Il nuovo appuntamento del forum di Letteratitudine intitolato “LETTERATURA E MUSICA” è dedicato al romanzo “Il tempo tagliato” di Silvia Longo (Longanesi). Di seguito, l’autrice in una conversazione con Claudio Morandini.
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CONVERSAZIONE CON SILVIA LONGO: autrice de “IL TEMPO TAGLIATO” – (Longanesi, 2012)
A cura di Claudio Morandini
Con il romanzo “Il tempo tagliato”, uscito nella collana longanesiana “La gaja scienza” nel 2012, Silvia Longo racconta la storia di una donna, Viola, che di recente ha perduto il marito, celebre direttore d’orchestra dalla personalità insieme forte e fragile, del quale è stata per anni silenziosa vestale; e racconta della sua fuga imprevista, una sera, nel corso di un concerto in onore del coniuge, con un giovane tecnico del suono. Combattuta tra tentazione di abbandono all’avventura e desiderio di autocontrollo, Viola vive quella fuga, solo in parte sentimentale, come un allontanamento da tutto ciò che la tratteneva al ricordo ingombrante del marito, al suo bisogno perenne di ordine e equilibrio.
La musica c’è, a diversi livelli, in questo romanzo di grande finezza: è presente nella vita dei personaggi, che di musica vivono e si circondano, nei loro discorsi, addirittura nel loro modo di percepire il mondo; si intravede anche nella struttura del libro, nel titolo, perfino nella scelta del nome della protagonista. Sono motivi sufficienti per invitare Silvia Longo a una conversazione su un tema che ci sta a cuore, il rapporto tra scrittura e musica, tra parola e suono.
CM – La protagonista del tuo romanzo si chiama Viola. Una scelta che non mi suona casuale: la viola, tra gli archi, è lo strumento che di rado assume un ruolo di primo piano, e il più delle volte rinforza il tessuto armonico, lasciando liberi gli altri strumenti di fare i protagonisti. È uno strumento umile, ma indispensabile, senza il quale le altre parti perderebbero di significato. Anche tu lo hai inteso in questo modo?
SL – Hai centrato in pieno, Claudio. Presto molta attenzione quando si tratta di scegliere i nomi dei miei personaggi, seguendo gli insegnamenti dei Maestri: pensa al Manzoni, per esempio. Ne “I promessi sposi” i nomi dei personaggi rispecchiano il modo di essere e di agire, le qualità morali di ciascuno. Per la protagonista de “Il tempo tagliato” volevo un nome simbolico che ne rappresentasse l’umiltà (la viola è anche un fiore spontaneo che, quasi per pudore, cresce celandosi tra le foglie, alle radici di alberi maestosi), lo spirito di abnegazione per la buona riuscita di una causa, la capacità di adattamento alle necessità altrui. Come fa la viola in una orchestra: quasi mai è strumento solista e si può dire che lavori nell’ombra. Ma a un orecchio attento non sfugge quanto necessario sia il suo apporto.
CM – Sin dal titolo, “Il tempo tagliato”, il tuo romanzo è incentrato sul concetto di tempo, anzi sulle possibili declinazioni del concetto di tempo. Tecnicamente, “tempo tagliato” è la misura in 2/2, segnata con una C appunto tagliata, ma forse questo significato non mi pare determinante nel libro. Vi è invece, in senso più generale, il rapporto complesso con il passato (la vita con il marito direttore d’orchestra), il “taglio”, cioè la frattura determinata dalla morte di lui, il senso di spaesamento nel presente. Poi, sempre più insistente, si fa strada il tempo inteso come elemento centrale del linguaggio musicale: il marito, in quanto direttore, domina il tempo, lo scandisce, lo impone agli altri, ne ha bisogno in quanto gli garantisce controllo sul caos della vita, sulle sue paure più profonde. Il tempo si presenta a questo punto anche come ossessione, concretamente, nell’oggetto della sveglia dal ticchettio molesto. Liberarsi di quella sveglia, per Viola, diventerà un emanciparsi dal ruolo paziente e passivo messole addosso dal marito (e dalla famiglia di lui).
