Luigi Alfredo Ricciardi, nato a Napoli nel 1900, è il trentenne commissario di polizia ideato da Maurizio de Giovanni. Avevamo già avuto modo di presentarlo in concomitanza con il primo libro della serie di quattro (una per ogni stagione) a lui dedicata: “Il senso del dolore”.
Ora Ricciardi ritorna con “La condanna del sangue”.
Ci parleranno di questo nuovo romanzo Laura Costantini e Francesco Di Domenico.
Io ricordo solo la peculiarità di questo malinconico commissario che si trova a operare nella Napoli degli anni Trenta del secolo scorso: Ricciardi ha il dono – o la maledizione – di vedere l’immagine di chi muore di morte violenta, e ascoltarne le ultime parole pronunciate.
“Il Fatto, lo chiamava. E il pensiero che la morte, nella sua partenza improvvisa, non aveva avuto il tempo di chiudere i conti, gli arrivava addosso, a chiedere vendetta. Chi se ne andava così, se ne andava con lo sguardo rivolto all’indietro. E lasciava un messaggio che Ricciardi raccoglieva, ascoltando quell’ultimo pensiero ossessivamente ripetuto.” (da “La condanna del sangue”, pag. 21).
Ospite di questo post sarà l’autore del romanzo: Maurizio de Giovanni.
Ma non solo…
Avrete la possibilità di interloquire direttamente con il commissario Ricciardi.
Ponetegli domande, mi raccomando…
Vi offro uno spunto.
Ricciardi sostiene che i moventi che stanno alla base di ogni delitto sono fondamentalmente due: la fame e l’amore.
Siete d’accordo?
Naturalmente tutti coloro che hanno già letto il libro sono invitati a dire la loro.
Massimo Maugeri
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Intervista a Maurizio de Giovanni
di Laura Costantini
Ci sono personaggi nati dalla fantasia di uno scrittore destinati a vivere di vita propria. Il commissario Luigi Ricciardi, protagonista dei romanzi Il senso del dolore e La condanna del sangue, editi da Fandango, è uno di questi. Ma ci sono anche scrittori che assurgono facilmente al ruolo di personaggi essi stessi, e Maurizio de Giovanni (nella foto) è uno di quegli scrittori. Alto quasi due metri, di sicuro questo bancario partenopeo non ha il phisique-du-rôle dell’Alice piombata nel paese delle meraviglie. Ma è esattamente così che si sente da quando, auspici un corso di calcetto per i suoi due figli e un laboratorio di letteratura umoristica, è incappato nella scrittura.
“Non te la faccio lunga: grazie a un elaborato di otto righe scritto durante il laboratorio, mi iscrivono a un concorso. In giuria gente tipo Carofiglio e Lucarelli, presidente Daniele Protti (direttore dell’Europeo, n.d.r.). Non volevo andarci, non mi ritenevo all’altezza. Avevo già 47 anni, ero fuori tempo massimo. Il tema del concorso era un delitto famoso, io non sapevo cosa scrivere. Avevamo una quindicina di ore di tempo. Io ho pensato che avrei fissato il foglio per un’oretta, poi me ne sarei andato.”
Ma non l’hai fatto.
“No. Eravamo all’interno del caffè Gambrinus, a Napoli. Ho visto passare oltre le vetrate una bambina. Aveva un’espressione truce, era triste. Mi sono chiesto come sarebbe se uno potesse vedere il dolore degli altri, l’emozione nuda, senza alcuna mediazione.”
Quella bambina la ritroviamo ne Il senso del dolore, giusto?
“Giusto. Insomma, ho vinto il concorso. Il racconto I vivi e i morti venne pubblicato sull’Europeo nel 2005. Una grossa soddisfazione, ma pensavo fosse finita lì.”
Invece?
“Invece mi chiama un’agente letterario. Voleva un romanzo con il commissario Ricciardi protagonista. Non ce l’avevo. Mi sono preso due settimane di ferie, quindici giorni a scrivere come un pazzo, a tappo dentro casa.”
E hai scritto Il senso del dolore.
“Sì, anche se ancora non era quello il titolo. Io l’avevo intitolato Le lacrime del pagliaccio, poi la Fandango ha deciso diversamente.”
Il dolente commissario Ricciardi è un successo inaspettato. Come te lo spieghi?
“Me lo spiego cosi’: ho la fortuna di non saper scrivere. La mia scrittura non prevale come succede a colleghi molto più bravi di me. Loro si ascoltano scrivere, gli piace il gusto delle parole e la gente non ci si riconosce. A me non succede così. Sarà stata la fretta, ma io mi sono limitato a raccontare una storia. Ho mandato il manoscritto all’agente letterario, le piacque, ma voleva amore, qualche scena di sesso.”
E tu?
“Io non lo sapevo fare. A me quel romanzo mi era uscito così, come un circuito stampato. Chiesi consiglio al direttore editoriale di una casa editrice di Napoli. Mi chiama la mattina dopo: lo pubblichiamo noi.”
Le lacrime del pagliaccio vende 2000 copie in due mesi.
“E calcola che era distribuito solo a Napoli. Pensavo che fosse finita lì, mi ero tolto lo sfizio ma i colpi di… posso dirlo? Di culo non erano ancora finiti. Te la faccio breve, prometto. Il direttore del centro di produzione Rai di Napoli si ruppe una caviglia. Per passare il tempo leggeva. Gli capitò il mio libro, mi cercò, me ne chiese tre copie per sottoporle a tre nomi del settore editoriale. Il primo a muoversi fu Domenico Procacci, di Fandango. Mi diede appuntamento a Roma.”
E, come si dice, il resto è storia. Il senso del dolore e La condanna del sangue sono i primi due di quattro episodi, uno per ciascuna stagione dell’anno.“
Sì. Procacci pensava che li avessi già pronti. Mi è toccato scrivere a tempo di record il secondo (La condanna del sangue – la primavera del commissario Ricciardi, nelle librerie dallo scorso 26 giugno). Sto lavorando al terzo e per il quarto sono ancora in alto mare. La mia fortuna, una delle mie molte fortune, è Paola, la mia compagna, che ha la pazienza di rileggermi e farmi l’editing. Io non rileggo mai quello che scrivo, mi annoia perché so già come va a finire.”
Il senso del dolore è uscito in sordina, eppure è nella classifica dei 100 più venduti da ottobre. I diritti sono stati acquistati all’estero, in Francia e Germania. Si comincia a parlare di una trasposizione televisiva. Ti aspettavi tutto questo?
“Ma quando mai? Mi viene da ridere quando la gente mi tratta come fossi uno scrittore vero, sai quelli con i capelli lunghi, il dolcevita nero e l’aria tormentata. Io sono solo… lo posso dire? Un coglione strafelice che ha avuto una bella idea. E basta.”
Nessun talento?
“No. Tutti abbiamo dentro delle belle storie. Ci vuole solo la faccia tosta di raccontarle. E io la faccia tosta ce l’ho.”
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Recensione a La condanna del sangue – la primavera del commissario Ricciardi (di Laura Costantini)
Faccia tosta o talento che sia, Maurizio de Giovanni è riuscito a mantenere ciò che aveva promesso nel suo romanzo di esordio. E non era facile, vista la perfezione di stile, di emozioni, di equilibrio che Il senso del dolore sapeva trasmettere. Diciamo subito che La condanna del sangue è romanzo molto più corposo e articolato. Se nel primo l’autore aveva tenuto strette le redini della propria creatività, con La condanna del sangue si è lasciato andare al piacere di un acquerello che alle tinte leggere e trasparenti della primavera in corsa nei vicoli di questa Napoli 1931, aggiunge pennellate vivide e gocciolanti che non possono che essere rosso sangue. Al centro di tutto, ancora, il nostro amico Ricciardi, con i suoi occhi verdi trasparenti come vetro, ma profondi e insondabili almeno quanto quel Fatto che è dono e maledizione. E se ci era apparso personaggio degno di restare ben presente nella memoria del lettore alla sua prima apparizione, qui il commissario acquista spessore e umanità, rivelando fragilità che fanno sorridere. E innamorare. Intorno a lui si muove Napoli e una piccola folla di personaggi guidati all’azione dal vento leggero e profumato della primavera, dal rimescolarsi dei sentimenti e degli ormoni, dalla cattiveria, dall’avidità, ma anche e soprattutto dall’amore. L’omicidio cruento di una vecchia cartomante è il filo conduttore e l’indagine principale, ma le pennellate si espandono intorno, comprendendo una donna troppo povera e sola per permettersi di essere la più bella di tutta Napoli, un pizzaiolo indebitato e disposto a morire per tutelare l’onore della sua famiglia, una ragazzina abusata dal padre vedovo, un attore bello e rampante, una nobildonna annoiata e in cerca della scossa della passione, una bambina ritardata che condivide con Ricciardi il dono di vedere i trapassati. Tirare le fila di tutto questo, e molto altro, non deve essere stato facile eppure de Giovanni, che per scrivere romanzi prende due settimane di ferie e si chiude a tappo in casa, ci è riuscito con la maestria di un grande pittore. Quello che ci troviamo davanti è un affresco tenero ed epico insieme, arricchito da maschere profondamente umane. Come quella del brigadiere Raffaele Maione, indispensabile spalla di Ricciardi, uomo tutto d’un pezzo ma vero nelle sue incertezze, nella sofferenza per il figlio perduto, nella rabbia per un matrimonio che rischia il naufragio, nella fragilità davanti alla possibilità di un altro amore, un’altra donna. Saranno la sua profonda onestà, la saggezza di un femminiello e la forza tutta femminile di sua moglie Lucia, a riportarlo in carreggiata, a rimetterlo al posto che gli spetta nell’affresco. Un affresco che si accende anche di rosa nella nuova chance che riporta speranza per il timidissimo commissario Ricciardi e per la sua Enrica, silenziosa ricamatrice mancina alla finestra. La primavera ce li mostra così i personaggi partoriti dal talento di Maurizio de Giovanni, incasellati in una storia che odora di vicoli, di rifiuti, di mare, di vento fresco, di fiori appena sbocciati. E su tutto domina l’aroma ferroso e feroce del sangue. La ferita che attraversa il volto perfetto di Filomena così come quello di Napoli. Uno sfregio che non ne spegne la bellezza. Anzi, la esalta.
Laura Costantini
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Recensione di Francesco Di Domenico
Uno poi sta lì ad aspettare.
Il lettore è una carogna, aspetta la seconda opera, come diceva il principe: “Vediamo ‘sto stupido dove vuole arrivare”; il critico, quasi sempre un’infame sprovveduto e insulso mancato scrittore; l’amico scrittore, una gelida bestia arsa dal livore per il successo del compagno.
Maurizio de Giovanni esce con il secondo “Ricciardi” e sgomenta un po’ tutti.
Li stende. Ma non credo ne avesse voglia, de Giovanni semplicemente tira fuori da sé quello che la sua incredibile fantasia ha accumulato in quasi 50 anni di letture e vita vissuta, con semplicità disarmante. Quando gli chiedevano, alla presentazione del “Senso del dolore”: – “Maurì, e adesso? Come sarà il prossimo? Che scriverai?” Lui rispondeva, con quel sorriso umile, dolce, come sanno essere dolci i veri amici, e anche un po’ sulla difensiva: “Perdonatemi, ma l’ho già scritto!” Tornano, con questo secondo libro, di una promessa quadrilogia delle stagioni, i personaggi che ci avevano già convinto nel primo tomo: il brigadiere Raffaele Maione, ombra massiccia e sussiegosa; la giovane e delicata Enrica, amore di sguardi tra finestre e Luigi Alfredo Ricciardi, gli occhi verdi all’altro capo dell’altra finestra. Messa così sembra un romanzo d’appendice: tutt’altro.
“La condanna del sangue” è la primavera di questo giovane commissario trentenne, nel ‘30 del ‘900. Tutto ribolle nella stagione della rinascenza, a cominciare dal sangue.
