Un altro grande autore della nostra letteratura ci ha appena lasciato. Noi di Letteratitudine vogliamo ricordarlo partendo proprio dai suoi esordi letterari.
Lo facciamo proponendo questo scritto di Andrea Di Consoli sul romanzo Carnevale a Milano, opera prima di Raffaele Crovi, pubblicato nel ’59 da Feltrinelli e riproposto recentemente da Avagliano.
(Massimo Maugeri)
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E’ una boutade, ma ha qualcosa di serio: anche Raffaele Crovi è stato un “giovane scrittore”. Carnevale a Milano è il primo romanzo dello scrittore emiliano; scritto tra il 1956 e il 1957, è ambientato nella Milano del 1955. Fu pubblicato dalla casa editrice Feltrinelli nell’aprile del 1959, in una collana che si pubblicizzava in questo modo: “E’ la prima volta che opere prime di giovani autori, non di rado alla prima loro esperienza letteraria, vengano presentate ad un pubblico vasto, popolare, con il criterio editoriale del basso prezzo e dell’alta tiratura”. Crovi, comunque, aveva appena venticinque anni, e a quei tempi aveva pubblicato una raccolta di poesie con il mitico Schwarz, e lavorava già con profitto nell’editoria.
Il risvolto non firmato dell’edizione feltrinelliana di Carnevale a Milano è una testimonianza preziosa della cultura degli anni Cinquanta. Leggiamone uno stralcio: “Raffaele Crovi, con un acuto e smaliziato esame, senza abbandoni sentimentali e con un attento rigore intellettuale, affronta qui il giudizio della gioventù italiana d’oggi, quella che usa, come strumenti di vitalità, il flipper, i gettoni del juke-box, e indossa i blue-jeans. Ragazze per le quali il pudore non è più una difesa, quindi una verità; ragazzi senza passione, senza illusioni, e tuttavia non cinici, non indifferenti”. Da notare almeno due cose: la moda del momento (i jeans, il juke-box) e la faccenda delle ragazze, che non considerano più il pudore una difesa, cioè una verità. Tutti i “giovani scrittori” dovranno attendere la prova della ruggine e dell’erosione, ché ciò che oggi è dirompente, forse domani strapperà un sorriso appena. Il mondo, purtroppo, galoppa; ma anche se galoppa, molte cose rimangono. Carnevale a Milano, sia detto con franchezza, è un romanzo che regge alla prova del tempo. Forse, addirittura, è uno dei migliori romanzi di Crovi, che pure ha scritto tanti libri importanti. Ma l’alta temperatura di questo romanzo rimane un unicum, una felice sorpresa. Si ristampa Carnevale a Milano con l’ovvio intento di rendere reperibile un testo introvabile. Però c’è anche dell’altro; per esempio ci piacerebbe sapere nei lettori di Crovi che “posto” andrà a occupare questo romanzo; e poi non ci dispiacerebbe una riflessione a più voci sui destini della “giovane letteratura” nel tempo. Un romanzo “giovane” è “giovane” per sempre?
Non era facile esordire nel 1959. L’Italia letteraria era nella sua fase dorata. In circolazione c’erano, giusto per fare qualche nome, Pasolini, Gadda, Moravia, Vittorini e Calvino. Si stava sotto lo schiaffo dei grandi. Eppure il Novecento è una miniera inesauribile. Basta affondare la mano nel suo fondo, e anche l’opera prima di uno scrittore venticinquenne risulta di grande importanza. Chi aveva la forza di esordire ai tempi dei giganti, poteva considerarsi un vero scrittore. Il giovane Crovi è nella foto di gruppo dell’epoca d’oro delle lettere italiane. Quanti “giovani scrittori” di oggi avrebbero ricevuto sberle sulla nuca dai giganti del ’59?
