparato a convivere e gestirci, allora sì che potremo uscire e confrontarci.
Il bello di questo post è: che è tutto al femminile :l’autrice – i personaggi della sua storia – le relatrici, le commentatrici intervenute fin’ora per lo più; allora anch’io ho chiesto a mia moglie che guarda caso si trova a Parigi per lavoro e l’ha letto già in lingua originale: lei mi ha confermato, invece, la metafora del racconto per sottolineare il cambiamento che sta avvenendo in tutta la Francia come prendere le distanze dal punto di vista sociale e sociologico – dalla cultura dominante – una sorta di basso profilo necessario ai maitre à penser di ieri, oggi più che mai, con gli esponenti del governo Sarkozy e il ministro della Cultura, in particolare, Christine Albanel : io confesso, non ci ho capito niente: o è quello che intende la signora editor Giovanna Bentivoglio.
In buona sostanza la Cultura anche in Francia, non è più né di destra né di sinistra come in Italia: solo che in Italia non si meraviglia più nessuno?
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Dopo aver letto l’articolo di Daria Bignardi e la recensione di Simona Lo Iacono del libro L’eleganza del riccio di Muriel Barbery,invece, devo ritenere che Simona è riuscita a farmi intendere – nonostante la puntuale e corretta esamina della signora Daria Bignardi, mio mito personale tutto barbarico – il valore assoluto del romanzo: descrivendolo nel minimo dettaglio come solo lei Simona sa fare: una sorta di riscrittura letteraria: come posso intendere io la traduzione, del medesimo romanzo, tradotto dal francese in italiano dalla sua traduttrice.
Che sensazione strana, chi mi sa spiegare come è possibile, cara Simona? Forse il tuo intendere da scrittrice prevale: come il critico letterario che è portato a rapportare un autore ad un altro e un altro ancora nella sua recensione, forse.
Grazie Simona Lo Iacono, una poetessa e una scrittrice d’eccellenza imprestata al diritto, se me lo consenti.
Luca Gallina
Le tre recensioni ciascuna con il loro stile sono ben articolate e riescono
a far comprendere a chi ancora non ha letto il libro come me, i diversi piani in cui si svolge la trama. Simona oltre che bellissima… è bravissima perché dipana e snoda con estrema perizia tutti i fili introspettivi e non, che si intrecciano nella matassa. Ognuno di noi comunque è visto e considerato dagli altri in maniera soggettiva, talora persino con opinioni diametralmente opposte. E forse nella nostra complessa interiorità umana, esistono veramente degli aspetti sommersi, che non pensavamo di possedere e che emergono in particolari situazioni conflittuali.
Si pensi ad esempio, a come molti di noi, pur essendo educati, reagiscono sgarbatamente quando guidano e sono bloccati nel caos del traffico. Se le stesse persone ci vengono presentate in società e abbiamo modo di conoscerle in un contesto diverso, per il loro olimpico atteggiamento, non potremmo che valutarle come soggetti amabilii e galanti. – Arguzia serale:-
…….
“Quando non si sa scrivere, un romanzo riesce più facile di un aforisma”
KARL KRAUS
Tessy
Ad Elisabetta, Cinzia e quanti altri hanno risposto alla mia domandina: ci sentiamo meglio dopo la partita. Pardon. A piu’ tardi.
@ gea:
se avevo un dubbio esso, grazie a te, è svanito come l’alito su un vetro. grazie.
…E allora, sì…dicevamo… il personaggio di Renèe divide.
E divide per ciò che ha sottolineato argutamente Gea, perchè può lasciare la sensazione che questa chiusura sia – in fondo – un atto aristocratico della peggior specie, quello del più insospettabile snob intellettuale, di chi sa di esserlo e si concede – persino – il lusso di scrutare gli altri dall’alto di una barriera invisibile.
Sì, il rischio del personaggio è questo.
Però non va dimenticato che questa è anche una storia di riconoscimenti.
Della solitudine dell’uno verso quella dell’altro.
E’ anche un libro sulla necessità di un incontro. E sulla malattia di certe solitudini.
Non a caso, dopo l’arrivo di un uomo diverso agli altri – che sa guardare oltre le apparenze e riconoscere persino nei nomi dei gatti un segnale (è l’unico che capisca che il gatto Lev porta il nome di Tolstoj) – la vita delle due protagoniste cambia.
Ecco. Io credo che questo sia il motivo per il quale credere alla buona fede di Renèe e Paloma.
Perchè non si fa riconoscere chi non ha bisogno – infondo – di venire allo scoperto.
Chi non grida : aiuto, salvatemi, anche se non emette suono.
Chi non sente incisa – come una ferita ancora pulsante – una mancanza.
Perchè chi non aspetta la salvezza è indifferente alla salvezza.
Allora credo che questo libro si possa amare e odiare. Che possa essere definito brutto o bello. Ma che sia sincero. Che nasca da uno di quei vuoti che la scrittura ha il dono di colmare. Da certe notti in cui le lettere brillano nel buio e sono stelle che ci guidano e ci confortano.
Che – a suo modo – sia un libro necessario. Nel senso che per il suo autore non poteva non essere scritto.
Le parole di Simona son molto belle e l’idea che suggerisci, Simona, è molto bella ed è sull’onda di tali suggestioni che ho comprato il libro senza attendere i consueti due anni. Il punto è che il libro non corrisponde a tutto ciò. Il punto è anche che lo stile è monotono. Mi fa pensare a una mostra di quadri a cui sono andata: quadri rossi, tutte le tonalità del rosso, sbavato e non, e magari un puntolino nero al centro. A questa presentazione un garbato dotto fece un discorso di tale bellezza, consistente, appetitosa bellezza che… coi quadri non c’entrava nulla! Insomma, possiamo cavare sangue dalle rape e darlo da bere ad assetati vampiri se usiamo bene parole e sentimenti; ma proprio per ciò, poi, ti aspetti uno splendido romanzo e quando la noia ti scava di sbadigli e i bei personaggi che t’eri sognata ti fanno pure antipatia… Un rettangolo rosso non è un quadro, se non a parole. Io dico.
Purtroppo non ho letto il libro ma l’idea di base mi sembra interessante.
Io il riccio ce l’ho nel nome e… nello stemma nobiliare. Eh sì, se fossi nobile avrei uno stemma con un bel riccetto, animale che adoro. Ha un musetto delizioso, occhietti furbi e dolci e un’andatura caracollante che trovo deliziosa. Posso offrirvi una storia?
Ero in un momento particolare della mia vita, difficile anche per la mia famiglia. Esco con gli amici per festeggiare il mio compleanno. Sulla via del ritorno – notte fonda – cosa mi attraversa la strada in tutta fretta?
Un riccetto.
Un’apparizione pazzesca, in un pezzo di strada tra città e campagna spelacchiata.
Conferiamo a questa epifania un significato augurale. E così è stato.
Chiudersi a riccio, nascondersi, nascondere i propri sogni, le passioni, le aspirazioni, e coltivarle in segreto… è giusto o sbagliato?
È bene o male?
Quali sono i pro e i contro?
Caratterialmente io sono molto riccio nel senso che pur essendo estroversa espansiva – ma è stata un’evoluzione, in certi casi una conquista – sono anche molto riservata nei sentimenti e nei pensieri più riposti. Ho anche soffocato per anni le mie aspirazioni e scavato una fossa per seppellirci i miei talenti come nella parabola. Sbagliato. I sogni le passioni le aspirazioni imbavagliate fanno solo soffrire te stesso e gli altri che ti vedono con le ali tarpate e non capiscono perché non voli.
Il fatto positivo di essere riccio è la protezione di ciò che per te è prezioso, anche se solo pensiero, dall’invadenza e dall’incomprensione. Il riccio ha una tana segreta dove custodisce i suoi tesori. Ma se incontra un altro riccio gli aculei si abbassano e si può fare casa comune.
Sai cos’è, Luca? Quando la cultura intorno a te diventa come il culto di una setta carbonara un po’ ti viene, la tentazione del riccio. Però non sopporto la cultura che snobba gli altri che non hanno letto-sentito-visto… Se è una reazione “catacombale”, da cristianesimo delle origini, allora ok, perché presuppone un farsi le ossa per venire fuori con forze nuove, ma se è uno scavarsi la tana per isolarsi o per irridere gli altri dietro gli aculei allora no.
