Dicembre 3, 2024

193 thoughts on “IL SUD DELL’EDITORIA. EDITORIA A PAGAMENTO

  1. Cominciamo per fasi, dicevo. E cominciamo dalla questione dell’editoria a pagamento. Argomento che farà di certo discutere.
    Vi chiedo, come sempre, di mantenere il dibattito entro i limiti di quanto indicato sulla solita “avvertenza” (nota che trovate nella colonna di sinistra del blog).
    Editoria a pagamento, dunque…

  2. SULL’EDITORIA A PAGAMENTO

    De Matteis si esprime in questi termini: “Purtroppo credo che sia molto rilevante, soprattutto quella che si appoggia all’università, in specie al Sud. Questo tipo di editoria, al di là di qualsiasi ragionamento etico e culturale, non mi piace per due motivi: primo, perché si crea una ridondanza di mercato, perché s’intasano le librerie con prodotti mediocri; secondo, perché si creano una miriade di sigle editoriali senza nessuna credibilità”.

    Lupi invita a diffidare degli “annunci che trovate sui giornali e soprattutto di chi vi propone di pubblicare (meglio sarebbe dire stampare) il vostro libro in cambio di soldi. Se proprio dovete farlo potete ricorrere a un print on demand! Costa molto meno… In ogni caso il discorso sugli editori a pagamento sarebbe lungo, perché è anche vero che ci sono presunti scrittori (i famigerati scrittori locali che esistono un po’ ovunque) che se li meritano e che senza di loro non potrebbero mai definirsi scrittori. Chi pubblica pagando non è uno scrittore, ma soltanto un ambizioso che vuole il nome su una copertina”.

  3. Io considero l’editoria a pagamento come un fenomeno da stigmatizzare.
    Ho già detto altre volte, e in altre sedi, che se non avessi trovato un editore disposto a farmi esordire sostenendo il rischio d’impresa (che c’è, soprattutto per un esordiente) non avrei pubblicato.
    Questa, però, è stata una mia scelta.
    Non mi sento di giudicare (e non lo faccio) chi ha agito diversamente… anche perché ognuno ha la sua storia.
    Né – rispetto agli editori a pagamento – mi sento di fare “di tutta l’erba un fascio”. Anche nel settore dell’editoria a pagamento immagino ci siano diversi livelli di professionalità.

  4. L’intervento di Gordiano Lupi e la lettera di Simone Pazzaglia riportavano il nome di una casa editrice specifica.
    Io ho preferito “rimuoverlo” per due motivi:
    a) Preferirei che ragionassimo (e discutessimo) sul fenomeno e non sui singoli (quindi vi chiedo di raccontare le vostre esperienze – dirette e indirette -, se volete, evitando di fare nomi)
    b) Mi sembrava ingiusto puntare il dito su una sola casa editrice a pagamento (quella relativa all’esperienza di Simone) e farne capro espiatorio di tutta una categoria.

  5. E ora un paio di domande…
    – Partendo dal presupposto che quello dell’editoria a pagamento sia un fenomeno da stigmatizzare, ritenete che le colpe principali (ammesso e non concesso che ci siano colpe) siano da imputare all’editore che chiede il contributo o all’autore che paga?

    Gli editori a pagamento (che chiedono un contributo all’autore) sono da condannare a prescindere?

    A voi…

  6. Cargo – L’Ancora del Mediterraneo è una grande casa editrice e ha il merito non da poco di aver pubblicato Felix Luis Viera “Il lavoro vi farà uomini” sul dramma delle UMAP a Cuba. Non solo. Ha pubblicato anche Reinaldo Arenas, un magistrale scrittore che in Spagna e a Miami trovate in tutta la sua opera omnia e qui da noi se non c’erano Guanda e L’Ancora non esisteva. Vi pare poco? Questa si chiama editoria di progetto.

    Gordiano Lupi
    http://www.infol.it/lupi

  7. Questo è un grande libro di CARGO – L’ANCORA DEL MEDITERRANEO.

    Felix Luis Viera
    Il lavoro vi farà uomini
    Omosessuali e dissidenti nei gulag di Fidel Castro
    Euro 14,00 – Pag. 271 – Edizioni Cargo

    È impossibile presentare questo libro meglio di come fa il postfattore Guido Vitiello che cita le salaci considerazioni di Fernando Arrabal, grande scrittore dotato di acuta ironia e senso dell’umorismo. “Cuba ha già adottato le espressioni della Neolingua di Orwell, nell’isola non ci sono il Minabbon (Ministero dell’Abbondanza), il Miniver (della verità) o il Minipax (della pace), ma c’è il Ministero della Salute che si chiama Minsap e il Ministero degli interni che si chiama Mininter, mentre quello delle Forze Armate è il Minfar”. Le Umap sono un’altra triste invenzione della fantasia malata di una dittatura, sono i campi di rieducazione e lavoro per dissidenti, antisociali, omosessuali, rockettari, religiosi, santéros, nullafacenti e affini che hanno imperversato a Cuba tra il 1964 e il 1965. Il romanzo di Felix Luis Viera parla proprio di questo e parte da una sua esperienza di vita, perché pure lui è stato un antisociale e prima di poter riparare in Messico ha scontato quasi un paio di anni di Umap. “Il lavoro vi farà uomini”, troneggiava la scritta all’ingresso di questi Gulag aperti dal regime nella zona di Camaguey, ed è un’esperienza che a Cuba hanno provato almeno trentamila persone. Reinaldo Arenas, scrittore eccellente che in Italia non si pubblica perché dice cose vere su Cuba e non rientra nei giri di potere di chi gravita nell’orbita del Comandante, ha lasciato le sue confessioni nell’autobiografia Prima che sia notte e ci ha fatto capire quanto sia stata triste la sorte di chi non era in sintonia con il regime. Luis Viera non è un grande scrittore come Reinaldo Arenas, questo è il suo unico limite, ma riesce comunque a far trapelare emozioni e angoscia dalle pagine che trasudano speranza di un futuro migliore per la sua terra. Le Umap sono una delle tante vergogne del socialismo reale cubano e ancora oggi non è finito il tempo dei campi di lavoro forzato dove vengono relegati i dissidenti. Le Umap sono chiuse, ma esistono sempre le prigioni infernali dove si vegeta in attesa della clemenza del tiranno, dove si può solo supplicare e sperare nell’esilio, dove non si ha diritto a niente, meno che mai a parlare. Le Umap sono forse la pagina più buia del totalitarismo cubano e gli omosessuali restano le vittime che più di tutti ne hanno fatto le spese. Non ci dimentichiamo però delle migliaia di fucilazioni, della repressione capillare e delle ignobili condizioni carcerarie che perdurano ancora oggi. Luis Viera ha atteso trent’anni per scrivere le sue memorie dal gulag e non ha inventato quasi niente, il protagonista del romanzo in parte si identifica con l’autore. In Italia pubblichiamo gli assurdi pensieri di Gianni Minà su Cuba, ma non ci passa neppure per la testa l’idea di ristampare Guilllermo Cabrera Infante (Tre tristi tigri) e Norberto Fuentes, per non parlare di Arenas (un solo libro edito da noi contro l’opera omnia edita in Spagna) e dell’esiliato Alberto Montaner.In Italia i libri importanti su Cuba di solito non arrivano, ma se per caso qualcuno viene pubblicato finisce nelle irreperibili collane di piccoli e coraggiosi editori ostacolati dal sistema dominante. Il regime cubano viene difeso a spada tratta da loschi figuri che forse sono pagati da qualcuno per continuare a dire le cose che dicono. La nostra speranza è che si cominci a far raccontare il regime liberticida di Castro ai cubani della diaspora, gli unici legittimati a parlare di Cuba. Ne abbiamo abbastanza di confidenti del re che ci raccontano le loro parziali verità su una Cuba che non esiste e che forse non è mai esistita. Noi consigliamo la lettura del libro di Luis Viera e vi diamo il sito dell’editore dove ordinarlo: http://www.cargoedizioni.it. Non ve ne pentirete.

  8. 1) Editori a pagamento. Se non si fanno i nomi non serve a niente parlarne. Chiudiamo il discorso. Abbiamo scherzato.

    2) L’autore vero a volte cade nella rete tesa dall’editore a pagamento. Sto parlando dell’autore vero, quello che va difeso. Il non autore, lo scrittore locale, il funzionario di partito pieno di soldi da investire in cartaccia sporca di inchiostro (scritta da lui) non mi interessa e non va difeso. Si merita l’editoria a pagamento.

    3) Per editore a pagamento intendo quello che chiede 1500 – 3000 euro per stampare un libro e consegnare l’intera tiratura all’autore. Quello che stampa, incassa e se ne infischia. Non classifico editore a pagamento chi fa selezione, sceglie, pubblica cose ritenute interessanti da un comitato di lettura, ma chiede all’autore di impegnarsi per diffondere il suo libro. Un editore che contrattualizza un minimo contributo a fronte anche di un suo impegno editoriale può anche andare bene. Non lo condivido e non lo faccio, ma lo comprendo.

    4) Le Edizioni Il Foglio – prima che qualcuno tiri fuori la storia lo faccio da solo – sono nate nel 1999 con Il Foglio Letterario, fanno editoria dal 2003 e nei primi due anni di vita hanno chiesto un modesto contributo agli autori pubblicati. Al tempo chiedevamo di acquistare 50 – 100 copie del libro a metà prezzo. Il contributo non superava mai le 600.000 lire. Abbiamo deciso di non farlo più e di fare ancora maggiore selezione. Non ci sembrava corretto.

    Gordiano Lupi

  9. @ Gordiano
    Scrivi: “Editori a pagamento. Se non si fanno i nomi non serve a niente parlarne. Chiudiamo il discorso. Abbiamo scherzato.”

    Secondo me non non è giusto fare i nomi di uno, due, tre editori… e basta. Non sarebbe corretto. O almeno, a me non sembra corretto.
    Mi sembra invece importante discutere del fenomeno.

  10. @ Gordiano (again)
    Nulla ti impedisce – se lo ritieni giusto e opportuno – fare tutti i nomi che vuoi sul tuo blog aprendo un post in contemporanea a questo.
    La mia posizione, però, rimane immutata.

  11. Il fenomeno dell’editoria ”a pagamento” (ha anche una propria sigla di definizione: ”editoria a.p.s.” – A Proprie Spese) e’ secondo me deleterio tout court, pero’, come tutto cio’ che di affinemente controproducente avviene nel mondo, essa si basa su delle cause concrete, che secondo me sono le seguenti (iniziero’ ab origine, seppur sinteticamente, se no serve a poco chiacchierare):
    1) Il malfunzionamento del Sistema Scolastico Nazionale Italiano, che non riesce a far capire chiaramente agli studenti quando hanno le qualita’ per tentare una via letteraria e quando invece devono prendere altre strade;
    2) La chiusura degli editori seri nei confronti delle opere letterarie diverse dalle mode imperanti del momento. Lo sottolinea anche Ferdinando Camon: l’imprenditore-editore vuole solo vendere e dunque sta nella moda attuale, lo scrittore bravo (solo quello bravo) invece va oltre la moda. A rimetterci e’ sempre l’autore ”diverso”. E la Storia della Letteratura Italiana di oggi e del futuro, certo.
    3) L’aspetto legislativo – semplice, come tutte le cose che appaiono complesse, e complesso come quelle che sembrano semplici. Se si riuscisse in primis a distinguere legislativamente le ”aziende editoriali” (che sono le serie) dalle aziende di ”servizi editoriali” (ovvero quelle a pagamento), sarebbe un passo in avanti, perche’ cosi’ si potrebbe fare una legge quadro ad hoc che includerebbe gli editori disonesti nel quadro dei semplici tipografi (cos’altro sono in realta’?) e gli editori seri fra appunto gli editori veri e propri. Cio’ servirebbe a varare due provvedimenti collegati: A) una legge che definisca i servizi che i tipografi possono fare, a pagamento ovviamente; una legge che percio’ dica: il tipografo puo’ realizzare un libro ma non puo’ sceglierlo per motivi d’ordine intellettuale, ne’ distribuirlo e neanche pubblicizzarlo in alcun modo. E’ un tipografo. Punto. B) Gli editori veri. Questi dovrebbero avere l’obbligo di legge di pagare secondo prezzo sindacale (ossia con un min. e un max a pagina di tot battute, in genere 1500) le opere che pubblicano e non dovrebbe in alcun modo incassare una lira dall’autore proprietario intellettuale dell’opera. Stessa legge da adottare (e’ piu’ facile) anche per le testate editoriali. Insomma: chi fa l’editore DEVE pagare gli editori o rischia l’incriminazione per lavoro nero. Cancellazione della parola GRATIS dal vocabolario dell’editoria italiana di ogni tipo e genere. Ricevute alla mano della Guardia di Finanza. Controlli. Multe colossali.
    Se, poi, le cose cambieranno, io non lo so. Forse gli editori seri comanderanno ancora di piu’, con arbitrio totale e scelte ingiuste. Pero’ sara’ meglio cosi’ che dare soldi agli pseudo-editori. Diamoli eventualmente ai tipografi.
    Sergio Sozi

  12. Va bene, non facciamo nomi. Io ho scritto un libro “una vita negata”
    circa una ventina di anni fa. Sono stata tentata di ricorrere all’ editoria a pagamento ed ho mandato anche il manoscritto. La risposta è stata positiva. Il prezzo, anche se elevato era tuttavia accessibile alle mie tasche. Ma, al momento di firmare il contratto, la mia coscienza, non solo morale ma anche culturale, si è ribellata e non se ne è fatto niente. Poi ho trovato un piccolo, onesto editore ( non volete che si facciano nomi ma ha a che fare con una faccenda di nodi ) che ha pubblicato il libro che va abbastanza bene. Ha avuto ottime recensioni, anche da una critica letteraria, per la precisione Elisabetta Blasi. Sono molto felice perché, in
    questo modo, ho avuto la conferma che il mio libro, scritto con passione ed impegno vale qualcosa. Poco o molto non importa. Qualcosa mi basta. Ah, dimenticavo di dire che non ho pagato un centesimo.
    Buona lettura e buona scrittura a tutti. Franca Maria Bagnoli.

  13. Trovo questa storia così vicina alla mia che fatico a credere che si possano usare gli stessi mezzi, senza un minimo di fantasia.
    Sono un (men che mediocre) scrittore per gioco, nel senso che iniziai a scrivere nel Novembre del 2004 e da allora, pur tra alti e bassi, ho scritto due romanzi e qualche decina di racconti e componimenti (poesie?).
    Dopo aver distribuito copie a destra e sinistra, ho avuto i seguenti risultati:
    a. Il 90% degli editori non ha risposto neanche con un’email
    b. Un editore ha risposto con un’email non personale (tipo quelle copia e incolla) ma, con un lasso di tempo così breve (5 giorni) che mi ha fatto dubitare sul fatto che il manoscritto sia stato anche solo sfogliato
    c. Un editore mi ha restituito il manoscritto con segni evidenti di “intonsità” (ho preso le mie precauzioni e le ho trovate intatte). Dopo un anno. Il giorno prima della data scritta sulla lettera di risposta… il responsabile mi confessava piuttosto candidamente di come il libro fosse in “lettura preliminare”
    d. Un editore a pagamento (credo lo stesso citato nell’articolo, visto che adottava la stessa formula “rateale” della serie prima pagare e poi vedere cammello) pretendeva 2.995. Confrotandomi con una persona che aveva accettato non più tardi di due mesi prima… ho scoperto che la cifra era proporzionale al numero di pagine (intendo proprio matematicamente: 100 pagine 100 lire, 200 pagine 200 lire)
    e. L’unico che ha accettato (ma con lungaggini…) la pubblicazione è stato un editore che non conoscevo e cui ho mandato il manoscritto via email

    Mi viene da fare qualche considerazione
    a. Risparmiate sulla carta… quella serve per i libri pubblicati. Provate a cercare gli indirizzi email.
    b. Evitate i grandi editori, a meno che non siate “dell’ambiente”. Semplicemente non funziona.
    c. Evitate l’editoria a pagamento: tanto vale stamparselo da sé oppure pubblicare su lulu.com

    In bocca al lupo a tutti
    PG

    PS preciso che, a detta anche di alcuni miei amici (e non) lettori, il romanzo era tutt’altro che brutto 😉

  14. @ Franca Maria
    La casa editrice che ti ha pubblicato senza chiedere soldi puoi assolutamente citarla. Anzi, DEVI assolutamente citarla giacché si merita tutta la pubblicità positiva di questo mondo.

  15. @ Pierluigi Germano
    Intanto in bocca al lupo! Non so se la casa editrice a cui ti riferisci è la stessa di quella omessa nel post. Credo che certe procedure e certe tariffe siano standard.

  16. @ Gordiano e Sergio
    Le vostre posizioni sono diverse. Quella di Sergio è senz’altro più integralista.
    Vi invito a un ulteriore confronto.

    Sergio scrive: “Gli editori veri. Questi dovrebbero avere l’obbligo di legge di pagare secondo prezzo sindacale (ossia con un min. e un max a pagina di tot battute, in genere 1500) le opere che pubblicano e non dovrebbe in alcun modo incassare una lira dall’autore proprietario intellettuale dell’opera.”

    Gordiano scrive: “Per editore a pagamento intendo quello che chiede 1500 – 3000 euro per stampare un libro e consegnare l’intera tiratura all’autore. Quello che stampa, incassa e se ne infischia. Non classifico editore a pagamento chi fa selezione, sceglie, pubblica cose ritenute interessanti da un comitato di lettura, ma chiede all’autore di impegnarsi per diffondere il suo libro. Un editore che contrattualizza un minimo contributo a fronte anche di un suo impegno editoriale può anche andare bene. Non lo condivido e non lo faccio, ma lo comprendo.”

    Gli altri che ne pensano?

  17. Quando il filone del dibattito sull’editoria a pagamento si esaurirà, ne aprirò altri (quelli già accennati nel post).
    Non mancherò, inoltre, di dare ulteriore spazio a “L’Ancora del Mediterraneo” e a “Cargo” (come del resto ha già fatto egregiamente lo stesso Gordiano). In tal senso cercherò di coinvolgere nel dibattito Stefano De Matteis.

  18. La mia posizione non mi sembrerebbe integralista ma piuttosto europeista, chiara, netta, nonche’ esatta, secondo i canoni di contrattualizzazione esistenti in tutta Europa (eccetto l’Italia) quasi sin dall’epoca Russeau.
    In Europa infatti – dicono da decenni le oneste leggi e anche le oneste consuetudini degli Stati europei in tema anche editoriale – SI DEVE PAGARE CHI LAVORA, NON SI PAGA INVECE CHI NON VIENE ASSUNTO. E UN EDITORE IN EUROPA E’ UN’AZIENDA: SE ASSUME PAGA SENNO’ NON ASSUME E NON PAGA, MA ALMENO NON CHIEDE, SANTO CIELO, SOLDI A CHI NON VUOLE ASSUMERE, AL DISOCCUPATO CULTURALE! (Conseguenza per noi italiani: si resta col manoscritto a casa propria o lo si da’ ad un tipografo. Tipografo, dico, non ”editore”. pREFERISCO COSI’).

    Grazie per l’attenzione e buon dibattito a tutti.