Si parta dall’epigrafe, in questo caso di Tommaso Landolfi: “Perdo tempo come si perde sangue”. Epigrafe assai adeguata al senso del romanzo. Carnevale a Milano è un romanzo di giovani impiegati, operai, intellettuali nella Milano del boom economico, continuamente alla ricerca di un senso, di una “serietà” esistenziale, epperò eternamente risucchiati nell’inadeguatezza, nella noia, nella inconcludenza e nella malinconia. I personaggi del romanzo sono “senza soluzione”. La Milano del romanzo è invernale, coperta di neve. L’inverno di Crovi ferisce il cuore (“Nel buio, anche se ero nella grande Milano, non potevo impedirmi di sentire il freddo ferirmi”). E’ una Milano di studenti senza soldi, di pensioni periferiche e di latterie. Nella latteria di via B., Sergio, studente proveniente dalla provincia e voce narrante, trova per la prima volta degli amici. Dice Sergio: “Nessuno di noi aveva molti soldi (questo lo scoprimmo subito) e fu la prima ragione che ci tenne uniti”. Tutti i ragazzi di Carnevale a Milano cercano “un’occasione ancora per fare passare del tempo”. Tutti cercano compagnia, un pretesto per chiacchierare in latteria o per stringersi a una ragazza. Trovare degli amici significa “potersi commiserare insieme”, “trovare una scusa ai pentimenti”. Occhio ai dettagli. Quando Aldo propone di andare a donne, Sergio dice: “Uscimmo senza aggiustarci le cravatte”. E’ un’Italia di studenti ancora con la cravatta, epperò con l’anima già in rivolta, in apatica attesa di uno sconvolgimento. Nella Milano di Crovi ci si attacca a tutto pur di sentire un po’ di tepore; anche l’odore del caffè proveniente dal cortile può dare un po’ di calore a chi cerca la sua strada in una grande città. E’ una gioventù maliziosa che pure sente i morsi dell’impotenza. Tutti si prendono e si lasciano “con stanchezza”, e anche quando si beve e ci si diverte, la tristezza è in sottofondo, come un murmure. Carnevale a Milano è un lungo inverno, ma “l’inverno è sempre lungo” per chi cerca la sua strada.
Sergio ha fatto anche politica. Il suo compito era quello di trasformare in comizi le notizie dei giornali. Per questa ragione ha ben conosciuto Roma. Ma Milano gli piace di più, perché “a Milano, nonostante tutto, mi pareva di poter camminare più libero, raccolto in me stesso, capace di difendere il mio pudore d’uomo, in una città che ha un suo pudore”. Un giorno, con Gerardo, Sergio va a un comizio monarchico. Gerardo provoca una rissa e viene fermato dai poliziotti. Qualche pagina prima il triste presentimento: “Forse diventeremo deputati o segretari di partito: e saremo vecchi anche noi”. Non sognano a occhi aperti, i giovani di Carnevale a Milano, ma avvertono l’oscura minaccia della maturità, della vecchiaia, ovvero della inevitabile “serietà” delle responsabilità. Sergio sa bene che il mondo non è solo suo. In questo è di una maturità sconvolgente (“Il sole è fatto anche per gli altri, e così il freddo, il pane, la sera. Devi anche essere disposto a cedere, a ricompensare la gente della compagnia che ti fa, del credito che concede”). Il sole è anche degli altri.
Non si può correre a lungo senza stanchezza. E forse nell’inverno ci si può nascondere, perché il freddo “ti scusa se non hai voglia di parlare”. Sergio forse ama Giuliana; forse la sposerà. Ma Giuliana vive a Genova, e la distanza fiacca la sua vitalità sentimentale. Nell’attesa, gioca con le ragazze. Una sera, al cinema, tocca il seno di Delia. Lei si fa toccare. Solo, a un certo punto gli dice: “Perché tremi?” Sergio è giovane, cerca la sua strada, tira tardi con gli amici e con le ragazze, ma poi c’è sempre un dettaglio che lo tradisce; che tradisce il suo distacco, la sua inadeguatezza, il suo fragile tremore. Scappare, partire non serve (“Se lasci qualcosa, quando torni lo ritrovi. E’ un posto dove fermarsi che bisogna cercare”). E’ rimanere che conta, trovare una “serietà” nel proprio tempo.
