Dicembre 22, 2024

182 thoughts on “IL TRENO DELL’ULTIMA NOTTE. Incontro con Dacia Maraini

  1. Come vi ho scritto sul post, ho contattato Dacia Maraini la quale si è detta disponibile a rispondere a vostre eventuali domande.
    Spero solo che non si creino degli accavallamenti di impegni per lei )per esempio, credo che sia alla Fiera del libro di Torino).
    Vi terrò aggiornati.
    Intanto chiedete, se vi va.

  2. Se non ricordo male Lorenzo Mondo, su Tuttolibri (di un paio di numeri fa), ha parlato di questo nuovo romanzo della Maraini come ilmigliore dai tempi de “La lunga vita di Marianna Ucrìa”.

  3. In ogni caso, visto che il libro – per certi versi – affronta due grandi tragedie del Novecento vi ripropongo le domande che potrebbero avviare una discussione di “carattere generale”.

    1. Fino a che punto le grandi tragedie del Novecento sono state metabolizzate?

    2. Che segni tangibili hanno lasciato su quest’epoca super-veloce che si è catapulta sui binari del nuovo millennio?

    3. Che rischi ci sono che le grandi tragedie del Novecento possano riproporsi nel futuro più o meno immediato?

    4. Fino a che punto la Storia riesce a imparare da se stessa?

  4. Premetto che non ho ancora letto il libro, per cui posso solo, per il momento, provare a rispondere alle tue domande, Massimo. Io credo che la quarta le riassuma tutte, e la mia risposta è: poco o nulla.
    La Storia sono uomini, e gli uomini, mi pare di vedere, ricordano solo quello che hanno vissuto sulla propria pelle o, al massimo, quello che è passato sulla pelle dei propri genitori. Restano per lo più impermeabili a ciò che accade al vicino (o lontano, ma non siamo forse tutti ormai vicini?) di casa, mentre ciò che è accaduto cent’anni fa viene avvolto in un’alone di leggenda. Magari si studia a scuola, ma si ritiene, per lo più, che non possa accadere proprio a noi, che la nostra vita non verrà mai toccata da nulla di simile.
    A fronte di un manipolo di persone decise a ricordare a ogni costo c’è una massa impressionante di indifferenti, o di ignoranti volontari (nel senso di persone che hanno la piena volontà di continuare a saperne poco e male).
    Con queste premesse temo che ci sia un’altissima probabilità che si ricadrà negli stessi errori (e lo stiamo già vedendo, mi pare).

    sabrina

    ps ho notato che in pochi giorni ci siamo spostati per due volte a Budapest..

  5. Il nuovo libro della Maraini lo sto leggendo in questi giorni e mi pare davvero straordinario.

  6. Vorrei chiedere a Dacia Maraini qual è tra i suoi libri quello a cui si sente più legata, e perché.
    Sorrisi a tutti.
    Smile

  7. Io credo che la storia tutto sommato riesca a imparare dai propri errori.
    In fondo in questi ultimi anni l’Europa ha conosciuto il periodo di pace più lungo della sua storia.

  8. L’uomo non è un animale intelligente. Se lo fosse non ricadrebbe negli stessi errori. Si dice che la storia insegna, ma o gli alunni sono svogliati, oppure preferiscono restare ignoranti. Del resto la democrazia, pur rimanendo la migliore forma di governo, nonostante le sue imperfezioni, è difficile da realizzare e il totalitarismo è sempre dietro l’angolo, pronto a intervenire, magari in forme disparate, come l’oligarchia, che caratterizza molte delle attuali “pseudo democrazie” occidentali, fra le quali quella del nostro paese.
    In genere ci sono pochi ben precisi centri di potere, che fanno capo a un esiguo numero di individui, che non solo decidono per gli altri, ma impongono le loro scelte, senza che la grande massa possa intervenire, o per indifferenza o per letargia, o per entrambe.
    Oggi come oggi, dato che i media sono in grado di infuenzare ogni cosa, è evidente che è possibile riuscire più facilmente ad addormentare le menti e a soggiogare popoli sempre più propensi ad accettare supinamente imposizioni di cui nemmeno si accorgono.
    Ovviamente, fra le conseguenze, c’è anche una marcata decadenza culturale, che è forse l’aspetto più devastante, perchè l’incapacità di accrescersi intellettualmente pregiudica ogni possibilità di cambiamento.

  9. Mi trovo molto in sintonia con il commento di Sabrina. “La storia è ciclica” ed è una regola che nessuno storico smentirebbe mai. Per tale motivo ritengo che gli insegnamenti e le metabolizzazioni legati agli eventi della Storia siano prevalentemente fittizzi. Le guerre, gli sconvolgimenti, le tragedie, gli accadimenti in generale hanno memoria breve. Suppongo che il riproporsi degli stessi errori sia legato prevalentemente alla natura umana. Senza fare della bassa demagogia, Machiavelli aveva maledettamente ragione sulla natura negativa dell’uomo.

  10. Sì, ma è vero o no che l’Europa sta conoscendo uno dei periodi di pace più lunghi della sua storia?
    Il processo che ha portato alla costituzione dell’Unione europea è nato per caso o perché si è tenuto conto degli aspetti devastanti della storia del Novecento?

  11. Giulio, se nell’Europa ci vogliamo mettere anche i Balcani non mi pare…
    La maggior parte dei Paesi dell’Europa è in pace, certo, ma non mi sembra che i fabbricanti e i commercianti di armi di quei Paesi siano disoccupati. (anzi! Basta dare un’occhiata ai numeri dell’industria bellica del nostro…)
    Forse staremo in pace finché riusciremo a vendere morte altrove. Ma se questo si possa definire “imparare dai propri errori” io ho forti dubbi.

  12. Certo, i Balcani sono stati una ferita grave sul costato dell’Europa. Non lo nego. Ma io mi riferivo ai paesi che hanno aderito all’Unione Europea e al fatto che il progetto dell’Unione nasce proprio da riflessioni successive al secondo dopoguerra.
    Credo che questo sia un fatto innegabile. E se ciò è vero, dire che la Storia non impara dai propri errori mi sembra un luogo comune.

  13. a dacia maraini.
    la scrittura di questo libro nasce da un’esigenza o soltanto dalla voglia di sviluppare un’idea?

  14. @Giulio: andrei piano a entusiasmarmi con l’Unione Europea, che di fatto è ancora una facciata, ma non un’unione di stati. Politicamente ogni componente è autonomo e ognuno partecipa con i suoi distinguo. Il motivo per cui è nata l’Unione Europea è solo l’aver compreso che in presenza di due stati antagonisti e dominanti come gli USA e l’Unione Sovietica prima e la Russia dopo, i paesi europei non avrebbero avuto alcun peso sulla scena mondiale e quindi non è stato al fine di evitare il ripetersi di guerre fratricide, ma frutto di un calcolo d’interesse.
    Se la storia veramente insegnasse, l’uomo sarebbe ben diverso, più solidale, più consapevole dei suoi limiti e capace di correggersi.

  15. Ho letto tutti i libri di Dacia Maraini, sono una sua appassionata lettrice, ma ancora non ho letto questo suo ultimo. Lo acquisterò appena possibile e sono sicura che mi piacerà e che mi darà ulteriori spunti di riflessione, come sempre.
    Il momento attuale è, secondo me, un momento difficile e pericoloso per la stasi che segna. Il mito dell’eldorado sta imbracando le coscienze e interi popoli stanno rivendicando la corsa a quel benessere che viene vissuto come sola possibilità di riscatto. Ovviamente legittima rivendicazione per esseri umani in stato di disperazione invivibile. Però, quasi sempre, l’accesso al benessere si paga con il bavaglio fatto di ignoranza e di bisogni indotti, due stati che non vengono corretti nè risolti dalle attuali forme di governo…e la Castalia è irraggiungibile.
    Ho postato nel mio blog uno stralcio da Tocqueville che mi sembra terribilmente attuale.
    Vorrei chiede all’Autrice, sempre con la premessa che non avendo ancora letto il suo libro potrebbe già aver dato la risposta, quali sono ancora le speranze che un uomo libero può proiettare nel prossimo futuro.
    E se a questo addormentamento delle coscienze c’è possibilità di riparo.
    Grazie. Un caro saluto.

  16. Tornando a Dacia Maraini, dopo aver visto la sua intervista, ed essermi anche commossa, in certi momenti (quello in cui parlava del gelato “più buono del mondo” per esempio), mi piacerebbe farle una domanda.

    A un certo punto dell’intervista, Lei ricorda la sua esperienza del teatro di strada, e della difficoltà di “far fermare le persone”, di attirare davvero la loro attenzione.
    Oggi, come scrittrice affermata (la più nota scrittrice italiana all’estero, dice la Bignardi, ed è facile crederci) sente ancora questa difficoltà a ottenere davvero l’attenzione della gente, magari dei giovani, che la conoscono di meno e che sono attratti da un certo mondo lontano anni luce da Lei e dai temi che le stanno a cuore? Quali potrebbero essere, oggi quei tamburi (metaforici)?
    Grazie

    Sabrina

  17. scrivo frettolosamente, con tempi stretti.
    Qualcuno qui dice, la storia non insegna niente, l’uomo si scorda subito, le cose si ripetono. Questa cosa secondo me è solo parzialmente vera. Sul fatto che l’uomo non migliori e abbia un seme perfido costantemente pronto a germogliare – beh abbiamo tutti perso la verginità da molto tempo. E si, certe cose tendono a ritornare. Non sono convinta però sul fatto che ritornino sempre nello stesso modo, e che la coscienza collettiva di volta in volta non sia in grado di fornire una resistenza più capace, di fonte al seme della perfidia. O della discriminazione, o dell’attrazione totalitaria.
    Non sarei così sicura insomma dei corsi e ricorsi storici matematicamente determinati: siamo tutti troppo giovani, in termini di storia della civiltà, per poter usare l’indicativo con certezza. Le acquisizioni in campo civile che sono arrivata dalla rivoluzione francese in poi, moltissime anche nel 900, sono cose così increibilmente recenti, e così radicalmente differenti da tutto il prima, che no, ci sono delle enormi differenze.
    Credo di aver scritto più cose oscure che altro.
    Se riesco, torno a chiarirmi più tardi.

  18. Zaub, non credo che tu abbia scritto cose oscure, anzi. Hai chiarito, in fondo il mio stesso pensiero, anch’io credo che, tutto sommato, un evoluzione ci sia e che la storia dell’umanità è troppo breve per poterne dare un giudizio globale e determinante. Probabilmente è la diffusione della consapevolezza che continua a crescere, nonostante tutto.
    Però che la realtà della barbarie con cui dobbiamo ancora confrontarci, e parlo degli avvenimenti che qui sono stati ampiamente trattati: guerre, soprusi, razzismo, sfruttamento delle risorse, ecc. sono ancora parte integrante dei nostri sitemi sociali, questo non si può negare. Dobbiamo pensare che fra milioni di anni la Terra sarà abitata da una umanità completamente diversa da quella attuale, In grado di vivere finalmente la giustizia e la fratellanza?…Ben venga, se prima questa attuale non si sarà autoestinta. E questo può accadere, in quanto interi popoli preferiscono dormire mentre pochi governanti spregiudicati si attribuiscono risorse e poteri, nel soddisfacimento di faraoniche brame, assolutamente insensibili al presente che è solo da sfruttare ed al futuro che nemmeno considerano.
    ciao, z
    cri

  19. Mi piacerebbe chiedere a Dacia Maraini quand’è che ha pensato per la prima volta alla scrittura di questo libro. E quanto tempo ha impiegato per scriverlo.
    Grazie mille.
    Raf

  20. Giro attorno a questo libro da un po’ di tempo, mi capita davanti un po’ ovunque e credo che lo comprerò. Non amo in particoalre la Maraini, però ammetto che le sue donne sono sempe a tutto tondo…

  21. Concordo con chi afferma che la storia è ciclica; lo è con il susseguirsi continuo delle generazioni.
    D’altra parte credo, però, che nell’insieme delle vicende storiche si possa notare un progredire, lento ma continuo, interrotto a tratti da ricadute, che ci rendono ancor più perplessi sulla speranza del suo progredire per il nostro meglio.
    Come in ogni situazione precaria e tragica, bisogna sempre conservare una fede nel futuro, essa è l’unica forza che ci sostiene e aiuta a sopportare un presente ostile e distruttivo.
    Avendo letto i libri di Lylli Brett, suo padre fu internato ad Auschwitz e riuscì a sopravvivere, e anche perché conosco i luoghi e le città descritte, credo di capire bene il significato del libro di Dacia Maraini.
    Sono libri che impressionano e ci lasciano perplessi, su come l’uomo possa essere ancora così mostruoso, su come i superstiti abbiano potuto sopravvivere e, dopo, vivere ancora una vita.
    I più, lo fanno chiudendo con il loro passato del quale non vogliono sapere e nemmeno raccontare nulla, tanto sono bloccati e tanto il bloccaggio è diventato per loro una necessità vitale.
    Nei pochi momenti di apertura, non riescono a nascondere le emozioni sofferte, che trapelano dai loro sguardi che ridiventano improvvisamente distrutti, di nuovo sofferenti e apatici come allora.
    Raccontano poco, e lo fanno con negligenza e nervosità e solo per appagare la curiosità richiedente dei famigliari, i quali cercano di capire l’accaduto, che appare loro come una storia incredibile, per poterli poi distrarre e sollevarli con la loro premurosità, vicinanza e interesse. Si nota quindi un parallelismo tra la mostruosità del raccontato e la nostra capacità di assumerlo e comprenderlo.
    Di certo leggerò il libro, non appena lo troverò nella mia città, e riferirò sulle mie impressioni che mi avrà lasciato.
    Ringrazio Dacia Maraini per aver raccontato di un tempo, che sarebbe bene e proprio a causa del trascorrere delle generazioni, di non dimenticare mai, assumendolo come monito sulle tendenze dell’uomo a creare come distruggere, senza timore alcuno e a volta anche con molta passione.
    Lorenzo

  22. Tra i pregi che ho sempre riscontrato nella scrittura di Dacia Maraini ci sono quelli della semplicità e della chiarezza. Pregi fondamentali, a mio avviso, specialmente se si vogliono trasmettere concetti e sensazioni “difficili”. Credo che questo romanzo ( a occhio) non faccia eccezione. Quello che sinceramente spero è che sia un racconto e che non trasmetta messaggi.
    Per rispondere, quindi, anche ai quesiti di Massimo esprimo la mia ormai cronica insofferenza verso i messaggi su cicatrici storiche ancora aperte. Troppo grande è il rischio che il piacere di raccontare venga recepito come un invito a giudicare, a dividersi, a non chiudere mai e poi mai i conti con il passato.
    Quello che hanno passato gli ebrei in tutto il mondo è storia. E’ storia pessima, è orrore senza condizioni. Tra l’altra mi fa piacere la parte che Dacia Maraini dedica agli ebrei ungheresi. Forse la Storia non ha parlato molto di quello che avvenne in quella nazione e di quanto il collaborazionismo con i tedeschi risultò micidiale verso gli ungheresi.
    Contesto, inoltre, che certi libri (non parlo di quello di Dacia Maraini) servano “a non dimenticare”. Cerchiamo di non essere ipocriti. Ormai l’Olocausto lo ignora e/o lo dimentica solo chi vuole farlo. Viceversa è impossibile. E, alle nuove generazioni, sarà compito di insegnanti e genitori raccontare quello che fu, semmai.
    Ma raccontare ciò che avviene in un mondo che non è più quello del 1939.
    Non mi pare che oggi il pericolo per gli ebrei arrivi dalla Germania. Il mondo è cambiato, le forme d’odio sono rimaste ma in un certo senso hanno subito una rivoluzione geografica.
    Insomma, il bambino ebreo che oggi desse un calcio negli stinchi al turista tedesco, sarebbe una cosa fuori dal mondo. E, temo, certi libri (non quello di Dacia, ribadisco), possono solo creare caos e sbagliare bersaglio.
    I “se questo è un uomo”, i “tu passerai per il camino” sono testimonianze di grande letteratura e di gigantesche esperienze umane. Sono senza dubbio anche una testimonianza di un orrore che definire deprecabile è un eufemismo. Ma Hitler non c’è più o, se c’è, non è più in Germania.
    Sono stato alla fiera del libro di Torino. Perchè cazzo mai non si doveva invitare Israele, mi sono chiesto? Credo che gli ebrei siano stati costretti dalla storia a diventare essi stessi razzisti, ma non tutti. E comunque Israele è cultura, è libri ed è civiltà da conoscere.
    Questo, però, non mi fa in alcun modo essere in opposizione ai palestinesi. Capisco le loro motivazioni. Ovviamente capisco anche la violenza tra i due popoli anche se tutto il mondo (o quasi) auspica la pace. Quella pace che, purtroppo, sembra sempre una lontana utopia. Ma a renderla meno utopica non credo servano i libri o i film che, sotto sotto, ti dicono “ricordati di odiare”.

