Miriam Ravasio, insegnante con esperienze di scrittura, mi ha inviato un interessante articolo dal titolo "La disumanizzazione scolastica".
Si tratta di una sorta di denuncia su alcune problematiche della scuola (con il coinvolgimento di tutti gli attori coinvolti: dai bambini, agli insegnanti; dai programmi, ai genitori). Ho pubblicato l’articolo convinto che possa essere oggetto di un costruttivo dibattito. (Massimo Maugeri)
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La comprensione di noi stessi è enormemente impoverita se non siamo in contatto con l’infanzia.
(R. Laing )
Ho riassunto nella citazione di Laing, lo stato d’animo che, qualche tempo fa, mi ha indotto scrivere un diario. A registrare con precisione meticolosa, per gli estranei sicuramente pedante, ogni lezione, ogni intervento. Tornavo a scuola dopo anni di altre cose, altre attività; ci tornavo nelle vesti di esperta in educazione all’immagine, ricca di un bagaglio formativo accumulato come grafica, scenografa e disegnatrice di costumi e animatrice di tante iniziative culturali. La mia personale esperienza scolastica era stata brutta e deludente, ma occupandomi dell’educazione di mia nipote le cose mi sembravano cambiate; i programmi aperti e ambiziosi nei loro obiettivi, le maestre preparate e disponibili ad aggiornare con armonia il loro lavoro. Come molti, e la stessa ultima statistica dell’Osce conferma, pensavo che i problemi fossero alle superiori, ma che la preparazione di base funzionasse in modo ottimo. O almeno bene, qui da noi al nord, dove gli amministratori, pur nei limiti dei bilanci, non negano soldi per progetti ed iniziative. Invece non è così; la scuola dell’infanzia sta nella società, come i bambini al pranzo di Natale. Carichi di doni, vestiti della festa, i bambini stanno seduti a parte, sazi e senz’appetito ascoltano il mangiare rumoroso degli adulti aspettando che il pranzo finisca, che il rito si consumi. Quella che si consuma nelle Primarie è una didattica fragorosa, dove ogni ministro ha aggiunto sempre del suo, nulla togliendo eppure tutto cambiando. Un caos incomprensibile che sovverte l’umano, un chiasso pedagogico equamente e correttamente distribuito fra programmi, programmazione, autonomia scolastica, personale insegnante e genitori.
Un mondo che si è svelato a poco a poco, e che, nella sua complessità ha dimensioni solo frammentarie, perché, nella scuola si è realizzato un processo di disumanizzazione. L’insegnamento è stato ridotto a disiecta fragmenta dalla didattica e dalla troppa pedagogia. Così, paradossalmente abbiamo una scuola iperattiva che non insegna più, ma espone nozioni che solo i più svegli, o i più seguiti a casa, fanno proprie.
Leggiamo poco, siamo volgari e ci perdiamo in celebrazioni ridicole, ci massifichiamo con felicità: siamo brutti, ma ci educano così fin da piccoli e la scuola fa la sua parte. La scuola bambinizza. La codificazione che si fa sistema, diventa semplificazione di tutto, della capacità di comprendere, di capire, di distinguere.
Il codice che diventa linguaggio formativo è coercizione; perché non rimanda al bagaglio della memoria, ma è azzeramento su cui, arbitrariamente si stabiliscono altri parametri di percezione.
“In tre anni ho lavorato in diverse scuole, sei plessi, trentun classi, cinquecentottanta bambini, un infinito numero di maestre e non so quanti disegni: non li ho mai contati, forse più di cinquemila. Tanti tantissimi, che preferisco non evocare perché mi disturbano il sonno, riaccendono il momento, rivivo la fatica e lo sfinimento entusiasta.” Con queste parole inizia il mio diario che in 27 capitoli ricostruisce il percorso dell’attività svolta; dalla presentazione dei progetti alla loro realizzazione. I temi sono legati ai luoghi, alle origini dei luoghi, alle parole dei “posti”che si fanno immagine, alla storia conosciuta o immaginata nelle sue umane manifestazioni, agli uomini, al lavoro e alle diverse percezioni nei tempi, all’ambiente come sillabario della memoria.