Tra i vicoli dei quartieri poveri della città che si affacciano nell’antica via Toledo, la “Via Nova” – come ancora oggi, a 400 anni di distanza la chiamano gli abitanti dei “Quartieri Spagnoli – Il commissario Ricciardi vive, cammina e sopravvive a se stesso e ad un soprannaturale dolore che si porta dentro. La strada, sotto il fascismo si chiama via Roma, ed è ancora una violenta coltellata seicentesca nel cuore della sirena partenope, che scendendo dalla Reggia estiva di Capodimonte arriva direttamente all’altra reggia di piazza del Plebiscito, e al mare, cercando di dividere i ricchi dai poveri, il mare dalla collina; i vivi dai morti.
In questa città non si sono ancora prodotti i distacchi netti del dopoguerra tra ceti; non c’è ancora l’odore della morte e della sopraffazione che avrebbe ereditato dalla tragedia del ’43. Il fascismo è raccontato in modo distaccato, come “un altro da sé”, quasi separato dalla vita viva della gente, con ironia storica. Anche il mare, che dovrebbe essere il contenitore vivido di questa città, è trattato come una delicata cornice, una nuance.
Il melange tra classi è una risulta culturale della Napoli ancora borbonica; ricchi che frequentano i poveri per servirsene, per comprare soldi a usura o speranze da cartomanti. La stessa miscela, sapientemente raccontata nel capolavoro eduardiano “Napoli Milionaria”. Nel mezzo delitti, a volte quasi casuali, raramente premeditati. Croci continue sulle spalle di un uomo autocondannatosi alla scoperta della verità, legato a quel mistero soprannaturale , “Il Fatto”, che gli fa udire le ultime parole che il morto pronuncia o pensa, per dare sepoltura a quelle parole e alle anime, più che ai corpi.
L’autore afferma che “I genitori di ogni delitto sono, per Ricciardi, la Fame e l’Amore; l’una ottusa, cieca e violenta, l’altro illusorio, falso ed egoista. Il Potere, l’ansia del quale procura pure crimini orribili, è di fatto una via di mezzo. Potremmo dire che tutti e tre esauriscono le motivazioni di questi crimini.”
Il percorso adottato dall’autore è lastricato di piccole e grandi passioni incastrate come i lastroni di pietra lavica che pavimentano la città, e di miseria, quella che una volta era fisica e oggi è puramente morale.
La narrazione, intrisa di particolari spietati e lucidi sembra quasi precedere lo straordinario “Il Mare non bagna Napoli” di A. M. Ortese . Alcuni passaggi hanno la stessa tensione di amore/odio della grande scrittrice che nel ’53 scriveva: “Qui, il mare non bagnava Napoli. In questa fossa oscurissima, non brillava che il fuoco dell’amore, sotto il cielo nero del sovrannaturale.”
Napoli aveva proprio bisogno di un altro scrittore.
Francesco Di Domenico
Bentrovati!
😉
Francesco Di Domenico e Laura Costantini sono chiamati a darmi una mano a moderare questo post.
C’è qualcuno, tra voi, che ha già letto “La condanna del sangue”?
Che si faccia avanti a dire la sua!
🙂
Più tardi, tra il pomeriggio e la serata, interverrà l’autore del libro: Maurizio de Giovanni.
Ma la particolarità di questo post è che… potrete interloquire con il vero protagonista: il commissario Ricciardi.
Ripeto lo spunto…
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Ricciardi sostiene che i moventi che stanno alla base di ogni delitto sono fondamentalmente due: la fame e l’amore.
Siete d’accordo?
Prima di tutto mi fa piacere Massimo che tu sia rientrato, spero ben ristabilito.
Ho letto entrambi i romanzi di de Giovanni e per il primo l’ho anche intervistato. Prima di rispondere al quesito mi par giusto precisare che il buon Maurizio è un giallista atipico, nel senso che la trama classica del genere è solo un pretesto per descrivere ambienti, situazioni e personaggi che, benchè influenzati da un’epoca particolare (siamo nel ventennio), si ritrovano puntuali anche oggi.
Ciò premesso, sono solo in parte d’accordo con Ricciardi, nel senso che indubbiamente fra i motivi fondamentali del delitto ci possono essere la fame e l’amore. Il commissario napoletano però ragiona così in quanto presente nell’epoca di cui dicevo prima in cui la fame era tangibile, mentre attualmente, per fortuna, almeno da noi è sporadica. Resta l’amore, con tutte le sue sfumature di motivazioni, che vanno dalla gelosia al desiderio di possesso. Oggi esistono anche altri motivi, fra i quali significativo è l’interesse, nel senso che si uccide per denaro, e anche il rifiuto, per i figli dei genitori e viceversa.
Come la società si evolve e diventa più complessa, aumentano e si concretizzano altre motivazioni che sono alla base del delitto, ma per l’epoca di Ricciardi sono esatte la fame e l’amore.
Bene, sono felice che sia arrivato il momento di rendere omaggio a Maurizio e al suo commissario. Solo che adesso devo scappare a mettere insieme la biografia di Valeria Marini e quindi potro’ intervenire nel pomeriggio. Ci si vede dopo :-)))))
Non ho letto il libro e saluto MAssimo e approfitto della domanda.
No, non solo per fame e per amore. C’è il potere, il desiderio di potere è uno dei più mefistofelici antidoti alla paura della morte (propria). E a certi livelli di criminalità, suppongo una sorta di deumanizzazione dell’altro. Uccidere assume un altro significato.
E’ la piccola criminalità insomma che ammazza per amore o per fame. La grande non direi:)
Caro commissario Ricciardi, certe cose non ve le dovrei dire visto che tengo famiglia con marito annesso. Ma io ve lo dico lo stesso.
Voi siete proprio affascinante.
Quello sguardo dolente trafigge i sentimenti, commissa’.
Ma continuerete a restare solo, o cercherete compagnia?
Il primo romanzo con il commissario Ricciardi mi era sembrato ottimo, ma questo è addirittura migliore. Bravo de Giovanni.
Nel merito dei romanzi di De Giovanni posso dire poco perché non li ho letti. E’ però probabile che essendo ambientati in un’epoca che lo scrittore non ha vissuto, abbia fatto notevole sforzo di fantasia e di ricerca di notizie e atmosfere. Il che è affascinante.
Qualcosa potrei dire sugli omicidi visto che me ne occupo dal 1980. Ma vorrei capire bene cosa si intende per fame e amore come moventi dei delitti.
@ Miriam
Ti ho scritto su “la camera accanto”
dacci un occhiata
Ross
Un gran bentornato a Massimo innanzitutto.
E un saluto a Laura e a Didò, che considero cari amici prima che moderatori di questo post. Complimenti per le ottime recensioni.
E bentornato a Maurizio De Giovanni (col quale avevamo già interloquito sul primo Ricciardi a inizio d’anno, lasciandomi l’impressione di una garbatissima, piacevolissima persona) e al suo Commissario Ricciardi.
Che ho letto: mi era piciuto il primo romanzo, ma ancora di più questo, veramente notevole per la narrazione, per la trama più articolata, per i numerosi e ben dipinti personaggi e per le intense atmosfere create.
A mio parere un romanzo perfettamente compiuto a differenza del primo, che mi dava un’impressione di essere stato un racconto dilatato in un secondo tempo, e di questo forse un pò risentiva.
Chi aveva già apprezzato “L’inverno del commissario Ricciardi” non rimarrà deluso dalla sua “primavera”. Anzi.
@zaub
Sì, la grande criminalità si muove per motivi un pò diversi dalla semplice fame o dall’amore. Ma la sua organizzazione attinge manovalanza negli ambienti dove la fame è all’ordine del giorno.
Poi si fa “carriera” ed anche gli appetiti salgono di livello (e dimensione).
Quello che amo del personaggio di maurizio de giovanni è la profonda umanità la sua indolenza, il suo farsi carico del dolore degli altri, la sua generosità… in un mondo dove imperversano egoismi, individualismi, dove quello che viene maggiormente ” esaltato” è l’aspetto più deteriore degli uomini credo che una persona “sana” come il commissario Ricciardi ci riconcili con l’umanità!
Il secondo libro, non l’ho ancora acquistato, ma lo farò presto! So, però che tutti quelli che lo hanno letto lo considerano ancora più bello del primo!
Anch’io come minerva, spero che trovi presto qualcuno con cui condividere l’esistenza.. un uomo solo non può farcela in eterno a sobbarcarsi tutto il dolore che c’è al mondo.
Per rispondere al quesito sull’origine del delitto dovremmo calarci all’epoca dei fatti narrati da de giovanni, allora forse potremmo dargli ragione…oggi probabilmente impazzirebbe, sarebbe sconvolto nello scoprire che si può uccidere per orgoglio, per una partita di calcio, per gioco, tirando sassi da un cavalcavia, per una precedenza non rispettata , perché il tuo vicino ascolta la musica con il volume troppo alto … forse un tempo succedeva lo stesso ma sicuramente era più facile che uno uccidesse per fame … oggi con la pancia piena e con più tempo a disposizione siamo diventati un po’ più creativi… o più cretini!
p.s. se non ci fosse stato il gioco promosso da massimo, quello sul libro più bello dell’anno, chissà quando sarei venuto a conoscenza di quel bellissimo racconto che è il senso del dolore! Non posso fare altro che ringraziare letteratitudine e naturalmente Maurizio de giovanni.
Stefano
Sono veramente felice di ritrovare attorno al tavolo virtuale di Letteratitudine tanti amici; e particolarmente fiero di avere sul tavolo la mia “Condanna”.
Lasciatemi abbracciare tutti, e in primis Didò e Laura, chiaramente influenzati nel meraviglioso giudizio dall’affetto per l’autore. E Carlo e Renzo, che hanno mostrato di apprezzare il mio Ricciardi sin dalla prima ora.
Grazie a Massimo, che al telefono ho sentito di nuovo in gran forma. E grazie a tutti quelli che vorranno partecipare al forum.
La fame e l’amore sono motivazioni ancora attuali, se vediamo il desiderio di potere come una forma di fame; sono convinto anch’io che questa nostra epoca, tra i vari imbastardimenti, ha anche prodotto mille nuovi modi di arrivare al delitto. Questo è uno dei perché ho scelto gli anni trenta per l’ambientazione.
La mia città, come chi ha visto o letto “Napoli milionaria” di De Filippo ben sa, ha avuto nel dopoguerra e nella borsa nera l’inizio della metamorfosi. Ho voluto provare a immaginare com’era prima.
Al commissario Ricciardi.
Perché a lei non frega nulla di fare carriera? Non pensa che avendo più “potere” potrebbe combattere meglio le sue battaglie?
Con tantissima ammirazione,
Mary
@Stefano
Ti ringrazio molto. Soprattutto per aver “preso” la caratteristica fondamentale di Ricciardi, che è quella di farsi carico del dolore altrui. Anzi, di non poterne fare a meno.
Immagino spesso come sarebbe, dover vivere sentendosi arrivare addosso continuamente ondate di dolore; e hai perfettamente ragione, ancora mille volte peggio sarebbe dover pensare ai motivi futili per cui si muore.
Sarei felice di sapere quello che pensi del secondo romanzo, anche privatamente. Nel frattempo ti abbraccio.
@Mary
Ogni altra posizione mi allontana dalla strada. Sappiate, signorina, che solo da commissario posso perlomeno provarci, a mettere in pace le anime che mi vomitano addosso l’ultimo palpito della loro sofferenza.
Credetemi, non saprei come fare a convincere dei sottoposti a lottare contro il dolore. Se fossi al posto di Garzo, chiuso in una stanza a fare il vicequestore, mi farei odiare ancora di più: spingerei tutti i poliziotti per strada, e non andrei a teatro o alle feste.
No, signorina, è meglio così: i burocrati con le carte in mano o alle feste, in frac e farfallina, e io e Maione nei vicoli. In mezzo al sangue, per portare un po’ di pace ai morti.
@Minerva
Buongiorno a voi, signora. E al vostro fortunato marito.
A nessuno piace, stare da solo. Ma per me un’unione non può avere segreti, né riserve. E come potrei io camminare per mano con Enrica, parlare con dolcezza, fare addirittura progetti sul futuro mentre i miei occhi, alle sue spalle, vedono un uomo sgozzato che insieme al sangue che gorgoglia pronuncia il suo ultimo insulto nella rissa in cui è morto?
Credo che il mio destino dovrebbe essere la solitudine, mia dolce signora col nome della sapienza.
