Novembre 21, 2024

205 thoughts on “ITALIA DE PROFUNDIS, di Giuseppe Genna

  1. Un libro particolarissimo, questo “Italia de profundis”. Un non-romanzo dall’altissimo contenuto letterario e dai molteplici “riflessi” sociologici.
    Iper-recensito, apprezzato dalla critica, amato dal pubblico dei lettori.

  2. Di cosa parla?
    Ce lo sintetizza Andrea Di Consoli in questa frase: “Non s’era mai letto un libro così potente, in Italia; un libro, cioè, dove ci fosse tutta la nostra contemporaneità: la depressione, l’ipocondria, l’ansia, la morte, l’amore, il sesso, il sadomaso, la disoccupazione, la letteratura, Milano, Palermo, le periferie, il lumpenproletariat milanese, l’eroina, l’autobiografia, la finzione, il villaggio turistico siciliano, la morte del padre, un’orgia transessuale, il sapere enciclopedico, il cinema, la Mostra di Venezia, David Lynch, Mantova, Berlino, Burroughs, Kafka, il narcisismo, l’autopunizione, l’agonia, l’eutanasia, il disprezzo, la pietà, gli ospedali, la psichiatria, il corpo, la difficoltà di amare e la sperdutezza”.

  3. Un libro forte, che ha convinto anche il nostro Subhaga Gaetano Failla… al punto da fargli dire: “Dagli anni Ottanta in poi rari sono stati i libri di autori italiani per me così importanti.”

  4. Nei giorni scorsi avevo preannunciato a Giuseppe la pubblicazione di questo post.
    Ora, però, non sono riuscito a rintracciarlo. Dunque non posso garantire la sua presenza qui.

  5. Per stasera chiudo qui. Nei prossimi giorni aggiornerò il post con ulteriore “materiale” (anche video).
    Lascio la parola a Gaetano Failla e a chiunque volesse intervenire.
    Una serena notte a tutti!

  6. Buona notte anche a te Massimo e grazie davvero per questo post così importante.

  7. Gaetano e Andrea, bellissime queste recensioni. Bravi!
    Massi: la risposta di ogni resurrezione è il dolore. Saperlo scrutare come una risorsa. Trasformarlo.
    Ti riporto i passi di un altro De Profundis.
    Ecco….Oscar Wilde…
    “La prosperità, il piacere e il successo possono essere volgari e refrattari, ma il dolore è la più sensibile di tutte le cose create. Nulla succede nel mondo del pensiero cui il dolore non faccia eco con delle vibrazioni infinitamente vive e terribili. In suo confronto, la sensibilissima foglia d’oro battuto, che indica la direzione delle forze che l’ occhio non riesce ad afferrare, è grossolana.
    Il dolore è una ferita che sanguina quando una mano la tocca, tranne quella dell’amore, ed anche premuta da una carezza buona essa fa sangue, quantunque non la strazi più la sofferenza.
    Dovunque c’è il dolore qui santa è la terra…”

  8. Il libro, come sottolinea molto opportunamente Massimo, è “un non-romanzo dall’altissimo contenuto letterario e dai molteplici ‘riflessi’ sociologici”. Dalle due recensioni introduttive si possono già rintracciare numerosi ‘indizi’ relativi alla complessità del libro.
    Lascio ulteriori tracce (testuali):
    pag. 59:
    “La televisione crolla nella sua estetica dominante. Si osservano divi fintamente affamati su isole finte suonare l’ukulele. L’attore che interpretava Sandokan gioca la finale del ‘reality’ su un’isola deserta insieme al cannoniere dei Mondiali italiani 1990, l’anno vigilia del crollo. Filosofeggiano scrutando un mare verdastro sempreguale. Filosofeggiano come Gianni e Pinotto ai tempi dell’MDMA.
    Lo zapping è il programmma statisticamente più visto in televisione: un programma fatto di vuoto.”

  9. Grazie dell’apprezzamento Simona! E il “De Profundis” di Wilde è un testo che, per qualche segreta alchimia, sta più volte incrociando in questi giorni la mia vita, dopo molti anni dalla sua lettura.
    E per rimanere in sintonia con il brano da te citato, ne riporto uno anch’io dal libro di Genna, di seguito, nel prossimo commento.

  10. Da pag. 166, dal brano “Una terza storia di merda che non ricordo più”:
    “Se sei colpito da una freccia, pensi a cosa sia la freccia, a come è fatta, a come è entrata, ai danni che sta provocando – oppure di istinto ti togli la freccia per eliminare la sofferenza?
    Cosa è la sofferenza? ‘Chi’ in me sente che io soffro?”

  11. E ancora, a pag. 165, a proposito della preparazione alla morte:
    “Questa società non dispone di riti intorno alla morte.
    Non dispone di riti in vita per prepararsi alla morte: l’altrui, la propria.”
    ***
    Un libro che considero molto importante in tal senso è:
    Sogyal Rinpoche, “Il libro tibetano del vivere e del morire” (Ubaldini, 1994).
    Nel risvolto di copertina si legge:
    “Al suo primo incontro con la cultura occidentale, Sogyal Rinpoche rimase costernato nello scoprire che, a dispetto di tutti i suoi successi nel campo tecnologico, la società moderna occidentale non comprende minimamente quel che accade al momento della morte: ‘Quasi tutti muoiono impreparati a morire, così come hanno vissuto impreparati a vivere’. “

  12. E infine, per ora, un’altro frammento dal testo. Il protagonista “Giuseppe Genna” sta trascorrendo una vacanza in un villaggio turistico:
    pag. 293:
    “Quando mi risveglio, il sole alle 10 trapassa direttamente il buco dell’ozono puntando sulla mia pelle. Mi volto: la spiaggia è stracolma. Il chiasso è alle stelle. La prima occhiata, d’infilata, alla linea di ombrelloni più prossima al bagnasciuga: ‘tutte’ le donne stanno leggendo ‘Gomorra’ di Roberto Saviano. Un pensiero per Roberto. Se ‘tutte’ stanno leggendo ‘Gomorra’, si può avere l’illusione di vivere in un paese civile. Invece è il contrario. La letteratura è penultima.”

  13. Lasciando il testo, trascrivo un frammento dell’intervista a Genna, relativa a IDP, svolta da Enrica Speziale. E auguro buona notte a tutti.
    ***
    ” – E che cos’è (o chi è) invece il “personaggio Italia”, questo infinito ventre molle, questo deserto di euforia e disperazione in cui si aggira l’io narrante?
    – E’ il Paese che non c’è più. E’ il Paese più all’avanguardia del mondo occidentale, la sua punta di zircone, poichè si sta sporgendo per primo in una selva di istanze antiumane che preludono a un rovesciamento totale e impensabile dello stato del regno umano sul pianeta. E’ la propaggine del Drive In, la nazione che non risolve i propri nodi che riguardano il passato o il presente. E’ lo Stivale che ha pestato la cacca e ne ha subìto il contagio. E’ la congerie qualunquista, giacobina, teleschermizzata, priva di empatia. E’ una non-comunità che andrebbe sottoposta a una terapia: di umanismo, non dello hitlerismo sotto false spoglie che continua ad autopropinarsi senza rendersene conto. E’ lo Stato privo di politica perchè si è fottuta l’idea stessa della pietà, dell’amore, dell’alterità. E’ il carcere geriatrico dove si sono cristallizzate le generazioni, dove i padri non hanno passato la staffetta ai figli e dove i figli non hanno potuto contare su figure generosamente magistrali. (…)”

  14. Correggo, nel penultimo commento, un refuso dettato dal sonno… un’altro= un altro

  15. E’ vero siamo impreparati a morire così come siamo impreparati a vivere perché viviamo senza chiederci il senso della vita. Soffriamo per le difficol tà che la vita ci riserva ma non sppiamo coglierne la forza e la bellezza. Corriamo senza meta. Dovremmo camminare con gioia su un sentiero, conapevoli della sua importanza, con la certezza che , se i nostri passi saranno in armonia con i passi dei nostri compagni di viaggio, alla fine
    troveremo un paesaggio di indicibile bellezza dove tutti i contrasti e le conflittualità si risolvono in una grande pace. Quanto ai mali dell’ Italia non credo che siano un’ esclusiva italiana. Credo che tutto l’ Occidente sia malato perché corrotto da disvalori, a cominciare dalla presunzione di credere la cultura Occidentale superiore a tutte le altre. Siamo malati. Dobbiamo curarci. Saluti a tutti. Franca.

  16. Leggendolo e tenendolo tra i miei preferiti mi sono interrogato più volte su cosa poteva partire da quelle pagine. Il giudizio positivo non è opinabile a mio avviso. Eppure mi sono chiesto se esista o meno dentro di noi un progetto su noi stessi. La sensazione è che abbiamo indossato tutti la nostra maschera di persona, siamo il nostro stesso avatar, ma non abbiamo alcuna essenza. In questa impersonificazione o depersonificazione ci limitiamo ad osservare anzi crediamo di vedere per il solo fatto che contempliamo una realtà della quale siamo sciame. Perfino la sofferenza per la morte è una recita a soggetto, qualcosa che facciamo perchè dobbiamo. Quanto di quella sofferenza è reale consapevolezza di una mancanza acquisita ? Sarebbe facile trovare una risposta nella retorica della speranza e della doverosa positività, ma non sono riuscito ad accontentarmi. Proprio nella elencazione dei fatti, nella denuncia di quelle pagine, nelle accuse mai forzate eppure autentiche, io mi sono perso ancora una volta. Ritrovo ciò che sono, certo. Tuttavia cosa c’è “oltre”, cosa rimane “dentro”. Il terrore che mi è rimasto addosso è che tutto sia in quella maschera per cui possiamo solo manifestare ciò per cui essa è stata programmata, un subset di funzioni affettive-emozionali precedentemente sdoganate dal senso comune e che solo per puro caso, talvolta, riescono a coincidere con ciò che siamo. Privati di essa, proprietari solo del nostro io, sapremmo dialogare con esso ? Narciso ha bisogno di Eco per condurre il suo discorso ed in quel riflesso delinea la sua persona. Ognuno ha bisogno di sentire il suono della propria voce, ma potrebbe essere solo il rimbombo di un corpo vuoto. Nel libro c’è molto, forse tutto ciò che serve per riflettere, ma questa funzione è prevista dal nostro avatar ? Forse nella fretta di vivere non abbiamo capito quale link cercare.

  17. Prima di tutto mi complimento con Andrea Di Consoli e Subhaga Gaetano Failla per le loro recensioni che sono riuscite a trasmettermi le sensazioni che hanno provato nel leggere questo libro. Il tema, purtroppo, è di estrema attualità e si presta a un’ampia discussione in cui potranno emergere pareri anche molto discordanti, ma che comunque non potranno prescindere dall’esistenza di un problema di portata mondiale, con caratterizzazioni più marcate per il nostro paese.
    Assistiamo, in generale, a un ritorno ai sensi più primordiali dell’uomo, frutto di un sistema che porta in sé, come portava quello marxista sovietico, i germi dell’autodistruzione. Quindi anche il nostro è un paese per cui sarebbe da recitare il de profundis. Resto, però, nella questione della generalità del problema, che tende a ridurre l’esistenza umana a una lotta senza quartiere per determinare il predominio di pochi sui tanti. Ho già scritto di questo in alcuni miei editoriali, ma voglio qui sintetizzare, onde non scrivere un lungo articolo.. La premessa è che solo il profitto qualifica un uomo e che non esistono altri termini di valutazione che possano prescindere dal concetto che la ricchezza corrisponde al merito, anzi all’unico merito riconosciuto. Tutto il resto sono bla bla bla, l’intelligenza non è un pregio, mentre lo è la furbizia, la cultura è solo un difetto, mentre la scarsa conoscenza è un valore elevato. E’ un ribaltamento di quanto concepito nell’illuminismo, perché la razionalità e la logica vengono cancellate, tranne per quei pochi che comandano e tengono i giochi, i quali peraltro non è necessario che siano delle cime, ma è sufficiente che abbiano un quoziente di intelligenza e culturale anche non elevato, perché il segreto del sistema è nel mantenere basso, bassissimo quello dei più. Si attua con una metodologia che sembra uscita dal Gabinetto del Dr. Caligaris: cancellare la memoria, in modo da far apparire come reale ciò che non è e come irreale quello che invece è. Il soggetto si trova così disorientato e pronto a gettarsi nelle braccia di chi gli fornisce le indicazioni per sapersi comportare.
    Insomma, piano piano i sudditi diventano degli zombi, perché la mancanza di memoria consente loro solo di vivere il presente, senza le esperienze acquisite del passato. E’ da parecchio tempo che studio questo fenomeno, tanto che ho scritto anche due libri. Se poi ho ottenuto lo scopo che mi ero prefisso non lo so, ma Massimo Maugeri che li ha letti può forse fornire una risposta.
    E’ possibile risorgere? Sì, come sempre quando si cade, ma la caduta è ancora lungi dall’essere conclusa e finirà in un capitombolo in cui si romperanno le ossa i soliti, cioè le vittime, mentre gli altri, i fautori di questa tragedia, si ricicleranno, pronti a far valere di nuovo le loro mire.
    Come è possibile ovviare? In un solo modo: con l’accrescimento culturale. La conoscenza vuol dire consapevolezza e così anche libertà, ma è proprio per questo che i programmi televisivi sono squallidi, che si vuole distruggere la scuola, che si riduce tutto a un teatrino dove il pubblico applaude i pochi attori, non comprendendo più se siano dei teatranti o i loro governanti.

  18. E’ la prima volta che intervengo. Questo blog è interessantissimo. Qualcuno mi aveva parlato di questo libro di Genna, le presentazioni che ho letto qua mi invogliano ad acquistarlo.
    Sono con tutti coloro che sperano che dopo il de profundis si possa risorgere a nuova vita.

  19. Io purtroppo questo libro di Genna non l’ho ancora letto. Ho letto Dies Irae, che fermava la propria analisi impietosissima al 2006. Immagino ci sia una continuità tematica.
    Posso dire, prima di scomparire per recuperare e leggere il libro, che non vedo in Italia questa grande capacità di ripresa. La caduta è in corso, non è finita. C’è stato un momento, nei primi anni ’90, quando sembrava che le cose potessero chiarirsi e semplificarsi. Il fallimento di quelle speranze è una ferita ancora viva nella coscienza collettiva: non ci saranno altri momenti simili a breve.
    E poi no, non è l’intero Occidente a essere malato. O meglio sì, lo è, ma l’Italia lo è in modo peculiare e avanguardistico. L’assenza di una riflessione sulla vita e sulla morte nella cultura occidentale la scontiamo dal XVII secolo, ovvero dal fallimento del Rinascimento. A quel punto le risposte le davano o grandi filosofi che confessavano in fondo di non avere risposte, o la religione che ha risposte consolatorie e inadeguate. Non si tratta comunque di una condizione nuova, e la nostra storia dimostra che la civiltà (in tutti i suoi connotati positivi o negativi) può andare avanti anche con questa lacerazione profonda.
    Il caso Italia è diverso. Non si tratta soltanto di assenza di una riflessione sulla vita. Si tratta di un disincanto complessivo, di un’abulia programmata, che ha azzerato i cervelli di persone altrimenti intelligenti. Troppo spesso parlo con persone che hanno studiato e che su temi importanti mi danno le stesse risposte delle massaie semianalfabete delle province del Veneto. Sembra essersi azzerata la capacità critica degli abitanti dello stivale. Assicuro a tutti che questo non succede in tutti i paesi occidentali. Magari in alcuni sì, ma certamente in altri paesi dove ho vissuto è sempre possibile dare per scontata qualche norma minima del vivere civile (es. i concetti di libertà di pensiero, di diritti dei lavoratori, di antirazzismo, ecc.)
    Come ho detto, non vedo al momento come l’Italia, con questa televisione e questa classe dirigente, potrebbe riprendersi. Poi, come diceva quello, a lungo termine saremo tutti morti…

  20. Bellissimo e importante il libro di Genna.
    Per il resto sono d’accordo con quanto ha egregiamente espresso Lorenzo Amato.