“Eppure alla fine di tutto, una stolidità caparbia si è imposta su quest’esperienza, che è stata letta solo nella sua fattibilità tecnica. Si è vista la realizzazione, la facilità dei modi, ma poca attenzione è stata prestata ai contenuti e soprattutto all’intento di fondo, che nei miei interventi è essenziale: l’educazione all’immagine. Immagine che è strumento di comprensione e conoscenza di ciò che siamo e di ciò che ci circonda.”
Lavorando fianco a fianco con le insegnanti ho condiviso la programmazione, interagito con le finalità didattiche, verificato quanto della società entra nella scuola. La stessa solitudine interattiva che caratterizza il nostro presente e che ci fa intervenire nei blog, ma ci impedisce una comunicazione diretta, nell’insegnamento diventa mancanza d’armonia. La scuola è come “un grande corpo con gli apparati funzionanti e in movimento ma con un difettoso circuito centrale. Come la creatura di Frankenstein, solo che nel nostro caso il mostro è più simile a quello di Mel Brooks, svagato e tenerone. Effetti involontari, nati accidentalmente dalla buona volontà e tanta voglia di fare.
C’è una scena in Frankenstein Junior, che è veramente esilarante, quando il Doctor e l’assistente scoprono il passaggio segreto che si apre sollevando una candela dal supporto a muro. Il Doctor che si ritrova imprigionato dall’altra parte, grida sillabando alla sua assistente “ri-met-ta a po-sto la can-de-la”, qualcosa non funziona e la porta continua a girare su se stessa, quando finalmente i due riescono a controllare il meccanismo, è l’assistente che ritrovandosi imprigionata, dall’altra parte impartisce a sua volta l’ordine “ ri-met-ta a po-sto la can-de-la”. Ecco, a volte, guardando i bimbi seduti davanti a me, mi aspetto che da un momento all’altro, si alzino e si rivolgano a noi usando a giorni alterni, solo parole che iniziano con la se, la da o la ta: “sedatavo”, come nel film.”
All’inizio di quest’avventura pedagogica mi è capitato un fatto sgradevole e grottesco, ma forse profetico. Una premonizione.
In una seconda, stavamo impostando il lavoro dei costumi e la maestra di turno voleva che una bimba rifacesse il disegno, perché a suo giudizio non era abbastanza bello, il foglio si era solo un po’ troppo spiegazzato e invitai la piccola a continuare. Dopo qualche minuto mi accorsi che l’insegnante aveva gettato il lavoro nel cestino costringendola a rifarlo. Cercai in qualche modo di riparare, tranquillizzando la bimba e recuperando il lavoro ma al momento di lasciare la classe successe l’imprevedibile. Nell’alzarsi dal suo banco, la bimba pallida e ancora scossa ebbe un rigurgito e un conato di vomito violento e spaventoso si riversò proprio nella direzione dell’insegnante sporcandole scarpe, gonna e borsa. Un vero colpo di scena! In quel gesto c’era tutto quello che poi avrei visto giorno dopo giorno. L’insensibilità, il pressappochismo, l’esaltazione, la paccottiglia psico-pedagogica dei programmi, l’ambizione dei genitori, la competitività delle insegnanti, la vanità dei dirigenti scolastici, la fragilità dei bambini.
Miriam Ravasio
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Miriam Ravasio si occupa di educazione all’immagine nelle scuole; un lavoro a cui è arrivata "per caso", dopo una vita dedicata alla moda e alla ricerca di immagini per abiti, tessuti e ricami. L’impatto con la scuola, e in particolare, con il frastuono pedagogico della didattica, è stato così forte e violento da indurla a scrivere (cosa in cui sono assolutamente un’autodidatta). Ha scritto un manuale dove racconta la sua esperienza. Alcuni capitoli sono stati pubblicati da Nanni Balestrini e Maria Teresa Carbone sul sito di Raizoom, 2002/2003. Sono capitoli divisi per tema che ricostruiscono tre anni di lavoro intenso, molto particolare e "irripetibile". C’é la scuola, l’universo infantile, il fragore sociale che dirompe nella didattica e nei rapporti, riflessioni sull’arte, sulle sue letture, pensieri pedagogici, morali.
L’articolo qui pubblicato trae spunto dal suddetto manuale.