    Buonanotte
    Sergio Sozi

  19. Dal 2001 mando i miei racconti in giro per le Case editrici di tutta Italia e finora sono riuscito a raccogliere una quindicina di lettere di rifiuto (mi sembra che Fitzgerald ne abbia ricevute cosi’ tante, da tappezzarci una stanza, nda) e 4 o 5 offerte di pubblicazione a pagamento, dai “soliti sospetti”. Le cifre che mi hanno chiesto variavano da 1000 a 5000 Euro. Fin qui, tutto quello che sono riuscito a pubblicare (6 poesie e 3 racconti) lo devo – principalmente – alle iniziative dei siti internet http://www.nuoviautori.org e http://www.progettobabele.it, curati rispettivamente da Carlo Trotta e Marco Roberto Capelli, e a qualche concorso letterario serio (alla voce serio leggi senza tassa di lettura e senza nessun obbligo di acquistare l’antologia). Lo so, in 7 anni sembra poco, ma i siti internet offrono la possibilita’ di pubblicare le proprie opere online (ovviamente dopo essere state approvate da un comitato di lettura), e questo tipo di pubblicazione mi permette di capire se i miei racconti piacciono o no. Per fare un esempio concreto, posso dire che una delle mie short story e’ gia’ stata “visitata” da un migliaio di persone e, come scrittore emergente, in questo modo posso avere un’idea di quanto mercato potrebbe avere quello che scrivo.

  20. Intanto un caloroso bentornato a Sergio. E un sincero vattela a prendere nel…a Massimo :-).
    Il sadico Maugeri ha preso il vizio di torturarci con dei post ad ampio spettro, come gli antibiotici. Sembra di avere a che fare con delle tazze bollenti prive di manico che, quindi, non sai mai come afferrare.
    Proverò a buttare lì un’opinione.
    Comprendo le posizioni degli integralisti, ma la mia visione delle cose è un’altra.
    Secondo me bisogna vedere l’entità del contributo richiesto e quale servizio viene offerto in cambio.
    L’imprenditore che pretende una somma (media o alta) e si limita a stampare un centinaio di copie che, poi, abbandona al loro destino, non si chiama editore: si chiama ladro.
    Ci sono invece editori che, a fronte di un contributo ragionevole (diciamo 1.000-1.500 euro?), offrono un servizio in qualche modo “completo”. La stampa di copie finchè c’è richiesta; distribuzione all’autore di un considerevole quantitativo di libri da gestirsi in proprio; promozione pubblicitaria su stampa, internet e in sede di presentazione ben reclamizzata.
    A ciò, l’editore serio, aggiunge la prospettiva (nero su bianco) che se le vendite raggiungono un livello incoraggiante (e per incorraggiante ho sentito parlare di almeno 300 copie), per gli eventuali successivi libri l’autore non spende nulla ma guadagna soltanto.
    Probabilmente questo non è l’Eden ma, almeno a me, sembra meglio che incassare una serie di “le faremo sapere” da grosse case editrici o di case editrici pseudo-intellettuali che si sentono grosse anche se si reggono in piedi solo grazie a qualche romanzo ammiccante tipo “il manuale del perfetto trombatore” o “io, vanessa, tredicenne che la dà a tutti”.

  21. Scusatemi se mi ripeto, ma vorrei porre esplicitamente una domanda gia’ implicitamente posta prima (vedi i miei due interventi precedenti):
    UN EDITORE E’ UN IMPRENDITORE, IN ITALIA, SI’ O NO? e, SE ”SI’, LO E”’, ALLORA CHIEDO ANCHE: AVETE MAI VISTO UN IMPRENDITORE CHE NON HA I SOLDI PER CONDURRE LA PROPRIA ATTIVITA’ MA LI CHIEDE A CHI ASSUME (in questo caso agli autori)?
    Gradirei esclusivamente delle risposte chiare e confacenti a quanto ho espresso prima, altrimenti meglio niente. Grazie.

    Sergio

  22. Enrico, grazie per il bentornato, che contraccambio con un ”ben rivisto qui”, ma purtroppo ho molto da lavorare e potro’ intervenire d’ora in poi molto meno di prima. Con il contagocce.
    Sergio

  23. In estremissima sintesi:
    i tipografi tornino a fare i tipografi e gli editori gli editori, cioe’ i padroni che pagano i loro dipendenti – gli scrittori. Tolto questo principio, resta il caos in cui prolificano pirana e pesecani d’ogni risma.

    ‘Notte a tutti
    Sozi

  24. Visto che Maugeri mi dice che devo citare l’ editore onesto che ha pubblicato il mio libro, lo faccio molto volentieri. E’ Gordiano Lupi che, oltre ad essere onesto, stabilisce con i suoi autori rapporti di amicizia. Lo stesso si può dire per la direttrice della collana “Letture al femminile” Rossella Anelli. Alla prima presentazione del mio libro a Pescara dove vivo. Gordiano venne con tutta la famiglia al seguito. Passammo una bellissima serata a casa mia. Oh, mica lo conoscevo prima! l’ ho conosciuto quando ha deciso di pubblicare il libro di una perfetta sconosciuta. Ciao, Gordiano. Vogliamo fare un’ altra presentazione?
    Franca Maria Bagnoli

  25. Ultimissimo post scriptum, ad integrazione di quanto detto prima: se l’editore non ha il capitale per fare l’editore, potrebbe chiedere dei PICCOLI contributi per la sua azienda agli enti preposti a dare contributi alle aziende ”che non ce la fanno”. Non so quali enti siano (io non sono un imprenditore), ma ne esisteranno di certo, pubblici e di categoria. Ma i soldi chiesti agli assunti… eh… questo e’ medioevo, ragazzi!

  26. C’ha ragione Grego c’ha. In effetti stiamo tutti a sbavare (si fa per dire) per case editrici che poi in realtà coprono le spese con Larissa B. dammela a pesca.
    La cosa bella poi è che appena ci pubblica Mondadori ci sembra tutto bello e iniziamo a tirarcela manco fossimo Gesù. Vorrei sapere che cacchio ce la tiriamo a fare, tanto poi se non vendiamo novecentomila copie ecco che dobbiamo tornare dal Nerio er cariola, noto tipografo di via Ponza.
    La verità è che mai bisogna dimenticare che dietro ogni piccolo successo si nasconde un piccolo uomo sfigato. Alti e bassi. Anche Umberto Eco ogni tanto ha pubblicato con dei cani. e sai perché? Perché il libro precedente non aveva venduto abbastanza. Sembra strano anche lui sia stato messo in castigo, eppure è così.
    Il bello del grande editore è che il tuo libro arriva anche nei negozi di verdura. Il brutto è che non ti si incula più di tanto e ti chiede di scrivere quello che pare a lui.
    Il mio consiglio?
    Trovare un piccolo-medio editore che ti rispetti, che ama come scrivi e non ti dice mai come farlo.
    Eppoi scrivere sempre “di pancia” che se bluffi i lettori se ne accorgono e diventi una sottomarca del Tavor.

  27. L’editore che ci pubblica non può diventare di colpo il miglior editore del mondo. Mi sembra ancora una volta una manifestazione dell’enfasi del sé. Per fortuna l’unico metro è dato dai lettori. Che poi siano consapevoli di ciò che comprano è altra storia. Nessun editore verrà mai a cercarci, forse nessun autore dovrebbe cercare il suo editore. Men che meno pagarlo. L’autore deve esporsi. Lo faccia in un blog o declamando nella metropolitana è sua scelta. Se uno scrittore vale prima o poi verrà apprezzato. Anche cento anni dopo la sua morte. Non importa. Avrà prolungato solo la sua vita, non la sua vanità.

  28. Mi sembra un non senso pubblicare a pagamento. Scrivi un’opera, ci metti tutto te stesso e tutto il tuo tempo e poi, anzichè ritrarne un profitto, anche se modesto, ti devi sobbarcare tutte le spese per editarlo. Non c’è serietà nè da un punto di vista economico, nè morale, perchè non ho un metro di giudizio, non ho chi ha trovato il mio lavoro talmente da interessante da rischiare del denaro (suo) per diffonderlo.
    Io ho un sito abbastanza frequentato e pertanto mi capita, non molte volte in verità, di ricevere qualche proposta di pubblicazione a pagamento. Finiscono inevitabilmente nel cestino, non senza aver prima letto lodi roboanti e le lamentele sui costi e rischi d’impresa che preludono, nella pagina successiva, alla richiesta di un contributo, definito sempre minimo, ma che si aggira almeno sui 2.000 – 2.500 Euro.
    Ovviamente ci sono promesse di pubblicizzare l’opera sui giornali e in televisione e, ciliegina sulla torta, l’immancabile certezza che aderendo il mondo dei lettori potrà così scoprire un grandissimo talento.
    I termini possono variare, ma i contenuti sono sempre simili.
    Per principio ritengo che l’onestà debba essere soprattutto con se stessi e di conseguenza non ho mai pensato di pubblicare a pagamento, perchè mi sarebbe sembrata un’impietosa fuga dalla realtà, una forma di autoconvincimento del proprio valore supportata da nulla, o meglio ottenuta con il denaro.
    Per esperienza personale, riallacciandomi agli interventi di Gordiano Lupi, dico che ho pubblicato con Il Foglio a ottobre una silloge poetica (Canti celtici) e benchè la poesia sia un prodotto più difficile da collocare la casa editrice si è accollata in toto il rischio.
    Questo è sinonimo di serietà e di passione per la cultura. Gordiano Lupi ha creduto nel mio lavoro e per un autore, soprattutto se esordiente, è un fatto di grande importanza, che porta a spronarlo a migliorare e ad attivarsi per rendere visibile, e quindi più facilmente vendibile, la sua opera.
    Io, più che contrario all’editoria a pagamento, sono scettico su chi vi ricorre, per quanto ne possa comprendere le motivazioni e dico sempre che è meglio non essere pubblicati che essere abbindolati.
    Aggiungo che da un punto di vista prettamente economico il proliferare di questi editori a pagamento e la presenza sul mercato delle opere da loro stampate finisce con l’inflazionare il settore, con il risultato che, anche per la qualità quasi sempre modesta dei lavori, si disorienta il potenziale lettore, teso a equiparare gli editori a pagamento alla piccola editoria non a pagamento.

  29. Mai e poi bisognerebbe cedere al plagio dl farsi pubblicare a proprie spese.
    La mia esperienza personale con un editore del sud é stata ottima.
    Ho conosciuto Michele di Salvo sette anni fa, dopo diversi tentativi di pubblicare “El duende” il mio romanzo attraverso case editrici romane con cui ero venuta in contatto.
    Ho mandato via e mail il testo a questo sconosciuto editore e dopo quattro mesi mi ha risposto.
    Ha pubblicato una prima versione del libro nel 2001, e poi un’altra nel 2004.
    Nel frattempo Di Salvo ha anche creato Mangrovie e Name. La prima si occupa di scrittura migrante e si avvale della consulenza di Armando Gnisci per una rilettura demo antropologica.
    Di Salvo in questi anni é cresciuto lavorando molto sugli esordienti.
    Alla fiera di torino di cinque anni insieme a me nello stand c’era un ragazzo intelligentissimo a cui Di Salvo aveva pubblicato un raccolta di racconti fantastici. Era Cristiano Armati ora editor e brillante autore di Newton Compton.
    Chiaro che riguardo alla mia pubblicazione ho dovuto fare tutto da sola, le presentazioni intendo. Ma mai e poi mai mi é stato chiesto un centesimo.
    Dico che per me il sud é terra di veri talenti, poiché ancora l’humus culturale storico non è stato annientato dalla scempiaggine industriale e mediatica del nord.
    Sono però arrivata ala conclusione che se uno é bravo nelle pubbliche relazioni é meglio pubblicarsi da soli che non con un piccolo editore.
    Da soli intendo anche cercando la strada dell’artigianato editoriale, farsi i libri in casa, o utilizzando internet.
    Alberto Casiraghi, si cuce i libri da solo e ora i suoi libretti sono esposti nelle gallerie d’arte in Giappone .
    Le strade elitarie, sono invece più difficili.
    Però non facciamo i santarellini, perché le raccomandazioni, di certi vecchi guru della letteratura servono ancora a certi giovinastri, pieni solo di se stessi.
    Ho lavorato per anni a Rai Educational e preferisco la buona fede di un Di Salvo, a certe conventicole in cui ragazzetti imberbi si atteggiano a geni incompresi.
    Se questi geni si fossero fatti sentire in tempo non saremmo arrivati a questo punto.
    Ma siccome invcece di utilizzare la nostra forza e la nostra capacità di ragionare per il bene altrui, ci siamo solo beati di noi stessi, ci meritiamo la fine che abbiamo fatto.
    E anche il guru, sinceramente poteva fare di più…

  30. Non voglio che questo post diventi un peana in mio onore. Non faccio niente di straordinario, credetemi. Non sono un imprenditore, forse per questo posso farlo. Sono a capo di un’associazione culturale che crede nel lavoro editoriale come passione. Il Foglio Letterario fa del suo meglio per far conoscere i suoi autori, certo, siamo piccoli e fare del nostro meglio spesso non basta. Siamo convinti, però, che ogni libro da noi edito merita considerazione, almeno i libri editi dal 2005 in poi, da quando sono diventato responsabile unico della linea editoriale e ho abolito il contributo minimo. Voglio dire solo una cosa, a favore degli editori imprenditori che chiedono un contributo minimo e si danno da fare. In Italia i libri si vendono poco e se uno deve fare l’imprenditore sui libri di narrativa e poesia di autori sconosciuti è fondamentale chiedere un piccolo aiuto. Altrimenti l’imprenditore fallisce. Noi non siamo un’impresa e ci basta il pareggio di bilancio, ma non è la nostra attività prevalente…

    Gordiano Lupi

  31. Per tornare a CARGO e L’ANCORA DEL MEDITERRANEO.
    Ci hanno fatto conoscere uno scrittore come questo. Scusate se è poco…

    Uno scrittore pericoloso: Reinaldo Arenas
    Reinaldo Arenas nasce ad Holguín (Cuba) il 16 luglio 1943 e muore in esilio negli Stati Uniti il 7 dicembre 1990, a New York. Credo di non sbagliarmi quando dico che è stato uno degli scrittori cubani più importanti del Novecento, anche se in patria può essere letto solo di nascosto. Artista completo, perché fu poeta, romanziere e drammaturgo, ma in Italia lo conosciamo soltanto per lo stupendo Prima che sia notte (Guanda, 2004), autobiografia terminale di un oppositore al regime di Fidel Castro. Tra l’altro Arenas fu inizialmente favorevole alla rivoluzione comunista, credette con fede nell’uomo nuovo profetizzato dalla retorica nazionalistica e si arruolò nelle truppe castriste. Negli anni Sessanta, però, non poteva restare indifferente davanti alle violenze della polizia e alle ondate repressive nei confronti di dissidenti e antisociali. La sua ribellione a Castro gli costò ripetute censure alle opere, molestie fisiche e morali,oltre a periodi di internamento nelle Umap (gulag per antisociali, omosessuali, capelloni, rockettari e affini). Reinaldo Arenas ha scritto e pubblicato molto, ma i romanzi migliori sono Otra vez el mar e El palacio de las blanquísimas mofetas. Si tratta di libri mai tradotti e non reperibili in Italia, ma che si possono trovare in lingua originale sul mercato editoriale spagnolo. Otra vez el mar ha avuto quattro stesure dovute alle vicissitudini del manoscritto, giudicato pericoloso e controrivoluzionario, quindi a lungo ricercato dalla polizia per distruggerlo. Si ricordi il monito di Castro agli intellettuali: “Dentro la Rivoluzione tutto. Fuori dalla Rivoluzione niente!”. La prima volta il dattiloscritto fu distrutto dalla persona a cui Arenas lo aveva affidato. Una seconda volta lo scrittore decise di nasconderlo tra le tegole del tetto, ma la polizia lo trovò e lo distrusse. Arenas si mise all’opera e lo scrisse di nuovo, ma chi lo portò all’estero lo manomise e ne venne fuori un testo irriconoscibile. Arenas non si perse d’animo e completò la stesura definitiva partendo da quello che era riuscito a raccogliere e dai suoi ricordi. In Italia questo romanzo non ha mai trovato un editore e invece sarebbe di fondamentale importanza per capire la sua scrittura e soprattutto la vera natura del socialismo cubano. Arenas ebbe parecchie noie anche a causa di un’omosessualità dichiarata che nel 1973 gli costò diversi periodi di reclusione e l’allontanamento dal lavoro. Non c’era ancora Mariela Castro al governo (figlia di Raul e nota omosessuale) e a Cuba erano tempi molto duri per chi “rifiutava di essere uomo a tutti gli effetti”. Nei campi di lavoro per omosessuali troneggiava la scritta: “Il lavoro vi farà uomini” e su questo argomento si può leggere il bel romanzo verità di Felix Luis Viera dal titolo omonimo (L’Ancora del Mediterraneo, 2006). Arenas venne recluso nella fortezza del Morro e lì fu a lungo torturato (si veda Prima che sia notte), al punto che tentò pure di uccidersi, senza riuscire nell’intento. Le sue opere in patria erano sempre più osteggiate e Arenas riusciva a farle uscire da Cuba grazie a qualche amico che si spacciava per turista. Ci fu anche chi cercò di organizzare una sua fuga all’estero, ma l’operazione non andò a buon fine, e lo scrittore venne condannato ai lavori forzati. Prima che sia notte è la cronaca dolorosa di tutte le frustrazioni e le sofferenze di Arenas, ma soprattutto dei suoi tentativi falliti di fuga da Cuba. Lo scrittore potrà lasciare l’isola solo nel 1980, quando Castro permise un esodo di massa di omosessuali e altre persone non gradite. Non fu facile nemmeno in questo caso, perché lui era uno scrittore pericoloso e non un omosessuale qualsiasi, quindi la polizia cercò di evitarne la partenza con ogni sistema. Arenas fu più scaltro dei suoi aguzzini, cambiò il nome sul passaporto in Arinas e riuscì ad andarsene da Cuba per stabilirsi a New York, dove nel 1987 gli venne diagnosticato l’AIDS. In questo periodo terminò la sua autobiografia, Prima che sia notte, un libro poetico e dolente che dovrebbe essere letto da tutti per capire la realtà del comunismo cubano. Il regista tedesco Julian Schnabel, nel 2000, ne ha tratto un ottimo film intitolato Before night falls, che non tradisce la narrazione disperata dello scrittore, ma non può mantenerne inalterata la poetica letteraria. Arenas cominciò a lavorare al libro a Cuba, sotto la stretta osservanza della polizia, che lo braccava per crimini di pensiero e per omosessualità. Prima che sia notte racconta la sua vita in fuga, le sofferenze, il tempo passato a guardarsi dai nemici che potevano essere ovunque, la prigionia, le torture e le notti insonni. Arenas si suicidò nel 1990 con una overdose di droga e di alcol, lasciò un biglietto con scritto: Vi lascio in eredità tutte le mie paure, ma anche la speranza che presto Cuba sia libera.
    Bibliografia di Reinaldo Arenas
    Celestino antes del alba (1967), El mundo alucinante (1969), Con los ojos cerrados (1972), El palacio de las blanquísimas mofetas (1980), La vieja Rosa (1980), El central (1981), Termina el desfile (1981). Otra vez el mar (1982), Arturo, la estrella más brillante (1984), Cinco obras de teatro bajo el título Persecución (1986), Necesidad de libertad (1986), La Loma del Angel (1987), El portero (1989), Voluntad de vivir manifestándose (1989), Antes que anochezca (1990), da cui è stato tratto il film Before night falls da Julian Schnabel (2000), Viaje a La Habana (1990), Adiós a mamá (de La Habana a Nueva York)(1995).
    In Italia è reperibile soltanto Prima che sia notte (Guanda, 2004 – pp325 euro 8,00 – Le Fenici Tascabili). È uscito in questi giorni per i tipi di Edizioni Socrates (www.edizionisocrates.com) la raccolta di racconti Adiós a mamá (de La Habana a Nueva York), introdotta da Mario Vargas Llosa. Si tratta di un libro da non perdere, che ho già letto in spagnolo, ma che non vedo l’ora di rileggere in italiano per apprezzarne tutta la poetica bellezza. Adiós a mamá è una raccolta di otto racconti in cui l’autore esprime tutta la sua rabbia e la sua disapprovazione nei confronti del regime castrista, ostentando la forza liberatrice della sua omosessualità vissuta con orgoglio e spirito di provocazione. A queste tematiche sono affiancati elementi fantastici e grotteschi che fanno da eco alle migliori pagine della letteratura latinoamericana. Molto bella e calzante la definizione che l’editore italiano dà di Arenas, definito il Pasolini dei Tropici. E’ uscito anche Arturo, la estrella mas brillante, per L’Ancora del Mediterraneo.
    Gordiano Lupi – http://www.infol.it/lupi

