Il protagonista del nuovo romanzo di Andrea Di Consoli – La curva della notte (Rizzoli) – si chiama Teseo. Un personaggio complesso e paradossale, affetto da una delle più tremende e classiche malattie che può colpire un essere umano: il “mal di vivere”.
Un romanzo che a mio avviso – per la tipologia dei temi trattati – può richiamare alla memoria classici della letteratura italiana del Novecento: quali “Il male oscuro” di Giuseppe Berto e “La cognizione del dolore” di Carlo Emilio Gadda.
Di seguito leggerete le recensioni di Barbara Gozzi e di Francesco De Core (quest’ultima già pubblicata sul quotidiano Il Mattino) che vi porteranno dentro la storia.
In questa nota introduttiva aggiungo soltanto che il “male” di Teseo trae origine da un episodio del passato… quando scopre che sua madre e Rocco – suo grande amico, coetaneo – sono legati da una storia d’amore e sesso.
La curva della notte di Teseo comincia proprio lì. E diventa mortale nel momento in cui Rocco, anni dopo, divenuto nel frattempo un noto cantante, lo va a trovare al Byron (locale gestito dallo stesso Teseo).
Mi piacerebbe discutere del libro e delle tematiche da esso affrontate (come al solito, partendo da alcune domande).
Quale potrebbe essere il rimedio migliore per combattere il mal di vivere – chiamatelo angoscia o depressione, se volete – che continua a mietere vittime forse oggi più di ieri?
Provate a entrare nei panni del personaggio Teseo…
A vostro avviso, Teseo, sulla base di quanto sopra accennato, dovrebbe sentirsi più “tradito” dalla madre o dall’amico Rocco? O da nessuno dei due?
E ora, le già citate recensione di Barbara Gozzi e Francesco De Core.
Massimo Maugeri
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LA CURVA DELLA NOTTE di Andrea Di Consoli, Rizzoli, 2008, euro 17, pagg. 202
di Barbara Gozzi
Teseo è un uomo tormentato, annoiato, attanagliato da un ‘male di vivere’ quasi inspiegabile nei suoi tessuti contraddittori, tra alti e bassi feroci e improvvisi.
Due mogli e una figlia alle spalle, un passato da ferroviere poi un locale, il Byron, diventato casa e supporto, passione e peso.
Finché qualcosa stravolge i fragili equilibri di cristallo: Rocco, vecchio amico dimenticato, torna, lo cerca. E prima di morire in un tragico quanto sfuocato incidente, riaprirà le porte di un passato che Teseo aveva chiuso forzatamente, nel disperato quanto inutile tentativo di dimenticare vecchi rancori, tradimenti e quel senso di disgusto e abbandono che, in realtà, ha continuato a perseguitarlo tra gambe aperte e giri di valzer. Perché Teseo non si nega nulla, specialmente i piaceri della carne che lo fanno sentire vivo, riescono a fargli provare ‘qualcosa’ di temporaneo quanto prezioso.
L’ultimo romanzo di Di Consoli mantiene le tinte forti e scure del precedente ‘Il padre degli animali’ ma sposta l’angolazione, la visuale vira e si concentra su un uomo e su un vivere inquieto, selvaggio quasi, tra rimozioni e riprese. E soprattutto dove i sentimenti esistono per riflesso, perché hanno un nome che ogni tanto è necessario pronunciare. Finché il passato torna e con lui i rimescolamenti dell’anima, di quell’anima che sembrava scacciata, sopita o addirittura annientata e invece resiste. C’è. Si svela proprio quando i granelli di sabbia scivolano quasi del tutto, sfuggiti a dita ormai scosse da tremori, invecchiate e incerte. Confuse.
Di Consoli gestisce una prosa potente, lucida, che risente a tratti dell’amore sviscerale per la poesia e ogni tanto ne ‘ruba’ atmosfere, ritmi e approcci.
Ci sono tre diversi livelli narrativi, individuati dai capitoli (comunque sempre brevi, fulminanti) e dai titoli. La stessa cronologia sarà comprensibile solo leggendo, strada facendo. C’è un passato che è remoto, mischiato quasi ai sogni, all’irrazionalità dei pensieri incompleti, dove il tempo ha iniziato a rosicchiarne pezzetti. Ma ci sono anche due strutture presenti che sembrano slegate, assestanti. Sembrano perché non lo sono. In questo romanzo si racconta una storia che non è ombelicale: l’analisi introspettiva di un uomo complesso e controverso. Si tirano fili precisi tra tessuti che sono anche analisi di una società – la nostra, quella che vive oggi seppure con riferimenti precisi al sud – ; e i personaggi sono protagonisti e simboli. Ci sono, dunque, passato remoto, prossimo e presente. Ma l’ordine non è scontato. Tutt’altro. Lo stesso titolo in realtà, mi sembra una traccia rilevante, da seguire per trovare il ritmo giusto, una prima decodifica. ‘Una’ notte si consuma un presente annunciato dalle prime righe, in una curva che si allunga, sale poi scende irrimediabilmente verso il basso, quando ormai ogni personaggio ha recitato la sua parte, incastrando tasselli e sfaldando certezze.
Di Consoli ha capacità espressive non comuni, usa un’aggettivazione mirata e ‘visiva’, ogni nuova scena viene tratteggiata in modo che il lettore ci si ritrovi immerso, tra odori, sapori, umori.
Non ce la facevo più a vivere […] la morte che più non si teme quando si è stanchi, sfiniti, alla fine del deserto; alla fine di una statale che porta nel regno dei vivi che sono già morti.
(pag.63)
Questo parallelismo tra vita e morte, anzi peggio, questo considerare taluni ‘vivi’ come fossero già morti è decisamente pressante, nel corso della narrazione. Teseo sa, sente. E queste sue percezioni incombono, irrompono tra avvenimenti presenti e passati.
Il passato è la nostra vergogna, la palude che ci fa impazzire di risentimento e di noia.
(pag.83)
Rancori dunque per accadimenti mai dimenticati, impossibili da cancellare e allo stesso tempo la noia, quel lento lasciarsi vivere tra il torpore di azioni che scivolano e la sottile depressione verso un futuro che appare piatto.