  21. Vorrei ringraziare, abbastanza allibito, Massimo Maugeri e Subhaga Gaetano Failla per questo speciale, che mi lascia attonito per ciò che viene rilevato. Non sono in grado di giudicare se è opportuno che le *intenzioni* di un’autore vengano precisamente, con un’acribia assoluta, intercettate ed espresse con una perizia assoluta da Subhaga Gaetano Failla. Posso soltanto affermare cosa è per me IDP. E’ un libro che sconta una necessità di espulsione psichica, laddove la psiche viene considerata una condensazione della mente, che è più estesa ontologicamente. IDP si configura per me come approdo alla fase detta ermeticamente “Nigredo” – è da lì che comincia il nero, il lavoro interiore. Il lavoro interiore fatto, che coincide con una postura verso ciò che è considerato esteriore, è ancora un lavoro psichico. Si tratta di una sauna, dell’espulsione delle scorie psichiche, fino alla domanda: “Espulsione verso dove? Esiste un luogo che non sia me in cui io espello (io espelle) le scorie psichiche?”. L’approdo è il fallimento, non può che essere il fallimento. In un tentativo del tutto autodiretto di rappresentare questo slittamento verso il punto centrale della percezione (ente geometrico che non appartiene allo spazio, ma origina lo spazio: quindi: che cosa è un punto? La domanda equivale a: che cosa è io”?), si attraversano due territori coincidenti: quello psichico e quello della realtà esterna. Ciò è fallimentare. E’ nell’abbandono e nel silenzio che si realizza, eventualmente (e non credo nel mio caso, per un lungo momento), ciò che non fa fallire la parola. Tutto ciò che Subhaga Gaetano Failla osserva su IDP è non interpretativo, ma letterale. I riferimenti letterari sono precisissimi e perfino le ragioni che sono occorse a richiamarli: Burroughs proprio come dice Subhaga Gaetano Failla, proprio in quel senso. E’ un’esperienza assai dolce e beante trovare l’abbraccio di uno sguardo, poiché questa esperienza permette di assaggiare il contatto e infine l’identico che (senza alcun missionarismo religioso, tantomeno new age) io sento che necessariamente siamo tutti, dentro e fuori (cioè *oltre* la dualità dentro/fuori) questo mondo fisico.
    In IDP non si tratta di autofiction e non si tratta di autobiografia, impazzita o meno. Si tratta di ricondurre tutto, sociologia e politica in primis, a una ricerca interiore, non estensibile all’esterno se non con il pudore dell’innocenza. Tale ricerca è metafisica e pratica, e solo per certe mie necessità psichiche avviene in scrittura. Quindi: l’esito letterario è per me indifferente, diciamo: secondario.
    Sull’Italia adotto uno sguardo che ha la saccenza dell’idiosincrasia spacciata per panoplia. Ma va tenuto conto (e, se non si tiene conto, se non lo si sente, la colpa è mia: è un ulteriore fallimento, questa volta puramente letterario) che la sociologia politica espressa (e anche l’uso del pop) è metafisica: cioè è indifferente dallo scavo sull'”io”.
    Questo libro intende essere una tensione impossibile e fallimentare a Shankara. Il fallimento è a priori e, come detto, non di natura letteraria, ma propriamente quintessenziale.
    Il reiterarsi delle citazioni da Plotino serve a me, e quindi nel caso anche a chi legge, per avvertire Shankara nel corpo stesso della cultura in cui siamo immersi, che ha come matrici Atene e Gerusalemme, e sembra essersi dimenticata della prassi di ricerca interiore e non conclamabile, come dimostra la fossilizzazione chiesastica della supposta Sposa di Dio, sempre più accelerata nella sua cristallizzazione estranea al metafisico.
    Di questi sguardi unitivi, che fanno da magnete verso magistralità che ognuno di noi ha in sé senza accorgersene, sono grato a Massimo Maugeri e Subhaga Gaetano Failla, a cui chiedo la possibilità di riprendere lo speciale sul mio sito, linkandone le varie parti.
    Davvero grazie – davvero shantih, se si può scrivere senza equivoci di lettura.

  22. Caro Genna, non ho niente contro di te, non ti conosco nè ho letto alcuno dei tuoi libri. Vorrei lo stesso farti una domanda. Perchè ai tuoi libri metti titoli che fanno paura? Perchè scrivi storie deprimenti? Perchè trasmetti angoscia? Credi che così facendo aiuti la gente a sopportare meglio il già gravoso peso della vita? Che poi non è così male, a ben vedere? Non sarebbe meglio accontentarsi di quello che ci capita? Le ondate degli emigranti clandestini che si riversano nel nostro paese, non stanno a dimostrare che il vero marcio è altrove? Scusami se non faccio parte del solito coro dei catastrofismi. Cordiali saluti.

  23. Stavo per intervenire, quando ho letto il commento di Muolo che mi lascia molto perplesso.
    Caro Muolo, io leggo da quando sono bambino. Ed ho capito una cosa. La letteratura è vera quando ha il coraggio e la forza di affondare le mani nel fango, quando sa vedere il marcio, lo riconosce e lo butta fuori. La letteratura vera è ossessione,e quell’ossessione è salvifica. perché è riconoscendo il marcio, buttandolo fuori, che ci può essere speranza.
    I libri come il libro cuore non servono a niente, sono cartastraccia.La letteratura non deve aiutare la gente a sopportare meglio il già gravoso peso della vita. Chi tenta di fare questa operazione è un falso. E la sua è falsa letteratura.
    Scusami la determinazione, ma è quello che penso.

  24. non ho letto il libro in questione,ma vorrei ugualmente cercare di capire meglio,partendo dalle parole di genna.”L’approdo è il fallimento, non può che essere il fallimento. In un tentativo del tutto autodiretto di rappresentare questo slittamento verso il punto centrale della percezione (ente geometrico che non appartiene allo spazio, ma origina lo spazio: quindi: che cosa è un punto? La domanda equivale a: che cosa è io”?), si attraversano due territori coincidenti: quello psichico e quello della realtà esterna. Ciò è fallimentare. E’ nell’abbandono e nel silenzio che si realizza, eventualmente (e non credo nel mio caso, per un lungo momento), ciò che non fa fallire la parola. “Se riduciamo l’espressione di qualsivoglia pensiero in scrittura come uno spurgo della psiche,mi chiedo se non sia meglio andare a fare qualche seduta di analisi;se esiste una sorte di denuncia di malessere generale allora ci poniamo non solo l’obiettivo di portare alla luce ma di arrivare a qualcuno che ci ascolti,comunque io non credo che non ci sia l’approdo,anche se non lo si vede nell’immediato.Ciò non lo dico in chiave polemica,perchè condivido lo sguardo di ricerca interiore,ma nel momento in cui questo sguardo si consegna ad altri che lo leggeranno è già un approdo,da cui ripartirà o non ripartirà dipende da come se ne possa fruire,verso altro punto fuori da sè.Inoltre l’esito letterario non è un fine puramente estetico che prescinde da ciò che diciamo,perciò è difficile che in ciò che lei scrive sia secondario,secondo me.E’ così pregnante di significati la tematica da lei affrontata,o meglio la ricerca da lei iniziata,che non si può dire che l’esito letterario sia secondario. Per tornare alle domande di massimo,non credo che quest’Italia sia cadavere,credo piuttosto che abbia perduto il senso della morte,l’importanza di vivere con la morte affianco ed è lì la sua decadenza,nel misconoscere il valore della morte e nel vivere costantemente distratti dall’illusione bieca di essere eterni nell’onnipotenza dell’apparire e del possedere.Senza il recuperare il concetto della morte non vi è speranza di resurrezione,perchè la vita non dispone di un senso in sè,forse ricondurci alla consapevolezza di essere inconsapevoli di ciò che abbiamo fra le mani può ridare la speranza di vivere con gli occhi aperti e proseguire una ricerca interiore che esiste solo nel momento in cui si fa condivisione e ci restituisce la nostra immagine,che ci è dato vedere solo nello specchio dell’altro,nell’approdo-che è punto di partenza-.
    complimenti a Genna per l’attività interessante di scrittore che svolge e il libro che con curiosità leggerò,e a Massimo per il post.

  25. @Felice Muolo,
    la letteratura, la parola, affondano nella vita e nella trasformazione. Affiorano da un viaggio.
    Il viaggio siamo noi. E noi non siamo senza la dimensione del dolore.
    E non perchè esso sia fine a se stesso. Ma perchè il dolore è una provocazione più grande della felicità, è il primo strumento della trasfigurazione, dell’ingresso nel mistero di esistere.
    Richiamare – anche con un titolo – a questo, vuol dire suggerire al lettore attento: il viaggio è cominciato.
    @ Giuseppe Genna: la seguo con stima e ammirazione soprattutto per queste sue parole:” Si tratta di ricondurre tutto, sociologia e politica in primis, a una ricerca interiore, non estensibile all’esterno se non con il pudore dell’innocenza”.
    Bravissimo.
    Un abbraccio

  26. @Gaetano. Grazie, mio caro, per questa interpretazione appassionata e autentica dell’opera di Genna. Credo che sia aderentissima ai suoi palpiti interiori.
    Un abbraccio

  27. @ Giuseppe Genna:
    come è noto l’espressione De profundis , tradotta letteralmente, significa dal profondo [dell’abisso] ed è tratta dall’inizio del Salmo 129 secondo la traduzione in lingua latina della Vulgata.
    E’ un canto salvifico e di estremo saluto, un commiato riservato alle sacre liturgie dei defunti, e condensa il significato più alto dell’esperienza umana. Il passaggio.
    Non celebra solo il lutto. Anticipa l’attraversamento, il giudizio sul compiuto, la necessità che sia lavato dallo sguardo di Dio.
    Il significato di questo titolo così intenso e vero, tiene conto del contesto e del senso originario del salmo?
    Grazie e ancora complimenti!

  28. Ottimo il libro a cui fai riferimento,Massimo, ottimo scrittore Genna.
    Chiedi cosa si puo’ fare per quest’Italia malata?
    Si puo’ fare molto se ci si arma tutti di un sano ottimismo, voglia di sradicare certe posizioni di stupido tronfalismo , che allontanano il pensiero dall’azione reale e ci fanno credere che quattro beghe siano argomentazioni importanti da propinare ad un platea di imbecilli.

    Dobbiamo prendere atto che non siamo da manovrare a piacimento di un sedicente “capo carismatico”, che ogni cittadino ha valore in quanto soggetto giuridico.
    Che le proteste dei giovani, delle piazze sono sintomo di reale insoddisfazione, per classi che sono state dimenticate da sempre.
    Non credo che si possa perdere tempo a seguire gossip, ne’ a rifarsi il trucco, se c’e’ ben venga, ma venga soprattutto la volonta’ ferma di cambiare, non la Costituzione,( avessero la meta’ del cervello di quelli che l’hanno stilata.), ma l’atteggiamento provocatorio a cui nessuno da’ fiducia veramente.Lavoro, lavoro ed ancora lavoro,ma non sulla carta, reale e dato ai giovani che ne hanno bisogno oltre che per sostenersi,anche per avere una vita impegnata,una progettualita’ come si dice comunemente.
    Diminuirebbe anche la delinquenza che spesso nasce dal non poter far fronte ad esigenze primarie.
    Il discorso e’ lungo, ma non farraginoso ne’ difficile per me.
    Si sono passati momenti anche piu’ critici in Italia, ma non deve mancare la responsabilita’ da parte dei rappresentanti in Parlamento.
    Invece si assiste solo a schermaglie, crisette da primedonne.
    Nonparlo di partiti,poiche’ non mi sembra piu’ il caso allo stato in cui siamo.
    L’opposizione ci deve essere, ma gestita con giudizio.
    Caro Massimo, ti leggo e ti stimo molto.In ogni caso ti ringrazio della possibilita’ che ci offri per poter dare dei pareri da persone.
    Un caro saluto , con stima_nicoletta Accettura

  29. A maggior chiarimento degli effetti in me prodotti dalla lettura di questo romanzo e di pochi altri (Dies Irae; Romanzo criminale di De Cataldo)
    mi vien voglia di morire. Morire per una Causa, stavolta.
    Come si può combattere e vincere un tumore se non asportando, laddove ancora possibile, il tessuto colpito, inutilizzabile?
    Semplicemente… A patto che ognuno faccia la propria parte nel complesso Delineato.

  30. Che Italia De Profundis sia l’unico romanzo italiano dell’ultimo anno che consiglierei a tutti indiscriminatamente di leggere, l’ho già detto più volte in Rete. Più interessante, provare a riformulare a mio modo la domanda che l’attraversa ed esige risposta.
    Se, come ho detto Ortega Y Gasset, “l’uomo è la sua circostanza”, si può continuare ad essere il medesimo Io in un paese culturalmente e moralmente moribondo? La vanità psicologica oltre che storica dell’Io, che lo spritualismo di Giuseppe sembra spesso affermare, potrebbero fornire a lui più che ad altri un facile alibi per continuare a presenziare senza scrupoli alla liturgia del nulla (alla maniera di Scurati, per esempio, che scrive un libro sul circo mediatico per dire quanto fa male il circo mediatico, e una volta vinto lo Strega andrà in televisione a spiegarlo). Giuseppe Genna invece (potete vederlo da voi se visitate il suo blog) sta cercando una tale essenzialità e purezza nella voce, che non è detto sia reperibile e potrebbe condannarlo a una prolungata afasia. Ma io dico che se il poeta ha un destino, questo è il destino del poeta. E che un paese non è mai del tutto morto se ha ancora dei poeti.

  31. 1. Leggeròllo troppi me ne dicono un gran bene e questo post invoglia.
    Mi piace anche questa struttura questo specchio e trasfigurazione.
    Per le domande di Massimo.
    Mi si sono fissati in mente due commenti, quello di Lorenzo Amato e quello di Felice Muolo, non sono molto d’accordo con Felice MUolo ma mette in luce una simmetria e un bluff. Il mondo sta talmente una chiavica che grazie tante che se vieni da un posto dove crepi de fame l’Italia pare la mecca. Ma ecco – l’Italia è anche un bluff. LA metafora del cancro in progressione è azzeccata perchè il male e interno e non immediatamente percepibile, ma ha ragione Amato – presto lo sarà. Per il momento, abbiamo ancora qualche specchietto per le allodole. Ma il baratro deve arrivare. Non c’è niente di buono in vista, non c’è progettazione – non c’è imprenditoria culturale. Non si progetta. L’archiotettura piange, si campa di rendita sempre peggio. I cervelli se ne vanno fuori, e anche le vecchie punte di diamante – il design l’alta moda – tutto ce lo sta allegramente fottendo il mercato estero.
    I modi e gli stilemi con cui è condotta la nostra politica nazionale solo il paradigma di questa decadenza. Un paese al centro della storia e un paese sull’orlo della provincia non si distingue per i suoi progressisti ma per i suoi conservatori.
    Ecco, i reazionari italiani oggi, sono la cosa più indecorosa che può capitare di vedere. Votano uno che tocca i culi delle signore in tv e che parla di leader abbronzati. Pensi a McCain e ti viene una potente nostalgia della destra che non hai. Anche se per dire, sei de sinistra.
    Scusate l’eventuale OT.

  32. Sono davvero col fiato corto dall’emozione nel leggere dalle parole di Giuseppe Genna tanta espressione di fraternità. Grazie grazie. Caro Giuseppe Genna, ho appena sentito telefonicamente Massimo Maugeri il quale mi ha detto di essere ben felice che questo post sia linkato nel tuo sito.

  33. Sono molto contento del dibattito che si sta qui svolgendo intorno a “Italia De Profundis”. Ringrazio tutti. Con una particolare espressione di contentezza rivolta a Eventounico, per il semplice fatto di aver condiviso la lettura d’un libro così potente. E grazie ancora a Simona, a Renzo, a tutti.

  34. De profundis…
    Il titolo è escatologico, direi… credo che il nuovo secolo o sarà spirituale o non sarà, per dirla con parole non mie. Dobbiamo recuperare le forze e le energie profonde di questo paese, la sua tradizione, la sua spiritualità vera, il rapporto con la terra – e la Terra ce ne sarà grata – …
    E soprattutto fare ognuno la propria parte.
    De profundis non si dice solo per i defunti. E’ anche la preghiera che il disperato rivolge a Dio come ultima spes, il grido di chi dopo tutto spera in un aiuto. Per uscire dal tunnel, per salvare dalla fossa la propria vita.
    Non è più tempo di millenarismi – anche se l’ignoranza è una pianta pertinace – , di socialismi chiliastici e varie amenità.
    Ma l’ora di chiedere aiuto, di agire bene nel nostro campo di pertinenza – a casa, a scuola, luoghi dell’emergenza di questo paese, laboratori degli inferni quotidiani d’Italia – , di rimboccarsi le maniche.