  32. Brava Francesca Serra! Condivido. Le conosco pure io certe conventicole di ragazi imberbi che si atteggiano a geni incompresi. Qui non posso fare nomi e cognomi, ma li ho fatti su Quasi quasi e su Nemici miei…

    Gordiano

  33. Innanzitutto apprendo con soddisfazione che vedremo qui Sergio molto poco. Al di là dell’ironia, se questa parca partecipazione è connessa ai suoi impegni di lavoro, ne sono contento.
    Quanto al quesito posto proprio da Sozi, mia pare che Sergio sia un po’ troppo categorico. “L’imprenditore che ti assume”, dici tu.
    E a me questa rappresentazione non mi sembra consona.
    Se io partecipo a una prova come conducente di pullman organizzata da un’azienda che ha bisogno di autisti e vengo assunto, mi pare normale essere retribuito.
    Nel caso in esame, però, abbiamo uno scrittore che ha composto un bel manoscritto.
    Non mi pare che esistano concorsi, stage, seminari, convegni organizzati da case editrici per “assumere” nuovi talenti.
    Ergo, il manoscritto, inizia il consueto pellegrinaggio ottenendo tanti “certo che lo leggeremo, e poi le diremo”.
    Oppure, siccome di solito il manoscritto è pieghevole e si può arrotolare…ci siamo capiti.
    Nessuno ti viene a cercare a casa, insomma. E’ l’autore che cerca l’editore quindi, se la vogliamo fare tragica, diciamo che si spera di trovare quello meno delinquente di altri.
    Se ne trovi uno disponibile, che ti fa una proposta tipo quella (vera) che ho riportato nell’intervento precedente, secondo me se ne può parlare in quanto offre, con un pizzico di fortuna, anche delle prospettive soddisfacenti.
    Un editore “abbastanza importante” del quale ovviamente non faccio il nome, mi confidò: “Noi editori diciamo a tutti che leggiamo qualsiasi manoscritto ci arrivi, ma non è vero. Come si fa? Ne buttiamo tantissimi nel cestino senza manco sfogliarli. Certo, così facendo, magari buttiamo un probabile capolavoro, ma pazienza”.
    “Pazienza” significa che l’editore non perde tempo a leggere i Sozi se ha autori che gli vendono 20.000 copie con “Quando son nei giorni lieti io mi scopo anche i criceti”.
    Di fronte a queste (innumerevoli) realtà, preferisco un editore che, RIPETO, con le modalità esposte nel mio primo intervento, si mostri disponibile.

  34. Io avevo un libro sul web da cinque anni. Potevo scegliere di pubblicarlo a pagamento ma non l’ho mai fatto. In verità non l’avevo neanche mai mandato a nessuno, mi bastava sapere che chi voleva lo poteva leggere dal web. Poi, dopo molte insistenze da parte di qualcuno mi ero quasi decisa e l’ho mandato a due editori online: uno mi ha risposto poco dopo chidendomi di fissare un appuntamento per un colloquio (è nella mia stessa città) ma io non avevo tempo in quel periodo e non andai rimandando l’incontro.
    L’altro, deve ancora valutarlo (fra poco saranno due anni).
    Poi, un amico mi mise in contatto con un editore, proprio del sud, e il mio libro gli piacque subito e infatti l’ha pubblicato.
    Lo so, sembra una favola. Beh… a volte succede 😉

  35. I nomi.
    Eccoli: “esordienti da spennare” di Silvia Ognibene edizioni Terredimezzo.
    Su questo libro ho fatto un’apertura sulla pagina Scritture&Pensieri del Corriere Nazionale da me curata.
    Massimo dovrebbe ricordarla. E naturalmente ci sono anche i nomi riportati nel libro di Silvia.
    Non mancano episodi paradossali.
    Un saluto a Gordiano che é tra i “resistenti”.
    Ciao
    Stefania

  36. Sono in accordo con chi dice che un editore è un piccolo imprenditore. E che tiri fuori le palle pubblicando qualcosa con i suoi soldi… è, del resto, il suo rischio imprenditoriale!
    Ciao,
    Michele

  37. racconto la mia esperienza con le case editrici a pagamento.
    mi fu proposto l’estate scorsa di pubblicare – ovviamente a pagamento- alcuni miei scritti. dovevo cedere all’editore quasi tutti i diritti d’autore ed, oltre alle spese, organizzare lo smistamento delle copie.
    lasciai perdere…
    buon fine settimana a tutti!

  38. – Partendo dal presupposto che quello dell’editoria a pagamento sia un fenomeno da stigmatizzare, ritenete che le colpe principali (ammesso e non concesso che ci siano colpe) siano da imputare all’editore che chiede il contributo o all’autore che paga?

    Rispondo alla domanda di Massimo.
    La colpa non è degli editori ma degli autori.
    Mi spiego i ladri e i truffatori esisteranno sempre, sta nei clienti però non farsi truffare.
    Gli editori ci provano, se poi trovano i coglioni (come li chiama Ettore Bianciardi) che pagano per un non servizio tanto meglio.
    Questi editori esisteranno per sempre, bisogna rassegnarsi, bisogna lottare non per la loro elimininazione (impossibile, chiedere soldi per pubblicare non è illegale) ma per far sapere agli scrittori, soprattutto gli esordiente che esistono anche editori che pubblicano senza chiedere un contributo.

    Gli editori a pagamento (che chiedono un contributo all’autore) sono da condannare a prescindere?

    Secondo me sì perchè sono dei non-imprenditori.
    Ci sono però quelli che chiedono soldi e poi cercano di diffondere e promuovere il libro e quelli (la maggior parte) che si disinteressano dell’opera del malcapitato autore.

  39. Posso citare Quasi quasi faccio anch’io un corso di scrittura e Nemici miei editi da Stampa Alternativa? Sono libri scritti da me dove racconto le cose che non vanno (a mio parere) del mondo editoriale. Da leggere anche Miriam Bendia – Editori a perdere (Stampa Alternativa).
    Sì, sono tra i resistenti, ma per i motivi che ho detto. Non voglio mangiare facendo editoria. Lo faccio per passione. Quando scopro scrittori veri come Sacha Naspini, Vincenzo Trama, Gianfranco Franchi, Frank Solitario, Giacomo Guantini, Riccardo Lestini… (ma ce ne sono molti altri!!!) mi basta questa soddisfazione. Non esistono soltanto i soloni di certa editoria snobistica. Cui siamo pure noi!
    Gordiano Lupi
    http://www.infol.it/lupi

  40. @ Sergio
    Non ho detto che sei un integralista… non fraintendere.
    Ho solo detto che, sul tema su cui stiamo dibattendo, sei (o meglio, mostri di essere) più integralista di Gordiano.
    M va bene così.

  41. @ Stefania Nardini
    Mi ricordo benissimo del pezzo pubblicato su “Scritture&Pensieri”… postalo pure qui, se credi.
    Se lo ritieni invita Silvia Ognibene a partecipare al dibattito.
    Ciao Stefy

  42. (Off topic)
    Parlano di Letteratitudine a pag. 130 del numero di Panorama attualmente in edicola (articolo di Monica Vignale). Più tardi vi riporto alcuni passaggi nella “camera accanto”.
    A dopo!

  43. @Didò: sul mio blog di Luglio, io l’avevo detto!

    9 luglio 2007

    Napoli ha tempi sovietici.

    Una volta i cinesi avevano i tempi lenti, asserendo che noi ragionavamo in minuti, loro in secoli: oggi stanno viaggiando alla velocità della luce e l’unico parallelo lo possiamo fare con l’Urss di Breznev.

    Napoli, questo luogo dell’immaginario mondiale, piccolo, visto dal di dentro, ma enorme come produzione fantastico-immaginaria, se visto fuori dalla Grande Muraglia Napoletana che ci si è costruita in secoli, ha ancora in se tutte le contraddizioni che vi si sono sviluppate, lentamente dal rinascimento. La sua lentezza, che ogni tanto prende delle improvvise velocità (dopoguerra, post-terremoto, Bassolinismo ) per poi rifermarsi, danno l’immagine totale di questo fenomenale patchwork, ed è sotto questa luce che bisogna vedere la “cultura”, che in questa città sembra prodursi a volte per partenogenesi, ma quasi sempre come contenitore vuoto, come i barattoli di “aria di Napoli”.

    Negli anni ’60 sembrava dover diventare il secondo sito italiano di produzione cinematografica. Negli anni settanta uno dei poli europei del rock, con la nascita di quel meraviglioso fenomeno che fu il “Neapolitan Sound “. Oggi, meraviglia delle meraviglie, un fulcro letterario.

    Questo accade stavolta perché l’accumulo delle speranze disattese ha lasciato che si sovrapponessero angosce, come strati di sandwich, nelle coscienze dei post-giovani (perdonatemi),

    ma ora Napoli stà inondando di parole l’Italia, con una produzione letteraria inusitata; la nuova editoria campana è in fermento spasmodico e sembra un ariete: ma cosa sfonda? In classifica ci vanno i libri di “Mondatori”. Mi pongo e rilancio: perché la casa di Segrate ha un nome? O perché i nostri editori sono semplici e disperati tipografi? Non è un limite indagare solo l’universo napoletano? Stasera da Fnac, tra gli scaffali, ho trovato questa nuova ed intelligente operazione di Giovanni Musella del gruppo Kairos: “Sangennoir”. E un progetto che supera di sicuro, per la sua sfrontatezza coraggiosa, i confini campani (all’interno vi è un mio brano, ed è l’unico limite della proposta), eppure, in una libreria napoletana era relegato tra i ripiani del folklore: di chi è la colpa? Come fare per aggirare questo limite di bigottismo commerciale dei librai? Possibile che non si esca dal circolo vizioso dei tre quattro editori sempre in classifica “in alto a sinistra” e poi gli altri”?

    O vi è la “paura di volare” degli editori che frena la nascita auspicata di un polo editoriale, compresa la frammentazione in tanti soggetti? mentre un’aggregazione, un consorzio o che altro potrebbe convogliare le buone firme presenti, in uno o due soggetti editoriali?

  44. La piccola Kairòs Editrice non ha voluto soldi (io non avrei pubblicato mai per soldi, perchè non riesco mai ad avere più di quattro dollari per le mie marlboro e poi se ti pubblicano per soldi potrebbero anche stampare la tua rubrica telefonica), ma io posso credere che l’editore abbia pensato: trenta autori di un’antologia fanno minimo 120 parenti, più qualche amico
    e quelli che vendo a metà prezzo agli autori che per farsi carini li regalano, ci rientro nei costi.

    Poi c’è un’altra storia. Maurizio de Giovanni, amico mio. Vince il premio “Tiro Rapido” Porsche: fulminante, storia deliziosa. Allunga il racconto e ne fa un romanzo, un altro “piccolo” glielo pubblica. Copertina disgustosa, promozione da avanspettacolo. Poi il libro va a finire nelle mani di un buon lettore, il direttore Rai di Napoli, che se ne innamora e telefona a Fandango, questi leggono d’un fiato e comprano i diritti del libro rieditandolo. Oggi “Il senso del dolore” è tra i primi cento e Maurizio ha contratti per altri tre (che ha già pronti) noir in sequel.
    La storia che propongo non da’ nessun contributo al dibattito, ma ne dovrebbe proporre altri.

    Poi c’è “Centoautori”, e faccio il nome di Pietro Valente, farmacista intellettuale, autentico mecenate (quello de “Il Racconto nel cassetto” considerato tra i 3 premi seri italiani), che oltre a non far pagare gli esordienti li paga pure, ecco, un vecchio autentico galantuomo. Ora non vi mettete a spedire manoscritti a valanga perchè Pietro potrebbe prendermi a calci in culo e non pubblicare più le mie future stronzate.

  45. @Gordiano Lupi.
    Confermo la bontà del soggetto (ovemai una mia conferma potrebbe essere d’aiuto alla sua luminosa figura): ha pubblicato lo splendido “Donne in Noir” della mia dolce amica Simonetta Santamaria, la regina del horror italiano.

  46. “…dell’horror…”
    se non mi autocorreggo c’è pericolo che quel ragazzino che si aggira nel sito, e che ha sottoposto a genuflessioni tutti gli autorevoli soggetti del luogo con un “Concorso de’ ‘noantri”, si proponga di farlo lui e con quei quattro soldi che m’avanzano potrei essere costretto a correre a Roma…e tutto il resto “non sarebbe noia”!

  47. Qualcuno conosce ed hai mai avuto esperienze con la Altromondo Editore? Io ebbi con loro un’esperienza quantomeno ambigua, cioè negativa.

  48. @Greg,
    è grappa economica; se mi mandi un po’ di wishky di quelli che ti arrivano in redazione come “presente” dai pubblicisti forse sto meglio.
    Mo te ne vieni con la solfa che gli “abusivi” non stazionano più nelle redazioni, vabbuò, mandami quello che ti arriva dalla Bompiani a Natale.

  49. @Giulio.
    colpa tua bisogna scegliersi i nomi, uno che si chiama Altromondo…insomma, quantomeno ambigui…
    @Greg,
    tientela, il rutilante mondo della monnezza mi aspetta per un ennesimo tour, torno a Midnight, se torno, a Napoli in Mesopotania, non si sa mai.

  50. Stamattina andando a lavoro sentivo alla radio che con 2OO.OOO mila euro ci si puo’ pagare un viaggio insieme agli astronauti della nasa per visitare la luna.Certamente gli scopi di questi viaggi una volta erano purament scientifici,non turistici,ma se uno ha la possibilita’ e vuole fare questa esperienza,perche’ negargliela?Se uno vuole pubblicare e puo’ pagare,perche’ negarglielo.Magari imponiamo agli editori di questo tipo l’obbligo di specificare che sono a pagamento (dell’autore),e imponiamogli degli standard contrattuali a tutela dei dirritti di chi scrive,come un qualsiasi consumatore.Un servizio come un altro in un libero mercato.Gli editori nn a pagamento si assumano invece il rischio d’impresa insieme all’autore,seguendo la logica di mercato,ma eticamente dovrebbero usare i proventi dei libri che piu’ tirano in libreria per poter ammortizzare le perdite di pubblicazioni fatte per sincero convincimento di merito.Anche gli editori avranno una loro deontologia professionale.Oppure gli scrittori potrebbero unirsi in consorzi con i vantaggi vari che ne seguono.
    Che dite,che dovrei farmi io spedire sulla luna?al massimo ci posso provare da autostoppista.:-)

  51. Sono un editore. Piccolo. Che pubblica solo narrativa italiana. E ho una collana per esordienti. Opere prime in cui credo e che ritengo meritino di essere pubblicate. Questa collana conta a oggi otto titoli e in due casi ho chiesto un contributo alle spese sotto forma di acquisto di copie. Volete sapere perché l’ho fatto e perché trovassi un nono manoscritto da pubblicare lo rifarei? Primo, un esordiente vende in media tra il 25 e il 50 % della tiratura – che nel mio caso è sempre di mille copie: è un numero del tutto insufficiente, in quanto il punto di pareggio è individuato per la mia azienda nel 60% ( questo dato è variabile a seconda che l’editing sia interno o esterno e se la c.e. abbia l’ufficio stampa interno o no, e se si occupa della promozione dopo l’uscita o no: nel mio caso l’editing e l’ufficio stampa sono interni e organizziamo presentazioni e partecipazioni ai premi letterari internamente). Secondo, sapete che la filiera distributiva del libro assorbe dal 60 al 65% del prezzo di copertina, vero? Per spiegarmi meglio se un libro di 200 pagine costa 15 euro, all’editore ne vanno 6, lordi. In questi sei devono rientrare l’Iva forfettaria del 4% sul prezzo complessivo ( in questo esempio 0,6 euro), il 7% dei diritti d’autore ( 1,05 euro) che comunque corrispondiamo, la produzione ( circa 3-3,5 euro a seconda delle caratteristiche tecniche della copertina). Dove siamo arrivati? Ah, sì a circa 4,65-5,15 euro di costi. Voi potreste dire: “Ma quanto spendi per stampare un libro!”, al che io vi risponderei:”Ma già è un esordiente, se poi facciamo pure un libro anonimo in libreria come fa ad emergere e a farsi comprare?” ( Per inciso, la progettazione della cover io la faccio fare da un semiologo e una volta su due cambiamo il titolo proposto dall’autore). Pertanto, dovrei pagarmi l’editing, l’ufficio stampa, auto aereo o treno all’autore per le presentazioni, le copie omaggio, il corriere espresso per i destinatari più illustri, ecc. ecc. con 1,35-0,85 euro a copia! Terzo, ma non ultimo, e vi prego di aprire una discussione su questo, l’editore è l’unico che rischia, e quello che guadagna di meno, perchè il mercato editoriale è viziato dal famigerato diritto di resa: ma in quale settore e quale prodotto se non viene venduto viene restituito al produttore e questi restituisce il denaro incassato? Nessuno, se non il libro!! Forse il panettiere restituisce al fornaio il pane invenduto? O il lattaio il latte scaduto alla mucca?Perchè a credere in un testo di un emerito sconosciuto deve essere solo l’editore, e non il libraio per esempio, o il distributore nazionale, o quello regionale, o il distributore della GDO ( che si intasca il massimo dello sconto e non risponde neanche alle tue chiamate!)? Certo che se non conoscete la realtà, viene facile dire che l’editore è quello che ha il rischio d’impresa, ma il rischio si accetta se c’è l’aleatorietà di un guadagno, o quantomeno di vedere le proprie ore di lavoro almeno ripagate al livello di un collaboratore domestico mal pagato: e invece in quasi tutti i casi, con un autore esordiente l’editore ci rimette. In quasi tutti i casi. E come dicono a Napoli “io tengo famiglia”. In conclusione di questo mio amaro sfogo, ribadisco la mia intenzione di far emergere delle voci che altrimenti rimarrebbero nel nulla, ma vi chiedo alla luce di quanto vi ho descritto non è forse giustificato un coinvolgimento dell’autore?

