Novembre 21, 2024

225 thoughts on “IO TI PERDONO di Elisabetta Bucciarelli

  1. Come ho scritto sul post sono molto lieto di poter ospitare nuovamente Elisabetta Bucciarelli, amica di Letteratitudine di antichissima data.
    Ne approfitto anche per scusarmi con Elisabetta: è da mesi che le avevo anticipato la pubblicazione di questo post (che, per una serie di ritardi e di impegni accumulatisi, riesco a pubblicare solo adesso).

  2. Ne approfitto anche per ringraziare Paola Pioppi e Alessandra Buccheri per aver messo a disposizione di Letteratitudine le loro recensioni al nuovo romanzo di Elisabetta… e per aver accettato il mio invito a essere co-moderatrici (insieme a me) di questo post.

  3. Torniamo al titolo del romanzo: Io ti perdono
    Come dicevo: bello, evocativo… già da solo si presterebbe per un corposo dibattito.

    Elisabetta, questo titolo l’hai scelto tu o è stata una proposta della casa editrice?

  4. Protagonista del libro, ancora una volta, è l’ispettore di polizia Maria Dolores Vergani (che molti di voi conosceranno per averla incontrata negli altri libri di Elisabetta).

    Elisabetta, descriveresti le caratteristiche salienti di questo personaggio a beneficio di chi ancora non lo conosce?
    Chi è Maria Dolores Vergani?
    E come si è evoluto il personaggio in questi anni?

  5. Come ho scritto sul post, il titolo del romanzo – già da solo – si presterebbe per un bel dibattito.
    Vi rifilo le mie solite domande con l’intento di favorire la discussione (tenendo conto che una parte del romanzo è incentrata sul concetto di perdono).
    Invito a rispondere anche Elisabetta, Paola e Alessandra…

  6. So che Alessandra Buccheri è fuori sede (e potrà intervenire solo a partire da domenica sera / lunedì mattina).
    Per il momento lascio la parola a Elisabetta e a Paola… e a tutti coloro che vorranno intervenire.

  7. Un post sul concetto di perdono?!?
    Mi interessa molto.
    Il libro mi incuriosisce, intanto ascolto l’intervista a Fahreneith poi magari intervengo con un mio post.

  8. il romanzo pare anche a me molto interessante. tanti auguri all’autrice.
    parlare di perdono, oggi, è importante. ma io non sono molto ottimista. viviamo in una società egocentrica, mentre il perdono presuppone un’apertura all’atro.

  9. Ho letto, apprezzato e recensito (su La Sicilia) l’ultimo romanzo di Elisabetta, autrice sensibile, dotata di una scrittura senza fronzoli ma profonda al tempo stesso, capace di dare vita ad un romanzo denso che si snoda su più pianI narrativi.
    Un romanzo da leggere.
    Di seguito la mia rece

    Io ti perdono di Elisabetta Bucciarelli
    Kowalski pag. 252 € 14

    Elisabetta Bucciarelli autrice milanese torna ai suoi lettori con questa storia dai risvolti inquietanti. In Val d’Aosta qualcuno rapisce bambini piccolissimi e dopo avere abusato di loro li rimette in libertà, confessando a don Paolo i suoi peccati. Il parroco, con quel segreto nel cuore, convince i genitori a non sporgere denuncia per evitare che il mostro uccida i bambini, e coinvolge nelle indagini una sua vecchia parrocchiana, l’ispettore Maria Dolores Vergani, esperta in psicologia, che presta servizio a Milano. Impegnata a dare un volto e un nome allo scheletro di una giovane rinvenuto in un capannone alla periferia di Milano e che la porta ad indagare nel mondo della movida metropolitana tra puttane dell’est e vecchi musicisti romantici, Maria Dolores non può negare un favore al suo ex parroco. La vicenda si complica quando il parroco dal passato oscuro muore con una corda al collo e la stessa Maria Dolores viene rapita dal mostro che le carica nella sua fotocamera la card con gli scatti dei bambini disperati. Tra la montagne aostane accompagnata dal fido Achille Maria Funi l’ispettore dovrà scavare dentro il suo passato e tagliare col coltello il dolore che l’attaglia per risolvere il caso e lasciare il proprio cuore finalmente libero di amare.

  10. tra le domande, rispondo a queste
    Fino a che punto è giusto perdonare?
    C’è un limite oltre il quale il perdono può essere controproducente… o bisogna puntare a esso sempre e comunque?
    forse ci sono soggetti che non sono in grado di recepire il perdono. per questi il perdono potrebbe essere deleterio.

  11. e poi cosa si intende per perdono? da qui forse la prima domanda sul senso del perdono.
    io posso perdonare un ladro, se riconosce lo sbaglio. lo posso perdonare, purché però si faccia la sua giusta galera. ecco. perdonare secondo me non significa cancellare le colpe.
    scusate l’intrusione.
    ancora auguri all’autrice.

  12. non vorrei essere preso per uno scorbutico però. riguardo al libro mi piacerebbe saperne di più sul personaggio dolores

  13. « Io ho una certa pratica del mondo; e quella che diciamo l’umanità, e ci riempiamo la bocca a dire umanità, bella parola piena di vento, la divido in cinque categorie: gli uomini, i mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i quaquaraquà… Pochissimi gli uomini; i mezz’uomini pochi, chè mi contenterei l’umanità si fermasse ai mezz’uomini… E invece no, scende ancor più giù, agli ominicchi: che sono come i bambini che si credono grandi, scimmie che fanno le stesse mosse dei grandi…E ancora più giù: i pigliainculo, che vanno diventando un esercito… E infine i quaquaraquà: che dovrebbero vivere come le anatre nelle pozzanghere, chè la loro vita non ha più senso e più espressione di quella delle anatre… Lei, anche se mi inchioderà su queste carte come un Cristo, lei è un uomo… ».
    A parlare è Don Mariano, non a caso un prete. E le parole sono di Sciascia. Suo è questo nuovo modo di coniare la famosa declinazione dei mezzi uomini e via così fino ai quaquaraquà.

    Caro Massimo, grazie per la tua attenzione e per lo spazio che dedichi ai miei lavori. Non devi assolutamente scusarti per i tempi, non c’è fretta per nulla, come sai 🙂

    Parto rispondendoti su Sciascia e citando uno dei passi che mi hanno colpita da adolescente. Ho pensato a lui spesso in questo scorcio di novembre. Al suo modo di guardare l’umanità. Colto e feroce. Senza paura. L’ho “incontrato” e apprezzato grazie a una insegnante di lettere del liceo, (che sto cercando di ritrovare, si chiamava Carrea, e insegnava al liceo scientifico Donatelli di Milano, se per caso qualcuno…). Ci raccontava che era un uomo coraggioso, prima ancora di essere un grande scrittore. E io continuo a domandarmi se dai libri si possa imparare anche il coraggio.

    Perché senza coraggio, in preda alla paura, difficilmente si può pensare al perdono. Coraggio emotivo, etico, per qualcuno, come è noto, coraggio morale. Quindi Sciascia fa parte delle mie letture di formazione, e devo dirti, mi è venuta anche voglia di rileggerlo.

    Ringrazio anche Roberto Mistretta, (ho il tuo nuovo libro pronto da leggere) e le sue parole lusinghiere.

    Cerco una pagina su Maria Dolores Vergani che racconti qualcosa di lei. E aspetto Paola, che non dovrebbe tardare.

    A più tardi.

  14. I temi trattati da questo libro di Elisabetta Bucciarelli mi sembrano forti. Le recensioni di Paola Pioppi e Alessandra Buccheri sono molto belle e invitanti. Insomma, un altro libro da leggere e acquistare.

  15. Domande di Massimo……
    Qual è il senso profondo del perdono?
    Sforzarsi di oltrepassare le proprie resistenze capendo che tutti al mondo possono sbagliare.

  16. Che rapporto c’è (se c’è) tra capacità di perdonare e capacità d’amare?
    Molto stretto. Chi non è capace di amare, secondo me non è nemmeno capace di perdonare.

  17. E tra perdono e fede?
    Chi ha fede può trovare ulteriori motivazioni per perdonare. Ma il perdono non è prerogativa esclusiva di chi ha fede.

  18. Il perdono può essere considerato come un antitodo per contrastare il male?
    Secondo me si. Il perdono può spezzare la catena del male, a differenza della vendetta.

  19. La nostra, è una società che è capace di perdonare?
    Domanda difficile. Credo e spero di si, anche se a volte mi viene di pensare il contrario.

  20. Fino a che punto è giusto perdonare?
    C’è un limite oltre il quale il perdono può essere controproducente… o bisogna puntare a esso sempre e comunque?
    In linea di massima direi che bisogna puntare al perdono sempre e comunque. Quella del perdono è una dimensione più utile a chi compie l’atto del perdonare, piuttosto che a chi lo riceve.
    Ciao a tutti

  21. Scrissi di ‘Io ti perdono’ tempo fa.
    Credo ci siano aspetti importanti in questo romanzo, nell’uso della lingua che matura, si inspessisce e acquista materialità, capacità di entrare nel dentro senza trascurare il fuori dei personaggi, gli ambienti e le circostanze. E facendolo trascina il lettore entro dinamiche, colori, odori, intensità.
    C’è poi una preziosa sensibilità di Elisabetta che traspare dalle pagine, dal narrare svincolandosi dalla mera dinamica del ‘allora chi è stato? Dov’è? Che succede?’.
    Un abbraccio.
    http://frammentando.wordpress.com/2009/07/22/bucciarelli-elisabetta-io-ti-perdono-2/

  22. ho letto il libro: bellissimo. ed ho avuto modo di ascoltare elisabetta bucciarelli in una presentazione milanese: bravissima.
    a volte ci vuole molto coraggio per perdonare. il perdono è per gli spiriti forti.

  23. più che per gli spiriti forti, matteo, direi che il perdono è per gli spiriti semplici. Una mia amica, che crede nella reincarnazione, giorni fa mi diceva che è essenziale perdonare chi ci fa un torto, di qualunque tipo ed entità, perchè non perdonare produce un “legame” con quella persona che costringe a rimanere in uno stato che non permette al nostro spirito di “staccarsi” dalle cose materiali. Insomma per lei perdonare non è fare qualcosa per l’altro ma per garantirsi serenità e leggerezza… a me sembra una tesi suggestiva

  24. Mi pare che finora il concetto di perdono, o la sua prospettiva, abbia suscitato più interrogativi che risposte. Il tema è vastissimo, e non sempre generalizzabile. Forse è proprio il confine del perdono il primo aspetto su cui occorrerebbe fermarsi a riflettere. Capire se esiste un limite e dove si colloca, se è legato a un punto di vista, alla percezione del senso di gravità o di trauma che ognuno di noi porta con sé. Oppure se facciamo differenze tra le colpe morali e quelle materiali, attribuendogli pesi diversi. E, per avvicinarsi alle suggestioni del libro, cosa è più difficile perdonare: un delitto che danneggia la collettività di cui anche noi facciamo parte, o un tradimento che ci fa perdere la voglia di credere nel bello dell’esistenza?

  25. adriana, credo che gli spiriti semplici siano anche i più forti 🙂
    mi viene in mente madre teresa di calcutta.
    comunque sono d’accordo con te e con chi dice che perdonare fa bene anche e soprattutto a chi perdona.
    ciao

  26. E poi, cosa ci dà la certezza di aver perdonato, e di non essere preda di una convinzione superficiale? Qual è l’emozione, la sensazione che ci dà la certezza di essere stati davvero in grado di andare oltre, di aver compreso le ragioni dell’altro, di aver trovato un equilibrio profondo tra l’accadimento e i nostri istinti emotivi?

  27. In effetti le domande sul perdono sono da un milione di dollari. Ha ragione Paola. Ho sentito la bella intervista di Elisabetta su fahrenheit : brava! Aspetto il brano 🙂

  28. Squilla e non dà affatto segno della festa che viene. Para-
    frasava Leopardi per tenere sotto controllo l’ansia. Ne
    aveva un vagone pieno. E più perdeva il polso delle situa-
    zioni più la sua demoniaca dipendenza saliva in superfi-
    cie. La Vergani lo sapeva. Non si drogava. Non beveva,
    pressoché astemia. E adesso si costringeva a rimanere un
    ex tabagista. Ma la sua bestia aggrappata alle spalle era-
    no le emozioni. Tenerle lontane, contenerle, dominarle.
    Una sfida impari perché prevedeva tutti i pedoni in dife-
    sa. Giocare sempre di rimessa. Non abbassare mai la
    guardia. Muoversi come un cavallo sulla scacchiera.
    Sempre attenta allo scarto. Sempre pronta a smarcare in
    tempo.
    Alla lunga i muscoli s’intorpidiscono. Il sonno ti pren-
    de. Il desiderio di mollare sussurra piano il suo canto di
    sirena. Aveva voglia di abbandonarsi. Abdicare alle sue
    debolezze. Ma il rischio, per chi non entra mai nei vicoli
    dell’esistenza, è di non esercitare abbastanza alcune fa-
    coltà.
    Tanto la Vergani era in grado di comprendere gli altri,
    sostenerli e svelarli nelle loro malefatte, quanto era total-
    mente incapace di avvicinarli senza la sua professionale
    distanza terapeutica. E nelle faccende di cuore, quelle
    private, era da sempre incapace di utilizzare l’organo pre-
    posto. Che non era in mezzo alle gambe, ma al centro del
    cuore. Alzava barriere, creava labirinti, proponeva diffi-
    coltà.
    Adesso, scavallando il dosso dei quaranta, si sentiva di
    rischiare forse in dovere verso se stessa, o forse suo mal-
    grado presa per stanchezza. Su fronti diversi. Con lo stes-
    so comune denominatore. Rimetterci. Soccombere. Era
    forte, sì. Ma a rinunciare. Non a vivere. Lì si perdeva via.