Entrare con tale impeto, come ha fatto Miriam Ravasio in questi argomenti, di venerdì, mi sembra più che interessante, molto utile. Avremo se non altro tutto il fine settimana per pensarci un po’ su e cercare di trarre delle conclusioni non slo ovvie ma convinte. Che nella scuola ci siano una molteplicità di problematiche sul tappeto…è sotto gli occhi di tutti, vedasi le ultime notizie sui rapporti sessuali trasmessi con un telefonino…però ricordiamoci che questi sono accadimenti non usuali e la disumanizzazione di cui parla Miriam è fenomeno molto più antico. Lo si legge infatti, nei comportamenti attuali dei nostri ragazzi, come dire che ci sono già gli effetti e i frutti sempre acerbi di questi misfatti adoprati sulle coscienze dell’infanzia. Pur costatando che non possiamo, per fortuna, generalizzare. Ma insegnare la sensibilità all’immagine credo debba partire proprio dall’insegnamento alle emozioni, ai sentimenti, all’altruismo, a quel modo fatato di imparare ad aprire gli occhi sul mondo e sulla società minuta che ci circonda da quando veniamo al mondo e maggiormente, da quando si esce di casa e si trascorrono diverse ore, diciamo quasi un quarto della giornata insieme a coetanei.
Vedete, noi osserviamo sempre più scuole ed infanzia tecnologicamente aggiornate, vediamo strumenti e metodi di applicazione nelle scuole all’avangardia…ma….abbiamo mai pensato a cosa si dovrebbe fare per far crescere un bambino all’insegna della bontà, che non credo sia da considerarsi obsoleta…Entriamo nel merito della questione. Le scuole iniziano a settembre, e già a dicembre nelle piccole classi della materna o dell’asilo già si arriva alle prime recite scolastiche per la gioia dei nostri genitori….ma una letterina da parte degli insegnanti per invitare i nonni a prendere parte a quelle primissime manifestazioni di se dei propri adorati nipotini, nessuno ci ha mai pensato.
Eppure, i nonni sono nella realtà fantastica di tutti noi..ma dove sono andati a finire questi nonni. Quei pochi “fortunati” fanno i baby sitter straordinari e per fortuna o sfortuna non so bene, ci sono ancora….ma tutti gli altri. Eppure mi si dice che questa nostra società invecchi sempre di più…Ma allora questi nipotini, dei loro nonni sanno qualcosa, oppure li conoscono soltanto nel giorno dei compleanni o a Natale!!!
Ecco questo è un aspetto: fossi insegnante, inviterei i miei piccoli alunni a fare almeno una telefonata a settimana ai nonni, magari soltanto per dire loro: Ciao nonnino, mi vieni a trovare!!!!
La umanizzazione parte anche da qui….
p.s. quando i bambini saranno invitati a scrivere un tema sui loro nonni, o dovranno lavorare di fantasia o lasceranno molti fogli in bianco…
Non dimentichiamo di rivolgere un pensiero alla “Giornata della Memoria” e mi permetto questa intrusione che non sarà mai un fuori tema.
Invio un frammento di una poesia, del resto mi fu letta l’anno scorso su radio uno a News generation, quindi non è stata scelta soltanto da me.
e credo che rammentare faccia parte proprio di quella richiesta di umanizzazione di cui parla Miriam…permettetemi…
“Ricordare!”