Solo il sesso, l’atto in sé, sembra scatenare nel protagonista reazioni cercate e mai noiose. Ed è una ricerca continua, un impulso irresistibile, unico a cui Teseo non si sottrae mai, neanche quando si sente avviluppare da trame oscure, a lui avverse. C’è senza dubbio una forte e presente componente sessuale in questo romanzo ma non la definirei erotica, non ci sono manifestazioni di un desiderio che cerca, annusa corpi; bensì tratteggi brevi e precisi di azioni solitarie. E’ un prendere, per Teseo, un dare per riflesso. I gesti sono ripetitivi, non si curano di forme o sostanze. E’ l’atto, come accenno sopra, l’unico vero obbiettivo. Il resto è un contorno spesso inutile, privo di sapore. E lo spiega in più d’un occasione lo stesso Teseo.
Non esiste, il piacere. Esiste solo il dolore di non amare più, o di amare male, come una ferita che non si chiude.
(pag.107)
Poi l’ ‘urlo della mente’ (pag.128) e l’ ‘amore nero’ (pag. 91). Parole chiave precise. Dominanti eppure sussurrate, che quasi si perdono tra racconti e virate.
La curva, dunque, si avvicina alla sua discesa finale e quaranta, cinquanta pagine dalla conclusione, il lettore la avverte, la caduta. Ci si sente dentro. I personaggi stringono, incalzano, i tasselli appaiono e lentamente si uniscono.
Di Consoli non è un autore facile, secondo me. Scrive avvalendosi di simboli, livelli diversi e strutture che sono il frutto di volontà precise. E rallenta forse proprio quando il lettore vorrebbe invece correre verso il finale. Ma è tutto necessario, sotto molto punti di vista. Decodificare non è un processo semplice tanto meno comodo.
In quel momento – senza capire niente – capii invece tutto. Mi andava bene, quello che stava succedendo. “Iole” dissi con la voce spezzata di chi è disposto a morire pur di amare ancora una volta.
(pag.197)
La parola ‘amore’ viene usata con parsimonia per circa centottanta pagine. Appena sussurrata. Poi d’improvviso, a poche pagine dalla fine, diventa un imperativo che si mischia al sesso, all’accettazione. Diventa un elemento dominante. Riempimento e rovina. Causa ed effetto. Mentre la morte, ovunque, resiste, perdura ma in queste ultime pagine pare addirittura meno graffiante, leggermente smussata.
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da Il Mattino del 18/04/2008
Teseo e l’ultima notte di quiete
di Francesco De Core
Se i nomi hanno un senso sulla faccia delle persone, allora Teseo – il protagonista del nuovo romanzo di Andrea Di Consoli, La curva della notte (Rizzoli, pagg. 216, euro 17) – alla fine dei suoi giorni accartocciati nel vuoto uccide il minotauro. Non fuori, ma dentro di sé. Un mostro spietato, sleale, mosso da «un freddo disprezzo, uno svuotamento doloroso». Ecco: «La geografia della mia anima era una malattia che non si poteva guarire». Questa la moneta che riserva al mondo, Teseo. Qualcosa che lo divora, lo inghiotte nel ventre aspro di un destino senza redenzione. E per Teseo – che abita un sud avido di buio, luci al neon, relitti da spiaggia – il destino è un’auto lungo un rettilineo che non finisce mai, è un cuore che scoppia a tradimento come una bomba, è la morte che lascia sul suo petto inerme i segni da scarpone chiodato dei soldati. Teseo perde la vita a brandelli, ispirato e cosciente. Gli ultimi morsi spesi nel furore della condanna, inattesa ma forse sperata. Gioca al rivoluzionario, da giovane, per diluire la fretta di vivere; poi lavora da ferroviere, nel resto di una terra che è meridione, dove «i treni scendono, lenti e rumorosi, nella punta di sabbia dove finisce la nazione, e dove il governo ha piantato una grande bandiera tricolore che il vento ha dilaniato con i suoi morsi»; infine diventa proprietario di un locale, il Byron, sempre più assente dalle azioni quotidiane e distante nei pensieri. È uomo che osserva il mare e gli uomini, Teseo, in un disordine che è di valigia chiusa in fretta. Ama oltre la rabbia e oltre il ricordo. Sembra non avere più nulla da chiedere, perché poi ha poco da offrire. Quando al Byron arriva Rocco, l’amico di gioventù, musicista affermato. E soprattutto l’uomo che amò sua madre di un amore ai suoi occhi innaturale. Blasfemo. Assurdamente tragico. Rocco cede alla colpa antica e all’odio mascherato nell’altrui sguardo, beve con foga, va dritto verso la morte nella carcassa di un’auto che si riduce a poltiglia. Il senso di colpa affonda unghie e denti nella carne molle di Teseo e si compie così la stagione del cupio dissolvi: entra in scena Iole, la conturbante moglie di Rocco, e con lei loschi figuri che squarciano le nebbie del protagonista. Il sesso si fa di tenebra, brucia, va oltre il disincanto di matrimoni finiti per consunzione: risponde a un’ossessione, a un’implosione dell’anima, è sempre più carne e sempre meno amore. Il sud è di pece, ridotto a osso, cartavetrata, rumore di fondo – il sud che Di Consoli sceglie come quinta delle sue storie, riportandoci a certi racconti di Lago negro – un meridione che per Teseo è colorato di «caffè bollente, camion colmi d’asfalto, gelaterie e chiese barocche». Teseo è come un cane sciolto nella terra di nessuno dell’esistenza, popola di incubi i suoi giorni straziati dal distacco e da una passione senza speranza, viene infine abbandonato dal corpo, stremato da un colpo a tradimento prima che la strada curva arrivi a gettare terra sull’ultimo respiro e luce sul viso contratto. Un viso pallido di morte e stupore e nervi slegati dal sangue ormai fermo. Nessuno ha diritto alla salvezza per come ha vissuto dando in pasto ad altri la propria vita, sembra dirci Di Consoli. Gli impulsi più foschi si incastrano nella cornice di una scrittura tesa come corda di violino, dura, secca eppure seduttiva, scandita da immagini piene e taglienti. Alla sua seconda prova con il romanzo, dopo Il padre degli animali, lo scrittore lucano sembra così confermarsi a suo agio nel maneggiare sentimenti terminali, bravo com’è a renderli di pietra con un ritmo intenso e una lingua mai retorica.
Intanto un saluto e un ringraziamento a Barbara Gozzi per la recensione di questo libro.
Barbara, compatibilmente ai suoi impegni vacanzieri, mi darà una mano a moderare questo post.
Un caro saluto a Francesco De Core, qualora dovesse passare da queste parti.
Spero che il “nostro” Andrea Di Consoli avrà la possibilità di partecipare alla discussione.
So che in questo momento si trova, in vacanza, nel paese dove abitano i suoi genitori (lontano da Internet, purtroppo).
Insomma, siamo ad agosto. E si vede.