Tutti sappiamo che Raffaele Crovi ha avuto un maestro d’eccezione. A Elio Vittorini ha dedicato un libro stupendo. Ed echi vittoriniani sono ben presenti in questo romanzo. Un esempio per tutti: “Ci sono giorni più tristi degli altri e venerdì d’inverno che sono i più freddi giorni dell’inverno. Pioggia per tutta la notte e la neve sporca”. Qui l’andamento è evidentemente poetico e sincopato à la Vittorini; la pioggia di Carnevale a Milano non è troppo diversa dalla pioggia nelle scarpe rotte di Conversazione in Sicilia. E la Milano di Crovi è piena di meridionali; tra di loro c’è sicuramente gente come Silvestro. La padrona del chiosco delle castagne dice: “Sono loro che comprano le castagne. Senza calabresi e siciliani, io qui ci morirei di fame”. E intanto si balla, tristemente; si beve cognac cantando “Oci ciornia, oh che sbornia”. E c’è malinconia, paura di non farcela, d’invecchiare senza essersi ancorati a nulla. Sergio ricorda con struggimento le parole del padre lontano: “Sta’ attento”, e quelle parole stringono il cuore. Il passaggio dalla civiltà contadina alla vita cittadina è in fase avanzata. La strada di Sergio è ormai una strada senza ritorno.
Intanto il carnevale si avvicina e il sole è come un miraggio lontano. Quando Giuliana, al telefono, chiede a Sergio notizie sugli esami, lui non risponde, ma domanda: “C’è il sole lì da te?” Spesso Sergio si trova “davanti al sole” come davanti a un miracolo, anche se poi passa e svanisce nel grigiore.
Nei giorni di Carnevale a Milano “Eisenhower aveva avuto un colloquio con Dulles, la Lollobrigida strava interpretando Trapezio, a Barcellona gli studenti disertavano i tram”. Nessuno, però, dice Sergio, “parlava del rumore delle nostre forchette, degli sbadigli di Paolo, della nostra noia”. C’è vento a Milano, tanto che per accendere una sigaretta si sprecano tanti fiammiferi. Il cielo è buio dovunque, e fa freddo. Sergio le sue mani le riscalda sulla stufa di terracotta. Nella sua stanza c’è odore di aglio e di biancheria stirata. Alla radio si ascoltano i valzer trasmessi dal “Notturno dall’Italia”, programma radiofonico oggi trasmesso in AM da Rai International per i soli nostalgici. Anche se annoiati, i giovani di Carnevale a Milano sono seri; in una lettera spedita a Giuliana, Sergio scrive: “Mi piaceva la tua umiltà, la tua serietà”. Si cerca una “serietà di vita”, anche se la modernità incombe con i suoi tanti dubbi e lusinghe. Ma si continua a perdere tempo “come si perde sangue”, e “ormai c’era l’abitudine di perderlo”. In questo romanzo tutti cercano “qualcosa d’imprevisto”, una scossa vitale; oppure un posto dove fermarsi. Sergio, probabilmente, trova la sua “fermezza” nel matrimonio con Giuliana. E anche se la modernità rompe gli schemi e disintegra le certezze, ugualmente i personaggi di Crovi cercano dei punti fermi. Non solo li cercano, ma li trovano, come testimoniano i romanzi successivi di Raffaele Crovi, uno scrittore che ha attraversato la modernità senza rinunciare alla costruzione di una “forma”, di una “serietà” esistenziale.
Andrea Di Consoli
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Aggiornamento del 30 agosto 2007, h. 21.20
Segue un articolo, firmato da Andrea Di Consoli, che sarà pubblicato sulle pagine culturali de L’Unità di domani (31 agosto). Lo offriamo, come anticipazione, ai lettori di Letteratitudine.
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Si è spento ieri pomeriggio, nell’ospedale “Umanitas” di Rozzano, in provincia di Milano, Raffaele Crovi, scrittore, poeta e intellettuale tra i più importanti degli ultimi anni. Era nato nel 1934 a Calderara di Paderno Dugnano, ma era cresciuto a Cola, paese dell’Appennino reggiano dove, soleva dire, “ho una casa, una biblioteca e una tomba”. Nel 1952 si trasferì a Milano, dove si laureò in giurisprudenza, mentre dal 1956 al 1960 collaborò con la casa editrice Einaudi in qualità di assistente di Elio Vittorini, prima come redattore della collana-rivista “I Gettoni” e poi della rivista-collana “il menabò”.