  52. Credo di potermi associare a Renzo Montagnoli, per quel che riguarda Gordiano Lupi, il nostro comune editore che ha pubblicato anche il mio libro di poesie “Fiori e fulmini”.
    Certo ne sono stata felice, pur non avendo pressochè esperienza in questo campo, essendomi limitata negli anni solo a scrivere e a serbare nel famoso cassetto. A dire il vero un tentativo, l’unico, lo avevo fatto proponendo una mia silloge ad un editore di Firenze…signori miei, dopo tutto un panegirico circa gli esordienti e il proprio arduo lavoro di editore, mi proponeva un contratto da capogiro: non dico la cifra ma vi assicuro che, a fronte di altre che leggo scorrendo la rete, era veramente esorbitante.
    Gordiano Lupi a me ha dato una opportunità che mai mi sarei sognata nella vita: un libro di poesie, e sappiamo quanta poca se ne vende, completamente a sue spese, senza nessun obbligo di acquisto ma solo con agevolazioni appropriate per farlo.
    A dir suo è stato un relativo un successo, abbastanza copie vendute e parecchia visibilità per me. Colgo qui l’occasione per ringraziarlo pubblicamente.
    A parte questo, qualcosa di certi costumi editoriali che alcuni di voi amici hanno evidenziato in maniera indubbiamente efficace, le intuisco anch’io, ma è tutto dannatamente difficile! In questo paese dove si legge poco e si scrive moltissimo.
    cari saluti a tutti.

  53. Cristina effettivamente con la poesia sei stata coraggiosa. Parimenti lo è stato il vostro editore, pur a fronte del tuo valore. Il libro, peraltro, è anche stampato in maniera egregia. Credo che Gordiano Lupi, che non ne aveva certo bisogno, qui stia raccogliendo quello che ha finora seminato. Solo consensi.

  54. @eventunico: più che del coraggio di Cristina (sono sicuro che ne ha) il coraggio è stato in toto dell’editore.
    Non voglio incensare più del necessario Gordiano Lupi, ma lui è un editore, in tutti i sensi, mentre chi fa pagare per pubblicare non è un imprenditore. Al massimo posso comprendere chi chiede all’autore l’acquisto di un numero di copie in modo da concorrere alla spesa, ma ripeto comprendere, non giustificare.
    Piuttosto vi è da rilevare che nell’intricato mondo editoriale chi rischia è quello che prende di meno, perchè il libraio e il distributore si prendono un buon 50% del prezzo di copertina e non rischiano, perchè se non vendono restituiscono i libri.
    E’ questa un’altra stortura del sistema, perchè nella pressochè totalità delle attività imprenditoriali l’industriale vende il suo prodotto e che poi questo venga rivenduto o meno il suo incasso l’ha fatto.
    Invece, nell’editoria il rischio rimane sempre in capo al produttore originario, il che è una spada di Damoche, soprattutto per un piccolo editore, che non ha forza e volumi tali per determinare il mercato.

  55. Renzo, perdonami ma credo che il prodotto libro sia il frutto di due spiriti: quello dell’autore e quello dell’editore. Comunque includere nel coraggio qualcuno non significa dividerlo giacchè non è una grandezza quantificabile.
    Mi piace pensare che il mercato editoriale sia paragonabile a quello della tecnologia, ovvero che l’offerta crea la domanda (in economia legge di Say). Tuttavia il marketing modifica queste leggi ed il marketing è azione per chi ha le spalle larghe.

  56. Ho pubblicato a pagamento.
    Non credo però di essere un ambizioso che vuole il nome sulla copertina di un libro. Sono soltanto qualcuno che non ha contatti che vive in una piccola dimensione provinciale, e non ha ancora scritto il libro della sua vita ?
    Basta questo a condannarmi al silenzio ? E quali altre strade ha un esordiente se non quella di bivaccare sotto la casa di qualche Grande Scrittore per riuscire a far leggere il proprio manoscritto ?
    Siamo in Italia, anche per quanto riguarda l’editoria.

  57. Evidentemente io ragiono in maniera europea e tu in altro modo, Enrico. Perche’ in tutta Europa (tranne che in Italia) la gente reputa ovvio che un editore sia un imprenditore come tutti gli altri ma in piu’ in possesso di un alto livello culturale personale. Cio’ non toglie che paghi la gente a cui da’ lavoro (autori) e che gli porta soldi (copie vendute). E poi che c’entrano i concorsi, gli stage? Che, se tu fai domanda di assunzione a un’azienda vuol dire che dopo l’azienda deve farti lavorare gratis? E infatti e’ cosi’: l’autore manda il dattiloscritto ad un editore (domanda d’assunzione implicita) per esser pubblicato (assunzionzione). Ovvio, mi sembra. Lui ti deve pagare l’opera che gli dai, lui poi la pubblica e la vende per guadagnarci e viverci. Come l’autore. Cosa c’e’ di tanto ”rivoluzionario” in questo? Tutti i Paesi europei funzionano cosi’. Tranne quelli sottosviluppati e mafiosi.
    Sergio

  58. Piccola domanda per tutti:
    UN EDITORE E’ UN IMPRENDITORE, IN ITALIA, SI’ O NO? e, SE ”SI’, LO E”’, ALLORA CHIEDO ANCHE: AVETE MAI VISTO UN IMPRENDITORE CHE NON HA I SOLDI PER CONDURRE LA PROPRIA ATTIVITA’ MA LI CHIEDE A CHI ASSUME (in questo caso agli autori)?
    Franche risposte, grazie. Cosi’ cambiero’ opinione su cosa dovrebbe essere un imprenditore.
    Sozi

  59. Sergio hai perfettamente ragione. L’imprenditore ha bisogno del capitale per iniziare l’impresa, per comprare i locali, insomma per la produzione e in questo vengono ricompresi anche i dipendenti. Ora non si è mai visto il caso di dipendenti che danno loro il capitale all’imprenditore, perchè è ovvio che in tal caso non solo prestano l’opera, per cui devono essere retribuiti, ma forniscono anche il capitale, di fatto spossessando l’imprenditore della sua qualifica.
    Hai perfettamente ragione; è così semplice, ma cozza contro una delle stranezze umane: costi quel che costi emergere dall’anonimato.

  60. Sergio, ti dò perfettamente ragione. Ma la natura umana essendo quella che è – Miss Marple…
    Molti non resistono alla tentazione di vedersi pubblicare un libro. Vanità, tentativo di affermazione… Io finora ho resistito, ma la perseveranza è una delle virtù più difficili.
    Scrivo da quando avevo nove anni poesie in italiano e dialetto siciliano, racconti e ora – spero che vedano la luce – romanzi. Ho vinto diversi premi letterari, qualcosina di mio gira su varie antologie, un mio racconto è finito su “La Gazzetta del Mezzogiorno”… ma le opere letterarie sono come i figli. Li partorisci, li cresci, li fai studiare… e poi? Cerchi loro la raccomandazione per farli lavorare – editore a pagamento –
    o vuoi per loro un altro destino? Bamboccioni a vita nel tuo cassetto?
    Spero di no. Ma sono molto confusa.

  61. Vi ringrazio per i nuovi commenti giunti.
    Molto interessante il commento di Bibliofilo che, in ogni caso, mette in luce le difficoltà con cui deve comunque confrontarsi un piccolo editore (a prescindere dal fatto che chieda il contributo all’autore oppure no).
    Aggiungo un ulteriore spunto per il dibattito… nulla di nuovo in verità, perché ne abbiamo già discusso altre volte.
    Rispetto a qualche anno fa un esordiente ha qualche mezzo in più per farsi leggere a costo zero. Per semplicità diciamo che ne ha almeno due:
    a) aprire un sito o un blog gratuito (molti lo fanno) e inserire i propri testi lì, per poi farli circolare
    b) utilizzare canali come Lulu che consentono di vedere la propria opera anche in forma cartacea (praticamente a costo zero… o meglio, chi desidera avere una copia dell’opera in cartaceo paga il prezzo della singola copia).
    Ora, secondo voi, perché un esordiente, anziché utilizzare uno o entrambi dei suddetti canali sceglie di affidarsi a un editore “a pagamento” (soprattutto quando codesto editore non gode di un vero canale distributivo e promozionale)?

  62. Meglio far riposare nel cassetto un manoscritto per decenni che darlo a chi non fa altro che procurargli falsi allori (i libri a pagamento di solito non fanno storia e neanche raccomandazione, almeno oggi. Sono libri morti come se stessero ancora nel cassetto).
    Insomma noi dobbiamo cambiare questa anomala situazione italiana. O tutti continueremo ad esserne scontenti – eccetto gli squali-editori ovvero i ”tipografi sotto mentite spoglie”. Pertanto servono dei provvedimenti di legge, a mio avviso. Dunque, se avrete la pazienza di leggerlo, riporto qua sotto la mia analisi di qualche intervento fa. Ditemi la vostra. Non sono chiacchiere da bar:
    ”Il fenomeno dell’editoria ”a pagamento” (ha anche una propria sigla di definizione: ”editoria a.p.s.” – A Proprie Spese) e’ secondo me deleterio tout court, pero’, come tutto cio’ che di affinemente controproducente avviene nel mondo, essa si basa su delle cause concrete, che secondo me sono le seguenti (iniziero’ ab origine, seppur sinteticamente, se no serve a poco chiacchierare):
    1) Il malfunzionamento del Sistema Scolastico Nazionale Italiano, che non riesce a far capire chiaramente agli studenti quando hanno le qualita’ per tentare una via letteraria e quando invece devono prendere altre strade;
    2) La chiusura degli editori seri nei confronti delle opere letterarie diverse dalle mode imperanti del momento. Lo sottolinea anche Ferdinando Camon: l’imprenditore-editore vuole solo vendere e dunque sta nella moda attuale, lo scrittore bravo (solo quello bravo) invece va oltre la moda. A rimetterci e’ sempre l’autore ”diverso”. E la Storia della Letteratura Italiana di oggi e del futuro, certo.
    3) L’aspetto legislativo – semplice, come tutte le cose che appaiono complesse, e complesso come quelle che sembrano semplici. Se si riuscisse in primis a distinguere legislativamente le ”aziende editoriali” (che sono le serie) dalle aziende di ‘’servizi editoriali” (ovvero quelle a pagamento), sarebbe un passo in avanti, perche’ cosi’ si potrebbe fare una legge quadro ad hoc che includerebbe gli editori disonesti nel quadro dei semplici tipografi (cos’altro sono in realta’?) e gli editori seri fra appunto gli editori veri e propri. Cio’ servirebbe a varare due provvedimenti collegati: A) una legge che definisca i servizi che i tipografi possono fare, a pagamento ovviamente; una legge che percio’ dica: il tipografo puo’ realizzare un libro ma non puo’ sceglierlo per motivi d’ordine intellettuale, ne’ distribuirlo e neanche pubblicizzarlo in alcun modo. E’ un tipografo. Punto. B) Gli editori veri. Questi dovrebbero avere l’obbligo di legge di pagare secondo prezzo sindacale (ossia con un min. e un max a pagina di tot battute, in genere 1500) le opere che pubblicano e non dovrebbe in alcun modo incassare una lira dall’autore proprietario intellettuale dell’opera. Stessa legge da adottare (e’ piu’ facile) anche per le testate editoriali. Insomma: chi fa l’editore DEVE pagare gli editori o rischia l’incriminazione per lavoro nero. Cancellazione della parola GRATIS dal vocabolario dell’editoria italiana di ogni tipo e genere. Ricevute alla mano della Guardia di Finanza. Controlli. Multe colossali.
    Se, poi, le cose cambieranno, io non lo so. Forse gli editori seri comanderanno ancora di piu’, con arbitrio totale e scelte ingiuste. Pero’ sara’ meglio cosi’ che dare soldi agli pseudo-editori. Diamoli eventualmente ai tipografi.”
    Sergio Sozi

  63. Ho avuto modo di contattare Stefano De Matteis. Appena esaurito il filone di dibattito incentrato sull’editoria a pagamento cercherò di coinvolgerlo in relazione agli altri temi accennati.
    Buona domenica a tutti!
    Massimo

  64. Caspita, Sergio! Abbiamo spaccato il minuto. I nostri due ultimi commenti sono stati pubblicati a mezzanotte esatta. Nemmeno a farlo apposta.
    Ti risponderò domani.
    Buonanotte a te.

  65. Massimo, va bene, queste sono cosette utili in piu’ ma che non danno una lira a nessuno; cio’ quindi, purtroppo, non sposta di un millimetro il centro della discussione – almeno il centro che ho io in testa: PER QUALE CACCHIO DI MOTIVO UN EDITORE DEVE PERMETTERSI DI NON PAGARE UNO SCRITTORE? L’EDITORE LAVORA E MANGIA SULL’AUTORE, QUINDI PERCHE’ NON SOLO NON LO PAGA, MA ADDIRITTURA LO FA PAGARE?
    (Scusatemi per il maiuscolo: e’ autentica rabbia moralistica. Io sono un moralista, lo sapete bene.).
    Sergio Sozi

  66. Pensateci, gente:
    se esistesse una legge come quella che ho accennato io poco sopra, tutto quel che noi pubblichiamo (NOI: questo e’ un blog dove quasi tutti hanno pubblicato qualcosa, vero?) ci avrebbe fruttato qualche soldo. MAGARI ANCHE DIVERSI SOLDI. E invece di dover fare i miserelli che fanno altri lavori potremmo pensare di guadagnare con le collaborazioni giornalistiche ed editoriali varie. Parlo seriamente, che anche gli scrittori hanno una pancia e una famiglia. E se sono scrittori veri (che studiano la lingua, leggono e lavorano sulla Letteratura non per gioco o per vanita’) masticano male a dover fare altri lavori per campare.
    Lo scrittore o articolista… eccetera… IN BREVE: CHI PUBBLICA QUALCOSA DEVE SEMPRE ESSERE PAGATO ANCHE IN ITALIA. STOP. Altrimenti cominciamo a dire che anche un alimentarista dovrebbe darci gratis un etto di mortadella: avete mai osato chiederglielo? Io no.

  67. Sono da sempre appassionata lettrice e scrittrice di poesia. Nonostante qualche lirica pubblicata gratuitamente su alcune antologie, debbo ammettere che la mia prima vera raccolta me la sono pagata. Anzi a essere sincera mi fu pagata da mio padre, il quale voleva farmi un regalo per una occasione importante e io gli chiesi proprio quello. Ma non fu per vanità: desideravo che le mie parole arrivassero ad una persona e così successe. I libri, poi, li ho regalati tutti e ci sono persone che si ricordano di me e ancora mi ringraziano.
    A parecchi anni di distanza, con l’avvento del computer, mi è capitato di scrivere presso un Laboratorio di Scrittura su web. Avere la possibilità di leggere e di essere a mia volta letta e comunicare con tantissimi amici di penna, è stato per un avvenimento, oltre che divertente, enormemente stimolante e proficuo. Vari miei racconti brevi sono stati pubblicati su cartaceo su diverse antologie di autori vari e, recentissimamente, anche una mia nuova silloge di poesie, lavori tutti selezionati e scelti dal comitato di una piccola casa editrice, che non ha chiesto nessun compenso, ma solo la disponibilità degli autori ad allestire presentazioni.
    Anche se non mi sono mai pentita della prima scelta, ma capisco essere stata la mia l’eccezione che conferma la regola, questa volta la gratificazione che provo è veramente grande e diversa, così come la riconoscenza verso l’editore e l’entusiasmo di cercare di migliorarmi sempre più e di saggiare anche altri campi come la prosa.
    Altro materiale che tengo ancora nei cassetti, e vorrei riordinare solo per mia soddisfazione, quello certo preferirei consegnarlo a un tipografo. Ma per curiosità, quanto può costare un tipografo?
    Un grazie a chi vorrà risapondermi e cari saluti a tutti.
    Cyprea

  68. “…le opere letterarie sono come i figli. Li partorisci, li cresci, li fai studiare… e poi? Cerchi loro la raccomandazione per farli lavorare – editore a pagamento –
    o vuoi per loro un altro destino? Bamboccioni a vita nel tuo cassetto?
    Spero di no. Ma sono molto confusa.”

    Maria Lucia credo esista anche la terza via, tanto per i figli quanto per i libri, ma bisogna che noi per primi la accettiamo. Perchè, chiedo, perchè i figli DEVONO studiare (qui si parla di università evidentemente) anche se non sono portati ? Quindi perchè DEVONO trovare un lavoro anche a costo di una raccomandazione ? Per favore non vorrei leggere la risposta “perchè tutti lo fanno”.
    Dunque, venendo ai libri, che sono si figli. Perchè DEVONO

  69. essere pubblicati ? (scusate mi è partito un invio…)

    Non credi si faccia del bene ad entrambi lasciando che trovino da soli la propria strada ?
    I figli dovranno cercarsi un lavoro meno “di concetto” (un tempo si diceva così) ed i libri andare sulle strade indicate da Massimo (sito web, Lulu, ecc.).

  70. Grazie per la stima. Fa piacere che qualcuno ne abbia per le cose che faccio. Sono piccole cose in realtà, ma fatte con passione. Condivido le cose che dice Sergio Sozi, ma siamo in Italia. MI pare di aver già detto che per un intervento radiofonico su Cuba (fatto da casa mia) la Radio Svizzera mi ha bonificato circa 100 euro sul mio conto. In Italia scrivo articolo su un sacco di riviste e soltanto il 10 per cneto mi paga (poco). Non solo. Sono andato spesso in TV, Radio, altri media italiani. Non mi hanno mai dato una lira. Al massimo il rimborso spese. Pubblico libri da anni. Non ho mai visto una lira di anticipo. Solo i diritti al 6 – 8 per cento, dopo il venduto. E non da tutti! Editori come Profondo Rosso non pagano. Scrivo solo per passione. Non è un mondo facile..
    Gordiano Lupi

  71. A proposito di figli e relativo prendersene cura, sono del parere di eventounico, infatti perchè mai si dovrebbe pretendere che un figlio che strimpella il pianoforte dia concerti e venga appezzato quanto un Kissin. Ed è anche vero che in rete ormai si trova di tutto , ciofeche e splendori, ed io sono sicura, che questo mezzo metta in evidenza, prima o poi chi lo merita. Sempre a titolo personale, devo dire che a me l’opportunità si è presentata proprio attraverso questo strumento meraviglioso, sotto la forma dell’interessamente alle mie poesie di qualcuno che allora nemmeno conoscevo, Renzo Montagnoli, che mi ha scovata in un sito in cui avevo appena comuinciato a pubblicare le mie poesie. A lui devo riconoscere, oltre alle qualità che possiede come narraratore recensore e poeta, anche una grande generosità. E’ stato lui che mi ha proposto al direttore della sezione poesia de “Il foglio”, ed è stato ancora lui a prendersi cura della promozione del mio libro con il suo e laddove io fisicamente non ho potuto presenziare, lo ha fatto ancora lui per me. con questo puà darsi che mi stia vantando di meriti che non ho, però se così fosse dovrei pensare anche che tutti coloro che hanno creduto in me abbiano preso una cantonata. Comunque resta il fatto che questa invenzione è una gran bella cosa. non posso che concordare con la tua tesi, evento.