…quando il silenzio della crudeltà
perfora i timpani della storia
nascono come zampilli le parole
con il rispettoso compito
di rifocillare un ardore
che si fa missione…
Ricordare..ricordare..ricordare…(mgc)
Ho passto l’ultimo anno a scegliere la scuola materna per il mio bambino. Questo argomento è per me molto importante. Sono stata molto criticata per la scelta che ho fatto e per il tempo destinato a tale scelta. Ho la sensazione continua che avrei potuto fare meglio e di più. Credo fortemente nel potere e nella forza dell’immagine e della parola. E mi sono resa conto che il primato è invece quello “del raggiungimento deglli obiettivi: socializzare, arrivare a un buon livello, essere in grado di, raggiungere un adeguato… ” Queste le parole che ho sentito pronunciare da chi dovrebbe “manovrare” un materiale umano così importante e tanto delicato come un bimbo tra i 3 e i 6 anni. Poi però leggo da tutte le parti interventi sensibili, preparati, armoniosi, come quello postato da Massimo. Allora mi chiedo dove stia veramente il problema. Se nei singoli individui? Attacchiamoli, isoliamoli, stigmatizziamoli. La maestra che getta nel cestino il lavoro della bimba è una delinquente. Sta intervenendo sull’anima pesantemente. Raccontiamolo ai genitori. Spieghiamogli che la propria bimba è in pericolo. Insomma io ho notato tanta omertà, tanta accondiscendenza nei genitori e anche nel corpo docenti verso i colleghi. Non sono una rivoluzionaria, credo nella mediazione, ma quando ci sono di mezzo i bambini, visti i danni inferti alla mia generazione dalla scuola, non ho pietà e sono disposta a cambiare scuola in continuazione fino al paradosso di cercare degli insegnanti privati che vengano a casa piuttosto che…
elisabetta
Come sia verissimo che certi comportamenti fin dalla scuola materna delle insegnanti sia di fondamentale importanza lo posso confermare. Ricordo con molto piacere infatti, le buone abitudini di una signora maestra Lalletta, che davanti al primo disegno di mia figlia, nel vederci arrivare a scuola, me e mio marito, ci accolse con un sorriso a 360 gradi, e con tanto di esclamazioni e sorrisi ci fece vedere il primo disegno della nostra bimba, gridando al miracolo! Credo di aver conservato quel disegno con molta cura, e riconosco a quella dolce insegnante il 50% dell’ottima riuscita negli studi di mia figlia!!
Quel gesto osceno di gettare nel cestino i disegni dei piccoli allievi, mi spaventa, mi fa inorridire e purtroppo so che succede!!! Probabilmente l’autostima di una persona comincia anche così. E così tutti gli andazzi e i gesti di questo mondo. L’attenzione alle “piccole” cose…è una delle cure contro l’indifferenza sempre più diffusa. Come ci si allenano i muscoli, così, occorre allenare lo sguardo, le mani, la mente e il cuore alle buone abitudini e attenzione verso l’altro maggiormente quando trattasi della parte più indifesa della nostra terra come sono i bambini.Grazie Miriam
Credo che Miriam Ravasio abbia aperto un argomento molto spinoso.
Adesso scrivo in fretta, ma tornerò di certo sull’argomento. Credo che il problema interessi moltissimo i genitori, ma anche gli insegnanti.
Credo che gli stessi insegnanti molto spesso rimangano vittime di un sistema sbagliato e inefficiente.
Come detto, tornerò sull’argomento.
Non esiste la parola “rimangano vittime” di un sistema sbagliato… ogni insegnante può muoversi nel sistema come gli pare. Questo ovviamente se percepisce la missione e l’importanze della sua scelta di insegnare o come spesso si dice “di educare”. E’ l’individuo che fa la differenza, la sua speciale visione del mondo, le sue capacità individuali, la sua sensibilità, affettività, attitudine a far amare le cose. I programmi ministreriali sono solo una scusa dietro cui aggrapparsi quando si è incapaci. Certo c’è da dire che lo stipendio e le condizioni di lavoro non aiutano, ma sarebbe come affermare che il medico della mutua sia legittimato a curare così e cosà, mentre lo specialista deve per forza essere bravo (un po’ l’idea corrente è questa…).
Penso invece che tutti gli insegnanti debbano essere sottoiposti a verifiche psicologiche costanti, per aiutarli a sostenere la loro attività e per dissuaderli nel caso fosse necessario. E’ un lavoro usurante e come tale andrebbe trattato. Ma ciò non toglie che un comportamento come quello segnalato nel post non vada stigmatizzato pesantemente e punito. Poi c’è un altro grande problema, che in Italia si insegna per ripiego e per garantirsi un ingresso economico fisso…
elisabetta
La scuola.
Il fatto è che oggigiorno non esiste nessun genitore che in qualche modo non tenti, prima o poi, di ingerirsi nel lavoro degli insegnanti e fargli sentire il proprio fiato sul collo. Oggi le mamme intervengono per una parola fuori posto dell’insegnante che dà del maleducato a suo figlio – magari per un motivo sacrosanto – oppure se ritiene che suo figlio sia stato penalizzato per qualche aspetto scolastico; storie di mamme che intervengono per parole che non gli stanno bene sui giudizi messi in pagella, per parti del programma sviluppato che ritengono non importanti, perfino per la parte che al loro figliolo è stata riservata nella recita scolastica.