  29. Vale, la Vergani non sa perdonare, o almeno non ancora. Ma si pone il problema. A volte nella nostra vita, semplice vita di persone normali, dobbiamo fare delle scelte: subiamo un torto, o crediamo di averlo subito. Decidiamo di non perdonare, non ci riusciamo davvero. Prendiamo una posizone. Feriti e rigidi. Non parlo di grandi torti, ma di piccoli torti. Che per ognuno di noi, sono immensi. Non perdoniamo. Magari chiudiamo i rapporti. Rompiamo relazioni importanti. Smettiamo di parlare con i figli o le nuore. Allontaniamo per sempre un amico. La vita prende una strada grazie ai non perdoni. Ne prende un’altra se perdoniamo. Non è detto che una sia meglio dell’altra. Ma può succedere che il tempo faccia svanire la pesantezza di un torto subito, un torto mai perdonato. Improvvisamente ( ci pare) perde di importanza. Ma la nostra vita è già da un’altra parte. Chissà, se fossimo riusciti a perdonare. Sono torti piccoli, ma immensi ripeto, quando li subiamo. Privi di valore durante il cammino della vita. C’è qualcosa di molto saggio nel perdono religioso, e la Vergani, da laica, vuole capire che cosa.

  30. E poi, Elisabetta, mi è molto piaciuto ciò che hai scritto sul perdono.
    Estrapolo questa frase (che mi pare molto significativa): può succedere che il tempo faccia svanire la pesantezza di un torto subito, un torto mai perdonato. Improvvisamente ( ci pare) perde di importanza. Ma la nostra vita è già da un’altra parte.

  31. Poi scrivi: C’è qualcosa di molto saggio nel perdono religioso, e la Vergani, da laica, vuole capire che cosa.
    E qui torniamo al rapporto tra perdono e fede.
    Ti domando… la Vergani, da laica, cosa ha capito secondo te?
    E più in generale (mi rivolgo a tutti) in che modo – e fino a che punto – un laico (un non credente) può fare propria la saggezza del perdono cristiano?

  32. Per il momento chiudo qui, approfittandone per augurarvi una serena notte e una buona domenica.
    Nei prossimi giorni avremo modo di “addentrarci” ulteriormente in questo nuovo romanzo di Elisabetta… e conoscere ancora meglio la Vergani, che – la butto lì – potrebbe diventare un intrigante personaggio televisivo e/o cinematografico.
    [Questo valga come augurio, Betta!:-)) ]
    Buonanotte e buona domenica.

  33. Buongiorno a tutti voi… spero di poterlo leggere il prima possibile, ma purtroppo ho molti libri in arretrato.

    saluti
    Giancarlo

  34. Tantu auguri ad Elisabetta Bucciarelli per questo libro. Sarà di certo una delle mie prossime letture.

  35. Sul perdono…..
    Qual è il senso profondo del perdono?
    Riuscire a superare la nostra resistenza ad un torto che abbiamo subito, o che pensiamo di aver subito.

  36. Che rapporto c’è (se c’è) tra capacità di perdonare e capacità d’amare?
    E tra perdono e fede?
    Chi ha fede trova motivazioni in più ( mi riferisco al perdono cristiano ) per perdonare

  37. Il perdono può essere considerato come un antitodo per contrastare il male?

    L’incapacità di perdonare crea conflitti e separaziioni. In tal senso il perdono può contrastare il “male”

  38. La nostra, è una società che è capace di perdonare?
    In questi ultimi anni mi pare che la nostra società sia più arrabbiata e frettolosa: elementi che non agevolano l’attitudine al perdono

  39. Fino a che punto è giusto perdonare?
    C’è un limite oltre il quale il perdono può essere controproducente… o bisogna puntare a esso sempre e comunque?
    Fino al punto in cui riusciamo a perdonare davvero. Altrimenti saremmo ipocriti, soprattutto con noi stessi. E quel perdono, non essendo vero perdono, non servirebbe a nulla .
    Grazie per la possibilità di riflessione.

  40. Prima di tutto auguri per questo libro così importante per il tema trattato a E.Bucciarelli,spero di leggerlo quanto prima.Mi piacerebbe sapere quali effetti provoca sul cambiamento profondo e se c’è il perdono nel personaggio principale nel libro.
    Per le domande di Massimo,ahimè credo non ci sano risposte ma solo ulteriori domande perchè il perdono è veramente qualcosa d’indefinibile nelle categorie dell’umano.Non penso tanto al perdono “facile” di chi si ama,quanto al possibile perdono di un nemico vero,di chi strappa l’amore, la vita o quanto di più caro esista al mondo,cos’è il perdono in questo caso?E’ possibile che prenda spazio dentro di noi?In noi che non siamo Madre Teresa di Calcutta o Giovanni Paolo che perdona il proprio tentato omicida?Non vedo il perdono come un atto di benevolenza e di facile beatitudine che ci cala addosso alle coscienze e al cuore all’improvviso,è un lungo travaglio,spesso solitario e dolorosissimo, una via scura dove non si arriva mai,perchè spesso è il segno del nostro dolore,è ciò che deve resistere per ricordarci quel dolore che qualche volta perdonando abbiamo paura di cancellare e di tradire.No,io direi che il perdono non è quasi di questo mondo,siamo ben lontani dal riconoscerlo perchè nel farlo diremo a noi stessi “io perdono perchè riconosco la mia stessa limitatezza,la mia possibile capacità di fare del male,perdono te perchè riconosco il male che appartiene anche a me”.Chi onestamente può sottoporsi a tutto ciò?Chi perdonerebbe l’assassino di un figlio?La violenza su un innocente?Non lo so,parola troppo grande è il perdono per riempircene le bocche,e laddove venga facile e immediato perdonare non c’è sacrificio d’amore,”per-donare” a qualcuno tanto dovrei avere dentro quel tanto in più da donare.Non so proprio quanto sia di questo mondo.
    Inoltre e qui vorrei tanto sentire Simona,l’atto del perdono è conciliabile con il senso di giustizia?A rigor di logica non dovrebbe esserlo,perchè se ti perdono ti rimetto i peccati,ma la giustizia,il senso di giustizia che dovrebbe appartere agli uomini, e parlo anche di quella non scritta ma che regola di diritto la vita e il rispetto della condizione umana prevede che si paghi per una colpa riconosciuta.Perciò carissima Simona la giustizia prevede o no l’atto del perdono?
    Come dicevo in apertura del mio lunghissimo post,e “perdonami” Massimo,ma tu scateni il senso profondo delle domande in me,l’atto del perdono si apre a tanti interrogativi e poche risposte.

  41. Non riesco ad intervenire come vorrei, ma vi leggo sempre. Questo post è uno dei più interessanti degli ultimi tempi, secondo me. Auguri e complimenti alla Bucciarelli ed a Massimo che trova sempre ottime occasioni di discussione. Sono d’accordo con Francesca Giulia ( bello il tuo post). Per le domande di Massimo, forse, non ci sono risposte ma altre domande. Ma quando le domande ne suscitano altre vuol dire che l’argomento in oggetto tocca nervi scoperti. Vi leggo con interesse.

  42. Cara Annalisa sono lieta delle tue parole perchè sono in sintonia con ciò che provo al di là del pensiero espresso, scrivere e leggere qui su Letteratitudine è per me un “ragionare ad alta voce” e poi uno “sragionare a bassa voce ” per rimettere tutto in discussione e non restare mai ferma ed impigliata in false certezze.
    …grazie a Massimo che ci dà voce e ci fornisce occasione di confronto.

  43. Il tema scottante trattato dalla brava Elisabetta Bucciarelli, induce a riflettere e fa venire i brividi… E’ difficile perdonare una persona che uccide l’innocenza di un bambino e lo marchia a vita. Mi reputo religiosa, ma tutta la notte mi sono chiesta, se sarei pronta a perdonare un simile abominio.
    Chi si dichiara cristiano, dovrebbe essere un portatore di pace, dimenticando le offese ricevute. –
    Forse solo attraverso l’assidua preghiera e col trascorrere del tempo, riuscirei a sedare l’odio e il rancore; sentimenti negativi che di norma, minano l’equibrio interiore ogni volta che un atto tanto grave reclama vendetta.
    Per le scorrettezze e le cattiverie sopportabili, mi sforzo di essere una
    sentinella vigile, sulle ferite inflitte al mio orgoglio di essere umano, ad esempio, sulle gratuite irruzioni o prevaricazioni che sopportiamo noi disabili ed emarginati. Così glisso e ri -glisso! –
    Oggi come mai, la morte è in agguato dietro l’uscio, basta uscire nelle piazze, nelle strade, per trovarsi nel baratro del nulla.
    La vita però è troppo breve per aver tempo di odiare!
    E’ meglio tentare e ritentare di volersi bene…..
    Tessy

  44. Ecco, Tessy, è veramente necessario capire quali siano davvero le “ferite inflitte al mio orgoglio di essere umano”. Perché è difficile dare misura ai torti della vita.
    Il libro, per riuscire a introdurre la domanda- se sia possibile perdonare e fino a che punto- prende uno dei delitti più efferati, verso l’infanzia, verso i bambini. Chiede a un prete di perdonare, perché un prete deve farlo. E poi domanda all’uomo, spogliato dagli abiti (ammesso che si possa), in che misura riesca a seguire l’obbligo del perdono.

    Poi aggiunge una complicazione: mentre ci domandiamo se sia davvero possibile perdonare un atto così scellerato, vediamo cosa siamo in grado di perdonare nel nostro piccolo quotidiano. Il confronto continuo, tra grandi cause e minuscoli torti, porterà la protagonista a guardare i suoi non-perdoni. E ancora una volta mentre cercherà di dar loro un senso e una dimensione, vedrà sovvertirsi ancora le regole.

    Tradimenti, che vanno a toccare l’ingenuità e il candore; tradimenti, che se ne approfittano dell’infanzia; tradimenti, in nome di un amore più grande.

    Ciò che si può azzardare è il rancido del NON-perdono. L’acidità che contamina la nostra esistenza, il pensiero fisso della giustizia negata. La non richiesta di scuse. Il non ravvedimento. C’è una tossicità nel rancore, anche se motivato, che mantiene la nostra esistenza piena di ruggine. Come pure, una violenza nella vendetta, che spesso appare l’unica via di compensazione.

    E’ vero, ci sono molte domande e poche risposte legate a questo tema. Ma una donna di giustizia, una psicologa, una persona con un minimo di sensibilità, guarda alla vittima, cerca il colpevole, ma è consapevole che i sopravviventi, i parenti, coloro che rimangono, sono quelli che hanno necessità di avere le cure migliori. Vorrebbe imparare a perdonare Maria Dolores Vergani. Per raccontare loro come si fa.

    Grazie a tutti coloro che sono intervenuti, e ci risentiamo più tardi.

  45. Le riflessioni giunte finora sono molto interessanti, quasi uno stimolo a mettere a fuoco le parole che ognuno di noi usa per spiegare quello che prova quando si deve confrontare con un tema così vasto e profondo.
    Io però proporrei di portare il tema del perdono su due scenari più ristretti, e quindi legati al libro di cui stiamo parlando. Il primo è il perdono relativo al MALE SUBITO DA UNA PERSONA CARA: un figlio, un genitore, qualcuno a cui sono legati i nostri affetti, e che soffre a causa di qualcun altro. Che soffre magari irrimediabilmente.
    Il secondo è il perdono relativo al TRADIMENTO, allo SVILIMENTO DELLE EMOZIONI, alla menzogna nei rapporti affettivi, e quindi un altro genere di sofferenza, che può essere altrettanto invalidante.
    Quanto è difficile o impossibile il perdono in questi casi?

