LA CUCCIA DEL FILOSOFO. Snoopy & Co. di Saverio Simonelli (Àncora)
Vorrei dedicare questa nuova puntata della rubrica “Graphic Novel e Fumetti” di Letteratitudine, a un libro che non è – in effetti – né una graphic novel né un fumetto, ma che offre un’ottima analisi saggistica su uno dei fumetti più popolari e amati di sempre: le strisce dei Peanuts create da Charles Schulz (1922- 2000). Stiamo parlando di un’opera a fumetti che, se da un lato riesce a farci sorridere di gusto, dall’altro spesse volte ci induce a riflettere su noi stessi e sulla nostra vita. Il libro in questione è stato scritto da Saverio Simonelli e si intitola “LA CUCCIA DEL FILOSOFO. Snoopy & Co.” (Àncora).
Ne parlo con Saverio nell’ambito di questa corposa intervista, che ci consente già di approfondire la nostra conoscenza di Schulz e della sua opera.
-Caro Saverio, da dove nasce il tuo interesse per Schulz e per i suoi personaggi?
I fumetti di Schulz li ho letti fin da bambino ma all’epoca mi sembravano curiosamente troppo “intellettuali”. Ci sono però tornato da genitore riscoprendone il portentoso potenziale simbolico e surreale quando ho iniziato a leggere le strisce incentrate su Snoopy al mio primo figlio. Nell’occasione visitammo la mostra dedicata a proprio al bracchetto a Roma nel 2002 e da quel momento il legame non si è più sciolto
-Che tipo di prospettive hai scelto per raccontare Schulz e i Peanuts nell’ambito di questo libro?
Partendo da quelle strisce che tra il comico e il surreale mi sembrava aprissero come degli squarci nel nostro vissuto, ma sempre all’insegna di un’ironia, per così dire, di tipo romantico, nel senso che ogni cosa, ogni evocazione, ogni simbolo appare per quanto giusto e espressivo, minimo al cospetto del senso infinito che riesce a esprimere. Per questo mi è stato possibile parlare di un cane filosofo, un ossimoro perfetto, capace di citare la Bibbia a suo uso e consumo, ma di svelare parentele insospettabili con autori del calibro di Beckett, Kafka, Musil.
-Vorrei approfittarne per consentire ai nostri lettori di saperne qualcosa di più su Schulz e sulle sue creature di carta. Raccontaci qualcosa su Schulz…
Schulz era un uomo dalla grande capacità creativa abbinata però ad un forte senso di sfiducia nella possibilità di farsi pienamente apprezzare dal mondo circostante, sentito profondamente come entità estranea al limite dell’ostilità. Cresciuto in una famiglia che lo aveva educato ad un quasi ascetico minimalismo nelle scelte di vita – il padre era barbiere, la mamma morì di cancro prima che il giovane partisse per il servizio militare – ha sempre creduto molto nei propri mezzi ma nel costante timore che in fondo alla sua strada creativa fosse in agguato la delusione, l’incomprensione. Un sentimento che non l’ha abbandonato neanche negli anni del successo planetario. Questi lati opposti del suo carattere si rispecchiano perfettamente nelle due figure cardine del suo immaginario. Charlie Brown, bambino tenerissimo e di grande sensibilità, ma votato a continue sconfitte che pure non ledono mai del tutto il suo istinto a riprovare e Snoopy, il guascone, il cane artista, il vincente, il leader carismatico di quel mondo, capace di interpretare oltre cento personaggi senza alcun senso di frustrazione e rimanendo autenticamente cane appassionato di cibo e sonno.
-Proviamo a conoscerli un po’ meglio questi personaggi, partendo dal punto di vista da cui tu li hai osservati (e poi narrati nel libro). Cominciamo proprio da Snoopy. Cosa puoi dirci di lui? Nel libro c’è un capitolo intitolato “Snoopy, un teologo molto particolare”…
Schulz è stato un uomo religioso anche se la sua fede ha attraversato fasi alterne tra entusiasmi e dubbi. Snoopy non è il solo personaggio cui Schulz affida i pensieri più marcatamente spirituali, anzi. Linus ad esempio è assai più colto e dotto, Charlie Brown sicuramente più tormentato e radicale. Eppure c’è una particolarità che leggiamo nei pensieri di Snoopy, vale a dire una disposizione personalissima nei confronti delle Grandi Domande della vita, che forse è quella che ci appartiene di più: Schulz attribuisce a un cane i sentimenti più genuinamente umani nei confronti del Sacro. Una religiosità che convive candidamente col dubbio, che lo contiene senza cedergli del tutto, un’incertezza che è inquietudine ma mai prevale, non ha l’ultima parola e se si esprime lo fa con candore e con innocenza. Si tratta così di un non umano che sa esprimere in modo umanissimo e quindi sempre fallibile sia l’anelito verso il divino sia l’incredulità frutto dei limiti della creatura. Cosa c’è allora di più adatto di un bracchetto che, almeno stando all’ortodossia, privo com’è dell’anima ha solo una partecipazione parziale e incerta al piano di salvezza universale ? In un certo senso Snoopy si può permettere quello che a un bambino, pur con tutto il suo candore, costerebbe un rimprovero all’ora di catechismo. Snoopy in fondo, come ti dicevo nella risposta precedente è l’icona della creatività che spazia nei reami della fantasia ma ritorna puntualmente a vivere benissimo nel suo mondo. Che sbaglio fece Umberto Eco nel definirlo cane disadattato! Gli si può perdonare solo perché magari all’epoca il personaggio non era ancora totalmente delineato in tutti i suoi aspetti…
-Altro personaggio chiave dei Peanuts è Charlie Brown. Nel titolo di un capitolo del libro lo definisci “Il bambino più buono del mondo”.