  23. Mi verrebbe da dire che non lo so se una “evoluzione” c’è stata, sono cambiate le condizioni tecniche e spostati i baricentri delle azioni; la Jugoslavia, diventata ex nel modo che sappiamo, mi convince che l’uomo, e scusate se ritorno a Mc Carthy, è sempre sulla strada con i suoi miseri resti. Però sa come stanno le cose, è avvertito e conosce, più dall’Arte ( Letteratura) che dalla storia, tutti i precedenti. La storia si dimentica, si mistifica, viene rivestita di retorica, evocata, ma il suo insieme di dolore, acquiescenza, inganni e bizzarrie, resta lì nel suo tempo passato. Veri e maestri di vita sono le testimonianze e i sentimenti di chi c’era, c’era stato. Moltitudini che unite insieme non rendono i fatti, forse, ma evocano lo smarrimento, la paura, lo sradicamento e l’orrore.
    Leggerò sicuramente il libro di Dacia Maraini ambientato in un momento storico di cui non si è scritto abbastanza: i fatti d’Ungheria, ma non solo.
    Conoscevo l’Ungheria, nel senso che ne avevo sentito parlare, prima di studiarla a scuola. Sentivo mio padre, e i suoi amici, operai come lui, che accennavano in continuazione a quei fatti e alla legge truffa. Ripetevano sempre, che nonostante Budapest il pci, aveva vinto, come nel 53 contro la legge truffa. Vittoria! Caratteri rossi a tutta pagina su una copia dell’Unità, che per anni restò, riposta, nei cassetti di casa. Non capivo e se facevo domande la risposta era che, appunto, non potevo capire, non ancora. Allora mi concentravo sui nomi e Budapest, che finiva ricordando un terribile morbo, mi suonava minaccioso. E i morti, perché lì “anche di noi ne avevano ammazzati tanti” furono migliaia e migliaia. Miklòs Jancso, anni dopo, mi schiarì le idee; quei suoi film pesantissimi, rigorosamente in bianco e nero, e sempre accompagnati da un dibattito, mi diedero un insieme più compiuto. Ma per Orwell, e la Fattoria degli animali, mi ci volle ancora del tempo.

  24. Bhe,
    Solenne, gentile e monumentale Signora @Dacia Maraini,
    il ruvido e geniale intellettuale che è @Enrico Gregori, l’ha “messa giù” con una semplicità quasi pari a quella che è adusa usare Lei.
    “Lui” spera (ed anche io che lo condivido, faccio voti.) che il suo sia un “libro”, un accumulatore di sensazioni, una teca di passioni, un deposito di umori, un accumulo di pulsioni, una raccolta di sentimenti trattenuti che escono fuori quando il cuore (o chi per esso) non li trattiene più e intende espellerli, per donarli o buttarli (sta al lettore la disanima), non, viceversa, un manifesto di ricordi o di livori, di quelli sono pieni i saggi degli storici e le polemiche dei politologi di mestiere, quelli che, se avessero potuto, sarebbero diventati romanzieri, o politici.
    Il romanzo deve “usare” la storia, manipolarla, sottometterla, reinventarla, non trasmetterne “il messaggio”, altrimenti libro diventa vietato leggerlo in poltrona o tra due soffici guanciali, mentre ti trasporta altrove; diversamente diventa una croce, da indossare dietro una scrivania, mentre lo si studia, ed io come lettore non voglio questo,
    spero non lo vogliano gli altri.
    Con grande affetto, signora Maraini, grandissimo affetto.

  25. Ho chiamato Dacia Maraini per metterla al corrente del post. Credo che entro domattina (salvo imprevisti) risponderà alle vostre domande e sollecitazioni.
    Io, intanto, ne approfitto per ringraziarla per la disponibilità.
    (So che è impegnatissima e “richiesta” da più parti per presentare questo nuovo libro).

  26. Fino a che punto la Storia riesce a imparare da se stessa?
    Tra le domande poste forse è proprio questa la più retorica (che dite?).
    Perché è quasi naturale (spontaneo) rispondere: be’, no… la Storia difficilmente riesce a imparare da se stessa.
    Vero.
    Però a volte mi viene in mente che si arriva a un punto in cui la Storia è costretta a imparare dai propri errori. Perché quello successivo potrebbe essere l’ultimo.
    Mi viene in mente la celebre frase di Einstein:
    Io non so con quali armi sarà combattuta la Terza Guerra Mondiale, ma so che la Quarta sarà combattuta con pietre e bastoni.
    Cosa ne pensate?

  27. Rispondo alla domanda di Massimo pensando anche al commento bello ma che non condivido del tutto, dell’uomo con sei nasi, tutti che starnutiscono nell’amigdala. Poverino. Enrico Gregori.
    La questrione dell’insegnamento storico, passa anche, pur se non solo, tramite la metafora letteraria. Io credo che il problema non sia: ricordiamo l’olocausto per evitare che torni l’antisemitismo. L’antisemitismo in effetti cambia le sue forme, non muore rimpicciolisce certe epoche si rigonfia in altre. Ma questo è secondario. Il primario è che ogni esperienza di vita ha la romanzabilità per diventare metafora di qualcosa più ampio. l’olocausto ha questo potentissima capacità esemplare, per questo molti scrittori ne sono affascinati. In una misura non nascondo, che in molti casi mi disturba. Ma non si può controllare – perchè ora siamo nella fase storica dell’epifania, delle carte che si possono guardare. Ancora non sono noiose, se no Dacia Maraini non avrebbe rischiato con questo plot. Non venderebbe.
    Pure l’esemplareità romanzesca conta. L’esemplareità fa si che non si metta in guardia il lettore da un secondo Hitler contro gli ebrei, ma da una seconda tentazione di discriminazione, di totalitarismo, che assuma altri bersagli altre forme altri percorsi, ma che sempre decida chi è ariano e chi no. Questo non ci leva la passione per la perfidia, ma di volta in volta, forse la fa controllare meglio.
    Io – di questi tempi, di codeste tentazioni ni vedo molte in giro. Mi chiedo e Le chiedo, Signora Maraini se anche questa considerazione non l’abbia spinta verso questa trama.

  28. Ha perfettamente ragione Zaube quando dice che l’antisemitismo non muore ma si sgonfia e si rigonfia in determinate epoche, in particolari momenti. In compenso l’odio etnico, religioso o culturale trova costantemente zone del mondo nelle quali prospera e talvolta esplode (balcani, alcuni paesi africani, ecc..). Anche la “civilissima e occidentalissima” Irlanda è tutt’altro che immune da questo. I Paesi Baschi non sono al confine col BurKina Faso.
    C’è chi soffia costantemente sul fuoco nei contrasti tra occidente cristiano e islam. Per non parlare del perenne conflitto israelo-palestinese. No, forse non c’è al momento un altro Hitler, ma credo che bastino tanti piccoli Karadzic o Mladic per perpetuare le tragedie della storia.

  29. E chi dice che non esista un altro Hitler. Noi identifichiamo il nazismo con Hitler, perchè ne era il capo, ma non dobbiamo dimenticare che se altri non l’avessero spalleggiato il piccolo caporale sarebbe rimasto una nullità. L’uomo Hitler ha fatto da emblema e da catalizzatore di una situazione particolare di un momento, senza dimenticare che alla base del nazismo c’è sempre il concetto di razza superiore e questo esiste ancor prima che Hitler fondi il partito del popolo. Dove serpeggia ancor celato il razzismo è terreno florido perchè rinasca un altro Hitler e purtroppo di simili substrati ne esistono in gran quantità, anche a casa nostra.
    La faccenda più strana è che chi si crede razzialmente superiore lo fa soprattutto per difesa, per un’inconscia e quasi sempre infondata paura nei confronti di un estraneo.
    Ci sono poi abili manipolatori di queste paure e così poco a poco ci si lascia prendere la mano, si è convinti di vedere un nemico dove invece non c’è e si finisce con l’affidare il proprio destino a chi ha già deciso di sacrificare il nostro.

  30. Tento di spiegarmi meglio, poi desisto.
    L’intolleranza non mi piace, non la sopporto. Riesco comunque ancora a distinguere tra l’intolleranza verso Marzullo (per la quale basta spegnere il televisore) e l’intolleranza verso gli ebrei sfociata con i forni crematori.
    La mia idiosincrasia all’intolleranza non mi consente molti distinguo. Mi urta l’intolleranza verso gli ebrei così come quella contro i palestinesi o contro gli americani o contro i cubani.
    Si può essere contrari, molto contrari e fortemente contrari. Esprimere questa contrarietà anche in maniera triviale. Ma il genocidio o l’aspirazione ad effettuarlo non mi piace.
    E i libri che raccontano e che sono in qualche modo testimonianza di questo mi vanno benissimo. Sono invece contrario (nel senso che non mi piacciono, mica auspico la censura), ai libri che in qualche modo impediscano per sempre la rimarginazione delle ferite, la riconciliazione ideologica preferendo, invece, che ognuno continui a difendere la propria inotlleranza. L’intolleranza non è un ideale, è semmai la negazione di qualunque ideale che non sia il proprio.
    Per me non esiste l’intolleranza carina (chessò, quella israeliana nei confronti dei palestinesi) o quella bruttina (arichessò, quella cinese nei confronti dei monaci tibetani).
    Ognuno sarà padrone di essere intollerante come vuole. Io sarò padrone di non parlarci.

  31. Il nazismo è un morbo che invade gli intenti umani quando le circostanze storiche lo favoriscano. Un morbo diventa poi malattia infettiva, e quindi distruttrice, quando attira l’attenzione dei tanti opportunisti di parte, che in sordina aspettano pazienti, per poi insieme riuscire a instaurare un sistema di controllo assoluto che conduce all’eliminazione di tutti coloro che gli sono contrari. Per divulgarsi, il morbo si nutre di una vittima, sulla quale riversare le colpe della precarietà economica in atto, che colpisce la popolazione intera di una nazione, e assicurarsi così il suo appoggio iniziale.
    Per questo è sempre necessario che l’economia e la politica, insieme, creino un minimo di stabilità economica; lo farebbero al meglio, sostenendo efficacemente la politica della solidarietà sociale che va intesa come premessa di ogni convivenza umana.
    Con l’educazione ed istruzione, da sole, praticate nelle scuole, non si risolverebbe mai il problema, e un movimento perverso, come fu il nazismo, potrebbe risorgere sempre di nuovo.
    Allego una mia, sul sorgere del nazismo e sugli effetti distruttori che ha creato.
    Abbiate pazienza per la sua lunghezza.
    La crescita improvvisa del Nazismo, il suo operare, la sua fine:

    Non è possibile fare un confronto con i tempi della seconda guerra mondiale e quelli di oggi in Europa.
    Oggi, siamo stati educati alla libertà d’espressione e d’azione. Le riteniamo un diritto indispensabile e le difendiamo vigorosamente.
    Lo sviluppo enorme dei mezzi di trasmissione rende impossibile velare notizie e verità, che vengono così diffuse addirittura più del necessario e spesso falsamente.
    Ma, i tempi possono cambiare, un regime del terrore potrebbe stabilirsi di nuovo e controllare ogni attività non permessa dal potere.
    La storia della Germania incomincia con la prima guerra mondiale.
    Persa la guerra, la Germania fu costretta dalle nazioni vincenti al pagamento di ingenti somme come riparazioni di guerra.
    Inoltre le fu proibito di armarsi e compiere operazioni armate.
    L’economia del paese, sotto il peso delle pesanti imposizioni e restrizioni non riuscì più a risollevarsi e sfociò in una crisi insostenibile che causò un’enorme disoccupazione, mai riscontrata prima.
    Le nazioni alleate vincenti, timorose di doversi un giorno riconfrontare di nuovo con una tale forte e determinante potenza militare ed economica, vollero punire il paese e lo fecero in modo drastico e irreversibile.
    Non capirono che con queste decisioni avrebbero ottenuto l’effetto contrario.
    Infatti, i tedeschi, umiliati e relegati in una posizione marginale in Europa, reagirono con l’unica arma a loro disposizione, l’odio verso l’Inghilterra e la Francia vincitrici, la volontà di rivendicarsi dell’umiliazione inflitta ,che alimentò il loro orgoglio e favorì l’inclinazione verso un movimento nazionalistico nel quale videro le uniche possibilità di risorgimento.
    Fu così che i nazisti furono eletti alla camera dei rappresentanti del popolo e dettarono, dopo, la loro politica con la forza e il terrore.
    Nessuno pensava, in quel momento, al pericolo che il nuovo movimento nazionale avrebbe fatto sorgere.
    I nazisti venuti al potere con la promessa di creare posti di lavoro, li crearono anche investendo negli armamenti. Gli americani, come sempre buoni affaristi, li aiutarono concedendo loro ingenti crediti.