Nemmeno io avrò la possibilità di stare on line per molto tempo.
La storia e gli argomenti collegati a questo libro, però, sono tutt’altro che vacanzieri.
Anzi, diciamo pure che sono molto… forti e impegnativi.
Ripropongo le domande del post:
–
1. Quale potrebbe essere il rimedio migliore per combattere il “mal di vivere” che continua a mietere vittime forse oggi più di ieri?
–
Provate a entrare nei panni del personaggio Teseo…
2. Teseo, sulla base di quanto sopra accennato, dovrebbe sentirsi più “tradito” dalla madre o dall’amico Rocco?
O da nessuno dei due?
Non lo leggerò, perchè (onestamente) non mi interessa niente di immergermi in storie di gente sfigata che si rovina la vita rimuginando sul passato, sui sensi di colpa, sulla inadeguatezza eccetera. Sono disposto a leggere cose del genere SOLO SE si incarnano in romanzi muscolosi. Se invece devo solo soffrire con personaggi che si autodistruggono brandello dopo brandello…no grazie.
Provo a rispondere alla domanda numero 2: è insensato e ingiusto che Teseo si senta tradito da qualcuno. La mamma e l’amico avevano il pieno diritto di vivere una propria sessualità, senza renderne conto a lui.
E alla domanda numero 1: dare fiducia alle persone, convincendole che ognuno di noi uomini e donne vale tanto ed è prezioso. E provare a trasmettere cose come curiosità, ironia, solidarietà, empatia, fantasia, godimento delle (e nelle) piccole cose.
@ Massimo, fuori tema
Ho scritto due righe, nella Camera accanto, sulla morte del poeta Mahamoud Darwish, avvenuta due giorni fa. Mi sembrava importante farlo rilevare, seppure in pieno agosto.
@ Andrea Di Consoli e al suo ultimo romanzo
In bocca al lupo!
Un abbraccio a entrambi,
Gaetano
Ma certo, Luciano…
Ognuno deve leggere i libri con cui si sente più in sintonia. Ci mancherebbe altro. Questo è implicito (oltre che ovvio). E vale per il libro presentato in questo post, per quelli presentati in passato e per quelli che presenterò in futuro.
Ma soprattutto vale per le cose che sono uscite e che usciranno dalla mia umile penna.
Ti ringrazio per aver risposto alle domande.
Grazie mille, Gaetano.
Ti confesso che non conosco granché Mahamoud Darwish (ma cercherò di approfondire la sua conoscenza).
Per oggi devo chiudere qui.
Auguro una buona serata a tutti voi.
Teseo, un essere come molti gli somigliano, soprattutto oggi.
Un essere che ama la carne e quindi il sesso e lo esibisce senza ragionarci su un attimo.
Chiunque viva come Teseo, soggiacerebbe alle effusioni che una tale attività include.
Gli altri sensi, come corrispondere con il prossimo per il piacere di scambiare idee e sentimenti dell’animo, non trovano il suo interesse.
È fissato in ciò che ama di più e questa fissazione non gli lascia spazio per altri interessi.
Non sa dell’utilità di cercarli per ritrovare il suo equilibrio, quindi soffre, forse, proprio di questa mancanza che lo fissa ancora di più sull’unica attività che lo soggioga.
Che cosa fare, come reagire? Dovrebbe chiudere ogni contatto con tutto ciò che gli ripresenta la sua situazione senza uscita, frequentare persone diverse, istruite e pazienti, capaci di smuoverlo dalla sua dipendenza nociva e adagio, adagio aprirgli una nuova forma di pensiero, sentimenti, emozioni. Ritrovare in poche parole la sua libertà di decisione che gli permetta di scegliere e quindi interessarsi anche d’altro.
Credo che egli si senta più tradito dalla mamma, che vorrebbe vedere libera delle sue manie sessuali, almeno lei dovrebbe rappresentargli l’ancora della sua salvezza.
Che poi, lei faccia l’amore proprio con il suo migliore amico, aumenta la sua delusione e sgomento, ma sarebbe in grado di sopportarlo perché gli uomini sono di solito in queste occasioni più tolleranti.
Teseo è un essere che, per difetti genetici, per propria colpa, ma anche della società intera nella quale è costretto a vivere, è cresciuto con una impostazione mentale distorta e che quindi abbisogna di cure.
Saluti.
Lorenzo
Buona sera a tutti,
come già anticipato da Massimo che ringrazio per l’ospitalità, sono al mare e mi collego dal portatile ma è una connessione ‘discreta’ diciamo… per cui farò il possibile per essere presente e – se posso e ne sono in grado – partecipare alla conversazione in questo spazio web che unisce, divulga e condivide.
Le domande che pone Massimo mi sembrano fondamentali ma allo stesso tempo non so se ci siano risposte accettabili.
1. Il male di vivere di Teseo è, sotto molti punti di vista, irreversibile. Così almeno sembra tratteggiato, descritto e chiarito dai pensieri, i gesti e le discese. C’è un intento preciso, secondo me, ma qui dovrebbe, se vuole, chiarire meglio Andrea Di Consoli.
In generale, mi trovo in difficoltà a rispondere perchè la ‘depressione’ e tutte le ‘fatiche’ di vivere in generale sono complesse, poliformi e spesso anche soggettive. Teseo è un uomo solo, che non può e non vuole contare su nessuno per cui, di certo, gli manca la possibilità di appoggiarsi a qualcuno, di farsi aiutare anche se, verso la fine, sembra che qualcosa anzi, qualcuno ‘si muova’ verso di lui. Ma è comunque una condizione dura, intransigenza. Dove il protagonista vive in mezzo alla gente ma non la ‘sente’. Cerca corpi per soddisfare un istinti che termina lì. Dove c’è tedio, noia e rassegnazione. Ma anche tanta, tanta rabbia.
Per combattere una condizione del genere ci vuole – forse – e lo scrivo da profana, almeno una ‘scintilla’.
2. Per quanto riguarda il presunto ‘tradimento’ da subito l’ho percepito come una sorta di ‘rabbia cieca’, uno di quei rancori capaci di seguire fino alla tomba ma che poi, a volerci ragionare con calma, perdono alcune radici fondamentali. In breve, non vedo tradimento se una donna, madre, va a letto con un uomo che è anche amico del figlio. Il fattore età non costituisce elemento di tradimento. Neanche i legami di parentela e amicizia, secondo me. Credo che sia proprio Teseo a volere così, ad alimentare questo sentimento rabbioso, distruttivo che gli ha portato via la madre anzitempo e l’amico.
