Il nuovo ospite di “L’autore straniero racconta il libro” è lo scrittore JACQUES THORENS, autore di “IL BRADY” (L’Orma editore – traduzione di Marco Lapenna).
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Jacques Thorens è nato in Bulgaria nel 1973 e a tre anni si è trasferito a Parigi dove ha studiato arti grafiche e cinema. Dal 2000 è stato proiezionista, cassiere e factotum del Brady, leggendario cinema di quartiere parigino al 39 del boulevard de Strasbourg. Questo è il suo primo libro, subito diventato oggetto di culto quanto i film di cui narra: una sorta di romanzo di un luogo. Il Brady è un cinema di quartiere a Parigi, che proietta pellicole di infima qualità, attingendo al kung fu, allo splatter, agli spaghetti western girati peggio.
«Questa storia si ispira a fatti reali. Tutto ciò che potrà sembrarvi eccessivo o inverosimile è autentico.»
Jacques Thorens racconta qui di seguito il suo libro per Letteratitudine e i per i lettori italiani.
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Situato nel cuore di un quartiere popolare, fra centinaia di parrucchieri africani, un proiezionista scopre uno strano cinema, «un anacronismo, all’inizio dell’anno 2000, relitto di una macchina del tempo». Un luogo dove venivano proposti doppi spettacoli improbabili: Il trionfo di King Kong o Le esperienze erotiche di Frankenstein, Il dottore pazzo sull’isola del sangue o Lo stupro del vampiro. I film di genere, completamente folli, o più in generale ogni tipo di eccesso, erano la norma: sesso, violenza, orrori, kitsch, truffe… Il cinema era «l’hotel meno caro di Parigi» (5 euro) dove i clochards potevano smaltire la sbornia, dormire, fornicare. Ci si passava la giornata pagando un solo biglietto grazie a pratiche ormai obsolete (il doppio spettacolo: due film al prezzo di uno, il permanente: si entra e si esce quando si vuole), un luogo di incontri omosessuali per la terza età, spesso proletaria e immigrata, un camerino per le prostitute, grazie agli impiegati che, immersi in un’atmosfera singolare, si lasciano andare alle loro inclinazioni anticonformiste. La sala era gestita da un regista di 70 anni, Jean-Pierre Mocky, un tipo assurdo, un franco tiratore autoproclamato, che metteva insieme i suoi film contemporaneamente alla gestione del cinema, sempre sull’orlo del fallimento. Questo luogo era la sua ultima possibilità di mostrare i suoi film autoprodotti, che le altre sale rifiutavano. Il Brady gli permetteva di essere indipendente, rimanendo al tempo stesso l’emblema della sua marginalità. Descrivo un cinema losco, con le sue leggende e i suoi abitanti. Django, napoletano, ex-pappone, militare, clochard e straccione che veniva a dormirci tra una birra e l’altra, un appassionato di B-movies e film horror che teme le mani sulla coscia mentre guarda il film e che constata che quei film altrove censurati diventano alla moda grazie a Tarantino (anche lui spettatore occasionale di questa sala), un cassiere depresso protettore di prostitute bulgare, Momo, il travestito che viene qui con i suoi clienti, Azzedine il concierge e un proiezionista narratore (all’occorrenza autore), che osserva un simile bazar suonando la chitarra alla cassa. E infine i film folli (spesso italiani) sono anch’essi uno dei personaggi del libro: I guerrieri del Bronx, Cannibal holocaust, Virus cannibale, Ilsa la belva delle SS, Suspiria…Si proiettavano meraviglie di poesia macabra o divertente serie Z.
All’inizio sono stati aneddoti vissuti che raccontavo agli amici per farli ridere o scandalizzare, e volevo metterli per iscritto per non dimenticare i dettagli di quelle storie folli. Il piacere che mi ha dato la scrittura mi ha spinto a lavorarci meglio e ad approfondire il soggetto. È l’origine della mia voglia di letteratura. La forma ideale per questa storia.
Quegli aneddoti riguardavano un cinema ancora attivo, persone viventi, un proprietario regista, un certo tipo di film e spettatori che avevano una storia. Bisognava al tempo stesso non tradirli, comprenderli e avere un certo tipo di sguardo su di loro. Che fosse ironico, sarcastico e amorevole insieme. Per molto tempo non ho espresso la volontà di scrivere su di loro affinché non perdessero la spontaneità o raccontassero storie assurde o inventate. I fatti erano già sufficientemente inverosimili senza che ci fosse bisogno di aggiungere altro.
Ogni filo che tiravo conduceva a piste differenti. Questo lavoro è durato dieci anni. Da una parte perché non pensavo di poterlo pubblicare mentre il regista continuava a dirigere la sala cinematografica. Alcuni fatti avrebbero potuto essere interpretati come diffamazione, se non li avesse apprezzati. I miei timori erano infondati, a lui non importava. Anzi, voleva che ne aggiungessi altri, comprese alcune storie illegali.