  35. Da pag. 27 (l’io narrante “Giuseppe Genna” è accanto al cadavere del padre):

    “La pelle della fronte è immensamente fredda. E’ frigorifera.
    Non c’è nulla di sovrannaturale.
    Non so dove sei. Vorrei sapere se sei, se è residuale una tua forma che esula dallo spettro delle mie percezioni, io ci credo, ma la realtà è che non percepisco niente e non so niente.
    Papà.”

    Da pag. 30:

    “Tutta la storia tra me e lui è di colpo ripulita. Non ricordo più nulla e quanto è accaduto confluisce ora in una sensazione di dolce tenerezza, all’altezza del mio sterno.
    Ci siamo perdonati tutto, tutti.
    Non esiste trauma.
    Sono sconcertato.
    E’ tutto ripulito quanto abbiamo vissuto insieme.
    C’era un vetro tra noi, si è rotto, e ora non c’è separazione.
    Sei un ovulo luminoso che osservo nel mio intimo, che è buio, e sei all’altezza dello sterno, pura dolcezza, una dolcezza in parte triste e in parte beatificante.
    Sei l’uomo quintessenziato.
    Sei colui che.
    Non esiste fantasma.
    La tua fronte è fredda, la tua presenza è calda e prescinde da questo contenitore di grasso e pelle e legno d’ossa, che non sei tu.
    Sei.”

  36. Una piccola domanda a Giuseppe Genna.
    Hai mai letto “The Bird of Paradise” di R. D. Laing?
    Ti ringrazio ancora tanto e ti abbraccio.

  37. Posso fare il provocatore della situazione, senza essere tacciato di essere un fascista reazionario ?

    Secondo voi il nostro è davvero un paese-cadavere su cui recitare il de profundis?
    Parecchio.

    Quali sono stati i “mali” che l’hanno ridotto in queste condizioni?
    Il ’68

    È possibile “risorgere”? Se sì, in che modo?
    Tutto è possibile, ma la soluzione mi porterebbe dritto dritto in galera… forse.

    Non lo leggerò a breve perchè ne ho 24 ancora da leggere in giro per casa… ho “abboccato” a tutte le iniziative promozionali delle librerie locali.

  38. Gluck, peggio per te che ti fidi delle iniziative promozionali delle librerie locali!!!!
    Io mi fido di Letteratitudine 🙂
    E infatti ringrazio Massimo per questo nuovo bellissimo post.
    Più tadi risponderò alle domande.
    Ciao, bella gente………………

  39. Lascio un altro frammento testuale, da pagina 36:
    “Dice Pound: ‘La maniera ideale di presentare questa sezione del libro sarebbe elencare le citazioni SENZA commento alcuno. Ma temo che sarebbe troppo rivoluzionario. Ho infatti dovuto imparare, per lunga e logorante esperienza, che, nella presente imperfetta condizione del mondo, l’autore DEVE guidare il lettore’. Pound, lo dice. Io dico: No.”

  40. La mia personale utopia è un governo che guardi a dx ma senza essere monopolizzato dal Grande Illusionista, senza infiltrazioni di un certo tipo, senza persone che penalizzino, more solito, il Mezzogiorno (basterebbe che al sud si applicassero gli stessi tassi bancari del nord, per esempio, o che si combattesse a fondo la criminalità: di quanto aumenterebbe il Pil se ognuno fosse libero di ingrandire il suo negozio o fosse libero di comprare tutto quello che vuole senza tema di vederselo rubare?).
    Insomma, una dx guidata da un Di Pietro. Allo stato, naturalmente, è pura utopia.

  41. Come sempre ringrazio tutti coloro che sono intervenuti: Simona, Franca Maria, Renzo, Letizia, Eventounico, Lorenzo Amato, Maurizio Ferro, Felice Muolo, Marco Vinci, Francesca Giuli, Nicoletta Accettura, Fabiandirosa, Valter Binaghi, Maria Lucia, Zauberei, Gluck, Annalisa, Maurizio De Angelis.
    (Spero di non aver dimenticato nessuno).

  42. @ Simona
    Molto bella la citazione di Wilde.
    Ne riporto un frammento: “La prosperità, il piacere e il successo possono essere volgari e refrattari, ma il dolore è la più sensibile di tutte le cose create. (…) Dovunque c’è il dolore qui santa è la terra…”
    Concordo.
    E mi viene in mente questa riflessione. Il dolore può essere contenuto o eliminato con gli anestetici.
    Secondo te (e secondo voi) la nostra è una società “anestetizzata” o è in grado di percepire il dolore?
    E se è “anestetizzata”… quali sono gli anestetici usati?

  43. @ Eventounico
    Scrivi: “Il terrore che mi è rimasto addosso è che tutto sia in quella maschera per cui possiamo solo manifestare ciò per cui essa è stata programmata, un subset di funzioni affettive-emozionali precedentemente sdoganate dal senso comune e che solo per puro caso, talvolta, riescono a coincidere con ciò che siamo. Privati di essa, proprietari solo del nostro io, sapremmo dialogare con esso ?”

    Poni un interrogativo interessante, caro Evento.
    Cosa saremmo senza quella maschera?
    Provate a rispondere, se vi va…

  44. @ Felice Muolo
    Sono piuttosto d’accordo con i pareri espressi da Simona e da Marco Vinci (e dagli altri).
    In ogni caso, se sei a caccia di libri angoscianti mi permetto di consigliarti una preda interessante: si chiama “Identità distorte” 🙂

  45. Caro Massimo,
    sì, secondo me la nostra società è “anestetizzata”, nel senso che stiamo dicendo qui. Se percepisse il dolore, vorrebbe dire che è cosciente; invece non lo è. Oppure ad essere coscienti sono troppo pochi.

  46. Per il momento chiudo qui.
    Tornerò domani a “riprendere” alcuni passaggi interessanti che ho scorto nei vostri commenti. E a proporvi altro “materiale” in tema.
    Spero che il nostro Giuseppe Genna (che in questi giorni – come ha vuto modo di riferirmi – è sommerso da impegni lavorativi) riesca a intervenire di nuovo.
    Intanto vi ringrazio ancora e auguro a tutti una serena notte.
    (Lascio di nuovo la parola a Gaetano per ulteriori spunti).

  47. in occasione del terremoto u.s. si è sentito che l’Italia intera ha di certo percepito il dolore. (Salvo a chiedere, ivi, di poter palpare assessore).

    Ma dolore dovrebbe essere anche vedere che un ragazzo viene scavalcato all’esame di ammissione alla Facoltà da un raccomandato, o assistere al progressivo indebitamento delle famiglie presso le “finanziarie”, o vedere che è ripresa l’immigrazione sud-nord col dato drammatico che oggi emigrano i laureati, cioè i cervelli. (10.000 giovani emigrano ogni anno dalla Campania). Ma questi dolori non vengono percepiti da chi vi assiste dall’esterno.

  48. Lascio alcune cose sparse. La prima è un brano di Kafka presente in epigrafe al libro di Gianni Celati “Quattro novelle sulle apparenze”:
    “Poichè noi siamo come tronchi d’albero nella neve. Apparentemente vi aderiscono sopra, ben lisci, e con una scossa si dovrebbe poterli spingere da parte. No, non si può, perchè sono legati saldamente al suolo. Però guarda, anche questa è soltanto un’apparenza.”

  49. E un altro brano, da “The Bird of Paradise” di R.D.Laing:
    “Io ho veduto l’Uccello del Paradiso, egli ha spiegato le sue penne davanti a me, e non potrò più essere quello di prima.”
    ***
    Dal libro “Italia De Profundis” di Giuseppe Genna, pagina 345:
    “Scena: scontro tra due galassie a miliardi di anni luce dalla minima scia bianchescente dove una specie, su un pianeta che periodicamente ruota il proprio asse, apparirà o è apparsa o è scomparsa.”
    ***
    Da “Casi” di Daniil Charms, il frammento dal titolo “Incontro”:
    “Una volta un uomo andò in ufficio, e per via incontrò un altro uomo che, comprato un filone di pane polacco, tornava a casa sua.
    E questo, in sostanza, è tutto.”

  50. “Riesco soltanto a parlare delle cose ultime ormai, madre mia.”
    (Giuseppe Genna, “Italia De Profundis”)
    .

  51. Certo che Andrea Di Consoli e Subhaga Gaetano Failla hanno redatto le loro recensioni al “De Profundis” di Genna in un modo e con uno stile così intenso ed energico da colpirmi dritto al cervello e allo stomaco. Come hanno colpito voi, letti i commenti. Anzi, frastornandomi.
    Anche se – per il vero – frastornato dalla società in cui vivo lo sono eccome. Da tempo.
    Frastornato perché se non mi adeguo al vivere altrui, se non mi metto in concorrenza, se non scalpito come scalpitano gli altri, se non “lecco”, sì se non “lecco” come leccano i più, se non sono violento o egoista come lo sono coloro che si ritengono importanti e vogliono importi le loro decisioni o i loro giudizi, sempre negativi se ledono i loro interessi, se … Già, ma se non mi ritiro a vivere poniamo in mezzo a un bosco senza giornali, televisori, telefoni e telefonini e senza computer collegati a internet, come riuscirò a dare un calcio al mondo, alla società, alla civiltà cui appartengo? Non ci riuscirò. O, meglio, dubito di riuscirci. Dubito perché fin da piccolo mi hanno imposto di adeguarmi al mondo, imitandone le violenze, le crudeltà, le ingiustizie, le vigliaccherie o le piaggerie necessarie a raggiungere lo scopo prefissato, ossia la visibilità, il successo, il potere. Quasi che il successo (o una qualche forma di successo) e il potere fossero indispensabili per vivere o costituissero la linfa vitale degli umani progrediti, evoluti. Civilizzati. In Occidente come altrove.
    Ma una volta – al tempo del fascismo e della guerra – in Italia non era così. L’Italia di una volta era ancora più violenta, meschina, ideologicizzata, “lecchina”, tranne le persone che non mollavano, che pretendevano libertà, giustizia, cultura autentica, progresso solidale. Contrapponendosi duramente, impietosamente, al potere costituito.
    Detto questo, penso che gradualmente, eliminando in maniera radicale le forme violente dalla cultura sociale, potremo escogitare o realizzare sistemi di collaborazione se non altro equi. Ovvio, sarà difficile, sarà un’impresa immane. Ma non bisogna disperare. D’altronde è dal dolore, è dal caos più doloroso o schifoso, è dal letame che nascono i fiori più belli, stando non solo ai proverbi.
    =
    @ Massimo

    Hai chiesto se la nostra società sia “anestetizzata”. Lo è, lo è.
    Ma con quali anestetici?
    Specialmente con l’educazione, con la propagazione diffusa di modelli da imitare (non smetto di sostenere che l’imitazione è un istinto) attraverso la stampa, gli spettacoli soprattutto televisivi, i libri di letteratura, le ideologie tese a massificare l’immaginazione, esaltando l’apparenza e il leggendario. “Il meraviglioso e il leggendario – scrive l’acuto Gustave Le Bon – sono i veri sostegni di una civiltà. Nella storia, l’apparenza ha sempre avuto un ruolo molto più importante della realtà. L’irreale predomina sul reale”.
    Non aggiungo altro per non tediare gli amici lettori: ho già scritto al bisogno e poi perché gli anestetici da elencare sono troppi, la maggior parte subdoli e impercettibili.
    Un caro saluto, A. B.

  52. “c’è del marcio in Danimarca”… c’è da sempre del marcio, cambia la latitudine, null’altro.
    Pensare che il dolore sia il vero nemico da combattere già basterebbe per dare una svolta alla vita umana su questo pianeta.
    Ma gli uomini sono distortamente sociali, danno la priorità all’avere ciascuno, più che all’essere tutti.
    L’Italia è solo un campione della progressiva espansione dell’ego.
    Siamo ancora tribù, allargata, e ancora cerchiamo lo stregone anzichè il vero antidoto, e il veleno ci sta portando alla fine.
    Non ho letto il libro, ma per l’ottima recensione di Gaetano Failla, più tutti i commenti, alcuni dei quali veramente illuminanti, sono fortemente motivata a farlo.
    un caro saluto a Massimo, a Genna, a Failla, e a tutti i commentatori-

  53. da pag. 79-80 di IDP
    “Cinematogrfi proiettano a ciclo continuo la pellicola Mi Ami? Mi Ami? (…) la storia è semplice e incanta (…) Mentre copula e partorisce uova a groppi, bianchissime, la Regina Madre invia immagini spaziali”

    Immaginario speculare all’orribile arrivo del RE del Popcorn nella “Notte del Drive In” di Joe R. Lansdale

    una notte terrificante in cui il microcosmo imploso si nutre (se lo vuole il Re) di quel vuole e che stabilisce il Re. un susseguirsi di degenerazioni latenti, copulazioni per induzione, drastiche decisioni di novelli San Tommaso, ladri di identità e carni umane arrostite… la soluzione è chiarmaente che l’Orbit debba morire.

  54. Rilancio. In letteratura, sui giornali e in televisione ci si piange addosso o ci si insulta, per ottenere consenso. Ne viene fuori un’immagine distorta della realtà e della gente. Il dolore è muto, non ostentazione. Le persone delle nazioni in cui si crepa di fame hanno molta più dignità di quelle delle nazioni dove non si muore di fame ma di altro.

  55. Caro Muolo, rimango ancora più perplesso. Intanto confondi dolore e insulti, che sono cose completamente diverse. Poi dici che il dolore è muto, non ostentazione. Ma quale ostentazione? Secondo me è l’esatto contrario. Viviamo in una società che rifugge dal dolore, che lo nasconde come polvere sotto lo zerbino. Che fa finta che il dolore non esista. Altro che ostentazione. Una società che non è in grado di riconoscere il proprio male non ha futuro. Altro che ostentazione. Viviamo nel paese del Mulino Bianco.
    Il dolore va urlato, va riconosciuto. E l’urlo ed il combattimento sono i primi essenziali passi verso la guarigione.
    Ma forse ha ragione Massimo quando ci invita a riflettere sugli effetti di una società anestetizzante. Si, c’è gente che muore di fame in altre nazioni. Da noi, no. (Da noi, no?). Evviva.
    Anestetico.

  56. Caro Felice Muolo,
    il dolore nell’arte è sempre stato passaggio, attraversamento.
    Perchè non è mai fine a se stesso.
    Basterebbe pensare al grande e modernissimo insegnamento della tragedia classica, così simile – nel suo signidficato originario – alla profondissima elaborazione spirituale che ci offre Genna con questo suo libro.
    Nella tragedia il dolore non è spettacolo (era seguitissima la regola drammaturgica per cui il sangue e la morte erano preclusi alla rappresentazione), ma ha la funzione di spingere l’uomo ad un ritorno verso se stesso, più che ad un allontanamento dalla sua condizione.
    Albert Camus sottolinea, nel suo saggio “Sull’avvenire della tragedia”, che essa consiste nell’accettare il mistero dell’esistenza nella sua complessità. L’eroe tragico, inevitabilmente, arriva a questo insegnamento tramite il dolore.
    Per Sofocle ed Euripide, solo attraverso il dolore l’uomo capisce la sua finitezza, l’impossibilità di raggiungere il divino, ciò che gli è superiore. Ma non per questo rinuncia a vivere. L’insegnamento tragico non è di rinuncia, ma di consapevolezza.
    La grandezza degli eroi tragici risiede dapprima nella loro tensione verso qualcosa di superiore; poi, e soprattutto, nel riconoscimento della propria condizione. La vittoria dell’eroe è riappropriarsi di tutto ciò che è gli appartiene: vita, volontà, destino.
    —-
    Il passato, in sostanza, insegna che la dignità umana affiora nella consapevolezza della propria condizione tragica.
    E’ un insegnamento antico e attualissimo, che fa anche riflettere sull’importanza della “teatralizzazione” del dolore in seno all’arte e alla letteratura (…non in seno ai programmi televisivi!) come percorso di conoscenza.

  57. Una correzione.
    Ho scritto ‘l’urlo ed il combattimento’, ma in realtà volevo scrivere ‘l’urlo ed il riconoscimento’.
    Scusate.

  58. Maugeri chiede: Secondo voi il nostro è davvero un paese-cadavere su cui recitare il de profundis?
    Rispondo: NO.
    Dove sta lo scandalo? Nel non piangermi addosso? Rispondo: non sono stato insegnato a farlo. Un tempo i genitori erano altro. E ne ho passate.