    La Francia e l’Inghilterra, non ancora risorti dai danni subiti e quindi ancora stanchi della guerra appena finita e sopportata, ignorarono all’inizio il pericolo incombente e mostrarono nessuna preoccupazione verso queste nuove attività dei tedeschi, e dopo, quando il riarmamento divenne visibile, fu troppo tardi per protestare.
    Il popolo tedesco, di allora, fu manovrato dal sistema nazista e usato per i suoi calcoli con l’oppressione, l’intimidazione e spionaggio perfetto e nascosto dei corpi di polizia, addestrati dai capi nazisti e dai fedelissimi del sistema dittatoriale.
    Oggi, per fortuna, i tempi sono cambiati. I popoli d’Europa sono diventati coscienti e capaci di opporsi anche pacificamente ad un regime non gradito.
    La situazione, allora era diversa. Famiglie con figli numerosi e senza lavoro furono costrette a sostenere il sistema totalitario per ottenere in cambio il diritto di lavorare e vivere.
    Tutti coloro che si opposero, perché sorretti dai loro ideali di giustizia e libertà, furono liquidati, o relegati in campi di lavoro, e assunsero il ruolo di martiri della loro coscienza.
    Ho sempre sostenuto che il motivo principale, che fa sorgere un sistema totalitario e le guerre, è la crisi economica che crea disoccupazione, povertà e dipendenza.
    A mio parere, non si può incolpare solo il popolo tedesco, la colpa è un po’ di tutti: delle nazioni vincitrici, degli americani affaristi, delle autorità della chiesa che vennero a meno ai loro compiti, dei ricchi del tempo che poco fecero per riavviare l’economia.
    Un insieme di cause creò un vuoto nelle coscienze di tutti paralizzandole, e nel quale i nazisti poterono operare deliberatamente.
    L’economia odierna del profitto, prima che per il lavoratore, nasconde in se le stesse tracce che potrebbero creare le crisi di allora. Dopo decenni di crescita dovuta alla mancanza d’ogni bene elementare causata dalla distruzione bellica, sta avanzando con passo frettoloso una povertà tra i ceti bassi e medi contro la quale la classe politica ed economica sembra essere sorda, cieca e incurante.
    Sarebbe il caso della ripetizione della storia, dovuta principalmente all’incoscienza, egoismo, avidità e presunzione dell’uomo.

    Parte seconda: la fine del nazismo e nuovo inizio.
    La guerra, iniziata per conquistare tutto il mondo, sta finendo. I fedeli del regime tentano di distruggere ogni traccia delle loro atrocità. Nulla è accaduto, noi, i migliori della razza umana, combatteremo fino all’ultima goccia di sangue, mai ci arrenderemo ai barbari occupatori.
    Migliaia d’innocenti vengono eliminati, così per caso, come roba puzzante e da buttar via.
    L’odio dei fanatici, quando raggiunge le sue ultime fasi, diventa atroce e spazza via tutto, come merce da scarico.
    I furbi vogliono sopravvivere e fuggono verso paesi accoglienti, che pur di guadagnare soldi sanno e vogliono ignorare il loro operato. Cosa conta è solo il denaro, e di esso ne hanno bisogno senza fine.
    Gli scienziati, il meglio del tempo, vengono ricercati e accaparrati; loro non centrano con il nazismo e le sue atrocità, sono utili a chiunque vinca per il progresso e il suo dominio di dopo. Gli USA pensano già al dopo guerra, al confronto con la Russia, il nuovo nemico, anche se tuttora amico per la causa comune di liquidare il sistema nazista e riempire il vuoto politico lasciato.
    Il resto della popolazione cerca con affanno e rassegnazione le sue ultime razioni di cibo e i suoi ultimi possessi tra le macerie della guerra.
    Con volti smarriti, come risvegliati da un incubo e senza aver capito veramente cosa fosse successo, fruga, sotto le macerie, le sue ultime cose, rimaste di un periodo vissuto nell’incoscienza assoluta. Abbiamo sognato. Non eravamo partecipi attivamente. Gli altri, sì, gli altri hanno sfruttato le nostre debolezze e le nostre necessità di vita. È stato un incubo, vissuto nell’inconscio che ci faceva partecipi di azioni orrende, che abbiamo sostenute e tollerate nel godere i vantaggi dei forti contro i deboli, contro gli indifesi. Siamo anche noi esseri umani e capaci di riconoscere e soffrire, ma lo possiamo fare solamente dando la colpa agli altri che con il terrore e la forza ci hanno costretto a tacere, a dimenticare che gli oppressi erano esseri come noi, solo il caso ha voluto che fossero dell’altra parte. Che colpa abbiamo per esserci trovati dalla parte dei vincenti? La vita è un ricevere e un pagare. Ora paghiamo e riconosciamo i nostri torti, che risiedono nelle debolezze della nostra immaturità, ma anche in una situazione di costrizione.
    All’inizio nessuno di noi voleva il terrore, un po’ di pressione, una punizione per gli ebrei porci che ci hanno sfruttato e sono diventati ricchi a spese nostre. Di più non volevamo e non immaginavamo che, come un torrente di montagna, improvvisamente potesse sviluppare una tale quantità d’acqua da sommergere tutto e tutti.
    Di chi la colpa? Dei ricchi naturalmente che ci hanno lasciato affamati, degli affaristi che pensano solo ai loro profitti, dei politici che, una volta eletti sfruttando le debolezze e le necessità degli elettori, vogliono restare lassù, dove noi stessi li abbiamo collocati nel credo di agire per il bene di tutti.
    No, nessuno ne ha colpa, neanche il sig. Hitler. Che colpa dovrebbe avere per le sue inclinazioni psicotiche, che i più non riconobbero ed altri sfruttarono per i propri scopi, per i suoi discorsi rincuoranti ed esaltanti da suscitare ottimismo e fiducia anche nei più scettici? No, nessuna colpa, la colpa è del Dio che ha creato il mondo così com’è.
    Nel male, diamo, poi, la colpa a un Dio fuori di noi, nel bene ci lodiamo d’essere intelligenti e buoni e lo ritroviamo di nuovo in noi.
    Il sistema nazista aveva aspetti e caratteristiche buone e necessarie a quel tempo che invitarono molti a comprenderlo e sostenerlo.
    Finalmente disciplina, diligenza, determinazione precisa e voluta per il benessere di tutto il popolo, unità sfociante in un’obbedienza conseguente per uno scopo comune, quello di elevarsi sugli altri popoli e dimostrare d’essere migliori.
    Sono tutti aspetti e identificazioni sentite necessarie dopo le umiliazioni subite, dopo i periodi di povertà e sfruttamento durante la monarchia, di soppressione esercitata dalla classe aristocratica decadente, dalla gerarchia ecclesiastica servile con il potere e ipocrita verso i bisognosi, dai ricconi e così via.
    È il popolo tedesco, per inclinazione e carattere, predestinato per questi avvenimenti? Penso, almeno in parte, di sì. Intelligente, orgoglioso, laborioso, diligente, costante e spavaldo com’è, fu quasi prescelto a compiere il flusso negativo della storia umana.
    È un flusso che dovremmo contrastare, sempre e in anticipo, con più accanimento e argutezza, tenacia e coraggio, preparazione cognitiva e di coscienza, affinché il Dio del progresso risiedente in noi vinca su quello dell’oscurità.
    Nel dopoguerra, il popolo tedesco dette dimostrazione di poter ricostruire la sua storia nel riconoscimento e superamento degli errori fatti nel periodo più nebuloso della sua esistenza.
    Oggi, è giusto riconoscere i suoi meriti e riconquistare fiducia per un futuro comune.
    Cordiali saluti,
    Russo Lorenzo Gänserndorf, 03.06.06

  32. @ Enrico:
    quella che tu chiami intolleranza è semplicemente razzismo: quando a una situazione fisica (geografica, ecc.) corrisponde un giudizio morale. L’intolleranza è un’altra cosa, oppure è un semplice eufemismo.

  33. @ Enrico
    Sono d’accordo con te, anche perchè questo modo di pensare, cioè chiudersi all’interno di steccati difendendo il proprio odio, finisce per creare il pericoloso caso di credere che alcuni morti siano meno importanti di altri.
    Infatti io nella mia testa ho sempre fatto fatica a capire la differenza che si è sempre fatta in Occidente fra le persone fucilate da Pinochet e quelle uccise da Fidel. Quale fosse il vero discrimne fra queste vittime mi è sempre sfuggito.

  34. @ miriam:
    forse hai ragione. probabilmente l’intolleranza è un termine che può adattarsi a situazioni anche meno cruente. hai presente sergio con gli scrittori americani? ecco, lui non li tollera. magari perché mangiano il bacon invece della trippa al sugo. però di certo non li chiuderebbe a treblinka per passarli al gas.
    a me, però, da fastidio anche la massificazione del pensiero anche se tra lo sterminio degli ebrei e il fastidio verso gli scrittori americani una differenza ce la vedo.

  35. Sono anch’io d’accordo con Zaub nel dire che l’antisemitismo è un fiume sotterraneo che attraversa i secoli assumendo forme diverse ( e servendosi di uomini diversi).
    Ciò che si coglie in questa esperienza storica è il macroscopico contrasto – forse mai emerso in modo così evidente – tra innocenza e persecuzione, tra male e bene. Stupisce che due forze che tendiamo ad astrarre , infatti, si manifestino con questa intensità ed evidenza.
    La ciclicità dell’evento dipende dunque dal rapporto continuo tra questi opposti, dalle risposte che l’uomo sa dare a esso, dalla scelta finale.

    Volevo quindi chiedere alla sig.ra Maraini se nello scrivere il romanzo ha tenuto presente questa ambivalenza della natura umana e della storia, questo oscillare tra spinte contrastanti di cui una distruttiva e l’altra di strenua resistenza o di disumana sopportazione.

  36. “l’antisemitismo è un fiume sotterraneo che attraversa i secoli assumendo forme diverse ( e servendosi di uomini diversi).”
    anche la pedofilia, per esempio. ma com’è mai si scrivono più libri sull’antisemitismo che non sulla pedofilia? Fosse che l’antisemitismo tira di più!

  37. @ Enrico (e agli altri)
    Enrico, partendo dalle tue interessanti considerazioni mi verrebbe da farti una domanda (che giro anche agli altri).
    Il “contribuire a far rimarginare le ferite” è compatibile con il “mantenere vivo il ricordo delle barbarie consumate”?

  38. Poi, Enrico, provo a rispondere un po’ provocatoriamente al tuo precedente commento.
    Mettiamo che l’antisemitismo tiri di più (e venda di più) rispetto alla pedofilia e proviamo a fornirne una spiegazione.
    È possibile che ciò accada perché leggere di pedofilia (a proposito, ricordo la raccolta di racconti “Buio” della Maraini) dà più fastidio che leggere di antisemitismo?
    Non è che la pedofilia è qualcosa di sempre (terribilmente) attuale che coinvolge tutti (tutti abbiamo figli) e di cui ci fa orrore perfino leggere?
    Non è che l’antisemitismo, in fondo, è qualcosa che riguarda “altri”? Qualcosa a cui possiamo permetterci di dedicare la nostra attenzione intellettuale (perché è giusto così) ma senza angosciarci troppo?

  39. estendere ad un popolo intero le colpe di alcuni, o confondere un paese con il suo governo è sempre sbagliato. è intolleranza in sé.
    fare i conti con la storia è necessario, dimenticare è sbagliato, rimuovere ciò che non piace è stupido. le ferite si rimarginano secondo me con una presa di coscienza critica e spietatamente autocritica da parte di tutti.
    anche di coloro che per ignavia mai si schierarono, e che riescono secondo me a detenere il poco invidiabile record di complicità con tutte indistintamente le atrocità, da parte di chiunque.
    augh. ho detto.
    🙂

  40. “l’antisemitismo è un fiume sotterraneo che attraversa i secoli assumendo forme diverse ( e servendosi di uomini diversi).”
    Mi pare una bella frase, Simona.

  41. Apprezzo molto la Maraini come scrittrice e sono daccordo con Gea che non si debba dimenticare. Tuttavia devo confessare che sono unpò stufo di guardare sempre indietro trascurando il presente o, cosa assai peggiore, il futuro. Ho perso gran parte della visione hegeliana della storia e provo una insostenibile insofferenza verso tutto ciò che venga prescritto per una medicalizzazione della memoria. In ricordo delle ferite passate si possono compiere le peggiori barbarie. Vorrei che avessimo un futuro ed una grande voglia di diversità. Lasciatemi esercitare il mio diritto di lettore. Tutti lo reclamano in nome di un gusto minore. Se mai qualcuno avesse voglia di leggermi non gli chiederò certo per chi vota o in quale religione crede. Dunque, come potrei mai ripagarlo con la mia ideologia ?
    Gli americani non mi sono molto simpatici, ma riconosco i loro meriti. Lo stesso faccio con i palestinesi. Enrico, invece, mi è simpatico e basta.

  42. oooooooooooooooo eventooooooooo e dove stavi?????? Magari mi sbaglio, ma mi pare che hai sottolineato con eleganza ed efficacia quello che stavo dicendo.
    E poi Massimo, secondo me ha ragione. Molta gente adora leggere la cronaca nera perché riguarda i fatti altrui. “Oh, a quella le hanno massacrato il figlio a tortorate, Povera donna!”. E poi: “però se è capitato a lei è difficile che capiti anche a me”. Non è crudele. E’ terribilmente normale. Lo so, perché è da trent’anni che vedo morti ammazzati e i loro parenti. E poi tutti quelli che intorno alla morte ruotano.
    Gli ebrei hanno subito cose orribili. Ma non hanno l’esclusiva. Ci sono i watussi, le donne irakene, i maori, i siringheros come ci furono i mori, gli indiani e persino i repubblichini di salò. In alcuni casi si può parlare di genocidio.
    Tacere nei libri e nei film potrebbe essere sbagliato. Ma forse è ancora più sbagliato lo stillicidio perpetuo su un passato che, ormai, nessuno di noi ha fabbricato. Sono d’accordo con Evento. E se questo continuo ricorso al passato nascondesse il fatto che non sappiamo cosa dire e pensare del presente e del futuro?

  43. Adesso chiudo e vi auguro buonanotte.
    Ne approfitto per salutare Eventounico e fare una battuta.
    Hai scritto: “Gli americani non mi sono molto simpatici, ma riconosco i loro meriti. Lo stesso faccio con i palestinesi. Enrico, invece, mi è simpatico e basta.”
    Vuoi dire che Enrico ti è simpatico pur non avendo meriti?
    😉

  44. E non ”quoto” nulla perche’ questa parola mi e’ semplicemente odiosa. Preferisco la bassa quota.

  45. Infine noto semplicemente che, mancando l’Autrice, ci si e’ messi a parlare a ruota libera. Rinuncio ad una ricostruzione sistematica e moralmente seria di quanto avete snocciolato nella consueta catena di locuzioni allocuzioni ed interlocuzioni e loquisco interrogativamente come segue: vi sembra una grande scrittrice, Dacia Maraini?
    ”Inquit” direbbe Cicero.