Anche se vi devo dire che proprio in questi giorni, nella mia estate calda, qualcosa di imprevisto sta succedendo. Ma per questo non dovete parlare con me: sono cose di de Giovanni.
Un saluto affettuoso a tutti,
non ringrazierò mai abbastanza Maugeri per essersi inventato questa pagina letteraria cosi elegante, che mi ha permesso di conoscere un universo gentile; che mi ha dato l’opportunità di sedere virtualmente al fianco di un’ottima professionista come la Costantini che, pur non vivendo la realtà napoletana, è riuscita ad inquadrarla egregiamente.
…
A quanto vedo il dibattito si è incuneato dove voleva Massimo: “…i moventi che stanno alla base di ogni delitto sono fondamentalmente due: la fame e l’amore.”
Se è vero che i meccanismi del delitto sono cambiati, è anche plausibile che siano oggi, comunque l’evoluzione di quelli antichi.
Quali sono i moventi odierni del delitto oltre fame e amore, il potere?
La mafia assassina come nasce? Dalla ricerca del potere sicuramente, ma sostanzialmente dalla fame. Raramente si è sentito che la grande trimurti del crimine, Mafia, Ndrangheta e Camorra, abbiano pescato i loro soldati fuori dal liceo Mamiani: pescano nella fame, nella voglia di riscatto e d’amore, del mancato amore in cui si allevano queste belve.
Sicuramente anche nella noia borghese (vedi le ultime vicende, e non solo), ma cos’è la noia borghese se non mancanza d’affetto, carenza genitoriale d’amore, con i soldi che sostituiscono le carezze…
Mi fermo qua.
Sapete che una delle mie attività è il restauratore, e oggi pomeriggio ho una porta del ‘700 che ha bisogno delle mie cure, ci sentiamo stasera.
@Stefano, come Caravaggio, sai leggere il dolore.
Grazie per la cortese risposta, gentile commissario Ricciardi.
Il mondo oggi ignora la pietà, che non esiste nemmeno nel singolo nei confronti di se stesso e allora tutto diventa possibile: si uccide così per rabbia, si ammazza per interesse, per potere, perche non si fa come fare a passare il tempo (caso classico i sassi gettati dai cavalcavia dell’autostrada). Penso che in passato si sapesse di più perchè si uccideva. e forse lo si faceva per vivere, mentre oggi l’impressione è che si commettano gli omicidi per dare caratterizzazione a una vita prodiga di beni materiali, ma avara di beni morali.
Io aggiungerei la noia e la pochezza, il vuoto, la non consapevolezza, l’inpunità.
La fame l’amore sono moventi più nobili, se posso. Si è mossi da un’urgenza, da un sentimento prevaricante. Ma oggi? Concetto assurdo?
Leggerò il libro.
Proprio così, Renzo: la chiave di tutto è la pietà. Ogni volta che sentiamo una notizia, leggiamo un giornale, ascoltiamo la radio, ci sentiamo distanti dagli eventi terribili che ci raccontano.
Forse solo in un romanzo o in un racconto, quando la prospettiva di chi scrive è la stessa di chi legge, possiamo di nuovo sentirci parte di quello che succede. Sembra assurdo, ma forse il compito della finzione è portarci più vicini alla realtà.
La fame di quei tempi cambiava radicalmente la scala dei valori: il problema era sopravvivere, non riempire la giornata.
quando inziai a lavorare cominciai anche a tenere il conto degli omicidi visti, poi smisi. quindi non posso dire quanti sono, ma posso dire di certo che quelli con movente di fame e amore sono solo una parte, manco tanto grande. a occhio, per esempio, ne ricordo una ventina per motivi di viabilità o di parcheggio
Carissimo commissario Ricciardi,
voi siete un galantuomo e cercate sempre di non far tracimare il peso del Fatto vostro sugli altri. Eppure sono convinta che, alla fine, la condivisione vi gioverebbe. E magari una donna come Enrica potrebbe essere quella giusta per voi.
Pensateci, commissa’.
E poi fareste contenta pure la tata Rosa. Le assicurereste una vecchiaia più serena, con meno pensieri per il vostro futuro.
Non credete?
Carissimo commissario Ricciardi,
esprimendo ancora una volta tutta l’ammirazione che nutro per la vostra persona, vorrei ringraziarvi per averci svelato la profondità dell’empatia che gli esseri umani possono provare di fronte alla sofferenza e alla morte. Io personalmente mi sento molto vicina alla vostra esasperata sensibilità, soffrendo sulla mia stessa pelle la pena per tutti coloro che dalle pagine dei giornali gridano giustizia con foto che li ritraggono sorridenti e ignari del destino che si accumulava sulla loro testa. Questo mondo, caro commissario, è molto diverso dal vostro e purtroppo le motivazioni profonde per gli omicidi sono diventate futili. Poco amore, quasi nulla fame, ma invidia, avidità, superficialità, egoismo e, come già detto, noia. Non c’è stato progresso, caro commissario. Forse dovremmo cercare dentro di noi il progresso fondamentale, quello di provare pietà per i nostri simili.
Un caro saluto
Mi dispiace di sentire che le cose non sono cambiate. Oggi che vi scrivo dal mio ufficio in questura, prendendomi una pausa da tutto il dolore che mi pesa sulle spalle, mi piacerebbe sapere che tutta la sofferenza del mio tempo fosse servita a qualcosa.
Il dolore, signora, è una compagnia sgradita. Il senso del dolore è che il dolore non ha senso. Però io ho imparato questo: nessuno se lo può togliere da solo, il dolore: c’è sempre bisogno di qualcun altro. E a me è toccato di arrivare perennemente troppo tardi, per riparare almeno un poco al distacco di chi è morto ammazzato.
Carissima signora Minerva, quanto avete ragione sulla tata! Sta diventando vecchia e sempre più insopportabile.
Il Fatto non si può condividere, è una croce solo mia e forse di qualche altro povero disgraziato come me. Forse il mio cervello ha una vista in più, o forse sono solo uno che sogna a occhi aperti.
Come sogno guardando la signorina di fronte, che ricama alla luce della lampada a olio. Vorrei trovare il coraggio di parlare con lei. O almeno di scriverle una lettera.
Ma non è strano che proprio a me, che vedo i morti per come sono morti ammazzati all’angolo delle strade, manchi questo coraggio?
Caro Ricciardi,
mi sei simpatico, ma vorrei tanto che con l’autunno, cioè il quarto episodio, ti decidessi una buona volta, sistemati, magari con la signorina di fronte. Sono sicuro che da maritato non proverai più tutto quel dolore, ma i dolori saranno altri (questo non te lo dico, però, perchè altrimenti non ti sposi più…)
Caro commissario Ricciardi,
lei che può, mi darebbe un bel pugno sul naso al signor questore che mi sta così sulle scatole da non ricordarne neanche il nome? E poi, un mazzetto di violette a Enrica, glielo vogliamo mandare o no?
Lory
PRIMADITUTTO: bentornato Massimo!!!
La bella presentazione invita alla lettura e mi fa soffrire, perché questo è il secondo libro e io non ho ancora letto il primo…
Ho controllato nel sistema Bibliotecario della provincia di Lecco, ma l’autore non c’è. Quindi, visto che “tengo le mani in pasta” sarà mia premura rimediare al più presto…proprio nei prossimi giorni. E sarà un piacere perché, noi lacustri siamo ormai sommersi dall’esuberanza del nostro autore locale che sforna,sforna…più di un panettiere. Sarà un piacere per buttare lì un confronto, fra gli autori che ambientano le loro storie nello stesso periodo storico; ma uno a Napoli, dove non brillava che il fuoco dell’amore (bravo Didò! bella recensione) e l’altro a Bellano dove fra sede del fascio e sacrestia “si pesavano le olive”.
Ciao a tutti, Miriam
Mia bella signora, sarebbe un po’ sfacciato mandare dei fiori a una signorina che in fondo ho incontrato solo una volta, e nel corso di un’indagine. Però ho sentito una guardia dire che c’è un libro, che mi pare si chiami “Il segretario galante”, che riporta schemi di lettere d’amore.
Forse, trovando il coraggio di entrare in una libreria e chiederne una copia (magari una libreria lontana da casa e ufficio), potrei utilizzarla per una lettera. Dovrei aggiornarla però di quello che sta accadendo in questi giorni, su quel versante ci sono grosse novità: pensi che ier l’altro sono addirittura andato a cena con una donna, che non era Enrica… Troverà l’integrale resoconto nel libro dell’estate.
Garzo (così si chiama il vicequestore) è piuttosto antipatico anche a me: ma il pugno sul naso, prima o poi, lo prenderà dal brigadiere Maione, temo.
Consentitemi di mandare un affettuoso saluto oltre che a voi, signora, anche al mio caro Renzo: pieni di intelligenza e di vita, tra tanti morti.
@ Enrico e Laura.
al vostro elenco, io aggiungerei che oggi si uccide per IMPULSO; anzi penso sia uno dei motivi dominanti e purtroppo destinato ad aumentare. O mi sbaglio?
Io questo lo ammazzo, e la memoria che in sè trattiene i dati dell’informazione (tutti i sentimenti, le spinte, le ambizioni) diventa potenza esecutiva: facilità. Non so…
Cara Miriam, sarei onorato di sapere che ne pensi dei romanzi. Non credo sia necessario leggerli in sequenza, anche se mi piace pensare a una progressiva evoluzione di Ricciardi.
Non aspettarti mirabilie, però: a parlarne così bene sono infatti tutti amici, e di animo meravigliosamente gentile. La mia non è affatto una gran scrittura, ma solo uno strumento per raccontare una storia.
Grazie e un abbraccio.
Non avendo ancora letto i libri (eppure un motivo per intervenire ce l’ho, ciao Maurizio!) – ma rimedierò presto – aggiungo solo ai motivi per uccidere l’AVIDITA’ – di soldi, di potere, di amore negato, di….
e concordo con chi ha detto l’IMPULSO – ovvero il dimenticarsi che hai di fronte un essere umano, e cancellarlo, di botto, come si fa con una parola scritta in modo errato –
certo i tempi sono cambiati, ma gli uomini no, e se lo sono, è in peggio
a presto (dopo la lettura…)
@ maurizio: non farci il modesto, adesso…
@tutti: ACCATTATEVILLO!
@miriam: il vostro autore locale, tale Andrea Vitali, non ha alcuna speranza di reggere il confronto con Ricciardi, a maggior ragione a metterli tutti e due davanti alla bilancia 😉
Laura e Lory
Lory, quanto hai ragione in merito alla bilancia… però ai miei tempi andavano di moda gli uomini grandi e grossi, e mia madre si uniformò.
Miriam, non dar retta: Vitali è bravissimo e molto documentato. Ma se vuoi respirare un’altra aria di quei tempi, sarei felice di ospitarti nel mondo di Ricciardi.
@ Maurizio: il riferimento alla bilancia era destinato a chi ha letto “Olive comprese” e quindi si voleva dire che il commissario Ricciardi avrebbe avuto molto più… peso rispetto alla fiacchissima storia messa insieme da Andrea Vitali che, lasciatelo dire da lettrici accanite, non regge proprio il confronto, pur con tutta la sua documentazione. Il brigadiere Micciché viene totalmente annientato nel confronto con Maioni. Insomma, non c’è storia! E poi vuoi mettere le luci smaglianti del cielo e del mare di Napoli a confronto con le nebbie depressive del lago tanto amato da Vitali?
Eppure sai che con… un lago Ricciardi rischia di avere a che fare: un certo attore che viene appunto dall’aver interpretato un altro commissario potrebbe interpretare anche lui. Mi chiedo se poi, in fondo, certe atmosfere non siano comuni.
Ho letto Vitali, avevo capito il riferimento: ma la bilancia è un argomento al quale sono troppo sensibile per rinunciare alle battute.
@Maurizio De Giovanni:
è bellissima l’idea di afferrare i riflessi di una vita che è stata. I rimandi di uno specchio. I fantasmi.
Credo che uno scrittore dovrebbe farlo sempre: interrogare le ombre.
Guardare oltre. Raccogliere resti.
I bambini e i morti sono i più adatti a consegnarci le loro storie, lo diceva sempre mia nonna. Credo che sia perchè entrambi sono dentro il mistero senza stupirsene.