Ciao Luigi!!! Perché non dici a Melania che Massimo ha postato l’intervista che le ha fatto Mariano Sabatini? Guarda il post su “Altri trucchi d’autore”…
Ciao a tutti i nuovi, che bello! Continuate a dare pareri sul libro, ché me lo vado a leggere…
Simo, sempre brava. Se recensissi Moccia me lo andrei a comprare, giuro.
🙂
@ Luca, Tessy, Salvo, Cinzia, Mari : Grazie di cuore e notte!
Gli aculei, per il riccio, sono un’arma di difesa. L’unica che possiede. Non mi pare il caso intentare un processo alla cara e tenera bestiola, così ben dipinta da Maria Lucia.
Atteggiamenti snobistici, irrisione degli altri (bisogna vedere poi chi sono realmente questi “altri” irrisi) da parte di chi non trova nessuna altra arma per affrontare la realtà è sintomo di una incapacità, di un malessere, forse di una patologia. Certamente di una solitudine, come dice giustamente Simona. Prima di condannare sommariamente credo sarebbe più interessante cercare di capire.
Almeno, a me ispirano più curiosità che voglia di tirare giudizi lapidari.
Vi ringrazio moltissimo per vostri commenti.
Ma che bel dibattito…
Dico davvero. È molto interessante, divertente e stimolante vedere sul campo due opposti schieramenti che si scambiano opinioni contrastanti, mettendo in risalto i propri punti di vista, ma nel rispetto reciproco.
Grazie davvero!
E grazie soprattutto a Simona per il validissimo aiuto datomi nel moderare il post.
A questo punto ci diamo il cambio.
Simona va a dormire e proseguo io.
Urge una precisazione da parte mia.
Ho “il riccio” qui davanti a me, mentre scrivo carezzo la copertina con le dita. C’è l’immagine di questa ragazzina che passeggia su un pavimento giallo. Sullo sfondo azzurro scuro c’è un uscio intarsiato.
Chi sa dirmi che cosa rappresenta la copertina?
Ma ho tergiversato…
Ho “il riccio” qui davanti a me, dicevo. Solo che non l’ho ancora letto, né – temo – potrò farlo in tempi brevi.
Quindi non potrò fornire giudizi di merito (o di demerito).
Però posso provare ugualmente a interagire con alcuni di voi…
Elisabetta,
io sono d’accordo con te: gli editori italiani non sanno scegliere gli autori da pubblicare, perche’ sono affetti da ”vigliaccheria emulatoria”, strana malattia che associa la debolezza dell’incompetenza in Letteratura italiana al continuo timore di non vendere e alla continua autodenigrazione nazionale tipica di certi ammiratori del piu’ figo e del piu’ pompato all’estero. Se un italiano e’ bravo, stai certa che non pubblica.
–
Cinzia,
sono d’accordo anche con te, proprio perche’ io leggo almeno otto libri su dieci di scrittori italiani e vedo che molta gente non conosce la letteratura italiana ma sa tutto di loschi figuri come Dan Brown, Coelho e Rowling. Pero’ va detto anche che molti nostri autori sono dei furbastri che credono di far successo in Patria ispirandosi a qualche straniero di successo, dunque scopiazzando, ridipingendo, elaborando roba non italiana. Il brutto e’ che gli editori cercano proprio questi furbastri, non gli autori originali, nuovi, se stessi.
–
E adesso, in lutto per il 3 a 0 degli azzurri con l’Olanda, me ne torno a scrivere il mio, di romanzo.
Buonanotte, cari
Sergio
–
P.S.
Simona, se ”L’eleganza del riccio” avesse un po’ dell’eleganza della tua recensione, lo comprerei a scatola chiusa. Ciao.
@ Sergio
Domandi: come mai in Italia solo le opere tradotte da altre lingue riescono a smuovere qualche cospicua riflessione, che coinvolga non solo gli addetti ai lavori ma un po’ tutta la nostra societa’?
(…)o gli editori italiani non sanno scegliere delle opere italiane capaci di coinvolgere veramente la gente, o gli italiani scrivono in modo mediocre, piatto, poco incisivo e con poca fantasia.
—
O forse, Sergio, aggiungo io… entrambe le cose.
Però bisognerebbe chiederlo soprattutto ai lettori.
Cari lettori italiani, per quale motivo premiate di più la letteratura straniera?
Quanto all’Italia… non dimentichiamo il caso eclatante di “Gomorra” (libro su cui si è discusso tanto – anche qui – e su cui preferirei non tornare). Quelo di “Gomorra”, non c’è dubbio, è un caso editoriale mondiale. Ed è di marca italiana.
Poi si potrebbe ricordare il successo di Milena Agus (in Italia e all’estero).
O casi di successo editoriale che hanno avuto per protagonisti esordienti (vedi i “numeri primi” di Paolo Giordano).
@ Sergio
Hai appena scritto, riferendoti a Cinzia: “Se un italiano e’ bravo, stai certa che non pubblica”.
Tu hai pubblicato… ergo?
🙂
Un saluto speciale a Maria Teresa.
Spero che la tua situazione di salute sia migliorata.
Chiudersi a riccio, nascondersi… può essere utile?
In certi casi senza dubbio sì.
Ogni riferimento alla Nazionale di Donadoni non è puramente casuale.
(Ma ci rifaremo… sono ottimista).
@ Simona
Ti sei beccata un sacco di complimenti, eh.
Tutti meritati!
Un tizio diceva che la letteratura non si fa con i buoi sentimenti. Invece letteratitudine pare proprio di sì.
Dimenticavo di mandare un bacione a Morena Fanti: ciao, Morena! Come la vedi, la vena inaridita italiana? Come un fiume sotterraneo plurimillenario che prima o poi ritornera’ allo scoperto o come un fiume, un tempo vigoroso, che d’ora in poi sara’ solo buono per diventare un campo di erbaccia?
Ciaobbella
Sergio
Maugger,
ergo e’ pazzo il mio editore, o ha troppi soldi e non vuol vendere una copia.
P.S.
Scusate, ma dopo tre reti mi sento un tantino male, a stare ”in rete”. Donadoni, poi, lasciamolo stare se no perdo l’aplomb e ”del cul faccio trombetta” come disse il Sommo. Per strombettare chi dico io…
Nel suo articolo Daria Bignardi scrive:
“Il motivo per cui (Renée) decide di nascondere a tutti le sue buone letture, camuffandosi da persona ignorante, è uno dei limiti del romanzo: non molto credibile e un po’ di maniera.
Ma se l’artificio letterario non è riuscitissimo, lo è invece il suo personaggio: tutti ci nascondiamo. O, almeno, tutti crediamo di farlo. I più sensibili e irrisolti di noi si sentono sempre in incognito, come Renée, e passano la vita a cercare di non farsi notare mentre coltivano in segreto passioni, speranze, sogni. Renée non spera, ma in segreto coltiva il Bello.”
—
Probabilmente avete ragione voi (e la Bignardi). L’elemento che divide è proprio Renée.
Perché mai nascondere le sue buone letture? In genere le buone letture non vengono ostentate?
Però (lo domando a voi che avete letto il libro) non è che, in fondo, Renée decide di non “ostentare” proprio per differenziarsi dalla società pseudoaristocratica che la circonda e che fa dell’ “ostentazione” uno dei suoi effimeri credo?
Convengo con te, Sergio.
Donadoni farebbe bene a chiudersi “a riccio”.
🙂
Proseguo nel ragionamento…
La stessa Bentivoglio sostiene che la storia narrata in questo romanzo è “abitata da uno spirito sarcastico pungente, da un’ansia di riscatto per coloro che – per una ragione o per l’altra – restano emarginati o schiacciati e dall’insofferenza per una certa casta dominante ma in rovinoso declino politico sociale”
Maugger,
”Mal di pietre” della Agus e’ un successo editoriale immeritato, un librettino un po’ volgarotto per l’ombrellone e le pause caffe’; ”Gomorra” non e’ un romanzo puro e ”I numeri primi” non l’ho letto, non saprei, pero’ immagino che abbia un approccio ibrido scientifico-letterario. Letteratura facile facile e sempre ”borderline” tra saggistica e narrativa, dunque niente di paragonabile all’inventiva, alla fantasia umanistico-filosofica della Barbery, che sta tutta nel campo umanistico e narrativo d’invenzione. Potremmo confrontare con lei, che so, Roberto Pazzi o Benni, magari, direi.
L’ultima parola, però, spetta al lettore.