  46. E lo chiedo anche a lei, va’, prima della Buonanotte alla compagnia: pensa di essere una scrittrice da antologia, signora Dacia Maraini? E, qualunque sia la risposta: perche’? (Includo anche le classiche risposte elusive tipo ”lo diranno gli altri”). No no no. Ce lo dica lei, per favore. Dettagliatamente.
    Grazie

  47. P.S.
    Sarebbero preferibili risposte buffe o spiritose come le mie domande bonariamente (…) provocatorie.

  48. Ngiornissimo.
    Leggo i commenti e sospetto di non essere stata molto chiara. Oppure, quello che volevo dire nel mio commento è passato troppo sotto tono.
    1. Io penso si che l’antisemitismo è un fiume carsico, come dice Simona. Ma dopo scrivevo “questo è secondario”. Il primario è la storia della Shoah, come valenza sombolica di un rischio che l’umanità corre. Potrebbe ricapitare agli ebrei, per la questione del fiume carsico, ma quello che volevo dire è che potrebbe capitare ad altri, per la questione che l’uomo è stronzo prima ancora di essere antisemita, la qual cosa è solo uno dei possibili sintomi. Di fatto è uno dei sintomi in questo periodo più arrapanti dal punti di vista narrativo – come ho scritto prima, non di rado ne sono infastidita.
    Ma quando si dice “historia magistra vitae” scusate eh, non è perchè se una volta uno chiamato Pino ha ammazzato uno che si chiama Dino, mo’ ogni vorta che arriva Dino tutti a dije “Dino stai in Campana”. Questo è in caso un problema in primis di Dino. Il problema è che uno, uno che ci somiglia, uno che è come noi, ha desiderato ammazzare un altro, un altro che ci somiglia un altro che è come noi. Per il momento gli ebrei se la passano discretamente. Non so quanto durerà. Ma per esempio, con i tempi che corrono, gli zingari, e altri extracomunitari, possono incorrere in destini piuttosto tristi. Alle volte temo – analoghi.
    Se io voglio che si insegni Primo Levi a scuola, certo è perchè spero che ciò serva anche a prevenire l’antisemitismo. Ma non siamo miopi e non rendiamo la letteratura meno capace di quello che è: Primo Levi, O Ullmann, o quello che più vi aggrada, parlano prima di tutto del problema del male radicale, di un uomo che decide che un altro è altro rispetto a lui e per questo deve crepare. Questa cosa Eventounico, non morirà mai, perchè siamo stronzi nell’intimo. Pure l’unico modo di fornire al futuro una base narrativa su cui costruirsi. Una base di riflessione sulle cose possibili. Sappi regazzino che tu sei capace di questo. A prescindere dal complemento oggetto.
    2- Per conto mio mi auguro che la letteratura impari a servirsi di altri meccanismi narrativi. Non so bene quanto questo possa dipendere dalla letteratura stessa. Perchè questo è un momento storico, in cui questa esplosione narrativa sulla Shoah ha un suo preciso senso, una fisiologia. Quando finì la guerra e nel decennio successivo – credo fino agli anni sessanta sani – se ne parlava molto molto poco. Molto molto meno, di quanto psichicamente si avvertisse la necessità. Dieci anni fa io andavo in Germania, e la guida turistica di un paesetto vicino a Colonia, interrompeva l’excursus storiografico al 33 e lo riprendeva nel 1950. Per molti, da tutte le parti c’è stato dell’indicibile. Per gli ebrei moltissimo.
    Insomma in questa voyeuristica passione collettiva per la Shoah avverto una specie di itinerario psicologico culturale, che deve esaurirsi. Stante il fatto che gli episodi di antisemitismo mi sono capitati anche in tempi piuttosto recenti, anche se molto rari, mi chiedo naturalmente cosa accadrà dopo questa sbornia.
    3. L’antisemitismo enrico dunque, tira moltissimo. Hai ragione, mi spiace se la cosa ti fa un po’ arrabbiare. La risposta che ha dato Massimo mi sembra interessante. E spero che arrivino romanzi sulla pedofilia. Ma la pedofilia è una delle cose che mette terribilmente sotto scacco, psichicamente, prima di chi legge, chi scrive. Un libro come le benevole che fa lascarpetta nel male del nazismolo si può riuscire a scrivere, perchè l’identificazione mantiene delle parti di se sane. L’antisemitismo è un male della normalità non della patologia. Identificarsi con un ufficiale nazista, vuol dire identificarsi con uno stronzo, ma in finale normale. Non orrido, e che non fa cose che violano delle parti di se. Se scrivi di un bimbo violentato. Se scrivi di un pedofilo, e sei onesto. Devi scrivere del passato di questo pedofilo, confrontarti col fatto che con ogni probabilità è una vittima storica a sua volta. Non è perciò nè normale, e potresti incorrere nell’imbarazzante questione di avere pietà per lui. Come la televisioni dimostra (Si parla di castrazione chimica – che mi fa rabbrividire) i tempi culturali non sono maturi. Ma magari cambieranno, chi sa.

  49. Se la storia imparasse da se stessa, dico semplicemente che non ci troveremmo a parlare di queste cose. Che poi certi fatti siano ripetitivi, magari con andamento ciclico, mi sembra assodato. L’attuale situazione presenta tutte le caratteristiche della caduta dell’impero romano e quindi mi sembra lecito attendere un nuovo periodo buio, quel primo medioevo a cui gli storici non hanno prestato molta attenzione, anche perchè fu un’epoca oscura in tutti i sensi. Del resto, la progressiva scomparsa di alcuni valori inalienabili lascia presagire un futuro non certo roseo e del resto non si vedono popoli o correnti di pensiero che siano in grado di invertire la tendenza.
    Mala tempora currunt!

  50. Augurissimi a Dacia Maraini per il nuovo romanzo. Sono una sua lettrice e ammiratrice da molti anni. Ho adorato i suoi libri e sono sicura che adorerò anche questo. Inizierò a leggerlo in settimana.

  51. “L’antisemitismo enrico dunque, tira moltissimo. Hai ragione, mi spiace se la cosa ti fa un po’ arrabbiare”.
    No, Zaub. Forse ti piacerebbe che mi facesse arrabbiare, ma così non è. La mia era una semplice considerazione socio-letteraria. Vanno bene (ribadisco) i libri che narrano, ricordano, dimostrano. Non mi vanno bene quelli con il sottile compiacimento per un odio che non si placa e con un meno sottile fine propagandistico.

  52. Non l’ho ancora letto questo e la sola scheda del libro mi serve a ben poco.
    Però ho letto i precedenti lavori.
    Questo nuovo romanzo “Il treno dell’ultima notte” cos’altro propone al lettore, oltre alla ricerca già tema principale in “Colomba”?

  53. No enrico, e perchè mi farebbe piacere? Questa è un’idea tua. Meglio così. Però vorrei anche sapere, senza polemica ma proprio per curiosità. Quali scrittori ci sono che hanno usato questa storia con compiacimento? Il fine propagandistico lo scorgo meglio, in genere non dal fronte ebraico ma da certa sinistra. E in effetti quando lo trovo mi incazza. Ma il compiacimento, mi pare strano. E’ un lusso che forse si possono permettere quelli più giovani e protetti. Gli ebrei della generaizone dei miei genitori, certo non hanno voglia di farci la scarpetta.

  54. a zaub:
    ed è proprio ai “non ebrei” che mi riferivo, oppure a quegli ebrei che (onestamente) non servono manco agli ebrei medesimi. che siano di certa sinistra o di certa destra o di certo mancolorosannocheccazzosono, non importa. quello che mi risulta stridente è proprio il cavalcare un evento non a fini divulgativi e letterari ma propagandistici “pro domo”. Tutti quelli che (appunto) non ci fanno la scarpetta hanno (per quel che vale) il mio apprezzamento.

  55. Lia Tagliacozzo e Fiamma Nirenstein sono i primi due nomi che mi vengono in mente. Non discuto la qualità, ma discuto sulle intenzioni e la dietrologia.
    Ma comunque stiamo parlando di libri, di opere che comunque hanno una loro validità.
    I nomi più squalificati, secondo me, ce li ha la digos. Ma semmai ne parliamo a 4 occhi….se capita. Non mi va che, per colpa di una decina di cretini, si possa generalizzare su una comunità intera che, tanto per dirne una, ha espresso figure speciali come Elio Toaff.

  56. Per Elektra
    Domanda: Vorrei chiedere a Dacia Maraini qual è tra i suoi libri quello a cui si sente più legata, e perché.
    ….
    – Cara Elektra, che bel nome tecnologico e mitologico insieme, fa pensare all’elettricità, scritto in questo modo e anche alla figlia di Agamennone. Lei a chi si sente piu vicina? Ma venendo alla sua domanda: mi sento piu legata all’ultimo libro, perchè è quello che mi ha tenuto compagnia per quattro anni. Poi i libri camminano per i fatti propri, se ne vanno, come i figli, e si perdono le tracce. Allora, non dico che si dimenticano, ma si perde quel rapporto di vicinanza e di quotidianità che te lo rende caro e familiare.

  57. Per Luisa
    Domanda: la scrittura di questo libro nasce da un’esigenza o soltanto dalla voglia di sviluppare un’idea?

    – Cara Luisa, i libri non nascono mai per caso. Le idee si covano nel pensiero per mesi, a volte per anni e poi sfociano in un racconto. Sembrano venire fuori dal nulla, ma sono come le piantine che vengono su da un seme sepolto. Noi vediamo la pianta e il seme e le radici, ma quel seme è lì da anni e finalmente ha trovato la condizione buone per gettare foglie e fiori.

  58. Per Cristina Bove.
    Domanda: Vorrei chiede all’Autrice, sempre con la premessa che non avendo ancora letto il suo libro potrebbe già aver dato la risposta, quali sono ancora le speranze che un uomo libero può proiettare nel prossimo futuro.
    E se a questo addormentamento delle coscienze c’è possibilità di riparo.
    Grazie. Un caro saluto.

    – Cara Cristina, le sue preoccupazioni le condivido. Lei ne parla con intelligenza e sapienza. Sono contenta di avere una lettrice come lei. Una persona libera lo rimane anche in condizione di prigionia. Certo stiamo andando verso una forma di prigionia mentale, di regressione culturale. Dicono che sia la paura del diverso, del nuovo a farci preferire la chiusura all’apertura. Io non lo so. So che l’aria che respiriamo diventa sempre piu asfittica. Temo che molte libertà ci verranno tolte in nome della sicurezza. Una persona libera deve cercare di mantenersi fedele alle sue idee e alle sue scelte. A volte non è facile, ma non credo che ci siano alternative. Un saluto affettuoso da Dacia Maraini

  59. Per Sabrina
    Domanda: A un certo punto dell’intervista rilasciata a “Le Invasioni barbariche”, Lei ricorda la sua esperienza del teatro di strada, e della difficoltà di “far fermare le persone”, di attirare davvero la loro attenzione.
    Oggi, come scrittrice affermata (la più nota scrittrice italiana all’estero, dice la Bignardi, ed è facile crederci) sente ancora questa difficoltà a ottenere davvero l’attenzione della gente, magari dei giovani, che la conoscono di meno e che sono attratti da un certo mondo lontano anni luce da Lei e dai temi che le stanno a cuore? Quali potrebbero essere, oggi quei tamburi (metaforici)?

    – Cara Sabrina, che bella domanda! Quali sono i tamburi di oggi? Io però in quel momento stavo parlando di teatro di strada. E in effetti per strada è difficile fermare l’attenzione della gente che semplicemente passa e ti guarda perchè gli sei capitato davanti e non perchè abbia scelto di guardarti come succede in un teatro chiuso. Però la sua domanda vale come metafora. E come tale la prendo. Credo che il miglior tamburo sia quello della buona scrittura, dell’attenzione e della cura con cui si costruisce un libro. Delle idee che vi si mettono, della sincerità e della passione con cui si racconta una storia. Grazie.

  60. Per Raffaele
    Domanda: Mi piacerebbe chiedere a Dacia Maraini quand’è che ha pensato per la prima volta alla scrittura di questo libro. E quanto tempo ha impiegato per scriverlo.

    – Caro Raffaele. Grazie per la domanda. Anche lei scrive? mi sembra una domanda tecnica, da persona che scrive. Dunque, rispondo: Nel romanzo che precede quest’ultimo, Colomba, ho scritto che stavo lavorando a un libro su un bambino ebreo scomparso. Ed era vero. Siccome Colomba l’ho cominciato tre anni prima della sua pubblicazione, io stavo già lavorando a questo Treno dell’ultima notte (ma non aveva questo titolo) piu di sette anni fa (tre per scrivere Colomba e quattro per finire questo). Ma in realtà le storie dei campi di concentramento mi toccano da sempre. Sarà perchè anch’io sono stata in un campo di concentramento per due anni, sarà che sono cresciuta con la conspaevolezza dell’orrore del nazismo e della deportazione, il fatto è che questo romanzo covava da molto nella mia mente. Ed ora, ecco, è nato. Non so se avrà piedi robusti per camminare lontano, ma lo spero.

  61. a)Fino a che punto le grandi tragedie del Novecento sono state metabolizzate?

    – Ogni generazione tende a dimenticare le cose successe nella precedente, quasi non la riguardassero. E invece, senza coscienza del passato, non si ha neanche consapevolezza del presente. Agiscono bene i paesi che hanno una forte consapevolezza del passato e usano questa consapevolezza come un deterrente per il futuro.

  62. b) Che segni tangibili hanno lasciato su quest’epoca super-veloce che si è catapulta sui binari del nuovo millennio?

    – Più che segni, ferite profonde, con cui dobbiamo fare i conti.

  63. c) Che rischi ci sono che le grandi tragedie del Novecento possano riproporsi nel futuro più o meno immediato?

    – La storia ci insegna che la tentazione del totalitarismo sta sempre dentro le classi dirigenti appena vanno al potere. La cultura deve aiutare a sublimare le tentazioni alla intolleranza, alla violenza, alla sopraffazione. Le popolazioni devono stare attente al lavaggio del cervello che spesso avviene attraverso i mezzi di comunicazione di massa, prendendo la forma subdola e seducente di qualcosa di nuovo, di splendente e di piacevole.

  64. d) Fino a che punto la Storia riesce a imparare da se stessa?

    – I popoli imparano, se ne hanno voglia di imparare. Se fanno una forte autoanalisi e giudicano con fermezza gli errori del passato. I tedeschi l’hanno fatto e lo stanno facendo, per esempio. L’Italia l’ha fatto nel dopoguerra, ma mi pare che ora stia rientrando nella nebbia delle mitologie e dei martirologi.

  65. Mi fermo qui perché devo proprio andare. Ringrazio tutti.
    Cercherò di rispondere alle nuove domande tra domani e dopodomani.

  66. Cioè scusate.
    Vedere dacia Maraini che si mette li a eispondere le domande uno a uno
    “Per elektra” “per Luisa” e così via fino alle risposte di Massimo, la trovo una cosa si una gentilezza commovente.