A Ricciardi auguro di non stupirsi mai del mistero. Di non stancarsi mai del dolore che vela.
A De Giovanni di continuare a farsi sfiorare da quella parte dell’esistenza che gli altri non sanno vedere. E che è più reale dei sogni.
ACCATTATEVILLO!
Lory, ma che vuol dire?
@Didò e Laura: le vostre recensioni sono bellissime!
Maurizio, una domanda un po’ barbina.
Ma, quando come stagione di Ricciardi hai scritto anche dell’autunno, che succederà dopo?
@ Renzo: COMPRATEVELO!
E’ più chiaro così. nordista che non sei altro?
Laura
@ Simona: grazie, ma era buona la fonte di ispirazione 🙂
Laura, è mica questione di essere nordisti, non avevo capito. E poi non tocchiamo questo tasto, non si sa mai che provochiamo l’intervento di qualcuno di quel movimento autonomista e la bella discussione che facciamo va a subito a quel paese.
@Simona
Quando si racconta, sulle pagine o attorno a un fuoco, non importa più se hai sognato o se hai visto: il racconto è comunque vero. Grazie di aver capito di che materia è fatto Ricciardi.
@Renzo
E chi lo sa? Un paio di editori mi hanno cercato, anche piuttosto grossi per la verità. Ne parlerò con Fandango dopo l’uscita del libro dell’estate, che mi pare stia venendo su piuttosto bene.
un amico mi ha segnalato questa discussione. Arrivo forse in ritardo a salutare Massimo Maugeri, Maurizio de Giovanni e tutti gli altri con cui facemmo quella bella chiacchierata (scritta) l’anno scorso. In bocca al lupo per il nuovo libro.
Arrivi tutt’altro che in ritardo, caro Filippo.
Grazie per esserci venuto a trovare. Qui sei e sarai sempre il benvenuto.
Dunque puoi sentirti a casa!
🙂
Ringrazio tutti voi per i preziosi commenti.
E, in particolare, Laura e Didò per gli ottimi contributi.
@ Maurizio de Giovanni
Caro Maurizio, mi fa molto piacere che tu mi abbia sentito “in forma”. In realtà sono ancora in convalescenza, ma troverò la forma molto presto.
In questi giorni (ne parlavo proprio con Maurizio) ho letto “Il senso del dolore”… e sono rimasto colpito molto favorevolmente.
Ottima l’ambientazione. Credibili i dialoghi e i personaggi. Molto riuscito, in particolare, il personaggio del Commissario. E l’intreccio è costruito in maniera sapiente.
E poi c’è “l’idea-forza” del Fatto…
Sono alle prese con “La condanna del sangue” e confermo la sensazione che hanno avuto anche altri.
C’è una crescita ulteriore.
Bravo, Maurizio!
Sono certo che questi romanzi avranno grande successo anche all’estero.
E incrociamo le dita per il progetto cinematografico/televisivo.
Al commissario Ricciardi.
Egregio commissario, è un vero onore avervi qui.
La vostra presenza conferma che la letteratura è in grado di abbattere ogni barriera spazio-temporale… e di generare vita.
Voi vivete, caro Commissario.
Vivete. Sebbene siate in continuo contatto con la morte.
Che il vostro senso di giustizia vi conservi per molto tempo ancora.
Peraltro, se la matematica non mi tradisce, in questo momento dovreste avere 108 anni.
Nel periodo storico in cui sono ambientate le vostre avventure, commissario, siete ancora molto giovane.
Siete trentenne.
Un’età che passa in fretta, commissario.
Vi siete invaghito di Enrica (che poi, non è neppure bella… ma la bellezza non è tutto)… be’, prendete il coraggio a quattro mani e buttatevi.
Che il tempo vola!
Un’ultima cosa, commissario (poi ci ritroveremo domani).
Le quattro stagioni vanno bene per la pizza. Non per una bella saga come quella di cui voi siete protagonista.
Spero che de Giovanni e gli amici della Fandango ci pensino bene prima di mettere la parola fine dopo il numero quattro.
@maurizio de giovanni
scusa se mi riaffaccio soltanto ora, ma appena scritto il mio commento sono dovuto correre al lavoro. Dimenticandomi tra l’altro di complimentarmi con laura e francesco sia per l’intervista che per le ottime recensioni… Per quanto riguarda il tuo secondo romanzo, ti assicuro che appena l’avrò letto sarò felicissimo di parlarne con te.. come lettore, non come critico, però!
buonanotte maurizio
@didò
ehi! francesco, grazie per l’accostamento con il Merisi ma credo che l’unica cosa che ci accomuni sia il “pizzetto”… forse anche l’incazzamento precoce!
ciao e complimenti per il tuo pezzo, collega!
stefano
@ massimo
un salutone anche a te, naturalmente!
se siamo qui a chiacchierare lo dobbiamo soprattutto a te come ho scritto oggi pomeriggio.
ciao
stefano
@ ricciardi
commissario, seguite il consiglio del dottor maugeri e decidetevi… capisco la vostra generosità, ma siete sicuro di non fare un torto ad enrica non lasciandole l’opportunità di decidere come e con chi vivere la propria vita?
Forse aspettate il momento propizio, magari la stagione propizia…. la primavera?
Commissario spero vogliate scusare la nostra invadenza ma è l’affetto che proviamo per voi che ci spinge a tali impudenze… decidete come meglio credete. L’importante è non avere rimpianti, poi!
stefano
Evviva! Torna a Letteratitudine Maurizio De Giovanni – ricordi, Maurizio, che parlammo amenamente qualche mese or sono proprio qui? – ed io, ormai ”lubianese onorario”, per via della distanza dall’Italia non sono riuscito ancora ad assaporare il suo malcapitato Ricciardi! Comunque dimmi, Maurizio – prima di farmi spedire una copia dal tuo editore… ehm… – dimmi: hai per caso preso spunto, nel costruire ”in vitro” Ricciardi, anche un po’ dalla Letteratura classica greco-latina – i vati come Calcante e le sibille (erano dieci in tutto quelle ufficiali, piu’ la nostra umbro-marchigiana che non e’ riconosciuta), gli oracoli di Delfi o d’altri luoghi mitici?
Salutoni
Sergio
Dido’: bravo!!
Ciao ragazzi io posso dire di aver avuto l’onore e il piacere di conoscere una persona come maurizio, che da vicino è sempre uno di “noi”, cioè: è sincero quando dice che ha avuto culo e che non si sente uno scrittore puro! Inoltre un pò di ispirazione per la condanna del “sangue” la avrà avuta da me, lasciatevelo dire da me, che ho avuto ancora un’altro onore, quelllo di toccare con mano il “sangue” del ricciardi-de giovanni!!!!
Ciao Mauriziooooooo
Complimenti a tutti.
A Maurizio de Giovanni per i romanzi che scrive e per la grande umiltà che traspare dalle sue risposte, a Laura e Didò per le splendide recensioni; a Massimo per essere sopravvissuto a ben due interventi operatori. Complimenti per il dibattito interessantissimo (in particolare gli interventi di Simona sono stragrandi); complimenti a me stesso( non so bene il motivo ma me li faccio lo stesso). Scappo, chè ho i creditori alle calcagna.
Una domanda per il commissario Ricciardi.
Caro commissario, sei sempre alle prese con delitti individuali, ma se ti trovassi ai giorni nostri, in cui una gran parte degli omicidi avvengono per opera della criminalità organizzata che non si riesce a debellare per collusione con i politici, come ti comporteresti per venire a capo dei casi che di volta in volta ti vengono affidati?
Da quando ero bambino ho imparato a non cercare spiegazioni a quello che non si può spiegare, perciò questa chiacchierata al di là del tempo e dello spazio non mi pare strana; vi dirò anzi che sento più vicini voi, che distate decenni, che quelli della mia epoca che si dibattono tra entusiasmi e paure in modo così ridicolo.
Renzo, non so come mi comporterei nel vostro tempo, perchè mi pare di capire che le motivazioni dei delitti sono molto complesse; però vi posso dire questo: io parto dal morto, e dal suo grido di dolore. Se non ci dimentichiamo del morto e della sua sofferenza, poi risaliamo sempre a chi ha pensato, a chi ha concepito il delitto. Leggevo di questa vostra faccenda di Perugia, la ragazzina, Meredith: siete sicuri di non esservi persi dietro a quelle cose strane, DNA, Luminol, raggi X e compania bella? Magari se tornate alla guagliona e alla sua sofferenza, a quello che sentiva e faceva, a chi voleva bene e chi la odiava le potrete portare un poco di pace.
Parole condivisibili, caro commissario. E ritorniamo allora alla grande assente di questa epoca: la pietà. Stranamente si parla sempre dell’assassino, che diventa quasi il personaggio dello show, e mai della vittima. E’ un ribaltamento dei ruoli, è una curiosità morbosa per chi delinque e non per le vittime. E’ vero, spesso non c’è bisogno dei R.I.S., ma basta saper osservare e comprendere, sentire più con il cuore che con le orecchie, ma questo non fa spettacolo.
Continui a restare nella sua epoca, Ricciardi. Avrà avuto tanti difetti, ci sarà stato il regime, ma ancora esisteva un po’ di umanità.
Consentitemi di abbracciare Massimo, questo nostro fantastico ospite che riesce a dare vita alla letteratura, anche quella con la elle minuscola come la mia, rendendola materia di dialogo e riflessione. E Salvo, Sergio, Renzo, Stefano, Carlo, Corrado e tutti quelli che hanno voglia di parlare di e con Ricciardi.
Laura e Lory, come Didò, fanno parte di me e li porto nel cuore. Mi piacerebbe sentire anche gli “storici” come Gea, Zauberei e la mia dolce Milvia: mi piace pensare che siano in vacanza…
Voglio dare a tutti una notizia che mi sgomenta: pare che “La condanna del sangue” sia stato iscritto al premio Scerbanenco 2008. Che voi sappiate, oltre ai premi per i migliori, assegnano pene per i peggiori? Perchè se è così comincio a correre. Scherzi a parte è una meravigliosa soddisfazione alla notizia della quale solo tre anni fa sarei scoppiato a ridere, che voglio condividere con questo straordinario blog che ha fatto la sua parte, facendo pubblicità affettuosa al testo. Perciò, grazie a tutti!
PRE-MIO PRE-MIO PRE-MIO PRE-MIO!!!!!!
@Enrica
cara dolcissima Enrica, come vedi tra questi brevi messaggi c’è tanta tanta gente che fa il tifo per te. Che cerca di spingere il tuo commissario timido e impacciato tra le tue braccia un bel giorno.
So che la pazienza è una delle tue grandi virtù.
Sai bene che le stagioni sono quattro, e passano in fretta. Una primavera (che è sempre una grande occasione) è già trascorsa. L’estate è più indicata per i fugaci flirt (scusa, forse ai tuoi tempi non li chiamavate così). L’autunno forse è il periodo più indicato per le decisioni più meditate e quindi più salde. Io confiderei.
Tu continua a ricamare, con la finestra aperta, mi raccomando.
Se dovesse passare anche quello rivolgiti alla Fandango (o altra casa editrice) per cominciare a porre delle condizioni a Maurizio.
Più in su c’è un certo Silvio o qualche suo Yesman, ma credo che funzionerebbero a condizionare solo un tal questore Garzo. E Ricciardi è abile nello schivare i suoi aut aut.
Mio carissimo signor Carlo,
pur sapendo che non sta bene che una signorina corrisponda con uno sconosciuto, sono talmente contenta di essere stata chiamata in causa che voglio subito rispondervi.
La mia attesa non è un peso, credetemi; in un certo senso è come una placenta, un posto sicuro che se non riserva vette di felicità non può nemmeno deludere. Perciò sono ogni sera al mio posto, a ricamare. Oggi poi, a seguito delle circostanze che forse conoscete, c’è anche questo cenno di saluto (io inclino il capo, lui alza la mano) che implica la consapevolezza dell’altrui presenza.
Io aspetto, mio caro signore; e che dovrei fare? So che lui sta camminando nel cuore, che la strada è tortuosa e lunga e che comunque all’arrivo ci sono io. E poi l’attesa non è statica. E sapete perchè?
Perchè io nel frattempo sogno.