  46. Due contesti nei quali la valenza religiosa del perdono ha lo stesso valore della valenza umana, nel primo caso applicata a qualcuno che non ha saputo o potuto difendersi, nel secondo relativa alle nostre vulnerabilità.

  47. argomento stimolante, come al solito, più del solito, forse.
    e però molto, molto complicato.
    perchè il concetto di perdono presuppone la definizione di colpa. la colpa è individuale o è invece l’espressione del fallimento di un contesto? famiglia, società, stato, cultura… fino a che punto la colpa è davvero del singolo? in percentuali variabili, credo, lo è anche di altri che stanno intorno. e questo può valere per cose “gravi” o leggere, banali, quotidiane. il fallimento di un legame, ad esempio, il male che si può fare in amore, in qualunque tipo di relazione umana.
    passando alle cose gravi, il discorso è certo più difficile, ma forse non poi così diverso. e può valere sul piano etico, sociale, ma anche su quello religioso, di fede. Su questo piano, poi, vi sono molte possibili giustificazioni del perdono: passando dal famoso esempio della pagliuzza, a quello dell’impossibilità di una giustizia umana davvero equa, per arrivare al “rimettere i debiti”, e al concetto ancora più complesso di “appartenenza ad un solo corpo”. Al di là delle implicazioni di fede, mi sembra che vi si possa trovare anche un risvolto “sociale”.
    Ma questo mi sembra un terreno un po’ troppo impervio…
    Per tornare al perdono, mi sembra che se la colpa del singolo è anche un po’ la colpa di tutti, allora perdonare l’altro è perdonare noi stessi, e quindi il perdono davvero libera, entrambe le parti, chi perdona e che è perdonato. Che potrebbe riallacciarsi al concetto espresso da Adriana a proposito della reincarnazione, ma anche a quelo di Francesca Giulia sul fatto che perdonare significa riconoscere i nostri limiti e la possibilitò che il male alberghi anche dentro di noi.
    Non credo sia umanamente impossibile, certo è difficilissimo. forse la capacità di perdonare non dipende dalla fede, perchè se così fosse gli stati storici “cristiani” dovrebbero essere stati campioni di perdono, ma come sappiamo tutti così non è mai stato, putroppo, anzi. Dipende invece forse dalla capacità dell’individuo di avere una esatta percezione di sè non tanto come essere individuale, quanto come parte di qualcosa di più grande, di un insieme che tende all’armonia senza tuttavia raggiungerla. dalla capacità del singolo di entrare in “risonanza” con gli altri, in empatia, che si può chiamare anche comprensione, compassione, eccetera. Credo sia molto più difficile perdonare quando si è chiusi in se stessi, quando l’unico parametro di misurazione siamo noi, il nostro universo interiore ed esteriore, le nostre belle certezze, case calde, letto caldo, famiglia, patria, chiesa, eccetera.
    per questo, temo, siccome siamo sempre più chiusi proprio su queste belle certezze, la nostra società è sempre meno capace di perdonare. Meglio espungere il corpo estraneo, molto più rassicurante, molto più comodo dire che il male è solo là, in chi non ci appartiene, in chi non osserva le regole.
    Mi rendo conto che questa è solo una dissertazione molto teorica e poco pratica e soprattutto poco praticabile. Però, a volte, e vorrei riallacciarmi a quanto detto da M.Teresa, dietro chi fa del male ad un bambino c’è qualcuno che è stato a sua volta bambino, e non sappiamo se e quanto dolore si porti addosso.
    un tempo ero molto più rigida, severa, e non riuscivo nemmeno a concepire che si potesse perdonare, in certi casi. paradossalmente, essere madre mi ha portato non solo a pensare alle vittime – e pensi che mai e poi mai potresti perdonare che farebbe dle male ai tuoi figli, e pensi a quelle madri…. però poi pensi anche alle altre, di madri, e agli altri figli, che prima di diventare capaci di portare tanto male, sono stati a loro volta bambini, inermi e indifesi come i tuoi.
    ecco, questo pensiero a me dà un’angoscia insopportabile.

  48. scusa, paola, ho scritto l’intervento prima di leggere i tuoi. forse io sono andata un po’ fuori. però non ho capito che vuol dire “Due contesti nei quali la valenza religiosa del perdono ha lo stesso valore della valenza umana, nel primo caso applicata a qualcuno che non ha saputo o potuto difendersi, nel secondo relativa alle nostre vulnerabilità”
    perchè in questi contesti la valenza religiosa ha lo stesso valore della valenza umana? e qual’è secondo te la differenza tra queste due “valenze”, invece?

  49. @giorgia: in effetti ho ho sbagliato termine, per “umana” intendevo “laica”. Grazie di aver chiesto questa precisazione, in effetti così non era chiaro

  50. Il libro di Elisabetta, oltre ad essere ben scritto e ad avere una trama articolata e appassionante, ha una grande ricchezza: fa riflettere.
    Basta leggere questi commenti, per averne un piccolo assaggio.
    E’ un libro che pone delle domande e cerca di stimolare le capacità di giudizio dei lettori, facendo leva sulle emozioni.
    Non si tratta di fornire risposte, perché il tema è molto complesso.
    Viviamo, secondo me, in una società dove il perdono è visto come una debolezza. Dove fin da piccoli non s’insegna a perdonare i piccoli torti, ma a rendere ‘pan per focaccia’. Dove i furbi sono considerati i migliori.
    E allora, parlare di perdono diventa ancora più importante. E bello. E difficile. E giusto.
    Grazie, Elisabetta.

  51. Un grande libro, quest’ultimo di Elisabetta, il migliore tra i suoi. Si può perdonare ma non è obbligatorio farlo… Soprattutto dinanzi a tragedie come quelle raccontate nel bellissimo romanzo di Bucciarelli. Una storia difficile da dimenticare. MS

  52. Carissima Francesca Giulia,
    che belle le riflessioni che proponi e quanta responsabilità nella domanda che mi hai posto!
    Proverò a risponderti tirando in ballo le teorie generali sulla funzione della pena e …la Bibbia.
    Per le teorie della pena infatti essa o mira a riabilitare il reo (funzione di prevenzione speciale) ovvero a educare la collettività attraverso la minaccia della reazione giudiziaria al compimento del reato (funzione di prevenzione generale).
    Il perdono, in senso tecnico-giuridico, non è preso generalmente in considerazione dal diritto (se eccettuiamo la cd “grazia” ossia quel provvedimento di clemenza individuale che condona la pena principale del tutto o in parte oppure la sostituisce con una meno grave e che viene concessa dal Presidente della Repubblica con atto controfirmato dal Ministro della Giustizia in riferimento a un singolo soggetto che si trovi in condizioni eccezionali).
    E tuttavia il pentimento è insito nel concetto di riabilitazione del reo.
    E nel concetto di pentimento quello di perdono.
    Verso se stessi.
    Credo che il perdono verso il male compiuto sia l’unica, vera forma di riparazione possibile. Quella che precede il perdono verso gli altri.
    Perchè non rende irrilevante la coscienza della colpa e non induce alla irresponsabilità. E’ anzi l’esigenza di trasformare in libertà interiore la pena che è imposta da fuori. Di farla evolvere in redenzione.
    In altre parole giustizia e perdono non sono valori alternativi, così che seguire l’uno comporti calpestare l’altro.
    Non si tratta di scegliere giustizia e perdono: stanno e periscono insieme.
    La giustizia senza amore è una cattiva giustizia, l’amore senza giustizia è un cattivo amore.
    Solo nella reciprocità tra giustizia e amore si può comprendere il rapporto tra delitto e castigo. E, in ultima analisi, la necessità del perdono verso se stessi come antecedente logico e umano del perdono verso gli altri.
    E qui credo che l’insegnamento giuridico possa essere ispirato dalla prima storia dell’umanità, dall’origine di noi. Caino e Abele.
    Dio non elimina Caino, non lo cancella dalla terra, perchè nella colpa c’è già la pena.
    Quella colpa diventata pena, attribuisce al reo la responsabilità di riconquistare se stesso.
    “Disse Caino al Signore: troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono? Ecco tu mi scacci oggi da questo suolo e io mi dovrò nascondere lontano da te”. Così fu, ma il Signore disse anche : “Però chi ucciderà Caino, subirà vendetta sette volte”.

  53. Complimenti a Elisabetta Bucciarelli, perchè resttuisce alla letteratura un grande tema. Il male e il bene. L’ombra e la luce. La soglia.
    Credo che la scrittura abbia questa funzione: svelarci. Dirci la verità su noi stessi.
    Forse, perdonarci.

  54. Complimenti a tutti, qui, a cominciare dal padrone di casa.
    I commentatori sono stati esaustivi e non saprei che altro aggiungere.
    Il perdono che conosco io, consiste nel non tener conto di piccole offese, di sgarbi, anche di qualche ingiustizia.
    Ma non mi sono mai trovata nella condizione di perdonare un delitto perpetrato nei miei confronto o dei miei cari.
    Forse non saprei perdonare, forse potrei addirittura provare sentimenti di vendetta.
    L’argomento è troppo complesso, per me. Non vorrei cadere nella retorica, ma riconosco alla matrice cristiana il vero senso del perdono.

  55. Buona serata a tutti e grazie per gli splendidi commenti.
    Un saluto a tutti i nuovi intervenuti: Giancarlo, Marco, Francesca Giulia, Annalisa, Tessy, Giorgia, Antonella, Simona, Cristina.
    Grazie davvero a tutti.

  56. @ Francesca Giulia
    Grazie a te, Fran. Io provo solo a lanciare degli stimoli… poi sei tu, insieme agli altri amici, a riempire di contenuti questo spazio.
    Quando poi la discussione è incentrata su un libro bello e importante (e che affronta tematiche così forti) come questo nuovo romanzo di Elisabetta… be’, i risultati sono sorprendenti.

  57. Un ringraziamento particolare a Tessy (che interviene sempre, nonostante le difficoltà) a offrirci sempre le sue belle parole, a Giorgia (per il corposo e interessante commento) a Paola (per la presenza costante), a Simona (per il suo intervento giuridico-letterario)…

  58. Vorrei mettere in evidenza questa frase di Elisabetta: C’è una tossicità nel rancore, anche se motivato, che mantiene la nostra esistenza piena di ruggine.
    Bella. Fa riflettere…

  59. Ciao a tutti,
    intanto ringrazio Massimo per l’opportunità che mi ha offerto pubblicando qui la recensione dell’ottimo libro di Elisabetta Bucciarelli. Sono contenta di avere Paola Pioppi come fiancheggiatrice in questa esperienza 🙂

    Sono appena rientrata in sede e vorrei recuperare i vostri interventi prima di intervenire in modo approfondito.

    Qualcosa però vorrei già dire, anche se temo che più che rispondere aprirò nuovi interrogativi. Che pongo a voi ma sui quali mi confronto anche io.

    Ho trovato affascinante l’idea di Adriana che vede nel perdono una forma di comportamento “utile”, conveniente, nel senso che economizza sullo spreco di energie emotive.

    E mi sono detta: piuttosto che chiedermi se riesco a perdonare, forse dovrei chiedermi: se non perdono, che alternative ho?

    Se l’alternativa è la faida materiale o emotiva, l’innesco della spirale di vendetta, allora il perdono è davvero la migliore alternativa. In questa accezione “perdono” significa però deposizione delle armi, seguita dall’indifferenza.

    Ma è questo che si intende per perdono?

    Mi sono allora interrogata sul reale significato del perdono. Capacità di superare un torto subito e di riprendere una relazione con chi mi ha offesa?

    Impossibile. Impossibile non tenere conto di ciò che è accaduto. Penso di essere capace di “perdono” solo se sono davvero convinta che chi mi ha ferita lo abbia fatto in maniera del tutto involontaria. Ma il male volontario è imperdonabile per definizione. Non vedo motivo al mondo per cui dovrei perdonare (perdonare nel secondo significato, cioè dimenticare e andare avanti) un torto subito.

    Posso perdonare nel senso che posso rinunciare a vendicarmi. Ma non posso perdonare facendo finta che non sia accaduto nulla.

    Chiedo anche: nella decisione di perdonare, quanto c’entra il comportamento dell’altra persona? Voi perdonate incondizionatamente? Perdonate anche chi non vuole essere perdonato? Chi non chiede il vostro perdono non per orgoglio, ma perché non è interessato a riprendere un rapporto con voi?

    Perdonatemi (…appunto…) per questa prima frettolosa risposta, prometto di essere più presente domani mattina.