  67. Quando avete aperto in questo Blog un giusto riconoscimento ad Alberto Moravia, ho pensato come una coppia di scrittori, e alla
    sua giovanissima compagna di vita Dacia Maraini, di allora,
    potessero alimentare la loro
    creatività letteraria a vicenda: attraverso la cultura e esperienza di vita personale di ciascuno, comprese la fede e le ideologie.
    Il dolore, l’estraniazione e la lacerazione dell’amore, la caduta delle ideologie forti e la coerenza nell’assumersi con onestà intellettuale la paternità delle idee espresse nella loro scrittura letteraria: ha prodotto, fra l’altro, “La Noia” di Alberto Moravia” e “La lunga vita di Marianna Ucrìa “ di Dacia Maraini, uno dei suoi romanzi più letti e apprezzati, solo per fare un esempio.

    Come si saranno espressi Loro negli anni ’80 sulla Shoa, il Sionismo e la questione Palestinese?
    E sugli Ebrei che hanno potuto riparare in Svizzera, Francia, e negli States?
    Luca Gallina

  68. E @ tutti Voi
    Gli ebrei poveri, gay, rom e altri, certo i discendenti, siamo sicuri che siano stati rimborsati e onorati come meritavano e che siano stati in grado di scrivere la loro storia?
    Certo, dal punto di vista letterario, teatrale e cinematografico nel trattare questo dramma deprecabile del genere umano è più etico e riconoscibile rispetto la tragedia greca di Eschilo, Sofocle, Euripide: lasciando, del resto, alle fiction televisive trattare tutto l’800 Russo, Francese e il nostro ‘900 Italiano.
    Grazie, Enrico Gregori, questa volta la tua franchezza nel trattare questo spinoso argomento, mai oltraggioso per i laici, mi ha dato più “coraggio” per ricordare le foibe e quant’altri orrori del genere umano; misfatti in cerca di autore, forse? Grazie, Zauberei ché argomenti bene che la memoria dell’odio non esiste; è meglio ricordare nel tempo che si è discendenti di vittime di un’ingiustizia gratuita e feroce di un’intera umanità, forse!
    Luca Gallina

  69. Mi unisco al brivido di Zauberai. Davvero un bel regalo, le risposte della signora Maraini. Tutte da leggere, e da rileggere.

    grazie

    La frase “I popoli imparano, se ne hanno voglia di imparare. Se fanno una forte autoanalisi e giudicano con fermezza gli errori del passato. I tedeschi l’hanno fatto e lo stanno facendo, per esempio.” mi ha ricordato un episodio vissuto.

    Anni fa, quando frequentavo ancora il liceo linguistico, andai per due settimane in Germania, per uno stage formativo, presso un istituto tedesco per stranieri. Per tutto il tempo siamo stati alloggiati presso varie famiglie della zona
    Uno degli ultimi giorni, a scuola ci fecero vedere il video con le immagini terribili che gli anglo-americani ripresero al loro ingresso nei campi di concentramento, soprattutto a Bergen-Belsen, video di cui il montaggio fu poi affidato ad Alfred Hitchcock. Dopo averci spiegato che le immagini sono state montate in modo da dimostrare la loro autenticità e l’impossibilità di manipolazioni, il nostro docente ci disse grossomodo questo: “Voi siete stati ospiti di brave persone, in queste due settimane, e di certo non lo dimenticherete, però noi non possiamo e non vogliamo dimenticare che molti dei nostri nonni, e qualcuno dei nostri padri ha fatto questo. Quello che siamo oggi non può prescindere da questo.”

    Io non credo (magari sbaglio) che questo atteggiamento tenga aperte a forza le ferite. Io trovo che sia necessario, che serva a non lasciare spazi alla distorsione della storia. Quando la gente ha un’idea vaga di ciò che è accaduto, è molto facile mettere sulla stessa bilancia una vittima da questa parte e centomila dall’altra, e lasciare intendere che alla fine il conto torna e non c’è differenza, che quel tipo di ideologia non era più sbagliata delle altre, che non c’è motivo per cui venga ancora messa alla berlina e che il saluto romano non è una bestemmia.

  70. @Dacia Maraini:
    e’ delicatissima questa sua attenzione a tutte le domande! E sono meravigliose le risposte. Ma la cura che ha dedicato a ogni riflessione mi fa intravedere molta umiltà.
    E mi fa ricordare una famosa frase di Leonardo da Vinci: “Il grano maturo quando è pieno china il capo. Quando è vuoto, invece, è ritto , e oscilla col soffio del vento”.
    Grazie di cuore.

  71. Ringrazio la signora Maraini della sua gentile risposta. So che per quanto mi riguarda, al di là di ideologie che abbiano determinato l’attuale stato di cose in politica come nel sociale, e senza recriminazioni di alcun genere, rivendico semplicemente il diritto di non essere discriminata, per qualunque motivo che non sia un mio comportamento spregevole e lesivo dell’altrui diritto e di poter essere libera, sempre, di esporre le mie idee, anche se sono in contrasto con quelle degli altri. Naturalmente estendo la rivendicazione ad ogni essere umano, a qualunque popolo appartenga , a qualsiasi latitudine sia nato e viva.
    Anche io temo che la repressione non porti da nessuna parte sulla via della libertà, e che solo con la conoscenza, impartita, insegnata, trasmessa, si formano le coscienze, condizione essenziale per una vera crescita del singolo e quindi dei popoli.
    Grazie ancora, le ricambio il saluto affettuoso.

  72. La disponibilita’ della sig.ra Maraini a rispondere alle domande e’ semplicemente bella e segno di onesta’ morale ed intellettuale. Altresi’ dimostra la volonta’ dell’autrice di vivere nella realta’ di oggi senza volerne sfuggire le contraddizioni ed i mali. E’ importante che gli scrittori sappiano cio’ che vogliono dire, abbiano le idee chiare e dunque le sappiano esporre ogni qualvolta che ve ne sia la necessita’. Anche in questo noto le differenze fra la generazione dei miei coetanei e le ”vecchie” generazioni di narratori: loro chiari e fermi, limpidi; noi confusi e traballanti. Seguiamoli ed impariamo da loro.
    Congratulazioni e saluti dunque a Dacia Maraini!

  73. Cara Dacia, mi sono emozionata molto nel leggere la sua risposta rivolta a me. Unisco il mio stupore e la mia gratitudine a quelle già espresse dagli altri commentatori.
    Riguardo al mio nomignolo le dico che è vero, deriva proprio da Elettra figlia di Agamennone. Una figura che ho amato e che amo moltissimo. Io la chiamo la figlia del sacrificio.
    Ancora grazie.
    Smile.

  74. Cara signora Maraini,
    ho avuto il piacere di conoscerla proprio a Siracusa insieme a Piera degli Esposti durante una magica serata al Convento di Montevergini.
    Lei crede alle coincidenze? Io no. Lei si è materializzata qui, sul blog del caro Massimo, mentre finisco di leggere per l’ennesima volta il suo bellissimo saggio “Cercando Emma” su Flaubert, cercando di capire il rapporto che lega un autore alla scrittura, ai suoi personaggi e alle parti più oscure di sé. Grazie a Simona che me lo ha prestato…
    Marianna Ucrìa è un personaggio per me luminoso e numinoso.
    “Dolce per sé” è il libro che mi venne incontro nel periodo in cui scrivevo la mia tesi leopardiana…
    La saluto con stima sincera e auguro successo al suo nuovo libro. L’idea del treno è indovinatamente novecentesca. I treni, mostri sbuffanti nell’immaginario dei primi uomini che li videro, poi compagni familiari, integrati nel paesaggio che attraversavano. Luoghi di meditazione e contemplazione. Nido e letto e guscio di metallo per leggere chiacchierare mangiare panini. Hanno attraversato frontiere, trasportato soldati coscritti, prigionieri, la carne da fumaiolo…
    Agatha Christie nella sua deliziosa autobiografia tesse l’elogio del treno per la sua dimensione immaginativa.
    Lei credo che ci regalerà un viaggio, un’esperienza lungo i binari dolorosi del secolo trascorso che è deragliato nel nostro, così confuso, incerto. Fuori binario.

  75. @Massimo, sulla tua domanda se la storia possa imparare da se stessa, ho una sola risposta: mai, perché è l’uomo che dovrebbe imparare da lei.
    La storia è, in effetti, un archivio di fatti umani, compiuti da altri prima di noi, e che noi dovremmo ricordare sempre, per evitare di ripetere gli stessi errori che hanno compiuto, anche se poi noi ne faremmo degli altri, e qui spero che siano ben diversi.
    La storia, di per sé, non ha anima, se non quella che noi v’imprimiamo per renderla nostra, cioè umana.
    @ Renzo Montagnoli, concordo con il tuo, detto sull’Europa. Una necessità economica e politica. Vedremo cosa sarà capace di fare per i popoli meno abietti e poveri.
    Ne ho i miei dubbi. Io temo già i conflitti futuri, tra i blocchi politici che si stanno già formando e consolidando.
    Credo che i tempi dello sviluppo sociale progressivo nell’occidente siano finiti e un’era di scarsità di alcuni beni d’uso giornaliero subentri al suo posto. Con esso diventeremo meno liberi di agire come finora abbiamo fatto, in un certo senso non è poi un gran male, ma ciò che avverrà farà raddrizzare i capelli a chi le ha, e sconcertare chi non è furbo e scaltro.
    Saluti
    Lorenzo

  76. Gentile sig.ra Maraini,
    adesso una domanda seria Glie la porrei anch’io (dopo aver, sopra, scherzato):
    Le interessa la scrittura di Massimo Bontempelli e il suo modo di vedere l’arte – ossia il Realismo Magico, che tutti sappiamo e’ nato appunto in Italia con l’autore de ”L’amante fedele”?
    Grazie
    Cordialmente
    Sergio Sozi

  77. Cara Dacia, ho letto il primo capitolo del libro, qui sul web. E’ poco , certo, ma riconosco subito, soprattutto nell’uso delle metafore, la tua passione per il gusto e gli odori, lo sguardo che, affettuosamente e con divertimento, coglie il difetto di un volto, l’eccentricità di un abbigliamento (bracciali di pelliccia e renne sul maglione).
    Scegli di parlare di situazioni drammatiche e infelici, di momenti storici che sono diventati paradigma del Male.
    Oggi anche, per motivi diversi, non ce la passiamo bene. Ma forse non so quello che dico? Sento però che tutta la letteratura dovrebbe risvegliarsi dal torpore. Quindi, bene dare voce alla storia, aprire dibattiti e riflessioni!
    A risentirci a lettura completata! piera mattei

  78. Intervengo al volo per ringraziare Dacia Maraini per la sua disponibilità e cortesia. (Su questo punto ritornerò con calma nei prossimi giorni).
    Un grazie a voi per i nuovi commenti

  79. (off topic)
    Temo che nei prossimi giorni, per motivi di forza maggiore, avrò difficoltà ad aggiornare il blog con nuovi post e a intervenire.
    Spero che mi scuserete.

  80. Zauberei,
    la ”gentilezza commovente” e’ sintomo di professionalita’, per chi scrive di professione da decenni. Oltre che di attenzione e amore per cio’ che fa, certo – con razionale attenzione a non farsi dimenticare e dunque coltivare i lettori, pure. Mestiere. Ovvio e benaccetto, credo.

  81. Ho molto apprezzato quanto scritto da Maria Lucia (ciao MLR) riguardo a Dacia Maraini ed ai treni. Ho sempre amato i treni fin da piccolo. Passavo ore intere alla finestra di casa di mia nonna da dove si poteva vedere uno spicchio di ferrovia in ingresso alla Stazione Brignole di Genova. Compravo all’edicola gli orari ferroviari (ricordo l’orario Palagi dalla copertina gialla) insieme ai miei fumetti preferiti per sapere a che ora passasse il Parigi-Roma (o viceversa) con il suo lungo convoglio, la carrozza ristorante blu e i vagon-lits.
    Forse è per questo che amo tanto Simenon (L’Uomo che guardava passare i treni, Il Treno, … ma anche diversi Maigret hanno il treno come co-protagonista) e che ricordo tra i tanti libri di Agata Christie quello dove Miss Marple vede un delitto compiersi dai finestrini di un treno (non ricordo il titolo). Oppure il Poirot dell’Orient Express.
    Preciso che il treno per me è quello con gli scompartimenti separati, dotati di una porta per separarli dal resto del mondo; non ho mai amato le carrozze aperte, con ambienti più simili a un pullman, anche se oggi sono ormai quasi tutte così.
    Maria Lucia ci parla (citando proprio la Christie) di “dimensione immaginativa” del treno.
    Mi farebbe piacere sapere quanto pesi nel libro della Maraini questo concetto.

  82. @ Sig.ra Dacia Maraini
    Ogni volta che penso a Dacia Maraini mi viene in mente la sua famosa foto, quella dove foular al collo, capelli corti sostengono un sorriso raggiante che oltrepassa il tempo insieme a due occhi intelligenti di chi lo osserva argutamente.
    Ed è sul nostro tempo che desidero porLe una domanda anche se in parte ha già risposto, su quanto incrocia arte e letteratura, consumismo da fine secolo, nostalgie sessantottantine e successive generazioni, tutti quanti appassionatamente di fronte alla panoramica del futuro.
    Per farlo e per cercare di sintetizzare cito Paul Klee il quale, insieme a pochi liberi individualisti, profetizzò un buio pesto per l’arte moderna se si fosse attaccata ad un processo di industrializzazione, indicando così la perdita di Senso per l’opera d’arte che lo stesso Paul Klee sentiva come creazione, lontana dall’idea di fabbricazione.
    Ovviamente non basta andare alla ricerca del soggetto storico verso il quale ingaggiare una battaglia di valori, anche perché ogni epoca ha torti e virtù, così come il ’68 se da un lato è stato definito
    “contro il padre”, dall’altro con il padre cercava il dialogo profondo (al di là delle bandiere di partito), repentinamente seguito dalle generazioni disco music, dalle palestre, dai panini inghiottiti velocemente, dalla telematica, dai pulsanti, fino ad arrivare agli odierni volti in plastica.
    Penso comunque che il novecento, soprattutto nella sua prima metà, sia stato un secolo ricco di fermenti e trasformazioni: a lui dobbiamo la nascita di movimenti artistici molto importanti che corrono paralleli fra le nazioni, cervelli indipendenti che hanno palesemente dichiarato la loro indipendenza da guerre e governi, a volte uniti ed associati nei loro ideali, a volte soli e contenti nel loro volo.
    E noi ?
    La ringrazio tanto
    Rossella

  83. Ciao Piera!
    Un caro saluto a te e a tuo marito… Che bello trovarti qui!!!
    La serata romana del 26 aprile rimarrà memorabile…
    A presto, spero, magari a Siracusa!
    Maria Lucia Riccioli

  84. @MLR
    Istantanea di un delitto (mi pare). Ma non so se questo era il libro o il film (che avevano titoli diversi).
    Ciao

  85. Scusate, ma questa “deriva” musicale non mi sembra il modo migliore per la chiusura di questo post.

  86. @ utente anonimo
    Se nessuno ha altro da scrivere ci divertiamo come possiamo. Se invece qualcuno ci fosse, che si accomodi. Nessuno vuole “monopolizzare” il post.
    Saluti.