Grazie, e un affettuoso saluto. E se doveste parlare con l’uomo dei miei sogni, ditegli di fare pure con calma.
Perchè io lo aspetto.
Innanzi tutto buona giornata a tutti e buon ottobre. Mio dolce Maurizio, non ci crederai, ma stavo proprio accingendomi a partecipare alla discussione, ieri è stato un giorno fitto di impegni e mi sono limitata a leggere velocemente recensioni e intervista (belle!). Sono strafelice di ritrovarti qui, Maurizio, perché proprio qui ti ho conosciuto nel marzo scorso. A partire da quell’incontro virtuale ho acquistato e letto con passione tutti i tuoi libri e racconti (anche quel delizioso divertente gioiellino di Juve-Napoli 1-3, dove dimostri di saper scrivere ottimamente anche con ironia e umorismo e quel bellissimo racconto, La canzone di Filomena, che tu generosamente hai regalato al mio blog). E mi sono innamorata perdutamente del commissario Ricciardi e del linguaggio con cui le sue storie sono raccontate.
Maurizio scrittore ha un grande talento, Maurizio uomo ha una grande Umiltà, ed è proprio l’unione di queste preziose qualità che danno vita ai suoi personaggi e alle sue storie. Il senso del dolore (bellissimo) e La condanna del sangue (splendido) sono due libri da tenere nel cuore. Affascinano, non vedi l’ora di terminarli e al tempo stesso hai timore di arrivare all’ultima pagina, perché è come se si salutasse un amico che non si sa quando si potrà incontrare di nuovo. Per fortuna le stagioni passano in fretta, e così non bisogna aspettare troppo a lungo, per il nuovo appuntamento.
Mi sento sempre intimidita quando devo parlare di libri, quando devo descrivere le emozioni che la loro lettura mi hanno suscitato. Quindi mi fermo qui, Maurizio caro.
Avendo letto i tuoi libri e le interviste che hai rilasciato (molto bella anche quella che ti ha fatto tempo fa Renzo) e avendoti anche conosciuto di persona posso solo dire che sei un uomo e uno scrittore eccezionale.
In bocca al lupo per il premio…Non mi meraviglia affatto che tu sia fra i candidati…
Milvia
Milvia carissima, non sarebbe stato fantastico quest’incontro se non fossi intervenuta. Quando ci si sorride cambia tutto, ed è un’altra bellezza di cui ci stiamo abituando a fare a meno in quest’era delle e-mail e degli sms; noi ci siamo sorrisi, ed è quello che io ricordo di te.
Che dirti? Grazie di quello che dici di me, e soprattutto grazie di aver letto tutta questa roba. Spero che la nuova stagione non ti deluda; non deve sorprenderti sapere che il tuo giudizio, e la lettura con gli occhi del cuore che fai da quella poetessa dolcissima che sei, è uno degli obiettivi che mi anima nella scrittura.
Non ho ancora letto Maurizio de Giovanni ma dopo queste belle recensioni (bravissimi Laura e Francesco) mi sono incuriosita e cercherò i suoi libri. Raccontare storie senza pensare troppo alla scrittura, senza compiacersi in essa, forse è una cosa che dovremmo fare più spesso. E’, comunque, un’affermazione su cui riflettere.
In quanto al fatto che si uccida per fame e per amore, credo sia vero: fame e amore di soldi 🙂
bentornato Massimo! un abbraccio
uff… la faccetta…
Sì, Morena, direi che proprio questo è il punto. Per me chi scrive racconta: e racconta storie. Le storie possono essere vere o inventate, o un misto di entrambe, e possono anche essere storie “di dentro”, riferite cioè all’evoluzione dei sentimenti e delle emozioni. Comunque sono storie.
Se io racconto una storia, la lingua non è più dello strumento che mi serve per raccontare, e così quindi la stessa scrittura; quando questa smette di essere un mezzo e diventa un fine, allora il discorso cambia. Non è certo meno rispettabile la scrittura-fine-a-se-stessa, ma io preferisco la storia.
Sempre.
Maurizio, caro Maurizio, non credo di meritare tutte quelle belle parole…Ma sono felice che tu mi veda così, come un sorriso. C’è tanta necessità, oggi, di sorrisi, di sorrisi sinceri,voglio dire.
La tua scrittura è un mezzo, hai ragione, un mezzo che si sposa mirabilmente con la storia. Ha un che di magico, che avviluppa, avvolge il lettore. I personaggi che crea non sono solo uomini e donne, ma anche la città di Napoli, e le stagioni che la attraversano, e il periodo in cui la storia si svolge, personaggio, quest’ultimo, non in primo piano, ma di cui si avverte, tuttavia, la tragica banalità.
Milvia
Milvia, noi che abbiamo tanto letto abbiamo sviluppato un orecchio musicale per la scrittura. Banalmente è così: se si comincia così tardi, e non spinti dall’istanza di un grande talento, si ha la naturale sensazione di secondarietà rispetto all’argomento.
Io mi godo questo tragitto come farebbe un turista, che visita un posto meraviglioso con la consapevolezza di dover poi tornare a casa; e con il sentimento direi quasi sacrale della tappa di un viaggio, da percorrere in punta di piedi e senza usare il flash per non arrecare danni.
Il mio poi è un viaggio nel tempo; un tempo gravido di brutture e infamie, ma che non cambierei con nessun altro.
Non ho avuto il piacere di vedermi con Maurizio, ma a parte i contatti via mail e telefono credo che quanto ha detto Milvia risponda a verità. Sì, perchè lui nelle storie che racconta non mette solo l’indiscussa abilità di scrittore, ma anche il cuore, così in ogni personaggio c’è un po’ di Maurizio, c’è quella sua silenziosa umiltà che fa lasciare spazio alla vicenda, ai protagonisti, all’atmosfera senza compiacimenti, ma solo con lo stupore, peraltro ben celato, di vedere materializzato quel che gli passa per la testa. Non so se vincerà il premio, ma so che è degno di parteciparvi e un suo eventuale primo posto non dovrebbe stupire nessuno.
Auguri, caro Maurizio, e se non lo porti a casa, non preoccuparti, perchè non è il vincere il premio che ti attribuisce la qualità di eccelso scrittore, ma sono le tue opere, quelle parole impresse sulla carta e che si scolpiscono nel cuore di chi ha il piacere di leggerle.
Renzo mio, quest’avventura tardiva mi sta portando una serie di sensazioni dimenticate; tu che come me hai lavorato tanti anni in una struttura piramidale sai bene che far parte di una selezione, concorrere a qualcosa, partecipare a una competizione sono cose che hanno un senso tutto diverso da quello che avevano quando eravamo ragazzi. Non mi sembra di partecipare direttamente: mi sento piuttosto come quando si va a guardare la gara di un figlio, temendo che non sia all’altezza ma per lui, per la delusione cui andrebbe incontro.
Il povero Ricciardi non è simpatico; non è particolarmente acuto, non ha doti di spiccata comunicativa. Non è un tombeur de femmes, nè è abituato a bere Martini agitati e non mescolati. Non ha i baffi e la pipa, nè naviga per i bassifondi di Quarto Oggiaro come il meraviglioso protagonista di Gianni Biondillo (il mio preferito).
Mi auguro che non si senta troppo a disagio, in una competizione in cui capita per caso. In ogni caso il suo papà è fiero di lui.
@ Maurizio
la storia ha la precedenza, quindi. credo di essere d’accordo. Ho sempre il desiderio di trovare belle storie con buona scrittura ma, quando non fosse possibile, la storia ha la precedenza. Infatti, se un libro è supportato da buona scrittura, e penso a tanti che ho letto e non terminato, ma la storia è carente, lo abbandono. Viceversa ad una buona storia posso perdonare una scrittura meno bella.
Morena, condivido pienamente. Rispetto quelli che rimangono affascinati dalla bellezza della penna, che seguono l’onda del meraviglioso suono di una scrittura fino alla fine del libro; e, riferendomi al giallo e al noir, si fanno prendere dalla trascrizione di un dialetto, come è il caso di Camilleri per Montalbano. Per quanto mi riguarda alla lunga la sola scrittura mi stanca, come una torta fatta di sola panna, che perde attrattiva a ogni cucchiaiata.
Per quanto mi riguarda il bello dello scrivere è proprio scoprire quello che succede ai miei personaggi, di cui conosco il destino solo a grandi linee: ho detto qualche volta che a me capita come un ragazzino che carica i propri giocattoli a corda e li mette sul pavimento: sa che si muoveranno, ma mai dove andranno. E come e quando si scontreranno fra loro.
ecco, parliamo dei personaggi. Quando hai pensato per la prima volta al tuo commissario Ricciardi, avevi idea di come sarebbe stato? Di cosa avrebbe fatto? O è stata solo una visione e poi lui ha fatto il resto?
Guardavo fuori la vetrata del Gambrinus, mentre il cursore lampeggiava sullo schermo bianco. Mi chiedevo cosa ci facevo là, mentre i giurati di cui amavo i libri (Carofiglio, Evangelisti, Lucarelli) chiacchieravano annoiati e ipernutriti dalla Porsche che aveva organizzato splendidamente il concorso.
Passò questa bambina, la faccia seria come se stesse valutando l’impossibilità di risolvere i problemi dell’universo. Mi guardò in cagnesco.
Io mi chiesi come poteva essere vivere avendo la prerogativa di sentire chiaramente il dolore, come se fosse esplicito, come una voce.
E pensai al dolore dei dolori, quello del distacco improvviso dalla vita, dagli amori, del morto ammazzato. E cominciai a scrivere.
Ancora adesso penso di scrivere fondamentalmente sotto dettatura, come se Ricciardi da una sua dimensione mi raccontasse quello che gli succede, e il dolore che vive.
Gli intrecci nascono così, come conseguenza di se stessi. Io immagino il cadavere: e mi chiedo chi l’ha ucciso, e perchè. E come i segni invece possano portare ad altre strade, ad altri colpevoli.
E’ molto più semplice di come si potrebbe pensare, insomma.
Confesso la mia ignoranza, non ho letto il libro in questione, anzi per l’appunto ignoravo persino l’esistenza di questo autore che ho imparato ad apprezzare per via indiretta da questi commenti e recensioni.
Colmerò senz’altro la mia lacuna perchè mi avete messo addosso una gran curiosità.
Per quanto riguarda l’uccidere per fame o per amore, ritengo che è più probabile si uccida per fame di amore.
L’amore, ammesso che esista, dovrebbe essere quel sentimento puro che ci spinge verso qualcosa o qualcuno volendone il bene.
Invece spesso è il bisogno teorico d’amore che conduce verso la ricerca e poi l’urgenza e infine l’ossessione. Dove l’oggetto amato è un inciso, un male necessario che transita la voglia di trovarsi al centro di un sentimento con l’ansia di esserne ricambiato.
Un saluto e un grazie a chi anima questa splendida rubrica.
@Mavie
Grazie per le belle parole e per la curiosità: mi faccio personalmente carico della restituzione dell’importo stanziato ove il prodotto non piacesse, cosa ahimè più probabile di quanto emerga dalle belle cose dette dai miei amici.
Scherzi a parte, mi piacerebbe sapere che ne pensi, e come te tutti naturalmente: la mia mail è maurizio.degiovanni@alice.it .
Molto interessante quello che dici circa l’insorgere dell’ossessione; è verissimo, e credo che insieme all’impulso (che ha descritto Giovanni Zucca più su) sia la principale occasione del delitto. Mi chiedo, e ti chiedo: quando l’amore diventa desiderio di possesso? Il mio Ricciardi, proprio perchè ama Enrica, le impone la sua assenza. Al contrario di quello che accade di solito, credo. O no?
@ Maurizio
Senz’altro, non appena leggerò il libro sarà mia cura farti sapere cosa ne penso, dato che al di là del valore “oggettivo” o “letterario” del mio commento penso sia importantissima l’interazione tra la pagina scritta e la pagina letta. Ed in questo è fondamentale il parere di tutti e di ciascuno.
Per il resto, credo che il desiderio di possesso nasca nell’attimo stesso in cui i nostri pensieri e i nostri desideri si rivolgono verso qualcosa o qualcuno che sia una persona o un’idea non importa.