Bisognava operare delle scelte e strutturare tutto il materiale. L’originalità che è piaciuta ai miei editori è stata quella di creare collegamenti tra tutti gli elementi della storia, senza selezionare un solo soggetto, ovviamente senza mai andare fuori tema: il cinema di genere, i clochards, un quartiere popolare, individui marginali, prostitute, l’umanità, la follia, la politica, la miseria, la storia, l’humour, il tragico. Descrivo parrucchieri africani del quartiere con cattiva reputazione, clienti omosessuali magrebini pieni di vergogna che si nascondono tra i mostri dei film, loro stessi considerati come sovversivi per diversi anni, in una sala losca, malfamata, gestita da un cineasta ostracizzato che la usava come rifugio per i suoi film, come i clochard che venivano a dormire davanti allo schermo. Tutto era collegato. Se non altro nella mia testa. Come se cogliessi la vita in una sola volta, in tutte le sue dimensioni.
Piuttosto che scrivere un libro di cinema sui b-movies, mostro come questi si inserissero nella vita stessa. Gli spettatori sono folli tanto quanto i film. Mi è stato detto che il libro si avvicina alla sociologia, al libro di storia, al gonzo journalism, al romanzo, io aggiungerei alla raccolta di storie e di battute volgari o goliardiche, tutto si mescola in una cronaca raccontata come se il lettore la scoprisse contemporaneamente al narratore. Viva, comica e tragica al tempo stesso.
Le vicende narrate nel libro si svolgono tra il 2000 e il 2011, ma si è obbligati a fare un viaggio negli anni folli: Sessanta, Settanta e Ottanta per spiegare e comprendere i film e le cose inverosimili che esistono ancora in questo inizio di secolo: doppio spettacolo, spettatori che usano il cinema come se fosse un hotel o un luogo di incontri sessuali, delle bobine di film porno ritrovate mischiate a quelle di film normali.
Il libro ha beneficiato di un’accoglienza sorprendente, positiva all’unanimità da parte dei media e dei giornali di fazioni opposte, di tutte le tendenze letterarie o cinematografiche. I lettori, probabilmente commossi dalla storia e dalla libertà che ne deriva, sono delusi dal dover richiudere il libro. Io ci ho messo parecchio tempo per smettere di scriverlo, non avevo voglia di congedarmi da quel mondo. Era il mio modo di perpetuarlo, di impedirgli di morire. Questo libro sembrava anacronistico durante il triste periodo che la Francia ha attraversato nel 2015. Fa rivivere un’epoca conclusa del cinema, svolgendosi negli anni 2000. Questo piace a coloro che credono che l’avventura si trovi all’angolo della strada. Per dieci anni si può osservare un luogo minuscolo e viaggiare come all’interno di un paese. Sono stupito da quest’accoglienza, che mi è sembrata simile in Italia. Molto entusiasmo. Di fatto gli italiani si sono dati particolarmente da fare per fornire pellicole a questo tipo di cinema. Fenomeni simili sono esistiti negli Stati Uniti nella 42esima strada o nei cinema delle stazioni tedesche. I lettori parlano spesso di questo come di un libro divertente. Sembra che sia raro. Eppure il libro parla anche della miseria, della disperazione. Alcuni personaggi muoiono, o vivono faticosamente in strada, o si prostituiscono. Ma questo non gli impedisce di ridere. In sala si proiettavano film horror per i poveri, la chiamavano “il Tempio dell’orrore”, ma si rideva molto. Ciò fa parte del mistero di questo cinema.
[Traduzione dal francese di Margherita Sarli]
(Riproduzione riservata)
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La scheda del libro
C’era una volta un cinema a Parigi che non assomigliava a nessun altro. Sullo schermo proiettava i bassifondi della cinematografia mondiale (dalle pellicole di kung fu agli splatter, dagli spaghetti western alla cosiddetta serie Z), mentre in sala ospitava una varissima umanità di incantevoli falliti e dignitosi esclusi: il Brady, luogo balordo, sgangherato, irriducibile, una quinta di romanzo che ha avuto la faccia tosta di esistere per davvero. Di questo luogo, Jacques Thorens offre una «biografia» divertita, canagliesca e struggente, narrando un’epopea della marginalità, del kitsch e dello scialo, costellata di momenti paradossali (come quando Harry Potter viene programmato assieme a Schiava di Satana…), di personaggi memorabili (come il regista Mocky, ultrasettantenne «vera testa calda del cinema oltranzista») e di capitoli ricorrenti che celebrano la contorta ingegnosità di produttori e titolisti (con perle come Zorro e i tre moschettieri o C’è Sartana… vendi la pistola e comprati la bara!). La romanzesca storia vera di un cinema mecca dei cinefili e corte dei miracoli, dove – tra b-movie e amori mercenari – gli sketch esilaranti, le avventure a perdifiato e i sogni più sfrenati escono dallo schermo per sedersi tra gli spettatori.
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