SL – Ho giocato con la parola “tempo”, sì. Cercando di usarla in quante più accezioni possibili, dato che la lingua italiana attribuisce a questo termine un ampio ventaglio di significati. Il tempo atmosferico, ad esempio, con i bollettini meteo che ho inserito all’inizio dei capitoli. Il maltempo che fa franare la strada alle spalle di Viola e del suo compagno di viaggio, e li blocca per una notte lontani da casa, dal circolo vizioso delle abitudini. Quanto al tempo di Viola, esso è tagliato perché con la morte del marito (che a sua volta necessitava di scandirlo e dominarlo, per mestiere e per nevrosi, e che ha avuto comunque la vita interrotta bruscamente da una cesura imprevista, l’infarto) – come hai rilevato – il suo percorso umano d’un tratto è diviso tra un prima e un dopo. Ma è soprattutto il suo tempo personale a essere tagliato, e cioè ridotto all’osso, poiché Viola ha scelto di dedicare la propria esistenza al servizio della famiglia, alle urgenze e alle velleità del marito e della figlia, trascurando le proprie. Che poi è la condizione in cui versano molte persone: chi ha un forte senso del dovere, e finisce con identificare la propria realizzazione con quella altrui. Infine c’è il concetto di tempo musicale, sì. Il 2/2 è un tempo che ha due movimenti marcati, il battere e il levare, che in qualche modo riproducono il prima e il dopo di cui ho parlato prima, il ticchettio di un orologio, l’inspirazione e l’espirazione, e anche il battito del cuore (nel libro a un certo punto parlo di battiti per minuto, bpm: termine che si usa tanto in musica quanto in cardiologia). Forse era questo il mio fine. Associare musica e vita, musica e amore, musica e scrittura. Creare un forte legame simbolico utilizzando l’idea di ritmo.
CM – Il repertorio del marito di Viola sembra prediligere la grande musica classica pre-romantica: non ama l’Ottocento, evita, si direbbe, ogni intrusione nel Novecento. C’è, in questa scelta, il desiderio di una musica che sia perfettamente ordinata, fondata su un attento, implacabile equilibrio contrappuntistico – una musica che ha trovato la sua più compiuta espressione in Bach?
SL – Esatto, Claudio. Per molti esperti (io non lo sono, posso solo definirmi una “amante” della musica) Bach è colui che meglio rappresenta l’idea di ordine, di perfezione. Pensa ai suoi canoni (alcuni dei quali pare fossero improvvisazioni su un tema), alla sua “Arte della fuga”: vi è una tale compiutezza in essi, e nel contempo una grande audacia nel cercare nuove soluzioni, sempre in quel preciso equilibrio di cui parli. Pare che Bach avesse aderito al neopitagorismo, che credesse cioè in una stretta relazione tra matematica e musica, e tra musica e ricerca spirituale. I suoi canoni perpetui, in questa ottica, sono stati interpretati come la rappresentazione in musica del movimento delle stelle nelle loro orbite. Bach è dunque spesso associato alla teoria della Musica delle Sfere, e per me è impossibile non collegarlo a Dante, che vede nell’armonia cosmica la manifestazione del divino. Federico, il marito di Viola, ama questo genere di musica perché gli è di conforto: è un uomo colto, sensibile, spesso con la mente se ne va altrove, in un mondo tutto suo, una sorta di Iperuranio.
CM – Se il marito è una fuga di Bach, Viola musicalmente a quale forma corrisponde? La citazione posta in esergo fa riferimento al ricercare, come forma musicale antica e originaria, da cui si sarebbero sviluppate strutture più vincolate, come appunto la fuga. La si potrebbe applicare, con la consueta dose di approssimazione, anche alla ricerca personale di Viola di un suo suono, di una sua parte?
SL – Viola, nelle mie intenzioni, è il pop. O comunque un genere più “moderno”. A un certo punto parla dei suoi gusti, accenna ai Depeche Mode, a Bowie, ai Pink Floyd. Non è che non apprezzi Bach, ma non disdegnerebbe ogni tanto (anche sotto metafora) qualche nota meno canonica, un po’ di improvvisazione. Nella vita come nella musica. Ricercare era la parola con cui, in origine, si indicava la fuga. Ecco, qui ho giocato ancora, come con la parola “tempo”: credo si colga, nel romanzo, l’insofferenza che Viola ha covato per molto tempo, avendo scelto di vivere in funzione dei ritmi altrui, e trovandovisi poi incastrata. Ed è da tutto questo che, più o meno consciamente, decide di fuggire. Per smettere di scappare da se stessa, dalle verità che deve ammettere. Una fuga vera e propria, del tutto improvvisata, per ricercare se stessa.