  72. Si anche io sono molto d’accordo con Lupi e con francesca serra. Ciao francesca:))
    Alcune considerazioni sparse:
    1) non vedo come la legge possa incidere su tutto ciò, e per quello che so io, oramai anche la grossa editoria subappalta a una serie di singole agenzie editoriali le varie fasi di montaggio nella preparazione di un libro. La distinzione che fa Sergio tra editoria e servizi editoriali non è in realtà così netta sotto il profilo pratico. Ciao Sergio:)) (mi serve uno con cui essere sistematicamente in disaccordo:)))
    2) Non vedo neanche alcuna responsabilità delle istituzioni scolastiche nella proliferazione di sedicenti scrittori: MAGARIIII, capisco che qui è un consesso di narcisi e dirò una cosa antipatica, ma scrivere fa bene all’anima scrivere fa bene a tutti, e se tutti scrivessero un po’ ne guadagnerebbero in igene personale, e salute persino fisica. Ciò non succede, proprio per la scarsa considerazione che ha la scuola italiana per la scrittura come creazione. e per la lettura come passione,
    3)pubblicare un libro costa molto, e l’editoria non fa beneficienza. O megio inrealtà la fa ma per se stessa: le case editrici sopravvivono se sono il fiore all’occhiello del vestito di un grosso industriale, se no sono il lusso e la passione di qualche manipolo di pazzi. Non è comunque in questo paese, una florida industria. Con i libri qui non si fanno palate di quattrini. Non vedo perchè io editore devo scommettere su qualcosa che per esperienza so che non venderà. Oppure non vedo perchè devo investire su un prodotto in cui non credo.
    4) posso decidere di fornire manovalanza a un prodotto editoriale in cui non credo, e in tal caso la lo sponsorizza l’autore. In pratica si tratta di una partita in cui c’è in gioco la scommessa su un talento. Ma si tratta di una scommessa paradossale perchè l’editore ci deve mettere un capitale e l’autore non lo deve mettere affatto. se l’editore mette i soldi, scommette sul libro. se l’autore mette i soldi, scommette sui soldi.
    5) Quindi in sintesi, non si può dare colpa al mercato se noi come autori non abbiamo le palle o magari il talento, o magari il semplice essere adatto ai tempi che corrono, per scommettere su quello che scriviamo.
    6) Io ho un pacco di racconti da far avere alle case editrici. Vengo qui e vi spio. decido che li invierò a tutte, e decido che non alzerò manco cinque lire per pubblicarli. Non li pubblicherà nessuno, ma il mio amor proprio ne avrà tratto beneficio.

  73. @zauberei: sono completamente d’accordo. Scrivere fa bene a chi lo fa, lo diverte, lo fa sentire meglio. Se non riesce a pubblicare (non a pagamento), metta le sue opere su Internet e avrà senz’altro più lettori di quanti non ne possa avere con un volume per cui ha dovuto sborsare 4-5.000 Euro.

    @cristina bove: non ho fatto nulla di particolare; se è mia opinione che un autore meriti, faccio quel che posso per farlo pubblicare e anche quello che avviene dopo è frutto solo della mia convinzione sull’esattezza del mio giudizio.

    Da ultimo, io non so se avrò ancora occasione di pubblicare, ma di certo continuerò a scrivere e senza mettere il tutto in un cassetto, perchè invece finirà su Internet, sul mio sito e sul mio blog.

  74. Io continuo a pensare che Sergio abbia ragione da vendere…in linea teorica.
    In pratica, però, non credo che il rapporto tra editore e autore sia assimilabile in toto a quello tra imprenditore e dipendente. Se così fosse, se la natura del contratto fosse quella tipica di una fattispecie lavorativa, allora potrebbe anche avvenire che l’editore chieda allo scrittore “fammi un libro sull’andropausa dell’ornitorinco”. Se l’autore si rifiuta dicendo, per esempio, “ma io so scrivere le avventure di euterpe santonastasio”, allora si configurerebbe anche la risoluzione del contratto per mancata prestazione d’opera.
    Ma i contratti tra editore e scrittore non hanno questa natura e non hanno questi vincoli. Sono particolari, così come particolare è la natura del contesto.

  75. Conoscendo da tempo la mia poetica, un noto e valido critico letterario napoletano, il 23 Nov. “2007, in qualità di Direttore di una nuova collana poetica ” Le parole della Sybilla”,della Casa Editrice Kairos, mi aveva invitato ad inviare una silloge inedita per l’eventuale pubblicazione. Sapendo dell’autorevolezza e stimata serietà del critico, ero tentata di aderire all’invito. Tuttavia prima gli ho scritto, per sapere se a mio carico ci fossero eventuali spese.Ecco la sua risposta:-” Grazie mille per il messaggio- Purtroppo la poesia non si vende e l’editore è costretto a richiedere un contributo per la stampa dei singoli volumi. Io non mi interesso della parte amministrativa per ovvi motivi di serietà, ma credo che per un volume di 70 pagine occorrono circa mille e cinquecento euro….Mi sento mortificato nello scrivere queste particolarità, ma la realtà è questa! Mille auguri di buon lavoro. ( segue la firma)
    Gentile Francesco.Di Domenico, per la Kairos, (Editrice che non conosco forse è di recente istituzione?), come sempre ci sono figli e figliastri……
    o forse mi sbaglio? Ai più esperti vorrei chiedere come fa un autore a controllare quanti suoi volumi sono venduti su internet per il minimo margine pecuniario che gli spetta? Avevo ringraziato per i suo incoraggiamento F.M. Rigo nel precedente blog, così pure Carlo S dicendo già un mio breve pensiero sull’editoria, ma arrivo sempre ultima e vi prego di scusarmi. Ed ora una battuttina relativa a quanto sopra:-
    ” La differenza più importante fra la poesia e qualunque ramo dell’editoria è che, mentre con gli altri generi quello che vuoi è fare più soldi possibile, con la poesia cerchi di perdere il meno possibile!”T.S.Eliot
    Sarebbe meglio darsi all’ippica….Felice domenica a tutti.
    M. Teresa

  76. @Sergio ben tornato alla grande…, ci sei mancato! @ Silvia Leonardi, non ricordo la casa Editrice del tuo volume “Allo Specchio” sulla copertina non sono riuscita a leggerla, ti prego di farmelo sapere anche per e-mail. Grazie
    e mi scuso. M. Teresa

  77. Ciao zauberei, (gran bella testa e gran bel talento nella sua origiinalità)
    Dopo aver letto tutti i commenti e continuando a riflettere, credo che abbia ragione Massimo di tenere in considerazione Lulu ed Internet.
    Io con le grandi case editrici non ci provo più.
    Anche con le medie…
    L’ultimo a cui ho mandato il manosocritto, Marcello Baraghini, mi ha risposto dopo tre giorni che lo aveva ricevuto.
    Mi ha insultata e ha detto che quello che volevo dire lo hanno già detto grandi poeti e scienziati e che la mia vita banale non interessa a nessuno.
    Si cono rimasta male lo ammetto. Ma Baraghini ha ragione, ormai c’é ben poco da dire.
    Però quello che ho da dire, lo voglio continuare a dire;
    Pensate che, Baraghini continua a starmi simpatico…
    Lavoro con molta umiltà ma vado avanti per la mia strada.
    Non mi interessano le grandi case editrici, mi interessa il contatto con le persone.
    Per questo preferisco i seminari, le conferenze e le bancarelle ai grandi circuiti di distribuzione.
    Per me la scrittura é artigianato puro.
    Saluti tutti i compagni di questo sciagurato viaggio nell’ossessione della scrittura e adesso me ne vado al cinema…a vedere un film per bambini…
    Dimenticavo scrivo fra una cacca e un’altra di mio figlio e le pappe sul fuoco. Scrivo sull’autubus, sulla metropolitana, nelle regie abbandonate del Nomentano, sulla tazza del water e alle cinque di mattina in cucina dopo aver messo in forno il polpettone.
    Figurati se posso stare dietro agli AKKULTURATI.

  78. franceschissima grazie de sti complimenti immeritati!
    Io devo solo fare qualcosa ed uscire da questo immobilismo vigliacco. Però il passaggio dall’editoria, il mio bravo battesimo nelle speranze infrante ce lo devo fa. E si vedrà poi.

  79. zauberei, sei sempre nelle mie corde…
    e francesca serra un grande e meritato in bocca al lupo!
    🙂
    domani, se riesco a vincere la mia proverbiale timidezza mista all’ansia del rifiuto, spedirò un racconto ad un concorso letterario (dove non spero di vincere il premio ma almeno di essere letta e valutata!)…
    non so se in tal modo si apriranno le porte dell’editoria, ma tentare non nuoce.
    per rispondere a massimo maugeri: sì internet per il momento è l’unico mezzo con il quale pubblico…e secondo me un blog ha sia pregi che difetti: del blog mi stimola soprattutto la contemporaneità della lettura e dei commenti (si crea un dialogo molto costruttivo con chi ti legge), però spesso tendo a sintetizzare troppo con i post e un po’ mi dispiace.
    spero di non essere uscita fuori tema…
    buona serata a tutti!

  80. arrivo tardi, mannaggia! però voglio dire la mia
    1)non tutti i piccoli editori sono sciacalli, il mio per es. non lo è; e proprio per differenziarsi dalla massa (italiana, tutta, non solo del sud) scrive sui risvolti che non ha chiesto contributo all’autore.
    2) c’è chi non chiede contributi ma indirizza ciò che non intende pubblicare agli amici che li chiedono (eh, già…)
    3)Ci sono case che si vantano di non chiedere contributi ma ti chiedono di acquistare cento copie!
    Ciò che dico è vissuto sulla mia pelle e ho le mail, ben conservate, che lo dimostrano. Insomma, le cose non sono spesso come sembrano. Riguardo al resto: ho trovato ben tre editori che non mi hanno chiesto soldi né copie e con quelli ho pubblicato e faccio volentieri i nomi: GBM-Mesogea, siciliana;Delos, milanese; Traccediverse, vecchia gestione, prima del 2006, torinese ora napoletana. Degli altri non farò nomi… è meglio.

  81. propongo una società: U S B

    Unione
    Scrittori
    Bancarellari

    ovvero ognuno si fa il libro da sé, e oggi con il digitale o picccole tipografie oneste é possibile e poi ci si riunisce in mercati, fiere, rassegne.

    Svincolati dagli editori e magari ci si guadagna anche un po’

    Quando sono uscita di casa, ho trovato vicino alla spazzatura una busta piena di libri della mondadori. Erano quasi tutti di questi comici che vanno alla grande; qualcuno li ha comprati, leggiucchiati e buttati.
    Volete fare quella fine?

    Meglio farsi scoprire per vie magiche, meglio farsi scegliere, per lasciare veramente qualcosa.

    Rivolgo la domanda a Massimo e a Gordiano, ha senso oggi l’ossessione per l’editore?

    Silvano Agosti , si pubblica da solo e vende anche 30.000 copie di ogni libro, ne ha mai parlato qualcuno?

    Credete che essere pubblicati da Stile Libero ed essere acclamati dalla critica vi farà raggiungere il vero scopo per cui si scrive?

    Se non é narcisismo, é condivisione. Bisogna mettere a fuoco la vera motivazione.
    Stanare il prossimo con altre storie, occuparci del nostro futuro.
    Se dobbiamo raccontare l’amore che sia quello che trasformi il mondo, e non il gira e rigira del proprio ombelico.

    Gli scrittori scendono in piazza, mi sembra un inizio.
    Non me frega niente dei media. Riprendiamoci la strada.

  82. @ Francesca Serra. E’ incredibile che un editore ti abbia detto che scrivi di cose risapute, avresti dovuto strangolarlo con un pannolino di tuo figlio. Forse il signore di cui sopra non sa che sono duemila anni almeno che si scrive di cose risapute. Le trame dei libri sono in tutto sette e sono già state scritte all’epoca dell’antica Gracia, be’ è allora?
    Cara Francesca, sono felice che tu abbia deciso di non mollare, anche perché gli editori, specialmente quelli importanti, nove volte su dieci si sbagliano e quando credono di non farlo pubblicano Moccia.
    Eppoi tu sei così simpatica, ma come fanno a non capirlo?
    Bah, potresti spedire alla feltrinelli il suddetto pannolino, con una nota: la scrittura dipende dai di punti di vista.
    Baci.
    🙂

  83. Ciao a tutti e grazie per il bentornato a Dido’, Grego’ e alla sig.ra Scibona, grazie per la condivisione a Lupi.
    Io comunque credo che sia meglio cercare di ottenere per l’Italia le stesse condizioni di pubblicazione degli altri Paesi europei – soprattutto i piu’ avanzati come l’Austria, la Svizzera, la Francia e la Germania. Scendere in piazza serve a poco. Lottiamo tramite i media e con i contatti personali per ottenere delle tutele di legge, come ho proposto prima. Leggi europee e non chiacchiere. Soldi agli artisti. Basta col sottosviluppo terzomondista del Belpaese. Chi pubblica sia pagato oppure rifiutato. Una legge che obblighi qualsiasi societa’ editoriale a pagare TUTTO quel che pubblicano e’ cosa fattibile. Facciamola. Proponiamola. Uniti.
    Sergio Sozi

  84. P.S.
    Perche’ e’ meglio lottare per professionalizzarsi che per apparire su di un libro qualsiasi che non sara’ letto mai da nessuno. Avere come meta un contratto remunerativo stimola molto la fantasia scrittoria, da’ sicurezza, spinge a migliorarsi. Lavoro e non chiacchiere.

  85. Grego’:
    quel che dici tu e’ vero SOLO in Italia. Non ti sembra un po’ strano? Sara’ mica che qui le leggi lascino campo libero ai furfanti? E che noi siamo rei di non proporre delle alternative?

  86. Non ha senso l’ossessione per l’editore. Ve lo dice uno che l’ha avuto quando non lo pubblicava nessuno. Adesso esco con 3 libri all’anno (nel 2007 nemmeno uno, solo una traduzione, ma perchè ho voluto così) e mi chiedo chi me lo fa fare, a cosa serve. Mi rispondo perchè mi diverte. Ecco, fino a quando mi divertirà lo farò. Dopo smetto. Tanto resterò sempre a un passo dai campioni, come dice uno più bravo di me.

    Gordiano Lupi

  87. Mi mi si é bruciato il pollo sul fuoco, per stare dietro ai vostri discorsi.
    Ho avuto diversi contatti con la Spagna e con il Centro Ameica: é esattamente la stessa cosa. Non ti si filano se non provieni da grosse case editrici. Uno scrittore bravo, che in Italia é stato pubblicato da una buona casa editrice, lo hanno tradotto solo dopo aver visto le fatture delle 20000copie vendute.
    Uno potrebbe falsificare le fatture, basta trovare un “sola” di Torpiganattara (famoso quartiere romano). Modificare i giornali con il copia e incolla e sostiture il proprio nome a quello di Moccia e poi tentar foruna all’estero, con qualche pollo di editor meno scaltro.
    Altre vie non ne vedo.
    O forse poi ci sono le “fortunelle” quelle che dicono”non conoscevo nessuno e mi é arrivata la telefonata dell’editore”, insomma sono quelle cadute dalle nuvole. Mi sa che sono loro che ci pisciano sulla teste.
    In Germania e in Francia sono ancora più duri di noi. Alla fine qui c’é posto per tutti lì non ne sono sicura
    Vado a lavare i piatti. Ma come fa la Mazzantini, a scrivere, cucinare, avere successo, con quattro figli e un cane e un marito?
    Volevo solo dirvi che mio papà era un contrabbandiere del Mandrione.
    Mi resta solo la bancarella e le copie ciclostilate.
    Vado per la terza volta a pulire la cacca del bambino. Sono una fanatica della macriobiotica ed é cresciuto a lenticchie e miglio…

  88. 1) Marcello Baraghini è uno dei pochi editori veri rimasti in Italia. Lui ci campa e non chiede contributi. Come pensate che possa pubblicare narrativa? Deve pubblicare ciò che il pubblico cerca da Stampa Alternativa: saggistica polemica, testi controcorrente… Ho pubblicato diversi libri e alcune traduzioni di Torreguitart con Stampa Alternativa, mi sono semrpe trovato bene, pagano puntuali e sono un ottimo editore. Baraghini mi ha rifiutato – anche recentemente – 3 o 4 testi di narrativa. Non la fa a nessuno…

    2) Indirizzare autori agli amici che chiedono contributi. Sempre per il massimo della sincerità vi dirò che Il Foglio indica agli autori che scarta e che pensa potrebbero cadere nelle mani di sciacali a pagamento che chiedono milioni, un paio di nomi di PRINT ON DEMAND, che non sono editori a pagamento, ma ben altra cosa. Sono editori che se tu vuoi 50 copie del tuo libro te le fanno a costi bassi.

    Lupi

  89. Moccia – per chi non lo sa – è il figlio dello sceneggiatore Pipolo, non un debuttante qualsiasi. Le leggende sul libro fotocopiato sono leggende e basta. Lo avranno pure pubblicato a pagamento e fotocopiato, ma Moccia ha fatto il suo primo film da regista dieci anni fa e nessuno se l’è filato, ma lui lo ha fatto. Volevo scrivere al TG1 l’altra sera quando Giorgino ha detto che Moccia debuttava alla regia con SCUSA SE TI CHIAMO AMORE. Moccia ha debuttato nel 1996 con classe mista terza a prodotto da di clemente e distribuirto da medusa. nel cast c’era pure paolo bonolis… possono fregare chi non segue il cinema italiano, non me che ci passo la vita a veder cose trah e che stasera mi sono sciroppato brillantina rock di tarantini…

    gordiano lupi

  90. Intanto a Baraghini avevo mandato un saggio di controinformazione sul mondo della televisione visto da dentro. Ma ripeto la mia stima per lui continua a parte gli insulti della sua lettera di risposta.
    Di Moccia so tutto, perchè sono una appassionata di cinema compreso il trash che andavo a vedere durante le riprese quando frequentavo il cine tv a Roma. Io non ce l’ho con Moccia, mi fa pure una certa simpatia umana.
    Le ultime notti ho preferito di gran lunga i film di Pierino ai programmi sulla crisi di governo.
    Comunque é colpa mia se siamo andati fuori tema.
    Del resto siamo noi che andiamo a prendere di petto gli editori, siamo noi che li cerchiamo e quindi se ci sbattono la porta in faccia o ci accompagnano cortesemente alla porta, é comunque un loro diritto.
    Per questo, io non chiederò più niente a nessuno.
    Io non voglio cercare più nessuno.
    Io voglio “incontrarmi” con il prossimo anche con il mio prossimo lettore.
    A Baraghini invidio una sola cosa: il suo asinello.
    Solo a certi esseri possono accadere cose un po’ magiche e speciali.
    Anzi vado a leggere Apuleio a mio figlio e poi vado a dormire.
    Sogni d’oro a tutti

  91. Baraghini è in gamba. Non mi stancherò mai di ripeterlo e di difenderlo. Io sono uno che scrive ma fa pure l’editore. Comprendo perfettamente che un editore debba scegliere cosa gli interessa e cosa no, visto che investe soldi suoi. Mi fanno schifo i raccomandati e quando vedo cose idiote pubblicate da grandi editori. Ma è la vita…
    Bella scelta Apuleio. Niente male…
    Quando cresce fagli vedere Vitali. Pure lui è molto vicino ad Apuleio, a Plauto…

    Gordiano Lupi

  92. @ Francesca Serra
    Cara Francesca, ne approfitto per farti i complimenti pubblicamente giacché ho letto qualcosa di tuo e l’ho apprezzato.
    Rispondo alla tua domanda:
    secondo me “l’ossessione” è quasi sempre negativa. Io credo che fare l’editore o pubblicare un libro non lo prescriva il medico. Ciò non toglie che è giusto provarci, qualora se ne senta la necessità… ma senza – appunto – farsi ossessionare se le cose non si mettono secondo le nostre aspettative.