  87. @ Anonimo?
    Chi ti ha detto che chiudevamo il post? La multimedialità è un sinonimo in questa landa; spaziamo figliolo, spaziamo.
    Poi uno si becca il “fatte li cazzi tua” dal pretoriano Gregori, ma te la sei cercata figliolo, qua si stava stava creando un sillogismo musicale, o un cazzeggiamento colto, e te andata pure bene perchè @Gea era impegnata a legare i canapi ( e che a Trieste c’è vento, i Canapi non sono cani che se la fanno addosso).
    @Carlo’s,
    a volte lavorare di randello, come fa “Er Grego”, soddisfa gli eunuchi.

  88. @Enri, Carlo, Gea & compagnucci della parrocchietta,
    saluti da Mario Di Domenico.
    Mio figlio mi dice che, nonostante l’età, siete tosti in musica e vi rende omaggio (io avrei inviato “Jump” di Van Halen, ma mi ha dato del “moscio commerciale”; a Gea sarebbe piaciuto, lo so).
    Niente abbracci, e da donnicciole e “Saluti-alla-stazione-col-treno-in-partenza”.

  89. Ahi! pensavo di avere l’esclusiva.
    Anche se preferisco quella delle frequentatrici di questo blog.
    🙂

  90. @ franz didò
    no, onestamente i van halen li trovo pure io moscetti e commerciali.
    e jump è così spaventosamente eighties..
    🙂

  91. Ho provato ad aprire i link in sequenza. Ne viene fuori una bella suite ferroviaria in diversi movimenti. Niente male.

  92. Trenta (o quaranta?) anni fa c’era a Pontremoli un capostazione che aveva una figlia bellissima. Voglio dedicare a lei la suite sopraccitata.
    La suite ferroviaria per la figlia del capostazione di Pontremoli.
    Bello.

  93. E il bello è che io non l’ho mai vista. Ma un mio amico si, un paio di volte in tutto. E già alla prima se ne innamorò perdutamente. E passava le ore a descrivermela. Così me ne innamorai un pò anche io. Sulla fiducia.
    Una volta prendemmo il treno da Roma fino a Pontremoli (via Massa-Carrara), sperando di incontrarla. Non c’era.

  94. @ carlo
    sei romanticissimo..
    posso dedicarti una poesia di michele mari, tratta da ”cento poesie d’amore a ladyhawke”, libro bellissimo che ho appena scoperto e divorato?

    ti cercherò sempre
    sperando di non trovarti mai
    mi hai detto all’ultimo congedo

    non ti cercherò mai
    sperando sempre di trovarti
    ti ho risposto

    al momento l’arguzia speculare
    fu sublime
    ma ogni giorno che passa
    si rinsalda in me
    un unico commento
    ed il commento dice
    due imbecilli

    un bacio

  95. Ho sentito Dacia Maraini.
    Mi dice di riferirvi che nei prossimi giorni proverà a rispondere alle altre domande.
    Io la ringrazio (in ogni caso) moltissimo per aver trovato il tempo di essere qui, perché so che in questi giorni si sta spostando da una città all’altra per presentare il libro (andrà pure all’estero)

    Scusate l’assenza. Ho accennato il motivo ne “la camera accanto”.

  96. bellissino leggere dacia maraini su questo blog ! grazie massimo maugeri !
    anch’io vorrei dire due parole solo sulla quarta domanda –
    fin’ora il nostro paese – secondo me – non ha per niente fatto tesoro delle vicende del passato, delle tribolazioni subite da molti, delle disgrazie passate – purtroppo a distanza di anni – e in alcuni casi, neanche tanti – i fatti si ripetono, gli eventi tornano ad essere ………proprio come se i cervelli cancellassero tutto…….e quanti cervelli abbiamo ed abbiamo avuto – o per lo meno loro credono di essere “cervelli” che agiscono a nostra difesa e protezione !!!!!!
    mi e’ piaciuta molto la frase della maraini “agiscono bene i paesi che hanno una forte consapevolezza del passato e usano questa consapevolezza come un deterrente per il futuro” –
    AHIME! IL NOSTRO PAESE E’ ANCORA MOLTO LONTANO DA QUESTO !!!
    ahime!
    un saluto caro a dacia maraini – anna di mauro –

  97. Io invece non penso che il nostro paese non abbia trascurato il passato e la memoria, al contrario i temi della guerra, del fascismo ,del nazismo, delle leggi razziali sono presenti e pulsanti, sia nella vita sociale (scuole, associazioni) , che nell’arte : teatro, cinema, mostre, letteratura. Ne parliamo all’infinito, ed ogni goccia che si unisce è unica e preziosa. però il problema è un altro. La gran parte di noi intellettuali senza macchia e “storicamente corretti” ha smesso da tempo un lavoro di ricerca e di riflessione sul passato, che nel frattempo si è esteso producendo altro ma anche riproducendosi. Rilasciamo solo luoghi comuni: siamo eticamente sterili.
    Questo libro, invece, presenta un intento in più e la storia (che leggerò a giorni) narrata da Dacia Maraini si estende, appunto come un treno nella passato dell’Europa. E’ il treno di Levi, quello della Tregua che passò e attraversò L’Europa in tutte le direzione: 11 mesi durò quell’infinito viaggio. Maraini affronta l’Ungheria per ricondurci al dopo: dopo la Memoria che conosciamo cosa sappiamo riconoscere? O vedere. L’uomo sarà sempre vittima di se stesso, perché priva la sua memoria della capacità di elaborare? oppure l’uomo ha solo l’illusione del pensiero, ma la storia ci dimostra che il grande muro di pietra è lì, come scriveva Dostoevskij ad indicarci l’illusoria pretesa di un sapere incontrovertibile?
    Oltre alla Jugoslavia e a quella guerra, in questi giorni, pensavo all’Algeria e a come sia passato solo pochissimo tempo da quando l’Europa non ha più le colonie. Ma pensavo alla cartina di Levi, ai sussulti dei paesi slavi, prima e dopo che cadesse il muro….tutto ci scilova addosso, scendiamo dai nostri treni con la stessa indifferenza dei pendolari, abituati al transito. Perfortuna l’Arte, (leggete Letteratura) vive, anche se i libri sono molti e in certi casi tossici come funghi, e ci regala “storie”, narrazioni che ci nutrono la mente.

  98. Domanda per Dacia, se possibile:
    “Le sue donne in qualche modo assomigliano alle donne sudamericane, fatte di carne ed ossa e non solo di pizzi come gran parte della letteratura italiana. Come riesce a dar loro un tutto tondo senza mai cadere nel banale?”

  99. Miriam, scrivi:”….tutto ci scivola addosso, scendiamo dai nostri treni con la stessa indifferenza dei pendolari, abituati al transito. Per fortuna l’Arte, (leggete Letteratura) vive, anche se i libri sono molti e in certi casi tossici come funghi, e ci regala “storie”, narrazioni che ci nutrono la mente.”
    Penso volessi dire che l’arte e la letteratura sono strumenti che permettono il contrastare questo scivolare via, questa indifferenza da pendolari. Per fare in modo che i nostri treni riconquistino una direzione che abbia un senso, i nostri viaggi un significato, le nostre vite non siano un mero transito senza mete precise, stazioni di arrivo.
    Per questo sono da amare le storie che nutrono la mente. Che riaccendono la memoria, sulla quale ragionare, e in qualche modo costruire delle prospettive.
    Senza memoria saremmo come dei malati di Alzheimer, brancoleremmo senza meta in un mondo privo di senso alcuno.

  100. Carlo, non lo so. Non c’è proporzione fra lettori (che pure sono pochi) e qualità della vita culturale. Il più delle volte è solo un vociare di pappagalli. I pappagalli delle muse altrui, diceva Socrate. Provocatoriamente io penso che si dovrebbe leggere e scrivere di meno!!! Ma elaborare di più…invece scivoliamo via..
    Leggere e scrivere di meno… (pensa un po’…)
    🙂

  101. Tanto per la cronaca. Solo il 43,5 per cento degli italiani ha letto 1 libro nel 2007. Ma la statistica, come insegnò Trilussa, è quella scienza per la quale se io mangio 2 polli e carlo zero, abbiamo mangiato un pollo a testa. Per cui, esistendo chi nel 2007 di libri ne ha letti 10, o 20, o 30……quanti sono in Italia i lettori di libri?

  102. … e dipingere di più? (anche quello è elaborare).
    Provoco anche io, naturalmente. Ciao Miri.

  103. No, Miriam,
    il passato è subito diventato storia e gli italiani lo riconoscono come icona, come un “must” da sventolare; un distintivo su un taschino.
    Chi ricorda gli “anni di piombo”? Chi ricorda Aldo Moro e Guido Rossa?
    E perchè ci si ricorda di più di Moro che di Rossa?
    Nessuno dica che il buon Moro fosse uno statista, mentre Guido Rossa un semplice sindacalista: erano uomini di stato hanno dato un esempio, ogn’uno a modo suo. Ma gli italiano lo hanno obliato.
    La memoria ricorda la “Coppa del Mondo”, e come ci si è arrivati (a testate), e ne fa noblesse oblige, come se fossero queste le cose primigenie da ricordare. I riti, i miti, hanno sostituito la memoria, sono diventati storia.
    Gli stessi ebrei, meravigliosamente colti, con la loro deliziosa autoironia americana, in Israele si sono fatti scusa dell’olocausto per produrne altri, atomizzati.
    Qualcuno un giorno dovrà pur ammettere di avere torto, nonostante abbia ragione.
    La letteratura non ci salverà, l’etica non ci aiuterà, la politica potrebbe, ma senza più filosofi indipendenti, che elaborano idee libere, la politica non esiste.
    Essere stufi dello “statu quo” può sembrare anche autocommiserazione, ma aiuta, aiuta molto.

  104. Posso invitare a non usare il termine “Olocausto”, quando si parla dell’eccidio ebreo nei campi di sterminio, bensì il più consono termine “Shoah”? Per noi italiani può sembrare una sottigliezza ma la differenza tra i due termini è abissale e la comunità ebraica ci tiene particolarmente.

    P.S.: Mi sento, sommariamente, in linea con il commento di francesco di domenico.

  105. a tutti, e a proposito di Moro… (di memoria )
    l’altra sera su Radio 3, ho ascoltato la cosa più “Camp” (e uso quel termine per “non” scrivere vaccata) che mi sia capitata d’ascoltare. Non soffrivo solo con l’udito, era tristissima l’idea, tremenda: un’opera -libretto, musica, tenore, soprano, concertato- sull’assassinio di Moro. Un lavoro pensato e a cui hanno dato il loro contributo, Gente Massima!!!
    Terribilissima e volgare, purtroppo. Una pappagallata macabra, con la soprano che scalava le note : ” la direzione della democrazia cristiana…volleeee”. Non volle! Non vollero…

    a quello spiritosone di Enrico: rispondo sulla camera accanto 🙂

  106. Per Lorenzo
    Lei mi scrive: la ringrazio per aver raccontato di un tempo, che sarebbe bene e proprio a causa del trascorrere delle generazioni, di non dimenticare mai, assumendolo come monito sulle tendenze dell’uomo a creare come distruggere, senza timore alcuno e a volta anche con molta passione.

    – Grazie Lorenzo. La memoria è così labile. Non solo quella personale ma quella collettiva. Tende a cancellarsi continuamente. Io cerco di ravvivarla.

  107. Per Enrico Gregori
    Lei mi scrive: tra i pregi che ho sempre riscontrato nella scrittura di Dacia Maraini ci sono quelli della semplicità e della chiarezza. Pregi fondamentali, a mio avviso, specialmente se si vogliono trasmettere concetti e sensazioni “difficili”. Credo che questo romanzo ( a occhio, pur non avendolo ancora letto) non faccia eccezione. Quello che sinceramente spero è che sia un racconto e che non trasmetta messaggi.

    – Caro Enrico. Ci terrei che fosse lei a dare la risposta. Se lo legge, mi farà piacere. E anche se mi dirà cosa pensa.

  108. Per Miriam
    Cara Miriam. Lei ha scritto un piccolo racconto molto vivo e dettagliato. Ha ancora in casa quel numero dell’unità con la parola Vittoria? Che peccato per il comunismo italiano, non avere capito in quell’occasione che stava sbagliando e di grosso.

  109. Per Francesco Di Domenico
    Caro Francesco. Sono d’accordo per i messaggi. Per me esistono solo quelli telefonici. Altri messaggi non ne conosco. Il romanzo racconta un viaggio con molti incontri e molte sorprese. Spero che le piaccia.

  110. Per Zauberei, con riferimeno al suo primo commento.
    – Cara Zauberei, i libri non si scrivono con un progetto architettato al tavolino. Il tema di questo romanzo covava dentro la mia testa da anni. Io sono cresciuta con le immagini della deportazione. Ho anche fatto due anni di campo di concentramento in Giappone, quindi l’argomento mi tocca da vicino. La narrazione è’ venuta fuori quando era il suo tempo, con dolore. NOn mi sono chiesta se il romanzo avrebbe avuto successo o meno. L’ho scritto perchè premeva sui miei pensieri. Tutto qui.

  111. Per Simona
    Domanda: Volevo chiedere alla sig.ra Maraini se nello scrivere il romanzo ha tenuto presente questa ambivalenza della natura umana e della storia, questo oscillare tra spinte contrastanti di cui una distruttiva e l’altra di strenua resistenza o di disumana sopportazione.

    – Cara Simona, Credo proprio di sì, ma come ho detto prima, non per programma. Per me viene prima la narrazione e poi le riflessioni su ciò che racconto, non viceversa. Ho raccontato di una ragazza ingenua e sprovveduta che cerca un amore di tanti anni addietro, credendo di potere fermare il tempo. Ma quello che incontra in questa ricerca è solo distruzione e rovina. E il tempo non lascia che detriti.

  112. Per Sergio Sozi
    – Caro Sergio, io mi considero una artigiana della penna che ama raccontare storie e scriverle. Ma scrivo per capire, non per spiegare o informare. Per questo a volte mi perdo.

  113. Per Giuseppe Iannozzi
    Domanda: Questo nuovo romanzo “Il treno dell’ultima notte”, dal suo personalissimo punto di vista, cos’altro propone al lettore, oltre alla ricerca già tema principale in “Colomba”?

    – Caro Giuseppe. Forse volevo solo riflettere sul dolore. Mentre scrivevo questo romanzo il mio compagno (che si chiamava come lei, Giuseppe), si è ammalato e poi è morto. L’entrare e uscire ogni giorni dall’ospedale, il seguire le pene e le speranze dell’uomo dolce e sensibile che era, mi ha segnata. Credo che il libro ne porti le tracce.

  114. Per Massimo Maugeri
    – Caro Massimo, ho risposto ad alcune domande. Risponderò alle altre appena posso. Ho trovato i suoi lettori molto attenti, intelligenti e generosi. Le sono grata per avermeli fatti conoscere.
    Un saluto affettuoso da Dacia M.