Ti rispondo citando direttamente una frase di Schulz sul rapporto tra ingenuità e voglia di esprimersi dei bambini e ricezione da parte del mondo circostante:
“Sostanzialmente noi siamo quello che siamo sulla base di come siamo da piccoli. Le nostre caratteristiche, la nostra personalità in genere viene definita quando arriviamo all’età di cinque, sei anni, ma poi sopra ci si mette un coperchio. Siamo come pentole che ribollono sul fornello e quando siamo piccoli gli adulti tengono chiuso il coperchio. Da bambini non riusciamo a esprimerci come vorremmo, ma quando cresciamo il coperchio salta e quello che siamo esce fuori”.
Se è vero che questo coperchio Schulz lo ha fatto saltare abbastanza presto, le paure e timidezze dell’infanzia tornano più vive che mai in Charlie Brown che resterà una specie di parafulmine dell’ansia che ancora tormenta il suo creatore da adulto, un senso di diversità e di alterità rispetto a quanto c’è fuori dal suo mondo, un mondo che infatti rimarrà per sempre fuori dalla striscia, ben delimitata da profili di case, da staccionate, muretti, alberi. E Charlie brown è l’antieroe di quel mondo, votato come dicevo alla sconfitta ma in fondo convinto che val la pensa continuare a provarci E’ proprio in questa sua pervicace ostinazione che lo sentiamo maggiormente vicino. Non tanto perché perde ma perché ha la tenacia di voler provare. In fondo, una versione molto particolare del “sogno americano” sicuramente meno trionfalistica e più umana.
-Accanto a Snoopy c’è la sua “costola”: Woodstock…
La precarietà del tratto, la tenerezza delle azioni, quel misto di improbabile spacconeria – data l’esigua stazza – assieme a una formidabile timidezza fanno di Woodstock l’epitome del bambino sulla soglia della vita con tutte le insicurezze e i desideri di crescere di quell’età imprecisabile. Ma prima di tutto Woodstock insegna a Snoopy l’arte dell’amicizia, quella che nasce da un incontro improbabile – gli piomba sulla cuccia nelle prime strisce – non da ricercate affinità. Un rapporto che si salda alla vita, che matura nella condivisione della quotidianità, dei sogni ma anche delle piccole incombenze. Woodstock è il segretario cui Snoopy affida le sue riflessioni letterarie ma anche il compagno di una battuta di pesca dove il piccolo rischia di essere aggredito da vermetti inferociti. Per il lettore poi Woodstock diventa un’opportunità, un moltiplicatore di possibilità sperimentabili sulla carta. Perché in cima alla cuccia Snoopy aspetta spesso Woodstock come il messaggero di un mondo ancora più sfumato e minuscolo del suo. Grazie a lui il nostro sguardo diventa microscopico e si sofferma su particolari mai tentati prima da un fumettista, comprese soprattutto quelle cose che sottintende e ci sottrae alla vista per proiettarle nel teatro dell’immaginazione dove siamo noi che dobbiamo metterci dentro i frutti della nostra fantasia. Questa specie di uccello sbilenco usa la ciotola dell’amico cane come piscina d’immersione, sul cui fondale, che ovviamente non vediamo, individua relitti di navi spalancando così per Snoopy orizzonti ancora più profondi, improbabilissimi, più nascostamente surreali. Cosa c’è di più incredibile poi di un cane e di un minuscolo volatile che si scambiano valutazioni sulla buca da battezzare per la palla 8 del biliardo?