  59. La tua opinione è più che rispettabile. Nessuno scandalo. Però secondo me sbagli prospettiva. Non si tratta di piangersi addosso, ma di riconoscere il marcio ed il male. Li devi riconoscere non per piangerti addosso, ma per combatterli. Comunque, se l’Italia ti piace così com’è buon per te.

  60. Caro Felice,
    anche io rispetto la tua opinione e credo che nasca dalla constatazione dell’ attuale benessere materiale a fronte del disagio di tanta altra parte del mondo.Forse questa ricchezza apparente può far credere alla pace o alla assenza di dolore.
    Ti riporto la riflessione di Madre Teresa di Calcutta sulle povertà del terzo mondo e del mondo occidentale, in apparenza “meno bisognoso”.
    Guarda cosa risponde.
    Chiudo e ti mando un fraterno abbraccio.
    —–
    Certe volte, i giornalisti mi hanno domandato: «Dal momento che in India esiste una povertà così grande, come le viene in mente, Madre Teresa, di inviare le sue Sorelle in paesi meno bisognosi?» Per questa domanda tengo sempre pronta a fior di labbra una risposta, che è la seguente: «La povertà dell’Occidente è molto peggio della povertà materiale dell’India. Per quale ragione dovremmo limitare la nostra opera di apostolato a un paese soltanto, quando anche altri ci chiamano?
    Ripeto: esistono due tipi di povertà. In India vi sono persone che vivono e muoiono in mezzo alla fame. Lì, anche un pugno di riso è prezioso. Nei paesi dell’Occidente non esiste la povertà materiale nel senso che diamo a questa espressione. Non vi è nessuno in quei paesi che muoia di fame. Nessuno arriva a patire una fame del tenore di quella che molti patiscono in India. Ma in Occidente esiste un altro genere di povertà: la povertà spirituale. Questa è molto peggiore. In Occidente esiste la povertà di persone che non sono soddisfatte di quello che hanno, che non sanno soffrire, che si abbandonano alla disperazione. Questa povertà del cuore è spesso più difficile da soccorrere e da sanare. In Occidente sono più numerosi i focolari domestici infranti, i bambini abbandonati, la corruzione, l’idifferenza alla corruzione.
    E’ un pianto più disperato della fame”

    Madre Teresa di Calcutta.

  61. Concordo con Bertoli e del resto il De prundis per l’attuale società non è da intendersi come un qualche cosa di probabile, ma è una certezza.
    Scivoleremo sempre più in basso, come è già accaduto nella storia, e solo quando saremo disperati e ancor più confusi ci accorgeremo della perdita, avvertiremo tutti quel dolore in modo angosciante. Sarà l’inizio per una lenta rinascita; l’uomo non è l’essere intelligente che pensiamo, perchè altrimenti non ricadrebbe negli stessi errori, ma presenta anche la capacità di metabolizzare le sue disgrazie e infine il desiderio di risalire, un percorso lungo, ma che avverrà, come è accaduto dopo la fine dell’impero romano, che negli ultimi secoli presentava straordinarie analogie con la situazione attuale.

  62. Ringrazio davvero tutt* coloro che sono intervenut* finora. Purtroppo, come spiegavo ieri a al grande Maugeri, sono sepolto dal lavoro e fatico a seguire e, soprattutto, a rispondere compiutamente, e come meriterebbero, ai commenti. E’ una defaillance personale, ahimè: sono indietro perfino con le mail private, che mi arrivano in gran quantità perché, dove scrivo, non ci sono commenti. Mi scuso anticipatamente se dò la sensazione di ignorare particolari interventi.
    Anzitutto vorrei ringraziare ancora Massimo e Subhaga Gaetano Failla. Terminato questo commento, posto la recensione di Gaetano sul mio sito. Lo faccio con estrema commozione perché, come nel caso delle cose scritte da Valter Binaghi, si tratta di un’intercettazione che io avverto così profonda, da sollevarmi non euforia, ma sicuramente un’ondata di gratitudine.
    Io vorrei ribadire una cosa, che riguarda il rapporto tra me e IDP. Lo scavo interiore per me non è ostentazione morbosa di dolori, bensì altro. Non intrattengo un rapporto con l’io che faccia sì che io aderisca a contenuti psichici ed emotivi come se fossero il me stesso. Ciò determina un fallimento della mia scrittura, che è molteplice. Non si tratta del fallimento della letteratura, non sto enunciando tesi alla Bataille de “La letteratura e il male”. E’ per me che è un fallimento la scrittura, poiché essa non riesce, non potendolo fare, a lanciarmi in una zona di silenzio in cui l’incontro con l’altro, e dunque con me stesso e anche con chi legge, è completo. Intendo in questo modo idiosincratico ciò che ho tentato di dire o scrivere. Non si tratta di piangersi addosso, a mio parere, e tale parere non è un parere letterario. Non si tratta di compiere lamentazione. Si tratta di essere innocenti e nudi, che per me (non per tutti: per me) è molto difficile. Se io ho paura, se io ho orgoglio, se io ho pianto compresso, se io ho difficoltà col piacere, se io ho un rapporto nevrotico o psicotico col mondo, l’accento è posto solo su io – gli elementi che qualificano la presenza dell’io vanno osservati. Non li giudico. In questo senso, IDP è una disintossicazione. Non mi percepisco come orgoglioso, ma, mentre scrivo IDP, proprio NEL momento della scrittura, io “vedo” l’orgoglio – e tento di dirlo. Dirlo è uguale a vederlo, in questo caso. Lì io tento un abbraccio con l’altro, che spesso non è dato – ma non c’è ragione o torto da parte di nessuno, nel fatto oggettivo che l’incontro con l’altro si dia o meno. La questione è, in Kafka, a mio parere, detta tanto bene: “La cultura non ha mai inteso alludere alla cultura, bensì alla frontiera”. Come toccare la frontiera a cui allude la cultura di Kafka è per me un problema fondamentale, che si iscrive in un percorso che casualmente si dà in scrittura, mentre potrebbe darsi in tantissime, indefinite forme.
    Da questo punto di vista, le indicazioni testuali e i suggerimenti che mi fornisce Subhaga Gaetano Failla nei commenti sono fondamentali. Se potessi scrivere proprio il libro “Fraternità”, lo farei immediatamente: ma sento di non averne i mezzi e le capacità, non so se al momento o in assoluto.
    In totale, ciò che vorrei consigliare è questo: prendete IDP con le dovute cautele, non consideratelo un libro che aspira a essere bello, a proporre una retorica o un’estetica. Io ho fatto quanto potevo, e il più onestamente che potevo – va benissimo se la cosa delude, credo, perché viene pronunciato un rifiuto che mi fa essere. Nel “no”, io sono. E’ un terzo della “fraternità”.
    Quanto al lavoro psichico da compiersi ancora, io non so. La scrittura sicuramente non è più impulsata da componenti di ordine psicologico e io vado al buio. Questo significa che il lavoro psichico stesso non è terminato. Non si tratta semplicemente di opera psicologica: ho fatto dieci anni di analisi, uno di emdr, sei di una terapia non verbale di avanguardia – praticamente da sempre lavoro per risolvere l’interruzione d’amore che è in me. Ma ciò ha risvolti ormai secondari sulla scrittura, che non è più spinta da ossessioni, il che costituitva una facilità da me sempre osservata come fallimento già dato. E’ nella libertà che si dà creazione. E’ nel pulire bene ogni canale che il fluido può scorrere: ciò che Grotowski chiamava “arte come veicolo”, al di là di qualunque ideologia ispirazionista, in cui personalmente non mi riconosco.
    Vado a postare la recensione di Gaetano, non prima di avere nuovamente ringraziato tutt* e di reiterare le mie scuse nel caso sembri che abbia evitato di rispondere a qualcun*.
    giuseppe

  63. Lo sto leggendo. Più di tutto, è la ricerca, un certo tipo di ricerca (difficile da dire – quantomeno in un commento – forse) che mi colpisce, che mi aspettavo ma che, in certi punti, mi sorprende comunque.

    “Le cose non stanno come pensa questa società: oggettivamente non stanno così. Il ruolo e il posto dell’uomo nel cosmo e nella vita non è quello immaginato da chiunque legga queste righe. Pulitevi il culo col dilemma morale: non avete la benché minima nozione o, cosa ben più sana, il sentimento o il presentimento di come le cose stiano oggettivamente. Leggete per simboli e per metafore caratteri che pensate di comprendere, pensate ci sia una faglia di significato a separare quei simboli dalla realtà effettiva, interpretate, interpretate, interpretate, vi muovete in quello spazio del tutto immaginario, perdete prezioso tempo, poiché qui e ora bisogna prepararsi a morire e non lo si fa. Non ci sono simboli, metafore, allegorie, archetipi: è tutto letterale, sono indicazioni letterali, bisogna compierle, attuarle, realizzarle. Ma ci pensano, pensano in continuazione, sono come macrocefali le cui teste enormi sono stipate all’inverosimile da pensieri che pressano i loro crani fino a farli esplodere. Infatti esplodono.”
    [IDP, p. 165-166]

    Credo che qui si dica qualcosa che va molto, molto oltre le vicende personali o la rielaborazione letteraria di un vissuto personale, oltre le vicende dell’Italia, le operazioni letterarie, linguistiche, l’impegno civile. Queste cose sono importanti nel libro, a livelli diversi, eppure mi sembra che quello che si dice nel brano che ho citato, e che si intuisce in tutto il libro – se è come lo sento io – sia qualcosa di molto diverso, di molto particolare, e raro.

  64. Ringrazio tanto di nuovo Giuseppe Genna, di cuore. Questa condivisione fa davvero bene.

  65. E ringrazio tanto tutt* (uso per la prima volta l’asterisco, vediamo che effetto mi fa…) per i nuovi interventi.

  66. Lascio ulteriori brani, in cerca, forse, d’una “musica”, d’un “motivo”:
    ***
    Mi stendo.
    Sono stanco.
    Madre, riesco ormai a parlare soltanto delle cose ultime, sono tanto stanco di raccontare la storia come una favola strasentita…
    Mi immetto nel ‘samadhi’. Voglio collassare. Essere cancellato. Pura mente priva di pensiero e immagine.
    .
    (Giuseppe Genna, “Italia De Profundis”)
    ***
    Non si sa cosa guarda
    non passano le nuvole
    sulla luna
    .
    non brillano i satelliti
    in un punto del cielo
    .
    e questo nulla che si configura
    dopo i disegni
    quasi infantili delle costellazioni
    .
    gli piega leggermente
    le ginocchia sottili
    .
    (Roberto Amato, “L’agenzia di viaggi”)
    ***
    Ming-hua chiese: “A cosa serve tutto questo andare e venire?”
    “Sto solo cercando di logorare i miei sandali di paglia”, disse Lin-chi.
    .
    (“Rinzai Roku” – “La raccolta di Lin-chi”)
    ***

  67. la discussione è tanto interessante quanto importante. il veicolo sul quale viaggiamo non si nutre di carburanti quotati su listini del cartello internazionale…
    è un cartello minuscolo… rionale… casalingo… chiuso in una stanza… vincolato dall’umore e dal cattivo tempo piuttosto che dalle incompetenze di colui che preposto da cugini (qualcuno qui discrimina i parenti?) non riesce a svolgere quello che dovrebbe essere il proprio, competente, compito.

    sono pozzi per pazzi che cadono a pezzi…

  68. @Giuseppe Genna
    Gentile Giuseppe, non importa se non risponde a ciascuno di noi, perché ogni Suo intervento è comunque molto significativo. E poi perché non siamo noi con le nostre idee, adesso, ad essere “protagonisti”. Immagino sia difficile per uno scrittore “spiegare” se stesso, se lo ha già fatto, anche se in modo “speculare”, nel suo romanzo. I romanzi bisogna leggerli, per capirli e per sapere cosa c’è dentro. Poi a ognuno di noi resterà qualcosa. A me sembra che il Suo romanzo sia molto “filosofico”, per così dire. A me piacciono molto i romanzi “filosofici a tesi”, come per esempio quello di Voltaire, “Candide”.
    Ho ascoltato la sua intervista su Ferenheit e mi ha colpito in particolare il discorso sull’ “ingenuità” dell’ Umanesimo occidentale e la considerazione che è proprio a partire dall ‘Umanesimo ( se non ho capito male), con la sua fiducia nelle possibilità di un “progresso infinito” in se stesso, che è ahimé cominciata la “catastrofe climatica ed ecologica”. Infatti, giustamente Lei ricordava, a coloro che considerano Facebook l'”evento” del millennio, che siamo solo all’inizio e non sappiamo davvero quali saranno i possibili altri “eventi” più rilevanti di quello di Facebook ( questo è certo, che saranno più rilevanti, voglio dire).

  69. La lettura di Italia De Profundis di Giuseppe Genna è stata per me qualcosa di estremamente fisico, quasi ancestrale.
    Un libro che non suscita emozioni ma che è emozione, commozione, rinascita.
    Talvolta in me è prevalsa la sensazione di sopraffazione ma era come uno scorticare la pelle in modo salvifico. Uno straordinario strumento per risvegliare qualcosa di sopito.
    Non saprei dire di più. Grazie Giuseppe!
    Angela

  70. seguo il blog da pochi giorni. lotrovo molto,molto interessante. non ho letto il libro in questione,ma provo a rispondere alle domande:
    Secondo voi il nostro è davvero un paese-cadavere su cui recitare il de profundis? (se non è cadavere come minimo è moribondo)
    Quali sono stati i “mali” che l’hanno ridotto in queste condizioni? (il pensare agli interessi personali ed ai privilegi)
    È possibile “risorgere”? Se sì, in che modo? (rimboccandosi le maniche,pensando più agli interessi collettivi e meno ai propri cavoli).

  71. Ho appena ascoltato l’intervista su Fahrenheit e letto le recensioni e qualche commento a saltare. Non ho letto il libro, ma lo farò presto. Mi sento di rigraziare l’autore per le cose che ha scritto nei commenti. Non è facile parlare di se in quel modo. Ci vuole coraggio. Forse è questo che serve per risorgere,,coraggio.

  72. Simona, riporti: “La povertà dell’Occidente è molto peggio della povertà materiale dell’India.” Ecc..
    Io ho scritto: “Le persone delle nazioni in cui si crepa di fame hanno molta più dignità di quelle delle nazioni in cui non si muore di fame ma di altro.”
    Mi sembra che sviluppiamo il medesimo concetto.

    Simona, per capirci: Ho adottato una bambina indiana è comprendo bene quello che vuoi trasmettere. Inoltre, con mia moglie e questa nostra figlia da anni facciamo volontariato per contribuire a risolvere i veri drammi delle persone che ne hanno.

  73. Il volontariato è una bella cosa. Però vedere solo alcuni problemi e non riconoscerne altri è un po’ miope. Io ho adottato un bimbo africano e faccio anch’io volontariato , ma questo non mi impedisce di indignarmi per i mali che attanagliano l’Italia. Fare finta che non esistano significa avallarli. e poi ci sono mali psicologici che uccidono più della fame. mIa moglie lavora gratis in un centro di assistenza di un quartiere a rischio e ne sa qualcosa.

  74. Libro efficacissimo, ma un po’ ruffiano. Gli italiani adorano la critica radicale di sé stessi e del proprio Paese perché li solleva da ogni dovere di volontà e di impegno civile. Però ora basta con questa maledetta onda lunga di autolesionismo.
    Altrimenti, davvero, si stava meglio quando si stava peggio.