Padri che intentano cause alle scuole per bocciature e esami di riparazione (questo magari qualche anno fa, adesso li hanno tolti). Scuole e presidi pavidi che per evitare questo genere di rogne fanno passare anche il classico somaro, che una volta era il ripetente inveterato ed oggi è diventato il dritto che riesce a passare indenne attraverso scrutini finali senza aver fatto una minchia durante l’anno. Da barzelletta a eroe dell’Istituto.
Così come non esiste più nessun funzionario pubblico che si prenda la briga di resistere alle rivendicazioni assurde della popolazione – il tutto per non avere “rogne” e pressioni da parte dei dirigenti o dei politici quando non anche dai mass-edia – la stessa cosa fanno i presidi delle scuole. Solo che loro lavorano sui nostri figli.
Le famiglie, dal canto loro, invadono il campo e si impicciano di ogni singolo aspetto scolastico. Era meglio quand’era peggio, si dice dalle mie parti: non ricordo che mio padre mi abbia mai rivisto un compito o che sia mai andato a protestare con un professore. I professori avevano ragione, punto e basta. Se ti davano del somaro era perché tu eri un somaro e te lo tenevi. Anzi, qualche volta ce le prendevi pure sopra. E tu crescevi con la consapevolezza che il grande comandava di più, quale che fosse il motivo, e che magari un giorno avresti avuto la tua chanche per cambiare il mondo. Poi – è noto – arrivato il momento non cambiavi niente, soprattutto perché improvvisamente il mondo non ti sembrava più così negativo.
La cattiva televisione impostaci dalle reti commerciali, le mega opportunità a disposizione, la cattiva educazione impartita dai genitori sono i tre pilastri di questo scatafascio. Comprendo le ragioni del lassismo della classe insegnante e dirigente della scuola, ma non le condivido nemmeno un po’. Hanno una grande parte in questo vuoto educativo, soprattutto quelli fra loro che, semplicemente e lapalissianamente, non sanno fare i professori. Perché il fatto che uno sappia un mucchio di cose (che poi nemmeno questo è sempre vero) non ne fa un professore, e questo lo sappiamo tutti.
I presidi, poi, ancora non si rendono conto che non devono ammucchiare alunni nel proprio istituto per sembrare più bravi, ma recuperare il buon nome del proprio istituto per far sì che quest’ultimo sia conosciuto – com’era ai miei tempi qui i città per il Classico, l’Agraria e la Ragioneria – come una Buona Scuola.
Non a caso al classico c’era il preside Massimi, all’agraria Di Lorenzo e alla ragioneria Baiocchi. Il Preside fa la scuola, su questo non c’è alcun dubbio.
Pier Paolo Piccioni
di Ascoli Piceno
Sono Miriam e ringrazio tutti voi per la sentita partecipazione. Come sapete e avete letto, nella scuola ci sono capitata per caso, ma l’impatto, fra il mio immaginario e la realtà, è stato così forte, addirittura violento che ho sentito il bisogno di scrivere; di appuntare ogni cosa, per non dimenticare e riflette con calma, quando l’emotività avrebbe lasciato il posto all’analisi, all’approfondimento. Mi sono messa a leggere, a studiare e a rivedere i “pilastri formativi” di questa didattica bambinizzante. Ho riletto, più volte anche il testo di don Milani, Lettera ad una professoressa. Nel capitolo dedicato alla figura dei nonni ( mi rivolgo a Gaby Conti), ho avanzato anche un raffronto fra “quel bel sindacato di babbi e mamme”, tanto amato da don Milani e i genitori o i nonni d’oggi. Dare un significato alle pagine che confusamente buttavo lì, non è stato facile; inizialmente, lo sfogo (leggete rabbia) si rivolgeva soprattutto contro le insegnanti, poi, ho visto oltre. E fortunatamente, e proprio per questo, non tutte le scuole sono uguali. I posti, le strutture, le insegnanti, fanno la differenza. L’esperienza più significativa e completa è stata in una scuola di montagna; un piccolissimo paese ai piedi del Resegone. 47 bambini dai cinque agli undici anni che lavoravano in gruppi misti (le vecchie pluriclassi), coinvolti in un progetto voluto dalle maestre, finanziato dal comune: Un posto così lascia il segno.