Però, come scrive Simona “tu, lector, ricorda che la rivincita sta nel far affiorare assonanze. Nel lasciare che il battito del cuore illanguidisca, che il respiro si riappropri di uno spazio, che qualcuno ci sradichi dalla guardiola. Dopo, sarà come andare – finalmente andare – a fiato pieno. Allungare il ricordo sul passato. Tornare a ripercorrerlo, il passato, a farne un polverio da sfarinare, ormai, tra le dita”.
Al di là dei meriti dei singoli libri citati, Sergio, (in fondo stiamo mettendo in discussione anche quello relativo al romanzo della Barbery), il mio commento era volto a sottolineare il fatto che anche in Italia si registrano casi editoriali di successo che interessano libri italiani.
Tutto qui.
Bene. Vi auguro buonanotte.
Vi lascio con un paio di domande (così non vi faccio dormire).
Una passione è più vera quando la si coltiva in segreto o pubblicamente?
E una passione coltivata in pubblico, nella maggior parte dei casi… mira alla condivisione o alla ostentazione?
Devo dire che a nessun Italiano, editore o scrittore, interessa veramente parlare narrativamente di se’ e della propria gente, se non ostentando saggi? Si’, lo dico. L’Italia e’ un Paese fantasma, una colonia che ama esserlo. Eccezioni: Vassalli, Pazzi, Niffoi… altri tre quattro sempre della vecchia generazione, poi stop. Comincia il film, l’emulazione, l’autocondanna ad espatriare – soprattutto traducendo l’oro colato altrui. Ma rileggiamoci Boccaccio, su, che ne guadagnamo di tanto!
Va bene, Sergio.
Mi rileggo Boccaccio facendoti le boccacce 🙂
E con questa chiudo davvero.
A domani!
Rispondo alle tue ultime domande lapidariamente, Massimo:
una passione non e’ controllabile, va dove vuole. Altrimenti ha un altro nome.
Buonanotte, caro.
…ma a proposito di finzioni e comode doppie vite, eccovi il Boccaccio, appunto, il quale, nella Prima Novella della Terza Giornata, ci racconta che ”Masetto da Lamporecchio si fa mutolo e diviene ortolano di un munistero di donne, le quali tutte concorrono a giacersi con lui”.
Vedete? A farsi muti ci si guadagna sempre. E anche a farsi ignoranti, come la portinaia della Barbery, la quale, cosi’, trae un beneficio privato da una pubblica, interessata, sottostima. Ne guadagnano tutti, in fondo, sia in Barbery che nel Boccaccio: la finta ignorante/il finto muto, perche’ entrambi ottengono quel che desiderano per se’, e gli altri personaggi, che a loro volta hanno quel che desiderano (i borghesi parigini si tengono la propria spocchia e rinomanza sociale, le suore di Boccaccio… il sesso illecito).
Ma qui non si parla di passioni, quanto piuttosto di convenienze e di frustrazioni, di falsita’ tout court. La passione vera se ne frega di tutto cio’: esiste e basta, allaria aperta e alla chiusa.
Buongiorno!
…Massi, ho sempre pensato – vedendo la copertina del libro – che il grande portone rappresentasse l’ingresso del condominio di rue de Grenelle n. 7 (dove abitano le due protagoniste) e che la ragazzina fosse Paloma.
Mi ha colpito il fatto che avesse quegli stivaletti che sono un po’ in contrasto con l’abitino e la figura esile da bambina.
Una bambina serena , in aparenza, forse solo un po’ perplessa sulla direzione da prendere….e invece…
Sono d’accordo con Sergio sul fatto che se una passione è fuoco, alito divoratore dell’anima, pungola per venire allo scoperto.
E che se invece scade nell’ostentazione e non si mantiene fedele a se stessa, all’originaria necessità che l’ha creata, si inaridisce e si perde.
Molte passsioni, poi, per vivere hanno bisogno di essere portate alla luce e condivise perchè nascono dall’impulso a comunicare.
E cercano degli interlocutori…
Ecco, credo che valga sempre la stessa regola.
La comunicazione è apertura e accettazione dell’altra voce…direi che è bilaterale.
L’ostentazione invece è – a dispetto dell’apparenza – una chiusura. E non cerca altre voci se non per farsi contemplare, come in uno specchio…è unilaterale.
La passione portata allo scoperto in un’ottica di condivisione ( e di umità) cresce, si espande, e si arricchisce anche attraverso le differenze che coglie e i destini che incrocia.
Quella ostentata alla lunga si esaurisce.
Perchè a mio avviso vive veramente, e in pienezza, solo ciò che ha il coraggio di confrontarsi.
…Buon proseguimento di giornata !
Una passione è più vera quando la si coltiva in segreto o pubblicamente?
E una passione coltivata in pubblico, nella maggior parte dei casi… mira alla condivisione o alla ostentazione?
Penso di aver risposto con il mio commento precedente… comunque una passione che ostenta rivela più amor di sé, narcisismo, voglia di apparire o stupire che altro. La vera passione non si può imbrigliare e tende a straripare dagli argini di nascondimenti e bavagli.
Sergio, condivido quello che dici sulla nostra editoria e sulla nostra letteratura. Esterofilo l’italiano lo è, anche perché:
1. Non conosce bene la sua, di arte e letteratura.
2. L’erba del vicino è sempre la più verde.
3. Vuoi mettere la soddisfazione di mettersi in bocca nomi stranieri?
Purtroppo l’autodenigrazione nazionale è uno dei nostri sport. Da una parte ci sentiamo troppo bravi e furbi (che sgobbino gli stranieri, noi siamo tutti sole mare mandolino la terra più bella del mondo la moda la pizza l’arte…), dall’altra l’ignoranza unita alla voglia di fare bella figura, di ostentare forse cosmopolitismo, apertura, internazionalità, ci spinge a snobbare i profeti in patria e ad osannare gli stranieri.
Nulla togliendo al merito. Perché spesso i nostri autori si limitano a scopiazzare nella speranza di cavalcare l’onda del successo degli stranieri, dall’altra stentano a trovare una via italiana alla letteratura, o magari la trovano, ma gli editori non li sostengono.
Torniamo ai classici, rileggiamoli, perché sono una scuola di lettura e scrittura, scriviamo, leggiamo gli stranieri e i contemporanei e cerchiamo di trovare la nostra, di voce, di strada personale e “nazionale”. Non nel senso autarchico, Dio ce ne scampi. Ma se non riusciamo a cogliere lo spirito del nostro tempo e del nostro paese, a nulla servirà scopiazzare. Cechov diceva che se uno parla del proprio paese sarà universale…
Ma come, Maria Lucia…
dopo la paternale a favore della letteratura italiana e il tuo punto 3) dove dici “Vuoi mettere la soddisfazione di mettersi in bocca nomi stranieri?”, te ne esci con un… ” Cechov diceva che se uno parla del proprio paese sarà universale”?
—
Naturalmente era una battuta.
🙂
Brava Maria Lucia! E Grazie.
Grazie a Sergio per i suoi riferimenti boccacceschi…
Buongiorno e grazie anche a te, Simona.
Ripropongo questa tua massima (alla quale, però, non opporrò un mio simone) 🙂
Vive veramente, e in pienezza, solo ciò che ha il coraggio di confrontarsi.
—
La domanda è:
dunque Renée, il riccio, non vive con pienezza?
Buona giornata a tutti.
🙂
Hai ragione, Massi!!! A parte la battuta… quando ad Einstein chiesero cosa dovessero scrivere sul passaporto alla voce RAZZA, rispose: UMANA. Quando si parla di letteratura, sì, è vero, le coordinate spazio-temporali sono elementi che confluiscono nell’opera e che a volte ci aiutano a contestualizzare e a valutare, però… la geografia non conta. Importa che quell’opera smuova qualcosa dentro di noi. Il dono delle linge cesserà, ricordiamocelo. Ma l’amore, quello che ci abbiamo messo e che abbiamo fatto passare e che abbiamo ricevuto, non passerà.
Oh my God, je suis philosophica oggi!
Vale hasta luego….
Io non ho letto ancora L’eleganza del riccio (lo farò prima o poi, del resto, avevo comprato il primo romanzo dell’autrice – Une gourmandise, credo sia il titolo in francese – in tempi non sospetti e ho seguito le vicissitudini di questo suo secondo romanzo fin dalla pubblicazione in Francia).