Raffaele Crovi non è stato soltanto uno scrittore; è stato a lungo uno dei grandi protagonisti dell’editoria italiana (vicedirettore della Mondadori, direttore della Rusconi, della Bompiani-Fabbri-Sonzogno, fondatore di Camunia e, dal 2000, direttore della casa editrice Aragno), della politica italiana (nella DC e nel Partito Popolare, collaborando con Mino Martinazzoli), della televisione e del teatro (è stato responsabile dei programmi culturali della Rai di Milano e ha diretto il teatro “Verdi” di Milano).
Eppure è nel campo letterario che Crovi ha riscosso i successi maggiori, sin dal suo esordio come narratore nel 1959 con Carnevale a Milano (Feltrinelli), recentemente ristampato da Avagliano. Tra i suoi romanzi ricordiamo: La corsa del topo (Mondadori, 1970), Il mondo nudo (Einaudi 1975, ristampato da Fanucci nel 2006), Le parole del padre (Rusconi, 1991), La valle dei cavalieri (Mondadori, 1993, Premio Supercampiello), L’indagine di via Rapallo (Piemme, 1996), Appennino (Mondadori, 2003), Cameo (Mondadori, 2006) e Nerofumo (Mondadori, 2007). Importanti anche la produzione poetica, da Fariseo e pubblicano (Mondadori, 1968) a Elogio del disertore (Mondadori, 1973), da L’utopia del natale (Rusconi, 1982) fino al recente libro struggente e gioviale La vita sopravvissuta (Einaudi, 2007). Importante, infine, l’attività saggistica. Ricordiamo il monumentale Il lungo viaggio di Vittorini (Marsilio, 1998), Diario del Sud (Manni, 2005) e Vittorini cavalcava la tigre (Avagliano, 2006). Sterminata la bibliografia critica sulla sua opera (per farsene un’idea basta leggere il volume monografico a lui dedicato dallo scrittore Giuseppe Lupo, Le utopie della ragione, Aliberti editore), nonché l’attività di Crovi sul versante della critica letteraria, come collaboratore di numerose riviste e quotidiani (da “Il Giorno” al “Corriere della sera”).
Con Raffaele Crovi scompare uno scrittore fortemente novecentesco (della letteratura del Novecento conosceva anche le pieghe più segrete), un intellettuale con forti motivazioni morali, nonché un romanziere che ha lungamente lavorato intorno a nuclei tematici ben precisi: il potere, il romanzo antropologico, il rapporto tra provincia e metropoli, la terra, la paternità, la memoria, la politica italiana. Uno scrittore che ha saputo dialogare con i “padri”, e che ha saputo indicare rotte precise a centinaia di scrittori italiani (dai “marginali” o “dimenticati” fino agli scrittori di genere, che lui ha sdoganato in tempi non sospetti). Da questo punto di vista si può parlare di un vero e proprio magistero, editoriale, letterario e umano. Fu lui, per esempio, a pubblicare I fuochi del Basento (Camunia, 1987) di Raffaele Nigro, aprendo finalmente le porte dell’editoria ai nuovi scrittori meridionali che fino a quel momento erano stati emarginati.
Raffaele Crovi ha lavorato sino agli ultimi giorni della sua vita, nonostante un tumore lo tormentasse da un paio d’anni; questo coraggio implacabile ha il sapore di un insegnamento fondamentale, ché la vita, nonostante tutto, deve trionfare fino alla fine (Crovi amava l’Italia, le cene con gli amici, i viaggi, scoprire gli angoli nascosti del nostro paese, e andare ai premi per stare in compagnia). Questo amore per la vita è la grande eredità che lascia ai figli, ai suoi collaboratori (il più stretto è Andrea Casoli, redattore della Aragno) e ai tanti scrittori e intellettuali che da lui hanno imparato qualcosa. I funerali si svolgeranno sabato mattina a Milano (messa di monsignor Ravasi) e sabato pomeriggio a Cola, paese nel quale verrà seppellito.
Per saperne di più si può visitare il sito www.raffaelecrovi.it
Andrea Di Consoli
Ho appreso della morte di Crovi in maniera casuale e proprio da Di Consoli.