Il possesso è dentro la natura conservativa dell’essere umano e diventa ossessione quando decidiamo non per l’altro, ma in vece dell’altro, secondo nostri personali bisogni travestiti da sentimento.
Commissa’, scusate,
io sono rimasto giù al palazzo ad aspettarvi e non vedendovi scendere sono salito io. Spero che non vi arrabbiate, ma io qualcosa da dire ai vostri amici di lettere ce l’avrei. Ora dovrei tornare a casa, sapete bene quando mi sia più lieve tornarci da un po’ di tempo, e gli spaghetti al pomodoro fumano già da tempo.
E’ inutile che vi inviti: e quando mangiate voi!
Tornerò in serata a prendervi per accompagnarvi a casa, sta’ cominciando l’autunno, e fa buio più in fretta.
Maione
Ciao, Raffaele. Hai fatto bene ad avviarti, anche perchè io e te sappiamo bene che quest’estate hai fatto una bella cura dimagrante, e chi ha voglia di sapere com’è andata deve aspettare che esca il terzo romanzo.
E hai proprio ragione: sta cominciando l’autunno, il profumo dell’aria è più umido e entra nelle ossa.
Così è l’autunno, in questa città. Entra nelle ossa e nell’anima, senza passare dalla pelle.
Buona serata, vecchio e carissimo amico. E abbraccia per me i tuoi sogni.
@l commissario Ricciardi
Caro commissario, l’amore è sempre possesso, l’amore è fatto di carne e sangue, di lacrime e battiti del cuore che rimbombano nella testa… Come puoi accontentarti di guardare Enrica dalla finestra se è lei la donna della tua vita? E’ ingiusto che tu le imponga la tua assenza, e la costringa ad aspettarti in eterno… Anche perchè potrebbe avvicinarsi qualcuno a lei, magari presentato da genitori impazienti di vederla sistemata… e l’avresti persa per sempre..
@ Carlo S.
Anche io faccio il tifo per Enrica e per il commissario, mi piace la quieta determinazione di Enrica, quel suo non essere bella, quei suoi tratti fisici e caratteriali così distinti, così… veri. Enrica ha quasi sempre la finestra aperta, a volte la chiude per rabbia o per paura, credo. Ma lei è molto umana, anche nelle sue debolezze.
Caro Maurizio, non è vero ti servi della scrittura solo per raccontare storie.Hai uno stile, una voce; questo, nella scrittura, è tutto. La tua pagina si riconosce.Se firmassi un prossimo romanzo come Caio Simpronio, io sono certa che, leggendolo, mi direi: ma dai!questo Caiosimpronio è Maurizio, a chi la vuole dare a bere? E parlare di”giallo” sminuisce un lavoro che ha i chiaroscuri di una Napoli che non scade mai nella facile oleografia, che parla di amore e odio, di dolore e di tenerezza, che discende da lombi augusti come quelli di Mastriani o della Serao, eleborando tuttavia un dettato moderno di sentimenti e pulsioni .Aspettando le prossime avventure di Ricciardi….
Cara signora Enrica
l’attesa che si ricolma di sogni mi somiglia.
La finestra che si apre sui passanti. La testa china (lei sul ricamo…io su un libro).
Però…è difficile sopportare la solitudine di quell’attesa.
E i sogni a volte la solcano di più. La rendono simile a quel suo ricamo…infinito.
Cara Enrica. Ogni tanto, quando il commissario passa, accenni più che un saluto. Gli mandi un bacio con la mano. Lo inviti a entrare.
Forse non aspetta altro.
Le parole di Antonella del Giudice mi riempiono di orgoglio e gratitutdine. Antonella è la straordinaria scrittrice de “L’acquario dei cattivi” per Alet e de “L’ultima papessa” per Avagliano, una delle migliori voci della nuova scrittura di questa città.
Se mi posso permettere, vestendo i panni del lettore bulimico e inveterato, consiglio a tutti di leggere quello che scrive: è uno di quei casi in cui la lettura lascia sull’anima una cicatrice di quelle che abbelliscono, e che non va più via. Essere letti da lei è un’onoreficenza.
Grazie, anche da parte di Ricciardi.
caro de giovanni
scusa il ritardo ma sono giorni strani e faticosi.
il secondo libro non l’ho ancora letto, ti confesserò.
se ci riesco in settimana faccio una scappata in libreria. il primo è bello proprio, e più bello del libro è ricciardi, gran personaggio senza dubbio.
si uccide per fame o per amore, dice lui.
non solo, non più.
si uccide anche per noia, per un capriccio da bambino frustrato e mai cresciuto, per incoscienza, per sentirsi qualcuno, per incapacità di distinguere realtà e fantasia, perché non pensavo che morisse volevo solo dargli una lezione, perché si è morti dentro, per le proprie ossessioni, per egoismo, per altruismo e tante altre ragioni.
anche per cattiveria e basta, a volte.
Cara signora Simona, e chi vi dice che la mia sia un’attesa di solitudine? Ricamo il corredo che so che userò, è questione di tempo. Non ho bisogno di incoraggiare, io so che lui sa. Aspetto solo che faccia il suo percorso, che trovi la sua decisione.
Muovere il ramo significherebbe prendere un frutto ancora acerbo; non pensate che sia meglio aspettare che decida di cadere da solo?
Ricordate forse i natali di bambina: cos’era più bello, aspettare la notte coi regali o trovarsi davanti a un pacchetto già scartato?
Con affetto, vostra Enrica.
Cara Gea, buonasera a te. Spero che il periodo sia concitato per cose belle. E spero che il tuo libraio greco (ricordo bene?) mi consenta di essere letto anche per il secondo libro, e di avere il tuo giudizio.
Si uccide per altri motivi, oggi, è vero. L’essere umano sta tirando fuori veramente il peggio, in un contesto atroce: del passato ci portiamo dietro le peggiori assurdità, la religione, il fanatismo. E non credo che Ricciardi comprenderebbe un ragazzo finlandese che prima fa una recita su youtube e poi va ad ammazzare compagni di scuola e professori.
Sono contento di scrivere degli anni trenta: non so immaginarmi giallista contemporaneo.
E’ un mio grave limite: ma è anche uno dei benefici di essere diventato scrittore a cinquant’anni. Non devo evolvere.
due spunti di ulteriore riflessione per didò maurizio e cricca allegata…..
e se fame fosse all’inglese? alias potere
e se amore… fosse utopia di libertà e affascinazione per una città?
@Giulio
Sono d’accordo. La fame e l’amore sono due semplificazioni, la riduzione a radice di tutte le perversioni dell’animo umano nel vivere sociale. Anzi, forse sono ulteriormente riducibili a una sola: il desiderio di possesso.
E quindi il sommo egoismo della sottrazione a un altro di qualcosa che lui ha, e che invece voglio per me. Ora.
E che per avere sarei disposto a uccidere.
Un’altra domanda, a tutti quelli che hanno avuto la pazienza di leggere uno dei libri o tutti e due: voi da quale attore contemporaneo vedreste interpretato Ricciardi? E Enrica, e Maione?
Sono molto curioso di leggere le vostre risposte.
@ Maurizio De Giovanni
Sono d’accordo con te: la fame e l’amore sono determinanti nel compiere un delitto.
Mi permetto a questo punto di chiederti cosa ne pensi della famosa frase pronunciata dalla mafia e cioè “Cumannari è megghiu di futtiri” (comandare è meglio di un rapporto sessuale).
Secondo te, se nel primo caso la fame e l’amore sono moventi dell’istinto che concordano con l ‘impulso, nel secondo caso le premeditazioni omicide non fanno parte di qualcosa di raccapriciante compresa la spasmodica sete di potere ….?
Grazie
Rossella
@rossella
non solo la mafia ma anche a napoli comunemente si dice
“‘o cumannà è meglje do’ fottere!!”
senza dimenticare l’andreottiano pensiero… il potere logora chi non ce l’ha.
e poi usiamo le parole per quello che sono certe traslitterazioni sono ridicole!
Giannini sarebbe l’ideale per Ricciardi; peccato che sia un po’ in là con gli anni. Va bene anche Servillo.
Abatantuono pure lo vedo come Maione, oppure anche Mezzogiorno.
Per Enrica non è facile, ma penso che Isabella Ferrari sarebbe nella parte.
un’altra considerazione su napoli il potere e l’amore…. l’ha fatta uno scrittore marocchino Tan Ben Jellon (spero di ricordare bene il suo nome nel caso perdonatemi)
il romanzo si chiama L’Albergo dei poveri, più che un romanzo è un’esperienza. puro ossigeno per la mente!!!
non l’avessi letto sarei più povero.
l’amore come sentimento di evoluzione (per la crescita culturale) e di involuzione (per lo stagnare di certi rapporti.
la fame come motore di unione di anime perse nella nostra città, di emarginati che il margine non riesce ad uccidere,
il potere di chi vivianescamente “tene ‘a rota ‘e stu munno mmano… e a fà girà… accussì… accussì… e accussì!!!
ma nonostante tutto non riesce a distruggere il potere dell’anima, dell’utopia del vivere.
perchè vivere è più difficile del respirare
@maurizio
per il cast, le proposte di renzo a parte giannini non mi trovano d’accordo… (vittorio mezzogiorno poi è morto 20 anni fa circa)
un attore minimalista quello ci vuole
uno che recitativamente parlando pensa alla sottrazione, uno comune ma non qualunque, mi piacerebbe giulio scarpati.
Mezzogiorno morto? Lo ignoravo.
azzz so almeno vent’anni
mi trovo in grande imabarazzo perchè non ho letto il libro
lessi soltanto il senso del dolore e mi colpi molto ‘idea del commissario che “vede i morti”… trovai anche affascinanti le atmosfere a me assolutamente sconosciute, quindi non so se rispecchiavano o meno una realtà..
io credo che sia esatto la cosa che dice che si uccide per fame e per amore..
per fame di potere, per fame di soldi, di successo..di.di… la fame insaziabile non è di solo pane
e poi per amore…sempre dì…
Ricciardi lo vedo piccolo e mingherlino. Silvio Orlando sarebbe perfetto nella parte (sa essere determinato e al contempo timido e impacciato), a patto di dimagrire un bel po’ e di mettersi lenti a contatto verdi. Il Il Giannini proposto da Renzo Montagnoli è effettivamente fuori quota. Servillo è già meglio. Forse pure un Antonio Albanese.
Per Enrica la Ferrari è anch’ella ormai attempatella. Ci vedrei anche la Buy, ma gli anni corrono anche per lei. Bisognerebbe trovare una più giovane, ma non mi viene in mente.
Maione/Abatantuono proprio non lo vedo. Forse meglio un Antonio Catania.
Mezzogiorno è morto nel 1994, poveraccio.
Vittorio Mezzogiorno in effetti confermo sia morto da 20 anni. La figlia Giovanna tutt’al più potrebbe essere una candidata Enrica, a patto di rendersi meno bella di quel che è.
Per Enrica avevo pensato anch’io a Giovanna Mezzogiorno…Per il commissario
e per Maione non saprei…Servillo non ce lo vedo, nella parte di Ricciardi…
Milvia
Perdonatemi, sono fuori, ma sugli attori bhe…qualcuno ha dimenticato che c’è ancora in giro un Gassman, e col ricciolo nero.
Poi c’è la ragazzina emergente delle fiction, o la bobulova.
Giannini si, ma vestito da Maione.
A più tardi.
Salute Signori,
sono di nuovo Maione. Ero passato per controllare a che punto fosse la chiacchierata del commissario e, fors’anche per vedere come stava.
Penso che si sia capito che il dottor Ricciardi è un pezzo del mio figlio che non ho più, che il solo vederlo mi allevia mille tormenti.
Ringrazio de Giovanni che, dopo avermi circondato di dolore, mi ha inventato una speranza, costruendo questo nostro affetto reciproco.
E’ una brava persona lo scrittore.
In questa primavera ha rimescolato il sangue di tutti, ha messo in movimento i cuori, compreso il mio e quello della mia diletta sposa. Ha reso possibile la scoperta del “sé,” nascosto in me, e poi la comprensione che “la mia chiave può aprire una sola serratura”.