Qui, però, mi riaggancio alla riflessione riguardo al maggior successo dei libri stranieri rispetto a quelli italiani. Credo sia molto meno rischioso puntare su un libro (che sia questo o qualsiasi altro) che ha avuto successo altrove che puntare su un esordiente “nostrano”. Nel primo caso, basta solo trovare un bravo traduttore (piccola nota: L’eleganza del riccio è stato letto, per quel che ne so, da tantissimi traduttori letterari perché tradotto a quattro mani, ossia una voce “traducente” per ogni voce narrante – operazione furba, tra l’altro). E poter usare una fascetta che recita: TOT (possibilmente con tanti zeri) copie vendute in Francia (o qualsiasi Paese straniero) fa sempre il suo bell’effetto. In fondo, anche il successo della Agus non è avulso da questo meccanismo un po’ perverso, nel senso che Mal di pietre ha vissuto di riflesso il successo raccolto in Francia.
Arrivo solo ora e non ho fatto a tempo purtroppo a leggere i commenti precedenti. Un saluto a tutti e a Simona, la recensione mi è piaciuta molto! Sto leggendo il riccio e sono d’accordo con te.
Devo dire, sto ancora decidendo se mi piace. In generale lo trovo geniale, come intessitura della trama, come idea delle due voci. La portinaia è un grandissimo personaggio, e poi questa cosa della prosa con un rimando filosofico, mi ha rimandato a una nobile tradizione squisitamente europea. Ho pensato a Iris Murdoch, che come l’autrice del Riccio insegnava filosofia. E ho pensato addietro, fino all’illuminismo francese, e quelle cose di Voltaire e compagni che ammischiavano narrazione e riflessione. Ma nei sentimenti e nei ruggiti dell’autrice non trovo una donna al passo coi tempi, ma una tipica prosa che una certa intelligenza marxista conosce da molti anni, e che ha cose belle e cose brutte, fa riflettere, fa pensare, fa ridere, ci fa sentire in sintonia come classe sociale consapevole di quello che succede ma che si sente alienata e posseduta da un sistema a cui simula di appartenere. Non condivido l’opinione di Giovanna Bentivoglio in questo senso: questo tipo di reotirica in occidente, ben scritta e ben riproposta avrà sempre un suo seguito, e non ha un suo particolare aggancio a questa contemporaneità. Forse ecco, a qualcuno può risultare disturbante un atteggiamento didascalico, quella precisa intenzione dietro ogni riga, oh ti dico io come stanno le cose.
Ma io apprezzo molto, chi si mette in gioco al punto di dire, “oh ti dico io come stanno le cose”.
Un saluto a tutti.
Sai cos’è, Maria Lucia? Ho apprezzato molto la tua schiettezza e il rispetto profondo che hai per questa comunità di Letteratitudine; ma soprattutto il tuo temperamento, il tuo sdegno nel credermi ostile di questa comunità: perché professa la Cultura quotidianamente come un proprio vero stile di vita che appartiene a tutti Noi; questo è quello che io penso e mi tiene legato a Voi con rispetto e profonda ammirazione: e allora perché tu Maria Lucia,invece, nel tuo post l’hai messo in dubbio?
Con affetto sempre,
Luca Gallina
P.S. Saluto e ringrazio Carlo S. che prima di credere anche Lui, che nel blog si aggirasse un individuo patologico,di concedere il beneficio del dubbio sulla mia onestà intellettuale dei miei interventi, comprese le mie tante lacune espressive e conoscitive. Alleluia!:ho rischiato l’allontanamento,forse!
Non siete, invece, un poco pesanti Voi cari amici in alcune occasioni – per caso -? Certo, siamo tutti permalosi e suscettibili: requisiti essenziali dei leader: pardon, qui l’unico lidèr Maximum è il padrone di casa Massimo Maugeri.
@ringrazio le super Simona e Maria Lucia Riccioli.
@ Massimissimo, ti sono grata per l’interessamento, forse domani sera il chirurgo deciderà se sono in condizioni tali, da essere operata…
E come sentenziò il previdente Ambrose Bierce:-
” Prima di sottoporvi ad un intervento, sistemate le vostre relazioni terrene: potreste vivere…”
Per il disegno nella copertina, mi piace immaginare che la bambina potrebbe essere anche Renée. Nell’androne senza finestre, la bimba, ancora una volta, crea incertezze su dove si dirige. Dierto il chiuso, istoriato portone si celano le sue recondite passioni e gli sterminati sogni. Solo lei è consapevole che oltre la porta segreta, si dilata l’universo che ha creato. Si spalanca radiosa la luce solare del suo orticello interiore, illuminato e impreziosito dalle materie predilette come la musica, l’arte, la filosofia, la cultura giapponese che appagano la sua sete di conoscenza.
Tessy
Cara Zauberei, ben tornata, come stai?Il famoso esame di specialità, certo non per farmi i fatti tuoi, è superato?
Mi è piaciuto il tuo intervento, sei forte!
Luca Gallina
io il libro l’ho letto con molto piacere. l’ho apprezzato e consigliato, contribuendo al passaparola. perché dite che renéé non è credibile?
non sono d’accordo
Quando ho sfogliato “l’eleganza del riccio” ho pensato a qualcosa che si riferisse all’idea della discrezione personale come elemento del proprio carattere, qualcosa che avesse a che fare con quei cappotti di lana pregiata da indossare e abbottonare con garbo, indumento che protegge e di cui è quasi impossibile farne a meno.
Quindi, generalmente, chi si espone è una persona che rischia nei pro e nei contro e tocca fare ancora una volta molte distinzioni….
Però voglio rivolgermi @ Cinzia che afferma di aver visto una mostra dove il rettangolo rosso del quadro valeva solo per i commenti di un critico rivolto al pubblico.
Forse hai ragione e non conosco a cosa ha fatto riferimento, però non è sempre così: Rotko fu uno dei padri dell’espressionismo americano, sulle sue tele disponeva i suoi rossi lavorando moltissimo su quello che era il piano emozionale, dei sentimenti e quindi della comunicazione. I suoi rettangololi monocromatici non avevano bisogno di parole e la sua levità, la sua leggerezza, fu davvero senza aculei, comunicazione e ricerca di un grande artista.
Ciao Maria Lucia Riccioli. Grazie
@ ancora su Rotko
Purtroppo morì suicida nel suo studio di New York dopo aver partecipato ad una festa underground … presagio e monito, questo, di un anima dolce di chi ha visto i robots.
Una passione è più vera quando la si coltiva in segreto o pubblicamente?
E una passione coltivata in pubblico, nella maggior parte dei casi… mira alla condivisione o alla ostentazione?
rispondo per me: una passione è tale se cresce, se è alimentata, se si segue il suo motus proprio, quindi non può rimanere segreta se non fino ad un certo punto. Prima o poi salta fuori.
Si spera che miri alla condivisione, credo accada se rimane “pura” e “incondizionata”, fedele all’istinto che l’ha generata (che si spera fosse un istinto di gratuità, non di visibilità)… altrimenti, se mira all’ostentazione, credo che ci fosse un “baco” in origine…
Sergio, mi spiace per la nazionale… mio marito ieri sera era k.o. … non dico altro…
Un appunto: se proprio vogliamo vedere se un libro regge all’oblio del tempo, sarebbe più opportuno una classifica dei long-seller, ne ho sentito parlare in una trasmissione per radio da Rino Cammilleri (parlavano della letteratura italiana contemporanea, lui insieme ad altri scrittori): le classifiche attuali sono fatte settimana per settimana, e sono pensate apposta per “incentivare” il lettore a comprare il libro più commerciale. Uno deve fare un regalo, per esempio, da un’occhiata alla classifica per vedere i riscontri dei gusti del pubblico (su un qualsiasi giornale), e si fa un’idea di cosa comprare (o di cosa non comprare).
Ma nessuna classifica consultabile facilmente tiene conto dei long-seller, quei libri che vendono poco, magari, ma che continuano a vendere. Che non conoscono cosa significhi una ristampa, perchè tanto sono sempre ristampati.
Mi auguro che L’eleganza del riccio possa essere ristampato, dunque… tante volte passa qualche anno, e non ci sono più le ristampe dei libri (mi è capitato con Il custode dell’acqua, adesso ristampato perchè fa parte di una trilogia, ma per anni l’ho trovato solo in biblioteca).
@Massi…
…Mi fai un esempio in cui opponi un “Simone” a una “Massima”?…
–
…per tornare alla tua domanda: sì, a mio avviso Renèe non vive in pienezza finchè non condivide.