  93. @ Sergio
    Scrivi: “Chi pubblica sia pagato oppure rifiutato”.
    Il problema è che – a torto o a ragione – non ci si rassegna al “rifiuto”… da qui l’ansia di pubblicare a tutti costi e i problemi che ne derivano.
    Ho letto la tua “proposta legislativa”. Proponi delle cose giuste e sensate, Sergio. Però io credo che basti il buon senso. E credo che del buon senso se ne debbano appropriare innanzitutto gli scrittori (o gli aspiranti tali).
    Ripeto, le opportunità che ci sono oggi fino a qualche anno fa non c’erano.
    Perché non approfittarne?
    In precedenza accennavo al ruolo di Internet (case editrici, anche grosse, hanno “pescato” esordienti proprio dal web), dei blog e dei siti tematici.
    Accennavo a Lulu (ma non esiste solo Lulu… di questo ne parleremo in un altro post).
    In passato sono stato molto critico con Lulu (molti di voi lo ricorderanno). Bene. Mi sono in parte ricreduto.
    Perché? Perché, in fondo, è uno strumento. E gli strumenti, in linea teorica, non sono giusti o sbagliati. Dipende da come li usi.
    Ripeto. Oggi c’è la possibilità di farsi stampare in cartaceo la propria opera (e di metterla in vendita) a costo zero. Sei tu che fissi il costo del libro e non è vero, Sergio, che non ci si può guadagnare. Una volta coperto il costo di stampa e spedizione il rimanente del prezzo va all’autore.
    Un esordiente può benissimo far circuitare la sua opera così. Può chiedere agli amici di acquistarne copie (cartacee) richiedendole on line. Le può acquistare lui stesso e poi usarle per presentare il libro in pubblico. Magari se ha un amico libraio può anche chiedergli di esporle. Perché no?
    Peraltro anche scrittori professionisti come Giuseppe Genna (che pubblica con Mondadori e Rizzoli) hanno usato Lulu… sebbene in via sperimentale.
    È un mezzo in più.
    Perché non servirsene?

  94. @Massimo,
    ancora complimenti, dalla lettura dei post ho notato che questo è uno degli argomenti più interessanti e viscerali degli ultimi tempi: bel dibattito (tra l’altro noto che chi non ha niente da dire sta educatamente zitto, me compreso).

  95. Invito ufficialmente Stefano De Matteis a partecipare al dibattito (naturalmente se può e se lo crede) per approfondire alcune delle risposte fornite ad Andrea e illustrare meglio il progetto editoriale de L’Ancora del Mediterraneo e Cargo.

  96. Vi propongo questa domanda che Andrea Di Consoli ha rivolto a De Matteis.
    Perché nel Sud Italia non è mai nata un’editoria forte, a carattere industriale?
    Leggete la risposta dell’intervistato e provate a fornirne una voi.
    Un’altra domanda potrebbe essere la seguente.
    Che possibilità ci sonoche nel Sud Italia possa svilupparsi un’editoria forte, capace di competere con quella del Nord?
    A voi.

  97. “Si svegli Napoli e il Tagliaboschi, esca Ibraim dai boschi…”

    Oops…Gregori dev’essere stato a pranzo dai suoi parenti di Velletri, non si vede…avesse inghiottito la coda…alla vaccinara, c’è un’aria così sterile quando lui non c’è, il blog sembra un policlinico.
    Notte, Didò c’ha la sveglia sovietica, maledetto Breznev!

  98. @ eventonunico: Certo che sono per una terza via se possibile!
    E l’italico costume della raccomandazione l’ho citato solo per stigmatizzare i fissati del pubblico a tutti i costi anche a pagamento…
    Ma vorrei sapere cosa fare per non risultare la classica polla da spennare.

  99. Cara Francesca Serra,
    tu dici che ”In Germania e in Francia sono ancora più duri di noi. Alla fine qui c’é posto per tutti lì non ne sono sicura” ed hai perfettamente ragione; il problema infatti e’ proprio questo: la selezione. Se il mercato si riempie di libri ed autori superflui, non c’e’ piu’ selezione e garanzia di qualita’. Sopravviene il caos, ovvero l’incivilta’, il disordine dove i pirati spadroneggiano (siano pirati grandeditoriali siano piratelli a proprie spese). Ecco perche’ credo che sia meglio eliminare una buona fetta degli editori attuali (ossia i pirati) e far si’ che si moltiplichino gli onesti (questione di mercato: se la meta’ degli editori di oggi scomparissero, i rimanenti si allargherebbero). Se parallelamente avessimo una serieta’ culturale diffusa come in Francia e Germania, la qualita’ dei libri aumenterebbe e chi scrive potrebbe vivere della scrittura. Perche’ e’ giusto vivere del proprio lavoro e dei propri sogni che diventano lavoro. Se siamo bravi, certo, solo se siamo bravi. E a dirci se siamo bravi dovrebbero essere i professori e i lettori degli editori seri e preparati come cinquanta anni fa. Torniamo al passato… anzi: torniamoci e miglioriamolo ancora.
    Sozi

  100. Massimo,
    tu commenti: ”Ho letto la tua “proposta legislativa”. Proponi delle cose giuste e sensate, Sergio. Però io credo che basti il buon senso. E credo che del buon senso se ne debbano appropriare innanzitutto gli scrittori (o gli aspiranti tali). Ripeto, le opportunità che ci sono oggi fino a qualche anno fa non c’erano.”
    Va bene, Massimo, in parte sono con te. Ma perche’ non considerare le possibilita’ vere che una legge come la ”mia” offrirebbero, per indirizzare il mancante buonsenso? Infatti a volte le leggi devono raddrizzare le realta’ diffuse storte – ”eliminiamo la mafia!” lo dicono tutti, ed io dico: ”eliminiamo gli editori disonesti o incapaci!”. Visto che si parla tanto di ”sistema tedesco” o ”francese” in fatto di leggi elettorali, perche’ non applichiamo in Italia anche altre leggi, stavolta ”editoriali”, diffuse all’estero?
    Ma ripeto che questa proposta di legge viene da chi aspira a non fare altro che scrivere, un giorno, non da chi si accontenta di pubblicare. Io sono fatto cosi’. Se me lo merito o no me lo deve dire chi ne sa piu’ di me di Letteratura, non il pubblico comune. Tutti, se scriviamo in modo decente, abbiamo diritto ad una risposta seria e qualificata, ad una possibile carriera vera. Non solo gli scrittori ruffiani e politicanti, o quelli che hanno le conoscenze. Chi scrive bene deve esser valutato. E il caos, la scuola non selettiva e la mafiosita’, la vanita’ sciocca, non lo permettono. Elimineremo tutto cio’ con una legge quale la ”mia”.
    Sozi

  101. Poi, Massimo, tu parli sempre di tirare fuori i soldi e pubblicare… eventualmente ci si potrebbe poi guadagnare, suggerisci, giusto? Proponi insomma uno ”scrittore imprenditore di se stesso”. Ma non e’ un rimedio, questo. Solo un palliativo. E se una persona non avesse, mettiamo, i soldi per stamparsi il libro poi venderlo, come dici tu? E se uno non avesse amici che leggono e che glielo comprerebbero?
    Molto meglio obbligare per legge un imprenditore a non essere un bandito. Qaundo si vede con chiarezza, le cose possono essere cambiate, mai con il casino di oggi.

  102. Francesca Serra:
    dimenticavo: un bacio alla creatura. La cacca dei bimbi e’ cosa che conosco e amo. Odora sempre, anche se mangiassero maiale a sei mesi d’eta! I bimbi odorano sempre e noi dobbiamo prendere il loro profumo per eliminare certe puzze. Mia figlia pero’ mangia tutto. Onnivora come me.

  103. Buongiorno a tutti, concordo con Sergio Sozi, sul fatto della quantità – qualità
    Riguardo invece alla pletora di editori esistenti, la mia esperienwa alla fiera della piccola editoria di Roma é stata entusiasmante.
    Per tre giorni ho sfogliato libri, parlato con la gente e valutato il tutto.
    Ogni casa editrice aveva il suo senso e la sua dignità di presenza.
    Parliamo di un livello piccolo – medio ma serio ed onesto, come nel caso de l’Ancora credo. Il punto é imparare a diffidare degli imbroglioni.
    Sono stata un po’alla stand di Di Salvo e a quello di Ellin Selae. Tanti ragazzi e ragazze si sono avvicinati per chiedere a chi inviare manoscritti.
    Non siamo per nente santi, né navigatori, ma ancora poeti e scrittori, non possono mica imbavagliarci per questo.
    Tanti anni fa ho lavorato con Fausta Leoni giornalista e scrittrice che con la Rizzoli aveva pubblicato quranta anni prima, Karma, un romanzo che é stato tradotto in dodici lingue, che é stato per almeno dieci anni tra i primi dieci in classifica e che ancora viene pubblicato nella BUR.
    Fausta dieci anni fa ha scritto il seguito di Karma, lo sapete che non é mai riuscita amettersi in contatto con gli editor della Rizzoli e della Bur? Nessuno le ha mai risposto. Vi rendete conto dopo tutto quello che ha fatto guadagnare alla casa editrice neanche l’educazione di una lettera di rifiuto.
    Fausta ha dovuto pubblicare con Gremese, in una situzione che é stata molto sotto tono, nel senso che l’editore non ha creduto molto in lei secondo me per l’età.
    Morale Fausta vive in Argentina e in Italia non vuole più mettere piede.
    Non lo so, mi sembra tutto un gran pasticcio, é come la storia degli appalti. Viviamo in un paese marcio. Ma comunque c’é sempre il fatto che siamo tanti a scrivere e che anche per un editore serio é veramente difficile valutare il tutto.
    Vi saluto, Gordiano, Sergio, Massimo, e tutti, vi auguro fortuna e onori.
    Io sono tanto contenta lo stesso poiché ovunque e comunque mi scrivo dentro. Vi mando le mie ciambelle al vino, virtuali con cui sto facendo colazione. In genere in cucina sono un disastro, ma queste sono venute bene. Vedete ogni tanto anche alle peggiori cuoche le ciambelle riescono col buco.

  104. Massimo spero che intervenga Di Salvo perché editore del sud a carattere imprenditoriale, ha cominciato a 24 anni e sono dieci anni che si fa il mazzo.
    A Napoli ci sono realtà forti
    Guida, Colonnese, Tullio Pironti…
    Pironti fa cose di altissima qualità

  105. Una cosa però la devo dire, di cuore. E’ vero che gli editori italiani non ci prendono molto, però è anche innegabile che molti scrittori esordienti tendono ad emulare dei modelli letterari che (a mio parere) già nella nella loro forma originale scassano gli zebedei a mille.
    Diciamocelo, dai noi c’è un po’ l’opinione diffusa che la “Grande” letteratura debba essere per forza statica. Proprio in questo blog ho letto una piccola invettiva contro i lettori divenuti “schiavi” delle trame avvincenti.
    A me è capitato di dare un’occhiata ad alcuni dattiloscritti proposti agli editori. Insomma, la maggior parte delle storie sono saghe familiari piccolo borghesi, con il vecchio proprietario terriero che si scopa la serva e dà origine a figliolanze spurie.
    Il tutto generalmente espresso con avvitamenti prolissi e totalmente privi di dinamismo.
    Insomma una gran rottura di coglioni.
    Questo per dire: okay, tutti hanno il diritto di scrivere, ci mancherebbe, solo non vuole dire che lo sappiano fare.
    A chi poi arriccia il naso quando legge belle trame direi che mi terroorizzerebbe leggere qualcosa di suo.
    Sul serio, proprio capelli dritti in testa.

  106. Salve a tutti. Ho il computer fuori uso, e sto scrivendo dalla Biblioteca del Comune. Accidentaccio! Mi sarebbe piaciuto intervenire con maggiore profondità su questo argomento che mi sta particolarmente a cuore. Noi, come Terzo Millennio (piccola realtà editoriale del Sud) possiamo dire con orgoglio che abbiamo sempre cercato di fare imprenditoria seria, ( Gordiano ne sa qualcosa in quanto è stato nostro autore. Anzi, ne approfitto per salutarlo). Ma anche questo non basta. Purtroppo le piccole case editrici sono stritolate da un sistema di mercato sempre più asfittico, la penalizzazione è ancora maggiore se si ha sede al Sud, lontano dalla grande stampa, e dal giro che conta. Però se si riesce a individuare fasce di mercato ben precise e stampare libri che riscuotono interesse in determinati settori, l’operazione non è impossibile. Un consiglio ai giovani autori sprovveduti: rifuggite gli editori a pagamento, non serve a nulla. Se un libro viene solo stampato e non distribuito, pubblicizzato, introdotto nei canali giusti, è un opera nata già morta.
    Un caro saluto a tutti.
    SALVO ZAPPULLA

  107. Oh, non volevo offendere nessuno, magari avete delle figlie spurie nel cassetto …
    🙂
    Era solo per dire che a volte gli editori se non ci vogliono pubblicare HANNO RAGIONE.

    A me è capitato tante volte che l’editor mi dicesse oh, ma che cazzo hai combinato! Be’ novanta su cento aveva ragione lui.
    Insomma facciamoci anche autocritica, eh, siamo mica tutti Cesare Pavese.
    Poi, a Massimino, sull’ossessione per me sbagli. Lo scrittore vero è una persona orrenda, mica uno simpatico. Arrivista monomaniaco, povero a chi gli passa vicino. Uno stronzo e anche fondamentalmente un poveraccio.
    Che però ha talento.
    Solo che spesso uno è solo tutte le cose che ho detto ma il talento non ce l’ha.
    Scusate, non so perchè ma quest’intervento mi è venuto in milanese.

  108. Oh, Rigo, condivido appieno!
    Sono andato a rileggere una mia cosa di un ventennio fa che pretendevo pubblicassero come “nouvelle literature” ed era una stronzata ineguagliabile (però, ritoccata oggi forse…con un po’ di mestiere…ma si!).

    Rigo, adoro il milanese, quello de “…si passa la sera scolando…;…’ei purtava é scarp’ dé ténis…”, anche quello del cavaliere nero: “bisogna laurà”, che simpatia lo psiconano se avesse fatto l’attore, con Bramieri, Dapporto (no Dapporto mi sembrava di Torino)…insomma in una bella commedia di servette sui navigli con la colonna sonora cantata dall’Ornella suzialist’ Vanoni!

  109. @ MariaTeresa Scibona
    Cara, ti mando una mail per risponderti.
    Sul tema dell’editoria a pagamento sicuramente ho da dire qualcosa, ma devo rimandare a più tardi causa riunione!

  110. @francesca serra, mi incuriosisce parecchio la storia della “raccomandazione” di Isabel Allende …

  111. Sono totalmente d’accordo con ciò che dice Sergio. Le sue domande sono pertinenti. Credo che per l’editoria avvenga ciò che avviene per altre forme d’arte (?): musica, pittura, fotografia, ecc ecc. C’è chi ci crede e investe e chi no, e spilla soldi. Francamente una via di mezzo la trovo complicata. Nel senso che andrebbe valutato questo: fino a quando un editore vive sui soldi (anche non tantissimi) dei suoi autori, quanto è in grado di crescere? Quanto di farsi un nome, di avere una reputazione seria, dignitosa? Se non ci crede appieno lui, come “costringere” il resto del mondo sulla bontà del suo prodotto?
    Selezione, seria, rigorosa, appassionata: pubblicare ciò in cui si cerde veramente. In minor numero forse, ma con lo sforzo di cercare la qualità. E su quella puntare alla grande. Può sbagliare, ovvio, ma il metodo sarebbe giusto. Per portare avanti un progetto come si deve. Chi pubblica a pagamento, anche quando non è ladro, mi lascia l’idea che cerchi fondamentalmente di pararsi il culo: ma questo ovviamente traspare, lo si nota, e va a discapito del libro pubblicato, dell’anima che regge l’iniziativa.
    Io ho ricevuto proposte di pubblicazione a pagamento: qualcuno ha cercato addirittura di rifilarmi 300 copie del mio eventuali libro, più un garelli semiusato, un set di pantole e una multiproprietà vicino a Chiavari. Ovviamente ho rifiutato. Per il libro. Le altre cose invece le ho acquistate.

  112. Per Leucosia.
    Avevo scritto questo mio romanzo dopo quattro anni di lavoro in Guatemala.
    Avevo raccolto storie di donne che poi ho collegato fra loro in un’unica storia. Tutto questo accadeva quindici anni fa.
    A roma ho incontrato casulmente, in un bar, Isabel Allende.
    Ci siamo messe parlare e siccome giravo sempre con queste risme nella borsa di fogli e fogli, glieli ho lasciati chiedendole un aiuto, pensando all’estero piu’ che all’Italia.
    dopo circa un mese mi arriva una lettera della Allende che tengo nascosta fra le mutande e i calzini nell’ultimo cassetto dell’armadio, in cui lei molto affettuosamente mi dice che aveva dato il manoscritto a Carlo Feltrinelli, di avere fiducia e darle notizie .
    Dopo quasi un anno mi arriva una lettera di Carlo Feltrinelli il quale mi dice che non era interessato al libro anche perche’ loro programmavano le loro pubblicazioni con due anni di anticipo.
    Effettivamente a quel tempo il libro non era pronto per essere pubblicato perche’ e’ passato attraverso l’editor di Newton e Compton e poi un’ulteriore mia rivisitazione e poi di nuvo l’editor di Mediterranee e poi dopo sei anni con Di Salvo. Ma a quel punto per me era passato troppo tempo e “El duende” mi sembra che appartenga alla preistoria della mia vita.
    E poi ti stanchi e ti sfinisci e quasi non te ne importa piu’ niente.