  75. Sono stata tra i lettori di fahrenheit che l’hanno votato tra i libri del mese. Ogni tanto una bella scossa serve 🙂

  76. Secondo me in un modo o nell’altro riusciremo a risollevarci come paese italia, in fondo abbiamo vissuto momenti peggiori. Però sono a favore dei libri che mettono in evidenza il marciume. Ho amato Gomorra di Saviano ed ora leggerò il De Profundis di Genna incentivato dalle recensioni

  77. Caro Felice,
    anch’io ho fatto tanto volontariato (soprattutto di sostegno a ragazze madri e a famiglie disagiate in contesti apparentemente normali) e, proprio per questo, ti ho riportato le parole di Madre Teresa. Perchè le povertà spirituali e cittadine sono spesso altrettanto drammatiche.
    Ne faccio esperienza quotidiana in tribunale, dove le faide familiari e le esigenze continue delle mediazioni con terapeuti e psicologi mi fanno toccare con mano gravi malattie dell’anima (quelle “interruzioni dell’amore” di cui parla Genna e che – ti assicuro – palpitano dolorosamente e selvaggiamente).
    L’una povertà non esclude l’altra. L’una voce non soffoca l’altra.
    Semmai, invita a maggior impegno.
    Ti abbraccio fraternamente

  78. @Simona
    Carissima Simona,
    un pò è anche vero che, per le persone che devono fare a meno di molti beni “materiali” (= il cibo, il lavoro, la casa, la macchina ecc), queste “malattie” dell’anima sono “quasi ridicole”, nel senso che: per chi vive SENZA queste cose, il resto sembrano “bazzecole per viziati” e per chi vive CON queste cose, le malattie interiori sembrano importanti. Certo chi vive senza famiglia e senza gli affetti ( persone di cui parli tu) e senza princìpi, o senza una strada da percorrere, sta male. Ma chi vive senza cibo, senza medicine per curarsi, senza un tetto, senza vestiti, senza un proprio mezzo, senza libri e senza computer ecc, sta peggio. Non dico che tu non abbia ragione, anzi. Sole che secondo me chi non lo prova non può capirlo ( me compresa). Tutto è visto secondo due prospettive opposte: quella del chi possiede e quella di chi non possiede. Certo, mi dirai “possiede” cosa?
    A ognuno la risposta. Ma siamo in due campi altrettanto diversi: quello dell’essere e quello dell’avere.
    Un abbraccio affettuoso:)

  79. Ps: io ho vissuto SENZA un lavoro dopo molti anni di studio+ SENZA una casa e CON lo sfratto+ con una macchina vecchia. La vita è più molto molto più amara. Non fosse altro perché non siamo in India e i valori dell’Occidente sono quelli che ci circondano: per essere “al di sopra” di tutto bisognerebbe avere una spiritualità fuori dal comune+ oppure fare gli eremiti o i misantropi a vita. ( potrebbe essere una soluzione, anyway…)
    ( Ho sbagliato prima: ho scritto SOLE anziché SOLO).

  80. @Roberta. Ma se lo sanno tutti che vai in giro in fuoriserie, pellicce di visone usa e getta, scarpette di coccodrillo scuoiato di fresco. Daì…non barare.

  81. En passant
    Ne approfitto per ricordare l’Avvertenza riportata nella colonna di sinistra del blog. È una cosa a cui tengo molto e che – all’occorrenza – non manco di applicare.
    Peraltro – e mi riferisco in generale – preferirei che si evitassero commenti scurrili. Ne sento fin troppi: attorno a me, in televisione (quando mi capita di accenderla: quasi mai), ovunque. Ecco… qui preferirei che evitassimo.
    Naturalmente chi non è d’accordo con la mia linea non è obbligato a partecipare alle discussioni che propongo.

  82. Prima di continuare, però, devo rendere omaggio al buon Subhaga Gaetano Failla.
    Mi ha mandato la sua foto.
    Adesso la trovate in alto, sul post, accanto alla sua recensione.
    Per seguire questo post gli si sono incanutiti i capelli.
    🙂

  83. @ Giuseppe Genna
    Caro Giuseppe, ti ringrazio moltissimo per il tuo nuovo corposo intervento. Grazie davvero. Per esporsi, per raccontarsi, per “mettersi a nudo” (come hai fatto tu) ci vuole sempre coraggio. E il coraggio merita rispetto.
    E grazie anche per le belle parole che hai scritto sul tuo sito.

  84. ***
    La sua voce che si perdeva, che intermitteva silenzio e innalzamento sonoro, era un continuum eterico, la prova emblematica dell’unica sostanza, ineffabile e priva di forma, da cui emergono le condensazioni sonore, figurali, gestuali. Era consapevole della sua consapevolezza ininterrottamente. Era il vuoto. Il vuoto non può morire, l’identità Carmelo Bene sì, dunque ciò che era essenzialmente Carmelo Bene e che Carmelo Bene sapeva di essere non è morto: è.
    (Giuseppe Genna, “Italia De Profundis”)
    ***
    In modo impercettibile, ma concreto, anche loro si sono alimentati delle tue visioni, a loro modo, hanno viaggiato con te…
    (César Calvo, “Le tre metà di Ino Moxo e altri maghi verdi”)
    ***
    Possiamo ancora fingere che eravamo in viaggio? Il viaggio ce lo siamo inventato. L’universo è uno, non viaggia. E l’attimo universale è uno solo. Ma questo è il contrario del messaggio, e non si può dire, si può solo tacere, infatti. Il raggio della luce il phaos del chaos, non conosce tempo nè messaggio, e dunque.
    (Gianni Toti, “Inenarraviglie”)
    ***
    “Pazienza…” avrebbe detto, come quando gli si esprimevano apprezzamenti affettuosi sui suoi spettacoli.
    (Doriano Fasoli, in “A CB – A Carmelo Bene”)

  85. Purtroppo sono costretto a chiudere qui. Non so se riuscirò a riconnettermi…
    Ringrazio tutti i nuovi intervenuti (scusatemi se non vi cito).

    Una buona serata a tutti!

  86. Caro Massimo, ti leggo solo ora. Mi ero perso nei brani letterari. E nella foto (della cui pubblicazione ti ringrazio tanto), oltre ai capelli non proprio corvini, con un ingrandimento si potrebbe notare anche che sto leggendo un libro con la copertina al rovescio… Ci sono tanti modi di accostarsi a un libro…

  87. @roberta: c’è anche un’altra categoria di persone: chi possiede (un immobile, per esempio) e comunque fa una vita da fame. Se sei, mettiamo, vedova di commerciante e vivi nell’immobile di proprietà comunque fai la fame con 300 euro al mese: mica puoi mangiare l’immobile.
    L’indice di povertà è fissato (da statistica alla Trilussa) a 800 euro al mese. Ma chi ha famiglia, ne guadagna 1400, e ne spende per vivere 1400, è povero lo stesso. I poveri sono molti di più di quanto non dica la statistica!

  88. Il Paese può farcela. Ritengo la criminalità organizzata ed il saccheggio delle risorse pubbliche i 2 problemi più grandi. Il federalismo chissà se potrà aiutare: io ero pessimista, poi ho visto che l’IDV ha votato a favore e quindi qualcosa di buono dovrebbe esserci. Dovrebbe porre un limite all’ “assalto alla diligenza”.

  89. mi permetto (posso?) di intervenire rispetto al fatto che parte delle motivazioni vengano dalla prorpia condizione personale. è chiaro che la cultura personale sia necessaria, ma appunto la cultura e non la condizione. la linea tracciata sembra sottilissima. io non ho adottato bambini, magari non ho letto mai niente che non fosse questo libro (buon inizio direbbe qualcuno!) e non ho più i denti da latte… magari…
    quotidianamente, però, cammino per le strade della mia città (sceglietene una… la ritengo valida come esempio) ed a fianco a me ci sono molti (per molti intendo molti di più di quanti dovrebbero essercene) corpi che ignorano le possibilità reali e realistiche che il vivere nei tempi moderni già vecchi (come i cellulari che comprano con gli sconti solo perchè domattina esce il modello nuovo).

    la pecca della società che fa della comunicazione il suo vanto, sta proprio nella comunicazione. si parla per frasari come se avessi in dotazione una lista delle cose da dire in terra straniera… MA NON SEI IN TERRA STRANIERA!!! non c’è necessità di quel (ab)breviario. non hai necessità di niente altro che non sia naturalmente (e la naturalezza batte la normalità 100 a 0) l’evoluzione di quanto fatto fino a quel momento.

    chiudere gli occhi non serve. aprirli potrebbe non bastare.

    l’avvento del Cattelani di turno e della sua “classe” sono la malattia
    prendere la vecchia è la cura “caro il mio coglionazzo!”

  90. Ho letto il primo capitolo del romanzo di Giuseppe Genna: mi pare che le mie considerazioni più su siano OT. Il libro sembra molto intenso.
    Mi scuso anche con Simona, perché mi pare di non aver capito il significato del suo discorso circa la “povertà”, che c’è anche “dentro”, oltre che “fuori”.
    Sì, Maurizio, ci sono molti poveri, infatti.

  91. Massimo non c’era e non c’è stato bisogno di trovare una risposta alla mia domanda. Ti ringrazio per averla “rilanciata”, ma, al pari del libro, in essa era presente la sola esternazione di un io con il quale non sempre si riesce a dialogare. Talvolta lo si descrive, sia pure indirettamente, per il tramite della scrittura. L’Arte (se ad essa si approssima ciò che viene qui descritto) veicola il proprio orgoglio (come scrive in un commento precedente l’autore) e la stessa esistenza. E’ un canto shamanico, la nota costante della voce che serve a colmare lo spazio, altrimenti vuoto nella nostra società, tra il soggetto ed il contesto sociale al quale esso appartiene. Anzi in molti casi quel canto lo crea un contesto sociale. Aggrega. Chiama a sè i tanti dispersi che non sanno come affermare a sè di stessi di essere. La moltitudine è contenta di guardarsi in un immagine digitale trovando in quel dagherrotipo dell’essere la compiutezza anche dell’azione. Io credo che nel testo ci sia molto di più della sola affermazione di sè. Esiste un bisogno di veicolare l’orgoglio verso l’azione. Non esiste la necessità di un accordo esplicito. Gli uomini agiscono anche quando scelgono di tacere. Quando scrivono come Giuseppe Genna, ebbene urlano. Bisogna aprirlo il libro per sentire quella voce e provare a sentire se corrisponde alla propria. Potrebbe essere che non ne abiamo sufficiente consapevolezza. Tuttavia non sarebbe una novità. Sono poche le cose delle quali abbiamo consapevolezza. Di noi stessi nessuna.

  92. Ciò che è vivo può esistere senza il fascismo, ma il fascismo non può vivere senza ciò che è vivo. Il fascismo è il vampiro avvinghiato al corpo dei viventi che sfoga i suoi impulsi omicidi quando l’amore si ridesta in primavera invocando la naturale realizzazione.
    (Wilhelm Reich, “Psicologia di massa del fascismo”)

  93. Poichè dovrebbe finire, il villaggio. Poichè è la città appestata di Tebe, traslata nel tempo indegno e verminoso che contribuisco a testimoniare ma anche a fare.
    (Giuseppe Genna, “Italia De Profundis”)

  94. Maugeri, hai condensato un mio intervento, o forse sbaglio? Avresti dovuto comportarti allo stesso modo verso chi l’ha provocato, se non sbaglio. Comunque, va bene cosi.

  95. Non si sa sempre riconoscere che cosa è che ti rinchiude, che ti mura vivo, che sembra sotterrarti, eppure si sentono non so quali sbarre, quali muri. Tutto ciò è fantasia, immaginazione? Non credo, e poi uno si chiede: “Mio Dio, durerà molto, durerà sempre, durerà per l’eternità?”.
    Sai tu ciò che fa sparire questa prigione? E’ un affetto profondo, serio. Essere amici, essere fratelli, amare spalanca la prigione per potere sovrano, per grazia potente. Ma chi non riesce ad avere questo rimane chiuso nella morte. Ma dove rinasce la simpatia, lì rinasce anche la vita.
    (Vincent Van Gogh, “Lettere a Theo sulla pittura”)

  96. Rido. L’usignolo che stava cantando vicino al letto cambia tono e si trasferisce su un ramo più lontano. Interrompiamo la nostra conversazione per restare in ascolto, ma ormai l’uccello non sembra più volere aprire il becco.
    “Ieri in montagna ha incontrato Genbei, vero?”
    “Sì.”
    “Ha visto il tumulo di cinque pietre della fanciulla di Nagara?”
    “Sì.”
    Senza alcun preambolo la donna replica in tono normale, non cadenzato, la poesia: “Alla rugiada, scesa / sui fiori di miscanthus / quando s’annuncia l’autunno, / assomiglio, / io che devo svanire”.
    Non so perchè lo faccia.
    (Natsume Soseki, “Guanciale d’erba”)

  97. @gaetano che bello questo brano di Soseki,ha in sè il senso della caducità tipica della bellezza degli haiku.Apprezzo molto oltre alla discussione,questi tuoi excursus letterari.
    Chiedo scusa,ma rileggendo molti commenti,mi pare di avvertire molta amarezza sulla consapevolezza della situazione di disfatta totale,ma qualcuno di voi intravede una speranza?se sì,dove e come?Io senza una speranza di rinascita non credo di poter vivere,con tutto il dolore nel mondo nel cuore e la povertà spirituale o materiale,ritengo la vita un dono e mi piacerebbe ripartire da lì.

  98. Concordo pienamente con Van Gogh… chi non ama rimane nella morte e dall’ombra della morte non risorge, come dice l’antico inno.
    Quando sento che un GIOVANE leghista, sottolineo GIOVANE, per il quale, Dio abbia pietà di lui, Gandhi, Martin Luther King e i martiri della libertà e dei diritti civili non sono mai esistiti, imploro che un fuoco d’amore per la vita divori il mondo intero, non solo l’Italia, terra di bellezza devastata dal dolore.
    POVERA PATRIA
    SCHIACCIATA DAGLI ABUSI DEL POTERE
    DI GENTE INFAME CHE NON SA COS’è IL PUDORE…
    SI CREDONO POTENTI E GLI VA BENE
    QUELLO CHE FANNO E TUTTO GLI APPARTIENE
    NON CAMBIERà, NON CAMBIERà
    Sì, CAMBIERà, FORSE CAMBIERà…
    (Franco Battiato, Povera patria).
    Canzone profetica, meravigliosa…
    TRA I GOVERNANTI
    QUANTI PERFETTI E INUTILI BUFFONI…
    QUESTO PAESE è DEVASTATO DAL DOLORE
    MA NON VI DANNO UN PO’ DI DISPIACERE
    QUEI CORPI IN TERRA SENZA PIù CALORE…

    MA COME SCUSARE
    LE BELVE DEGLI STADI E QUELLE SUI GIORNALI
    NEL FANGO AFFONDA LO STIVALE DEI MAIALI
    ME NE VERGOGNO UN POCO E MI FA MALE
    VEDERE UN UOMO COME UN ANIMALE…

    SI PUò SPERARE
    CHE IL MONDO TORNI A QUOTE PIù NORMALI
    CHE TORNI A CONTEMPLARE IL CIELO E I FIORI
    CHE NON SI PARLI PIù DI DITTATURE
    SE AVREMO ANCORA UN PO’ DA VIVERE
    LA PRIMAVERA INTANTO
    TARDA AD ARRIVARE…

  99. cara maria lucia cambierà se lo vuole l’uomo,il mondo non è qualcosa di astratto fuori da noi,siamo noi che lo facciamo a nostra immagine e somiglianza,perciò è la volontà e la necessità di cambiare che lo farà migliore,moralmente non credo che sia giusto lasciare alle nuove generazioni soltanto amare considerazioni e una resa incondizionata al male che ,sicuramente imperversa,quanto piuttosto sforzarci tutti di più per nutrire di elementi positivi l’animo e la mente che ci spinga ad un fare oltre il pensare negativo.Modestissimo parere,ma che ognuno faccia il suo nel suo piccolo,poi insieme si fa il mondo-E guardate che non faccio la suora,”pecco” continuamente. 🙂

  100. @Francesca Giulia: Che bello il richiamo alla speranza! In sintonia con lo scopo del libro, che nasce da un profondo atto di verità e commozione per l’uomo. Da molto coraggio e dalla ricerca di innocenza.
    Credo che la speranza sia ripartire dall’innocenza.
    @Roberta: un bacio

  101. Francesca Giulia la consapevolezza di sè consente all’uomo di ritrovarsi. Mi sembra che questa possa essere la speranza. Soprattutto dovrebbe essere il progetto di tutta una vita. Abbiamo bisogno di uomini e donne non supereroi, giusto per una ironia intertestuali con un post precedente, perchè di essi è già piena questa nostra società.

  102. Voglio leggere questo libro al più presto. Mi piace la sua impostazione.
    Per adesso rispondo alla domanda di Massimo e senza alcun dubbio affermo che la causa di tale Stato (stato) di sfacelo è l’aver fatto credere di poter fare per gli altri quel che nel profundis non si poteva fare. Nel profundis infatti non c’era il grado di ESSERE necessario e sufficiente per governare le vite degli altri.
    E forse anche i profeti dovrebbero riflettere su sè stessi.