Mi permetto un’annotazione personale: è molto – forse troppo – facile etichettare certi romanzi come ‘difficili’ in modo da poterli ‘evitare’ perchè, appunto, tanto è così.
‘La curva della notte’ ma anche ‘La mossa del matto affogato’ (di cui si è discusso nei giorni scorsi e ahimé non ho potuto intervenire) sono appunto due romanzi ‘difficili’. Nel senso che non basta leggerli come si sorseggerebbe una granita (considerando la stagione).
E non è sempre o solo una questione di ‘simboli’.
Si, anche, ma non solo.
Nel romanzo di Di Consoli si presenta un personaggio, sotto molti punti di vista ‘forte’, che sembra riassumere molti atteggiamenti distruttivi, negativi, condannabili, pericolosi, contradditori, spregevoli. Sembra.
La mia domanda allora é:
Siamo davvero sicuri che Teseo sia ‘solo’ uno da curare? Un matto o, ad ogni modo, qualcuno talmente fragile da essere caduto con la faccia nella melma?
Siamo davvero sicuro che Teseo è così lontano da ciò che siamo (come individui ma anche parti di questa società moderna tra tecnologie inarrestabili, corse, confusione e sentimenti sempre meno ascoltati)?
IO NO. ANZI.
Barbara
Intanto saluto Francesco De Core, collega de Il Mattino. Non so se sia ancora capo degli Interni, ma io e lui ci siamo sentiti tempo fa per un fatto di cronaca successo a Roma che interessava tanto Il Mattino quanto Il Messaggero. Sia lui che Barbara hanno “presentato” impeccabilmente il libro di Di Consoli. Nel merito ci tornerò domani.
L’intervento più recente di Barbara Gozzi, però, non mi quadra. Credo che tenda a tracciare il solito solco tra letture facili e letture difficili. Chi ha stabilito questo solco?
Non si potrebbe leggere Il Canzoniere sorseggiando una granita?
Credo che il peggior servizio che si possa fare a un libro sia mettere il lettore sull’avviso: “attento, concentrati, non fare al tro. stai per leggere una cosa impegnata”.
“I fratelli Karamazov”, “I Malavoglia”, “Il barone rampante”, sono “difficili?. Sì? No? E se è sì, per chi sonoo difficili?
Per Barbara Gozzi, mettiamo. E se per Gregori sono facili che si fa, si tira a sorte?
Anche io no credo ci siano libri facili o difficili. Ci sono libri adatti a te in un dato momento, e se quello è il momento (botta di culo) potrai entrarci in sintonia e forse rimarrà un libro memorabile. Se quello non è il momento non ci sarà niente da fare. Io moltissimi anni fa attaccai Herzog di Saul Bellow e lo abbandonai a pagina 30 o giù di lì. Cinque o sei anni dopo lo lessi di volata e cominciai a leggere ogni suo romanzo. Gli ultimi non erano più memorabili come i precedenti, e mi sembrava di sentire aria di trito e ritrito. Oggi sono un Bolanofago e aspetto con vera ansia la pubblicazione della seconda (in realtà quarta e quinta) parte di “2666” il suo romanzo postumo. E’ facile Bolano? E’ difficile ? Boh, non saprei dire. Era difficile Bellow? Non lo so. So solo che Bolano mi sarebbe piaciuto anche venti anni fa se solo qualcuno lo avesse pubblicato. Mentre Bellow ha dovuto aspettare un certo momento della mia vita per farsi apprezzare (da me). Ma non per questo Bolano è più facile di Bellow.
Quanto ai rimedi contro il mal di vivere credo che chi li conoscesse potrebbe farci i soldi a palate.
Che oggi colpisca più di ieri credo sia solo apparenza: o forse ieri colpiva solo nelle classi più abbienti. Il mal di vivere affligge solo chi ha già superato il problema di sopravvivere, e ieri nel mondo occidentale, non erano molti a potersi permettere di passare a questo stadio “più evoluto” del malessere primario dell’esistenza.
E infine per quanto riguarda Teseo potrà sentirsi tradito da chiunque finchè il suo universo sarà Teseocentrico. E qui, non avendo letto il libro, azzardo che il “suo” mal di vivere possa essere generato dal suddetto Teseocentrismo. “Sembra non avere più nulla da chiedere, perché poi ha poco da offrire” dice di lui francesco De Core nella sua recensione.
Forse di Minotauri ne ha uccisi più d’uno nella vita. Ho ha creduto di farlo. Ma temo soprattutto abbia anche lui abbondonato la sua Arianna a Nasso.
Scusate qualche errore di battitura (sto srivendo quasi al buio, porca troia) nei miei precedenti post. C’è ad esempio un “Ho ha creduto…” che grida vendetta…
Non ho ancora letto questo ultimo lavoro di Andrea Di Consoli, solo per motivi di tempo, ma lo farò al più presto, anche se una certa fama fosca, sembra accompagnarlo anche qui, nelle biblioteche del mio monte, dove, a suo tempo, avevo imposto l’acquisto de’ Il padre degli animali. Quella figura antica di uomo-naturale mi ha accompagnato per molto tempo, e ancora oggi, mentre disegno rivedo le mani del vecchio che accecano e curano. Una raffigurazione grandiosa, come una tela del Tiziano: La punizione di Marsia. Dalle recensioni riportate ritrovo l’espressionismo dell’autore e immagino anche la voce (ma che voce avrai?) perché questo autore è materico come un pittore che da forme indissolubili ai pensieri.
Concordo con le osservazioni di Enrico: niente è più relativo dello scrivere e del leggere. La mia lettura più “ tosta”? Il signore degli anelli.
Un saluto a Barbara, ciao.
🙂
@Carlo,
rilassati…che sarà mai?!
🙂
Buon giorno a tutti!
Un saluto speciale a Enrico Gregori che da un pò non mi aveva a portata di fauci per cui ora inizia la procedura di sbranamento lento… scherzo!
Mi spiace essere stata fraintesa.
Che esistano libri fatti per essere letti d’un fiato e amen e altri dove invece il linguaggio, la trama e i personaggi celano – a volte – altro non mi sembra poi così incredibile. Esistono e allora? Non è un’accusa. Ci sono un sacco di giovani ma anche di adulti che, per esempio, in vacanza prediligono letture dove ‘non ci sia troppo da ragionare’. Letteratura d’intrattenimento la chiama qualcuno. Più volte ne ho discusso con amici. Ripeto: e allora? Ognuno è il lettore che vuole essere. Nulla di male.