Perchè il senso di un talento, di una vocazione, di una passione è scovare in essa le radici della bellezza.
E la bellezza non può non rimandare all’uomo, al suo essere tra gli altri, al suo istinto da branco e da gruppo.
E infatti Renèe riesce a ricordare il proprio passato solo quando incontra l’altro. Quando comincia a rimpiangere il calore di una carezza. Di una chiacchierata. Di una cena in cui farsi bella, andare dal parrucchiere, scoprire il piacere – tutto femminile – di percepirsi, almeno una volta, desiderabile.
Allora il cuore e la memoria rompono gli argini. Tornano indietro. Lambiscono il passato con coraggio perchè ricordare esige compagnia. Spalle su cui piangere. Braccia, anche immaginarie, da cui sentirsi cinti e colmati.
Non siamo isole che possano a lungo sopportare il rimando di una voce sola. Non siamo monadi impenetrabili, anche se amiamo vestirci di corazze che ci proteggono.
In realtà vorremmo essere costretti ad un’arresa. In realtà vorremmo un oscuro salvatore che ci strappi a noi stessi e ci suggerisca un’appartenenza.
Nel momento in cui Renèe condivide, ricorda.
E una vota che ha ricordato, ha compiuto il suo destino.
Forse tutto il senso della storia stava nella semplicità di un attimo condiviso.
Ringrazio Simona per la citazione e l’invito. Ed eccomi qui con la mia portinaia. Questa si chiama Apollonia (nella traduzione francese che sta per uscire il suo nome sarà Paulette), e qui in Italia “La portinaia Apollonia” è il titolo del mio libro illustrato per bambini edito da Orecchio Acerbo.
Questa portinaia letteraria rappresenta l’incubo, la personificazione delle paure di un bambino che la vede come una strega, molto simile a quella di Hans e Gretel.
Apollonia nella verità è semplicemente la portinaia del caseggiato, persona magari un po’ scorbutica e brontolona, anche perché deve sempre difendersi dagli scherzi e dalle canzonature dei ragazzini del palazzo.
Fra questi il più piccolo è Daniel, che si trova ad essere ebreo proprio negli anni della guerra e dell’occupazione nazista.
Il bambino ha respirato la paura che aleggia nell’aria, e inconsapevolmente l’ha dirottata su quell’arcigna portinaia. Pensa che un giorno Apollonia lo prenderà alle spalle a tradimento e poi cercherà di buttarlo in un forno come nella storia di Hans e Gretel.
E la scena tanto temuta da Daniel un giorno si concretizza. Appena ha varcato il portone del palazzo Daniel si sente afferrare alle spalle e trascinare fino allo stanzino buio dove si conserva il carbone, mentre una mano gli sta tappando a bocca.
E’ il terrore. Allora era tutto vero…
Ma le cose non sono come appaiono. Nel palazzo stavano per entrare i tedeschi a caccia di ebrei, e la portinaia Apollonia ha voluto salvare quel bambino nascondendolo nella carbonaia buia dove già era nascosta la sua mamma.
“Allora anche le streghe possono salvare un bambino…” pensa Daniel. Ma se Apollonia non fosse una strega?
Nella verità Apollonia è il simbolo di tutti quelli che pur nella loro semplicità e umiltà, al di là di superficiali apparenze, sono stati gli oscuri eroi, i salvatori di tante persone in pericolo.
E nella Storia vera di quel periodo il ruolo della portinaia è stato spesso determinante.
Buon lavoro a Massimo Maugeri, anche per il suo prezioso blog.
@Zaub…grazie cara!
Condivido la tua osservazione sui padri dell’illuminismo. Sulla loro tendenza a suggerire una strada. A indurre una riflessione.
In “Candido ovvero l’ottimismo” Voltaire, infondo,fa esattamente questo.
Infarcisce la storia di Candido , Pangloss e Cunegonda come una parabola dell’esistenza. E la narrazione è a servizio del significato filosofico del libro.
Il migliore dei mondi possibili non è un’enuciazione che Voltaire faccia in astratto.
Ma attraverso una storia.
E non è un caso che un’operazione simile sia tentata da una scrittrice francese.
La Francia ama le commistioni. Le storie come parabole dell’esistere. Ama i significati morali in letteratura (Hugo, fra tutti, ma anche Balzac, Flaubert, Zola…).E la filosofia come mezzo per dirle.
Hai ragione. E’ un’operazione che attinge dal passato.
Ma che si adatta bene anche ad oggi. Anzi, che nel mondo presente (piuttosto incline a non dare un “senso”) può vestirsi di una forza rinnovata.
@Carissima Lia,
ti ringrazio di cuore.
E ti ringrazio di averci parlato di un’altra “portinaia” che ribalta le regole dell’apparenza, che sovrappone la pietà all’orrore. Il coraggio al nascondimento.
Come dicevo spesso un mestiere è un topos. Una veste che rimanda a un significato.
La figura del portinaio ha illustri precedenti mitologici.
Infatti il portinaio è guardiano, custode, nascosto controllore delle vite degli altri.
Nella mitologa greca Talo è il guardiano di Creta. E il colosso di Rodi con la sua immensa stazza, posa le gambe ad arco all’ingresso del porto per vegliare sui visitatori dell’isola.
Cerbero, poi, è il guardiano degli inferi. E guardiani, nella simbologia cristiana, sono gli angeli custodi.
Questo perché l’idea di un essere a cui rimettere protezione è fortissima nell’immaginario umano. Ed è il riflesso della consapevolezza della nostra precarietà.
Non stupisce quindi che la narrazione possa far leva su un ribaltamento dei ruoli( che è il vero motore propulsore delle storie).
Renèe da custode scopre il desiderio di essere custodita.
Da osservatrice scopre il piacere di essere osservata.
La guardiola impone due sguardi, non uno. Non c’è solo quello da essa verso il mondo esterno. Ma anche quello del mondo su di essa.
Marilu’:
mi hai rubato le parole di bocca, come quasi sempre avviene. Superfluo dire che condivido lettera per lettera la tua/mia analisi. Sembri l’oracolo di Delfi, a volte!
–
Simona:
idem.
–
Abbracci e complimenti ad entrambe ed un altro bentornato a Luca Gallina, Carlo Speranza e Zauberei. Mi mancavate, popolo!
Che bella la storia della portinaia Apollonia! Comprerò il libro per mio figlio: spero di trovarlo (ad ognuno la sua portinaia….).
No, Luca… se hai creduto che il mio “sdegno” fosse rivolto verso di te allora non sono stata chiara e me ne scuso, davvero. Se rileggi vedrai che non ce l’avevo affatto con te. Trovo anzi che le tue osservazioni siano state sempre pertinenti e rispettose dell’opinione di tutti. Mi dispiace per l’equivoco, cercherò di essere più esplicita in avvenire!
Caro Sergio Sozi, ti ringrazio perché la tua emozione ogni volta è anche la mia per questo convivio, seppur virtuale, e come il nostro confronto sulle idee: genera altre idee che non capisco esattamente dove ci porteranno, ma ci fanno ritrovare; oggi mi è successo di incontrare casualmente all’università in Milano, il mio Prof di lettere e filosofia,al liceo, senti che mi dice: mi riconosce, dopo qualche accenno reciproco, e quando tocca a Lui dirmi di cosa si occupa, oggi ha compiuto 95 anni,mi racconta che in questi anni di piena tecnologia e avanzamento scientifico la filosofia l’ha messa da parte: indovina Sergio per quale interesse di ricerca?: l’antropologia, ché l’uomo è meglio approfondirlo dal di dentro con la sua fisiologia e la sua neurologia. Non è fantastico! Certo, i greci li teniamo e Platone mi ha suggerito di rileggerlo tutto.E’ la fisica, la quantistica che oggi risponderà a tutte le nostre domande di un tempo: non è più il tempo per spendere la nostra cultura umanistica, mi dice tenendomi le mani e con un sorriso degli occhi: povero vecchio visionario, forse!
Come vedi tu ci sei sempre nelle mie intenzioni: ben ritrovato anche a te: vox populi ed altro ancora, forse.
Ciao, un abbraccio forte non virtuale
Luca Gallina
Tessy cara, ti auguro il meglio: sistema le tue relazioni terrene perché devi farci ancora tanta compagni, ok?