CM – C’è, in questo riferimento al ricercare, anche l’indicazione di un metodo di scrittura? Perché effettivamente il tuo romanzo stesso pare mosso da un senso di ricerca, di esplorazione analogo a quello che spinge Viola, che lo tiene ben lontano da ogni prevedibilità, e che si coniuga bene con un senso complementare di fuga dal passato, o almeno di ridefinizione del passato.
SL – Approfitto di questa domanda, Claudio, per ringraziarti: hai letto con tale attenzione il mio libro che nulla pare esserti sfuggito, né della storia né del modo in cui l’ho narrata.
Sì, credo che la scrittura debba essere in continua evoluzione e che qualcosa sia ancora possibile re-inventare, in ambito letterario. Per questa ragione spesso, nel rileggermi, penso che quel passaggio lo modificherei, che quel periodo lo scriverei in modo diverso. Una storia può essere narrata in molti modi, ma solo uno – di volta in volta – è per me il modo giusto: quello che non solo si mette al servizio della storia, ma porta a essa un valore aggiunto. Quando ho preso a scrivere “Il tempo tagliato” sapevo che, tutto sommato, narrava una storia abbastanza ordinaria. Ma volevo fortemente raccontarla, attribuirle dignità letteraria (penso che nessuna esperienza umana sia banale, che ogni esistenza abbia valore). E allora ho deciso che me la sarei giocata anche sulla forma. Si parla di musica, in questo libro: ciò che ho fatto è stato tentare di attribuire al testo una cadenza musicale. La forma è importante tanto quanto l’intreccio. Lungi mille miglia dall’idea dell’effetto speciale, una scrittura fuori dall’ordinario può riscattare l’ordinarietà reale o presunta di qualsiasi narrazione.
CM – Allargando il discorso: come ritieni che la letteratura possa accostarsi alla musica, “raccontarla”, evocarla?
SL – Credo fermamente che le arti siano connesse tra loro, e trovo che ciò sia commovente. Quando scriviamo, per esempio, stiamo anche dipingendo ritratti e paesaggi. E stiamo dando tridimensionalità a personaggi e ambienti, come accade nella scultura. Il legame tra letteratura e musica, poi, è ancora più evidente, dal mio punto di vista. Penso a quanto sia importante che le parole, nel loro susseguirsi, abbiano un ritmo e un suono preciso. Il suono è tutto, perché ricrea nell’animo di chi legge una sensazione di armonia o disarmonia, a seconda delle situazioni che stiamo descrivendo. E la punteggiatura, non è forse una questione di ritmo e di respiro, come quando si canta? Descrivere la musica forse è più difficile, ma non impossibile. Per fortuna esistono le canzoni, che offrono la possibilità di una fruizione diretta del legame stretto tra musica e parola. Anche per chi non si intende troppo né dell’una né dell’altra.
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Il libro
Nella luce di un giugno radioso e sfacciato, Viola sente crescere il vuoto delle sue giornate. Ha quarantatré anni, e per metà della vita è stata moglie devota di un acclamato direttore d’orchestra e madre di una figlia avuta da giovanissima. Nient’altro, nessuna concessione a se stessa, nessun inciampo, nemmeno ora che, con la morte improvvisa del marito e una figlia ormai adulta, le sue giornate sono scandite dalla solitudine.
Il pomeriggio del solstizio d’estate, durante un concerto in memoria del marito, Viola conosce un uomo e qualcosa accade dentro di lei: una breccia nel muro, un’infiltrazione d’acqua nelle crepe, un punto di sutura che si dissolve. Mentre nel chiostro assolato risuonano le note di Bach, un’impacciata Viola in abito da cocktail, il filo di perle al collo e i capelli raccolti, lascia il concerto e fugge in macchina con lui. La tentazione è quella di abbandonarsi, di lasciarsi portare dalla corrente, ma l’autocontrollo è la disciplina in cui Viola eccelle e quello che sta succedendo non è solo sconveniente: è assurdo. Eppure è tardi per tornare indietro, perché il viaggio è iniziato, e con quell’uomo lei sta andando esattamente dove desiderava da tempo: lontano. Lontano da tutto per avvicinarsi alla sua verità, semplice e scandalosa.
[Silvia Longo è nata a Cuneo nel 1965 e vive ad Alba con il marito e il figlio. Lavora presso una cooperativa che si occupa di disagio sociale.]
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