Intendevo solo chiarire che in questo libro ci sono elementi che meritano un pizzico di attenzione in più dal ‘dai che finisco il capitolo che voglio sapere come va a finire’. Mi sembra che dalle recensioni si intuisca che ci sono dei simboli, degli aspetti che richiedono quel minimo di impegno e comprensione… precisavo solo questo.
Ed è altrettanto evidente, carissimo Enrico, che io parlo e scrivo sempre e unicamente per me. Non sono un critico, né un ‘operatore del settore’ in senso stretto. Leggo. Questo si. E a volte tendo le orecchie. Per cui scrivo sulla base di ‘mie’ percezioni che sono, giustamente, soggettive. Se tu ritieni – ad esempio – che questo libro sia di lettura immediata, veloce, senza particolari esigenze di analisi e comprensioni, buon per te. Anche qui: che problema c’è? Ci saranno sempre differenze tra lettori, secondo me è il ‘suo’ bello.
Però trovo altrettanto poco onesto parlare di un libro come se fosse una specie di favoletta o di storia ‘da relax’ quando poi il lettore scopre tutt’altro e magari smette perché non è quello che cercava. Questo volevo dire. Ciao Enrico, un abbraccio, tutto bene?
.
@Miriam come stai? Un bacio
.
Scappo in spiaggia col piccolo…
.
Barbara
@ barbara:
sto bene, tanto che ho la forza di sbranarti :-).
E’ ovvio che il mio discorso era volutamente “paradossale” proprio nei confronti di “certa critica” (non tu) che predispone malamente il lettore etichettando come “impegnati” alcuni libri.
Nessuno si meraviglia se i romanzi della serie “Harmony” vengono definiti leggeri. Non è un’accusa e non è “razzismo” culturale. Ma soprattutto non si fanno danni.
Il danno, forse, è mettere in allarme chi si accinge a leggere Kafka. Il critico utile, insomma, non dovrebbe essere uno spaventapasseri, ma semmai un aiuto a passare gradualmente dalla serie “Harmony” almeno a Carolina Invernizio. La quale, peraltro, diceva:
“Io ho dei critici una allegra vendetta. Ché le mie appassionate lettrici e amiche sono appunto le loro mogli, le loro sorelle”.
@ Barbara:
anch’io sto bene, però non ti mangio!
Goditi il piccolo e tutti i suoi capricci di acqua, sabbia e giochi. Qui sta piovendo e la luce del giorno è buia e il cielo è grigissimo. Fa anche freschino, però un po’ ci voleva. Mi dispiace di non poter intervenire molto su questo post, ma spero di incrociarti nuovamente in occasione del prossimo gioco dell’Arte che si scrive: l’argomento dovrebbe interessarti.
Baci a voi e tanti spruzzini di acqua salata.
Miriam 🙂
Buona giornata e grazie a tutti per gli ottimi interventi.
Mi inserisco, un attimo, sul discorso letture…
Mi pare evidente che ci sono libri più “difficili” di altri, a livello di lettura.
“Horcynus Orca” di Stefano D’Arrigo e “Ulisse” di Joyce sono i due primi titoli che mi vengono in mente.
Così come leggere “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana” richiede più impegno – in termini di lettura – di uno qualunque dei libri della Invernizio.
—
Poi, però, subentra il gusto (che è soggettivo) e l’attitudine personale…
Io, per esempio, preferirei rileggermi dei brani dell’Horcynus Orca che delle pagine della collezione Harmony.
Con tutto il rispetto per la collezione Harmony e per chi la legge.
Ora vado anch’io a mare…
Oh, che volete, siamo ad agosto.
🙂
A stasera!
Ringrazio anzitutto Barbara Gozzi, che ho apprezzato come narratrice, e poi per gli interventi critici. E grazie a Massimo Maugeri, per la casa ospitante. Io non so bene cosa dirvi, ma sento in giro – a proposito del mio romanzo breve “La curva della notte” – giudizi sicuramente positivi, ma anche assai negativi, che purtroppo mi addolorano, ma cosa posso farci?, sono uno che vive con tormento ogni cosa. Lo confesso a voi, ad alcuni di voi, che sento amici: non so bene cosa scrivo, e sento che non è neanche tanto importante quel che scrivo. Giudicheranno gli altri, giudicherete voi. Si sapia solo che ciò che scrivo mi costa dolore; e spesso me ne vergogno. Siate, se possibile, indulgenti, e non fatemi vergognare troppo di stare nudi in questi libretti che moriranno con la morte della mia persona carnale. Un buon agosto a tutti. Andrea Di Consoli
@ Andrea,
primaditutto un abbraccio e poi, mi sembri Flannery O Connor: non so bene quello che penso fin che non leggo quello che scrivo.
🙂
Ti sei fatto la fama dello scrittore “truce” ma di nicchia, è normale vivere con tormento le proprie produzioni; capita anche a me. L’importante è sostituire quel senso del dolore con la lucidità dell’occhio critico, che agli artisti non manca mai! Ma proprio mai, ed è anche per questo che soffriamo così tanto. Conta il mondo, grande e piccolo, che ci circonda e lo smarrimento, che alcuni vivono con leggerezza, altri invece no. Siamo in molti però a condividere i tuoi pensieri, usando , ognuno un suo particolare mezzo.
A rileggerci, sempre qui, su Letteratitudine e magari anche nell’occasione dell’Arte che si scrive… ti aspetto.
Miriam
@Andrea : Intanto un abbraccio e grazie.
L’immagine dell’autore nudo dentro il romanzo che ha scritto è molto eloquente. Ma non è da tutti. E questo mi sembra un segnale importante.
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E penso anche che per un libro come questo, ricevere solo recensioni o commenti positivi sarebbe stato ‘preoccupante’. Nel senso che – e qui mi sbilancio molto ma è quello che penso – siamo un paese molto abituato a ‘criticare’, a giudicare con la fretta sulla schiena che preme e pulsa. In fatto di libri ci sono ‘certi’ elementi che fanno ‘moda’, che vendono, che attirano inevitabilmente. E questi elementi sono anche diventati con facilità ‘termini di paragone’. Spesso conta solo se li si ritrova, nel romanzo. Mi sembra che si perda molto facilmente il gusto, il piacere di una lettura individuale, ragionata, lucida e anche, perché no?, sentimentale quanto soggettiva. Il piacere ma anche il bisogno di ragionarci con la propria testa al di fuori dei canoni del mercato.