  113. Sono assolutamente d’accordo con Gordiano Lupi: “Chi pubblica pagando non è uno scrittore, ma soltanto un ambizioso che vuole il nome su una copertina”.
    Personalmente, se non fossi riuscito a trovare un paio di piccoli editori più o meno onesti che avessero rischiato di tasca loro, avrei lasciato perdere e sarei rientrato nei ranghi, per limitarmi a leggere come ho fatto fino all’età di 38 anni. Che, detto tra noi, è molto più piacevole. Sono fermamente convinto che l’unica, vera linea di demarcazione tra chi con ragione si dedica a scrivere, e i semplici grafomani, sia la costanza di farlo fino a che non si riesce a trovare qualcuno disposto ad investire su di te, fosse pure una misconosciuta sigla editoriale poco più che dopolavoristica.
    Spesso, d’accordo, tutto dipende dal Caso. Ma l’importante è non tentare di imboccare costose e inutili scorciatoie: megli smettere, allora.
    Chi è più bravo, poi (o ci sa fare di più, o è più intrallazzato) arriverà fino ai grandi editori. Gli altri sarà tanto se arriveranno ai c.d. “piccoli editori di qualità” (personalmente spero in questa seconda possibilità).
    E’ già abbastanza difficile – una volta volta che sei riuscito a pubblicare un romanzo (tre, nel caso mio) senza tirare fuori un euro – a controllare che siano regolarmente distribuiti o acquistabili/ordinabili ovunque, e che tutte le copie rechino il bollino SIAE, e altre amenità simili, che figuariamoci cosa può succedere quando a pagare, invece che l’editore, sei stato tu!

  114. Cari tutti, avervi conosciuto prima…
    Non posso astenermi dal partecipare a questo acceso dibattito, perché sono figlia di quella ingenuità che fa cadere gli esordienti nella trappola dell’editoria a pagamento.
    Ho sempre scritto e tenuto per me, fino a dicembre 2006, periodo in cui sul giornale notai la solita tiritera >.
    Ebbene, mi dissi, perché non provare? Inviai la mia creatura e dopo un paio di mesi mi risposero dicendo che il libro era piaciuto, ma che i rischi sono grossi per una piccola casa editrice e bla bla bla. Mi chiesero di autofinanziarmi 150 copie, e a loro carico ne avrebbe stampate altrettante, più eventualmente quelle delle successive ristampe.
    La lettera spiegava chiaramente compensi e modalità di promozione di cui si sarebbe fatta carico la casa editrice. Decisi di non pubblicare e per qualche mese la lettera rimase in un cassetto. Fu mia madre, alla quale raccontai la cosa, a volermi regalare la pubblicazione, nonostante le mie perplessità.
    Vi dico la verità, io non ne sapevo assolutamente nulla di editori più o meno seri e non avevo neanche mai provato a spedire lo scritto a qualcun altro. Senza alcun tentativo all’attivo e senza termini di paragone, mi fu facile lasciarmi convincere.
    Col senno di poi vi dico che… nonostante la casa editrice abbia rispettato i termini:
    1)mai e poi mai pubblicherò ancora a pagamento. Mi sono resa conto solo dopo di quanto sia facile diventare un numero senza neanche sapere se quello che scrivi abbia o meno un valore
    2)La diffusione del libro è praticamente inesistente. In libreria devi ordinarlo (il che presuppone che tu ne conosca a priori l’esistenza) e i tempi di attesa sono a volte lunghissimi
    3)Ho scoperto di saper essere una buona manager di me stessa, la prossima volta meglio Lulu e poi opera di public relations!
    4)Il mio prossimo libro lo invio a Lupi, a Zappulla, a De Matteis o a qualcuno dei nomi che avete citato. Almeno so che sono persone serie, se mi devono dare picche lo faranno con un senso.

  115. Non sono d’accordo sul fatto che “Chi pubblica pagando non è uno scrittore, ma soltanto un ambizioso che vuole il nome su una copertina”, o almeno non lo sono in senso assoluto.
    Io non ho mai scritto pensando di “fare” la scrittrice o di campare con questo lavoro, anche se non nego che sarebbe un sogno (per questo lo relego nella sfera delle utopie).
    Ho solo sbagliato strada, come fanno in tanti, ma non è stata vanità né ambizione.
    Sulla via di Damasco, infine, mi sono ravveduta.

  116. Scommetti su di te Silvia!!!
    Vorrei chiedere una cosa, a chi ci è passato o a chi lo sa, ma l’editoria a pagamento, contempla il concetto di editing? di editor? etc?

  117. Cara Francesca Serra,
    io pero’ ho specificato quali editori andrebbero eliminati ex ufficio, con una legge seria per l’editoria. Ti riporto due righe del mio commentino, tanto per precisare:
    ”credo che sia meglio eliminare una buona fetta degli editori attuali (ossia i pirati) e far si’ che si moltiplichino gli onesti (questione di mercato: se la meta’ degli editori di oggi scomparissero, i rimanenti si allargherebbero).”
    A tutti:
    Se obbligassimo ogni azienda editoriale (giornali e periodici compresi) ad emettere pagamenti certificati per ogni singola pubblicazione, il risultato sarebbe: opera pagata all’autore, meno opere sul mercato e possibilita’ di cura vera della diffusione del libro. I truffatori andrebbero fuori legge e cambierebbero settore economico. I piccoli-medi-grandi editori seri pubblicherebbero ugualmente (che trecento euro in tasca per pagare all’autore un romanzo ce li deve avere un editore, senno’ e’ un morto di fame e deve cercare lui lavoro presso qualcun altro). Fine del caos e regolamentazione del settore. Ma evidentemente la cosa non piace a chi vuole aver mano libera nello sfruttamento dei poveri ingenui (anch’io nel 2000 pubblicai pagando. Seicentomila lire ma comunque le pagai, povero fesso che ero, giovane anche.).
    Se intanto la gente capisse che un libro e’ una cosa seria, le cose prenderebbero un altro verso: scuola selettiva e seria, lettori meno modaioli e scrittori piu’ se stessi. Cosi’ si costruisce una realta’ migliore. Altrimenti non speriamo di rivedere piu’ da queste parti i Calvino, Gadda, Bontempelli, Levi, Morante, eccetera. Nessuno li pubblichera’ mai piu’.

  118. @ zau
    in teoria si, mi ha contattato una degli editor della casa editrice per spiegarmi i motivi che li avevano indotti a scegliermi. Mi è sembrato, dalla lunga conversazione, che il libro sia stato letto in maniera attenta. Poi, nella fase di editing ho ricevuto da lei suggerimenti, libera o meno di accoglierli. Quindi si, il concetto è contemplato.
    Per il resto…GRAZIE!! Sicuramente la prossima volta punto tutto su di me!

  119. Cara Francesca Serra, mamma mia chissà come ti sarai emozionata ad incontrare la Allende! e comunque, anche se poi il signor Feltrinelli ha preferito non pubblicare, metti la soddisfazione di essere letta da Isabel?
    😉
    grazie per aver soddisfatto la mia curiosità!

  120. Cara Leucosia pensa che ero talmente emozionata che mi sono tolta un anello indiano antico e glielo ho infilato al dito.
    Adesso le cose che fa, mi piacciono meno, ma “La casa degli spiriti” e’ veramente un portento. L’ha scritto in dieci anni trascinandosi, dietro giorno e notte quasi tremila fogli, custoditi nella sporta della spesa.
    Ha avuto grandi onori e grandi dolori. Ci sono vite in cui arte e affetti s’intrecciano in grovigli metafisifici e misteriosi.
    Sono vite che non si risparmiano.

  121. mi trovo pienamente d’accordo con te, cara Francesca! gli ultimi scritti della Allende, mi spiace dirlo, non hanno quella forza trascinante di un tempo. penso a “d’amore e d’ombra” o a “Paula”, che toccano l’anima nel profondo, travolgendola…ho letto la sua ultima intervista in cui racconta che passa dieci ore al giorno inchiodata al computer, a scrivere. ecco a quel punto ho pensato:”quanto tempo ha a disposizione!” se trovo un paio d’orette da dedicare al pc mi considero fortunatissima!
    in ogni caso, spero anch’io un giorno di incontrarla, anche solo per stringerle la mano!

  122. E se fosse tutto un gigantesco inganno?
    Dai numeri che abbiamo a disposizione – notevole l’intervento dell’editore anonimo – si raggiunge una prima, pacifica conclusione: l’industria del libro è un’industria fallimentare, dal punto di vista commerciale. Senza eccezioni.
    Se dovesse reggersi soltanto sugli introiti derivanti dalle vendite non potrebbe resistere. Non potrebbe avere impiegati, perché costerebbero troppo. Questo credo valga per la maggioranza assoluta dei piccoli e medi di qualità, purtroppo.
    Se un giorno Travaglio facesse una bella inchiesta sull’editoria…
    chissà quante cose meravigliose verrebbero alla luce. Redattori in nero, pagati una tantum. Stagisti a oltranza, provenienti da corsi pagati fior di euro. Autori mai pagati. Distributori che rilevano editori indebitati.
    Case editrici che sfruttano il buon nome acquisito per incentivare l’autore all’acquisto delle copie. Altre che fanno direttamente un sottomarchio per non rovinarsi il nome, altre che spacciano odiose antologie da 20 30 persone per un libro onesto, e ne fanno magari 20 l’anno, tirando in digitale… titillando l’ego di certi autori.
    Altro che vanity press.
    Ci sarebbe da indagare su quelle case editrici che rimangono in piedi perché servono a lavare denari. A garantire detrazioni fiscali.
    Ci sarebbe da indagare sulle reali vendite di quegli editori che pure hanno straordinaria visibilità sulla stampa.
    Ci sarebbe da indagare sulle dinamiche di scambio pubblicità-recensione.
    Ci sarebbe da indagare sui contributi per certe traduzioni…
    e magari sui famosi rimborsi statali per la carta.
    Ce n’è di merda da spalare, amici cari. Che il gioco sia sporco, e non certo solo per gli editori spacciati da tipografi (ci metto anche quelli universitari: che sono parecchi e campano esclusivamente così… sulle spalle degli studenti, con l’ausilio dei docenti), è molto chiaro.
    *
    Il discorso di Sozi non solo è saggio, ma è sacrosanto.
    L’autore deve essere il primo a vivere delle sue creazioni. Già, ma come, se già adesso guadagna meno del promotore sul venduto?
    *
    C’è una bolla che prima o poi esploderà. E’ una brutta bolla.
    Quando Eco raccontava certe cose nel Pendolo – che pure dovrebbe avere avuto milioni di lettori… ma spesso la gente i libri li compra e basta – pensavamo tutti che certi fenomeni sarebbero terminati. Niente più vanity press o autori a proprie spese.
    A cosa serve denunciare le stesse cose da vent’anni?
    Forse dobbiamo spostare il tiro… e cominciare REALMENTE a indagare sugli introiti degli editori “puliti”. Tutti. Una bella ispezione dell’Ispettorato del Lavoro, a sorpresa, qua e là… sai che risate.
    Eh. Tutti quei bei contrattini a progetto. Quegli stagisti. Quei dipendenti in nero. Booom. E quei lavoretti fatti per assestare il bilancio… sottotraccia…
    *
    Ragazzi. Solo la Letteratura conta. L’editoria ci ha tradito da un pezzo.
    L’editoria è una mascherata che finirà male. Male sul serio.

  123. Per esempio…
    che ne dite di lanciare una simpatica campagna per boicottare la prossima Fiera della Piccola e Media Editoria, che si ostina a ospitare, assieme ai (pochissimi!) editori di progetto, gli editori a pagamento?
    Sensibilizziamo i cittadini. Fuori i tipografi dalla Fiera dell’Editoria Piccola e Media. Così torna a misura d’uomo, e si respira altra aria. Dite che ne rimangono un 40-50? Speriamo, via.
    *
    Subito dopo, lancerei una bella campagna per la trasparenza sul lavoro nell’editoria. Bandiamo dalle Fiere quei simpatici editori che campano di “Corso da Redattore-Grafico-Lettore (!)-Ufficio Stampa”: a meno che non raccontino quanto incidono questi corsi sul loro bilancio. E quanto questi corsi li aiutano a sopravvivere, o a ingrassare. E quanta gente, realmente, si ritrova impiegata post-Corso. Non gratis, eh? Pagata.
    Magari certe case editrici sembrerebbero meno fighette e brillanti agli occhi di quegli autori che pensano “Che progetto!”.
    *
    E’ solo qualche semplice idea. Ma sarebbe un buon principio per aprire gli occhi a parecchi intellettuali e a molti cittadini estranei a certe dinamiche.

  124. Di Salvo si fa il mazzo? spero sia uno scherzo!!! fate un giro su I tracciatori e vedrete come sono allegri gli scrittori di Di Salvo, hanno tutti l’avvocato!
    Una verità sull’editoria del sud? nessuno la compra, perciò non emerge

  125. Concludo. Io credevo fosse un lavoro vero. Sono stato editore. Ero pulito. Gli autori non pagavano. Ci mettevo i miei pochi risparmi, rischiavo. Non prendevo in giro nessuno: niente antologie da 10, 15, 25 autori; niente corsi di redattore-scrittore-grafico-impaginatore. Niente “service” per terzi.
    Semplice e pura editoria, come dovrebbe essere. Un letterato-imprenditore che investe su un autore, paga la tiratura e mette il libro a disposizione, tra web ed eventi e ordini diretti e qualche libreria.
    Dovrebbe funzionare così, no? Se l’Italia fosse un Paese di onesti… se l’immagine di certe aziende corrispondesse alla realtà… ma non funziona. Funziona fare l’editore se sei un bandito, molto spesso, o un profittatore. Funziona se vendi fumo, se prometti un lavoro a tanti giovani che non lavoreranno MAI nell’editoria, almeno dignitosamente. Funziona se fai corsi, se ne fai tanti l’anno. Funziona se stampi in digitale e lucri sul basso costo dell’edizione. Funziona se il tuo libro ha tanti autori, e tutti comprano copie.
    Funziona se il personale è in nero, o al limite a progetto. Tanto ‘sti letterati sono tutti morti di fame. Dagli 200 euro.
    Funziona se sei un tappetaro, uno che non ha il pelo sullo stomaco.
    Funziona se devi spendere soldi (eh… da dove vengono sti soldi…).
    Funziona se ti piace lucrare sulla vanità o sulle speranze della povera gente. Studenti per i corsi, scrittori per i libri.
    Funziona se non paghi le trasferte per le presentazioni. Almeno, non tutte. Funziona se i tuoi amici giornalisti basta una telefonata e una pubblicità su quell’altro e venti righe te le fanno. Magari anche un paio di colonne.
    Funziona proprio male. Proprio tanto.
    Funziona se ti danno 4-5 lavori sicuri ogni anno. Magari qualche ente statale, qualche fondazione culturale, qualche vecchio amico molto riservato. Cose del genere.
    Funziona che non è un’impresa che può vivere onestamente (mettiamoci d’accordo: che vuol dire ‘onestà’?) e questa è anche colpa di chi controlla e taglieggia legalmente la concorrenza. Parlo dei padroni della distribuzione – e spesso, anche delle librerie.
    Funziona che se escono 35mila libri l’anno è impossibile fare distinzione: non puoi leggerli tutti. Manco se fossero 350 sarebbe possibile, già.
    Funziona che siamo un Paese di autori, sì, ma anche di editori.
    I lettori sono pochi. Gli editori sono proprio tanti. Un po’ troppi.
    Quand’è che ce ne accorgeremo? A che serve aprire un’impresa così sbagliata? Dov’è il reale guadagno? Quand’è che lo Stato farà giustizia di questa gente? Quand’è che si legifera su queste aziende infami?
    *
    Facile sparare sui banditi. Quella gente ce l’ha scritto in faccia: “pagami e ti farò autore”. E i quotidiani regalano cornicette suggestive, in copertina. Meno facile sparare su quei banditi che durante i corsi di editoria ti insegnano un lavoro che non farai mai. Ti illudono… con uno stage, o con una bella antologia.
    E magari mettono come esempio sbagliato il coglione onesto che io ero, quando pensavo di fare l’editore senza rubare i soldi a nessuno. “Vedi” – dicono, tronfi – “così chiudi in 1 anno. Tipografia, niente corsi, niente antologie…”.
    E dicono agli allievi, appena derubati: “diventa come me. Così ci campi”.
    E’ una questione di coscienza, ragazzi. Dovremmo saperne tutti molto di più. Proprio di quei pochi che stupidamente salviamo.
    Sono loro il nemico di chi ha capito. Dobbiamo guardarci le spalle…

  126. Tre interventi molto interessanti quelli di Gianfranco, posso farti una domanda?
    Ovviamente non sei obbligato a rispondermi e non ti voglio mettere in difficoltà.
    Com’è stata la tua esperienza da editore?
    Hai chiuso, mi sembra circa un anno dopo, per una questione economica?
    E poi una domanda a tutti gli editori, compreso Gordiano, è davvero così difficile fare questo affascinante mestiere?
    Ve lo chiedo perchè sto imbarcandomi nel mondo dell’editoria con la mia rivista.
    Devo ancora partire, l’inizio però è stato roseo.
    La cassa è di 600 euro all’attivo senza che io abbia messo un solo centesimo, pensavo di dover investire qualche mio risparmio, per ora nulla.
    Mi rendo conto però che è davvero dura, ho ricevuto solo pochi abbonamenti e questo mi amareggia molto.
    Vorrei inoltre stampare insieme ad ogni numero un libro (quindi un titolo ogni due mesi).
    Partirò con il romanzo di Laura Costantini e Loredana Falcone, tiratura molto bassa, distribuito in poche librerie, ma spero vada bene.
    Ora mi chiedo se un ragazzo di 16 anni (non che voglia autoelogiarmi) senza nessuno alle spalle decide di pubblicare dei libri e una rivista rischiando e non chiedendo un centesimo alle autrici (potranno confermare) come mai centinaia di editori chiedono contributi agli autori?
    Secondo me è disonestà.
    Scusate per l’intervento.

  127. E’ stata devastante. Le vendite sono servite a pagare la tipografia, gli autori, la creazione del sito web, l’organizzazione dei due eventi. Non sono bastate neanche a pagare le tasse, che vedo – spiritosamente – poco nominate dagli editori. Notaio, INPS, INAIL… ci sono dei costi fissi. Pesantissimi. E mica cambia niente se fatturi poco… lo Stato non ha pietà.
    Quindi non solo non ho guadagnato un euro, ma ne ho persi parecchi.
    E tanta di quella gente che garantiva supporto non ha ordinato nemmeno una copia. E’ un classico: se li conosci vogliono il libro gratis.
    *
    Tu rischi senza essere azienda. E col digitale. E’ un altro mondo. Beato te… pareggerai sicuro, magari ci scappa una pizza fuori.
    Sarà uno splendido secondo lavoro. Aprirai un’associazione culturale (tassazione ben diversa:) ) e ti diletterai coi fratelli letterati.
    Quello sarà l’obbiettivo. Lascia stare l’idea di farne impresa.

  128. “E’ un classico: se li conosci vogliono il libro gratis.”
    Più che un classico è una vergogna, soprattutto maleducazione.
    Quando ho pubblicato il primo libro tutti i conoscenti me ne chiedavano una copia, anche persone che conoscevo appena e che sapevo non avrebbero mai letto il mio libro.
    Cavolo, per 6 euro (quanto costava il libro) non muore nessuno, ma per la gente è normale farselo regalare.

    E’ vero, rischio senza essere azienda e vuol dire molto, ma a te non conveniva fare un’associazione culturale come ha fatto Gordiano e poi pubblicare i libri? Se le tasse e i costi sono minori a che pro fare un’azienda?

