LE NOSTRE VITE TRA DIRITTO E WEB – N. 23 –
Leggi L’introduzione di Massimo Maugeri e Simona Lo Iacono
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L’IDENTITÀ DIGITALE E IL TESTAMENTO DIGITALE
Nel linguaggio comune, la locuzione “identità digitale” indica l’insieme di informazioni presenti on line e relative ad un soggetto, o ad un ente. Si pensi ad esempio ai dati inseriti nell’account su un social network in cui vengono riversate informazioni della più varia natura: pensieri, foto, video, note, opinioni: una vera identità digitale, alternativa e cumulativa con quella reale.
Benché priva di specifici riscontri normativi, tale nozione è comunque entrata a far parte, in questi ultimi anni, del vocabolario del giurista, in due distinte declinazioni.
In una prima, e più ampia accezione, l’espressione è utilizzata come sinonimo di identità in rete o virtuale. Frequente è, ad esempio, il suo impiego nell’ambito dei discorsi giuridici e sociologici circa la distinzione tra “corpo fisico” e “corpo elettronico” oppure, e soprattutto, circa la possibilità di assumere diverse “identità personali” in rete (cfr. S. RODOTA’, Tecnopolitica. La democrazia e le nuove tecnologie della comunicazione, II ed., Roma-Bari, 2004, 139 ss. il quale sottolinea come, mai come in questo caso, risulta appropriato il richiamo alla radice etimologica del termine persona, in quanto “prosopon”, maschera).
In un’accezione più ristretta, che rivela molteplici punti di contatto con la formula legislativa di “identità informatica”, l’espressione identità digitale è impiegata dagli esperti di informatica e dai cultori del diritto dell’informatica per designare: l’insieme delle informazioni e delle risorse concesse da un sistema informatico ad un particolare utilizzatore del suddetto (questa è la definizione proposta da Wikipedia).
Già da questi rilievi, emerge chiaramente come qualsiasi discorso sull’identità digitale dovrebbe toccare necessariamente due aspetti: quello della tutela dell’identità personale in rete (specie nei suoi profili reputazionali) e quello delle tecniche di identificazione del soggetto a mezzo di strumenti informatici. Si tratta di aspetti logicamente distinti, ma strettamente correlati, se solo si considera che la capacità di assumere diverse identità in rete è condizionata alla possibilità di mantenere una qualche forma di anonimato e dunque di non essere identificati per la propria identità reale.
Altro problema che pone l’identità digitale è quello della sua gestione post mortem.
Secondo Ugo Bechini, membro della commissione informatica del Consiglio nazionale del Notariato, in merito a quella che ormai può essere considerata una nostra seconda identità, si potrebbe prevedere un vero e proprio “testamento digitale” che contempli le ultime volontà del testatore: lasciando specifiche istruzioni sulla sorte dei propri dati, nominando un esecutore testamentario ovvero informando in vita gli eredi circa l’identità, il numero e i dati d’accesso dei propri account.
Tuttavia, le fattispecie configurabili nel mondo del web 2.0 presentano delle caratteristiche del tutto nuove e che mal si adattano ad essere ricondotte agli ordinari istituti successori.
Al fine di comprendere al meglio l’ampiezza di tale problema basta semplicemente considerare che sulla pagina personale di ogni utente appaiono le informazioni relative ad altri numerosi contatti e, inoltre, che alcuni network (come ad esempio Facebook) seguono la prassi di consentire l’utilizzo del medesimo account anche per fare il login su diversi siti esterni ad esso, i quali, al loro volta, consentono di usare il profilo per effettuare l’accesso, piuttosto che richiedere la registrazione o iscrizione.
In tali casi, a parte l’esigenza di tutelare la privacy degli “amici virtuali” del de cuius, occorre stabilire soprattutto se la successione mortis causa nel diritto di accedere al profilo principale attribuisca all’erede il diritto all’utilizzo degli account collegati a quello principale.
Negli States, e precisamente nel Nebraska, è stata approvata nel 2012 una legge (che peraltro dovrebbe essere entrata in vigore proprio quest’anno) in grado di regolare questa disputa, con particolare attenzione per gli account facebook di persone morte.
Secondo questa legge, infatti, la successione dell’account sarà gestita così come tutti gli altri beni immobiliari: pertanto l’account facebook verrà ereditato dal successore della persona defunta, a meno che non ci sia un’esplicita richiesta o le autorità trovino irregolarità nell’individuo. Dunque, in base a tale legislazione, l’identità digitale diventa a tutti gli effetti un bene personale liberamente trasferibile.
In Italia, invece, la disputa è destinata a permanere, e ciò sia poiché manca una regolamentazione specifica del fenomeno (lo stesso Codice dell’Amministrazione Digitale contempla e definisce soltanto le nozioni di “carta d’identità elettronica e di firma digitale), sia perché l’identità digitale, come già sottolineato, coinvolge una complessità di temi il cui coordinamento risulta assai difficile.
L’esigenza di trasferire mortis causa la propria identità digitale rimane tuttavia circoscritta a casi isolati (si pensi ad esempio ai personaggi famosi le cui pagine personali vengono mantenute a fini commemorativi); più frequentemente, invece, il titolare di un profilo virtuale vuole assicurarsi che in seguito alla sua dipartita, l’account personale venga eliminato in maniera definitiva.
In tale seconda evenienza la tematica relativa all’identità digitale si intreccia dunque con il c.d. “diritto all’oblio”.
In tale ottica l’azienda di Mountain View ha già preso in esame il problema e ha reso disponibile un servizio che dà la possibilità agli iscritti ai vari servizi – da Gmail a YouTube, solo per citarne alcuni – di stabilire che fine faranno i propri dati dopo un periodo di inattività dell’account. E quindi anche dopo il decesso. L’opzione si chiama ‘Inactive Account Manager’ (Gestione account inattivo), un termine «un po’ brutto» ammette la stessa azienda di Mountain View. Introduce una serie di automatismi dettati dallo stesso utente per avviare la cancellazione della propria iscrizione ai diversi servizi della società e dei dati raccolti online nel corso degli anni. Per esempio, sarà possibile scegliere di eliminare il nostro profilo dopo un periodo che va dai tre ai 12 mesi di inattività o decidere di lasciare i nostri dati in eredità ad una persona di cui ci fidiamo. È possibile specificare fino a 10 contatti che dovranno essere avvisati dell’inattività dell’account e identificarli eventualmente come ereditari dei propri contenuti.
(fonti varie)
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