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Certo, è più facile basarsi sui ‘must’, non si sbaglia di certo. E ‘la curva della notte’ ha una scrittura che si tende, cerca, strattona, sbatte e non vuole ‘sfronzolare’ a caso, per stupire e basta. Poi i temi trattati, le evoluzioni, i piani narrativi… tutto richiede attenzione, tutto aspetta di essere vissuto. Allora si, forse può anche risultare ‘non piaciuto’. Come dice Massimo, a un certo punto subentra il gusto personale, per carità. Io dico che dovremmo recuperare anche una certa capacità di andare oltre le facilità di una letteratura propinata come una bevanda ‘allungata’.
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Annotazione personale: se ‘provoca dolore’ lo scrivere, secondo me è ‘sano’. Significa che chi scrive è ‘vivo’, pulsa insieme alla narrazione, respira coi personaggi, li SENTE…
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Miriam: qui per ora il tempo è ancora ‘da agosto’ e il piccolo a due anni e mezzo sembra un pesciolino, impara con una velocità incredibile… un abbraccio e a presto!
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Enrico: (sorriso) porta pazienza ma non ci capisco niente su ‘come’ far apparire le faccine…
Tornando al libro.
Lascio uno spunto.
Uno degli aspetti che più mi ha colpito è legato al finale e all’amore.
Come accenno negli appunati di lettura, certi sentimenti sono appena sussurrati, l’amore in particolare sembra appena un suono. Poi, verso la fine, Teseo conoscerà una donna (badate bene, non una a caso, incontrata così, ma una donna che ha con lui un legame preciso che qui non svelerò) e con lei in un certo senso cambia. Modfica i suoi ritmi, il modo che ha di affrontare la giornata. Perfino quando certi gesti ‘scricchiolano’ lui no, lui sa.
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In quel momento – senza capire niente – capii invece tutto. Mi andava bene, quello che stava succedendo. “Iole” dissi con la voce spezzata di chi è disposto a morire pur di amare ancora una volta.
(pag.197)
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Io l’ho trovato di una delicatezza, tenerezza disarmante.
Forse proprio perché Teseo per tutto il resto del romanzo è la somma di moltissimi comportamenti ‘negativi’, come si è già detto. Forse perché è quanto di meno immaginabile a quel punto (la curva scende, scende). O forse perché il sesso fine a sé stesso, appena abbozzato, mi aveva ‘chiuso’ ad altro, appunto all’amore possibile di un personaggio incredibilmente contradditorio.
Invece no.
Teseo cede, secondo me.
E non vuole rinunciare ad amare perfino quando sembra tutto destinato a crollare.
Amore nero. E’ definito così nel romanzo.
Mi piacerebbe che Andrea Di Consoli ce ne parlasse, se può e vuole. Amore nero, è un’associazione destabilizzante, non credete?
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Buon pomeriggio a tutti!
Barbara
Eccomi di nuovo qui.
Intanto, Barbara, grazie a te per i nuovi interventi (per i quali hai sottratto tempo al tuo bimbo in un contesto vacanziero).
Grazie mille. Davvero.
Ehi, Andrea!
Sei riuscito a connetterti…
Mi fa molto piacere!
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Questo tuo secondo romanzo mi ha colpito molto favorevolmente. Non è facile cimentarsi con un’opera seconda. Tutt’altro. Soprattutto (nella fattispecie) considerando che “Il padre degli animali” ha beneficiato di grandissimi riscontri a livello di critica.
Ne “La curva della notte” hai scritto una storia tutt’altro che banale mettendo in scena un personaggio scomodo. E nel fare questo hai avuto molto coraggio. Perché Teseo è un personaggio imprevedibile, che spiazza… che in qualche caso riesce persino a infastidire il lettore.
E quest’effetto spiazzante, a mio avviso, è uno dei punti di forza del libro.
Caro Andrea, ne approfitto per porti un paio di domande (nella speranza che riuscirai a trovare il modo per connetterti)…
Tu, Andrea, vieni dalla poesia. Tempo fa ti chiesi: ma tu ti senti più poeta o narratore? Mi rispondesti: poeta.
Ora, ne “Il padre degli animali” ebbi modo di evidenziare delle impennate liriche belle e struggenti, capaci di arrichire il romanzo (lo preciso, perché talvolta – invece – il lirismo nuoce alla narrazione).
Queste impennate liriche le ho ritrovate anche ne “La curva della notte”, ma in maniera più ridotta… più controllata.
Sei d’accordo?
E, in caso affermativo… è stata una tua scelta precisa?
(sempre per Andrea).
Sul post, come avrai letto, ho citato “Il male oscuro” di Giuseppe Berto.
Trovi che l’accostamento del più noto libro di Berto a questo tuo romanzo sia peregrino?
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Quel romanzo ti ha, in qualche modo, ispirato?
Scorrendo i commenti, mi ha colpito queto “passaggio” di Lorenzo (riferito a Teseo).
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Credo che egli si senta più tradito dalla mamma, che vorrebbe vedere libera delle sue manie sessuali, almeno lei dovrebbe rappresentargli l’ancora della sua salvezza.
Che poi, lei faccia l’amore proprio con il suo migliore amico, aumenta la sua delusione e sgomento, ma sarebbe in grado di sopportarlo perché gli uomini sono di solito in queste occasioni più tolleranti.
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Ecco, quella frase “gli uomini sono di solito in queste occasioni più tolleranti” potrebbe far nascere una discussione parallela.
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Lorenzo: se Teseo fosse stato una donna sarebbe stato peggio, secondo te?
E secondo voi?
Teseo, di certo, ha una personalità disturbata. Questo si evince chiaramente dal libro.
Tuttavia, mettendomi nei panni del personaggio, e rifacendomi alla mia seconda domanda, vi confesso che io mi sentirei, se non “tradito”… be’, quantomeno moooolto infastidito da Rocco e dalla madre.
E’ grave?
Mi devo preoccupare?
🙂
@Massimo. Ti scrivo dalle Maldive. Confesso di non conoscere Andrea Di Consoli, e la cosa mi preoccupa perchè mi rendo conto che la mia ignoranza è più profonda di quanto credessi. Mi piace molto la maniera come si è posto, me lo ha reso subito simpatico e comprerò il libro per farmi perdonare. Anzi, se mi piace lo recensisco. Il tema mi sembra molto interessante e anche la presentazione di Barbara Gozzi. Il male oscuro, il mal di vivere, è una tenaglia che stringe il cuore e non dà più pace. Colpisce le persone sensibili. Adesso scappo, sono circondato da una decina di fanciulle che fanno a gara per accaparrarsi le mie grazie.
Un caro saluto a tutti.