Saluti a tutti, Miriam
Cara Miriam,
ci siamo scritti già una decina di lettere sui più svariati argomenti e questo sulla “disumanizzazione” ( mamma mia che…parolaccia:) della scuola su cui mi/ci chiedi di intervenire è un tema spinosissimo su cui quotidianamente madri e padri di famiglia si trovano coinvolti. La scuola di Riccardo, mio figlio, che ha 9 anni e frequenta la quarta elementare, è naturalmente molto diversa da quella che è stata, negli anni Sessanta, la mia. Io, “ai miei tempi” ho conosciuto le traumatiche bacchettate sulle mani di un’insegnante tremenda, gli indimenticabili castighi di ore dietro una lavagna, vivevo come un incubo persino la richiesta di un bagno per liberare la vescica e il resto…
Oggi sono loro, i bambini, che spesso prendono in giro gli insegnanti. Penso che chi non insegna non possa capire le difficoltà enormi che ci sono dietro questo compito straordinario che è l’educazione allo studio, alla socialità, alla solidarietà, all’amore verso il prossimo. Non si può delegare solo la Scuola, che ti tiene buona parte della giornata un figlio (penso alla famigerata “scuola a tempo pieno”), mentre chi è genitore è bravo poi solo a scandalizzarsi quando le cose non vanno e non “riconosce” più suo figlio nel suo modo di fare e di essere. I bambini cambiano molto in fretta, ma noi genitori, come giustamente sostiene Elisabetta, dobbiamo stargli vicini, dialogare con loro, partecipare alla loro avventura quotidiana con la vita e con il mondo che li circonda. Per me è stato difficile con una madre e un padre sempre al lavoro (e io affidato a baby sitter menefreghiste e parentado vario)essere seguito; tutt’ora, quando capita l’argomento-scuola, lo rimpiango e lo rimprovero ai miei. Evitiamo dunque di crearci il solito comodo alibi: l’educazione dei nostri figli appartiene prima di tutto a noi che li abbiamo messi al mondo. Le nostre responsabilità sono dunque infinitamente maggiori di quelle di un insegnante e di un istituto scolastico, pubblico o privato che sia. A noi spetta soprattutto il compito fondamentale di vigilare sempre e correggere, quando è giusto e possibile, altrimenti poi può essere troppo tardi.
D’accordo con Alessandro Romanelli, ma cosa dire della quanttà di tempo che i bambini passano a scuola? Contro tutto quel tempo cosa si può fare? E’ una sproporzione abissale, e le amiche più grandi mi dicono che passano la gran parte del tempo “residuo” a gridare ai figli di fare compiti e studiare, sempre nello stesso modo, le stesse cose di sempre. Se la partecipazione della famiglia, richiesta dalla scuola, è questa… veramente sono molto preoccupata e la speranza di incotrare un’isola felice, come quella segnalata dalla Signora Miriam, non mi consola affatto. E’ veramente difficile trovare un equilibrio… una grande sfida… ma la situazione mi sembra veramente penosa.
Buona domenica, comunque
elisabetta
Scusatemi, non volevo gettare i genitori nello sconforto, ma richiamare l’attenzione di tutti sul rapporto che la società ha nei confronti dei bambini. Lavorando in tante scuole, fra loro diverse, trascorrendo anch’io, come i bambini molte ore nelle classi, ho avuto una possibilità d’osservazione, che ai diretti interessati forse sfugge. In questi ultimi anni la scuola è stata al centro di grandi battaglie politiche, abbiamo dibattuto di riforme, di programmi, dei ruoli e degli aspetti professionali del personale docente; poco si è parlato di bambini, di pedagogia, dei tempi umani d’apprendimento. Anche i ragazzini erano stati coinvolti nel tumulto; ricordo manifestazioni con bimbi delle elementari trascinati in piazza con cartelli e striscioni di cui, sicuramente, non comprendevano il contenuto. E anche questo non mi era piaciuto; era parte di quella trascuratezza sociale che ormai ci caratterizza. Dobbiamo arretrare, fare un passo ( o più) indietro e affrontare il tema: noi e l’infanzia. Da lì far partire l’onda di nuove opinioni, riscoprendo sentimenti e attenzioni, cercando nella letteratura, nell’arte, nella musica, nell’educazione al bello il bandolo della matassa.