  115. Gentile Dacia Maraini,
    una mia cara amica virtuale, Maria Luisa Sotgiu, frequente partecipante dei Forum del Corriere della Sera: Cos’ì è la vita e Leggere e Scrivere, mi raccomandò di leggere i suoi libri. Lei, purtroppo non è più, ma il suo ricordo rimarrà sempre impresso nella mia anima.
    Cos’ì dovremmo ricordare tutti gli avvenimenti nefasti della storia umana, perchè solo cos’ì riusciamo a riconoscere la nostra vera natura e le sue inclinazioni, che sempre emergono quando le costrizioni della vita diventano precarie ed ostili.
    Di certo la leggerò e la terrò in ricordo.
    Le allego due brevi poesie, scritte da mia moglie Esther e da me
    sull’olocausto.
    HOLOCAUST: Grauverhangener Himmel über Güterzüge, überquellende Menschenmassen an der Rampe, rufende, schreiende Kinder, Frauen, Männer, in Reih und Glied mit scharfen Befehlen, einer links einer rechts, Selektion über Köpfe, Leiber, verzweifelte, fragende, nicht verstehende Augen, Rauch aus Schloten, spiegelnd in Wasserpfützen Erinnerungen, die nicht vergehen wollen!! Esther Russo Gänserndorf, 25.01.05 OLOCAUSTO: Un cielo grigio e incombente sopra i treni da trasporto, dove una massa enorme di esseri umani sostava sulla rampa, bambini, donne, uomini che gridavano, piangevano, soldati allineati davano ordini precisi e in evocabili, uno a sinistra, uno a destra, selezione fatta a caso, occhi sgomentati, non comprendenti, richiedenti, camini fumanti, rispecchianti nelle pozzanghere. Ricordi che non vogliono scomparire!! Esther Russo Gänserndorf, 25.01.05

    OLOCAUSTO:

    Un fumo nero oscurava il cielo
    Un cielo che non voleva più illuminare
    Quel luogo di inciviltà
    Ceneri erano sospese nell’aria
    Per poi cadere per terra e coprire
    I corpi straziati degli infelici

    Quanto tempo per farli crescere
    Per poi, in pochi minuti, farli scomparire
    Una tragedia umana dettata dall’uomo
    Che, ignorante della sua sorte,
    Credeva di elevarsi pari al suo Creatore.

    Lorenzo Russo Gänserndorf, 17.02.05

    ======================================

    HOLOCAUST:

    Schwarzer Rauch verdunkelt den Himmel
    Jenen Himmel der nicht mehr leuchten will
    den Ort der Unmenschlichkeit
    Asche schwebt in der Luft
    Um dann auf die Erde zu fallen und
    die gequälten Körper der Unseligen zu bedecken

    Wie viel Zeit um sie wachsen zu lassen
    Um dann in wenigen Minuten zu erlöschen
    Eine menschliche Tragödie vom Mensch gewollt
    Der unwissend seines Schicksals
    Glaubte sich gleich seinem Schöpfer erheben zu können.

    Lorenzo Russo Gänserndorf, 17.02.05

  116. Per Dacia Maraini,
    grazie di cuore per la Sua risposta – un’ennesima alle tante domande che Le ho finora posto. A mia volta Le rispondo cosi’: quando scrivo io propongo, dico la mia, illustro e anche, perche’ no, spiego, mostro, invento; quando invece leggo o ascolto cerco di capire. Siamo insomma agli antipodi, io e Lei, ed e’ per questo che mi piace leggere i Suoi libri!
    Saluti cari
    Sergio Sozi

  117. Gentile Dacia Maraini
    No, in casa l’unica copia de’ L’unità, con una scritta rossa in prima pagina, che ancora si conserva è del 1975: la Vittoria del Vietnam illumina il primo maggio. Sì, sarebbe interessante aprire un capitolo “ungherese” rapportandolo alla storia del PCI e a quella che avrebbe potuto essere. Ma sugli europei pesa, o meglio, ha pesato un’altra grande rimozione della Memoria: Place de Grève. Libertà, uguaglianza e fraternità; Hugo, in Notre Dame ritrae anche un’altra dimensione, quella greve, pesante, intestinale e cattiva, che per sintesi di immagine riassumo: le tricoteuse . Esmeralda vittima innocente e pura che sale a fatica sul palcoscenico del suo patibolo, per la gioia e gli occhi di chi si era procurato un comodo posto
    Musil prevedeva per l’uomo un futuro aizzato e aizzante, chiuso all’intelligenza, imprigionato in un sistema violento dei pensieri, e predisposto alla stupidità, perché “ oggi la responsabilità ha il suo punto di gravità non più nell’uomo ma nella concatenazione delle cose”.
    A volte, riflettendo sulle cose e sui fatti, immagino (sono una disegnatrice: scrivo con le immagini più che con le parole) i “soggetti”, i protagonisti del caso in questione, in piazza de Grève: testa sul collo? o seduti a lavorare a maglia? Poi penso che anche al boia e ai carrettieri spetti una parte, e qui si apre la modernità.
    Leggerò il suo libro, fra un paio di giorni, appena terminato un lavoro che preme e non posso rimandare.
    Grazie per la sua attenzione e disponibilità, con affetto, Miriam Ravasio

  118. Cara Dacia Maraini,
    ho avuto il piacere d’incontrarla recentemente a Follonica (a distanza d’una quindicina d’anni: libreria Feltrinelli di Padova) per la presentazione d’un suo libro, e alla successiva lettura teatralizzata del testo, sulla violenza sulle donne.
    La semplicità e la bellezza della sua persona, la sua passione, mi hanno di nuovo emozionato, come in passato.
    Purtroppo non ho letto questo suo ultimo libro, e quindi mi sposto sui temi più generali trattati dal post.
    La Storia può insegnarci qualcosa? Se per Storia si intende una serie quasi ininterrotta di massacri, che si compiono in diverse parti del mondo, possiamo notare semplicemente, a mio parere, la continua capacità di modernizzare i nuovi massacri, di farli apparire sempre plausibili. Oggi – a differenza di pochi decenni fa – forse l’unica novità, purtroppo, è quella di avere la possibilità di estendere e compiere massacri, in brevissimo tempo, attraverso territori ben più vasti. Un libro, la lettura o la scrittura possono essere utili alla comprensione della realtà presente e del passato? Mah… Mi viene in mente l’immagine del “dito che indica la luna” e dello sciocco che osserva il dito invece di guardare la luna. Noi siamo quello sciocco, altrimenti risulterebbe del tutto assurdo, per esempio, il flirt di Heidegger col nazismo, oppure, per giungere da queste parti, l’infatuazione di Ungaretti per Mussolini , o infine, con le dovute proporzioni e specificità, i sonni tranquilli (e non si tratta certo di distacco meditativo…) fatti da alcuni intellettuali nostrani la notte post-elettorale del disastroso 14 aprile. Tutta gente infarcita di libri, di lettura, di scrittura. L’inferno della storia è il nostro stesso inferno individuale. Non affrontare le oscurità collettive e individuali ci spinge verso consuete ed elaborate finzioni sociali.

    Mi piacerebbe ricevere una sua opinione in merito (consapevole, comunque, della enorme vastità del tema).
    La ringrazio tanto. Con affetto e stima,
    Gaetano

  119. @ Ribelle
    In sostanza, appare chiaro, che non è affatto mutato il problema che l’umanità si è posta nel xx secolo e col quale essa si trova a lottare non solo nel camp della pittura, ma anche in quello della letteratura, della filosofia, della scienza, della storia: è il problema dell’essenza della realtà, e del posto che nella realtà spetta all’uomo. Mai come in questo secolo l’arte è stata illuminata da una così autentica concezione universalistica.
    H.L.C. JAFFè

  120. Visto che Massimo in questi giorni ha giustamente altro a cui pensare, credo possa interessare a tutti la recensione del ”Treno dell’ultima notte” che e’ apparsa oggi, sabato 17 maggio, sull’Almanacco de ”la Repubblica” a firma Laura Lilli. Chi abbia una copia del giornale in casa vada, se vuole, a pagina 39; l’articolo s’intitola ”Quell’orribile discesa agli inferi”.
    Sergio

  121. @Gaetano Failla
    Alla tua, relativa al ripetersi della storia nelle vicende umane, allego una mia, che pone l’accento sul continuo imperversare del destino sulla nostra vita terrena.
    Grazie a te e a Dacia Maraini per l’occasione presentata.
    Saluti, Lorenzo

    La realtà umana vista dall’alto:

    Era la sera di una giornata calda d’estate; il sole stava già sparendo dietro la linea dell’orizzonte, il mondo sembrava immergersi nell’oscurità dell’universo, illuminato solo dallo sguardo chiaro e pieno della luna, che appariva in questa stagione più vicina ed illuminante. La terra sembrava volersi riposare dagli strapazzi della giornata, si sentiva custodita dal suo trabante che, perché voluto dal Creato, non ostentava di rifiutarsi.
    Esseri, che dall’alto sembravano piccoli e numerosi, si affaccendavano a sbrigare le ultime attività della giornata, per godersi poi il meritato riposo della notte. In questa coulisse apparentemente tranquilla, si ripeteva ciò che ogni giorno era prescritto e voluto.
    Tutto era apparentemente tranquillo e silenzioso, quando improvvisamente grida esultanti ruppero il silenzio della notte. Molte luci furono accese, le sagome delle case diventarono un involucro nero in un rogo di fiamme. Gli Esseri piccoli correvano affaccendati dimostrando nei loro visi i segni d’allegria per un evento lieto e felice. Laggiù in una casa più piccola delle altre, una signora di tarda età apparve tenendo in braccio un fardello, ai primi attimi, immobile, tacito, ma poi all’improvviso emanante strilli e singhiozzi, come di un qualcosa che voleva afferrare per forza alla vita. Un piccolo essere umano aveva appena incominciato la sua vita terrena. In quel momento di quiete e riposo, una donna diventava mamma, interrompendo la tregua di una giornata calda ed estenuante. Quegli esseri, che dall’alto sembravano punti variopinti, erano ancora capaci di rallegrarsi alla vista del loro piccolo rampollo, gioia e felicità erano dipinti nei loro sguardi, nonostante fossero stanchi e segnati dalla fatica della loro vita quotidiana.
    Nella loro semplicità ringraziavano il Creatore per quel dono prezioso, nel quale era posta tutta la loro speranza di una vita migliore. La luna, silenziosa e tacita, continuava a percorrere sul suo tragitto, dando sguardi di compassione verso quegli esseri nobili e innocenti.
    Non diceva nulla; taceva con uno sguardo che voleva dire di più, che voleva raccontare delle disgrazie viste, del destino ingiusto, perché pieno di sofferenze, infelicità e ingiustizie, volute da una forza universale, alla quale i piccoli esseri avevano dato il nome di “Signore-Iddio”.
    La piccola gente dormiva il sonno dei giusti. Alcuni sognavano di essere in un giardino profumato, pieno di ogni cosa che loro mancava; altri non riuscivano a dormire, perché tormentati dalle sofferenze causate da un lavoro troppo estenuante; altri piangevano in silenzio, invocando il ricordo dei loro cari, non più presenti, ma troppo desiderati nel loro possedere nulla. Il ”Signor-Iddio” ha voluto riservare loro questo destino, che fu accettato e temuto nello stesso tempo, nel credo che alla fine saranno ripagati e premiati.
    Il sole voltò ancora una volta il suo sguardo su questo posto pieno di contraddizione divina, dove felicità e gioia andavano insieme a sofferenza e dolore, per annunciare a tutti che un nuovo giorno, uguale a tutti gli altri, stava per incominciare.
    I piccoli esseri, un po’ riposati dalle fatiche del giorno prima, si affaccendarono a riprendere il consueto travaglio, con la stessa volontà e disposizione di ogni giorno: alzarsi, mangiare, lavorare, riposare, immaginarsi felici e procrearsi per lasciare, una volta, ad altri lo stesso destino, nella convinzione di essere i prediletti del “Signore-Iddio” che li ha creati, preferiti e condannati.

    Lorenzo Russo Gaenserndorf, 25.06.04

  122. @ Lorenzo
    Grazie per il tuo racconto dal quale traspare una intima condivisione delle vicende umane. Mi ha colpito in particolare la frase “Alcuni sognavano di essere in un giardino profumato”.
    @ Sergio
    Ho preso in prestito questa mattina in biblioteca il libro “Nuova grammatica finlandese”, spinto dal tuo recente riferimento d’una tua introduzione in una edizione slovena. Le prime pagine mi hanno già catturato.
    A entrambi mando un abbraccio affettuoso e auguro una buona notte.
    Gaetano

  123. Caro Gaetano,
    non resterai deluso. E’ il miglior libro di Diego Marani e uno dei… va be’… E’ un buon libro. Mi spiace solo di non poterti far avere la mia modesta postfazione appena tradotta nell’edizione slovena – per contratto sono obbligato alla riservatezza. Se pero’ ti interessasse qualcosa a proposito delle mie opinioni sul narratore ferrarese, tramite Google troveresti una mia recensione del libro ed un’intervista all’autore. Dove sono evidenti anche le nostre molte divergenze sulla questione della Lingua e dell’identita’.
    Ciao, caro
    Sergio

  124. Sig. Ribelle,
    purtroppo il ”link” con l’intervista alla Maraini non e’ da me attualmente raggiungibile. Peccato.

  125. Cara Dacia Maraini,
    nellla mia precedente comunicazione volevo chiederle anche un ulteriore suo parere, poi però la mia seconda domanda è rimasta inespressa.
    Amo tantissimo la letteratura siciliana. Parlando degli ultimi cinquant’anni, mi basta ricordare il racconto “La sirena” di Tomasi di Lampedusa, “Diceria dell’untore” di Bufalino e il trascurato, a mio parere, recente romanzo “Il vicolo blu” di Bonaviri per rinnovare la mia sensazione di grande sintonia con gli autori siciliani (non dimenticando ovviamente Sciascia, D’Arrigo, Consolo, ecc. ecc.).
    Lei è vissuta per diversi anni in Sicilia ed è ritornata in quella terra con il suo romanzo “Bagheria”. Mi può dire qualcosa sulla scrittura proveniente da autori siciliani? La ringrazio tanto ancora.
    Con affetto e stima,
    Gaetano

  126. Gentile Dacia Maraini, ci siamo conosciute a Siena al Centro Universitario Siena-Toronto, mi presentò a Lei, la mia amica d’infanzia Laura Ferri Forconi. La sala era molto affollata e attenta al suo dire. Certamente non si ricorderà di me. Già da allora, mi colpì la sua amabile disponibilità, la franchezza con la quale espresse le sue idee e la forza della sua scrittura. Ancora non ho avuto il tempo e il piacere di leggere il suo nuovo libro. La vita con la sua bizzosa imprevedibilità, spesso ci fa sfiorare da anime belle e sensibili come Lei, ma il fortuito e lieto incontro si scioglie nelle maglie del tempo, come neve al sole. Però, almeno per me, il ricordo della sua visita, rimane vivo, nitido e palpitante. Oggi, grazie al magico blog di Massimo, un nuovo filo si è intrecciato e posso avere il privileggio di rinnovarle la mia ammirata stima.
    Tessy

  127. Gentile Dacia Maraini, con l’età che incombe e devasta…mi sono dimenticata di dirLe, che mi sono presa la libertà di segnalare il suo romanzo nel mio sito, in alto, nella sezione ” Freschi di Stampa “.Buona Domenica.