Mi considero un tipo equilibrato, però se il mio migliore amico si facesse mia madre come minimo gli sputerei in faccia.
e a ia madre non rivolgerei la parola
mia madre, cioè
@ Salvo:
caspita, non guarderai certo le stelle cadenti!!!
🙂
dimenticavo di fare gli auguri a Di Consoli per il suo libro. auguri!!!!!!
@Miriam. Certo che no, cara Miriam, dobbiamo fare onore alla terra sicula.
Male di vivere antico come la nascita stessa del mondo o se meglio vuoi ,dell’uomo.E lo fu Virgilio e lo fu Majakovsij.Da assalti ripetuti fino a…nè fu Pavese e ne è Teseo.Forse troppi miti ci portiamo dentro e ai lati.Troppa competizione anche con loro.La vita è già di per se stessa un’implacabile lotta per la sopravvivenza senza dover per forza affrontare le aspettative di modelli che nè escludano la PERSONA.D’altro canto ben sappiamo che,i miti sono irrinunciabili quale elemento specifico dell’essere umano.Dei simboli si ha bisogno come dell’anima che li guarda per comunicarli rimescolandoli a mò di alchimista.Così come Freud ideò la storia del complesso Edipico trasformandolo e raccontandolo come a storia del bambino mentre Jung nè approfondì il racconto ecc. La coscienza individuale e collettiva ha pur sempre un fondamento mitico.Visioni ,immagini che guidano,ordini,slogan,ideologie,grdi di battaglia,parole d’ordine,concezioni economiche,draghi da combattere.Ma nel mito coesiste sempre anche la doppi faccia.Eros.Thanatos.Dioniso discendente da Zeus,re del cielo,del mono sùpero,e Persefone,regina del mondo infero;vita.morte. Il tutto per dire che,se non si può scalzare i miti che vivono ancestralmente in noi,non ci si può neppure incarnare in essi e,testardamente anche se in modo oscuro e inconsapevole prenderne le sembianze e competere con loro.E’ la nostra identità che bisogna sempre cercare.Ma è sempre difficile farlo e accettarla.Il contesto familiae e sociale poi sono implacabili nemici e spesso nont i lasciano via d’uscita.E il più delle volte per punire un rifiuto ingiusto, si punisce se stessi distruggendo quel che non si può avere.O con lucidità alla Pavese dire:”I suicidi sono omicidi timidi.Masochismo invece di sadismo”.QUANDO APPUNTO L’ESISTENZA NON BASTA PIU E CONSUMATI SONO I SENTIMENTI SU SE STESSI!
Che importanza allora può avere chi ha colpito di più? Il mito infranto della Madre o la slealtà di un’Amico?… Bello Massimo ciò che proponi.Carola
Buona giornata a tutti.
Oggi è il 13 agosto. Domani, dunque, saremo già alla vigilia di ferragosto.
C’è qualche sfaccendato che è ancora da queste parti?
🙂
Salvo Zappulla scrive dalle Maldive…
(ma sarà vero)?
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Grazie per il tuo commento, Salvo.
Le fanciulle che citavi staranno ancora cercando le tue grazie, immagino.
Mission impossible!
🙂
Un saluto a Carola. E un ringraziamento per il suo “mitico” commento.
ho potuto leggere adesso la newsletter e vorrei provare a dare la risposta alla questione “come affrontare il male di vivere”.
ovvviamente non ho una risposta completa, altrimenti avrei vinto il nobel della medicina e pure di tutto il resto.
ma dall´esperienza che ho avuto io, stando molto vicino a persone che questo problema lo hanno dovuto affrontare e in alcuni casi lo hanno potuto risolvere, credo che questa cosa nasca da due fattori:
1) la noia mortale che spesso attanaglia le nostre vite. avere un lavoro che non ci piace, noioso e che ci prende troppo poche energie.
2) la deresponsabilizzazione sul proprio destino e sulla propria vita.
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ho visto nascere la depressione in persone alle quali non mancava nulla per essere felici. solo vivevano una vita troppo troppo troppo insopportabilmente noiosa in confronto alle loro potenzialitá intellettive.
erano “troppo intelligenti” per quel tipo di vita.
e le ho viste rovinarsi dai rovelli.
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le stesse persone non sono poi riuscite a prendere in mano quella vita che non dava loro la soddisfazione necessaria. crecando sempre negli altri il colpevole di quella situazione. accusando gli altri di non averli aiutati abbastanza, di non averli supportati (o a volte direi pure sOpportati) abbastanza, di non capirli eccetera.
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questo fa scattare in questi “altri” dei sensi di colpa spaventosi che hanno come effetto immediato quello di deresponsabilizzare la persona in questione ancora di piú.
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diventa un gioco al massacro. nel quale la persona depressa si impossessa della vita delle persone che gli stanno vicine e la manipola nel senso che piú giustifica e ingrandisce la sua depressione.
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purtroppo come interrompere questa spirale mi é ignoto.
…
un saluto.
scusate, ma ho dimenticato una conclusione.
penso che dovremmo togliere la “noia” dalla vita nostra e dalle persone a noi care.
col lavoro fisico, con lo sport, con una attivitá intellettuale stimolante. con qualsiasi cosa che riempia la nostra vita.
Un saluto anche da Gabicce. Qui c’è un bel sole (un tantino troppo ‘scottante’ per i miei gusti, ma va bene!).
La noia di cui parla Lucia è un tema centrale secondo me. Della depressione, del romanzo di Di Consoli ma anche di un certo nostro vivere oggi. Secondo me molte persone, in realtà (a volte anche inconsapevolmente, cioé senza rendersene conto a pieno) si annoiano. Ed è tremendo. O quanto meno si sentono ‘grigi’, piatti, in quello che fanno ogni giorno, nella routinne insomma. Spesso è qualcosa che arriva addosso piano piano. Quando, come spiega benissimo Lucia, il lavoro inizia a pesare, non piace, è ripetitivo o non da soddisfazioni, schiaccia. Poi sul piano privato magari ci sono difficoltà di comunicazione, crescendo gli amici possono allontanarsi, ci si perde di vista come si dice. O ci si vede di meno e quando si avrebbe bisogno si è più pudici, riluttanti a.
La noia da intendesi anche come una ‘vita che va stretta’ è pericolosa.