  103. @simona sì sono d’accordo con te,perciò penso al lavoro da fare per nutrire di buoni propositi i giovani.
    @eventounico è sacrosanta verità:i supereroi fanno più male che bene creando un’illusione di onnipotenza,un essere umano “semplice” nella sua consapevolezza è molto più potente di chiunque altro,ma il problema è che non vogliono farcelo credere.Però la consapevolezza passa attraverso la sofferenza che ti procura il limite e non è uno stato permanente,quanto piuttosto un delicato equilibrio a cui tendere costantemente in pericolo,perciò direi che la speranza-che dobbiamo alimentare-viene dal coltivare il dubbio e dal dubbio il processo di domanda che ci fa o ci dovrebbe far migliorare.
    un abbraccio

  104. Mia carissima Francesca Giulia,
    credo che l’innocenza sia un viaggio percorribile anche per gli adulti.
    Genna fa proprio questo. Si sveste di sè.
    Sente pressare la necessità di denudarsi.
    E’ un atto semplice come quello di un bambino e, al tempo stesso, richiede il sovrumano coraggio di un uomo.
    Un abbraccio fortissimo ance a te!

  105. A me canterei una vecchia canzone di Branduardi:
    Tutta vanità, solo vanità, ma quando la morte ti coglierà, che sarà delle tue voglie? Vanità di vanità… State calmi se potete, tutto il resto è vanità
    – io che ho desiderato sacrificarmi –

    Ideologia ispirazionista: (in attesa di leggere Anteprima nazionale) qualora tra vent’anni si scoprisse che la minaccia dei Casalesi a Saviano fu la miccia accesa dai Servizi per ‘montare’ l’opinione pubblica contro la famiglia camorrista e quindi – come sta avvenendo – smembrare la stessa, beh sarà interessante vedere l’intellettuale kafkiano Genna in cosa si riconoscerà: forse in Musil???

  106. @ francesca giulia: un essere umano senza speranza è già morto (dentro s’intende). In questo lordume, di tantissimi morti dentro il compito di chi crede che i valori di umanità e di fratellanza siano assolutamente da perseguire può essere svolto solo con l’esempio, in modo pacifico, perchè non si deve scendere al loro livello di bestalità.
    I risultati di Gandhi e di tanti altri dimostrano che la violenza non si vince con la violenza, ma solo con la forza del pensiero e dell’amore.
    Ognuno farà quello che può, purchè lo faccia; sia d’esempio ai figli, cerchi di parlare ai dubbiosi. Un castello di menzogne è come un castello di carte: prima o poi cadrà travolgendo i suoi costruttori, e avverrà per implosione, perchè questa società profondamente malata ha tendenze nichiliste.

  107. @renzo carissimo è proprio quello che ho cercato di dire più sopra.
    un caro saluto

  108. G&G. Attenti a quei due. Giuseppe e Gaetano…che simpatici!!!!!!
    Giuseppe ha fatto l’Espulsione e, sicuramente, non si riferisce alla cacchina che quotidianamente espelle per purificare il corpo, ma qui si parla di “non essere” e per arrivare a tanto ci si occupa di filosofie orientali, religioni, pop, psicoanalisi, esoterismo, addirittura di Gurdjieff…Platone, Plotino, sufismo, rinascimento (?), di Gesù Cristo a volte, quando serve occuparsene, serve anche Lui nell’esposizione dei sè, in effetti la ricerca è complessa…nel frattempo mi auguro che il guru non abbia causato seri danni nelle vite degli altri. Mi auguro soprattutto che il guru abbia distinto gli elementi e abbia fatto i dovuti riconoscimenti.
    Le ambizioni poi erano così umili, nessuna pretesa di fare il bello, fose il visibile? allora forse nella lista della sapienza è scappato Baumgarten di Berlino (1765), filoso estetico che con le sue Meditationes opera la distinzione fra “cognitio confusa” e “perfectio” e “claritas” lui, infatti, oggettivista puro, con il principio di Estetico -Logica riprende l’individuo verissimo…
    Ma anche ai giorni nostri Roberto Mancini, filosofo di “grande estetica”, vicino a Benedetto Croce, che insieme a Raffaello si è chiesto qual’è l’idea che si deve dipingere come poeta e contemplatore dell’universale, affronta temi come “l’uomo fotocopia e le sue relazioni” “l’essere e la sua pienezza” “la trascendenza e tutti gli equivoci di cui mi auguro facciate chiarezza”. Non so per esempio la distinzione fra anima inferiore e anima superiore.
    Una buona giornata a tutti
    Rossella Maria Pia Grasso

  109. Anch’io credo che non debba mai perdersi la speranza di risollevarsi, anche se per risollevarsi bisogna avere la consapevolezza di essere caduti.
    Ciao a tutti
    Valentina
    🙂

  110. È stato detto tantissimo sul declino dell’Italia, da non dover aggiungere più nulla.
    Mi preme, però, di ricordare, che gli alti e i bassi si sono sempre alternati nella storia umana.
    Il punto massimo del declino non è stato ancora raggiunto, ma si sentono già i forti richiami di persone che avvertono la necessità del rinnovo spirituale.
    Riassumo ciò che ho sempre espresso da anni nei miei scritti e cioè, che siamo soggetti al flusso che determina e sostiene tutto il Creato, nel quale la ricerca d’armonia si svolge attraverso mutazioni energetiche di inimmaginabile portata, pari a milioni di terremoti sul nostro pianeta e ancor più.
    Anche noi siamo alla ricerca affannosa dell’armonia nella quale la nostra limitatezza emerge attraverso l’unica forma percettiva possibile: quella dell’alternanza del bene e del male.
    Siamo quindi ancora limitati, credo, però, di individuare un lento ma certo miglioramento generale. La globalizzazione ci aiuterà a renderci coscienti che apparteniamo tutti a una sola razza, l’influsso positivo della ragione che, grazie all’istruzione, praticata sempre più largamente, trova maggior impiego e considerazione in ogni attività umana, crea speranza di poterci liberare dagli influssi negativi dell’ignoranza, quali fanatismo religioso e povertà assoluta, ancora considerata in certi paesi come voluta dal destino.
    L’influsso frenante, ma da molti considerato ancora come sostegno nei momenti di estrema necessità, della religione diminuirà e a lei subentreranno sempre maggiormente azioni coraggiose e coordinate per il conseguimento e tutela dei diritti fondamentali dell’uomo.
    La situazione dell’Italia nel contesto mondiale è particolare, perché credo che sono gli italiani stessi che si credono di esserlo. Senza generalizzare, in considerazione che ci sono moltissimi italiani onesti e laboriosi, mi sembra di individuare un buonismo di prego cattolico non conciliabile con le costrizioni del sistema economico del quale si servono però per assetare le loro ambizioni di potere e ricchezza personale.
    Ne risulta una situazione paradossale nella quale alcuni furbi, fin troppi però, imbrogliano chiunque per tutelare i propri interessi considerati intangibili, per poi consolarlo e sostenerlo al minimo, onde non farlo morire fino a quando sia di utilità.
    Religione e politica, in stretta connessione d’interessi e utili, non trovano un miglior riscontro in nessun altro paese occidentale come in Italia.
    La necessaria svolta arriverà, ma non partirà dall’Italia, troppo dormiente e menefreghista. Essa verrà da sé attraverso le crisi che il sistema economico del profitto da sempre ha in sé e che dopo la caduta del suo antagonista comunista mette di giorno in giorno maggiormente in rilievo.
    L’uomo, ridotto a unità consumatrice, dovrà reagire, se non vorrà diventare carne da macello per il profitto di pochi ingegnosi affaristi.
    La speranza è l’unica forza evolutiva dell’uomo di risorgere dopo le crisi, ricadute e delusioni provate.
    Essa è la forza spirituale della sopravvivenza, nella quale un giorno poter riconoscere che la vita è impegno per la realizzazione di una società riunita in armonia, come forse un tempo sia stato e che un piano non riconoscibile a noi ha voluto dividere, per dar luogo al processo di ritrovamento delle particelle disparse nel Creato delle quali tutti noi ne siamo parte e che sono raggiungibili e riconoscibili solo attraverso la forza dell’Amore.
    Credo che con questo concetto sia possibile vivere la vita coscientemente, nonostante le tante sopportazioni e avversioni che ci presenta. Lo scopo finale è sufficiente a donarci la forza e il coraggio di tentarla.
    Saluti.
    Lorenzo

  111. @ Felice Muolo
    Carissimo, ti avevo già ringraziato per i precedenti commenti e ti ringrazio per questo tuo ultimo dove mi scrivi: “Maugeri, hai condensato un mio intervento, o forse sbaglio? Avresti dovuto comportarti allo stesso modo verso chi l’ha provocato, se non sbaglio. Comunque, va bene cosi.”
    Intanto ti ringrazio ulteriormente per i “consigli di comportamento”. E sono lieto nel constatare che, comunque, per te, vada bene così. Però, no… non ho condensato un tuo intervento. Ho semplicemente rimosso un riferimento a un precedente commento che ho cancellato in applicazione della nota Avvertenza visibile nella colonna di sinistra del sito. E l’ho fatto per non creare confusione. Naturalmente (come sono solito fare) ho scritto privatamente alla persona interessata, scusandomi e spiegando le ragioni della mia scelta. Ne è venuto fuori uno scambio – in forma privata – che ho molto apprezzato (in casi del genere credo che sia doveroso da parte mia assicurare un confronto diretto in forma privata).

    Ti ringrazio, Felice Muolo, perché mi fornisci l’occasione di richiamare ancora una volta l’attenzione (soprattutto a beneficio dei “nuovi arrivati”) sul testo di questa ormai famosa Avvertenza, che riporto di seguito:
    La libertà individuale, anche di espressione, trova argini nel rispetto altrui. Commenti fuori argomento, o considerati offensivi o irrispettosi nei confronti di persone e opinioni potrebbero essere tagliati, modificati o rimossi. Nell’eventualità siete pregati di non prendervela. Si invitano i frequentatori del blog a prendere visione della “nota legale” indicata nella colonna di destra del sito, sotto “Categorie”, alla voce “Nota legale, responsabilità, netiquette”.
    Inserisco il link di seguito:
    http://letteratitudine.blog.kataweb.it/category/aaa-nota-legale/
    Chi decide di intervenire su Letteratitudine, accetta implicitamente quanto sopra riportato. Chi non è d’accordo, ovviamente, non è obbligato a partecipare alle discussioni che propongo.
    Dopo due anni e mezzo (quasi tre) di esperienza sul campo nella gestione di questo blog sono sempre più convinto (per come sono io, e per come la penso io) che non c’è altro modo per condurlo.
    L’alternativa – per me – sarebbe la chiusura del sito.
    Grazie per l’attenzione.

  112. @ Gaetano
    Per ingrandire la tua foto basta cliccarci sopra.
    Non sapevo che leggessi i libri al contrario.
    Non è che per intervenire su Letteratitudine ti metti a testa in giù? 🙂

  113. @massimo io guardando la foto di gaetano non mi sono accorta nè dei capelli bianchi nè del libro al contrario,ma solo del fatto che ha delle belle mani!!
    Comunque se lui stesse a testa in giù funzionerebbe se gli vengono fuori tante belle parole come quelle che ha scritto qui.
    un abbraccio

  114. Tra le mie domande c’era questa: È possibile “risorgere”? Se sì, in che modo?
    Molti di voi hanno risposto in quest’ultima tornata di commenti, e vi ringrazio.
    Mi permetto di evidenziare, nel successivo commento, alcuni dei passaggi che ho condiviso di più..

  115. @ Massimo
    Niente testa in giù: posizione alquanto scomoda. Mi basta capovolgere la stanza!

  116. Grazie Francesca Giulia… (Sgurgle… spero che non traspaia da questo mio commento anche il rossore sul mio viso…).

  117. @ Francesca Giulia
    Sulle mani di Getano non so che dire… 🙂
    Però potrebbe essere un’idea quella di mettersi a testa in giù.
    Inauguriamo la tecnica del pipistrello!

  118. io personalmente mi sento spesso a testa in giù per il rimescolamento disordinato dei pensieri bislacchi che mi frullano dentro,diciamo come se avessi un minipimer che frulla e impasta senza seguire ricette!
    però sperimentare è un bene,magari aiuterebbe gli esseri umani troppo convinti di avere già soluzioni in tasca a guardare il mondo da un’altra prospettiva …e scoprire che ci sono tante cose che non erano state prese in considerazione.
    Guardando quest’Italia a testa in giù cosa vediamo??

  119. Maurizio De Angelis: Il Paese può farcela. Ritengo la criminalità organizzata ed il saccheggio delle risorse pubbliche i 2 problemi più grandi.

    Francesca Giulia: Io senza una speranza di rinascita non credo di poter vivere,con tutto il dolore nel mondo nel cuore e la povertà spirituale o materiale,ritengo la vita un dono e mi piacerebbe ripartire da lì.

    Simona Lo Iacono: Che bello il richiamo alla speranza! In sintonia con lo scopo del libro, che nasce da un profondo atto di verità e commozione per l’uomo. Da molto coraggio e dalla ricerca di innocenza.
    Credo che la speranza sia ripartire dall’innocenza.


    Eventounico: la consapevolezza di sè consente all’uomo di ritrovarsi. Mi sembra che questa possa essere la speranza. Soprattutto dovrebbe essere il progetto di tutta una vita. Abbiamo bisogno di uomini e donne non supereroi

    Renzo Montagnoli: un essere umano senza speranza è già morto (dentro s’intende). In questo lordume, di tantissimi morti dentro il compito di chi crede che i valori di umanità e di fratellanza siano assolutamente da perseguire può essere svolto solo con l’esempio, in modo pacifico, perchè non si deve scendere al loro livello di bestalità.
    I risultati di Gandhi e di tanti altri dimostrano che la violenza non si vince con la violenza, ma solo con la forza del pensiero e dell’amore.


    Vale: credo che non debba mai perdersi la speranza di risollevarsi, anche se per risollevarsi bisogna avere la consapevolezza di essere caduti

    Lorenzo: La speranza è l’unica forza evolutiva dell’uomo di risorgere dopo le crisi, ricadute e delusioni provate. Essa è la forza spirituale della sopravvivenza

  120. Ecco… quelle sopra riportate sono le citazioni che contrappongo a quelle (dottissime) del buon Gaetano Failla 🙂
    Per il resto: vi ringrazio tutti (citati e non).

  121. Scusate l’off topic…
    Stasera riporterò in primo piano il letteratitudine book award 2009 (conto di chiudere il gioco per la fine di giugno).
    Domani non potrò connettermi (fate i bravi, eh…).
    Sono stato invitato dalla fondazione Bonaviri e dal Comune di Mineo a intervenire all’evento organizzato in Ricordo di GIUSEPPE BONAVIRI, che si terrà presso l’Auditorium Papa Giovanni Paolo II, Piazza Ludovico Buglio, Mineo (Sabato, 9 maggio 2009, ore 10).
    ********
    Interverranno:
    – Nino Amante, giornalista RAI
    – Maria Attanasio, scrittrice
    – Massimo Maugeri, scrittore
    – Agrippino Pietrasanta, critico letterario
    – Domenico Trischitta, scrittore
    ********
    Coordinerà Sarah Zappulla Muscarà, vice presidente comitato scientifico.
    Lettura di poesie e prose a cura di Gianni Salvo.

  122. Cof…Cof… Mi schiarisco la gola, indosso il mio smoking che generalmente uso per Letteratitudine, saluto con tanti abbracci Massimo e Francesca Giulia e tutti, e lascio di seguito un altro paio di contributi per “Italia De Profundis”.

  123. @Massimo: non mi sembrano le citazioni in contrapposizione al pensare di Gaetano, sono solo espresse in modo diverso, anche perchè Failla ne ha utilizzato due pregevoli di Reich e di Van Gogh, che mi sembra sintetizzino benissimo l’opinione fin qui espressa da tutti, me compreso.

  124. Oh, che bello, Massimo, a Mineo per Bonaviri… A luglio o ad agosto vorrei tornare lì.

  125. Ma Renzo… stavo scherzando, su… 🙂
    Le citazioni di Gaetano sono bellissime!

    Gaetano, ti saluterò con affetto la tua amata Mineo

    A stasera!
    (E perdonatemi per l’off topic)

  126. Grazie Renzo! Come avrai visto, comunque, con Massimo e Francesca Giulia si stava giocando…

  127. Talvolta ho immaginato, come ipotetica “colonna sonora” di alcune parti di “Italia De Profundis”, brani musicali di Philip Glass e di Brian Eno.