Ma lo sapete che in tutte le scuole sono appesi cartelli sulla raccolta differenziata e, salvo pochissime eccezioni, nemmeno un’immagine di un’opera d’arte? Quando smetteremo di parlare allegramente ai bambini di rifiuti, di raccolte differenziate, di discariche? O di com’è bello e divertente trasformare un rifiuto in un altro rifiuto colorato? Come possiamo sperare che da grandi diventino lettori?
Un caro saluto, Miriam
Ho letto con vivo interesse il tuo articolo, che trovo splendido. Da insegnante di scuola elementare – felicissimamente ex- da due anni, dopo 35 di lavoro in breccia – condivido senza riserve la tua indagine. Nel leggere ho riprovato sensazioni, emozioni, frustrazioni che sono andate aumentando in misura esponenziale negli ultimi quattro anni. Mentre mi rendevo conto che i ferri del mestiere si raffinavano a oltranza (lo dico senza false modestie), in parallelo c’era la coscienza della futilità dell’opera, per tutte le ragioni che hai magnificamente esposto. Dalla tua analisi risulta uno spettacolo realistico e realisticamente sconfortante, perché non c’è soluzione, né via d’uscita. È un guazzabuglio di politica, abitudini, errori, scelte demenziali, ambizioni e chi più ne ha, ne metta che va ingigantendo come un tumore spaventoso. Al fondo di tutto c’è questo processo economico che chiamiamo impropriamente “economia del consumo” e che è il morbo che corrompe le coscienze come ben rilevi; ma che con l’edonismo impedisce alle coscienze la consapevolezza e quindi il pentimento, che sarebbero i due stadi per il rimedio.
Non mi dilungo di più.
Emilio
Per me i problemi sono:
-si sta troppo a scuola
-molti insegnanti sono incapaci
-molti genitori sono ignoranti e presuntuosi.
Quando andavo alle elementari io eravamo tutti bambini uguali, i più poveri e i più ricchi, quelli che provenivano da famiglie più istruite e quelli che avevano i genitori analfabeti.
Tutti eravamo uguali e avevamo le stesse possibilità.
Adesso i bambini se non sono seguiti a casa, dopo essere stati a scuola otto ore,dico otto ore, spesso non imparano niente.
Le insegnanti di prima e seconda non si rendono conto dell’importanza del loro compito: da quello che vedo con i miei figli possono trasformare gli studiosi in nullafacenti e gli svogliati in appassionati studiosi.
Al mio figlio maggiore è stato strappato un foglio in prima elementare: siamo andati per un anno dalla psicologa, dopo.
Sicuramente le sue maestre erano troppo rigide, però ha imparato a studiare e ad essere responsabile.
Il minore non è mai stato sgridato, ripreso, interrogato, è stato lasciato sempre nella totale libertà e adesso fa i compiti a giorni alterni se va bene.
I genitori pretendono che i loro figli siano sempre i primi della classe e se non lo sono si lamentono con le insegnanti.
Scusate lo sfogo, ma potrei parlare della scuola per ore.
…Io non voglio dire nulla di speciale…So solo che a scuola io ci sto male, proprio male…E non sono un alunno, bensì ahimé un insegnante. A dispetto di ciò che la pubblica opinione pensa e crede…a scuola stanno male gli alunni e soffrono (molto…se non tutti i docenti, almeno i più sensibili) i docenti.
Si possono fare molti discorsi, dopo un po’ ti accorgi che è sempre la solita solfa, il solito scaricabarile, un bla bla bla più tormentoso del male stesso. E la cultura, quella vera se si può dire così(io dico: maggior cullura=maggior sensibilità) nessuno la vuole, nessuno se ne preoccupa…nessuno, figuriamoci i ragazzi…Si va avanti così, a scartamento ridotto. Io vivo con la speranza del disperato: lasciare l’insegnamento, senza rimpianti, senza falsi pudori, senza remore…
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