* * * *
Sono davvero due bei libri, scritti bene. Comprateli, ve li consiglio. Le ambientazioni sono cultura nostra e anche se io di solito la snobbo proprio perchè vorrei un mondo apart dove ogni fantasia possa vivere senza vie e vicoli, ammiro questo scrittore per la sua ricerca storica, non cosa facile, lo garantisco. Non sono romanzi fatti su misura per far quadrare i conti di qualche editore (romanzi per “il popolo” così li chiamano gli editori) ma hanno un pensiero che sa andare oltre la storia. Leggeteli.
Un abbraccio a tutti.
Alessandro Cascio o come mi chiamano tutti “Oh, ma sempre la patta sbottonata c’hai?”
Bye
@Rossella
Conosco la locuzione, che come diceva Giulio esiste anche nel mio dialetto. Penso che sia la brama del potere che il cieco desiderio sessuale, per lo più maschile ahimè, siano assimilabili alla fame. I delitti di mafia mi terrorizzano, perché sono freddi e razionali: sono uccisioni disumane perché non hanno alcun aspetto animale.
Per quanto mi riguarda, comunque, e per quel che può valere, ovviamente non sono d’accordo.
@tutti
Il gioco degli attori è un gioco fino a un certo punto. Ricordate che l’editore è Fandango. Continuate con le vostre opinioni, vi prego: soprattutto Maione mi ostino a immaginarlo come Giacomo Furia, un grandissimo attore degli anni cinquanta (con Totò e Peppino nella Banda degli Onesti, il marito pizzaiolo della Loren ne L’oro di Napoli, etc.), e non riesco ad assimilarlo a un attore contemporaneo. E anche Enrica non riesco ad assimilarla ancora.
Grazie.
Rieccomi (non c’eri mancato Didò!),
risaluto tutti, compresa la co-conduttrice Laura.
…
Vedo con soddisfazione che il dibattito è stato egregiamente ravvivato da “de Giovanni”in prima persona (comprenderete perchè la riserva Zola dovette emigrare in Inghilterra, c’era sempre Maradona in campo!).
…
Deliziosa la gag del caro @Montagnoli, di cui ho apprezzato la bella recensione deGiovannea sul suo sito, sull’estinzione di Mezzogiorno: per un attimo ho creduto che scherzasse come Totò con la frase :”E’ morto Diocleziano? e quand’è morto? Gesù, come passa il tempo!”
…
Caro @Giulio,
io personalmente penso di avere gia risposto alla tua riflessione nel mio primo intervento: “Quali sono i moventi odierni del delitto oltre fame e amore: il potere?
La mafia assassina come nasce? Dalla ricerca del potere sicuramente, ma sostanzialmente dalla fame. Raramente si è sentito che la grande trimurti del crimine, Mafia, Ndrangheta e Camorra, abbiano pescato i loro soldati fuori dal liceo Mamiani: pescano nella fame, nella voglia di riscatto e d’amore, del mancato amore in cui si allevano queste belve.
…
@Rossella.
“Cumannari è megghiu chi futtiri” (@Zappulla, correggi) in napoletano è
” ‘o cumannà è meglje do’ fottere!!”, ma attenzione! Mentre in siciliano posso, per ignoranza, far passare la traduzione, in lingua napoletana “fottere” è anche mangiare, quindi il potere può riempirti più del cibo, saziarti, è questa la vera sfida del crimine post-novecentesco, il potere.
…
Sopra ho parlato di “Lingua Napoletana”, non di dialetto. Fu infatti un mio conterraneo Giovan Battista Basile, da Giugliano in Campania (una città vicino Napoli) a darle dignità di lingua con l’invenzione della “Fiaba”(di cui furono continuatori Perrault e i Fratelli Grimm).
Questo per giustificare il lieve errore di traduzione della simpatica@Lory che ha scritto: “ACCATTATEVILLO! in vece di ACCATTATAVILLO.
La voce di Lory è una distorsione di ACCATTATAVELLE, plurale femminile: “Compratele”.
Ringrazio tutti per i nuovi commenti.
E poi consentitemi di dare il benvenuto a due degli agli altri personaggi che fanno compagnia al commissario Ricciardi: Enrica e il brigadiere Maione (quest’ultimo interpretato dal nostro Didò).
Un saluto ad Antonella Del Giudice.
Avevamo avuto modo di parlare del suo “L’acquario dei cattivi” qui:
http://letteratitudine.blog.kataweb.it/2008/07/01/lacquario-dei-cattivi-incontro-con-antonella-del-giudice/
Al commissario Ricciardi.
–
A proposito di Maione, caro commissario, dovete ammettere che il suo supporto è essenziale. Anche perché… diciamo la verità, non è che ai vostri colleghi e sottoposti della Regia Pubblica Sicurezza state proprio simpatico!
Peraltro siete legato a Maione per via di un toccante aneddoto che ha coinvolto il giovane Luca, figlio del brigadiere.
Vi va di raccontarcelo?
Grande Maugeri, bentornato!
Per fortuna la mia dissociazione psicologica è mitigata ogni tanto dalla tua presenza eterea.
…
Questo post si è accavallato con la terrificante decisione della casa Editrice Centautori di pubblicare una mia antologia di racconti, con la conseguente perdita di tempo prezioso del suo direttore editoriale Pino Imperatore che, anche per questo motivo, è entrato in crisi depressiva e rifiuta qualsiasi approccio con un pc che citi la mia presenza e, per questo motivo non partecipa al dibattito sul tomo del buon Maurizio, ma dal suo letto di consunzione legge i post e li declama in pugliese stretto alla sua infermiera moldava.
Didò, ti faccio eterei e anticipati in bocca al lupo per questa tua raccolta di racconti.
Facci sapere!
E manda tanti affettuosi saluti all’Imperatore.
… gia’: che fine ha fatto Pino Imperatore-Centoautore? Qui se ne reclama la presenza!
Salutoni a tutti da un traduttore iperimpegnato
Caro Maione,
ha proprio ragione, perchè “dopo” è venuta in mente anche a me la frase di Totò.
Però, ripensandoci, il voler trovare attori che assomiglino a a Lei e agli altri personaggi è estremamente difficile e allora credo che produttore e regista finiranno con il preferire interpreti di qualità, che è poi quel che conta. Del resto, fra i tanti attori che hanno interpretato Napoleone non ce n’è stato uno che gli somigliasse, e lo stesso dicasi per Hitler.
Spero vivamente in una trasposizione cinematografica o televisiva, perchè i romanzi lo meritano.
Buona giornata e buona caccia ai delinquenti.
@Sergio Sozi,
dammi ancora qualche ora per risponderti su quel brano in privato.
…
Per quanto riguardo “PINO IMPERATORE”, rispondo da umile palafraniere per la sua assenza.
PINO è: Scrittore, Direttore editoriale di Centoautori, direttore del settore “Grandi Eventi” del comune di Napoli, condirettore del Laboratorio di scrittura umoristica Campanile e altro. Se ogni tanto trova il tempo per baciare le sue figlie e la moglie e per andare a letto “è tutto grasso che cola”, perciò manda i saluti a tutti e si riserva di inviare una sua foto truccato da Houdini.
Ho trovato questo luminoso assunto di Moravia, penso possa contribuire al dibattito di oggi:
“Non tutti i delitti hanno riflessi sociali. […] Ma ci sono delitti, invece, in cui tutto è sociale, dall’arma usata all’ambiente fisico, dai caratteri dei protagonisti al loro modo di vita, tutto, perfino il dolore, perfino il peccato, perfino la riparazione, perfino il pentimento. (Alberto Moravia) ”
…
…e anche: ” Uccidere è proibito, quindi tutti gli assassini vengono puniti, a meno che non uccidano su larga scala e al suono delle trombe. (Voltaire)
Il rapporto con Maione è uno dei più forti della mia vita, anche se non ho molte amicizie. Ed è vero, caro Massimo, che non sono ben visto: dicono addirittura che porto male, fanno le corna quando passo, credono che non me ne accorga; ma la verità è che non me ne importa proprio niente. A portare male è l’odio, e io non odio nessuno.
Tre anni fa uccisero Luca, il figlio di Maione. All’epoca non avevamo rapporti, io lavoravo in un’altra sezione. Mi fu affidata l’indagine, andai sul posto: l’immagine del ragazzo chiamava il padre, gli diceva che gli voleva bene, mentre il sangue e la vita gli scappavano dalla coltellata che aveva avuto nella schiena.
Non parlo mai del Fatto, lo sapete: non mi piace nemmeno pensarci. Ma quella volta l’ho voluto dire, a quel padre disperato. Gliel’ho voluto dare l’ultimo saluto, da parte del figlio. E lui ha capito, è un’anima semplice che non si fa troppe domande.
Da allora lavoriamo insieme. E ci capiamo senza troppe parole.
Ah: l’assassino alla fine l’abbiamo trovato. E Maione lo teneva sotto mano, con una pistola in mano: c’eravamo solo io e lui, lo poteva ammazzare fingendo di doversi difendere. Io non avrei detto niente a nessuno. Invece gli ha messo le manette, guardandolo negli occhi, e ha girato le spalle.
E’ un grande uomo, Raffaele Maione.
Devo ancora una risposta, riguardo Enrica.
Io chiedo a voi notizie dell’amore. Mi dite che è il massimo affetto, che si mette una persona su un piedistallo, che si vive in funzione di chi si ama. E poi uccidete orribilmente, scannate, distruggete o vi ammazzate voi stessi, dilaniati da una mortale sofferenza prima ancora di morire. Mi pare un po’ contraddittorio.
Che fareste se vi rendeste conto finalmente, dopo una lunga battaglia contro il bisogno che sentite nel corpo e nell’anima, di costituire per chi amate la prospettiva dell’infelicità? O si ama o non si ama, dico io. Se si ama, allora si prende coscienza che questa persona da voi può avere solo sofferenza. E si sta in disparte, magari a una finestra.
A combattere col desiderio che brucia da dentro.
Ma così almeno soffre solo uno.
No caro commissario, non soffre uno solo, soffrono lo stesso tutti e due.
E’ casomai una sofferenza più bella, più poetica, ricca di aspettative e forse di illusioni rispetto ad una sofferenza quotidiana fatta di infelicità, di aspettative disattese, forse di incomprensioni.
Ma si legga Simenon, caro commissario (le prime inchieste del suo Commissario dovrebbero essere già state pubblicate ai suoi tempi, non so se anche in italiano): la signora Magrait è una signorina Colombo un pò attempatella che ha saputo convivere in qualche modo con tutto questo. Non so se sia stata una donna felice, forse no. Ma ha saputo accettare questa situazione in un ruolo marginale ma in qualche modo essenziale nella vita del marito, accettando la vita, la sua vita e quella del suo consorte, per quello che è.
Di certo lei, commissario Ricciardi, è un uomo più contorto e tormentato del più solido suo collega francese; il “suo” senso del dolore è più vivido e lacerante, ma avete la medesima sensibilità per le povere umane cose.
La saluto con stima, ed anche affetto.
@Maurizio De Giovanni
Lo so che tu lo hai letto Simenon, caro Maurizio, ne sono certo; ma, come vedi sopra, fallo leggere anche al tuo Luigi Alfredo.
🙂
Gulp! 132 commenti, non posso leggerli tutti.
Prima di ogni cosa, BENTORNATO MASSIMO! 🙂
Poi complimenti a Laura per l’intervista e per l’ottima recensione, e…Didò, Didò, complimenti anche a te e grazie per avermi fatto conoscere il commissario Ricciardi. Me ne parlasti tu per primo, ricordi? Ne sono rimasta affascinata. Leggerò anche questo nuovo capitolo e ti dirò. Credo che non ne rimarrò delusa.
Un saluto a Maurizio De Giovanni.
Silvia
Mio caro Carlo, nulla desidererei di più di un quotidiano normale. E’ proprio quello che all’inizio guardavo dalla finestra, prima ancora di rimanere irretito dal dolce movimento della mano mancina di Enrica: osservavo lo svolgersi di una vita qualunque, in una casa qualunque di una famiglia qualunque.
E niente più mi piacerebbe di poter discutere con una donna di tutte le incombenze di una famiglia, degli ostacoli da superare in due, dei figli.