  128. Scena: sguardo di fuoco, tremulo e vitreo, il tremolìo si assesta, tutto si stabilizza, si vede il trasparente, la visione vede se stessa.
    (Giuseppe Genna, “Italia De Profundis”)

  129. ma io sono serissima!!davvero gaetano hai le mani da musicista,e se ti incontrerò preparati a suonare perchè non vorrei restare delusa 🙂
    un caro saluto a tutti e buona escursione a massimo,in bocca al lupo e salutami quella grande di maria attanasio!

  130. @Massimo e Gaetano: a me piace normalmente scherzare e lo sa bene anche Salvo Zappulla. Però, è da un po’ di giorni che senza aver letto il libro di Genna mi sembra che tutto vada peggiorando e che il De Profundis ormai sia diventato una lunga e inesauribile litania, che accompagna il crollo di una società ricca solo di disvalori.

  131. @gaetano che bella questa cosa della colonna sonora al libro,potresti suggerire a massimo un prossimo gioco dove abbiniamo musica e letteratura per affinità e gusto.
    I Pink Floyd?

  132. @gaetano mi diresti qualcosa di più sulla struttura della storia raccontata in questo libro?Poi mi piacerebbe sapere se fosse possibile quanta revisione ha potuto accordare l’autore ad un testo così viscerale senza aver timore di toccarne l’autenticità.
    grazie

  133. @ Francesca Giulia
    La struttura del libro è complessa. Ti consiglio di fartene una idea leggendo online le prime pagine (da pagina 11 a pagina 23): nel commento di Massimo del 7 maggio ore 9:41 trovi l’indirizzo. E inoltre, nel sito di Genna, http://www.giugenna.com, da me indicato all’inizio di questa discussione, potrai trovare molto materiale in merito.
    Un abbraccio e buona serata.

  134. Massimo Maugeri, devo riconoscere che sai spegnere i fuochi sul nascere con maestria. Cosa rara incontrare sui blog letterari una persona tanto brava quanto fine. I miei complimenti.

  135. Glass, Eno, Part, Murcof – io pensavo a queste sonorità scrivendo. Non le ascoltavo, ma pensavo a queste, soprattutto all’Arvo Part di “Cantus in memory of Benjamin Britten” e “Annum per annum”, e a “Cosmos” di Murcof.
    🙂 giuseppe sempre gratissimo

  136. @giuseppe se puoi mi diresti qualcosa tu sulla struttura del romanzo?mi piacerebbe anche sapere, se è possibile,quanta revisione fai ai tuoi testi che sembrerebbero molto “viscerali”.
    grazie mille e auguri

  137. mi permetto di segnalare anche il blog su myspace.com:

    http://www.myspace.com/giuseppegenna

    qui si può anche aascoltare la musica che il nostro ha scelto per sottolineare la lettura di quanto riportato sul blog stesso…

    perfettamente coscente delle difficoltà alle quali andiamo incontro quotidianamente riporto i piedi su questa maledetta terra… e vado a mare.

    grazie giuseppe

  138. mi permetto di segnalare anche il blog su myspace.com:

    http://www.myspace.com/giuseppegenna

    qui si può anche ascoltare la musica che il nostro ha scelto per sottolineare la lettura di quanto riportato sul blog stesso…

    perfettamente coscente delle difficoltà alle quali andiamo incontro quotidianamente riporto i piedi su questa maledetta terra…
    approfitto di una giornata di sole e vado a mare..

    in ogni caso, grazie giuseppe

  139. Grazi mille, caro Felice.
    E grazie a Francesco per la segnalazione del sito myspace di Giuseppe.

    @ Giuseppe
    Ascolterò la tua musica. Gratissimo a te:-)

    @ Fran e Gaetano
    Mica male l’idea di pensare a ideali colonne sonore per libri noti…

  140. @ Giuseppe Genna
    Torno adesso, dopo qualche giorno di assenza da casa.
    Seppur attraverso lo schermo d’un computer (talvolta si riesce ad attraversare lo schermo…), è stato davvero molto bello l’incontro con te.
    Tanti ringraziamenti e abbracci,
    Gaetano
    E carissimi saluti e di nuovo grazie grazie a Massimo e a tutti per questo importante dibattito.

  141. L’Italia è un malato terminale e gli Italiani in stragrande maggioranza non ne vogliono sapere di guarire. Anzi dalla malattia traggono gioia. E’ ora che si prenda atto che gli Italiani sono cinici, disimpegnati, volgari, autolesionisti ed ignoranti. E si meritano gli attuali governanti.

  142. Pino Granata,
    se non me, dalla categoria esludi almeno Massimo Maugeri, che cortesemente ci ospita.

  143. …capisco l’intervento di Felice, ma diciamoci la verità…

    MAI COME IN QUESTO MOMENTO STORICO L’ITALIA HA AL GOVERNO IL RIFLESSO DEI VOTANTI

    porrei l’attenzione sul termine “Votanti”… il resto lo conosciamo… così come conosciamo la giustificazione legalmente plasuibile attraverso la quale il messaggio è chiaro “siamo stati votati!”… purtroppo è vero… (escludiamoci dal contesto nel caso in cui minoritariamente parlano non lo avessimo fatto)… ma questo è quanto…

  144. Ancora un brano d’un testo che io considero un riferimento di studio fondamentale:
    “Naturalmente è impossibile predire quale parte avrà ancora la politica nella estirpazione della peste psichica politica e quale parte vi avranno le funzioni consapevolmente organizzate dell’amore, del lavoro e del sapere.”
    (W. Reich, “Psicologia di massa del fascismo”)
    ***
    Il brano che riporto di seguito fa parte del racconto “Storia del pavone”, del mistico sufi Suhrawardi (Iran settentrionale, 1155-1191):
    “(…) Un giorno, il re prese il pavone più bello e ordinò che lo si cucisse in una pelle; in modo che nulla più restasse del suo piumaggio; e, anche volendo, l’animale non potesse rimirarsi. Dispose, poi, che fosse calato su di lui un canestro, con un’unica fessura per il miglio. Passò del tempo. Re, giardino e compagni scomparvero dalla sua memoria, insieme alla bellezza che gli era stata vanto. Contemplava disperato la sua pelle immonda e, intorno, un’indegna oscura dimora. Ma, col tempo, maturò la convinzione che non esistesse contrada più vasta del fondo del canestro, e se qualcuno avesse preteso di cercare oltre gioia, o luogo di riposo o perfezione, costui sarebbe stato da ascrivere agli empi. (…)”

  145. @ Rossella Maria Pia Grasso: hello!

    Per fugare ogni sconveniente equivoco ed evitare viaggi a vuoto, vorrei confermarti la costante adesione di uno come fabiandirosa alla più antica delle affermazioni e cioè ‘non c’è niente di più bello di quel che piace’ (vedi Il dizionario dei Chazari di M. Pavic, Garzanti 1987) non disgiunta da quell’altro antichissimo adagio che dice ‘il bene si poggia sul male’ (Tao)
    Di più non saprei.
    Ah dimenticavo , sono femmina come Te: vebbè non fa ridere ma sorridere come una vacanza ben celata, si.. senza meno nè concorso
    Un caro saluto

  146. @ Cigno Nero
    di frasi ce ne sono tante. Sapiente chi crede d’essere semplice e le cita con fascino e affabilità, intenerito…
    Alcune frasi si fanno ammirare dal singolo (in privato) che non smette di restare a bocca aperta, come un allocco ne viene quasi scandalizzato ed è su questo che stupire è per farsi ricordare ….poi ci sono stati I Maestri, quelli veri, che non hanno tentato di pervertire la Trascendenza e non hanno condotto il mondo ad un grado innarrestabile di male …

    Rossella

  147. Nella società globale non si pò più parlare di cadavere italiano. Tutto il mondo è sommerso dal fetore. Non c è dove fuggire. Forse che in America o in Cina non ci sia puzza di cadavere?
    Forse qualche differenza tra l’italia e gli altri Paesi esiste nella causa a cui si è colla borato per giungere alla “Grande distruzione” Trovo, infatti, la causa, soprattutto, in un’Italia affamata , ignuda, frustrata, uscita dalla seconda guerra mondiale che mette in atto strategie visibili e non visibili, lecite ed illecite, per avere ciascuno una coscia di pollo più dell’altro.
    Invece i mezzi usati hanno carattere internazionale. Questi mezzi secondo me sono stati e sono.
    !) la incapacità di capire le sfide culturali che i giovani ci lanciavano ( la contestazione’68- gli hippy-…… )
    Marcuse….Pasolini ed altri hanno gridato ma il grido è stato svenduto dalla economia Kynesiana e quello che era un disagio è diventato merce per far quattrini sostenuta dall’altro gioco perverso : la pubblicità, attraverso cui la fantasia ha avuto il sopravvento sul mondo della realtà.
    Il mondo intero è diventato una Las Vegas. Si vende marchio che non vuol dire niente, si vende denaro che non c’è e se c’è e lo hai non lo vedi perchè depositato in banca se sei benestante così così o nei paradisi fiscali se se ricco.Non puoi nasconderlo sotto il mattone perchè quelli che dovrebbero suggerirti l’antico valore del risparmio ti dicono “spendi spendi” perchè loro, proprietari di quanto e di tutto hanno bisogno di vendere.Si vende l’utopia.
    2) Il concetto di fabbrica. Si fabbrica di tutto: si fabbrica la bellezza, si fabbrica la natura,…… Si fabbrica e si sogna , mentre il mondo diventa finto e crudele come alcuni personaggi di fumetti.
    3) Il concetto di flessibilità che ha rovinato la famiglia e la salute delle persone.
    4) l’organizzazione disorganizzata che ha sotterrato la vecchia burocrazia senza sostituirla adeguatamente.( Qualcuno qui parlerebbe di Computer ma non ne parlerà quando avrà riflettutto sul problema dell’istruzione e della scuola come fabbrica di sogni e luogo-mercato
    dove o con l’insegnante unico o con tanti insegnanti per classe è sempre la stessa merce che gira ossia i giovani portatori sani delle richieste del mercato, della politica e del potere.
    Dico l’ultima e poi taccio per sempre: gli strumenti della ricerca applicati al mondo dei sogni e dei desideri che produce tristezza e negazione delle cose semplici e rende depressiva la quotidianità.
    Voi direte ma che c’entra la ricerca! Pensiamo e riflettiamo e vedremo che c’entra.

  148. Sei sicura, Rossella, che il singolo si balocca in privato con certe frasi?
    Ci sono numeri in elenco ed altri no, eppure il campanello squilla… Non credo al quasi-scandalo, non lasciarmi credere questa sottigliezza – io che mi fò convocare dal Miserabile affinché non si formuli una diagnosi errata del reale, altro che stupore…
    D’amicizia Sororale sono animato, perché dunque chiedere di esser ricordati, da momento che siamo vivi?

  149. Salve a tutti, sono rimasto molto indietro con questo blog, perché mi ero ripromesso di terminare il libro prima di scrivere un’altra riga. Dialogare con un autore implica almeno aver fatto lo sforzo di leggerne l’opera, credo. Ma sono ancora a metà (una piccola crisi lavorativa mi ha bloccato per un po’) e vedo che il forum inizia a diradarsi. Avrei diverse domande da porre a GiuGenna, e malgrado le sue scuse preventive sul non poter rispondere le pongo lo stesso.

    Ad esempio un aspetto che mi ha colpito è la “tirata” contro gli intellettuali italiani, impreparati al mondo nuovo perché ancorati a una cultura di tipo classicistico che non sa più utilizzare (o meglio concepire) le discipline variamente scientifiche in modo appunto umanistico (sto parafrasando liberamente). In fondo tutte le scienze naturali a un certo punto nacquero come “spin-off” di quelle umane.
    Tuttavia… ci sarebbero una serie di riflessioni collegate e poco eludibili, se il romanzo fosse un “trattato” sulla modernità italica, e non appunto un romanzo.

    In primis: tu, Giuseppe Genna, cosa sei? Non sei tu un intellettuale italiano che con il libro si lamenta dell’Italia, e non stai tu facendo esattamente quel che rimproveri all’intelligentsia in senso lato?
    Non fai tu parte di questo fronte latamente reazionario a una situazione di progressivo incancrenimento che disumanizza una popolazione sofferente che sfoga la propria sofferenza nell’odio raziale e nel disprezzo di caste inferiori più immaginarie che reali, ogni giorno fingendo di non far parte di quelle caste inferiori?

    Poi: le scienze umane e le scienze naturali si sono complicate con i secoli, hanno acquisito nuove discipline, sottodiscipline e ramificazioni. Ancora 70 anni fa bastava conoscere greco, latino e un paio di lingue straniere per essere intellettualmente “al completo”. Oggi questo non basta più. Le lingue potenzialmente “interessanti” sono oggi il 100% del totale, cioè 6.000. Le discipline scientifiche hanno acquisito una complessità impressionante: comprendere la teoria delle stringhe o anche “solo” quella quantistica non comporta lo stesso sforzo di comprendere la meccanica classica newtoniana.

    E tu, Giuseppe Genna, domini queste discipline? Io ne dubito. Credo che tu, come me e altri, ne apprezzi il fascino e le studi da “ignorante entusiasta” (definizione del filologo Emilio Pasquini sui propri interessi letterari, quindi nobile malgrado le apparenze).

    Ma la competenza sullo sciibile umano aggiornata al 2009 aiuta veramente a comprendere le dinamiche del mondo? Non so te: io più studio meno riesco a giustificare i fenomeni che studio. Vedo gli errori degli altri, e dopo un po’ inizio a disprezzare (aimè) la limitatezza di vedute di chi si accontenta dell’errore per acquietare la propria coscienza e sete di verità. Ma in nessun modo io arrivo a una verità che giustifichi anche a posteriori lo smantellamento dell’errore altrui.

    Inoltre, altra riflessione collegata: la cosiddetta intelligentsia italiana è parte del sistema castale italico, e quindi una casta. Voglio qui mettermi in gioco personalmente: chi sono io? Cosa sono io? Sono un docente a contratto (non retribuito) di una disciplina che scomparirà dall’Università di Firenze causa tagli ministeriali. Vivo una condizione esistenziale piuttosto peculiare: ho compiuto più studi preparatori dei miei maestri, ho pubblicato, ho insegnato. Ma posso essere considerato un “intellettuale”?. Non so, non credo. Perché prima di tutto non ne ho i titoli, e forse non li avrò mai. Perché in Italia per essere intellettuali non basta “pensare”, bisogna avere la cattedra, o adeguato titolo sociale o nobiliare. Come me moltissimi della mia generazione.

    In italia gli “intellettuali” sono i primi a non aver voluto passare il testimone ai figli. Gli “intellettuali” restano inascoltati perché, diciamoci la verità, stanno combattendo battaglie intellettuali contro “nemici” morti quando loro erano giovani, ovvero 60 anni fa. Oppure combattono i nuovi “nemici” con gli strumenti intellettuali di 60 anni fa.
    È difficile credere che un “intellettuale” possa aspirare a capire il mondo moderno se non conosce Spiderman, o Star Trek, o Matrix (… al posto dei puntini metteteci quel che volete voi), o qualche blog internettiano, ecc. Eppure è così: dei docenti universitari cattedratici (= contratto a tempo indeterminato, pagato e da me molto invidiato) dell-Univ. di Firenze NESSUNO verosimilmente conosce i titoli da me sopra citati. Anzi, invito tutti i leggenti ad andare sul sito dell’univ. di firenze (www.unifi.it), andare nella sezione della biblioteca, e cercare titoli di autori viventi (Ammaniti, Lucarelli, Genna, Wu Ming, ecc.). Sapete quanti titoli di questi autori sono posseduti dalla biblioteca di Lettere? ZERO, NADA, EI MITÄÄN!

    Io sono convinto, e sono profondamente convinto, e anzi la mia è una convinzione fideistica, che chiunque legga letteratura contemporanea, e segua un po’ il cinema popolare contemporaneo (oltre che quello meno popolare), NON POSSA non conoscere qualcosa di storia contemporanea, fisica quantistica (Star Trek?), medicina (House?), culture orientali (cartoni giapponesi?) e altre discipline collegate. Certo se l’immaginario cinematografico è rimasto a Rossellini e De Sica (Vittorio) sarà difficile comprendere i dilemmi morali di nuove generazioni che hanno già scontato il neorealismo prima di nascere.