Una volta qualcuno mi ha detto che la ‘felicità è sottovalutata, richiede impegno e sacrificio ma non è davvero così irraggiungibile come ci mettiamo in testa’. Credo sia vero, almeno in parte. Paradossalmente in certi momenti difficili è più facile abbandonarsi al dolore, all’apatia, alla rabbia anche. Mentre la felicità, la gioia, vanno cullate. A volte bisogna anche lottare, sacrificarsi per spostare qualche tassello (magari proprio dentro la routinne che annoia, tedia, ingrigisce, logora).
ho letto questo libro di andrea di consoli. mi complimento con l’autore. a differenza di come la pensa lui credo che possa avere la forza per rimanere. non è un romanzo stagionale.
cari amici, grazie per quello che scrivete. A Massimo: La curva della notte è un romanzo di scorie dell’inconscio. E’ un romanzo breve, dove forse convivono Beckett e Céline, e Piero Chiara e Giovanni Boccaccio (autori che amo molto). Vivo molto intensamente la vita, la letteratura e poi la mia vita psichica: trascorro lunghi periodi senza scrivere; poi, di colpo, devo sgravare qualcosa – qualcosa che se rimanesse nel mio corpo, mi ammalerebbe. Passo le mio tormentate giornate – sempre pensando alla morte, alla malattia, alla perdita di tutto – guidando tra roma e i paesini del sud. Trascorro gran parte del mio tempo nei paesi (ora sono a Bisaccia, in provincia di Avellino, davanti al computer di Franco Arminio: a proposito, leggete il suo nuovo libro, “Vento forte tra Lacedonia e Candela”, edito da Laterza). Amo i bar, i paesi abbaondati, i cani per strada. Con gli anni, poi, ho sempre di più le idee chiare, ma non so più dirle. E’ strano: è una specie di sfiducia nelle chiacchiere. Sento di essere in una specie di fondo marino. A volte ci si sta bene, a volte vi si affoga. Vorrei abbracciare tutti, e vorrei starmene da solo per sempre. Vivo dilaniato da contraddizioni. I libri, in tutto questo, sono diventati qualcosa di difficile: nel senso che mi vergogno a pubblicarli, ma lo faccio per narcisimo. Sarò felice il giorno che potrò solo leggerne (quando non avrò più la necessità di scriverne). Ora sento di dover ancora dire: ci sono, sono io, Andrea Di Consoli. Ma sta venendo l’onda che cancellerà questo mio nome, e lascerà il campo agli altri, a mio figlio, a chi ha ancora voglia di spingere nel vento la propria faccia. Scusate questi deliri, ma sono sinceri. Scusatemi.
Andrea Di Consoli
@Lucia
Credo che la noia sia l’amica del pessimismo e dell’insoddisfazione, alle quali si possa opporre solo l’ottimismo. È dall’ottimismo, che tutto ciò che si fa assume un calore incoraggiante, rivestendolo di un’importanza propria che lo fa sembrare grande ed utile, anche se in verità è piccolo e modesto.
A volte è più facile impegnarsi in un’impresa elevata che sbrigare le faccende di ogni giorno, quando siamo privi dell’ottimismo che le fa apparire come una passeggiata piacevole, ridimensionando le nostre pretese di voler e dover valere sempre in forma speciale.
L’ottimismo mantiene attive le nostre energie, dando importanza a tutto ciò che intraprendiamo. Di esso ne abbiamo bisogno specialmente oggi, dove il rendimento viene misurato in quantità, prodotta in un tempo sempre più breve.
Saluti.
Lorenzo
@Barbara Gozzi
prima di tutto, buone vacanze nella bella Gabicce.
Sulla sua, credo che il motivo del pessimismo, e della noia che ne risulta, sia nel non saper coltivare i momenti di gioia, che così vengono buttati via, come del resto tutto oggi.
Viviamo in un’epoca, dove le notizie e le impressioni si accavallano sempre più velocemente da non poterle elaborare e conservare, di modo che il nostro stato d’animo ne tragga profitto e non cada nuovamente nel vuoto che il prossimo nuovo porta con sé.
In questo modo, il tempo viene bruciato e perde la sua importanza di accompagnarci nelle nostre fatiche come nelle nostre gioie che, sostenute dalla memoria del già ricevuto, ci aiutano ad assumerle per viverle ed imparare da loro.
Il troppo di felicità, di dolore, e a volte anche di attesa, s’inflaziona e ci lascia attoniti e privi di orientamenti validi e utili.
Alla fine, rimane di noi il guscio senza il contenuto che lo determini e renda utile.
Saluti.
Lorenzo
@andrea di consoli
Leggendo la sua esposizione sincera su di sé, la immagino un essere alla cerca continua di maturità, senza poterla raggiungere perché vorrebbe che racchiudesse tutto le espressioni insaziabili del suo animo e corpo.
Purtroppo non è possibile, senza una selezione severa e seria.
Nulla di male, dato che credo che sia dal suo stato attuale che riesca a scrivere libri interessanti, emozionanti ed utili.
Forse, più tardi non avrà più nulla su cui scrivere, avendo raggiunto lo stato d’armonia, che, penso, desideri a volte anche ora.
Potrebbe anche scrivere su come l’abbia raggiunto, ed essere di nuovo interessante, emozionante ed utile al lettore.
I miei auguri le sono certi fin d’ora.
Saluti.
Lorenzo
Grazie ancora per i nuovi commenti.
Caro Andrea,
citi autori (Beckett, Céline, Piero Chiara, Giovanni Boccaccio) eccezionali ed eterogenei. Ma se fra questi quattro nomi dovresti scegliere un padre letterario… chi sceglieresti?
E perché?
Ad Andrea (ancora).
Sei molto giovane e avrai tempo e modo di scrivere ancora molte cose (per fortuna!).
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Il tuo precedente e sincero commento (ti ringrazio moltissimo per aver messo in comune quei tuoi pensieri così intimi) mi fa pensare al “potere salvifico della scrittura”.
Io ci credo moltissimo (al “potere salvifico della scrittura”, intendo).
Immagino anche tu…
Un caro saluto a Franco Arminio. E un grande in bocca al lupo per il suo nuovo libro.
Ho avuto il piacere di incontrare Andrea Di Consoli a Torino. A lui va la mia stima più sincera.
La Curva della notte è un grande romanzo. Forte, intenso e con molte sfaccettature. Presenta una scrittura che ha una grandissima vitalità e capacità espressiva (forse proprio perchè sollecitata dalla “spinta” a fuggire il “male di vivere” – che è una delle ossessioni dell’autore –
Teseo, tra l’altro, mi sembra un personaggio “rivoltato” (politicamente ed esistenzialmente) ed è parente stretto di Dino, il persoaggio principale de LA NOIA di Alberto Moravia. In altra sede ho sviluppato questo parallelismo.
Voi che ne pensate?
Complimenti a Maugeri per il blog e lunga vita – personale e letteraria- ad Andrea Di Consoli.
saldan