    A me interessa rimanere sempre in attivo, anche di poco, tanto il mio giro d’affari è relativo a cifre molto basse. Non lo faccio per guadagnare (per quello lavorerò quest’estate) ma per passione, tutti gli (eventuali) utili li reinvestirò.

    Consigli, Gianfranco? Per pubblicizzare la rivista e “raccattare” qualche abbonamento?

  129. E qui viene il bello. Fui mal consigliato da due (!) editori, uno diciamo generalista e l’altro “di nicchia”. E dal commercialista, è ovvio.
    L’Associazione Culturale, per la minoranza assoluta dei letterati e degli intellettuali onesti, è la strada. Fondata su una comunità di lettori (quindi, sia chiaro: di autori, o di ex autori, o di autori mancati) pronta a sostenere almeno la circolazione minima (300 di 500 copie…) delle edizioni. Questo è un grande sogno, pulito e limpido. E con gli eventuali introiti ricca pizza a fine anno, tra gli associati.
    *
    Consigli per pubblicizzare una rivista. Purtroppo è la stessa logica delle antologie. Quanti autori hanno partecipato? Dieci? Quindici? Ciascuno si porterà via 10, 15 copie. E’ scontato:).
    Sei già pienamente rientrato nella piccola tiratura digitale. Prassi.
    Quanto agli abbonamenti… mmm. Voi siete registrati come Il Foglio, quindi – oltre alla mail coram populi – serve qualche nome che richiami i lettori. Trova una o due grandi collaborazioni, gratis et amore (se nessuno ci guadagna, perché no? qualche bello scrittorone in cerca di visibilità underground forse ci scappa. Basta adorarlo in vari modi), e segnala il loro avvento alla tua mailing list, o per radio, etc.
    In generale, il mio consiglio è – a questo livello, considera tutto come una simulazione. Stai giocando: e nel gioco sei serio. Ma non dimenticare che stai solo simulando la realtà. Sono i tuoi primi passi… per provare a cambiarla. Ci vorranno anni. E pazienza e tanto sangue. Tanto.
    *
    (ma non farti fregare dall’illusione che in Italia esistano lettori diversi da quelli che comprano i complementi d’arredo da Feltrinelli. Sono ologrammi, quelli, li scelgono per i colori, per la forma, per le copertine… lasciali stare:) )

    notte,
    gf

  130. Due grandi collaborazioni le ho già e da tempo sono Francesca Mazzucato e Gianluca Morozzi, autori noti e di tutto rispetto.
    Qualcosa di più è difficile trovarlo senza contatti, per caso.
    Gli autori che partecipano al numero 7 che uscirà in cartaceo sono 31.
    Nessuno si porterà via 10-15 copie, è già molto se ne acquistano una.
    Anzi secondo me bisognerebbe regalare una copia ai collaboratori ma non ce la farei economicamente.
    Perchè in fondo è lo stesso ragionamento dell’editoria a pagamento.
    Non posso sperare di restare all’attivo con l’acquisto dei collaboratori, certo se tali acquisti ci sono ben vengano ma dovrebbero essere un più e non un elemento di sostegno.

  131. Grande Gianfranco, era ora che intervenissi tu!
    …E se per assurdo passasse la mia proposta di sopra? Dico per assurdo…
    Ciao caro
    Sergio

  132. Ti riporto la mia piccola esperienza personale, caro Francesco Giubilei (bentornato, come stai?), a proposito di riviste culturali.
    Allora, ne fondai una (”I Polissenidi”) nel 1995, con un gruppo di giovani intellettuali semidisoccupati o disoccupati del tutto. A Perugia. Trimestrale cartaceo di una trentina mediamente di pagine. Povero ma con dignitosa tiratura di cinquecento copie. Una ventina di collaboratori circa piu’ noi sei-sette in redazione. Sede a casa mia. Associazione culturale e registrazione al Tribunale di Perugia. Noi sei-sette mettevamo cinquantamila lire ogni tre mesi e in piu’ c’era un contributo del Comune di Perugia (mi sembra una milionata e mezzo all’anno). Distribuzione gratuita presso caffe’ benfrequentati, librerie umbre e una quarantina di biblioteche di tutt’Italia.
    In pratica l’intero lavoro di distribuzione (diretta, nota bene) lo facevamo noi redattori. Una ventina gli abbonati a venticinquemila lire annue. Nessuno guadagnava una lira e nessuno veniva pagato.
    Abbiamo chiuso dopo cinque anni quasi in parita’… ovvero con una milionata di debiti. Ma praticamente io non facevo altro: un culo cosi’, Francesco! Una faticata bestiale. Ora dico: prima i fondi a lungo periodo per coprire tutte le spese, compreso il pagamento degli articoli, poi si inizia. Eventualmente.
    Ciao

    Sergio

  133. @ Gianfranco
    Grazie per i tuoi molteplici e sentiti interventi. E grazie per averci raccontato la tua pur breve – ma significativa – esperienza nel campo dell’editoria.

  134. @ Francesco
    Sono d’accordo con Gianfranco e Sergio. Sarebbe prudente e saggio che tu considerassi l’esperienza della rivista come un appassionante hobby e nulla più.
    Non ti sovraccaricare. Almeno per ora. Poi si vedrà.

  135. Tutto bene, grazie, spero anche te.
    Interessante la tua esperienza.
    Parto dalla questione economica che è la più importante.
    I fondi a lungo periodo dove li trovo? La rivista è di circa 110 pagine e tutti collaborano gratuitamente. Historica esce come “Historica- Il Foglio letterario” e si appoggia alla rivista “Il foglio letterario” di Lupi che ormai esce solo online, registrata al tribunale.
    Io punto molto, quasi tutto su internet, è la marcia in più di cui si dispone oggi rispetto al ’95.
    Historica esce con cadenza bimestrale, certo anch’io mi sto facendo un culo così, pensa che sono da solo in “redazione”, devo leggere tutti i contributi che ricevo, a volte fare l’editing, impaginare la rivista, contattare le librerie e i distributori, curare le pubblic relations ecc., però mi piace e mi affascina al contempo e finchè non ci rimetto soldi a me va bene.
    Per ora non ho investito niente, cerco di ridurre i rischi economici a zero.
    Comunque quando uscirà la rivista ci terrei a fartene avere una copia saggio per sapere cosa ne pensi, lo stesso vale per Gianfranco e Massimo.
    Forse per quel che riguarda la tua rivista il discorso però cambiava, era gratuita…

    P.S.:Tu sei di Perugia vero? Sai che mio babbo è di Gualdo Tadino

  136. “Sergio. Sarebbe prudente e saggio che tu considerassi l’esperienza della rivista come un appassionante hobby e nulla più.”

    Certo Massimo, il mio lavoro, ahimè è la scuola per ora 🙂

  137. Io però continuo a pensarla come prima (andate a guardare il terzo commento del post).
    Credo anche che sia più semplice risolvere la questione dell’editoria a pagamento (o con contributo a carico dell’autore) cercando di sensibilizzare l’autore medesimo (o aspirante scrittore) a non sganciare piccoli o grandi capitali per vedersi pubblicati.
    Ripeto… oggi ci sono altri mezzi.
    L’idea che la carta abbia valenza superiore alla “pubblicazione on line” (a questi livelli… ripeto, a questi livelli) è frutto di una mentalità anacronistica.

  138. Perdonami Francesca, ma non mi va di parlarne, posso solo dirti che per non sapere più nulla ho preferito acquistare le 45 copie residue e sciogliere il contratto… insomma non è stata una grande esperienza… fortunatamente era la prima, non avevo neanche davvero preso in considerazione davvero l’idea di scrivere e quel libro bruciato non mi duole troppo. L’esperienza umana sì, però… e non sono la sola a lamentarmi.

  139. Franceschino,
    ah veramente? ‘Sti umbri! pensa che persino qui a Lubiana ho conosciuto uno spellano (Spello, provincia di Perugia: ottomila anime, fra le quali ho vissuto sedici anni, piu’ altri quattordici a Perugia centro e cinque a Roma centro) che non avevo conosciuto prima. E ora ci lavoro insieme. E’ una persona bella e onesta. Un amico in piu’.
    A Gualdo Tadino fanno delle ceramiche eccezionali sin dal Quattrocento! La miglior ceramica umbra (migliore di Deruta e di Assisi, credo, anche se pure queste sono belle ed artistiche). La migliore amica di mia sorella, Marina, e’ la figlia del sindaco. Io pero’ non ho contatti con Gualdo.
    Sergio

  140. Tu dovresti esser romagnolo, o sbaglio? La gente piu’ simpatica d’Italia – insieme ai napoletani. E senza nulla togliere agli altri Italiani.

  141. Ho pubblicato un nuovo post… ma il dibattito qui continua.
    Vi ripropongo queste domande
    A vostro avviso:
    – Perché nel Sud Italia non è mai nata un’editoria forte, a carattere industriale?
    – Che possibilità ci sono che nel Sud Italia possa svilupparsi un’editoria forte, capace di competere con quella del Nord?

  142. E’ sì sono Romagnolo, siamo simpatici, su questo non c’è dubbio 🙂
    Conosco Spello, che dire, tutto il mondo è paese!
    La ceramica di Gualdo è straordinaria, sono esperti in quella a riflesso, mio babbo è un appassionato, a casa ho centinaia di piatti, splendidi!

  143. Vorei precisare, poichè siamo ormai in fase di chiusura , che ritengo l’avere pubblicato a pagamento un errore dovuto ad un particolare momento della mia vita e che, con la consapevolezza e la maturità di adesso non ripeterei certamente.
    Questo post mi ha fornito ulteriori elementi di valutazione molto chiari e utili indicazioni per orientarmi in questo settore, quello cioè dell’editoria, veramente complesso e pericoloso.
    Esprimo pertanto la mia gratitudine e chiedo venia per la spontaneità con cui ho espresso questa mia esperienza.
    Un grazie sincero a tutti.
    Cordialità,
    Cyprea

  144. Cipride,
    non si chiede mai venia per la spontaneita’. Casomai per la mancanza della stessa.
    Tuo
    Sergio

  145. P.S.
    Secondo me dobbiamo tutti piantarla di accettare la realta’, descriverla, commentarla eccetera e invece cominciare seriamente a mettere il cervello e l’anima dove servano: nel cambiare le cose sbagliate e migliorare il Paese e il settore che ci interessa. Soprattutto quest’ultimo, direi, che mica siamo Dei! Rimbocchiamoci le maniche e troviamo delle soluzioni, su! Io le mie proposte le ho fatte sopra, diverse volte. Non sono follie.
    Buonanotte
    Sergio

  146. Sull’argomento editoria a pagamento in realtà non ho molto da dire, se non che personalmente non sborserei 3000 euro per farmi pubblicare un libro. Beh, nemmeno trecento.
    Smile

  147. Caro Massimo, ci risiamo con l’argomento del…secolo! Sono naturalmente d’accordo con Gordiano Lupi. Un vero e soprattutto serio scrittore non dovrebbe pagare per farsi pubblicare i suoi “capolavori”. Io ho pubblicato a pagamento un paio di libri (dei quattro che ho scritto), vivendo in una città come Bari, sede di una sola grande casa editrice come Laterza, quando ancora non avevo scoperto le straordinarie potenzialità della Rete. Adesso se ho voglia di scrivere un saggio musicologico o un pamphlet su un musicista mi posso gratuitamente sfogare aprendo un bel Blog. Qualcuno lo leggerà senz’altro e so anche per certo che se c’è un Editore (e non semplice tipografo-stampatore, come ce ne sono tanti) interessato al mio lavoro di musicografo e critico mi proporrebbe magari anche di pubblicarlo a spese sue. Infine non sono di quelli che scrivono per edonismo o per esibirsi (sono persona, peraltro, abbastanza timida ), ma solo per un’intrinseca necessità di COMUNICARE e DIVULGARE quel poco che ho imparato in una trentina d’anni di studi.

  148. Concordo con le cose scritte da Franchi. La sua descrizione mi pare che tratteggi un editore che conosco, ma abbiamo detto di non fare nomi. Sì, diciamo la verità, il mondo dei piccoli editori è un mondo di tappetari e meglio vendi il tuo tappeto (che quasi sempre è un tappeto cinese, da mercatino) meglio (soprav)vivi. Il Foglio non è una casa editrice, ma un’associazione di autori, una vera associazione culturale, dove tutti danno una mano e l’editore dà una mano agli autori. Premetto che non sono qui in cerca di manoscritti. Non sono un tappetaro, quindi non ne cerco. Ne scarto già 5 al giorno e ne accetto 1 al mese, quando va bene. Sono contento quando scopro uno scrittore che mi entusiasma. Non penso mai ai soldi che farò pubblicandolo, anche perchè so che non ne farò. E poi Il Foglio mi permette di far uscire cose che nessuno pubblicherebbe…

    Gordiano Lupi

  149. Intervengo solo ora, quando ormai il dibattito si è stemperato, per quanto segua da principio questa discussione. Non voglio entrare nel merito dell’editoria a pagamento, per una serie di ragioni. Non posso entrare nella questione dell’editoria del sud, non sapendone abbastanza.
    Voglio solo sottolineare ed applaudire uno dei primi interventi di Gianfranco Franchi, in cui spiega abbastanza bene come funziona l’editoria oggi. E perchè una nuova società che si occupi di editoria è destinata, ahimè, ad essere soffocata.

  150. Gianfranco Franchi è persona di grande intelligenza, ottimo scrittore e vero intellettuale. Ha capito molte cose. Ed è dalla nostra parte. Di questo sono molto contento, anzi me ne faccio un vanto.

    Gordiano Lupi

  151. Cari Guido e Gordiano, Gordiano e Guido,
    vi saluto e vi ringrazio – e approfitto della circostanza per ribadire e rinnovare la mia disponibilità alla battaglia per la denuncia del reale stato delle cose, a tutti i livelli. Con particolare interesse nei confronti dei “corsari”, dei “detrattori”, dei “distributori”, degli “antologisti” e dei “re-censiti”. Se solo la stampa mainstream fosse realmente libera e indipendente, e volesse davvero fare un’inchiesta… quante cose cambierebbero davvero, in poco tempo. Quante brutte facce andrebbero a vendere oggetti diversi: dai salumi ai saponi. Liberandoci dai loro comunicati stampa, e dalle marchette sui media.
    Basta un cenno e si riparte alla carica. Contro i veri nemici.
    L’editoria a pagamento è carne morta. Ma deve restare in piedi fino al giorno in cui partiranno le denunce. Perché spiega come rimangono in piedi certe aziende in questo settore… e perché a parecchi PIACE fare l’editore. L’editoria a pagamento ci tornerà sinceramente utile. Lasciateli rubare ancora per un po’. Ci serviranno… ci serviranno tutte le ragioni che addurranno per giustificare la loro condotta. Fateli parlare, ne hanno di cose da dire.

    Salutem dico

    gf

    PS Onore all’editoria di progetto: realmente indipendente – autonoma – trasparente. Onore a voi pochi. Sarà bello battersi per gli onesti, al fianco degli onesti.

  152. @ Gianfranco
    Grazie a te, ancora una volta, per averci donato il racconto della tua esperienza nel settore dell’editoria. E grazie anche per la tua sincerità.
    Ribadisco ancora una volta la necessità di “sensibilizzare” gli aspiranti scrittori: coloro che si stanno avvicinando al mondo dell’editoria senza averne piena coscienza.
    A voi dico (ancora una volta): resistete alla tentazione di sborsare un piccolo (o grande) capitale per vedervi pubblicati!
    Avete scritto qualcosa (o volete scrivere qualcosa) e avete voglia di farvi leggere? Aprite un blog!
    Non costa nulla ed è, pur sempre, un’opportunità.
    Ma se proprio volete vedere la vostra opera in formato cartaceo forse è meglio rivolgersi a un servizio di “print on demand”.
    Non mi ripeto. Leggete i commenti sopra…

  153. Ne approfitto per salutare Guido Farneti (e lo ringrazio per l’intervento). Guido è il direttore editoriale della piccola e giovane (ma meritevole) AZIMUT.
    Forza Guido!

  154. @ Massimo.
    nella mia esperienza di magistrato ho dovuto istruire cause di delusi autori contro case editrici a pagamento.
    Le doglianze riguardavano proprio la distribuzione che non veniva assicurata e che, essendo prevista come contenuto contrattuale, legittimava una richiesta di risoluzione del contratto e di restituzione delle somme.
    Occhio dunque alle varie clausole contrattuali anche a quelle occulte o poco visibili che , in base alla nuova normativa sulla tutela del consumatore, sono affette da nullità.
    Se proprio si vuole aderire a un contratto editoriale a pagamento si valuti attentamente il testo che viene fatto sottoscrivere e ciò che promette. Si controllino eventuali clausole “vessatorie” e a che titolo le somme vengono richieste all’autore. Se per sostenere la stampa o la distribuzione. In entrambi i casi si verifichi che il costo aggiuntivo sia solo una percentuale del totale e non il costo dell’intero servizio.
    In quest’ultimo caso il contratto infatti non è di scambio ma unilaterale.
    Infine si verifichi la correttezza o buona fede dell’editore. Che può essere esclusa anche dal comportamento successivo.
    In quest’ultimo caso si adiscano le vie legali perchè la stigmatizzazione di alcuni comportamenti e la condanna di una prassi speculativa ha un carattere educativo.

  155. @ Simona
    Carissima Simona, ti ringrazio di cuore per il commento qui sopra che rilasci nelle vesti di magistrato.
    Che serva da monito a chi fa il furbo di professione!

  156. Ho seguito questo “filo” come si trattasse di un romanzo. Chi scrive prima o poi esce allo scoperto.
    Prima o poi comincia a guardarsi in giro, esamina i siti delle case editrici, valuta il loro interesse per gli inediti, la presenza di esordienti nelle loro collane, ma soprattutto l’impegno che profondono nella promozione e distribuzione del libro. Poi comincia a collezionare in una bella carpetta tutti i contratti di edizione ricevuti, ripetendosi “non pubblicherò mai a pagamento” mentre qualcuno sussurra “hanno cominciato tutti così”…
    Sono d’accordo con chi ha detto che le proprie opere sono come i figli: il rischio è di sopravvalutarli. Per questo si sente il bisogno di metterli alla prova, di dare loro un’occasione: avranno o no quel respiro d’immenso che li renderà immortali?
    NO agli editori a pagamento, NO a quelli che non valutano il tuo lavoro, NO a quelli che lo abbandonano per strada (per quale figlio si desidererebbe una simile sorte?)…
    Penso però a coloro che hanno fatto la scelta di contribuire alle spese: forse sono stati notati, qualcuno ha scommesso su di loro, hanno acquisito la visibilità che volevano, che altrimenti non avrebbero avuto. Non posso condannarli. Ma tanto varrebbe fidanzarsi con il tipografo giù all’angolo…

  157. Mi devo associare anch’io alle mille lamentele sull’editoria a Pagamento.
    Ci sono cascato anch’io: ho pagato, ho ricevuto le mie copie e tutto è finito. Non mi è stato mai neppure offerta un’occasione per presentare il libro.
    Credo che tutti giochino con le carte truccate e li maledico con tutto il cuore. Mi piacerebbe ricevere una vostra risposta.
    Cordiali saluti.
    Franco Rizzi.

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