    Intanto auguro a tutti voi una buona notte 🙂

    Alessandra Buccheri

  60. Ho avuto il piacere di leggere e recensire il libro di Elisabetta. Un libro che apre grandi riflessioni. Perchè al di là della storia, la scrittura di Elisabetta spinge chi legge a porsi delle domande. Questo grazie alla sensibilità di un’autrice capace di trasformare in parola scritta ciò che coglie attraverso le sue “vibrisse”.
    Perdonare in moti casi significa ragionare, approfondire, ripercorrere situauzioni e storie nei loro contesti. Perdonare significa non chiudersi dietro pregiudizi e rigidità. Poi siamo umani e con tutti i nostri limiti non sempre abbiamo la capacità di farlo.
    Un caro saluto

  61. Grazie per la partecipazione.

    Ora mi piacerebbe raccontarvi che il titolo di questo libro avrebbe potuto essere un altro: Di Crepacuore.
    Troppo drammatico e straziante, ma il senso centrale, prima che il perdono possa concedere sollievo o risoluzione, è proprio questo. Quanto siamo disposti a sopportare?

    C’è una ragazza molto giovane che vive alla fine degli anni settanta. Ama un uomo e quest’uomo è il compagno di una madre bellissima. Lui se ne approfitta, la seduce, e poi, una volta scoperto l’abbandona. Lei viene abbandonata due vuole. Da quest’uomo e dalla madre. Quale reazione e quali conseguenze?

    C’è una bambina, che a diciotto anni, per il suo compleanno riceve un dono: la confessione da parte dei suo attuali genitori di essere stata adottata. Rimane ferma. Poi entra in crisi. Perché informarla? perché a 18 anni?

    C’è una donna che intrattiene una relazione con un uomo solo virtualmente. In tutti i sensi. Perché non lo incontra mai. Si lascia intrappolare da una voce, dalle fantasie che provoca, dal desiderio di essere amata. L’uomo è sposato con figli. La vuole, la desidera. Promette ma non può mantenere. Ha troppa paura delle sue stesse emozioni. “Ma tu la ami questa donna?” gli chiede la moglie che lo ha scoperto. “No” risponde lui. Sta mentendo.

    Ci sono un gruppo di prostitute dell’est che vengono “gestite” da uomini di potere. Sono merce, corpi al dettaglio, sono giovani, belle, prive di strumenti e spesso, anche madri.

    E poi c’è altro…

  62. Grazie Francesca Giulia. E complimenti ad Elisabetta Bucciarelli. scrivi cose molto belle ed interessanti. Leggerò di certo questo tuo libro.

  63. @ Le Autrici Elisabetta, Giorgia, Paola, Simo e Massimo il mio Tutor…
    Nel cambiare vita, in maniera radicale e irreversibile,
    le ferite fisiche e morali sono state molte: da una rampa di scale
    che impedisce gli accessi, a restare in perpetua riserva in panchina .
    Sarebbe possibile fare una graduatoria della sofferenza?
    Oserei dire che non esiste una sofferenza generica anche
    se generalizzata..
    Ognuno di noi, ha una sopportabilità del dolore che cambia di
    intensità, da persona a persona e per motivazioni
    diverse. Esse denotano l’educazione laica o religiosa,
    che gli è stata impartita, e rispecchiano la sfera esistenziale
    dell’individuo. La disciplina interiore, sebbene in ripida
    salita, aiuta a pazientare, tollerare, gestire le ribellioni,
    a dominare l’orgoglio che non si sradica con la paralisi..,
    e il desiderio impetuoso di vivere.
    Cosa rimane? Il valore dinamico della fede personale, che non è, né
    sentimento né ragione, ma essenzialmente esercizio della
    volontà, con una scelta sofferta di credere, malgrado tutto.
    Resta inoltre, una creatura, conscia dei propri limiti,
    capace di ricevere, donare un’amicizia sincera e udite, udite l’ impunita, persino una quota abbondante di amore, sia pure squisitamente platonico! Grazie e un corale saluto.
    Tessy

  64. che bello questo post. bravissima elisabetta, considera anche me come tua nuova lettrice.
    dicevo che bello il post, ma le domande di massimo, i post di elisabetta e gli altri interventi mi hanno messo in crisi…..

  65. preciso.
    ciò che volevo dire è che le domande sul perdono e gli interventi che ho letto mi hanno dato da pensare su questo argomento come mai avevo fatto prima. sono entrata in crisi.
    sarei capace di perdonare se qualcuno dovesse fare qualcosa di grave a un mio caro? mi viene in mente stefano cucchi, mi viene in mente il piccolo tommy….
    mi vengono in mente tante cose. e rabbrividisco.

  66. Ecco, la Vergani, protagonista del libro, rabbrividisce come te, Letizia. E non riesce a perdonare. Non riesce neanche a farlo pensando che l’eventuale colpevole/colpevoli possano chiedere scusa. Non c’è perdono possibile senza che vi sia una richiesta per quel perdono, dicono alcuni. Altri ne fanno una questione del tutto personale e privata. Ma ciò che interessa al mio personaggio è ritirare ogni volta i propri perdoni apparentemente impossibili rispetto ai grandi perdoni impossibili. Se guardi gli scritti sul perdono ( pensa a Derrida per esempio), trovi che l’argomento sia trattato solo per i grandi perdoni. Ma le “minuzie”, un compagno che ti lascia, un figlio che non ti rispetta, un amico che ti tradisce, una madre che ti abbandona, insulti e parole fuori posto. Insomma ciò che regolarmente ci succede, sfido chiunque a chiamarsi fuori, manca di un nome. Come lo chiamiamo emotivamente? Che peso è giusto assegnare? Ci hanno insegnato, abbiamo imparato a dare la giusta dimensione alle cose? manchiamo di educazione sentimentale ed emotiva. E come possiamo pensare a un perdono per qualcosa che ancora non abbiamo capito? Quanto è l’orgoglio personale e quanto la realtà inequivocabile dei fatti. Insomma il rovello rimane, ma l’atteggiamento, secondo la Vergani, cambia se siamo disponibili a pensare senza ideologie e preconcetti. Siamo disponibili?

  67. grazie elisabetta, il fatto che anche la vergani rabbrividisce mi rincuora un po’
    tu però poni nuove domande altrettanto difficili. mamma mia 🙂
    a parte gli scherzi. grazie. come ho detto prima e come hanno detto altri, tutte queste domande aiutano a pensare e a guardarsi dentro.

  68. Io credo che queste ultime considerazioni sollevino ancora una volta la questione della percezione del perdono: come si fa a capire se veramente abbiamo perdonato? Basta la nostra percezione? Il nostro convincimento?

  69. Penso, e temo, che sia più facile convincere se stessi di aver perdonato, piuttosto che riuscire a farlo davvero, trasformando – appunto – la nostra percezione in certezza.
    E poi qual è la linea di confine tra disinteresse e perdono? Basta dimenticare il torto subito per aver perdonato, oppure si tratta solo di dimenticanza, di oblio?

  70. Quello che dice Paola Pioppi in quest’ultimo commento è importante: come si fa a capire se veramente abbiamo perdonato?
    In alcuni casi posso decidere, per esempio, di tornare a rivolgere la parola a una persona che ha inflitto un torto più o meno grave a me o ad un mio caro. Immaginiamo che io, per scelta, decido di tornare a parlare a quella persona dicendo pubblicamente che l’ho perdonata. Immaginiamo che in verità in cuor mio continuo a serbare del rancore, sapendo che quel rancore non andrà mai via.
    In questo caso ho perdonato o no?

  71. Il punto era esattamente questo: possiamo ritenere di aver perdonato perché il tempo passa, le emozioni perdono spessore, magari ci allontaniamo anche fisicamente dalla persona o dalla situazione che ci ha prodotto sofferenza o un torto. Ripensiamo a una cosa e non ci dà più quella rabbia o quel dolore di aver provato all’inizio. Crediamo di aver perdonato, di essere andati oltre.
    Ma siamo certi che ritrovandoci davanti tutte le emozioni non ritornano a galla?
    Quindi, qual è il percorso emotivo del perdono, e come sappiamo di essere arrivati in fondo a questo percorso? Io non so rispondere a questa domanda.
    Certo, se ci troviamo faccia a faccia è la prova del nove: possiamo osservare al nostra reazione. Ma se questo non accade, cosa ci assicura che siamo riusciti a portare a termine il nostro percorso?

  72. Paola, secondo me potrei trovarmi faccia a faccia con il responsabile del torto subito e non fare esteriormente una piega. Magari dico di averlo perdonato, magari me ne convinco anch’io. Però continuo a serbare rancore.
    Secondo me in questo caso il mio sarebbe solo un perdono formale e non sostanziale.
    Ti faccio un’altra domanda: il perdono formale così inteso ha un valore?
    Ovviamente la domanda è rivolta anche agli altri.

  73. Ma soprattutto: il perdono formale ha senso? Avere ancora dentro un carico di rabbia, pur negandolo all’esterno, ci permette di vivere bene? Cui prodest?

    Alessandra

    p.s. Continuo a farmi domande e la cosa non mi fa bene, ve lo assicuro 🙂

  74. Credo che il perdono formale serva solo a non farci star male, a spostare il nostro asse di pensieri e a darci una risposta razionale. Ma poi l’emotività segue altre strade, che non sempre riusciamo a dominare.

  75. Non credo Antonio che si debba porre la questione in termini di valore. Non credo neanche sia un valore, il perdono. Penso piuttosto sia una possibilità. Se mantieni una forma e dentro covi, a che ti serve? A essere conforme, appunto. A non emarginare chi ha commesso il torto. Ma a te, alla tua vita e al tuo dolore, cosa cambia? Nulla, perché non hai risolto.

    Parliamo del personaggio del libro, che mi è più facile. Maria Dolores Vergani ha subito un torto (tanti torti, come tutti, ma uno in modo particolare). Si è vendicata di quel torto. Vecchio testamento. Ha sofferto e si è ricostruita con grande difficoltà una vita. Poi succede, che in un momento di questa sua vita, un avvenimento l’abbia ricondotta di fronte a quel torto (non alla persona, ma al fatto, alla circostanza). In quel momento si è resa conto che il tempo aveva stemperato, che le ferite erano rimarginate, che il suo ricordo non bruciava più. Allora ha ripensato alla persona e si è detta che in fondo, l’essersi vendicata (prendi per vendetta anche l’allontanamento o la cancellazione di chi ha commesso il torto) le dispiaceva. Perché sentiva la mancanza di quella persona. Certo, alla base deve esserci un rapporto forte, queste sono le circostanze più critiche. Quelle che accadono nell’ambito familiare, o nelle relazioni affettive più strette. Quelle che vale la pena di raccontare.

    Capisci anche che una trama nera si nutre di emozioni esasperate. E la vendetta, il rancore e la sofferenza alimentano le possibilità di distruzione del prossimo e di se stessi.

    Allora credo che il perdono abbia un senso se, come arriverà a pensare anche la Vergani, vogliamo dare ancora una possibilità alla persona, se decidiamo che la forza positiva del nostro rapporto debba mantenere il suo valore di partenza, se siamo in grado di essere accoglienti verso la fallibilità di chi amiamo. Se non è così meglio non fingere e andare per la propria strada (con la sofferenza al seguito).

    Rimane aperta una questione per il mio ispettore (e per me): si può perdonare un atto scellerato se non conosciamo le ragioni per cui è stato compiuto? in nome di cosa? perché? A questa domanda mi piacerebbe avere delle risposte…

  76. Prima ringrazio la cara Simona per aver risposto a una delle mie domande-che chiamava in causa proprio lei per l’attinenza con il diritto-.Grazie Simo!Poi mi rimetto nella scia del discorso anche a seguito dei commenti pervenuti e di quello di Elisabetta in cui parla della Vergani che “rabbrividisce”nel suo percorso di esplorazione del perdono.Ecco trovo particolarmente interessante e conducibile ad ogni essere umano proprio il percorso che si affronta quando ci ritroviamo di fronte all’atto così impegnativo del perdonare.Secondo me non c’è un perdono formale e uno sostanziale,e non c’è un punto che rappresenti il punto d’arrivo dell’atto del perdonare,se il segno del dolore è tanto forte e presente in noi,tanto forte sarà la tensione emotiva e spirituale del perdono,ogni istante che proverò a perdonare sarà insieme un istante di rinuncia e difficoltà a perdonare,un mettere in discussione tutto,me stessa, l’oggetto del perdono e il soggetto.Io devo continuamente ricordarmi di voler perdonare e nel ricordo rinnovo il sentimento dell’offesa e del dolore legato a doppio filo all’atto del perdono,perciò è di per sè un atto così profondo e doloroso.Un atto rivoluzionario dell’animo umano,perchè è dentro di noi che scava gallerie, per guarire deve necessariamente grattare la crosta del nostro dolore più autentico.Ecco perchè il perdono non può mai essere immediato o facile,se non esiste il sentire sofferente del percorso del perdono non siamo su quella strada,ma semplicemente sulla strada più corta per sorvolare sugli accadimenti della vita e con inerzia sospingerci più avanti di qualche passo.Il perdono ci passa attraverso e ci cambia profondamente,o si muore dopo o si rinasce.Sarà bello capire dal libro di Elisabetta se la Vergani saprà rinascere o morirà spiritualmente dal travaglio del perdono,ma leggendo l’intensità della scrittice non ho dubbi,troveremo un percorso di rinascita attraverso i tanti dolori attraversati.