Saluti a tutti e specialmente a Lia Levi: che bello trovarti qui! Un bacio a te e Luciano… Scrivi quando vuoi qui sul blog, sarai sempre la benvenuta! Grazie delle tue storie, delle memorie che riesci a cucire con le tue parole asciutte ma cariche di drammi, di quotidianità che si fa Storia, di Storia che si fa quotidianità. A Luciano grazie delle sue trovate culinarie… A entrambi grazie dell’ospitalità squisita…
Salve amici, come state?
come avrei voluto partecipare a questo dibattito sull “Eleganza del riccio”.
Se ne parla un po’ dappertutto, con commenti alterni, un po’ come per “Il cacciatore d’aquiloni”. Le librerie lo mettono, come le donzellette la domenica mattina indossavano la veste fiorita, sui primi scaffali, con Gomorra & Faletti. Lo trovo tra le mani di snob viaggiatrici sui miei bus, lo vedo fuoriuscire dagli zaini di diafane allieve del “Classico”; devo dire però che il tam-tam ha colpito più in alto del libro di Housseini: quello lo intravedevo tra dita più basse, commesse di boutique, domestiche chic e geometri condonatori alla ricerca di relax in metrò.
Avrei voluto leggerlo, come vorrei quantomeno cominciare, se non finire, a leggere tutti i libri dell’universo, ma vado per bancarelle, non posso permettermi quasi più le librerie (niente pietas ragazzi: è la vita!), uno stipendio di 1500 dollari non ti permette di comprare un libro al mese.
Questa settimana, con quattro euro, mi sono sparato due delizie che m’ero perso: “Il giorno della civetta” e “Triste Solitario y final” del collega Soriano. Non c’è problema, tanto i libri sono diventati come i film, restano in prima visione per pochi mesi, poi vanno subito in edizione economica, o sulle bancarelle.
…
Tessy Scibona,
io credo che l’universo intero ti ami, comprese le formiche del Borneo.
Oops…@Maria Teresa Santalucia Scibona: mi ero persa la tua citazione di Beirce, sei divina. Ma lo sai che mia cugina abita a Beirce Drive laggiù in Virginia Beach Va-Usa? Solo la cugina americana di un umorista poteva finire in via Beirce.
…
Dimenticavo: ciao Massimone Maugeri e ancora saluti a tutti. Sono stato impegnato per il vernissage italiano di mia figlia: due mesi quasi di dolce inferno, ma ne è valsa la pena, un giorno tornerò a fare lo scrittore.
Caro amico non-virtuale Luca Gallina,
non so come saro’ io a novantacinque anni (tocco ferro, tra l’altro), ma spero che il mio conservatorismo d’antica origine resti tale. Con rispetto parlando per coloro che sostituiscono le discipline del cuore con quelle che il Secolo richiede ed impone. Io no. Letteratura italiana, poesia, filosofia e Storia, mitologia classica mi interessavano quando avevo sette-otto anni e tutt’ora mi interessano, anzi ancge di piu’, molto di piu’ di prima.
”…come prima. piu’ di prima, ti amero’…”
Ciao, caro!
Sergio
…e a Dido’ e Maria Teresa ripeto volentieri ora il mio immutato amore.
Cara Elisabetta,
e’ bello poter dire anche in un luogo di letterati che amo la Nazionale e soffro di brutto quando perde. L’onda lunga del perbenismo intellettualoide e’ finalmente morta e sepolta. Poi, pensa… ho scoperto che anche il bravo poeta e narratore Remo Rapino (uno da tener d’occhio: leggi il romanzo ”Un cortile di parole”, Rocco Carabba Editore 2006) ama il calcio e lo giuoca. Ugo Riccarelli adora il ciclismo, Ciampi e Pertini stavano col cuore in gola agli incontri internazionali (a dire il vero, Ciampi ancora oggi, grazie a Dio!) degli Azzurri e sotto sotto tutti gli scrittori italiani che valevano qualcosa tremavano d’apprensione almeno ai Mondiali di Calcio (anche se non lo andavano a dire ai colleghi, stavano col portinaio davanti alla tivu’ a soffrire. Vedi, l’importanza dei portinai?).
Un altro che vorrei risentire e’ Gianmario: eila’! Dove sei? Batti un colpo, please…
Cara Chiara,
fin qui, hai fatto un’analisi corretta. Ma non ci hai detto come la pensi. Condividi questo modus operandi dell’editoria nostrana? Io no.
Abbraccio
Sergio Sozi
P.S. per Elisabetta,
(o forse ti eri gia’ espressa in proposito e me ne sono scordato… boh… ho una memoria che fa acqua da tutte le parti… e’ l’eta’, abbi pieta’ di me…)
No, volevo dire a Chiara, pardon. Oggi sono stato tutto il pomeriggio con mia figlia Laura e l’ho messa a letto da un’ora circa, quasi assopendomi assieme a lei. Sono un po’ confuso, insomma…
Eccomi, in ritardo per dire la mia sul libro che ho letto subito, all’indomani della sua uscita in Italia: una cosina così. Bello l’inizio e il ritmo delle prime pagine, poi man mano la scrittura si trasforma in sceneggiatura. Così mentre lo leggevo, ipotizzavo gli attori e già mi immaginavo una versione francese delle Fate ignoranti (nel senso degli stessi attori). Il testo, comunque intrattiene , perché il “nascondimento” (come scrive Simona) è essenzialmente solitudine: terreno comune alla maggior parte di tutti (noi). Penso che il fascino del riccio stia tutto lì, nel riconoscere sulla passerella il disagio diffuso della incomunicabilità, rivestito però di tutto punto: un capo elegante, sfoggiabile. Con il quale si può anche fare una bella figura! E’ un libro regalabile, ad occhi chiusi lo si può consigliare per mamme, nonne, nipoti, maestre e zie. E anche questo è motivo di fascino…
E poi sembra uscire direttamente da un computer!!! Pagine diverse legate in uno stesso blog ….
Dido’,
ti prego: racconta di nuovo a tutti la storia della tua cugina trapiantata negli USA. E’ eccezionale, se narrata da te…
Cia, Miriam,
invece qualcuno ha detto che i personaggi del ”Riccio” hanno il difetto di parlare tutti alla stessa maniera. Come variano i punti di vista, ragazzi!
S’intreccia il discorso di Luca Gallina con le domande di Massimo Maugeri, anche se trasversalmente. Spiegarlo con un ragionamento logico coinvolge il processo del pensiero, introduce il fatto che i tempi moderni hanno ignorato la filosofia ed il pensiero classico e, quindi, tutti quei barbosi quesiti sull’anima e sullo spirito a che cosa servono?
Oggi leggevo l’importanza del patio greco come spazio interno, le facciate rinascimentali (solo in apparenza progettate per l’esterno in quanto ogni elemento era destinato per l’interno dell’uomo), le città ideali furono pensate in senso urbanistico, con alti valori, prospettate per le anime e lo sviluppo dell’intelligenza.
Con regali mantelli gli uomini conversavano sull’aldilà e sul senso dell’esistenza ed era quella la loro principale eleganza.
Le statue in pietra erano decorative e soprattutto nessun riccio.
Tutto si legava armoniosamente nello scambio, pittura, architettura, letteratura, filosofia: tant’è che spesso il matematico sapeva dipingere e scrivere trattati….oh no, non era la superbia dell’intelletto che non ama confrontarsi, tutt’altro che chiusura.
Ancora grazie, come sempre, per i nuovi commenti.
E grazie alla splendida Simona per l’ottima (e dotta) moderazione.
Un ringraziamento a Rossella per i suoi sempre interessanti “spunti artistici extraletterari” (spesso a sfondo pittorico… ma non solo).
Un saluto a Miriam.
Meno male che sei arrivata…
Lo sai che stavo per intentare causa la gestore di telefonia che ti ha impedito di partecipare ai dibattiti degli ultimi giorni?
😉
Bentornato Didò!
Temevo che ti fossi chiuso nella “eleganza del riccio” del tuo bus.
Non per consolarti… ma credo che 1500 dollari (ma ti pagano in dollari? sei al servizio degli americani?) corrispondano più o meno al guadagno mensile dell’italiano medio.
@ Sergio,
è come per i ristoranti: bisogna mangiarci. All’inizio del libro i personaggi sono ben delineati e ognuno ha il suo linguaggio; sono belle pagine. Poi, per i miei gusti, diventa stucchevole, come i complimenti scritti per dovere. Dalla metà in poi, prevale una storia troppo “filmica” e prevedibile e i personaggi, tutti, si annullano a favore del grottesco. L’episodio del bagno, scritto da Paasilinna e sostenuto dai suoi personaggi, sarebbe forte, originale e invece si risolve in fiction…insomma…
Ciao, miri
Sergio,
gli scrittori amano il calcio.