Ma io cammino in mezzo alla sofferenza, caro Carlo. Non posso come fate voi tenerla in un angolo, e inciamparci solo quando è strettamente necessario. Non riesco a escluderla, a tenerla ai margini: viene lei da me, quando decide, e mi investe portando spruzzi di sangue e dolore anche in momenti senza pensieri.
Come potrei sembrare solo pensieroso, magari con una pipa e un tè come il vostro poliziotto francese? E cosa leggerebbe dentro di me una compagna, magari pensando che ho un’altra in mente?
La strada di Letteratitudine è lastricata di brava gente, a quanto vedo.
La ricerca affannosa di tutti gli amici, di una soluzione affettiva per Ricciardi, foss’anche diversa ma impossibile, da Enrica, denota il nostro buonismo, meglio, la nostra bontà.
Si vuole il lieto fine.
L’avrei voluto io, stamattina, quando ho finito “Un giorno perfetto” della Mazzucco. Forse non c’è, in nessun posto dell’universo.
Il “lieto fine” e un buon momento della storia di ognuno, un periodo “tra”; la morte, fine biologica, lo potrebbe essere per chi ha il dono della fede.
Nelle lettere un finale sereno è raro e spesso sorprendente, se Maurizio riesce a darcelo allora supererà uno dei primi gradini della gloria.
(Cosa avrò mangiato stamattina per dire simili cose?)
didò te si fatta ‘na genovese e Tonia!!!
Un caro saluto anche a te,Massimo. Letteratitudine è sempre una passeggiata salubre nel mondo delle lettere.
Caro Maurizio, sei sempre cortesissimo; ma, bada, che io dico quel che penso, soprattutto se si parla di letteratura, e non faccio i complimenti a nessuno 8 qualcuno per questo me ne vuole).Aspetto al varco Ricciardi, certa che però non si smentirà.E magari riuscirà a condividere con Enrica il suo dolore e ad alleviarlo amando. Non so chi lo dicesse, ma era una frase che spesso il mio papà citava: non dare all’uomo niente, ma togli a lui qualcosa e aiutalo a portarla. A presto.
Grazie ancora a te, Antonella. Anch’io preferisco tacere se non ho niente di buono da dire: grazie a Dio non faccio il critico.
Quello che mi pesa, e ne ho parlato anche con l’amico Renzo, è il dover scrivere solo nel tempo che il lavoro mi lascia: questo comporta che la scrittura a volte non è omogenea per differenti disposizioni di spirito o stanchezza, e devo tornare sui periodi e rivederli. Quanto mi piacerebbe, fratelli, poter solo scrivere come nei paesi civili del mondo, in cui uno scrittore fa un mestiere come un altro!
Noi invece dobbiamo sperare di diventare uno dei quattro o cinque che superano le centomila copie, e vendono racconti ai periodici e li pagano per conferenze e partecipazioni televisive…
Massimo, Maurizio e @a tutti,
scopro ora che quello che si firma Giulio, oltre ad essere il mio cugino prediletto (cosa deprimente per lui e oltremodo deleteria) e un campione di umiltà peggio di deGiovanni, si tratta infatti di Giuliano D’Alterio, solido intellettuale napoletano, esperto di teatro e direttore della prestigiosa Compagnia degli Ipocriti.
Un saluto affettuoso
Corpo di Woland!
Siete tutti a cena o si è bloccato il server?
tanto per dire, ma senza ripetere i nomi ché tanto li ho messi sul giornale. tempo fa parlai con un pentito della banda della Magliana e, tra l’altro, accennai con lui all’omicidio di Tizio. Episodio avvenuto a metà degli anni 80, quindi è lecito non ricordare alla perfezione. dissi: “Tizio lo ammazzò Caio, no?”.
La risposta del pentito fu: “ah no no no, nun scrivemo cazzate pe’ l’amor di Dio! Tizio l’ho ammazzato io personalmente perché era ‘ninfame. Altro che Caio!. Quello stava seduto su ‘na sedia. Io j’ho girato ‘ntorno e….POH! ‘na rivorverata ‘n testa e vaffanculo!”
Embè ognuno ha i suoi principi, no?
@ Enrico
Grazie per l’aneddoto.
Scommetto che il pentito dai sani principii si chiamava Sempronio… n’est pas?
😉
Mi piacerebbe che intervenissero altri due personaggi del mondo di Ricciardi: il dottor Modo e il vice questore Garzo.
Al dottor Modo.
–
Egregio dottore, voi siete un medico legale eccellente. Lo avete dimostrato. E lavorate spesso con Ricciardi.
Diteci, sinceramente… cosa pensate di lui?
Al vice questore Garzo
–
Egregio vice questore,
sono tempi strani, certo. Bisogna fare contenti il Duce e gli amici suoi… non metto in dubbio.
So che il commissario Ricciardi non vi piace molto (anche se ammetterete che è molto utile).
Cosa potete dirci di lui?
e biancaneve no?
Biancaneve sarà tra i personaggi del prossimo libro.
A tempo debito chiameremo in causa anche lei.
Egregio dottor Maugeri,
lei si deve rendere conto che certi ruoli non si vincono alla lotteria ma sono frutto di lavoro, se non fisico, cerebrale. Sarebbe facile fare illazioni su come si arriva ad incarichi così importanti senza intelligenza, non crede?
Io sono stato commissario come Ricciardi: avrò avuto dei successi per arrivare all’incarico di vice-questore? O lei pensa che, nel periodo così bigotto come quello del ventennio sia bastato portare mia moglie alle feste?
No, dottore,
così andava ai miei tempi, tutti si “adeguavano”, Ricciardi no, perchè non ne aveva bisogno, perchè era un nobile che per vezzo o per miseria psichica andava controcorrente, un corpo estraneo.
Quanti docenti universitari non presero la “tessera”, un numero esiguo si ricorda (come memore storico, la sua età non glielo consentirebbe)?
La sua fortuna/sfortuna glielo consentiva. Se solo avesse voluto sarebbe stato prefetto, viste le sue condizioni d’agiatezza.
Vorrei che si comprendesse la mia posizione.
Mi chiedete di Ricciardi, il fosco Ricciardi, il principe delle tenebre. Mi diverto a sfotterlo, quando capita; tutti ne hanno timore, dicono che porta male, gli altri poliziotti non ci lavorano volentieri. Invece a me piace.
Mi piace perchè è ironico. Nasconde sotto quella mezza smorfia che contrabbanda per sorriso, e che vedo solo io, un gran bel senso dell’umorismo.
Io sono abituato ad avere a che fare coi morti, col mio mestiere. E lui pure. Avere qualcosa in comune aiuta, no? Solo che io non voglio avere niente a che fare con questi quattro buffoni col fiocchetto sul cappello e gli stivaloni, lui invece li fiancheggia facendo il poliziotto.
A parte questo, quando si tratta di farsi una birra Ricciardi è una buona compagnia.
@per didò, maurizio e gli altri amici
sgamato da didò!!! essergli cugino è un carico pesante…. (non fosse altro che per la mia stazza confrontata alla sua) e poi intellettuale io? napoletano si ma intellettuale no!!! ch’ brutta malatia!!!un caro saluto….
scusate avevo dimenticato di firmare il commento precedente
Salve!
Volevo salutare Maurizio De Giovanni, che conosco indirettamente perché me ne ha parlato Francesco Costa… E poi anche tramite il concorso letterario della Porsche. Alla finale di quest’anno ho conosciuto un ragazzo che ha partecipato insieme a lui ad una delle tappe, credo di Tiro rapido, la versione “gialla” del concorso…
Io amo i gialli, da sempre. Avrei anche la velleità di scriverne uno. Sono ancora a una quarantina di pagine…
I delitti hanno come movente secondo me la parte oscura che si nasconde in ognuno di noi: le pulsioni inconfessabili, le paure profonde, i nodi irrisolti che ci portiamo dentro.
@Maria Lucia
Benvenuta, carissima. Spero che Francesco, raffinatissimo scrittore e persona stupenda, ti abbia parlato del sottoscritto in termini positivi: mi piacerebbe molto se leggessi, da innamorata del genere, i miei due romanzi e mi facessi avere un giudizio (indirizzo mail in precedenza nel post). Sono d’accordo con te: il germe del delitto dormicchia acquattato dentro ognuno di noi, pronto a svegliarsi e a mordere.
@giulio
La conoscenza di Didò ti cambia per sempre, lo so bene. Figurati esserne addirittura il cugino… In realtà è un ragazzo eccezionale e anche uno scrittore straordinario. Sto cercando di convincerlo ormai da due anni a scrivere qualcosa di non umoristico, ha una incantata nota dolente nell’anima che è come un filone d’oro nascosto. Prima o poi ce la farò.
@Maurizio de Giovanni
Anche secondo me Didò sarebbe in grado di scrivere benissimo anche al di fuori del filone umoristico. Non per sminuire il valore del comico, ma forse sarebbe anche più grande. E’ una persona di grande sensibilità e dici bene quando asserisci che lui “ha una nota dolente nell’anima che è come un filone d’oro nascosto”. Ne sono convinto anch’io.
Spero proprio tu ce la faccia a convincere lui.
Forse si è già scoperto: bisogna farlo mangiare pesante la mattina.
(Per es. friggitelli a colazione?)
@Carlo
Non “quella” nota dolente! E poi, farlo mangiare pesante la mattina trasferirebbe la nota dolente sull’incolpevole famiglia, soprattutto su quella Santa della moglie che ho l’onore di conoscere e che lo ha sposato in virtù di un voto alla Madonna (“se mia madre guarisce, sposo l’autista del primo autobus che passa…”).
Oops…com’è che siete andati pesantemente su di me?
@Carlo’s, brutto terrorista dell’affetto, la sai l’ultima?
Illo tempore partecipai ad un concorso napoletano bandito dalla casa editrice Albus e dalla sede napoletana di Mondadori/Edicolè.
Partecipo anche alla descrizione delle corse nei sacchi alle feste dell’Umiltà, quindi…Vabbuò.
Mi chiamano: “Egregio Didò lei è tra i dieci finalisti”, guardo la lista, tazzo c’è un omonimo di Maurizio…si dev’essere un omonimo…ma il “de” è scritto in minuscolo, naaha! Sarà un errore.
“Pronto? Maurì? Non mi dire che hai partecipato al concorso…?”
“Si, certo, dai ci divertiamo…!
Capite un po’ tutti che razza di Papa Celestino è questo de Giovanni?
Uno che sta tra i cento libri più venduti dell’anno, partecipa umilmente ai concorsi. Ed era la prima volta che scrivevo una storia non umoristica: va’ a ffà la persona seria per una volta, non mi vengono bene neanche le zeppole!
Ma dico io! 30 anni fa partecipai ad una selezione Rai per speaker radiofonico, non mi trovai tra i candidati 5/6 tra le migliori attuali voci della Rai di oggi (mi sembra ci fosse anche Carlo Massarini)?
Il romanzo “la condanna del sangue” di Maurizio de Giovanni è in lizza per il PREMIO SCERBANENCO 2008. Se volete votarlo, potete farlo cliccando qui: http://www.noirfest.com/cerba.asp
http://forum.corriere.it/agatha-christie/01-08-2011/lecclesiaste-limitatio-christi-e-corpi-al-sole-1851832.html
Ecco la mia recensione di “Corpi al sole”, che ha vinto la terza puntata del concorso indetto da “Il Corriere della sera” sulla regina del giallo e i suoi mitici personaggi – Miss Marple, Hercule Poirot, Tommy e Tuppence…
Vi ricordo l’uscita del Giallo Mondadori “Carabinieri in giallo 4”, antologia che contiene il mio racconto DOSSIER PINOCCHIO, vincitore del concorso indetto dall’Arma dei Carabinieri…
Ringrazio tutto lo staff della rivista “Il Carabiniere”, la giuria presieduta da Giancarlo De Cataldo e tutti i miei venticinque lettori…
Ecco il link al racconto…
http://www.carabinieri.it/Internet/Editoria/Carabiniere/2011/02-Febbraio/CarabinieriInGiallo/096-00.htm
E quello alla copertina del Giallo Mondadori… che trovate in edicola!
http://www.thrillermagazine.it/notizie/11320/
http://blog.librimondadori.it/blogs/ilgiallomondadori/2011/07/07/carabinieri-in-giallo-3035/