  77. Eppure. Il perdono formale potrebbe essere l’anticamera di quello sostanziale. Mi piace l’idea del perdono secondo Francesca G. : atto rivoluzionario dell’animo umano.

  78. si può perdonare un atto scellerato se non conosciamo le ragioni per cui è stato compiuto? in nome di cosa? perché?
    mah, immagino che sia umanamente quasi impossibile.
    Però la Vergani mi piace. Com’è messa sentimentalmente? E’ impegnata? Lo chiedo all’autrice.

  79. E’ impegnata Antonio, nel vero senso dell’impegno che ci mette per restare legata emotivamente. Ma è anche distratta da altro, che osserva, sente ma decide di non vivere. Ha un modo feroce di resistere alle emozioni e ai sentimenti. Cerca in tutti i modi di far aderire le sue aspettative al piano di realtà. Fallisce spesso seguendo questa strada, ma è anche vero che non ha nessun motivo per accontentarsi di ciò che non la completa o semplicemente gratifica a pieno. Poi succede che si fidi di qualcuno. Ma come nella vita, spesso, è proprio da chi non ci immaginiano che arrivano le delusioni peggiori…

  80. Mi pare che la discussione si sia ulteriormente sviluppata e che il perdono sia stato esaminato da diversi punti di vista.
    Un argomento che fa discutere, non c’è dubbio. Che interessa… così come è molto interessante questo nuovo romanzo di Elisabetta e la protagonista delle sue storie: Maria Dolores Vergani.

  81. Due domande per Elisabetta.
    La prima: alla Fiera del Libro di Torino hai avuto l’onore di essere presentata (e di far presentare questo libro) a Simonetta Agnello Hornby.
    Che ricordo hai di quella presentazione?

  82. A proposito di Alessandra Casella…
    vi consiglio di vedere e ascoltare questa bella intervista (in tre parti) di Elisabetta su Booksweb. L’intervistatrice è proprio Alessandra Casella.
    Andate qui: http://www.booksweb.tv
    In alto a sinistra, sul campo “cerca”, scrivete: Io ti perdono.
    Cliccate sulla lente e… il gioco è fatto.

  83. @Elisabetta Bucciarelli ti è venuto prima in mente il personaggio e poi il nome adatto a lei oppure sono nati insieme nome e personaggio?perchè “Maria Dolores”?le sue origini ?

  84. Davvero grazie a tutti i tuoi commentatori Massimo.

    Il battesimo di Simonetta Agnello Hornby è stato importante e molto emozionante. Mi imbarazza ricordare le sue parole, ma tu c’eri e sai quanta passione ci ha messo nel parlare di Io ti perdono. Si è alzata in piedi e con la sua autorevolezza diceva e leggeva.

    Ma anche le altre donne che mi hanno presentata sono state passaggi importanti. Penso a Francesca Mazzucato, a Piacenza, a Grazia Verasani, a Bologna, Ambra Angiolini, a Roma, Roberta Scorranese e il Giudice Maria Luisa Lo Gatto a Monticello Brianza, l’ispettore Clara Guerrieri a Milano, Eliselle, a Reggio Emilia, Tecla Dozio, a Novate Milanese e altre importanti ne verranno, a breve. Donne che hanno voluto bene al libro e mi hanno sostenuta e apprezzata.

    Il libro ha una opzione cinema da parte della Colorado Noir. Per me è certo una cosa importante. Continuo a considerarlo come un complimento. Io ti perdono nella mia mente resta ancora una creatura di carta, e Maria Dolores Vergani è innanzi tutto una “faccenda” tra me e i lettori. Una bella faccenda, direi 🙂

  85. @Massimo sono una rompiscatole gentile e molto molto curiosa,avrebbero dovuto intuirlo i miei genitori che avevo qualche problemino quando da piccola smontavo tutto per vedere cosa ci fosse stato dentro….il problema è che non sono capace di rimontare poi!!
    Grazie a te e ai tuoi splendidi ospiti che ci fanno compagnia in maniera intelligente e che ci fa sentire poi un pochino più intelligenti!!
    🙂
    serena notte

  86. @Elisabetta Bucciarelli :Domani vado a comprare la Maria Dolores…mi intriga questa donna!!
    Avrei qualche curiosità anche sulla copertina,bellissima ma molto inquietante,almeno per me,non so agli altri che impressione faccia.Ne parliamo domani?

  87. Alessandra Buccheri riporta, nella recensione di “Io ti perdono” di Elisabetta Bucciarelli, delle riflessioni (tratte dall’incipit del romanzo) intrise di una drammaticità intensa, non priva – però – di verità.
    Ne estraggo queste: Il perdono … “Credo sia farsi lacerare e dilaniare fino a che la resa diventi inevitabile. Il perdono non è una dichiarazione di intenti. E’ una conquista” … “Ma poi si riesce a stare in pace?”
    Già, poi – dopo aver perdonato, anche secondo i crismi religiosi – si riesce davvero a stare in pace?
    Personalmente credo che il perdono sia un “andare oltre” per necessità, opportunità o rinuncia del singolo a buttarsi in avventure di rivalsa che potrebbero provocare effetti devastanti sulla sua psiche e magari anche sulla sua integrità fisica.
    Infatti, il dover porgere l’altra guancia al “nemico” o al rivale dopo aver subìto vessazioni, umiliazioni o perfino torture d’ogni genere suscita nell’animo umano un’angoscia, un senso d’impotenza micidiale e – il più delle volte – una depressione tale da compromettere per sempre l’esistenza. Al riguardo, non credo che gli psichiatri mi possano dare torto.
    Certo che il romanzo è sì da leggere e da consigliare, anche per confrontarci coi protagonisti (e l’Autrice) su un tema spinosissimo, dove i punti di vista si moltiplicano, accendendo senz’altro pensieri, considerazioni e dibattiti più o meno pacati. Ma mai definitivi.
    Un saluto cordiale, A. B.

  88. Conoscete il libro “UOMINI CHE ODIANO LE DONNE” dello scrittore svedese …. ?
    Anche il film è molto bello, ne consiglio la visione a tutti: una trama forte incentrata sul tema della violenza sulle donne: la scena più impressionante è quando l’attrice principale (una tipa niente male nell’ interpretazione di una neo punk seriamente arrabbiata), decide di vendicarsi da sola di prevaricazioni, ricatti, assurdità mentali, sfociate in una violenza carnale da parte di un tutore che le è stato affidato dall’assistenza sociale. Liz pianifica le fasi del suo “farsi giustizia da sola” in tempi brevi con freddezza, irrompe nell’ appartamento del verme, lo narcotizza con uno spray, lo incapretta per bene tutto nudo, gli infila un pene finto nel didietro, mentre sul ventre con la pittura nera gli incide la frase indelebile LURIDO PORCO.
    Personalmente avrei voluto entrare dentro lo schermo cinematografico e darle una mano. Forse non sono la sola ad aver provato questa solidarietà.
    Il male subito non si dimentica, rimane accantonato da qualche parte nella memoria degli uomini (ma anche la natura non dimentica un bel niente) per ripresentarsi inaspettatamente ancora più potenziato di prima, ogni volta riaffiora con una forza nuova, si cerca invano una via d’uscita ad un assillante richiesta di “senso”.
    L’anima può essere ferita in tanti modi, il più feroce è certamente la violenza sul corpo, ma può far male anche un gesto inopportuno, una frase sbagliata, un comportamento inaspettato, un tradimento, un’ingiustizia, la scoperta di una scomoda verità, a volte si sorvola su cose che realmente e senza accorgersene, hanno lasciato un segno profondo nella sensibilità individuale ed hanno determinato l’andamento della vita. A volte non sono stati esenti neppure i danni. Chiare appaiono certe responsabilità sul prossimo.
    Un atteggiamento positivo impone che bisogna andare avanti, non lasciare che il dolore ingoi e impantani l’esistenza e la speranza, sarebbe come dargliela vinta a chi l’ ha provocato.
    Di fronte al tarocco della giustizia, un elenco di dettagliate figure scorrono nella mia mente: il signore che, con un atteggiamento di magnanimità, lascia perdere ( ma questo non significa che in lui siano definitivamente tramontati rancori e ripensamenti), il diplomatico che con alto grado di civiltà equilibra le relazioni, il calcolatore che pianifica e aspetta l’occasione che, prima o poi, la vita gli metterà dinnanzi, il giustiziere che si dà da fare per rimettere a posto le cose e cerca i mezzi per sanare la propria ingiusta ferita.
    La via del perdono induce a riflettere sul più alto grado spirituale che possa avere un uomo: dalla dimensione umano passiamo a quella Divina.
    Ma la mia logica mi tortura e continua ad affermare che il Perdono – da una parte – ha un Senso se (dall’altra) c’è il Pentimento Reale.
    Mi interessa in special modo l’opinione di Elisabetta Bucciarelli e Alessandra Buccheri.
    Grazie

  89. Rossella, anche secondo me il senso del perdono risiede nell’esistenza del pentimento. E così rispondo alla prima delle domande di Massimo Maugeri.
    Complimenti anche da parte mia alla Bucciarelli per il suo libro.

  90. Qual è il senso profondo del perdono?
    lasciarsi alle spalle un dolore, una sofferenza, e avere la forza di guardare avanti

  91. Che rapporto c’è (se c’è) tra capacità di perdonare e capacità d’amare?
    il perdono senza amore è come il coraggio senza paura: perde senso

  92. E tra perdono e fede?
    la fede cristiana può favorire la propensione al perdono, ma non è indispensabile

  93. Il perdono può essere considerato come un antitodo per contrastare il male?
    più che per contrastare il male, per contrastare il malessere che crea dentro

  94. La nostra, è una società che è capace di perdonare?
    credo che il perdono sia prerogativa più del singolo che della società. una società composta da individui capaci di perdonare è una società che perdona, viceversa no

  95. Fino a che punto è giusto perdonare?
    C’è un limite oltre il quale il perdono può essere controproducente… o bisogna puntare a esso sempre e comunque?
    il perdono deve nascere da un’esigenza personale, non da una imposizione (o autoimposizione). è questo il limite, secondo me.

  96. Cara Rossella,
    sono di passaggio veloce ma prometto di ritornare sul tema. In realtà io, Elisabetta (non la Vergani, che si ostina a cercare la verità delle cose), credo ancora in un qualcosa di assolutamente evanescente, che si chiama giustizia. Mi pare che il ravvedimento sia un obiettivo, soprattutto se si chiede la grazia- un grande perdono-. Forse anche l’ammissione completa della colpa. Mi piacere che ci fosse un avvocato per raccontarci davvero come stanno le cose. Ma credo che in qualche modo la grazia non possa essere concessa se terzi la chiedono e nemmeno se continui a negare di aver commesso il fatto. Sarebbe giusto così, in effetti. Quindi, iniziamo a domandarci se possiamo o riusciamo a perdonare dopo aver saputo bene, dico proprio bene, chi ha fatto cosa e possibilmente perché, e soprattutto se il soggetto in questione è in grado di ammettere e pentirsi (detto religiosamente), chiedere scusa (un po’ più laico). Se poi si facesse anche un po’ di galera (in senso reale o figurato, dipende dal torto), non nuoce.
    Ecco, da qui in poi inizia la possibilità di prendere in considerazione l’idea di perdonare…

  97. Grazie, Elisabetta, la tua ultima risposta chiarisce molti degli interrogativi che mi ero posta (ehi, ma io non dovevo essere uno dei moderatori? Invece ho più sollevato dubbi che dato risposte… Chiedo perdono :))

  98. Ciao Massimo, ciao a tutti.
    Questa storia del perdono penso che l’abbiano inventata gli psichiatri, come processo catartico per alleggerire la frustrazione dei torti subiti.
    Il perdono è un chiaro invito rivolto agli offesi perché dimentichino il male ricevuto e rinuncino, cornuti mazziati e felici altrimenti il gioco non riesce, ad ogni sacrosanto diritto risarcitorio, senza qui entrare in alcun merito sulla natura dello stesso. Mi rendo conto che, detta così, potrebbe sembrare un peana al coranico: “occhio per occhio…”. Naturalmente non è questo il luogo per una questione di diritto e neppure di morale, è una decisione che spetta alla coscienza individuale ed ognuno vi ceda come e quanto può e vuole. Tuttavia, bisognerebbe ricordare che l’istanza del perdono non conduce allo stesso per automatismo, come sembrano credere frotte di pii forse un pò bigotti che inneggiano al perdono come atto di estrema carità e misericordia, ecc, ecc. Perdonare chi ci ha fatto del male, credo sia contro la natura umana, quindi, un gradino difficile per affacciarsi ad una soglia superiore. Quando mi trovo in situazioni simili, mi chiedo sempre: può valerne la pena? Implicitamente, Massimi, ho risposto alla tua domanda se il perdono possa essere considerato un antidoto per il male. Penso di no perché non contrasta il male, ma solo i suoi effetti, è’ un placebo.
    La società non credo sia in grado di perdonare, ma raggiunge un altissimo indice di capacità di sopportazione e salvifico oblìo che vanno sotto le mentite spoglie di tolleranza e perdonismo (quest’ultimo, non si sa bene cosa sia, comunque negli ultimi anni è sulla bocca e sulla penna di tutti) e… chiedi se c’è un limite? Sinceramente non saprei, quello della nostra coscienza credo.
    MAril

  99. a quanto ha detto maril aggiungo che l’ “occhio per occhio” oltre ad essere coranico è anche biblico.
    mi piace tornare sul concetto del limite del perdono. ribadisco quanto ho scritto, perché ci credo molto. il perdono deve nascere da un’esigenza personale, non da una imposizione (o autoimposizione). è questo il limite, secondo me.