Mi ricordo le foto di Pasolini in maglietta e calzoncini, le opinioni di Alberto Bevilacqua mentre sbavava a favore del suo Parma.
E poi… lo sai che esiste una nazionale di calcio degli scrittori?
Miriam, parli di grottesco?
Ummmh… a me il grottesco piace.
Un saluto e un ringraziamento alla scrittrice Lia Levi.
Di Lia ne avevamo parlato qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2007/05/22/in-sicilia-con-lia-levi-cronaca-di-un-viaggio-civile/
Con un contributo dell’ottimo Luigi La Rosa (intervenuto qui sopra).
Se cliccate sul link, all’interno del post troverete una mia videointervista a Lia Levi
Bene. Saluto di nuovo tutti… tra cui Luca, Carlo S., Zauberei, Elisabetta, Luisa (gli altricredo di averli citati nei precedenti commenti… mi scuso in anticipo per eventuali dimenticanze).
Un saluto speciale a Chiara Manfrinato (che, tra le altre cose, è un’ottima traduttrice… sto “beneficiando” della sua bravura in questi giorni).
Brava Chiara! Davvero.
http://www.chiaramanfrinato.com
Miriam,
non ho letto il romanzo, ma, da quanto dici, sarebbe sempre la solita storia: dove la fantasia dello scrittore si affievolisce, subentra la pellicola. E ci credo che hanno la vena ispirativa breve: se mentre scrivono ascoltano l’house music come nei supermercati, vanno al cinema quattro volte a settimana e in piu’ si vedono trenta film a casa… come fa cosi’ uno ”scrittore” a mantenersi fantasioso, oggi? Impossibile. Ma la mamma non glie lo diceva, come la mia a me, che per studiare bisogna stare in silenzio, se no la concentrazione sparisce? No, la mamma non glie lo dice piu’. Ovvio. Tanto ci sono gli ”editor ex machina” a mettere tutto in bella copia…
Maugger,
si’ sapevo della Nazionale Scrittori, ma chi la compone? Se c’e’ Moccia, sai… si fanno poche reti ”di testa”.
Rossella ha detto una cosa che mi piace ripetere:
”Tutto si legava armoniosamente nello scambio, pittura, architettura, letteratura, filosofia: tant’è che spesso il matematico sapeva dipingere e scrivere trattati….oh no, non era la superbia dell’intelletto che non ama confrontarsi, tutt’altro che chiusura.”
Gia’. Diciamolo piu’ spesso, questo, Rossella, se no la gente alla fine si scorda pure di esser diversa dai ricci e vive appallottolata come se fosse cosa umana.
Sergio
Molto in ritardo vorrei fare i miei complimenti a Simona per la sua bellissima recensione. Simona quando scrive è come se poetasse, talmente “melodiose” sono le immagini che evoca. E in più, è una persona molto dolce, ma di questo se ne sono accorti tutti.
Non ho potuto leggere i commenti degli altri, se non “a saltare”, ma da parte mia è il classico libro che non riesco a catalogare in “mi è piaciuto” o “non mi è piaciuto”. L’ho chiuso e ho detto “mah!”. Alcuni personaggi sono interessanti, indubbiamente è scritto bene, forse un pò troppe digressioni pseudo-filosofiche e sicuramente un testo molto autoreferenziale. Insomma, devo ancora decidere.
@ Massimo,
euro e cacofonico, brutto e poco letterario: “…C’è un dollaro d’argento sul fondo del Sand Creek”, cantava De Andrè, se avesse detto un euro sarebbe stato Pupo.
Ma la quaestio è un’altra (1500 usd corrispondono quasi a 1350 eur), con lo stipendio dell’italiano medio non si comprano libri; non se si mantengono 2 figli, tra liceo e università; non si va a teatro, si spizzica sulle rubriche dei giornali per trovare le manifestazioni gratuite, i concerti rock offerti gratis e quant’altro.
Massimone mio, la cultura costa, costa.
…
@Sozi, fratellone mio.
Sono riuscito a percepire blandamente il dibattito sulla “bellezza” nel tempo antico, sull’arte (e sono d’accordo) che non ha steccati. E dei ragionamenti incrociati che si facevano nel tempo “Classico”.
Poi, moltissimi artisti sono stati poliedrici, oltre a Leonardo tantissimi, basti citare il napoletano Salvator Rosa, pittore, poeta, attore; oggi si chiamerebbero artisti multimediali.
Ti chiedo: cosa è successo? Perchè ogni due/tre secoli ci si medievalizza?
Franz Didò
Argh! Mio Dio!
Dimenticavo (quant’è dolce la Leonardi, è la mia memory card, mi ricorda tutto!).
@Simona,
le tue parole sembrano uscire da un pennello, danno colore e calore.
Sei preziosa!
Ma quanto sei dolce tu, Didò!!
baci baci
Caro Sergio, mi hai confermato:
povero vecchio visionario, forse, il mio Prof che si è convertito al progresso lasciando in testamento la sua approvazione al cambiamento; tradimento,tradimento: la propria natura culturale – humus – non si deve cambiare mai, oggi che tu hai quarant’anni, ma fra cinquant’anni potresti anche essere diventato un archeologo dell’antropologia culturale, forse? Potresti, e chi lo può dire, almeno per allora, distaccarti dal passato ormai remoto del tutto?
Con empatia semper,
Luca Gallina
P.S. del resto nelle facoltà universitarie in Milano: diminuiscono le iscrizioni a Lettere e aumentano quelle a Scienze della comunicazione, per esempio.
La narrativa diventa sempre più scrittura sceneggiatura, come mai?
Cara Rossella, io ti leggo sempre e apprezzo le tue pennellate polimateriche lasciate sul testo dei tuoi interventi, mai banali, se me lo consenti: mi è rimasto impresso come hai figurativamente descritto il rapporto tra forma e contenuto come un volo di battito d’ali di un’aquila: bene! Io l’ho vista volare alta nel cielo sopra le montagne veramente. Brava!Dimmi per favore dove posso vedere i tuoi quadri e se sei anche scenografa – se hai la mano della scultrice, anche -, ché secondo me tu sei pure – ghost writer – scrivi per gli altri: perché hai diverse anime belle e burrascose immaginifiche e qualche volta puoi volare ampiamente nel cielo, senza aprire il tuo paracadute dell’anima, forse.
Ciao, sei un’artista completa questa è la mia percezione, se me lo consenti!
Luca Gallina
Caro Francesco Di Domenico, bentornato!: proprio ieri ti ho cercato in internet e sono capitato in un sito di una chiesta di culto Evangelista:in un altro sito, invece, ho trovato una foto di un giovane aitante quasi sessantenne:viso luminoso stempiato e inoltre, un altro viso da napoletano con i baffi e un sorriso costante negli occhi, vestito di tutto punto giacca e cravatta e sembrava uscito da una commedia di Peppino De Filippo: e che diamine! E chi sei esattamente tu Francesco: aiutami tu se Vuoi a rintracciarti in internet per un saluto. Pur tuttavia, complimenti per il successo pittorico tributato a tua figlia: e questa è una vera testimonianza che i figli non pagano gli errori dei padri: faccetta gialla, naturalmente.
Ciao, con sana empatia sempre
Luca Gallina
Lucacchione mio,
grazie, bentrovato!
Ma, benedetto pennuto, se clicchi sul mio nome qui sul Mauger-sito non esce il mio blog?
Poi, se vai su google e digiti il mio nome ci sono due o tre schermate, persino una mia biografia semi-umoristica pubblicatami da una giornalista sorrentina.
Ciao, come si dice a Teatro: “Esco per la comune”.
Franz
Ciao a tutti, “ricci”di Letteratitudine… vi saprò dire quando avrò finito il libro, che ho iniziato a spizzicare come le carte del sette e mezzo…
Caro Didò Franz, complimenti sei un artista a tutto tondo: e lasciatelo dire un viso molto espressivo da primo piano,minimo,televisivo sguardo seducente e non voglio dire di sciupa femmine: ma quello che mi ha colpito veramente è la tua energia per tutto quello che fai e continui a fare: ma sei sicuro di essere di Napoli? Voglio dire che io che sono di Milano mi sono già stancato solo a vedere e a pensare a tutto quello che hai da fare: ma chi te lo fa fare?