  128. @ Lorenzo
    Me ne frego Lorenzo. Me ne frego di questo modo di pensare che assolve gli amorali, ovvero coloro che non si sono mai occupati, pur avendone mezzi e possibilità, di intervenire a favore della morale e della giustizia e che si sono limitati a guardare (dall’alto?) credendosi aquile. Per me sono vermi.
    Per me hanno la stessa valenza degli immorali (coloro che il male lo fanno).
    Sono dalla parte del grande misticismo, quello che sostiene che se si sa che non è giusto comportarsi in un certo modo ma si continua a perseverare nell’errore, a tutto questo non può esserci riparo.
    Poi, se ci rifletti bene, che differenza c’è fra un inconsapevole ed un consapevole che continua a comportarsi da inconsapevole?
    La risposta appoggia Freud e lo psicologismo dello scorso secolo: pura natura che si limita all’istinto. l’uomo, secondo lo psicanalista, constatatò che anche una vita intellettuale ed una vita morale e religiosa sono una sovrastruttura che la società impone all’uomo ed egli, da intellettuale, appoggiò questo tipo di concezione che ha abbassato l’uomo a livello dell’animale. Ma, forse, per qualcuno è anche bene conoscere l’animale, la fattoria in cui alberga, senza limitarsi ad intevernire contro quanto dovrebbe essere mutato, ma soltanto interagire con quanto si contempla, tanto per non perdere utilità e convenienze. Ciao Ciao

  129. @ Fabioletterario
    Non sonnecchiavo, Fabio (anche se ogni tanto non mi spiacerebbe sonnecchiare). Come ho spiegato ne “La camera accanto” ho avuto qualche problemuccio.

  130. @Rossella
    nessuno viene assolto, se non quando si sia impegnato seriamente ad evolversi dal suo stato primordiale animalesco.
    Per questo siamo prodotti di una forza universale che regge tutto il Creato e vuole la nostra redenzione, possibile solamente con l’impegno serio.
    Non ci riusciamo ancora, ma verrà il momento nel quale tutto si risolverà e avrà un nuovo ordine.
    Ciò che ho descritto è una realtà che, purtroppo, è ancora dominante.
    La bibbia, la chiama castigo ereditario, mentre io la denomino percorso liberatorio, attraverso la nostra coscienza.
    Il percorso è spinoso, alcuni si trovano più avanti, altri indietro e ancora altri non ci riescono ancora in questa vita.
    Quel che conta, è l’impegno di superare lo stato attuale con il quale è venuto in questo mondo; il riuscirci è un’altra cosa, perché dipende da caratteristiche che non tutti possiedono e da fattori esterni.
    Che colpa ne avrebbero questi ultimi?
    Per mio conto, ci pensano gli altri, i mistici come te e i martiri; sono loro che contribuiscono alla liberazione della razza umana, perché in fin dei conti credo che sia l’intera razza umana ad evolversi, e non solo coloro che hanno potuto o saputo liberarsi dal male della nostra dimensione; loro sono, per me, solo esempi da imitare, precursori necessari per individuare la via da prendere.
    In quanto a Freud, è stato il primo ad individuare la colpevolezza umana nei suoi geni e a cercare di risolverli; segnò un gran passo avanti nel processo liberatorio personale, scoprendone le cause, ben differenti da quelle ritenute fino ad allora, e cercando di guarirle.
    Ciao e saluti cari
    Lorenzo
    Ti allego un mio scritto intitolato:
    Il Bene e il Male, visti da noi (indicatori del processo evolutivo dell’uomo).

    Pensando all’Universo, m’immagino un laboratorio chimico, dove qualcuno, o anche da sé per chi non crede in un Dio o forza superiore, ha messo in moto un processo che crea molteplici sistemi a base di combinazioni d’elementi bio-chimici, o d’altre sostanze non ancora conosciute, e dalle quali un giorno è sorta anche la nostra dimensione.
    Con l’apparire dell’essere umano è sorta anche la sua distinzione dualistica del Bene e del Male, quale causa delle sue difficoltà percettive e d’intendimento.
    Consideriamo, a priori, il Bene tutto ciò che ci procura gioia, serenità, successo, potere, ricchezza, salute, vita lunga, mentre Male tutto il contrario.
    Bene e Male sono dunque distinzioni dello stato di sentirsi e vedersi, e della realtà esterna così come la percepiamo. Sono quindi percezioni soggettive che nulla o poco hanno a che fare con l’altra realtà o delle più agenti nell’Universo.
    Sotto questo punto di vista, possiamo considerare l’Universo come forza (energia) neutrale, cioè né positiva, né negativa.
    In questo processo di percezione, alcuni fanno ricorso alla fede (credo) nella speranza di trovare una spiegazione più convincente che appaghi le loro condizioni assimilative e che stabilisca il necessario equilibrio nella loro anima, dalla quale dipende la loro capacità di essere.
    Chi non è in grado di stabilire l’equilibrio, soggiace ai suoi effetti negativi, sboccanti in una misticità eccessiva, capace di reprimere il suo io fino ad annullarlo, in un fanatismo religioso distruggente che lo rendono intollerante e incapace di sostenere il confronto con coloro che la pensano differentemente.
    Il Bene e il Male sono quindi due forme percettive dei processi naturali inerenti al nostro stato d’esistere ed agire, e di quelli dell’ambiente in cui viviamo.
    Da qui, è indispensabile preparare l’individuo al confronto con questi fenomeni naturali, di modo che possa farsi un giudizio più chiaro e obiettivo possibile e limiti per esempio le influenze negative derivanti dalle sue caratteristiche genetiche dannose, delle quali cito le più marcanti, come l’egoismo, la presunzione, l’avidità, l’individualismo, la violenza etc.
    Migliorando le nostre qualità di coscienza e di percezione, mutiamo in meglio il nostro modo di considerarli e in seguito il nostro comportamento con gli altri.

    Incominciamo con l’importanza di considerare la vita come un impegno serio personale, come un esame continuo da sostenere per il nostro bene stesso, e indirettamente per gli altri membri della società nella quale viviamo, che rimane influenzata dal nostro esempio dato.
    Una persona preparata diventa più obiettiva, chiaroveggente e più forte da poter dare loro un significato più giusto ed equilibrato, così che ciò che a priori sembrerebbe cattivo, dopo una nuova analisi potrebbe apparire invece buono.
    In questa maniera, l’individuo si libererebbe del suo modo di considerare il Bene, che vede a volte distorto, confuso e falso e spesso fondato su preconcetti, e il Male della sua influenza ritenuta prima dannosa, ma che poi appare addirittura liberatoria.
    Il primo passo da fare per la loro superazione, sarebbe il riconoscimento e sostenimento, senza distinzione, della validità dei diritti per tutti gli individui, il riconoscimento e l’assimilazione del concetto che solo insieme saremmo forti e abili per questa vita, che non andrebbe intesa solamente come un’occasione di viverla e goderla per il proprio tornaconto, ma per esplorarla e scoprirne i suoi frutti che, una volta trovati, ci appagherebbero e inviterebbero a continuare nella ricerca rivelatrice.
    Il tema trattato sopra nasconde il dilemma dal quale non riusciamo ancora a liberarci: ripaganti per chi, per quelli di sempre o finalmente per tutti?
    Mi pongo allora la domanda: quando saremo maturi per volerlo insieme?
    Nel frattempo, il Bene e il Male si avvicendano ancora nel nostro modo di intenderli come il gustare un dolce. Non fa male quando ne mangiamo poco, ma malissimo quando esageriamo.
    Intendo con il Creato un processo in continua mutazione con lo scopo finale di realizzare armonia attraverso selezioni lunghe e complicate, e che per noi s’identificherebbe con la realizzazione della giustizia e uguaglianza.
    Penso, però, che un’intelligenza superiore non avrebbe bisogno di selezionare, per cui mi sembra anche logico vedere in questi processi l’imposizione di una punizione, o almeno un conflitto tra più intelligenze che si contendono il primato.
    Per noi, è tuttora un avvicendarsi d’infinite tragedie in forma di sofferenze e atrocità da subire e che ci spingono a volte a odiare tutto ciò che ci circonda e soggioga, o a credere in uno scopo giusto e sostenibile perché voluto dal Dio della salvezza che rappresenta il riuscire del nostro processo evolutivo.

    Alla natura sembra di non importare se noi triboliamo, soffriamo, ci massacriamo o ci uniamo nel senso dell’amore o anche del solo piacere.
    Una catastrofe crea vittime e sconvolge le basi dell’esistenza umana, una bomba distrugge e uccide esseri umani, i superstiti si danno da fare a ripristinare l’ordine e tutto riprende il suo ritmo di prima fino alla prossima bomba o disgrazia ambientale.
    Noi esseri umani possiamo, quindi, riflettere e cercare le cause che hanno creato le disgrazie e sofferenze, ingiustizie e oppressioni, mentre la natura rimane impassibile e insensibile, come se non avesse coscienza e svolga automaticamente un programma voluto dall’Alto (forza-energia superiore).
    Da qui, dovremmo riconoscere la necessità di riflettere meglio e pretendere un rimedio migliore per noi, invece di aspettarcelo subito e solo dall’Alto.
    D’altronde non credo che egli non lo voglia, anzi penso che lo aspetti da noi già da qualche tempo.
    Il Dio buono del cristianesimo rappresenta la forza positiva del processo che per realizzarsi richiede la nostra partecipazione attiva.
    Diamoci, allora, da fare. Lasciamo stare le religioni e ancor più i loro seguaci che ci vogliono imporre uno stile di vita conforme alle loro inclinazioni che ci trasmettono come volute dal Dio buono, per poi rivelarsi come prodotto della propria presunzione, fama di potere e vanità.
    In verità, il Dio buono vuole che noi agiamo in libertà, che va così intesa come prodotto del processo personale di maturità. Il Dio buono è la forza-energia del progresso, possibile solo quando abbiamo capito cosa significhi l’essere liberi di intendere e agire.
    Un’imposizione forzata dall’Alto creerebbe solo schiavitù e non soddisferebbe mai chi ci ha creato a sua somiglianza.
    Come uscire dallo stato di dipendenza o anche d’arroganza, se non nello sforzo continuo di superare le catastrofi create da noi stessi e quelle che la natura ci presenta continuamente e che sembrino d’essere state create per indurci a reagire adeguatamente da soli e così maturare?
    La nostra evoluzione è quella del Dio che ci ha reso liberi per trovarlo e seguirlo e riconoscere in Lui i nostri meriti, che non altro significano che ci siamo elevati alla Sua altezza e dignità abbandonando la dimensione della mediocrità e arretratezza.
    Come primo passo, consiglio di riconoscersi, almeno in parte, nel prossimo che s’incontra.
    Lorenzo Russo lì, 25.07.07

  131. @ Lorenzo
    Gent.mo sei una persona dall’anima gentile e la tua scrittura emana un dolce fluido.
    Mistici, martiri ed aggiungo predicatori.
    Ora la sottoscritta non vuole a sua volta fare una predica sui predicatori dei quali spesso è molto difficile valutarne il grado di coscienza, c’è che uno può fare il mistico quanto vuole, a volte il martire, può essere convincente attraverso le parole ed averci un bel pensare lucido (esempi ce ne sono tanti in svariati campi dall’arte alla politica, dal Manzanarre al Reno) ma sarà solo ed esclusivamente la coscienza, o meglio il grado di coscienza, a poter realizzare quel che hai scritto il 25.07.07.
    Gli sarà pertanto molto difficile commettere errori nei confronti del prossimo per il semplice fatto che è la stessa coscienza ad impedirglielo.
    Cosa voglio dire? Dio è presente = l’occhio della coscienza è vigile, non è nè presbite nè miope, pertanto RICONOSCE. Ma la differenza tra la consapevolezza e la coscienza introduce un Senso di direzione diverso fra gli uomini.
    Abbiamo accennato a Freud, sì bè un gran psicho con i controcosi su questo c’è poco da dire. Vorrei però sottolineare il passaggio che contraddistingue libertà e liberazione, con l’esempio del pane e salame e di colui che ha una gran voglia di abbuffarsene. Freud gli consiglierà di mangiarsene quanto la sua natura desidera senza sovrastrutture, la coscienza, con fini diversi, lo condurrà verso la riflessione, la nausea, e se il grado di coscienza è evoluto, il problema non si pone neppure. Poichè è già stato superato. Da parecchio tempo.
    Ciao

  132. @Rossella
    contraccambio i tuoi complimenti, e aggiungo che fin dall’inizio del nostro scambio virtuale intuivo che ci saremmo avvicinati e capiti.
    Sul tuo esempio esposto, aggiungo che Freud avrebbe sì detto a colui che è affamato di mangiare fino alla sazietà, ben sapendo che l’affamato era in ritardo con l’appagamento di questo suo bisogno fisico elementare. Sono certo che gli avrebbe anche suggerito di non esagerare dopo essere diventato sazio, ben sapendo che si sarebbe ugualmente danneggiato.
    Qui si delinea la necessità di ristabilire sempre un equilibrio psichico andato perso.
    Sul raggiungimento e mantenimento di questo equilibrio si svolge tutta la nostra esistenza e, dato che l’essere tende a costruire come a distruggere, diventa un’impresa ardua e pericolosa.
    La differenza tra la coscienza e la consapevolezza non esiste solamente tra gli uomini tutti, ma anche nell’individuo stesso, essendo lui sempre tentato di distruggere il suo equilibrio, raggiunto con fatica e veggenza.
    È qui che diventa necessaria una continua educazione ed istruzione già dall’infanzia e fino alla fine; ma a chi affidarla e su quali principi e regole basarla, quando tutto muta, e sempre più velocemente?.
    Per mio conto, ritengo che i grandi problemi dell’uomo siano di natura genetica, e che, solo riuscendo a modificarla, potremmo migliorarci veramente, ma attenti ai rischi, che sono molteplici e non sempre identificabili in tempo; in prima linea pongo l’inaffidabilità morale ed etica dell’uomo ricercatore e dell’affarista che lo paga.
    Essendo i nostri problemi vitali irrisolvibili, ci volgiamo ad una forza superiore nella speranza che ci aiuti; ma come capirai in questo modo ritorniamo al punto di partenza, non sapendo come corrispondere giustamente con lei.
    Camminiamo su un cerchio, dove ogni punto è uguale, da non sapere dove siamo al momento di volerlo stabilire.
    Ci diamo da fare a trovare un barlume di verità, ma più cerchiamo e più ritorniamo al punto di partenza, seguendo sempre la linea del cerchio che è immutabile, all’infuori di seguire sempre la voce dell’anima nella quale sentire di poter sperare e ricevere la forza di vivere, anche se alla fine risultasse un errore, un’illusione.
    La sua forza ci basterebbe a superare ogni ostacolo, sia anche la nostra fine.
    Ciao
    Lorenzo

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