  100. Aggiungo una considerazione, che mi suona attuale, e che spero di poter approfondire stasera con Massimo on air. Per riuscire a perdonare occorre avere coraggio. Per riuscire a perdonare occorre superare la paura. Non fare finta di non averne. Essere capaci di riconoscerla e affrontarla. E magari prima o poi, si riesce anche a superarla. In alternativa opto per l’antico silenzio. Silenzio e pensiero. Non è cattolicesimo ma vita vissuta. Che stiamo vivendo insomma. Poi possiamo raccontarcela come vogliamo, razzolare nei cortili altrui che disistimiamo profondamente e accettare che ci venga fatto di tutto. Sono scelte. A volte anche l’indifferenza è praticabile, in attesa di un oblio. Insomma Alessandra, porre domande non è la più semplice delle questioni?

    Per esempio: quanto dobbiamo fare finta di perdonare, a quante cose dobbiamo passare sopra, e accettare in campo professionale? In nome di cosa?

    Continua…

  101. La differenza tra chi perdona davvero e chi finge o si illude di perdonare è una sola.
    Chi perdona davvero è in pace con se stesso e con il proprio cuore (e non importa come e perché riesce a farlo).
    Chi finge o si illude di perdonare non fa altro che indossare una maschera sopra il proprio rancore e la propria sofferenza.

  102. @maril
    non credo che l’abbiano inventata gli psichiatri, esiste già nella cultura greca classica, quando ancora gli psichiatri facevano le scuole elementari.
    non serve solo ad alleggerire il senso di frustrazione. serve ad interrompere spirali di odio e violenza che una volta innescate non servono a niente se non a recare dolore su dolore, perchè dalla parte opposta del perdono c’è inevitabilmente la vendetta. e quindi, non è un palcebo.
    non è un automatismo, e non serve invocarlo perchè miracolosamente si materializzi. e non necessariamente le frotte di pii sono anche bigotti, nè si tratta di un monopolio cristiano o religioso.
    esiste poi una dimensione “sociale” del perdono, che ha a che fare con la legge, con le regole, e che forse è vero, hai ragione, spesso è falsa.
    però, vedi, la storia delle società umane è fatta anche di quello, altrimenti non si va avanti, ci si incarta, si continua a girare a vuoto.
    è quello che succede dopo una guerra, dopo un evento traumatico che porta distruzione e morte: se le due parti non riescono a superare il trauma, tutta il contesto ne soffre e continua a soffrirne. e non credo che non sia umano, al contrario è umanissimo: fa parte dell’istinto di sopravvivenza, che porta comunque a scegliere la vita, e a farla andare avanti.

  103. @elisabetta
    ciao, sono contenta di conoscerti.
    sono d’accordo con te. per perdonare ci vuole molto coraggio. e forse anche un po’ di incoscienza.
    però, a parte quella dimensione “sociale” del perdono a cui facevo riferimento prima, in quella personale non capisco che senso abbia parlare di far finta di perdonare. In questo senso sono d’accordo con renato. e poi sono due cose diverse, sopportare e perdonare. il perdono non implica necessariamente la sopportazione, o la giustificazione, così come il contrario: io posso sopportare l’inimmaginabile, e però coltivare un rancore profondo. a volte le cose vanno insieme, altre volte no.
    e comunque secondo me devono restare separati i due piani, quello sociale e quindi giuridico, e quello personale. hanno radici diverse, soddisfano esigenze diverse, e si attuano secondo modalità diverse.

  104. @girorgia mi trovo in linea con la tua considerazione che “perdono non implica necessariamente la sopportazione o la giustificazione”,il perdono non deve essere visto solo in un’ottica religioso-spirituale di concessione perchè potrebbe in alcuni casi essere simbolo di incapacità a far valere le proprie ragioni per un torto subìto,oppure una tendenza a prendersi su di sè ogni colpa e responsabilità di un accaduto,bisogna aiutare anche le persone in casi drammatici e difficili a riconoscere la colpa e la responsabilità altrui,forse il perdono alberga sul filo del limite tra il desiderio di vendetta e quello di un giusto riconoscimento delle responsabilità di chi sbaglia.Pensiamo a chi perdona troppo facilmente quando ama e si fa carico di responsabilità altrui.Secondo voi è più facile perdonare quando si ama chi ci ha colpiti o quando si odia?E se perdonando l’odio che ha segnato una relazione fino a quel momento sbiadisce non è detto nè automatico che dopo aver perdonato si voglia riprendere quella relazione,alle volte l’odio è un sentimento che lega quanto l’amore in alcuni rapporti e pare che cancellandolo con l’atto del perdono cancelliamo anche chi ci ha offeso,che non sempre vogliamo realmente cancellare.E’ un pochino tortuoso,ma naturalmente è riferito a tipi di relazione che sotto le spoglie della normalità possono nascondere sentimenti tortuosi.
    Poi mi veniva in mente stamattina,quanta responsabilità abbiamo noi stessi in casi in cui concediamo la possibilità ad altri di farci del male?Perciò se riusciamo nel contorto cammino del perdono a vedere noi stessi come coattori di relazioni umane,parte del bene e del male cogenerata dai nostri stessi comportamenti allora sarà meno difficile perdonare.

  105. Finchè dura il pentimento, dura la colpa. (Jorge Luis Borges)
    Si perdona finché si ama. (François de La Rochefoucauld)
    Noi siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini è la prima legge di natura. (Voltaire)
    Importante è ricordare, ma più importante è dimenticare. (Rainer Maria Rilke)
    Perdona i tuoi nemici, ma non dimenticare mai i loro nomi. (John Fitzgerald Kennedy)
    La passione non ottiene mai il perdono. (Pier Paolo Pasolini)
    Perdona sempre i tuoi nemici. Nulla li fa arrabbiare di più. (Oscar Wilde)
    Vi metto queste citazioni,anche questi grandi hanno ragionato come noi sul perdono.
    un caro saluto ad Elisabetta che ha toccato questo tema così profondamente,e a tutti gli altri.

  106. @francesca giulia
    wow… stavo giusto facendo una ricerca sull’arte pseudoellenistica protobuddista del ghandara… non è che per caso c’avresti ‘na citazioncina? 🙂

    sei una risorsa! 🙂

  107. @giorgia ehm,sull’arte pseudoellenistica protobuddista del ghandara sarei un pò indietro con le ripetizioni,ma sto molto avanti con il programma di yamatologia e sinologia letteraria e filosofica…
    🙂
    Dai scegli una citazione,te la regalo!!
    Ora vi lascio devo andare ad una cena organizzata dalla scuola di mia figlia con ospiti giapponesi! :-/

  108. Grazie Francesca Giulia sono molte limpide. Adesso le rileggo con cura 😉
    E Giorgia dice delle cose che ritengo molto vere, anche se dispiace a volte, accettare che sia così. la dimensione sociale del perdono la vediamo soprattutto nei grandi non-perdoni. Ma ripeto, secondo me, perdonare non significa dimenticare o far passare nell’oblio le colpe e le responsabilità.
    buona serata a tutti

  109. La faccio io una citazione.
    Il perdono va bene ma una coltellata è meglio (anonimo siciliano)

  110. Si è sviluppato un dibattito interessantissimo. Complimenti a tutti e i migliori auguri a Elisabetta. Credo che comprerò il libro, nonostante la recensione di Mistretta.

  111. Dimenticavo… nella trasmissione radio di oggi parleremo del ventennale della morte di Sciascia, della caduta del muro di Berlino, e di “Io ti perdono” di Elisabetta Bucciarelli.
    Ospiti della puntata: Elisabetta Bucciarelli e il prof. Carlo Pulsoni (docente di filologia romanza presso l’Università di Perugia).

  112. Il perdono. Ho ringraziato stamattina Maometto e Cristo per non essere stati come i loro fedeli. Leggo spesso i libri della Kowalski solo per il fatto che sono della Kowalski. Pubblicano soltanto roba buona, se pubblicano sorrisi, sono sorrisi veri, se pubblicano biografie sono “biografie vere”, se pubblicano romanzi sono romanzi veri, quindi, dopo aver guardato il trailer, aver letto la recensione di Mistretta (che mi onorò anni addietro di una sua recensione di cui vado fiero) e visto quel marchio, non ho avuto dubbi: sto libro della Bucciarelli mi piace, anche perchè io non sono in grado di perdonare, quindi forse, potrei imparare qualcosa. E non sono neanche in grado di ambientare un libro in Valle d’Aosta. In bocca al lupo.
    Ale

  113. Grazie, Simona. E grazie a tutti coloro che hanno avuto modo di ascoltarci in diretta. Nei prossimi giorni ci sarà la possibilità di ascoltare (o ri-ascoltare) la trasmissione in podcast grazie a Luca Corte (conduttore del programma “Nu Poets”): ne approfitto per ringraziarlo e salutarlo.

  114. Vi chiedo scusa, ma non ho avuto la possibilità di leggere i commenti di oggi 17 novembre. Lo farò con calma domani… adesso sono “cotto”.
    Vi ringrazio ancora per i vostri interventi e – come sempre – vi auguro una serena notte.

  115. Se perdiamo fiducia nella bellezza del perdono, per quanto difficile ed a volte contronatura, cosa ci rimane di questa nostra vita?

  116. Scusate per la banalità del mio post qui sopra, ma è quello che io penso.
    E grazie per questa bella conversazione così ricca di stimoli. Ciao a tutti.

  117. Ecco, dopo le tre canzoni di cui sopra sono ancora più convinta di prima che il perdono vada chiesto.

    Non è la magnanima elargizione unilaterale della parte lesa, ma è l’ultimo atto di una dinamica che ha coinvolto due o più persone.

    Dopo, potrà esserci chiusura o riapertura di una nuova pagina. Ma perdonare chi non vuole essere perdonato non ha senso.

    Ed è così anche per i cattolici, o sbaglio? C’è un Dio misericordioso che perdona, ma prima si passa per la confessione e l’atto di dolore.

    E questo apre un nuovo interrogativo. Quando chi dovrebbe essere perdonato si allontana, impedendoci così anche di perdonare e pacificarci con noi stessi, non ci sta doppiamente offendendo?

  118. Grazie a te Elisabetta. Non speravo in un tuo commento 🙂
    Posso porre domande alla Massimo M. a te, Alessandra, Paola ed agli altri sulle 3 canzoni?
    Quale è quella che rappresenta meglio il perdono?
    C’è una canzone, tra le 3, che potrebbe essere usata come colonna sonora del libro?
    Grazie 🙂

  119. Chi rifiuta il perdono offende due volte, sono d’accordo. Ma il perdono è qualcosa che va offerto, non imposto. E’ un atto che libera chi lo concede, non chi lo riceve.
    Siete d’accordo?

  120. Sì Filippo, sono d’accordo. E’ un atto che libera chi lo concede. Ma spesso chiedere scusa implica anche la richiesta di azzerare una distanza che si era formata tra due persone. Pensa ai rapporti familiari, per esempio. Comunque se per la nostra religione non c’è perdono senza pentimento, io penso che perdonare sia anche un atto individuale e silenzioso. Come nel caso di chi compie un torto e sparisce senza magari avere neanche minimamente idea di averlo commesso. Succede anche questo nella vita.

  121. Sono perfettamente d’accordo, Elisabetta.
    Forse più che richiesta, direi: la *speranza* di azzerare una distanza. Questo può essere uno degli stimoli del perdono.