Ciao, scusa, ma mi devo andare a riposare sono sfinito
luca
Luca Gallina
Ma grazie, Silvietta!
E anche a te Didò!
Grazie di cuore!
Dido’, vecchio mio! Ti abbraccio stretto stretto!
Tu scrivi ed interroghi: ”Salvator Rosa, pittore, poeta, attore; oggi si chiamerebbero artisti multimediali. Ti chiedo: cosa è successo? Perchè ogni due/tre secoli ci si medievalizza?”
–
E io rispondo: vattelappesca perche’. Secondo me poi bisogna distinguere di Nazione in Nazione: in Italia e’ cosi’ perche’ siamo scorderecci e portati a dare alle persone sbagliate la giusta fiducia, ed anche perche’ siamo irrequieti e superficiali per disperazione mentre staremmo meglio se affrontassimo con piu’ amorevole profondita’ i problemi. Cosi’ e’, mi pare. Un popolo che ha una lunga Storia ha anche tanta stanchezza e decadenza, e’ cosa in fondo ”fisiologica” – ma non bisogna rassegnarsi, anzi tutt’altro: vita, amore, musica, allegria e via: teniamo ben presente il nostro blasone e rinnoviamolo in futuro, senza deprimerci sull’attuale ”pausa”.
Bacioni a tutta la Dido’-famiglia
Sergio
Carissimo mio Luca Gallina,
Domandi: ”La narrativa diventa sempre più scrittura sceneggiatura, come mai?”
La mia risposta e’ questa: perche’ la gente legge poco e male, in fretta, nella confusione e con la musicaccia alle spalle, cosi’ anche scrive, eppoi, per giunta, studia poco e male la Storia della Letteratura italiana perche’ i professori fanno male il proprio lavoro di italianisti. Dunque freghiamocene dell’andazzo pernicioso e facciamolo noi, quel che serve, e divulghiamo le buone letture, stroncando le cattive e cinematografiche.
Non aspetto, io, il ”princeps”. Io faccio.
Bacioni
Tuo
Sergio
Provo a tornare al “riccio” con una considerazione…
Muriel Barbery, prima di questo libro, era sconosciuta. E non è che il libro, anche in Francia, abbia beneficiato di chissà quali promozioni.
È stato il passaparola dei lettori a decretarne il successo.
Non solo. È stato premiato dai librai francesi.
Ora… mi rivolgo a chi non ha apprezzato il libro… è possibile che i lettori siano sempliciotti. Ma i librai?
Che ne dite?
Anche qui in Italia mi pare che il libro sia andato avanti da solo, con le proprie gambe.
Certo, magari ci sarà anche stato un “effetto trascinamento” quando è entrato in top ten e ha raggiunto la vetta (qualcuno di voi ha parlato di “massa”)
Ma come ha fatto a entrare nella classifica dei primi dieci e poi a raggiungere la prima posizione?
@Massimo,
non ho letto il libro e non avrei diritto di parlare, ma, letto le tante considerazioni, pro’ e contro, comincio a pensare: fosse una corsa al ribasso dell’odierna letteratura?
fosse che in mancanza di un “Il nome della Rosa” la gente si accontenta anche di un discreto Marcovaldo di serie b?
Dido’,
ti ho scritto poco sopra, eila’!
… e la corsa al ribasso dura da quattro secoli, vecchio mio. Roba nota. Eppure credo che ‘sta Barbery mi potrebbe catturare. Ma il libro non vado a comprarlo. Sono povero come te. Piu’ di te.
mah,ho la sensazione ch ein questa caso l’effetto passaparola sia stato potente all’ennesima potenza..
Perq uanto riguarda i librai…forse non mi trovo piùmolto in sintonia con il gusto ‘libraio’, dal momento che adesso i librai hanno osannato altro romanzo francece, ‘Gli effetti secondari dei sogni’, che avrà il suo bel successo, con quel titolo che oltretutto ricorda ‘La solitudine dei numeri primi’, e che non mi ispira.
Allo stesso modo io non ho amato alla follia il libro di Ruiz Zafon.
D’altronde. come avevo scritto in un commento relativo ai fattori di scelta dei libri, io seguo poco passaparola e consigli dei librai( ameno che si tratti di un libraio che conosco bene).
Preferisco sempre le recensioni.
Ciao Didò, bentornato…
Artisti multimediali… Oggi Leonardo avrebbe un blog, tre e-mail, farebbe installazioni, progetterebbe stazioni e musei, decorerebbe chiese e moschee… Tempo che vai, artista che trovi, l’importante è che ce ne siano.
Da circa mezz’ora ho finito di leggere l’eleganza del riccio. Ho riso molto nel leggerlo ed ho anche pianto…anzi, ho letto le ultime pagine con difficoltà perchè avevo gli occhi umidi.
Non credo sia davvero Renèe a nascondersi quanto piuttosto gli inquilini del n 7 di rue de Garnelle. Alla fine di questo bellissimo romanzo, Renèe è l’unica a venire fuori dalla massa anonima che la circonda e dalla quale, non a torto, si difende. Renèe parla di se fino alla morte, fino all’ultimo respiro racconta la sua storia, le persone, i libri, i film e l’arte che ha amato durante la sua vita. Questo libro è un invito a non nascondersi.
Buonanotte.
Grazie Pina.
Buonanotte a te.
Ho quasi finito di leggere il libro, e mi sembrava serio parlare con cognizione di causa.
Ebbene dopo una prima intuizione geniale, di come le classi sociali possano fungere da schermo nei rapporti e di come la bellezza sia accanto a noi senza che noi ci accorgiamo di nulla, il libro si appesantisce sino ad un finale abbastanza mieloso.
Mi mancano 20 pagine, ma oggi ad esempio mi è venuto quasi il diabete a leggere tante sdolcinatezze.
Diciamo che sembra un ottimo esercizio di stile con personaggi “classici” incapaci di uscire dagli schemi……..
Ciao a tutti!
io da questa lettura sono rimasta un pò perplessa, il libro alla fine non mi è dispiaciuto però non l’ho “condiviso” molto.. forse non sono riuscita a capirne bene il senso profondo..
I due personaggi femminili fanno cadere le braccia a terra.. come puoi vivere una vita nascondendo la tua vera natura, il tuo vero essere? secondo me per vivere bene e, per quanto si può, felici si deve cercare ogni giorno di capire chi siamo e cosa vogliamo senza aver paura di farlo emergere. Come si può vivere denigrando gli altri e soprattutto se stessi? sentendosi l’intelligenza fatta persona poi! due personaggi secondo me molto presuntuosi. Le prime 100 pagine le ho trovate parecchio noiose, dall’arrivo del giapponese il romanzo si fa un pò più appassionante, le protagoniste iniziano a “rivelarsi” con lui però davanti agli altri continuano a mettere una maschera.. alla faccia della coerenza con se stessi(che secondo me è uno dei valori più importanti e allo stesso tempo difficili da fare proprio), è facile essere se stessi con chi ti capisce, molto più difficile esserlo con chi non lo è(o che pensi possa non esserlo….).
Comunque questo romanzo mi ha colpita e credo che, a parte le riflessione sul Bello e sull’Arte (grazie all’autrice per avermi citato una decina di autori che non conosco ancora abbastanza e aver rimarcato la mia ignoranza) abbia fatto tanto successo perché un pò tutti ci nascondiamo innanzi agli altri e leggere questa “vita da riccio” portata agli estremi smuove qualcosa dentro ognuno di noi.. lo consiglio dai.
Non ho scritto il mio nome nel post sopra, Arianna.
Penso che il successo dell’Eleganza del Riccio sia banalmente riconducibile alla facile identificazione da parte delLE lettrici con LE protagoniste.
Il racconto porta a credere che le protagoniste siano dei sublimi esseri superdotati per intelligenza e sensibilità; in realtà vengono descritte sensazioni comuni ed anche l’essere riccio è attitudine dominante. Ma la lettrice si identifica con l’eccezione che in questo caso assume un aspetto estremamente colto e quindi gratificante. Anche la madre di Paloma si identificherebbe con Renee e consiglierebbe alle amiche di comprare il libro comunque ricco di importanti riflessioni e citazioni poste in maniera garbata.
Il libro non mi ha sorpreso,mi sono sorpresa da sola perchè è la prima volta che mi piace qualcosa che piace alla massa informe.