-Non possiamo non parlare di Lucy, “la scorbutica”…
Modellata sulla personalità della moglie, Lucy è lo sguardo cinico e utilitarista che serve a Schulz come perfetto contraltare al diffuso candore di tanti suoi eroi: è quindi una sorta di propulsore di storie perché “fa muovere le cose” istillando dubbi, malumori e rancori. Ancorata com’è al suo Io non riesce però a comprendere fino in fondo il senso delle azioni degli altri personaggi. In particolare bacchetta sempre Snoopy per la sua indolenza e per la sua creatività caotica e scombiccherata che però in fondo invidia. Rappresenta perfettamente il tipo umano del rancoroso, di colui che vorrebbe avere le genialità dell’altro ma invece di mettersi alla sua scuola, cerca di distruggerne ogni empito fantastico, ogni inventiva mascherando questa strategia malevola con la scusa dei “piedi per terra”, la perorazione di un realismo che resta però sterile e improduttivo. Leggere bene ciò che Lucy fa è un’ottima lezione per capire cosa non si deve fare di fronte alla fantasia e alla forza dell’immaginazione.
-Veniamo a Linus. Tu scrivi che “Linus è per Schulz la perfetta incarnazione della dimensione intellettuale”. Parlaci di Linus e della sua mitica coperta…
Uno dei più grandi equivoci della ricezione di un simbolo nella cultura di massa. La coperta di Linus, un’invenzione narrativa che si deve a un fatto reale della vita di Schulz padre ma che qui è troppo lungo da spiegare, non è il rifugio di un bambino che non vuole crescere ma una vera e propria pila di energie cui fare appello per ricaricarsi. Quando ci riferiamo quindi alla coperta di Linus come a un segno di debolezza, di dipendenza da un feticcio infantile e di mancanza di voglia di crescere non cogliamo perciò tutta la verità e la portata simbolica dell’immagine: è vero che Linus in alcune circostanze sembra non poterne fare a meno come oggetto rifugio di fronte alle avversità della sua piccola esistenza di bambino spesso dubbioso e a tratti genuinamente fifone, ma è vero anche che nella stragrande maggioranza delle vignette Linus non è affatto un bambino insicuro e impaurito dal futuro. E’ colto, coltissimo, capace di trovare la giusta definizione delle cose, pronto a rispondere alle richieste degli altri. La coperta dunque diventa uno strumento per i momenti di timore o difficoltà, non un talismano ma una specie di pila dove ricaricare le energie e la creatività che poi riesce a spendere benissimo ed efficacemente nel resto delle sue azioni. In questo si rispecchia perfettamente la teoria del grande psicanalista Donald Winnicott: la coperta cioè è il cosiddetto oggetto transizionale, un oggetto fittizio attraverso il quale imparare la cura e la custodia delle cose, addestrandosi ad amare poi gli oggetti reali del creato. Molto più dunque di un complesso di inferiorità.
-In conclusione, qual è a tuo avviso la principale eredità culturale che ci lascia Schulz con i suoi Peanuts?
Il dato che la creatività è veramente sconfinata, che si può estrarre una weltanschauung anche da un fumetto. Soprattutto che di fronte a un fumetto come i Peanuts si diventa straordinariamente attivi. L’idea che Schulz ci trasmette è che una creazione come la sua non deve essere per forza mimetica pur muovendosi in un campo poetico fortemente dominato dal visuale. Per questo il suo mondo rifiuta un escamotage così diffuso ai giorni nostri rifiutando di essere la replica del mondo reale con gli artifici della tecnologia. Per questo il suo tratto è rimasto elementare e la sua vera forza è la parola. La parola nuda e l’immagine minimale. Al giorno d’oggi qualsiasi manufatto inventato per essere collocato sul mercato e raggiungere il maggior numero possibile di utenti – dai kolossal fantasy alla play station – deve necessariamente rispondere al requisito “è come se fosse vero”. L’utente non deve più compiere un salto nel mondo fantastico ma deve essere portato senza alcuno sforzo attivo dentro un paesaggio che il più possibile assomiglia al proprio. Basti pensare all’evoluzione dei tratti somatici dei calciatori della playstation che sembrano addirittura più reali di quelli veri. Schulz invece non vuole spettatori passivi, Schulz come tutti i grandi artisti vuole fare dell’utente un complice, uno che assieme a lui compie un viaggio dove c’è qualcosa da imparare non da replicare, qualcosa che scopre un lato della vita inatteso, che aggiunge con la forza dell’inventiva fantastica un tassello alla creazione.
Grazie, Saverio. Di seguito, il video promozionale del libro…
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Saverio Simonelli, giornalista professionista, è vicecaporedattore di Tv2000. È docente presso il master di Editoria, giornalismo e management culturale dell’Università “La Sapienza” di Roma. Ha scritto numerosi testi di saggistica e ha tradotto opere di Mann, Chesterton, Von Balthasar, Luckmann, Kavanagh, Ende.
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