  122. per fortuna Dio non dà molta retta agli uomini, e nemmeno ai cattolici. lascia a loro il compito di fare i contabili, i ragionieri, e per sè si riserva il lusso di fare il gran signore…. 🙂

  123. @Giorgia Lepore. Infatti, Giorgia, l’esigenza di perdono è antica esattamente quanto la comparsa di Eva, non in quanto tale, è chiaro, ma solo perché da allora Adamo non è stato più solo. Fino a quel momento non aveva proprio nulla da perdonare o farsi perdonare. Molto prima degli psichiatri, sugli stessi libri di antica cultura hanno studiato tutti, compresi i fautori del Cristianesimo e di altre religioni con pari dignità. In questo senso è giusto parlare di perdono come strumento sociale, ovvero come uno degli artifici per governare moltitudini che, necessariamente, devono osservare regole di convivenza piuttosto che agire secondo la propria natura. La quale, come certamente sai, può essere molto ferina ed ignorare il grande esempio di chi perdona dal profondo del cuore. Ma non era proprio mia intenzione fare questioni morali, come avevo chiaramente premesso, e quindi religiose. Per questo ho parlato di co-scienza, quella ricchezza razionale innalzata dalla metafisica che permette di specchiarsi negli altri, osservando come interpretano gli stessi sentimenti e problemi che agitano noi stessi. In questo modo riusciamo a capire fin dove possiamo spingerci. E perfino, a volte, dove desideriamo spingerci.
    Dal punto di vista individuale, per chi possiede il dono della fede capisco che perdonare possa quasi essere un dovere. Ma anche da tale pulpito eletto e privilegiato credo sia facile vedere nel perdono uno strumento antropologico potente, per chi lo chiede e per chi lo dà, e ne è riprovevole l’abuso da parte di entrambi. MAril

  124. Il rapporto tra perdono e fede è stringente, certo. Anche se, è stato detto, non essenziale. Sono d’accordo.
    Introdurrei un altro elemento nella discussione.
    Chi di noi, una o più volte nella vita, si è trovato nelle condizioni di dover essere perdonato?
    Chi è senza peccato scagli la prima pietra, chi non ha bisogno di essere perdonato rinneghi la necessità del perdono.
    Per come la vedo io, bisogna intenderlo in questo senso il perdono. ed è con questi occhi che leggo il noto passo del Vangelo secondo Matteo.

  125. Eccolo…
    “Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: «Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?». E Gesù gli rispose: «Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette. A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti. Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito. Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa. Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi! Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito. Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l’accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell’uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato. Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te? E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello» (Matteo 18, 21-35).”

  126. @maril
    la discussione è molto stimolante e però ci porterebbe forse un po’ troppo lontano. però mi piacerebbe molto approfondire.
    solo una cosa: se diventa un dovere non ha molto senso, credo che in un’ottica di fede saper perdonare dovrebbe essere un dono, un privilegio. e anche ammettendo che possa diventare uno “strumento antropologico” questo non c’entra con il discorso religioso, quanto con quello sociale, non credi? e più che di abuso, parlerei allora di strumentalizzazione.
    @emanuele
    appunto. 🙂
    @elisabetta
    quindi non può essere sempre e soltanto dipendente da un pentimento, no? può, ma non necessariamente deve. può essere così in una dimensione giuridica, ma in una etica no. non si può ridurre il perdono ad un contratto, un “do ut des”. dovrebbe essere gratuito. difficile, ma forse non impossibile.
    scusa se ogni tanto divago… è che il tema mi prende molto!
    però leggerò il tuo libro…. prometto! 🙂

  127. La nostra, è una società che è capace di perdonare?

    Ringrazio Elisabetta per quanto mi ha scritto. La sfera personale del perdono è soggetta a molti fattori ed è un fatto molto serio, potremmo paragonarla ad una scala che dalla vendetta sale i tanti piani del tacito qualunquismo, della compassione, della signorilità, ci sono tanti gradini intermedi fra questi…
    Adesso Preferisco rispondere alla domanda sul perdono nella sfera sociale.
    La nostra, è una società che è capace di perdonare?
    Fondamentalmente penso che, al giorno d’oggi, coloro che commettono “certi errori”, nel loro doppiofondo sono guidati da un pensiero permanente ovvero “chi se ne frega tanto la gente, prima o poi, dimentica tutto”. Insomma vi è la generale convinzione che ogni tipo di cazzata (grave o lieve che sia) la socieà la spedisce nel dimenticatoio collettivo…è solo una questione di tempo! Insomma, per procedere in questo ragionamento il problema, secondo me, non dovrebbe essere legato tanto alla gravità dell’errore, al piccolo o al grande errore, al peccatuccio di don Abbondio o al peccatone dell’Innominato, ma al principio (in sè).
    Siamo infatti di fronte ad un sovvertimento di valori dove la società, sotto sotto, nell’intimo delle quattro mura, premia ed acclama chi l’ha fatta franca…
    Allora non c’è granchè da perdonare al singolo, se la struttura piramidale della società si compone di elementi che lo sostengono come vertice rappresentativo.
    Per dirla in parole semplici abbiamo parlato di perdono, pentimento, senso della giustizia, tutti termini con un significato morale…
    Grazie.

  128. Che rapporto c’è (se c’è) tra capacità di perdonare e capacità d’amare?
    il perdono senza amore è come il coraggio senza paura: perde senso.
    @ Alberto
    Sì, poi dipende anche dal fatto quanto è per te importante la persona di riferimento…
    A grandi linee si perdona più facilmente chi si ama. Anche se questo presuppone un procedimento della questione molto più profondo.

  129. @ Maril, ho apprezzato molto il tuo intervento, decisamente raffinato, che fa un distinguo fondamentale tra il perdono come strada che si percorre per motivi di fede e il perdono che nasce da un’esigenza svincolata da ogni filosofia che proviene dall’esterno, momento in cui facciamo i conti con noi stessi e con le nostre vere esigenze interiori. Il perdono può nascere anche dal bisogno di non serbare rancore, non avere zavorre che non sappiamo gestire. Per poter dire a noi stessi che siamo persone miti, gentili, che la vita non ci ha incattiviti. Rispondere a un mostro modello.
    Usare la capacità o incapacità di perdonare come strumento per creare il consenso, gestire le masse, inventare nemici o pericoli è un grande potere, braccio armato di una certa forma di confezionamento delle paure sociali, del senso di allarme e della creazione di sicurezze codificate, con le quali la nostra emotività viene spersonalizzata e ingabbiata al punto da rendere difficoltoso muoversi in senso contrario alla corrente sociale.
    Così la nobiltà del perdono ad ogni costo, diventa un anestetico per le rabbie difficili da gestire, ma allo stesso tempo l’impossibilità imposta da canoni sociali o morali artefatti di perdonare certi accadimenti o comportamenti, genera i bisogni di sicurezza fittizi, lo sbilanciamento dei pesi di chi gestisce il potere, l’esigenza di nuove leggi o di emergenze da risolvere.

    Prima di chiudere il mio intervento volevo però allargare il punto di vista sul libro di Elisabetta, dove il perdono è uno dei temi importanti, al punto da comparire nel titolo, ma non è il solo spunto di riflessione profonda.
    Le storie che si intrecciano conducono attraverso la prostituzione e una certa condizione femminile, i rapporti emotivi tra uomo e donna e le difficoltà radicate di certe situazioni in cui è facile riconoscersi, le tensioni minime ma insormontabili sul luogo di lavoro. Il senso della maternità naturale o acquisita che genera considerazioni forti sul senso di identità.

  130. @beatrice: delle tre canzoni, il testo di Bryan Adams è quello che preferisco, nonostante una spiccata simpatia per Tiziano Ferro (e per la sua strofa: “Perdono/se quel che fatto è fatto io però chiedo scusa/ regalami un sorriso io ti porto una rosa/ su questa amicizia nuova pace si posa”).

    Ha ragione Paola, oltre al tema del perdono nel libro di Elisabetta ci sono molti altri spunti. Quello sulla maternità e sulla condizione donna (nelle varie e molteplici sfaccettature) sono i più interessanti.
    Vogliamo aprire un altro dibattito? 🙂

  131. Si è appena aperto un dibattito sul tema il corpo e le donne, o il corpo delle donne, o a chi stiamo parlando quando parliamo di corpo delle donne, che potrebbe essere anche un altro punto vista su Io ti perdono. Corpo ostentato e enfatizzato nei corpi in vendita, o in quelli esibiti alla ricerca di un consenso facile (scambiato con il bisogno di amore e di considerazione profonda legittimo per tutti). Ma anche corpo usato per vendere altri prodotti, libri (quante copertine corporali che promettono e strizzano l’occhio e poi non mantengono, per fortuna… in taluni casi). Corpo negato, nelle relazioni impossibili, virtuali o troppo virtuose. Corpo trafitto o trasformato, la scusa è non voler invecchiare ma in realtà, sembrerebbe una necessità di essere toccati, plasmati, sentiti. Ho un corpo e vorrei che fosse anche materia, non solo una carcassa da portarmi dietro… insomma il discorso è complesso. Sul blog di Lorendana Lipperini c’è una immagine maschile di una bruttezza rara, che parla del corpo degli uomini con eguale violenza (il suo post si pone il problema, infatti). Sul blog di Paola Pioppi (una delle mie angeliche moderatrici), una proposta di discussione. ma anche Barbara Gozzi porta avanti questa ricerca, i cui termini sono ambigui e necessitano di una nuova chiarezza.
    Grazie a tutti gli intervenuti, un abbraccio virtuale. A Paola e ad Alessandra (Angolonero). E grazie a Massimo, gentile e generoso come sempre.

  132. Grazie a te, cara Elisabetta. E grazie di cuore a tutti i partecipanti a questa bella discussione (che mi auguro possa continuare).
    Un saluto speciale ai nuovi intervenuti: Ausilio, Rossella, Giacomo, Alberto, Maril, Francesca Giulia, Giorgia, Salvo, Renato, Marzia, Alessandro, Emanuele, Filippo, Beatrice… e tutti gli altri.

  133. Quello sulla maternità e sulla condizione donna sono temi molto interessanti, sui quali potremmo senz’altro confrontarci.
    Nei prossimi giorni – l’occasione ce la forniranno anche altri libri – proporrò un dibattito sull’essere madri e sul rapporto tra madre e figlia.

  134. Cara Elisabetta, tu citi pure Barbara Gozzi…
    A Barbara darò spazio credo proprio a partire da domani (in un nuovo appuntamento de “la camera accanto”) sul tema letteratura e corpo.

  135. La prima domanda, Elisabetta, riguarda le tue abitudini di scrittura (è una domanda che pongo spesso).
    Quando scrivi, preferibilmente? La mattina, il pomeriggio, la sera? Oppure non hai “momenti di scrittura” privilegiati…
    E poi…

  136. Ritorno volentieri a risponderti, soddisfatta delle considerazioni sul perdono di tutti i tuoi amici/commentatori/appassionati di scrittura e lettura/scrittori… perché la cosa migliore è proprio questo confronto, sulle posizioni e sulle amenità. Anche gli spunti apparentemente distanti dal percorso di chi scrive, finiscono per convergere nel lavoro che sta facendo. Quindi rispondo subito alla tua domanda sul blocco davanti allo “schermo” bianco. Ci sono momenti in cui mi sembra di perdere molto tempo senza scrivere una sola parola. Giornate in cui il bilancio finale è due righe, persino brutte. Però ho capito che non è così drammatico e non c’è “panico”. Sto lavorando altrove. Non producendo pagine o raccontando storie, ma trasformando, senza accorgermene e senza volerlo. Sto vivendo un’attesa. Una delle tante.

    Scrivo al mattino, e smetto nel primo pomeriggio. Devo conciliare doveri e doveri 🙂 tenere insieme dipendenze e bisogni. Se è necessario anche di notte. In circostanze estreme, ma si fa. Le variabili, avendo una famiglia, sono sempre tante. Ho imparato (non ancora benissimo) a governare l’ansia. Compagna costante.

    Infine, Maria Dolores Vergani è già in azione. Non si è mai fermata a dire la verità. Ma come sai, lei è una sorta di “Beatrice”, un traghettatore, una lente d’ingradimento sul mondo che voglio raccontare. Popolato di donne e di uomini che stanno tentando di rispondere a domande fondamentali, che se la devono vedere con la loro esistenza quotidiana. hanno certo un passato ma soprattutto devono riconquistarsi l’idea di un futuro. Non fantascienza, ma vita.