    In buona sostanza il dramma della cultura umanistica contemporanea è a mio parere lo stesso dell’Italia: un paese dove chi comanda in tutti i campi non si arrende al tempo che passa, e di conseguenza chiude sempre più i canali di accesso ai meno vecchi, per poter restare sull’onda il più possibile. Metaforicamente, siamo un paese di vecchi che sbavano dietro alle ragazzine adolescenti, e ci vanno a letto per illudersi di essere ancora giovani. Chi non se lo può permettere plaude nel silenzio della propria coscienza a chi se lo può permettere. Il caso di Noemi È l’Italia contemporanea. Ma se la cosa non ha impatto sul piano sessuale o economico, almeno di lunga durata, sul piano culturale e intellettuale è una catastrofe senza precedenti. Era mai successo che uno scrittore morto 70 prima fosse definito contemporaneo? Luigi Pirandello: un contemporaneo. Scribo nunc quod audivi tunc. Un docente di Firenze. Lui renitente alla pensione e strapagato, io pezzente che non riesco a pagare l’affitto. Lui “fa” la cultura, io corro dietro a progetti di ricerca imbastiti da lui e altri di simile pasta per pochi spiccioli.

    Si può combattere la casta, Giuseppe Genna? È sufficiente dire che una situazione fa schifo per farla cambiare? E ci crediamo veramente che, “se tutti ci credessero veramente, e si mettessero insieme, e protestassero, e si facessero sentire, e proponessero, e costruissero…” si potrebbe cambiare qualcosa? Siamo davvero così ingenui? Non credo che tu lo sia. Altri su questo forum lo sono?

  150. Caro Lorenzo,
    grazie per il tuo corposo, dolente e stimolante intervento (provocatorio nei confronti di Giuseppe, ma non offensivo).
    Interverrò con calma nei prossimi giorni per dire la mia.

  151. Ciao Massimo,
    colgo l’occasione per ringraziarti una volta per tutte del tuo grande lavoro. Scrivo di nuovo per precisare che non solo non c’è offesa nei confronti di Giuseppe Genna, che ammiro profondamente, ma non c’è neanche vera critica, dal momento che condivido in gran parte (anche per esperienza personale) quanto dice.
    Provocazione sì, c’è, ma è la provocazione di chi sta interrogando prima di tutto se stesso su questioni che riguardano la liceità dell’interrogare, e secondariamente l’identità dell’interrogante.
    La mia è appunto una riflessione, e non una critica. Posso aggiungere: se si parla di “intellettuali”, viene in mente qualche personaggio italiano famoso e riconosciuto come tale al si sotto dei 70 anni? A me no. Guardate che questo è veramente un segno dei tempi.
    A meno che lo scrittore (in questo caso Genna) o l’aspirante critico (in questo caso io, assieme agli altri di questo blog), non ci arroghiamo tale titolo, e magari non del tutto illegittimamente.
    Ma qui sta la domanda: cosa siamo noi? Parliamo dell’Italia e delle sue categorie sociali, oramai castali e, in molti casi, prone a un’autoesaltazione misticheggiante. Ma noi bene o male siamo parte di tutto questo. Giudicare non ci pone al di fuori né al di sopra. Cosa siamo noi? Che ruolo abbiamo? Perché almeno in parte ci sentiamo esclusi dalla possibilità di cambiare le cose? Perché siamo nati al momento sbagliato o nella famiglia sbagliata?
    Queste domande le rivolgo, oltre che a me stesso, a Giuseppe Genna, perché nei suoi libri c’è una dimensione medianico-esoterica (posso dire così?) che se sul piano narrativo risulta sempre efficace e potente, sul piano conoscitivo intende validare (pur nella cornice del romanzo) tante affermazioni politiche spesso apodittiche. In questo senso la mia domanda rivolta allo scrittore Genna (e quindi fuori dalla cornice del romanzo) è provocatoria e dolorosa anche per me che la pongo: chi sei tu? Quale è il tuo ruolo di scrittore in questa Italia che è nostra balia e prigione? Cosa vorresti che io fossi rispetto a te, e rispetto ai tuoi libri?
    Capisco che le tue opere sono dei percorsi personali. Ma una volta stampate (e da me acquistate) divengono anche miei. E io, ora che sono a metà del guado (di IDP), mi sento di porre queste domande scomode, e ne chiedo venia…

  152. Arrivato a p. 85, trovo citata la figura di Bocca degli Abati, a introduzione di uno dei brani “deliranti” del libro.
    Il “delirio” qui è da intendersi in senso boschiano, ovvero dantesco, ovvero altamente allegorico-metaforico.
    In realtà almeno un aspetto fondamentale dell’opera di Genna mi fa tornare in mente Dante: la fusione fra destino individuale e quello collettivo. La visione dantesca è infatti il compimento sublime di un percorso personale che coincide con quello universale. Il poema termina con l’incarnazione del Dante-personaggio, che nel canto I è cosa a sé rispetto all’Autore, nel Dante-Autore, che in questo senso riflette su di sé la dinamica divina dell’incarnazione del divino nel Cristo.
    Avete mai immaginato di chiedere a Dante: chi sei tu? In che senso tu, Dante poeta, sei te stesso, e scrivi a noi verità rivelate? In che senso credi a quello che scrivi? Non sarebbero domande da poco.
    Ecco il perché delle mie domande a Giuseppe Genna. Ribadisco: niente polemica, solo domande che peraltro credo non possano veramente ricevere risposta…
    È un periodo, questo contemporaneo, almeno limitatamente alla cosiddetta Nuova Epica Italiana, fortemente neo-romantico. Giuro che prima o poi farò un paragone fra il sogno (apparentemente delirante) di Adso nel Nome della Rosa, costruito con citazioni di testi mistici medievali, con le “visioni” allegoriche del Genna di IDP: è veramente un’altra civiltà letteraria, quella odierna, e me ne compiaccio (senza polemica in questo caso nei confronti di Eco).

  153. @Lorenzo
    i tuoi discorsi sono altamente “intellettuali” e io credo che tu lo sia, un intellettuale, voglio dire.
    Mi ha colpito molto sia il tuo riconoscere nei “giovani” scrittori un “neo-romanticismo”+ le tue ultime domande a Dante. Io non lo metto in dubbio ( almeno questo) che Dante scrivesse a noi verità rivelate, perché non potrei neppure vivere senza quelle verità. E penso che credesse fermamente a ciò che scriveva, perché tutta la sua vita lo dimostra.
    Ora, non so se Giuseppe Genna crede alle sue verità; però se le ha scritte forse sì. Saranno LE SUE, non so se potranno valere per tutti i suoi lettori e ( mi perdoni) non sappiamo se trionferanno sulla morte come quelle dantesche e le leggeremo tra ottocento anni; però per ora ci sono.
    Non so, non ho capito molta parte dei tuoi interventi, ma mi sembra importante leggerli lo stesso.

  154. @ Lorenzo Amato
    Carissimo Lorenzo, so che il tempo è tiranno… ma ti invito a intervenire più spesso.
    Apprezzo molto i tuoi interventi.
    Spero che Giuseppe Genna possa leggere questi tuoi ultimi e trovare il tempo per intervenire.

    Ho tanti amici nelle tue stesse condizioni, caro Lorenzo.
    Alcuni di questi scrivono pure su Letteratitudine.
    L’Università italiana langue. Prima o poi ne parleremo in dettaglio.
    Scrivi: “in Italia per essere intellettuali non basta “pensare”, bisogna avere la cattedra, o adeguato titolo sociale o nobiliare”.
    Non saprei dire se è davvero così.
    Ma se fosse così – se fosse davvero così – … vi prego… non datemi dell’intellettuale.
    Sono solo un uomo dalla camicia celeste.

  155. @ Massimo
    Eh, che dire, grazie del sostegno morale. Leggo oggi su Repubblica del taglio di corsi in tutta Italia. Non ci sarebbe nulla di male a snellire gli Atenei, ma, a parte il criterio dell’utilità lavorativa con il quale molti corsi sono abbattuti (criterio sbagliatissimo, sia culturalmente, sia perché non tiene conto dei dati reali di impiego, ma di idee astratte di utilità imprenditoriale spesso erronee; potrei fare molti esempi in merito), chi non troverà posto nei prossimi anni all’università sono proprio i giovani, laddove per giovani si intende, all’italiana, minori di 40 anni. Basterebbe mandare in pensione un docente di 70 anni per poter finanziare 4 posti di ricercatore.

    Cercherò di intervenire più spesso. Il problema non è trovare il tempo di scrivere (quello si fa fin troppo in fretta), ma di leggere i romanzi dei quali si parla in tempo utile, poi tutta la critica e i post precedenti. Mica voglio scrivere bischerate, per parlare alla fiorentina…

    Ancora sull’università: sono attualmente infuriato per scene alle quali ho assistito di persona in questi ultimi anni. La mia paura è che iniziando a scrivere di queste cose aprirei una diga che mi porterebbe a mettere nero su bianco affermazioni (testimonianze ecc.) di rilevanza penale (non per me, si intende) e molto compromettenti (purtroppo anche per me, visto che ne subirei il contraccolpo). Non so se è ancora il momento. Vedremo…

  156. @ Roberta
    Ciao Roberta, prima di tutto ti ringrazio dell’interesse con il quale hai letto i miei post. Quanto poi all’essere o meno intellettuale, non credo sia importante e non ci tengo. Il fatto è che con lo status si ottengono dei privilegi oggettivi (soldi, finanziamenti, canali di pubblicazione e auditori già predisposti) che senza lo status ci possiamo solo sognare. Sembra una sciocchezza, ma senza certi strumenti (in primis e soprattutto i soldi) anche i sogni più belli rimangono sogni, e non si ha modo di far sentire la propria voce e di mettere alla prova le proprie idee. E purtroppo in Italia i criteri di assegnazione dei fondi non sono mai legati a meriti certificabili, quanto appunto allo status (sociale, famigliare, ecc.)

    Per quanto riguarda Dante, il discorso secondo me è un po’ più complicato. La struttura dell’Aldilà dantesco, e tutta la cosmogonia e teologia a esso legate, non sono del tutto inventate da Dante, ma si basano largamente sulla filosofia-teologia di san Tommaso. Non c’è dubbio che un cattolica possa (o debba) credere che tutto ciò sia vero.
    Ma Dante va più in là: dice di essere sceso nell’Inferno e poi esser salito per il Purgatorio in Paradiso, e di averlo fatto da vivo e fisicamente. Dice di aver visto nell’Inferno anime di preti e papi, di aver incontrato amici e nemici, di essere stato guidato dall’anima di Virgilio dietro ordine di Beatrice, mandata da Anna, mandata dalla Vergine Maria. Ecco, tutto ciò è assai impegnativo. Si può ben far ricorso all’idea della finzione poetica, ma la Commedia intende essere letta come la Bibbia, cioè attraverso quattro significati principali. Il significato primo (nel senso della comprensione dell’opera) rimane quello letterale, e almeno per quanto riguarda la Bibbia il significato letterale, come tutti gli altri, è Verità (Galileo diceva che l’Antico Testamento parlava per simboli; ha rischiato il rogo per questo). Quindi, visto che Dante dice di esser stato fisicamente nei regni ultraterreni, cosa significa questo? Al termine della Vita Nuova afferma di aver avuto una visione che lo costringerebbe a interrompere la stesura del prosimetro (la VN, appunto) a favore di una nuova opera (la Commedia, appunto). È una visione dell’Aldilà? Dante ha visto tutto per rivelazione mistica? Ma ancora una volta: Dante era ben cosciente della differenza fra visione ed esperienza fisica. Insomma, una cosa è vedere l’Inferno come se ci si fosse dentro, un’altra è esserci dentro fisicamente e darne conto poi. Anche perché non son mica tanti gli uomini (e donne) presenti nell’Aldilà con il proprio corpo prima della fine dei tempi…

    Un’ultima cosa: tutti questi discorsi appaiono forse più pertinenti (o meno impertinenti) se consideriamo alcuni titoli delle opere di Genna (es. Nel nome di Ismael, ma soprattutto Dies Irae e Italia de Profundis): opere scritte da un ateo che però a volte (spesso?) diventa molti mistico, anche in senso cristiano (e non solo, cfr. Medium). Non è un caso che molte pagine di IDP (e di Dies Irae) siano scritte come una Sequenza lirica, ovvero come una liturgia sacra, pur rivolte non a un Dio nell’alto dei cieli, ma a un corpo in decomposizione che è anche il nostro. Mi sentirei di scommettere che queste pagine più liriche sono state scritte di getto, salvo limature successive. Diciamo con un trasporto acustico-imagico, più sulla base di un precostituito scheletro razionale da svolgere e dimostrare. Ecco, in questo senso, ovvero nella necessità (disperata?) di attingere a profondità del proprio animo che non sono esprimibili dalla lucidità razionale, e che Genna sente portatrici di risposte più profonde e permanenti (e trascendenti) di quelle espresse dal calcolo e dalla deduzione, queste pagine mi sembrano prepotentemente neoromantiche. La cosa singolare è che viviamo in un paese dove il Romanticismo storico non è mai esistito…

  157. errore di battitura: “più sulla base di un precostituito scheletro razionale…” dovrebbe essere “più che sulla base…”, sennò nn si capisce nulla…

  158. @fabiandirosa
    Il tuo nome contiene qualcosa di bello, ma è del Miserabile che ti devo parlare. Miserabile è la condizione in cui è slittata la nazione, l’uomo, forse la terra, la cultura, ecc. ha ragione Amato.
    Te ne parlo attraverso due pittori che hanno dipinto il Miserabile: Bosch (1400) e Roualt (1900), epoche differenti, diffente il modo di dipingerLo.
    Bosch fu pittore calvinista bigotto uscente da una comunità di pellegrini, dipinse grandi tele con piccoli uomini, aggrovigliati, in un certo senso è impressionante ed ebbe grande successo: l’errore di Bosch fu che finì per compiacersi di ciò che dipingeva. Tuttavia rimane un grande artista, precursore della moderna psicoanalisi, soprattutto freudiana. Punto.
    Georges Roualt (1900) passò attraverso la raffigurazione di prostitute con giarrettiere e dai volti eloquenti, clowns, circensi dentro la notte, figure alcoliche di una Parigi malfamata, scene tristi dove trionfa la poesia e quindi la bellezza e, come per incanto, approdò ad una specie di bizantinismo dove i volti si fanno ricordare con la luce degli Astri, splendente quest’artista è stato definito un espressionista, ma il suo individualismo non è collocabile in alcun movimento pittorico. Roualt nelle tele introduce una bellezza intrinseca che viene consegnata dalla morale,
    se poi ti piace Raffaello comprendi ancora di più il senso del mio discorso

  159. Rossella, sono qui per un attimo giusto in qualità di passacarte, ovvero trattando il tuo ultimo post dell’autore del libro del presente topic chissà se c’entra (secondo me si) il link qui sotto. Una non replica tra addetti ai lavori..
    Per parte mia ribadisco il desiderio di sacrificarmi. Ma per chi? Per i nipoti scellerati? O per i nostri figli innocenti? (dacchè ve ne siano ancora rimasti alcuni)
    Ciao
    F

    http://www.giugenna.com/2009/05/25/incipit-di-un-dialogo-mai-rappresentato-opera-atma/

  160. Paranoia: ottimo spunto di riflessione

    Dice il saggio (Confucio):
    a quindici anni fui indirizzato allo studio,
    a trenta fui fermo nei propositi,
    a quaranta non ebbi più dubbi,
    a cinquanta resi ubbidienti l’occhio e l’orecchio,
    a sessanta compresi il disegno celeste,
    da settanta giocai pur rimanendo nella collettività.

    Dice un suo contemporaneo (Lao Tze ):

    “Quando il grande Tao (la Via) venne dimenticato, si inventò l’umanità (carità) e la giustizia;
    quando apparvero abilità e scaltrezza (intelligenza e sapienza), allora vi fu grande ipocrisia;
    quando i sei congiunti (cioè la famiglia) non furono concordi, allora vi fu la pietà filiale e la clemenza paterna;
    quando gli stati caddero nel disordine, allora vennero i leali funzionari (ministri)”
    (c. 18).

    “Perduto il Tao venne la virtù (bontà);
    perduta la virtù venne l’umanità (beneficenza);
    perduta l’umanità venne la giustizia;
    perduta la giustizia venne il rito (etichetta);
    il rito è l’apparenza della fedeltà e il principio dei disordini”
    (c. 38).

  161. Forseforse Uto Pio ha a che vedere con Paolo Agaraff e i suoi giocatori di ruolo? Egli ‘si timoroso della Santa Inquisizione e del fatale bussare alla porta del suo più temuto emissario (Nicolas Heymerich)?

    Fustiga ancora il cavallo con le Tue sciabolanti frasi, saprò che passasti di qui.

    fab.D.ros

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