Ho contattato Andrea intorno alle 15 per motivi di tutt’altro genere e non ho potuto non cogliere dalla sua voce quella nota di tristezza.
“È morto dieci minuti fa” mi ha detto.
Andrea Di Consoli era gli molto affezionato.
Sull’Unità di domani troverete un articolo firmato da Andrea e dedicato alla memoria di Crovi.
Per il resto, chiunque di voi avesse voglia di ricordare l’autore che esordì con “Carnevale a Milano”, – magari scrivendo due parole su una o più delle sue opere – può farlo qui.
Ho pubblicato il post per questa ragione.
Un saluto commosso al bravo Raffaele Crovi
Mi dispiace davvero molto di apprendere della morte di Crovi.
Grazie per il post. Mi sembra un buon modo per ricordarlo e per apprendere qualcosa in più sulla sua figura di intellettuale.
Mi unisco ai saluti.
Ho provato a fare un giro sui siti dei giornali, ma la notizia non è stata ancora pubblicata (complimenti per la tempestività).
Appena troverò qualcosa non mancherò di “postare”.
L’altro ieri, il 28 agosto, alla trasmissione Fahrenheit di Radio Rai Tre hanno presentato l’ultimo libro di Raffaele Crovi: “Nerofumo”, edito da Mondadori.
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Dal sito di Fahrenheit
“Le gesta di Ermes Consigli, protagonista di Nerofumo, sono quelle di chi gestisce il potere dell’informazione: professore di linguistica prestato al giornalismo e, soprattutto alla mistificazione, che Consigli esercita attraverso il suo blog e la sua rivista, intitolata La mala-lingua. Crovi conclude, con questo romanzo sulla corruzione politica e la corruzione mediatica un ciclo narrativo dedicato all’intreccio tra potere e corruzione. Del protagonista il romanzo indaga anche i rapporti con la moglie e con un cardinale, con la segretaria e con alcuni amici pittori, perché l’uomo ha una passione monocorde per l’arte geometrica (di Mondrian e Vasarely, per esempio) che lo porta a tentare esperimenti di pittura basati su toni bianchi e neri, esaltati dall’uso di una tecnica che utilizza il nerofumo: e il nerofumo finisce per essere il luttuoso colore di tutta la sua vita”.
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Chi vuole può ascoltare la registrazione audio della presentazione di “Nerofumo” di Crovi cliccando in basso.
http://www.radio.rai.it/radio3/fahrenheit/mostra_libro.cfm?Q_EV_ID=224560
Ne approfitto per ringraziare Andrea Di Consoli per avermi inviato, come anticipazione, il coccodrillo su Raffaele Crovi che sarà pubblicato domani su L’Unità.
Come avete visto l’ho inserito come aggiornamento in coda al post.
Dimenticavo di ringraziare Cicerone 2 per l’impegno profuso. Ci tengo però a precisare che non c’era l’interesse di dare la notizia con particolare “tempestività”, ma quello di rendere il giusto omaggio a un grande autore che ci lascia.
Domani lo faranno anche i giornali.
Di Raffaele Crovi ho letto “Appennino”. Ricordo ancora il piacere di quella lettura e i personaggi particolari ben costruiti e tutti con mestieri diversi (un cantante, uno scrittore, un architetto, un attrice, ecc.).
Custodirò il ricordo di quella lettura.
A Raffaele Crovi un plauso e un saluto.
E un grazie a voi per gli articoli.
Per me uno dei libri più interessanti di Crovi è quello dedicato alla vita di Elio Vittorini. Non mi sovviene il titolo, ma mi pare che sia edito da Marsilio. Da leggere e conservare, soprattutto per chi ama Vittorini.
Quella di Raffaele Crovi è una grande perdita.
Scusate. Era anche scritto nell’articolo di Di Consoli.
Il libro è “ll lungo viaggio di Vittorini” (Marsilio, 1998). Bellissimo.