  137. @Elisabetta grazie,che belle parole che hai scritto,inoltre è così generoso che tu condivida con noi che ti leggiamo le tue sensazioni intime rispetto al rapporto con la scrittura che per quanto bellissimo è pur sempre un rapporto travagliato e fatto di solitudine,anche se si nutre della vita che gli sta attorno con fame vampiresca.
    Io auguro alla tua Dolores tanta strada fatta di incontri con anime diverse e soprattutto con la sua stessa anima che è il viaggio più intenso che ogni personaggio di carta e di carne possa intraprendere.
    Mi soddisferesti una curiosità?Il nome com’è venuto fuori?Che origini ha M.Dolores?E quel bambino inquadrato come in uno schermo nel tronco di albero cosa intende rappresentare?Io ci ho visto un pò lo sguardo infantile sulla vita,la perdita dell’innocenza,ma anche il mistero di una ricerca,di una “quete”e uno spiare di uno sguardo esterno.Insomma molte suggestioni!Complimenti anche per la copertina,un caro saluto.

  138. Un tema cosi’ delicato e profondo come quello del perdono,ha richiesto da parte mia una pausa.Qual è il senso del perdono? Perdonare significa donare per. Secondo me,anche quando vorremmo perdonare in senso cristiano,scopriamo che non possiamo.Con il “perdono “non si annulla il male ricevuto.Piu’ grande è la sofferenza piu’ lontani noi siamo dal perdono.Si potrebbe,invece parlare laicamente di atteggiamento mentale.Nel senso che, chi fa del male e chi lo subisce,possono intraprendere un percorso di “reciproco riconoscimento”E se il perdono è inteso in questo modo, si puo’ anche ammettere che,chi avvia questo percorso, verifica pure la propria capacità d’ amare.Non perdonare non significa mantenere il legame con il male.Significa ,semplicemente,prendere le distanze fisiche e mentali da chi ci porta sofferenza.

  139. Ho scritto questa mia riflessione in preda all’ansia e alla sofferenza,proprio perchè per un “perdono”? non ricevuto,la mia vita ,e non solo la mia,ha cambiato il suo percorso.Mi accorgo che ancora oggi le mie ferite fanno fatica a guarire.

  140. cara grazia dalle tue parole percepisco il dolore che c’è dietro. ti sono vicina. anche io sono stata vittima di un ‘non perdono’. lo so, non sempre la vita ci indirizza in percorsi facili. ma andiamo avanti. coraggio!

  141. Ecco, Grazia, tu hai toccato una corda di parecchi post sopra. Come un perdono donato o uno rifiutato possano condizionare, fino a stravolgere, un’esistenza. E non solo la nostra anche quella di chi ci sta di fianco. Quindi, senza negare il dolore e senza dimenticare il torto (nessun oblio è legato al concetto di perdono, non significa azzerare la pagina, o farla ritornare bianca), alla fine il percorso verso il perdono “rischia” di essere davvero l’unica strada perseguibile. Nelle storie di piccola epica quotidiana, familiare, amicale, i perdoni negati o concessi sono all’ordine del giorno. Penso si tratti di una sorta di impossibilità di ricevere risarcimenti emotivi adeguati. Una parola sbagliata, un retropensiero, un piccolo gesto mancato tuonano come dei pugnali al cuore. Ma poi, il tempo passa. E le cose cambiano, quasi sempre. A meno che la vita non sia affatto generosa con noi. E allora dobbiamo aiutarci anche un po’ da soli.

  142. Cara Francesca Giulia, eccomi alle tue domande.

    La copertina di Io ti perdono nasce così per dare risalto a una delle storie contenute nel libro, che riguarda il tema degli abusi sull’infanzia. L’immagine riflessa in questo ideale specchio è quella del “bimbo racchiuso nel corpo di un mostro”. Chi compie abusi rivede se stesso e la propria drammatica storia nella catena infinita di violenze che continua a compiere. Però, come mi pare tu abbia colto, la mia intenzione era quella di trattare l’infanzia non solo nel senso strettamente legato ai bambini ma, soprattutto, come una sorta di arcadia, di purezza legata alle emozioni e ai sentimenti, che nessuno di noi può permettersi di vivere attualmente. L’impossibilità di fidarsi. Di lasciarsi andare. Di riporre le nostre aspettative in qualcuno. Tanto saremo sicuramente traditi. Come puntualmente capita. (Sia in amore che nelle amicizie). Scrivo noir, quindi osservo ciò che mi sta intorno senza inventarmi finali consolatori, che però vorrei tanto esistessero.

    Maria Dolores Vergani è molto raccontata in questo libro, come non ho mai fatto nei precedenti. Vergani è un cognome molto milanese e il suono evoca una predisposizione al comando e a condurre. Che il mio personaggio ha, ma solo nella sua sfera professionale. In quella affettiva e sentimentale è destinata invece a soccombere. Non riesce ad esprimere autorevolezza e spesso non riesce a far valere i suoi diritti minimi. Quindi rinuncia. Lì è Dolores, in pieno. Irrisolta e rigida.

    Maria è il suo nome. Quello che le ha dato sua madre alla nascita. Il resto viene dalla vita, ma non posso aggiungere nulla di più, perché anche questo aspetto fa parte della sua “indagine” 🙂

  143. è stato una fatica leggere tutti i commenti, ma ne è valsa la pena. peccato che il materiale che si è prodotto si perderà nel mare del web-
    ciao a tutti. complimenti alla scrittrice ed al padrone di casa.

  144. @Elisabetta grazie di cuore per l’attenzione con cui hai risposto alle mie curiosità!Il “noir” affrontato con la tua sensibilità è certamente uno strumento di grande approfondimento dell’animo umano nonchè di piacere della buona lettura perchè scritto con stile.
    un caro saluto
    @Grazia l’atto del perdonare o del non-perdonare può veramente condizionare una vita,che tu sia il soggetto o l’oggetto del perdono non sarà mai un percorso facile nè tanto meno poco doloroso,ma comunque vada è un percorso di crescita e di scoperta anche di aspetti di noi stessi che ci servirà conoscere per affrontare la vita.
    da parte mia ti mando un abbraccio forte e mi auguro che tu sciolga presto i nodi che ti fanno soffrire,qualunque sia la soluzione che adotterai.

  145. @Riccardo abbi fede il bel materiale prodotto non si perderà nel mare del web:
    1. perchè è già dentro di noi e produce frutti silenziosi…
    2.perchè il padrone di casa farà in modo che nulla si perda…forse inserendo i temi più interessanti nel prossimo libro Letteratitudine!

  146. Cara Grazia, pure io ti ringrazio per aver voluto condividere con noi questa tua riflessione nonostante (come hai scritto) l’ansia e la sofferenza determinate da un “perdono” non ricevuto.
    Grazie davvero.
    Queste nostre discussioni favoriscono spesso le riflessioni. E riflettere, secondo me, è sempre importante.
    Grazie, dunque. E anche da parte mia… forza e coraggio!

  147. Caro Riccardo, come ha precisato Francesca Giulia, non è mica detto il materiale che si è prodotto qui si perderà nel mare del web.
    A parte il fatto che questo post rimarrà sempre rintracciabile, non è escluso che una sintesi di questa discussione possa finire sul nuovo volume di “Letteratitudine, il libro”…
    Vedremo!:-)

  148. Cara Elisabetta, grazie per le tue risposte.
    Chi scrive sa bene che il confronto con la pagina bianca non è sempre facile… ma se “i blocchi” per un comune scrittore sono dolori, per te – evidentemente – son Dolores…
    Lunga vita alla Vergani!
    🙂

  149. L’intento della battuta di cui sopra, però, non era chiudere il dibattito. Anzi, se qualcuno ha altro da aggiungere (considerazioni, idee, riflessioni) o domanda da porre… si faccia avanti!

  150. …un caro saluto a te Massimo, e scusa se parlo troppo ogni tanto,qui si trova una gran bella compagnia!
    un abbraccio

  151. Francesca Giulia, non osare “parlare” di meno di quanto fai! 😉
    Grazie mille per i tuoi interventi.
    Ne approfitto per ringraziare ancora una volta Paola Pioppi e Alessandra Buccheri. E ovviamente, Elisabetta…

    Buonanotte a tutti!

  152. @Giorgia. Concordo con te, il tema merita approfondimento. Sono qui.
    @Paola Pioppi. Cara Paola, confesso di non aver letto il libro di Elisabetta Bucciarelli, ma è nella lista di acquisti per questo sabato, e di aver colto l’occasione per dibattere di un argomento che interessa tutti, più o meno intensamente. Gli usi ed abusi del perdono in mani spregiudicate possono essere perfidi, così pure per tante altre nostre debolezze. “Dura lex ecc…” tuttavia è vano lamentarsi poiché i consorzi umani possono tener conto, nel tagliare le loro leggi, solo alla media comune dei bisogni, non certo alle singolarità. MA…rischieremmo di cadere nella tortuosità continuando ad inoltrarci in questo argomento, perchè non si finirebbe più di parlarne. Molto meglio tornare alla letteratura. Come ho detto sopra, non ho ancora letto il libro e rimando ogni mia considerazione a dopo, anche gli altri spunti che hai citato promettono bene…Grazie per l’apprezzamento, ricambio
    @MAssimo. Anche a te un saluto speciale
    MAril

  153. Sono arrivata in ritardo. Saluto tutti e cerco di rispondere a qualche domanda. Comincio dalla domanda : Che rapporto c’ è tra la capacità di amare e quella di perdonare? Direi che saper perdonare presuppone necessariamente sapere amare. Non credo sia possibile perdonare senza amore. Sarebbe un perdono formale, senza anima. Se questo è vero anche un non credente che sa amare è caoace di un perdono molto vicino, se non uguale al perdono di chi ha fede. Quanto al rapporto perdono/fede penso che la fede richiede una capacità di perdonare senza limiti. A Pietro che gli domanda quante volte si debba perdonare, Gesù risponde: Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. E questo, nella terminologia ebraica significa sempre. Questo non esclude che chi ha peccato molto, per es. un assassino, non debba essere punito. Comunque, come persona deve ancora essere amato anche dalla vittima. E’ difficile, certo, ma se il legame tra gli uomini, a prescindere dalla fede, è di tipo fraterno, dovremmo almeno tendere con tutte le nostre forze ad un tipo di perdono assoluto. Auguri ad Elisabetta Bucciarelli per il suo libro. Vi saluto tutti. Franca Maria

  154. Passo da te e trovo ancora commenti. E’ come se fosse un luogo aperto che non si chiude. Grazie a Franca per essere intervenuta sul perdono, è bello pensare di poter tendere a qualcosa di assoluto, in questo momento di estremi relativismi.

  155. Una splendida storia che ho conosciuto grazie a Burgaretta (scrittore, docente, etnologo bravissimo) è quella dell’assassino di Maria Goretti. Una redenzione avvenuta in carcere, una storia di perdono da parte della mamma di Maria, una storia di fede e rinascita. Pensate che sono sepolti vicini, Alessandro e la mamma di Maria.

  156. Perdonare fa parte dellanobiltà umana e anche divina ma occorre il rispetto della persona:non offenderla,non ingiuriarla ecco se v’è rispetto e un sano amore amrsi oltre il confine della speranz aalora il perdono è bisogno del’animo di stare bene con se stessi e con gli altri,quante volte siano fustigati da cattivi pensieri imbruttiti e non vogliamo dopo atti gravi perdonare vuol dire l’anima è tormentata angosciat vive l’angoscia invece col perdono recupera la gioia,lo so dopo tanti omicidi come si può perdere l’amata cara vita e perdonare? secondo me c’è Qualcuno che media tra i rapporti umani a volte anche xme quando mi fanno atnti torti il nero offusca il sano perdonare ma leggiamo il vangelo quante volte il perdono è segno di grande nobiltà

  157. perchè la madre deve sempre perdonare i figli specie quelli assassinati? ecco l’incontro tar fede e speranza per vivere bene la vita che tanto ci sta a cuore combattiamo ogni giorno per viverea lungo perchè perderla è garnde miseria anzi si pens ache chi vive come me nel lutto grave vive nella miseria della vita come l’ultimo pezzente invece c’è qualcos ache muta quel giorno di miseria in nobiltà l’ho detto amrsi è un valore .

  158. allora:un lutto o tanti lutti è segno di debolezza al persona è stressata q uindi chi ha vita è nobile,è giusto ma occorre perdonare avere tanat fede la via crucis capiat sempre ogni volta una lenta e lento calvario quindi il tema che propongo: perdere la vita è segno di miseria’ caduta in disgarzia” o segno di nobiltà essere nobili onesti generosi amanti della vita l’uomo del 2000 è amante assai della vita e del perdono.

  159. @ Cinzia Rossi
    Cara Cinzia, grazie per questi tuoi commenti. Se ho ben capito hai subìto un grave lutto, per cui ti sono doppiamente grato per i tuoi interventi e la tua testimonianza.

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