La scomparsa di Crovi è dolorosa ma la sua presenza è stata piuttosto felice e fruttuosa per il mondo del libro dal secondo dopoguerra all’altro ieri. Vorrei solo riprendere un punto dell’articolo di Andrea Di Consoli che mi è parso interessante per il discorso generale sulla letteratura. Si dice lì che esordire nel ’59 non era facile – bisognava vedersela con alcuni grandissimi: Moravia, Pasolini, Calvino, Gadda, Vittorini… Per la verità la circolazione di quei giganti penso abbia offerto riparo ai cosiddetti ‘giovani scrittori’ di allora, tra cui lo stesso Raffaele Crovi, e una garanzia del premio alla loro qualità di autori. E’ il famoso discorso sui maestri, magari irregolari, cioè scelti, un po’ per buona stella e un po’ per presa di coscienza veloce da parte dell'”allievo”: poter avviarsi all’ombra dei maestri, in quegli anni, che pare fossero anche molto aperti alla rinascita, presumo fosse addirittura confortante, e certo non escludente…
complimenti per la tempestività Massimo, un caro saluto a Crovi e alla sua arte di raccontare con semplicità la vita; leggete
Le parole del padre
Molti quotidiani, pur parlando della morte di Crovi nel cartaceo, hanno deciso di non riportare la notizia sui siti.
E’ il caso di Repubblica. A pagg. 48-49 c’è un bell’articolo di Leonelli dedicato a Crovi, ma nessuna traccia online.
Chissà perché.
Raffaele Crovi ha avuto un ruolo importante nel panorama letterario ed editoriale degli ultimi anni in Italia. Eppure, a differenza di molti dei giovani scrittori dei nostri giorni, che tendono ad atteggiarsi a star, lui mi ha sempre dato l’impressione dell’antidivo.
Penso che i veri grandi siano quelli che rifuggono il divismo.
Grande Raffaele!
Addio a Raffaele Crovi
ROMA (30 agosto) – Lo scrittore Raffaele Crovi è morto oggi alle 13 nella clinica Humanitas di Rozzano, dove era stato ricoverato martedì. Aveva 73 anni. Era stato anche giornalista, produttore editoriale e televisivo. Nato il 18 aprile 1934 a Calderara di Paderno Dugnano (Milano), aveva vinto il SuperCampiello nel 1993 con La valle dei cavalieri (Mondadori).
Crovi passò l’infanzia a Cola, in provincia di Reggio Emilia, dove, come amava raccontare (e scrivere), iniziò a comporre sonetti a undici anni “per spirito di emulazione”. Si trasferì a Milano, dove si laureò in Giurisprudenza e sposò, nel 1966, Luisa Scandolo. A quel tempo era già stato assistente di Elio Vittorini da Einaudi, per poi diventare vicedirettore editoriale di Mondadori. Seguirono dieci anni alla Rai come responsabile dei programmi culturali. Grazie alla formazione acquisita nel campo editoriale diresse la Rusconi e fondò poi l’editrice Camuna, poi assorbita da Giunti. Scrisse saggi (l’ultimo dedicato a Vittorini) e romanzi oltre a sei raccolte di poesia. Quando vince il SUperCampiello disse: «Nessuno aveva previsto questa vittoria; ma io un po’ l’avevo prevista e certo molto l’avevo sperata».
Se ne va un altro grande del Novecento. E ormai ne rimangono in pochi.
Addio Raffaele.
Quando un bravo autore se ne va lascia qualcosa di sé attraverso le sue opere. E’ così per Crovi.
Non ho mai letto niente di Crovi. Quante cose dovremmo leggere che resteranno sempre da leggere! Non basterebbero i giorni di un’intera vita per mettersi in pari… Eppure sono un lettore forte, uno da un libro a settimana,spesso anche di più se i libri sono corti… Non so, forse non scriveva cose nel mio genere, forse era un autore di noir e io non amo molto il noir… Sapevo del suo impegno nel mondo editoriale, ma poco altro. Mi associo al lutto per la perdita e mi propongo di leggere prima possibile un suo libro. Consigliatemi il migliore!
Gordiano Lupi
Gordiano, scusami se ti rispondo in ritardo.
Dopo una rapida consultazione con Andrea Di Consoli – che conosce le opere di Crovi meglio di me – ti dico che uno dei libri migliori è senza dubbio “Cameo” (Mondadori, 2007).
Quello che lo ha reso noto al grande pubblico è “La valle dei cavalieri” (Mondadori, 1993) che ha vinto il Premio Supercampiello.